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VEDERE LA PAROLA, ASCOLTARE L’IMMAGINE ARCHITETTURA, ARTI E MUSICA PER LA LITURGIA

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VEDERE LA PAROLA, ASCOLTARE L’IMMAGINE

ARCHITETTURA, ARTI E MUSICA PER LA LITURGIA

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Direttore

Gabriele OPontificio Ateneo S. Anselmo

Comitato scientifico

Jordi–Agustí P C, OSBPontificio Ateneo S. Anselmo

Pietro Angelo MPontificia Università Urbaniana di Roma

Eduardo L–T G, OSBPontificio Ateneo S. AnselmoCensore ad casum

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VEDERE LA PAROLA, ASCOLTARE L’IMMAGINE

ARCHITETTURA, ARTI E MUSICA PER LA LITURGIA

Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori.

Sal ,

La collana raccoglie e pubblica le tesi prodotte nell’ambito del masterbiennale post–universitario di II livello in Architettura e arti per la li-turgia. In casi particolari può ospitare anche le tesi del master biennalepost–universitario di II livello in Musica liturgica.

La scelta dei lavori avviene in base a una rigorosa selezione, vengonopresi in esame solo quelli valutati con il giudizio massimo, cioè consumma cum laude, e che abbiano trattato una tematica totalmenteinedita per la propria area di studio.

La finalità è duplice: la divulgazione dei risultati raggiunti dai suddettimaster e la possibilità di fornire agli studiosi del settore testi scientificiche siano da considerare un punto di partenza per ulteriori e necessariapprofondimenti di argomentazioni. Argomentazioni che fino ad oggisono state trascurate oppure affrontate con ingiustificata superficialità.

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Maurizio Fiore

«Non habemus hic manentem civitatemsed futuram inquirimus» (Eb ,)

Progettare una “chiesa provvisoria”

Prefazioni diSilvano MaggianiGabriele Orlando

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Copyright © MMXVIAracne editrice int.le S.r.l.

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via Quarto Negroni, Ariccia (RM)

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio

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Alle popolazioni terremotate

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Indice

Prefazionedi Silvano Maggiani

Prefazionedi Gabriele Orlando

Introduzione

Parte IUna domus per celebrare e pregare

Capitolo ILa chiesa del popolo celebrante

Capitolo IIL’indole escatologica della chiesa

Capitolo IIIUna domus ecclesiae provvisoria

Capitolo IVSpazio liturgico e presenze simboliche

Capitolo VAltare

Capitolo VIAmbone

Capitolo VIISede

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Indice

Capitolo VIIIBattistero e fonte battesimale

Capitolo IXAspetti iconografici: la croce, icona della Vergine o di un santo

Capitolo XConclusione

Parte IIProgettare una domus ecclesiae provvisoria

Capitolo XIIl territorio e la comunità di riferimento

Capitolo XIILuoghi liturgici e contesto provvisorio

Capitolo XIIITemi e forme di una proposta per il provvisorio

Capitolo XIVLuce e spazio liturgico

Capitolo XVUn progetto di “chiesa provvisoria”

Capitolo XVIConclusione

Conclusioni generali

Bibliografia

Sitografia

Elenco delle Figure e delle Tavole

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Prefazionedi S M. M∗

Il “caso serio” in architettura: una “chiesa provvisoria”

Il problema delle costruzioni provvisorie in architettura non è nuovoe, come è documentabile, ha focalizzato l’interesse “appassionato” dinumerosi architetti di riconosciuto valore e di studi di architetti coin-volti direttamente o indirettamente nella progettazione di costruzionitemporanee.

Nelle culture occidentali, nonostante la testimonianza materiale dimanufatti archeologici, di case, monumenti, città che documentano etramandano una memoria di altissimo valore ma che testimonianoanche precarietà, lotta quasi titanica tra l’uomo e il tempo che diviene,tra gli umani e le forze della terra e del cosmo, tra il simile in lottaviolenta contro il proprio simile, non è facile né pensare né costruireun’opera che deve rispondere a principi di stabilità, di solidità, di sicu-rezza, di senso, sapendo che sarà un’opera del fra–tempo. È come senel nostro profondo fossimo “abitati” da un desiderio di perpetuazionedella memoria che lotta contro l’attimo fuggente. La conservazione eil restauro sono una delle espressioni più caratterizzanti di un alto sen-tire responsabilmente la memoria storica che si tramanda tramite un“visibile parlare”, a suo modo racconto di generazione in generazioneda favorire.

È interessante osservare come anche in progettazioni e costruzionidi opere temporanee, come strutture architettoniche di “esposizio-ni universali”, di mostre espositive, la “provvisorietà” non riguarditutti i manufatti realizzati, spesso frutto di valore creativo. Si operaperché a conclusione dell’evento, non tutto sia soggetto al comples-so e laborioso smantellamento, ma resti un’opera o più opere chesignificativamente vadano oltre il provvisorio.

∗ Pontificia Facoltà Teologica “Marianum”, Pontificio Istituto Liturgico.

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Prefazione

Nel mio immaginario la provvisorietà di una chiesa, o di una domusecclesiae, ha fatto spesso emergere ricordi di esempi infelici di assem-blee costrette ad una provvisorietà prolungata in capannoni, in garage,in strutture espressioni certamente di scelte di povertà più prossimaalla miseria che non ad un’austera “nobile semplicità”. Faticavo, ancheper i motivi sopra esposti, a considerare riflessivamente la possibilitàdi progettare seriamente una “chiesa provvisoria”. D’altra parte, comealtri liturgisti, il mio interesse e la mia consulenza nei decenni, nonchél’insegnamento, hanno avuto di mira soprattutto il progettare chiesenuove, o adattare l’esistente secondo gli orientamenti ecclesiologicidel Concilio Vaticano II e la riforma liturgica voluta dallo stesso Con-cilio. Assai marginale è stata l’attenzione posta, a causa soprattutto dieventi di calamità naturali, alla progettazione di “chiese provvisorie”.Dal punto di vista pastorale mi rendevo ben conto di quanto fosseimportante, necessario, identitario avere un luogo dove il popolo santodi Dio, soggetto a dolorose dispersioni, si ritrovasse per celebrare isanti misteri “in Spirito e Verità”, non quindi senza luogo, ma secondolo Spirito di Verità (Gv ,–), secondo lo Spirito di Cristo Verità chedice ai suoi «Fate questo in memoria di me» (Lc ,). Tuttavia, forsecome altri operatori pastorali, teoricamente sentivo il problema del“provvisorio” più come “improvvisazione” che “provvisorietà”.

La proposta dell’Architetto Maurizio F di condividere uno stu-dio accademico aperto ad un’eventuale progettazione di una domusecclesiae provvisoria, l’ho accolta con grande interesse, quasi come unasfida: l’architetto e il liturgista in dialettica operativa per far perseguireall’architetto il Diploma del Master universitario di II livello in “Studiisde Architectura Artibusque al Liturgiam Spectantibus” del PontificioIstituto Liturgico dell’Ateneo Sant’Anselmo (Roma). La sfida è risul-tata non solo accademica, ma in un cammino di ricerca e di dialogofra competenze, è emersa la “serietà” che permane perché il “prov-visorio” non relativizzi o trascuri i temi soggiacenti all’antropologiae alla teologia liturgica di una domus ecclesiae e il modello, nella suaprovvisorietà, non risulti banalmente funzionale, ma sia segnato dallatriade vitruviana: utilitas, firmitas, venustas, tenendo conto che la sceltadi uno spazio, perché diventi luogo significativo ecclesiale, deve essereper il mistero che si celebra e i celebranti il mistero, dove il per è daconsiderarsi e finale (a favore dell’oggetto e dei soggetti celebranti) emodale (l’oggetto e i soggetti ispirano il modello).

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Prefazione

Le due parti che costituiscono la ricerca teorica e pratica dell’arch.Fiore danno ragione del per con qualità teologica, liturgica, antro-pologica e con proprietà e professionalità architettonica. Nel testo enelle proposte progettuali vi è una tensione armonica, così che non èaccentuato né il liturgico, né l’architettonico, né viene dimenticato ilcontesto territoriale. Azzarderei un’immagine valorizzata altrove: sirespira a due polmoni, con un ritmo cadenzato e armonico, produ-cendo un’osmosi di contenuti, sorretti da un impianto metodologicorigoroso che dà vigore ai contenuti stessi. Condivido pienamente ciòche l’arch. Fiore affida alla Conclusione Generale del lavoro, quandorileva come «interrogandosi costantemente sul senso dell’edificaree dell’edificare per la liturgia nel contesto post–catastrofe, si è giuntialla forma architettonica, ovvero alla forma della domus ecclesiae. Lacomprensione dei significati profondi e la traduzione di questi in luo-ghi per la liturgia ha svelato al progetto le due fondamentali formespecifiche che sinteticamente, ma significativamente, hanno permessodi connotare l’edificio liturgico come “icona ecclesiologica” e come“icona escatologica”». Quest’ultimo aspetto, indubbiamente non facilenella sua resa iconica che storicamente ha trovato diverse soluzioniaffidate alla verticalità, all’abside, alla cupola, all’iconografia, per sem-plificare, ritengo sia di realizzazione progettuale e fattiva, una sfidaper l’architetto.

Ciò che mi pare nodale e fondamentale nel lavoro di Fiore è essereriuscito a coniugare la provvisorietà e la temporaneità di una costru-zione con il dato teologico–liturgico della provvisorietà della e nellavita del credente, provvisorietà di viatori, ben oltre la finitudine delcosmo e della condizione umana, segnata dall’“eschaton” identificabilecon Cristo che è, che era, che viene (Ap ,–).

La citazione di Eb , del titolo risuona nella sua intensità se laleggiamo nel contesto (vv. –): invito ad uscire dall’accampamentoper andare verso Cristo santificatore del suo popolo, che orienta allacittà futura, ma orienta mentre in ecclesia offriamo a Dio il sacrificiodi lode. Gli accampati nella precarietà del vivere trovano nell’ospitalitàdella domus proposta dalla ricerca, curata nelle sue forme essenziali,motivi di una speranza viva che non delude, possibilità di guardarenella chiesa il territorio gettando lo sguardo al futuro, futuro che ilprogetto vuole iconicamente testimoniare.

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Prefazionedi G O∗

È tutt’altro che frequente poter riconoscere nell’esperienza di un ar-chitetto una unità così stretta tra elaborazione progettuale e impegnoaccademico, quale invece emerge da un’analisi (finanche sommaria)dell’opera elaborata da Maurizio Fiore. Non è questa la sede, pur-troppo, per soffermarsi sull’eccellente lavoro da egli svolto duranteil biennio del Master, ma ritengo senza dubbio interessante (e utile)accennare una nota basilare.

La tensione didattica non rappresenta, infatti, solo uno degli aspettidella sua esperienza complessiva, quanto piuttosto una condizioneintrinseca e irrinunciabile nell’accostarsi alla tematica specifica; uncarattere che inevitabilmente emerge con forza nel suo progetto finaledi una “chiesa provvisoria”. Il progetto già di per sé mostra non solola possibilità, ma direi la necessità, di fissare gli elementi permanentie condivisibili dell’architettura per la liturgia, senza sconfinare nellapatetica e inutile ricerca di significati occulti o sognati; a costo diaccentuare il rifiuto di quella “architettura parlante” fine a se stessa,tipica essenza dei progetti di carta completamente mancanti di unvocabolario, non di rado addirittura dell’alfabeto architettonico eartistico.

Invece, l’intero percorso specializzante (non solo l’elaborato finale)di Maurizio Fiore, ben oltre ogni giudizio di valore, è il compimentodel realismo, ovvero piena partecipazione ai problemi concreti delproprio tempo.

È l’irrinunciabile fondamento, io credo persino sufficiente, perpoter affermare che il progetto ha adeguatamente risposto a quantogli si chiedeva in origine; dunque, ha raggiunto il suo obiettivo.

∗ Pontificio Ateneo Sant’Anselmo.

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Introduzione

Le ragioni di una scelta

La vita di ognuno di noi è attraversata da eventi e sentimenti che inevi-tabilmente riflettono, in ogni momento storico e in ogni circostanza,la condizione della comunità di appartenenza. Questa, oltre che esseregruppo sociale e civile di riferimento, è innanzitutto comunità eccle-siale ovvero comunità costantemente impegnata nell’affermazione deiprincipi di unità, solidarietà, comunione e carità, espressione della suapiù autentica natura cristiana.

Accade dunque che, nei momenti in cui, per cause diverse, vedefrantumarsi il suo contesto più prossimo, l’uomo in essa cerca l’in-contro, la condivisione, in una parola, ha necessità di sentire la veradimensione della Chiesa di cui è parte; così è quando la comunitàcristiana a cui appartiene è colpita da improvvisi e tragici eventi e ungenerale e profondo stato di dolore e smarrimento la pervade; così èquando la condizione di estrema vulnerabilità si palesa nella sua piùtragica espressione umana.

Siamo allora di fronte a uno di quei momenti in cui il gruppocristiano deve necessariamente riaffermare l’origine e i principi chelo distinguono ovvero deve riaffermare la Parola di Dio annunciata,ascoltata, meditata e praticata nelle situazioni di ogni giorno, al fine diapplicare la perenne Verità alle circostanze concrete della vita, giacché,come ci è stato insegnato, non è sufficiente ascoltare la Parola, nonbasta annunziarla, occorre viverla, praticarla.

Dunque ogni singolo è chiamato ad esprimere quella carità sparsanei cuori di ognuno che informa e genera socialità autenticamentecristiana. Questa carità deve rendersi visibile sempre, deve permeareed ordinare tutti gli aspetti della vita soprattutto quando questa èstravolta e colpita da funesti avvenimenti; la carità reciproca devediventare il tessuto della comunione che distingue gli appartenenti

. Cfr. Rm ,.

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Introduzione

al gruppo fondato sulla fratellanza e il dono reciproco. Di ciò eranocoscienti i primi cristiani, capaci di essere “un cuore solo e un’animasola” (At ,) sì da arrivare alla piena comunione spirituale e materiale;di ciò dobbiamo continuare ad essere artefici noi, oggi, ciascuno conil personale contributo e il proprio impegno.

È in tale direzione dunque che è possibile leggere questa ricerca,silenzioso e puntuale contributo per le comunità cadute nel totale“stato di bisogno” non solo materiale ma anche e soprattutto spirituale.

Il nostro paese infatti, colpito com’è da frequenti sconvolgimentidel contesto artificiale e naturale a causa di terremoti ed alluvioni,ha subito più volte, nella più profonda sofferenza, gli effetti devastan-ti dello sradicamento dai territori e della riduzione della vita dellecomunità colpite alla più assoluta precarietà.

I recenti avvenimenti dell’Abruzzo () e dell’Emilia (), ul-timi solo in ordine cronologico, sono tuttora vivi nella mente diognuno, ancora carichi di irrisolta problematicità sebbene non piùsotto i riflettori dell’informazione.

L’impotenza della scienza è ormai tristemente evidente in que-sto campo. Occorre quindi prendere atto della impossibilità di ogniprevisione attendibile e della conseguente necessità di organizzareefficacemente la vita delle popolazioni nelle situazioni di emergenzache puntualmente seguono ogni catastrofe.

Come noto, le situazioni emergenziali pongono molteplici istanze;al recupero delle vittime e al salvataggio dei sopravvissuti seguono lefasi, più lunghe e complesse, della sistemazione provvisoria di questiultimi e della messa in sicurezza degli edifici in attesa del loro recuperoe del conseguente normale utilizzo.

Il contesto che si presenta agli occhi dei superstiti è dunque quellodella devastazione, più o meno estesa, di quanto le comunità succe-dutesi in quei luoghi hanno saputo edificare e testimoniare nel corsodel tempo; interi centri abitati, edifici civili e religiosi, monumenti, inuna parola l’espressione architettonica e artistica di una intera comu-nità spesso è distrutta, irrimediabilmente o gravemente; la comunitàimprovvisamente non trova più i riferimenti e i simboli del propriostatus civile e religioso che secoli di storia hanno prodotto.

Se tutto ciò è vero, è altrettanto vero e indispensabile dedicare, inquesta potenziale, triste circostanza della vita, un particolare impegnoed una specifica attenzione a quei bisogni spirituali che la comunità

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Introduzione

dei fedeli, già duramente afflitta dalle perdite umane e materiali,tacitamente manifesta. Il presente contributo, svolto nel più pienospirito di fratellanza e carità cristiana, vuole essere un passo concretoe preciso in questa direzione, una risposta ad un’istanza presente maspesso sottovalutata, posta in secondo ordine o, alcune volte, del tuttoinascoltata.

Istanze dell’emergenza

Lo scenario che si presenta ai nostri occhi e che consideriamo campodi applicazione di questa ricerca è dunque quello del “giorno dopo”,dell’emergenza.

A seguito degli eventi calamitosi le popolazioni colpite nel profon-do dei loro affetti, delle loro identità e dei loro simboli civili e religiosi,sono costrette ad affrontare, fisicamente e psicologicamente, il nuovoscenario che la distruzione ambientale e umana consegna loro in tuttal’ineluttabile tragicità.

In termini tecnico–operativi le attività assistenziali che il “contestoemergenziale” richiede sono prioritariamente finalizzate ad assicurarealle popolazioni colpite le funzioni urbane e sociali preesistenti l’evento,preferibilmente nelle località di abituale residenza in attesa della ricostru-zione. L’insieme di bisogni da soddisfare urgentemente comprende, oltreil “primo soccorso” connesso a tutti gli aspetti sanitari del caso, la neces-sità del ricovero in adeguate strutture ricettive di tutti coloro che hannoperso o dovuto abbandonare l’abitazione. La risposta più immediata, l’ine-vitabile costruzione di tendopoli o roulottopoli, consente di mantenerele comunità nei propri territori, necessità questa particolarmente sentitasotto il profilo psicologico da chi ha subito la perdita della propria casa,luogo di memoria e di vita famigliare.

In questo modo, seppur tra mille difficoltà, inizia un lungo percorsodi reintegro sociale delle popolazioni che, mantenute “soggetti attivi”,partecipano alla ripresa delle proprie attività, alla ricostruzione e ingenerale ad un più rapido rilancio delle aree interessate dall’eventocalamitoso.

. Cfr. A. O, Corso interno allestimento di una tendopoli, Protezione civile Comunedi Ponte San Nicolò, Padova, scheda e , vedi sitografia.

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Introduzione

Di fatto tutto ciò corrisponde al primo livello di quel complesso“stato di bisogno” che caratterizza queste situazioni; a ben vedere lepopolazioni interessate, superata la fase di soccorso immediato e inse-diamento provvisorio, entrano in un ciclo vitale che progressivamentesvela le sue carenze. Tra queste, oltre quelle di carattere materiale,vi sono quelle attinenti la dimensione psicologica e spirituale dellecomunità colpite.

In particolare, sebbene la macchina organizzativa del soccorso com-prenda specifici sussidi per tutto quanto attiene le problematiche dellasfera psicologica delle persone coinvolte, i bisogni attinenti la sfera spi-rituale molto spesso vengono tralasciati o, quando considerati, risoltiin maniera del tutto inadeguata e improvvisata.

Dunque proprio quest’ultimo aspetto, quello spirituale, che quali-fica le istanze dell’uomo al pari di altre sue primarie necessità distin-guendolo così dagli altri viventi, permette di cogliere il senso di questaricerca che intende sostanzialmente dare una risposta alla necessità ditrovare in tempi rapidi luoghi di riferimento e di incontro per l’azioneliturgica delle comunità cristiane che hanno subito, a causa di eventicalamitosi, la distruzione degli edifici di culto espressione di fede e diidentità collettiva.

Non possiamo infatti dimenticare il ruolo e la valenza che stori-camente questi edifici hanno avuto all’interno dello stretto rapportoche ha legato l’espansione del cristianesimo al fenomeno urbano deinostri territori.

La religione cristiana ha segnato in maniera indelebile i centridelle nostre città ponendovi l’emblema più forte del cristianesimo: lacattedrale. Questa ha svolto un ruolo dominante sia sulla città, comefulcro di civiltà della Chiesa di Roma, che sui territori rurali circostantiponendosi al vertice di una fitta rete di parrocchie ad essa subordinate.

A questa struttura organizzativa gli studiosi attribuiscono la forteinfluenza del cattolicesimo sulla società occidentale con evidenti effettinon solo di carattere politico e sociale ma di vera caratterizzazionesimbolico–spaziale dei contesti urbani; basti pensare alla contempora-nea diffusione, nelle città come nei più vasti ambiti rurali, dell’altrasimbolo del cattolicesimo: il campanile, tipica espressione architet-tonica di una società governata dalla Chiesa cattolica. La sociologaDanièle Hervieu–Léger sintetizza questo scenario nel concetto di “ci-