venticinquennale 1986-2011 · 2016. 9. 15. · venezuela -- shunji sudo iogkf nazioni aderenti...

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1 La Struttura della IOGKF………….pag. 3 Il Buddismo e l’Ideale Marziale.......pag. 4 Saggio Dimostrativo ………..……...pag. 9 Finalità della Pratica ……….….....pag. 10 Il Kata: un Esercizio Esoterico…....pag.12 Ubuntu Gasshuku...……….……….pag.13 Ieri Ho Incontrato Bill Evans.….....pag.16 White Crane Qi Gong.……………..pag.18 Il Giappone in Guerra……………..pag.20 Karate Goju-Ryu…………………..pag.23 Fuyu Gasshuku…………………....pag.31 Costruzione del Nuovo Dojo………pag.35 Dice Lo Zen………………………..pag.38 L’Allenamento...…………………...pag.39 Inserto Blog…...…………………...pag.41 Agenda IOGKF Italia……………..pag.60 Nei numeri precedenti……….……pag.61 ANNO 17 - NUMERO 49 Inverno - Primavera 2011 Notiziario di informazione del Tora Kan Dōjō Honbu Dōjō dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation Italia Venticinquennale 1986-2011

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La Struttura della IOGKF………….pag. 3 Il Buddismo e l’Ideale Marziale.......pag. 4 Saggio Dimostrativo ………..……...pag. 9 Finalità della Pratica ……….….....pag. 10 Il Kata: un Esercizio Esoterico…....pag.12 Ubuntu Gasshuku...……….……….pag.13 Ieri Ho Incontrato Bill Evans.….....pag.16 White Crane Qi Gong.……………..pag.18 Il Giappone in Guerra……………..pag.20 Karate Goju-Ryu…………………..pag.23 Fuyu Gasshuku…………………....pag.31 Costruzione del Nuovo Dojo………pag.35 Dice Lo Zen………………………..pag.38 L’Allenamento...…………………...pag.39 Inserto Blog…...…………………...pag.41 Agenda IOGKF Italia……………..pag.60 Nei numeri precedenti……….……pag.61

ANNO 17 - NUMERO 49 Inverno - Primavera 2011

Notiziario di informazione del Tora Kan Dōjō

Honbu Dōjō dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation Italia

Venticinquennale 1986-2011

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Paolo Taigō Spongia : 48 anni, cintura nera 6° dan, Maestro Federale, Responsabile Nazionale e Capo Istruttore I.O.G.K.F. per l’Italia. Responsabile Tora Kan Zen Dōjō di Roma

Angelici Fabrizio: 38 anni, cintura nera 3° dan, insegnante di Karate-Do Responsabile del Dojo Karate-Do Kenkyu Kai di Cerenova.

Manzari Giuseppe: 60 anni, colonnello dell’esercito, cintura nera 3° dan, assistente di Dojo, pratica Karate-Do al Tora Kan Dojo Ramberti Andrea: 36 anni, controllore del traffico aereo, cintura marrone 1° Kyu, pratica Karate-Do al Tora Kan Dojo

Chelini Emilio: 41 anni, impiegato, cintura verde 3° Kyu, pratica Karate-Do al Tora Kan Dojo Garau Maura: 46 anni, educational producer, pratica Zen al Tora Kan Dōjō Saporito Giorgio 36 anni, informatico, cintura gialla 5° Kyu, pratica Karate-Do al Tora Kan Dojo Speranza Andrea 38 anni, impiegato, cintura blu 2° Kyu, pratica Karate-Do al Tora Kan Dojo Romagnoli Alessandro 42 anni, impiegato, cintura nera 1° Dan, pratica Karate-Do al Tora Kan Dojo Ranella Giovanni 43 anni, ha praticato Karate-Do alla Scuola di Karate-Do

Tora Kan Dojo è il notiziario informativo dell’Associazione Tora Kan di Via di Selva Can-Candida 49 in Roma, Honbu Dôjô dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Fe-deration Italia e Dôjô di pratica Zen . E’ diffuso tra gli Allievi della scuola e dei Dojo IOGKF Italia con cadenza stagionale con l’intento di fornire uno strumento di approfondimento culturale relativamente ad argomen-ti attinenti le Discipline praticate nella Scuola e ad ogni argomento di interesse comune. Ogni Allievo della Scuola e membro IOGKF Italia può contribuire alla realizzazione del notiziario con articoli, foto, traduzioni e con ogni altra possibile forma di collaborazione. Si prega di inviare il materiale da pubblicare nel prossimo numero all’indirizzo [email protected] entro il 15 Maggio 2011.

immagine di copertina: Sensei Spongia e Sensei Leijenhorst al termine del Gasshuku di Qi Gong

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

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La Struttura della I.O.G.K.F.

Meiyo Komon Honorary Advisor: Shuichi Aragaki Goju-Ryu Nidaime Soke (successore di seconda generazione): An’Ichi Miyagi Goju-Ryu Sandaime Soke (successore di terza generazione) e Shuseki Shihan (Chief In-structor): Morio Higaonna Gijutsu Komon (Technical Advisor): Bakkies Laubscher, Kazuo Terauchi Kaicho (IOGKF Chairman): Katsuya Yamashiro Fuku Shuseki Shihan (Vice Chief instructor) : Tetsuji Nakamura Shikko Iinkai (executive Committee) : Ernie Molyneux, Henrik Larsen, Tetsuji Nakamura Komon Advisors: Hidenobu Goya, Seizen Uehara, Kosei Wakugawa, Daikaku Chodoin, Masatake Oda, Tomonori Namiki.

Argentina -- Gustavo Tata Australia -- Joe Roses Austria -- Raoul Werner Walter Wogel Azerbaijan Republic -- Allahverdiev Tarverdi Aflan Bermuda -- Bobby Smith Belarus -- Viktor Grinevich Belgium -- Patrick Curinckx Canada -- Tetsuji Nakamura Chile -- Rodrigo Sepulveda T. Czech Republic -- Lubomir Moucka Denmark -- Henrik Larsen England -- George Andrews, Ernie Molyneux F.R. Germany -- Peter Lembke France -- Bemard Cousin Georgia, Rep. of -- Paata Chelidze Hong Kong -- Lam King Fung Hungary -- Ferenc Szigetvari Iceland -- Gretar Om Halldorsson India -- Pervez Mistry Israel -- Leon Pantanowiz Italy -- Paolo Taigo Spongia Japan -- Morio Higaonna Kazakhstan -- Karmenov Amangeldi

Mexico -- Ricardo C. Olalde-Tirado Moldovia -- Viktor Panasiuk Namibia -- Carl van der Merwe Netherlands -- Sydney Leijenhorst New Zealand -- Mark Gallagher Norway -- Rune Forsberg Hansen Okinawa -- Katsuya Yamashiro Peru -- Victor de la Rosa Poland -- Adam Litwinshiki Portugal -- Jorge Monteiro Puerto Rico -- Ricarte Rivera Scotland -- John Lambert Singapore -- Chris de Vet Slovenia -- BogdanVukosavljevic South Africa -- Bakkies Laubscher Spain -- Luis Nunes Sweden -- Bjom Jonzon Tadjikistan -- Oleg Khen Turkey -- Fatih Ince Ukraine -- Alexandre Grishniakov United States -- Miko Peled Venezuela -- Shunji Sudo

IOGKF Nazioni Aderenti & Capo Istruttori (Shibucho)

IOGKF ITALIA Dôjô riconosciuti Honbu Dôjô: Tora Kan (Sensei Paolo Spongia) Via di Selva Candida 49 Roma tel. 06/61550149 Dôjô: Ryū Kan (Sensei Arcangelo Landi) Via Bistagno 90 Roma Tel. 066243274 Dôjô: Scuola di Karate-Do (Sensei Roberto Ugolini) Via Properzio 4 Roma Tel. 3293005405 Dôjô: Chojun Miyagi Dojo (Sensei Ricardo Peirano) Via Le Canne s/n, San Teodoro, Tel.3497749533 Dôjô: Karate-Do Kenkyu Kai (Sensei Angelici Fabrizio) c/o Gym Power Station, Cerenova, 3383696353 Dôjô: Bu Shin Kan (Sensei Proietti Valerio)a.s.d. Palmarola Isola dello Sport Via Varzi n° 73 Tel.0630998391 Dôjô: Hakutsuru (Sensei Zandi Ermes) Via Roma, San Pietro Viminario (PD) Tel. 3284851893 Dôjô: Okinawan (Sensei Ruzzante Moreno) Via Falconetto 13/a, Luvigliano (PD) Tel. 3472563150

IOGKF Administrative Office

Mr. Tetsuji Nakamura Administrative Director

1055 Shawnmarr Rd Unit#9, Mississauga, Ontario L5H 3V2, Canada

IOGKF Honbu Dojo

Higaonna Dojo 42-22-3 Chome Makishi

Naha-shi Okinawa-ken 900

Japan

Comitato Esecutivo IOGKF Italia

Sensei P.Taigo Spongia - Sensei A.Landi - Sensei F.Angelici Sensei R.Ugolini - Sensei B.Manzari

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 48 Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

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L’ideale del Guerriero è una metafora centrale nel Buddismo. Per quanto non sia ancora pienamente ri-conosciuto in occidente, l’ideale del guerriero e l’influenza della cultura guerriera sono stati centrali nel cuore della dottrina buddista per la pratica tradi-zionale. La perdita di questa consapevolezza oggi è dovuta in parte al pregiudizio culturale degli occiden-tali che per primi furono attratti dal Buddismo. Ma come i praticanti occidentali sono maturati, hanno riscoperto la dimensione della pratica. La gente è scettica riguardo i legami che intercorrono fra il Buddismo e le arti marziali. Questo è compren-sibile. Ci sono stati casi in cui si è applicata una pati-na di cultura asiatica e di spiritualità nella speranza di donare a un certo stile o tradizione un’apparenza di profondità. Ci sono stati casi in cui potenti strumenti sviluppati all’interno della tradizione buddista allo scopo di por-re fine alle sofferenze degli esseri viventi, sono stati utilizzati da praticanti di arti marziali per fini diffe-renti. Tra gli strumenti ai quali mi riferisco, è incluso lo sviluppo della meditazione profonda su un unico punto (Samadhi) che permette al praticante esperto di mantenere con chiarezza e stabilità l’attenzione della mente su un qualsiasi oggetto per quanto tempo vo-glia. Nella pratica tradizionale del Buddismo il Samadhi è coltivato per permettere a chi medita di osservare il sottile lavorio della propria mente e per evitare la confusione degli stati mentali disturbati. Ma la con-centrazione su un unico punto è anche una caratteri-stica di molte altre attività altamente sviluppate che non si pongono alcun obiettivo spirituale: pilotare un aeroplano nella tempesta, colpire una pallina da base-ball di fronte a 50000 fan, scambiare titoli finanziari analizzando i flussi di mercato su una mezza dozzina di monitor contemporaneamente, combattere un av-versario mortale armato o disarmato, tutte queste atti-

vità richiedono una profonda concentrazione. Molti praticanti di arti marziali hanno preso in presti-to metodi di coltivazione mentale dalla meditazione buddista. Molti li hanno usati impropriamente o fina-lizzati al conseguimento di fini dannosi. Ne è un chia-ro esempio la partecipazione all’isteria della guerra dei maestri zen giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Cosi chi può biasimare l’osservatore occasionale, il visitatore alla sua prima partecipazione a una confe-renza Buddista, o gli americani di mezza età pratican-ti del dharma, per essere scettici sulla validità della relazione tra la pratica genuina del dharma e le arti marziali? Eppure, se si osserva più da vicino, la centra-lità dell’ideale guerriero nel Buddismo risulta

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Il Buddismo e l’Ideale Marziale

di Jeff Brooks traduzione a cura di Emilio Chelini e Andrea Speranza

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evidente. Ciò è importante perché da questa prospetti-va noi possiamo scoprire come dovrebbe essere prati-cata una vera arte marziale buddista. Il Buddha storico nacque (2500 anni fa in India) nella casta guerriera dei Kshatriya. Fu il figlio di un re, in

un’epoca in cui le guerre erano cosa diffusa, e la cul-tura militare era un modello dominante. Spiega Robert Thurman, professore di studi buddisti alla Columbia University: “Secondo le scritture buddiste e la tradizione orale, molti anni nel futuro, in un tempo dove la durata della vita avrà di nuovo raggiunto gli 80.000 anni, l’intero pianeta sarà governato da un solo imperatore benevo-lo. A quel tempo un nuovo Buddha (in una lunga suc-cessione di Buddha che appaiono e continueranno ad apparire su questo pianeta) apparirà. Sarà chiamato Maitreya. Nascerà nella casta dei Bramini, la casta dei religiosi, e non in quella dei guerrieri come fu per Shakyamuni. E la missione dell’insegnamento di Mai-treya sarà più efficace di quella di Shakyamuni. Le tecniche di liberazione sono le stesse. Ma in quel lon-tano e distante futuro gli esseri umani saranno spiri-tualmente molto più evoluti. Non sarà per loro così difficile, come lo è per noi nel nostro tempo, ottenere la liberazione dalla sofferenza qui sulla terra. Sicco-

me Shakyamuni (nato in India 2500 anni fa) i cui in-segnamenti ancora sono vivi, , nacque in un mondo di violenze diffuse e militarismo, egli ha dovuto volgere l’insegnamento verso tecniche pratiche di liberazione spirituale che confidavano su qualità marziali come la resistenza, l’ascetismo e la determinazione nella ri-cerca dell’obiettivo dell’illuminazione.” Il metodo buddista fu sviluppato, insegnato, sostenuto e diffuso da persone che furono, negli anni formativi del loro sviluppo, grandi guerrieri. Un esempio dall’antica India è Re Ashoka, il quale dopo una lunga e sanguinosa lotta per il potere conquistò un vasto im-pero nel subcontinente indiano. Quando terminò il tempo dell’espansione e venne il tempo della pace e del consolidamento egli ricercò la strada migliore per governare. Ricercò in tutta l’India un insieme di valori e metodi che avrebbero dovuto portare la massima felicità alle persone e che nel suo giudizio avrebbero offerto i mezzi migliori per l’ordine civile e la libera-zione individuale. Egli divenne il più grande fautore del Buddismo dell’antica India. La sua eredità vive oggi nelle centinaia di editti di roccia, bassorilievi scolpiti su pilastri in pietra che egli fece erigere ovun-que nel suo vasto regno. Le incisioni includono avvisi scritti per la condotta personale e patrocinano i valori umani che formarono le basi morali del primo Buddi-smo popolare nell’antica India. Il suo contributo ai monasteri buddisti e alle università consolidò la cultura buddista e la sua influenza si fece sentire dal II fino all’XI secolo, quando l’invasione delle armate musulmane, che incendiarono le bibliote-che e distrussero i monasteri, pose fine all’era buddi-sta in India. La seconda grande ondata di espansione del Buddi-smo si ebbe in tutta l’Asia per mezzo della più gran-diosa conquista militare della storia. Il Buddismo an-cora una volta si diffuse non con la forza ma per meri-to di un grande leader militare che divenne buddista, per convinzione, dopo che la fase militare della sua carriera era ormai conclusa. Nel XII secolo i Mongoli conquistarono gran parte del mondo conosciuto. Gui-data da Gengis Khan un’armata di pastori a cavallo dalle steppe dell’Asia centrale conquistarono con massacri, terrore e intimidazioni un’area che va dall’Oceano Pacifico passando per la Cina fino all’Europa ad occidente ed al Vietnam verso il sud. In due generazioni questa sarebbe diventata la dinastia

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Yuan della Cina. Kublai Kahn, figlio maggiore di Gengis, divenne Im-

peratore. Egli cercò in tutto il mondo conosciuto la giusta comprensione della vita, il modo più chiaro per approcciarsi alla condizione umana, e la migliore so-luzione per il problema della felicità umana. Egli scel-se il Buddismo. Sebbene il suo regime non fece sforzi per sopprimere le religioni e le filosofie più influenti, in competizione fra loro (Confucianesimo, Taoismo e molte altre). Fu il Buddismo che divenne de facto la religione di stato. E fu alla sua corte che per primo si coniò il titolo di Dalai Lama (Oceano di Saggezza) per l’insegnante di Dharma favorito dall’Imperatore. Per capire il senso della conversione di questi grandi condottieri, e il fascino profondo che suscitava in loro il Buddismo, può essere utile capire qualcosa della loro vita militare. Ci furono molti fattori che diedero ai Mongoli una così immensa supremazia militare sul-le altre popolazioni da loro conquistate. Fino a quando non cominciarono a vagare per l’Asia centrale vissero

come pastori. Allevavano animali: capre e pecore per il cibo e cavalli per il lavoro. Erano a cavallo per gran parte della loro vita. Era completamente naturale per loro. Gli era connaturato guidare al pascolo i loro ani-mali, così come domare le armate nemiche. Erano abi-tuati a lavorare a cavallo. Erano abituati ad uccidere. Non c’era abbastanza terra da coltivare per loro nelle alte e secche terre dove vivevano. Era a malapena suf-ficiente per l’erba da pascolo. Non necessitavano di nuove competenze per uccidere. Erano abituati ai lavori difficili. Erano abituati alla vita nomade. In un’epoca nella quale le armate erano distrutte più dai disagi che dai nemici non era un van-taggio da poco avere connaturate questo tipo di attitu-dini, menti e corpi che gli permettevano di rimanere in salute durante i lunghi spostamenti. Il metodo che usò agli inizi Gengis fu efficace. Le armate mongole sa-rebbero arrivate presso una città chiedendone la sotto-missione. Se non ci si fosse giunti rapidamente avreb-bero ucciso tutti. Agirono così per un po’ e presto le voci si diffusero. Le città capitolavano senza combat-timenti. Le armate continuavano ad avanzare. Questa gente non stava portando la democrazia. Non avevano interesse nel convincere i cuori e le menti. Volevano tutto e non si sarebbero fermati di fronte a niente pur di prenderselo. A capo di questa organizza-zione c’era colui che si convertì al Buddismo. E che permise il diffondersi del Dharma attraverso la Cina, il sudest asiatico ed oltre. Riuscite a immaginarlo? Dopo una lunga serie di vittorie, la linea di condotta di Genghis Khan e di Re Ashok cambiò. Essi rappresen-tano un modello di conquistatori molto diverso dai cosiddetti "conquistatori" dell'era moderna, e le impli-cazioni per la nostra vita sono profonde. In entrambi i casi c'è stato un cambiamento netto, so-no passati dalla violenza della guerra che li ha portati al potere, alla politica di educazione ed armonia du-rante il loro regno. Completamente diverso invece l'e-sempio dei dittatori dell'ultimo secolo, saliti al potere tramite la violenza. I leader dell'Unione Sovietica, per esempio, hanno usato l'omicidio di massa come tecni-ca di conquista, continuando ad applicarla per mante-nere il potere unitamente ad una politica di repressio-ne culturale. Il loro impero è però crollato, e ve ne so-no molti altri di esempi che si potrebbero fare. L'uso della forza, grazie a giustificazioni machiavelli-

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che allo scopo di mantenere la presa sul potere, falli-sce. Esso esaurisce le risorse del conquistatore così da distruggere l'impero. Da recenti esempi si può vedere come il male, al potere, distrugge se stesso così come il bene si autoalimenta. Il male non sopravvive a se stesso. La necessità di un cambio netto tra il "conquistare" ed il "governare" può essere osservato molto bene nella storia. I britannici lo impararono durante il periodo coloniale. Durante l'era giapponese dei Samurai tale principio veniva riassunto attraverso i due caratteri kanji “Bun e Bu”. Sulla parete del nostro dojo ci sono due opere calligra-fiche di questa coppia di caratteri, donatemi da un grande maestro. Una mi fu donata nel 1987 da Sensei Ryuhei Taneya, quando aveva circa 80 anni. Sensei Taneya a quel tempo era l'allenatore del campione na-zionale giapponese di Kendo (combattimento con spa-de). Il campione era un poliziotto di Tokyo, un uomo enorme e potente, il Sig. Nishiyama. In un torneo in-ternazionale a cui ho assistito Nishiyama sembrava sconfiggere senza fatica qualsiasi assalto, nonostante il fatto che fossero lanciati da avversari altamente e-sperti, da Go Dan (quinto grado della cintura nera) in su. La sua potenza e velocità, oltre che la sua presenza intimidatoria, erano evidenti. Anche a riposo emanava "potenza calma". Tuttavia, quando Sensei Taneya gli dava dei consigli, lui si inclinava leggermente verso di lui, affidandosi a quell'uomo alto la sua metà, e ai suoi insegnamenti frutto della sua lunga pratica di vita. È un onore incontrare persone di tale livello di realiz-zazione. Ancora di più vederli in azione. Sensei Tane-ya mi vide inchinarmi nell'entrare nella sua area di allenamento all'inizio della sessione. Mi chiese, trami-te un traduttore, chi ero e perché mi ero inchinato. Fu dopo che gli spiegai il motivo che lui mi diede in re-galo la sua calligrafia del "Bun Bu" che è ora appesa nel nostro dojo. Anni dopo, a di Okinawa, mi allenai con Sogen Saki-yama. Era un grande praticante di Karate Goju Ryu. A quel tempo era il maestro Zen anziano di Okinawa, ed aveva 70 anni. Tornato a casa continuammo a scam-biarci frequentemente riflessioni riguardo alla pratica Zen nella vita di tutti i giorni. Nel nostro successivo incontro, in mezzo ad un gruppo di allievi, prese pen-na, inchiostro e spazzola, e con un drammatico movi-mento da Maestro Zen scrisse su un quadrato di carta

due caratteri: Bun Bu. Quello era il suo messaggio per me in un momento critico della mia vita. La padronanza sia del Bun che del Bu era considerata essenziale per lo sviluppo dell'individuo e per la salute della società nell'era Giapponese dei samurai. “Bu” significa guerra. In questo contesto si riferisce alle arti marziali, più in generale all'arte di fare la guerra. Il carattere in se include un radicale (un com-ponente o un carattere secondario comune all'interno di una più grande composizione di caratteri cinesi) che rappresenta la spada inguainata, non estratta. Chi-unque usi la forza nelle sue attività può confermare che la forza implicita è un deterrente migliore per mantenere l'ordine rispetto alla forza manifesta. Per esempio l'effetto deterrente di un reparto della polizia contro il crimine è maggiore del numero di arresti ef-fettivamente fatti. Le forze predatorie si manifestano sia dall'interno che dall'esterno della società civile. Ci si deve occupare di esse comunque. La padronanza delle arti della guerra e la capacità di usare con efficacia la forza quando necessario, sono indispensabili. Ma non bastano. Le arti marziali possono servire per sicurezza personale o per la sicurezza di una comunità o di una nazione, ma l'uso della forza non è sufficiente per rendere la vita armoniosa, pacifica, prosperosa e stabile. “Bun” rappresenta le arti del linguaggio, della filoso-fia e della legge: i mezzi tramite i quali una società civile è organizzata e regolata. La loro padronanza è inoltre considerata essenziale per la cultura personale e per l'armonia sociale. Sembra evidente che per avere una società armoniosa dobbiamo comunicare l'uno con l'altro. Dobbiamo condividere con gli altri le idee riguardo a cosa è bene che la gente faccia e cosa inve-ce è meglio che le persone evitino. Dobbiamo essere in grado di trasmettere il perché la cooperazione per il bene comune è nell’interesse di tutti, il motivo per cui tale interesse deve essere bilanciato con la libertà per-sonale. È necessario trovare la via per collaborare in-sieme per razionalizzare queste esigenze personali e sociali. La felicità più grande si ottiene usando idee convincenti e creando delle linee di demarcazione net-te - leggi forti - grazie alle quali la gente ottiene la tranquillità di non essere ferita contestualmente alla libertà di comportamento.

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Questa è una delle implicazioni del Bun e del Bu. La predominanza di uno o l'altro conduce al collasso. E-quilibrando la padronanza dei due si può sperare in una società stabile e felice, fatta di individui maturi e soddisfatti.

Questa non è un'idea buddista. Entrambi i due grandi promotori iniziali del Buddismo - Genghis Khan e Re Ashok - hanno seguito la loro versione del Bun Bu. Ma la versione buddista dell'esigenza di auto-difesa, personale e comunitaria, va più in profondità. Non permette di cadere nell'errore di dire: prima conquiste-rò tutto e poi farò stare tutti bene.

Ora sappiamo che è un errore cercare di rifare il mon-do secondo la propria visione utopistica o il proprio interesse personale (come i grandi dittatori del secolo scorso) perché è sia un atto di fede del buddismo , sia dimostrabile logicamente: (1) fare del male porta ad un danno mentre fare del bene porta alla felicità; e (2) poiché il nostro mondo è generato dalle nostre azioni (virtuose o non-virtuose), possiamo dedurre che la strada migliore per la felicità è attraverso il bene, non attraverso la forza.

Tuttavia tutto ciò non accadrà solo perché improvvisa-mente si decide di essere gentili. Non si può rifare il mondo soltanto con il desiderio o la fantasia. È neces-saria un’azione costante e diligente. A breve termine, a causa del karma da noi accumulato nel passato, sus-siste sempre il pericolo di incorrere in persone violen-te; dobbiamo quindi essere in grado di proteggere noi stessi e chi ci sta intorno. Ciò naturalmente va fatto con la motivazione adeguata. A lungo termine, con il giusto atteggiamento del corpo, del linguaggio e della mente, potremo trasformare la nostra vita ed il nostro mondo affinché le forze violente non si avvicinino più. Ma non possiamo fingere, o sperare semplice-mente che tutti siano buoni. La trasformazione è pos-sibile ma è un processo lungo ed arduo.

Così la domanda che viene da porsi è: questi due grandi imperatori buddisti sono stati semplicemente

abili nel consolidamento del potere e nella pacifica-zione dell'impero tramite l'uso di una filosofia bene-vola? O ciascuno di loro si è convertito genuinamen-te , respingendo la violenza, rinunciando all'uso della forza e desiderando profondamente la felicità per tutta la gente del loro impero? È difficile trovare una rispo-sta.

Non è difficile vedere le implicazioni delle nostre scelte. La creazione, per esempio, di limiti forti ma accettabili al nostro comportamento, in cui la più completa libertà sia comunque possibile. Il modo in cui facciamo il nostro massimo per valorizzare e pro-teggere la nostra preziosa vita e le vite di coloro che dipendono da noi. E quando la minaccia immediata sarà terminata, potremo così coltivare quelle qualità che assicurano la pace interna e l'armonia tra le perso-ne.

Il guerriero ideale non è mai lontano da un ideale reli-gioso. Trascurare il collegamento, o confonderlo, è pericoloso. Armonizzare i due aspetti dona la speran-za per la felicità.

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Anche se si vede bene il buon controllo di Diego: un'ottima parata e probabilmente seguirà una spazzata che lo lascerà dolorante a terra. a quel punto interverrà papasensei che dichiarerà l'incontro terminato per k.o. e contestualmente deci...derà di fare un ulteriore esercizio/festa di fine anno con Emanuele come pre-mio per la 'sconfitta'. L'esercizio importato dalla Germania del sec. XIX, si vocifera, fosse uno dei preferiti dai quei simpaticoni della SuperSquadra (in seguito solo SS). In altre paro-le consisteva nel convincere, con amabili torsioni de-gli alluci, il malcapitato a sottoporsi ad un trattamento di rifrollo delle viscere (altrove: interiora) come otti-mo espediente per raggiungere la beneamata illumina-zione. Emanuele, usmando l'affare, e immaginandosi già gran Mogol degli Scivolin Scelti del Dojo, accetterà bamboccionescamente di eseguire l'esercizio. Nel frattempo il piccolo 'spigoltore' (allievo della pri-ma ora noto per la sua segreta arte nel condizionarsi la sacca scrotale su tutti gli spigoli che gli capitano a tiro e da cui il nome) che, in seguito ad un diverbio con ElicotteroDuri circa un'applicazione di un bunkai, per caso si ritrova nel cestino della spazzatura nello spo-gliatoi dei Gran Sensei dello Scisma di SelvaCandida, ascolta suo malgrado ciò che non avrebbe mai voluto

ascoltare. La vera intenzione dell'Esercizio che a bre-ve si svolgerà ha lo scopo di far realizzare con corpo-mente all'Emanuele la perfetta condizione del '100 volte cadi 1 almeno rialzati' e per mezzo del quale il poveretto finalmente assurgerà a icona, magari palli-da, ma pur sempre a icona del primo martire del Dojo. Nel frattempo sarà già acchittato il tatami e il piccolo spigolatore con tutto l'affanno del caso tenterà di met-tersi in contatto con Emanuele che tutto arzillo già scorrazza a petto nudo intorno al tatami. Il poveretto esulta salta e saluta il pubblico che lo acclama. Non vede però che tra gli spettatori c'è il piccolo spigolato-re che si sbraccia con gesti vistosi nel tentativo di dis-suadere Emanuele dal proseguire. Un elicottero delle forze disarmate d'Italietta con a bordo amici del PioBeppe che passano di lì per omag-giarlo, con i potenti mezzi a infrarossi antifascio vedo-no invece lo spigolatore e capiscono che il buon Pio-Beppe ha amorevolmente già disposto un suo uomo per segnalare le indicazioni di atterraggio sul tatami. Insomma una tragedia, mentre papasensei è già passa-to all'azione lasciando Emanuele vomitare l'abbacchio alla scottadito che il puerin aveva assunto come spun-tino pre-saggio seppure presagio incompreso del fina-le, si accorge dell'elicottero che in un primo momento lo scambia per quel birbaccione del Duri e di conse-guenza lo piglia a high-zaghery. L'elicottero vero or-mai si sta apparecchiando su Emanuele quando L'Ar-cangelo che se n'è stato buono fino a quel punto capi-sce che bisogna mettece un punto a quer casino e al grido di "ECCHECAZZO DE MODI SO' QUESTI", fintando tra le pale dell'elicottero sferra un pugno gi-rato in doppio avvitamento che perfora la fusoliera o 'n do' cazzo sta er carburante, ce sputa dentro dando fuoco ar tutto e salva l'equipaggio, altrimenti che Ar-cangelo è ? PioBeppe ner frattempo chiama Bonzo-Cerchiato detto Sandrino che con un rutto esplosivo scrive a caratteri cubitali FINE. Ecco quindi: BISOGNA 'STA ATTENTI ALLE FO-TO CHE SE PUBBLICANO.

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Saggio Dimostrativo 2010/11

di Alessandro Romagnoli

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Il senso del tempo nell’Hagakure: “ La poesia delle antiche età feconde, ugualmente lo spirito stesso di un epoca è qualcosa a cui non possia-mo tornare. Esso tende a dissolversi con l’approssimarsi della fine dei tempi. In effetti non può essere sempre pri-mavera o estate e ugualmente il sole non può risplendere per l’intera dura-ta del giorno; quindi, anche se deside-rassimo ardentemente di riportare il mondo allo spirito degli antichi ciò non sarebbe possibile e l’errore di chi ha nostalgia del passato sta nel fatto che non afferra questo principio. Ma ugualmente, coloro che mostrano considerazione solo per la realtà attu-ale, ricavando eccitamento esclusiva-mente dalle novità offerte dal presente disprezzando la memoria degli anti-chi, costoro, dimostrano una compren-sione delle cose molto superficiale”. Queste brevi righe che seguono scatu-riscono da un’esigenza di chiarezza interiore che ten-go (illusoriamente?) a condividere con voi. Principalmente, ciò che mi incoraggia a scrivere, è l’aver realizzato il significato dell’emergenza attuale dei tempi, un’emergenza impalpabile, quasi inavverti-bile pur essendo di proporzioni macroscopiche…davvero, non ho altri motivi se non questo che mi de-riva da un profondo amore per l’idea della Tradizione, che al di la d’ogni scialbo convenzionalismo, è amore per la poesia, per l’ispirazione, per ciò che determina il fondamento di una gravità non simulata, ovvero, la

semplice, profonda, sublime verità naturale. Spero, confido, che possa operare nel cuore del since-ro cultore marziale una nascosta convinzione, quasi una sorda consapevolezza riguardante il significato stesso di questi ultimi tempi storici, che potremmo ben definire “crepuscolari” o più propriamente come

“notturni”, in ossequio al conteggio calendariale operato dalle antiche ci-viltà a riguardo dell’attuale Era, defini-ta appunto come Età oscura (Kali-yuga indù) o Età nera (del ferro) della tradi-zione greca così come tramandato da Esiodo. E’ convinzione di chi scrive che a que-sto tipo di notte profonda, notte cosmi-ca, intendesse evocare con immenso p r e s t i g i o i n t u i t i v o l ’ a u t o r e dell’Hagakure, (Yamamoto Tsuneto-mo) parafrasando l’inizio del suo dia-r i o : “ c o n v e r s a z i o n i l e g g e r e nell’oscurità della notte”. E’ la simbolica notte dell’anima, in cui si definisce attraverso l’irreversibile consumazione dei tempi lo specifico

valore di una permanenza, di ciò che salvaguarda l’integrità (integrità ermetica) della persona e che ren-de l’uomo (meraviglia del creato) l’essere multiforme e cangiante, scopritore e valorizzatore di cose divine. L’Hagakure (o lo Hagakure) è redatto in un momento storico che possiamo definire come il margine epocale separante l’antichità dal tempo più fondo dell’attuale età oscura, o più propriamente dall’era moderna vol-garmente intesa, benché scritto nel diciassettesimo secolo, anche quel periodo storico appartiene allo spi-

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Finalità della Pratica nel Tempo Attuale

(idealità dell’essenza marziale)

di Giovanni Ranella

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rito del tempo presente. È il codice etico marziale per eccellenza e svela il suo immenso valore attraverso la più pura sostanza poeti-ca di cui è intriso, testimoniando il valore più elevato conferito all’esistenza, che è la vita spirituale, pur es-sendo annodata alle molteplici contraddizioni (tensioni buie) dell’età presente. L’Hagakure pertanto non è solo il codice etico di una casta guerriera, esso riguarda l’essenza più autentica della Disciplina Spirituale: poesia e spiritualità forma-no un unità inscindibile patrimonio dell’umanità inte-ra. Esiste un metodo che noi ricerchiamo con sincerità, ricerchiamo il senso di una specifica grammatica ope-rativa, che essendo di base all’arte è radicata alla di-sciplina stessa delle arti marziali, una modalità espres-siva dell’essere animata attraverso il corso della storia dal medesimo spirito attivo e che propriamente, defi-nisce l’essenza più intima d’ogni forma poetica intesa nel suo valore originario, necessariamente diversifica-to attraverso lo svolgersi delle Ere nella sua forma e-steriore, sia essa scritta, scolpita o dipinta. Il senso della disciplina, dunque, qui non è inteso nell’avvilito senso moderno, derivato da una facile demagogia che subordina la persona a compiere atti sostanzialmente estranei dai suoi significati propria-mente umani, ovvero, a quanto mira a livellarci anoni-mamente, a ciò che precisamente dequalifica la perso-na ridotta a mera unità da statistica, costringendola all’adozione di una logica fondamentalmente artificia-le e determinata da quelle stesse dinamiche aberranti che intendono ridurre la vita a solo significato di mer-cato o industriale. Al contrario, la disciplina nell’Hagakure è intesa nel suo valore originario, ovvero, come Scienza dell’essere o Scienza dell’anima, (a queste latitudini fu eroico-eleatica) per noi fu la Sacra Disciplina Tirre-nica, così come l’antica Disciplina nipponica e orien-tale rimase fino alla sue più mirabili fioriture storiche assolutamente inscindibile dalla virtualità poetica: vir-tualità poetica considerata da tutte le Civiltà antiche come la prima circostanza etica del Cosmo. Non può sussistere disciplina senza ispirazione, pena il detrimento delle nostre facoltà migliori, pena la no-stra disumanizzazione che vale, la nostra intima di-sgregazione.

Attraverso il Rito, la pratica rituale, noi possiamo rav-vivare in noi stessi e per riflesso (legge di consonan-za) all’esterno di noi stessi, il senso più profondo della bellezza naturale. Non a caso la parola Arte assieme alla parola Rito conservano la radice sanscrita RT = ciò che viene ese-guito conformemente all’ordine divino: immutabile nell’essenza ma (come già detto) infinitamente diver-sificato nelle forme esteriori dallo spirito del tempo e del luogo in cui si manifesta. Sinteticamente, il Rito si può definire come l’atto so-vrano avvicinante l’uomo all’originaria norma di con-sonanza e incanto che avvince la vita al fascino uni-versale. Per questo il senso dell’arte fu portato in grembo da esseri ritenuti celestiali, (dono delle Muse) ravvivato nel profondo di noi stessi dall’intima consapevolezza di una prescienza di luce che avvertiamo essere posta oltre la dimensione fisica, e, la cognizione di questa percezione Numinosa è patrimonio di ogni tradizione. Scegliere, come detta l’Hagakure, tra la vita e la morte quest’ultima in ogni caso, deve essere chiaro che tale pensiero non ha un significato solo letterario, ma ne-cessariamente allegorico e pertanto simbolico, che necessariamente riveste il significato più importante. Morire, scegliere quotidianamente la morte è un tra-slato che sta a significare il morire innanzitutto al pro-prio ego, morire a noi stessi quotidianamente per po-tersi dare ininterrotte possibilità di miglioramento. Certo, sappiamo dell’atroce modalità di suicidio ritua-le (Harakiri) così come è contemplata nel codice etico del Seppuku, ma la norma non poté essere solo quella, altrimenti lo stesso testo dell’Hagakure non sarebbe mai stato redatto e l’autore benché Samurai egli stesso e che ammise di aver errato molte volte nel corso del-la Via, non avrebbe potuto oltrepassare la soglia dei sessant’anni e riconoscere il miglioramento scaturito dagli errori precedentemente commessi. Egli applicò la morte a se stesso divenendo nell’ultimo periodo della sua vita monaco, in ossequio alla norma guerriera che intende lo scontro più arduo da sostenere sia quello condotto interiormente a noi stessi, da qui, come nell’esempio fornitoci dall’Islam, il senso più autentico della Guerra Santa, della Jihad propriamente detta, che al di la d’ogni strumentalizza-zione che ne è stata fatta significa la grande guerra dell’uomo contro le sue ombre interiori.

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Lo Spirito marziale è Spirito Tradizionale, non è rigi-dità, è esigenza di sopravvivenza per consentire all’esistenza stessa di ricavare un significato più pro-fondo della vita. Finalità dell’Arte, possiamo sinteticamente dire, è ac-quisire un senso superiore della coscienza elevata per mezzo dell’ispirazione, il poter conferire sistematicità operativa al valore dell’ispirazione. Attraverso il nostro avanzamento esistenziale, è possi-bile acquisire i ritmi di una definita grammatica e-spressiva – operativa, ravvivata dall’ispirazione, (intuizione) nella finalità di attingere alle nostre più alte possibilità di rinnovamento e reale trasformazione interiore. Il fine è ricavare l’elisir immortale nelle profondità della nostra coscienza, pervenendo alle fondamenta più recondite dell’essere. Sempre come riferisce la Tradizione islamica l’uomo, per poter estinguere la sete d’infinito che gli avvampa l’animo, deve riuscire ad attingere interiormente a se stesso, alla Fonte segreta posta nelle profondità del Cuore. Qualsiasi cultura guerriera antica possedé un carattere propriamente ed esclusivamente iniziatico. L’essenza più genuina della marzialità risiede nella facoltà di convertire l’impulso violento nell’esercizio della compassione sincera, (da noi fu la Pietas latina, così com’è tramandato dagli scritti di Marco Aurelio) nella comprensione fraterna dei propri simili, nella temperanza e lealtà assolute, nonché, aspetto più im-portante, nell’esercizio dell’estremo rigore verso se stessi, nella costante volontà di rettificare i propri vizi e debolezze; nell’estirpare da sé il proprio ego inferio-re. Tutte le culture guerriere tradizionali, insisto, forma-rono se stesse al lume della poesia, come riferisce Plu-tarco nella sua “Vita di Licurgo”, gli Spartani prima della battaglia inneggiavano non al dio della guerra ma bensì alle Muse ispiratrici, il cui nome deriva dal verbo myèin, che significa ‘iniziare ai misteri’, intro-durre al segreto delle cose, ovvero, alla poesia univer-sale riflessa nella tragica rivelazione della morte, dove al di la della battaglia stessa, oltre lo scontro determi-nato da un esigenza di reale sopravvivenza,

l’intenzione di ogni singolo gesto quotidiano doveva rinviare dalla particolare e transitoria qualità manife-stata nel senso più veritiero della dimensione eterna. Vale la pena rammentare che proprio in virtù di una tale dignità comportamentale, sempre Licurgo proibì gli scontri in allenamento nel territorio di Sparta, giu-dicando indegno di un uomo libero sottoporre ad una gratuita usura fisica o peggio di menomazione il pro-prio corpo, facendolo così disattendere dall’esercizio di altre più nobili funzioni che ne richiedono la perfet-ta integrità, tanto che veniva severamente sanzionato chi in addestramento colpiva con forza l’avversario. La consapevolezza era che nell’emergenza reale dello scontro, sopravveniva nel guerriero una forza ulteriore che era possibile attingere da una circostanza occulta dell’essere, questa è l’essenza di ciò che i Latini chia-marono col nome di Furor, Estros, derivazione per comune radicale dall’Eros. Oggi è evidente che compresi all’interno della nostra domesticità siamo estremamente lontani da una simile dignità comportamentale, ma occorre ribadire che queste e non altre sono le nostre origini. Origini spirituali comuni ai popoli di ogni latitudine o longitudine, i cui riferimenti assiali, simbolico celesti, sono ascrivibili alla memoria ancestrale di ciò che è stata opportunamente definita come Tradizione Pri-mordiale. Insomma, la sorda consapevolezza cui mi riferivo nel-le prime righe iniziali, riguarda la percezione di una particolare amarezza che intenderemmo essere diluita nel significato stesso dei contenuti ultra tecnologici pervadenti con sempre maggior ingerenza le nostre esistenze. In realtà, contrariamente alle apparenze, la circostanza storica del “progresso” ci ha più impoverito che arric-chito. L’uomo moderno è l’essere più povero che la storia abbia mai visto: il più povero, indipendentemente da quale sia il suo livello di benessere materiale. Solo l’uomo moderno ha pervertito il senso esisten-ziale, avvalendosi di sempre più complicati e degeneri meccanismi artificiali con cui mortificare la natura e conseguentemente se stesso, perdendo di vista il fine ultimo del proprio passaggio terreno nella deviata esi-genza di plastificare assieme la vita la morte stessa.

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Resoconto del Gasshuku dei Ca-po Istruttori - relazione di Sensei Bakkies L'attività di più alto livello della manifestazione Ubuntu è stata l’allenamento dei “dirigenti” IOGKF; il Gasshuku dei Capo I-struttori è stato condotto da Higa-onna Sensei e vi hanno partecipato 41 Capo Istruttori, i membri del Kambukai ed i federati dal 5° Dan in su. L'evento è stato inaugurato con una cena presso una cantina storica di distillazione del brandy, risalente al 1845, denominata Van Ryn dal nome del primo proprietario che era o-landese. Questa cantina si trova nella campagna fuori Stellenbosch ed è una splendida cornice, con un’accogliente ambiente naturale, in cui i partecipanti si sono ritrovarsi insieme davanti ad un bicchiere di brandy invecchiato 20 anni, ed ai rinomati vini della regione. Il benvenuto ufficiale è stato dato dal padrone di casa, Sensei Bakkies, che ha sottolineato il grande onore di ospitare un tale evento e ha dedicato un benvenuto speciale al suo maestro Higaonna Sensei, a Terauchi Sensei e a Nakamura Sensei. Sensei Bakkies ha poi concluso il suo discorso ribadendo l'importanza del “foro” come spina dorsale dell'organizzazione e sotto-lineando che tale organismo ha sicuramente qualche privilegio esclusivo, ma anche molte responsabilità. Nel suo discorso come Capo Istruttore, Higaonna Sen-sei, dal profondo del suo cuore, ha accolto tutti i par-tecipanti, esprimendo in particolar modo la sua grati-tudine al Sud Africa per aver organizzato l’Ubuntu Gasshuku e per aver da sempre partecipato alla diffu-sione nel paese dell’IOGKF, sin dalla sua istituzione. Per Higaonna Sensei, il Sud Africa è stato il secondo paese occidentale in cui ha insegnato al di fuori del

Giappone e grande è stato infatti il suo apprezzamento per la lealtà e il sostegno dei sudafricani nel corso degli anni. Ciò che è avvenuto nella settima-na successiva è stato incredibile, un’esperienza indimenticabile, di formazione unica ed esclusiva con Higaonna Sensei, in un am-biente molto “ristretto” e riserva-to. Il programma di Higaonna Sensei ha coperto tutta la “linea di evoluzione": dalle basi ad alcuni aspetti avanzati dei diversi fonda-

menti del Goju Ryu, in modo che ogni individuo po-tesse digerirli, adattarli e applicarli, a seconda della propria esperienza e del proprio livello nella pratica della “Via” del Goju Ryu. È difficile tentare di spiegare la profondità delle rive-lazioni da parte di Sensei durante questi corsi di for-mazione: ogni momento di allenamento, ogni movi-mento, ogni parola che ci ha detto, conteneva una sor-ta di messaggio o di “direzione da prendere” per o-gnuno! Come un vero Maestro, ha presentato la cono-scenza in modo tale che, tanto più alto era il proprio livello, tanto maggiore era la sostanza che si poteva apprendere. Uno dei punti focali è stato quello di prendere le varie tecniche di respirazione degli Hai-shughata ed illustrare come incorporarle nell’esecuzione degli Kaishughata, per i vari livelli di competenza; ci è stato dato sufficiente cibo per il pen-siero da tenere ogni serio studente di Karate Do con-centrato per un lungo, lungo periodo! Reseconto Generale del Gasshuku - relazione di Sensei Bakkies e Lenelle Forster L’ Ubuntu Gasshuku aperto a tutti (l'effettiva e princi-

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Ubuntu Gasshuku

traduzione a cura di Andrea Ramberti

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pale attività della settimana) è iniziato lunedì 25 otto-bre, con la partecipazione di 323 membri, di cui 202 cinture nere ed è cominciato con una sessione con-giunta di riscaldamento condotta da Higaonna Sensei, dopo la quale sono stati formati diversi gruppi di alle-namento in base alle diverse cinture. La sera, per rilassarci, ci siamo ritrovati alla tradizio-nale festa di benvenuto presso Nooitgedacht, una sto-rica azienda vinicola in stile Cape Dutch, con cucina locale e vini serviti in botti “senza fondo”! Per nostra fortuna gli autobus ci dovevano riportare in città entro una certa ora e ciò ha fatto si che risparmiassimo un sacco di medicine per il giorno dopo! Uno dei momenti salienti della serata è stata un’esibizione di Laubscher Basson (figlio minore di Sensei Bakkies) che con la sua band ha suonato della footstompin’ music: “è stato fantastico vedere la gente ballare e divertirsi in un luogo così bello; persino Sen-sei Bakkies è salito sul palco con una chitarra per suo-nare con Basson alcuni pezzi veramente vecchi!” Quando Sensei Bakkies ha pianificato il Gasshuku, un suo punto fermo era che ogni partecipante dovesse trascorrere il maggior tempo possibile con Higaonna Sensei, in modo tale che ognuno avesse la possibilità di apprendere gli insegnamenti di Higaonna Sensei, come accade ai membri che riescono a frequentarlo più spesso. Come il Sud Africa, anche molti paesi non europei, sono più o meno “isolati” per quanto riguarda contatti regolari con Higaonna Sensei a causa degli aspetti finanziari e della distanza, per questo motivo ogni occasione deve essere sfruttata al meglio (al pie-no dell’efficacia); ovviamente è stata prerogativa di

Higaonna Sensei fissare durata e natura delle sessioni combinate. È un suicidio (nonché una noia!) pianificare un pro-gramma tecnico per un tale evento in modo assoluta-mente impeccabile Deve sempre esserci una certa flessibilità per l'improvvisazione e la spontaneità, in sinergia con l'energia e l'umore del Maestro e degli studenti. In ogni caso, comunque gli obiettivi dell’allenamento generale dovevano essere in linea con la tradizione classica del Goju Ryu e con il Torne-o Amichevole Mondiale: • Kata insegnati da Higaonna Sensei. I “fondamenti assoluti” del Goju Ryu di Okinawa. • Hojo Undo. È molto raro che durante un Gasshuku di questa portata siano disponibili sufficienti e idonee attrezzature per l’Hojo Undo, quindi è stato fatto uno sforzo particolare per garantire il numero necessario di Chi'shi e Makiwara. • Kumite. L'obiettivo finale è, in fin dei conti, l'autodi-fesa in un contesto civile, per cui l'attenzione è stata concentrata su varie forme di Kumite simulato come il kakie. Sono stati dedicati degli allenamenti alla difesa reale contro un avversario armato di mazza corta, alle tecniche basilari di caduta ed anche ad esercizi di ip-pon, nihon e sanbon Kumite. Durante i primi tre giorni, l’addestramento comune si è incentrato principalmente sullo Junbi Undo e Kihon. Dividendoci in gruppi in base al livello, Higaonna Sensei ha poi incentrato l’allenamento sui Kata: dall’allenamento delle mani e gambe/piedi, all’unione le sequenze dei Kata come solo un vero Maestro può fare! Ha dedicato molto tempo a spiegare la “follia che sta dietro il metodo” e perché alcune cose siano fatte in un determinato modo indipendentemente dal livello. Sensei Bakkies ha eseguito l’Hojo Undo e l’allenamento di una sorta di movimenti sabaki per i diversi livelli, spiegando il nesso e l'applicazione della differente respirazione negli Haishughata con l’allenamento con i Chi'shi, per poi applicarla in un potente Kakie, con particolare attenzione all’inspirazione e all’espirazione. Ha anche accennato alla posizione del corpo e alla tecnica per i vari scena-ri del kakie. Relativamente all’allenamento con il Ma-kiwara, ci ha mostrato i diversi modi di approccio al Makiwara stesso per raggiungere diversi obiettivi, come la potenza, la resistenza e la velocità.

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Nell’allenamento dei movimenti, si è concentrato su quelli laterali e circolari: la natura essenziale del com-battimento nel Goju Ryu! Terauchi Sensei ha insistito sui vari yakusoku Kumite: forme di attacco/contrattacco, dall’ippon Kumite fino alle varianti come nihon e sanbon jiyu Kumite, mo-strando la sua agilità e velocità unite ad una notevole potenza di esecuzione! Sensei Vincent February ha trattato i vari aspetti del combattimento con il bastone e la difesa contro un avversario armato di bastone, come la distanza e la tattica. Sensei Gawie du Bois ci ha spiegato alcune tecniche base di caduta. Mentre Sensei Jorge Montei-ro, Tetsuji Nakamura, Luis Nunes e Linda Marchant si sono occupati di altri aspetti del combattimento a loro scelta, ricevendo tutti un’enorme riconoscimento di apprezzamento e ammirazione da parte dei gruppi ai quali hanno insegnato. Durante gli ultimi due giorni, un ulteriore gruppo di 202 giovani soci, dalla cintura gialla alla nera junior, si è unito al Gasshuku, portando il totale dei parteci-panti a 524! In questi due giorni, Higaonna Sensei, rimanendo sempre fedele all’allenamento della “vecchia scuola”, che prevede un unico e numeroso gruppo di lavoro, ci ha mostrato l'ampio spettro di Junbi Undo, Kihon, Ka-ta ed alcune forme di base del Kumite, come ad esem-pio il Sandangi. È stato davvero strabiliante aver provato l'energia e l'atmosfera creata dalla sinergia tra un vero Ma-estro dell'Arte e più di 500 devoti studenti che han-no letteralmente “bevuto” con lui in ogni singolo momento! Vedere Higaonna Sensei eseguire Superinpei o Pe-churin Kata, durante le esibizioni dei Maestri che si sono tenute prima dell'inizio del torneo, è stata un'e-sperienza indimenticabile e storica, nella quale abbia-mo assistito alla manifestazione di 60 anni di adde-stramento del Goju Ryu concentrati in un’unica perso-na!

La settimana si è conclusa con il tradizionale Sayona-ra Party al Moyo, uno straordinario ristorante all’aperto in stile africano (si può realmente mangiare sopra degli alberi!), dove vengono serviti molti piatti tradizionali, ma dove non manca comunque una vasta scelta di cucina internazionale. È impossibile descri-vere il Moyo sulla carta; è necessario esserci stati o parlarne con qualcuno che c’è stato realmente! Non appena arrivati ci hanno dipinto il volto nel modo tradizionale sudafricano. L’intrattenimento è stato cu-rato da un gruppo di artisti locali, che con le loro ac-coglienti e gioiose danze tribali e con i loro canti ci hanno allietato la serata. Hanno poi concluso la loro esibizione con l’inno della Coppa Del Mondo di Cal-cio FIFA 2010, Waka Waka di Shakira! Il momento clou del party è stato però quando Higa-onna Sensei, chiamato sul palco come ospite del loca-le “Re” tribale, ha con quest’ultimo eseguito una tra-dizionale danza di benvenuto, composta da ritmici calci alti, con una pelle di animale avvolta intorno alle spalle. Higaonna Sensei ha mostrato il suo entusiasmo as-soluto per la vita e il suo rispetto e comprensione delle diverse culture; senza ombra di dubbio questo è stato uno dei momenti più memorabili della storia della IOGKF!

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Appassionato fruitore di musica e pessimo esecutore con formazione rigida e classica, volevo confrontarmi con un approccio diverso alla musica . Così tempo fa mi sono iscritto ad un seminario con il grande piani-sta. Io che non riesco a fare due esercizi di base senza ver-gognarmi, ho avuto l’opportunità di incontrare un mo-stro sacro del jazz. E per giunta morto! Un incubo. Bill mi guarda, e mi fa: “allora, esistono vari livelli di

profondità nell’esecuzione musicale”.

Li illustra. L’apprendimento delle tecniche, la regolazione del respiro , del corpo e della mente rappresentano il li-vello base, quello fondamentale senza il quale non c’è altro livello. Poi sicuramente il mettere insieme varie tecniche, stu-di, brani, generi. Ad un livello successivo si riesce ad interpretare gli stessi brani lasciandosi ispirare da un vissuto, o da un qualsiasi cosa ci ispiri. Ma si è ancora soggetti esecu-tori. (Il chiaro di luna suonato con somma ispirazione da un innamorato languido e malinconico è quanto riesco a raffazzonare dalla mia esperienza). Poi si può cominciare addirittura a giocare con questa maestria, non più tecnica, non più solo ispirata secon-

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Ieri ho incontrato Bill Evans

di Emilio Chelini

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do canoni e schemi, ma libera. L’improvvisazione, seguire una progressione armonica, un’idea. Lasciar fluire nelle nostre mani il soggetto che ci ispira, l’amore che si destreggia tra le dita, che le muove, muovendo l’esecutore stesso.

Mi accenna anche ad altri due livelli, il livello del suo-no spontaneo, l’assenza di una forma prestabilita, pura creazione limitata solo dal corpo e dallo strumento. Immagino Beethoven rapito dalla furia creatrice, che compone, sordo, l’inno alla gioia. E infine l’assenza della pratica. (di questo, per decoro, taccio). Per maggior gusto sadico mi fa passare allo strumento ed io cerco di apprendere i suoi movimenti ripetendo-li. E poi in chiusura di seminario mi offre un assaggio della sua arte improvvisata, ispirata, spontanea. Come posso tornare a casa? Un senso di frustrazione mi assale man mano che mi avvicino alla macchina. Rivedo velocemente la giornata. Non riesco a focaliz-zare il senso di quanto è successo. Mi sembra un gros-so sbaglio. Nel mio bisogno di perfezione cerco di

ricordare le sequenze che mi sono state insegnate, consapevole dell’unicità dell’insegnamento, ho paura di non trattenere. Ecco l’incubo si è fatto realtà, ieri è come se avessi incontrato Bill Evans, ma in realtà ho incontrato Sen-sei Sidney e il suo Qi Gong della Gru Bianca. Ma la depressione è la stessa. Sensei Sidney, mi dispiace per lui, dovrebbe attivare un corso subito, domani stesso, e rimanere per anni a Roma. E con lui il suo Maestro, per essere ancora più sicuri. L’assurdità della pretesa è evidente. Ma è vera, nasce spontanea. Prima di andare a letto il nervosismo è ancora tangibi-le. Lascio che il corpo si muova, per tentare di scuote-re via questa sensazione. Con i movimenti lenti e potenti appresi la mattina l’irritazione svanisce e cessa la frustrazione. Mi riapproprio del corpo, del respiro, mentre la mente si quieta. Non sembra importarmi che sia un primo livello. Ho imparato il significato di un gyaku zuki solo da due anni e non mi scoraggio di fronte alla ma-estria del mio maestro o al percorso che ho davanti, anzi mi da sicurezza, mi fa sentire che sono su una strada giusta. Sono felice della sensazione di calore nelle mani e nella pancia, che avevo già provato durante gli eserci-zi della mattina. La frustrazione aveva offuscato quei gioielli, i semi che Sensei Sidney ci chiedeva di non maltrattare. Piccoli semi, che come un mantra segreto, agiscono di nascosto. Approfitto subito di questa energia accumulata nelle mani, vado verso il letto dei piccoli e li sfioro con la carezza più calda di questo inverno ormai quasi finito, e corro a dormire. Grazie Sensei Paolo e Sidney. (come si dice Sensei al plurale??)

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Domenica 27 febbraio, qui a Roma, Sensei Leijenhorst ha condotto un seminario di Qi Gong della Gru Bianca. Il Qi Gong, o Qigong, o Chi Kung, può essere strettamente definito come "lo studio del Qi [energia interna o bioelettricità] che circola nel corpo umano ... Possiamo anche classificare il Qigong in quattro categorie principali a seconda dello scopo o obiettivo finale della pratica: A. mantenimento della salute B. cura delle malattie C. arti marziali D. illuminazione o Buddità"* La Gru Bianca è uno stile morbido e duro, interno ed esterno. "La data esatta in cui lo stile della Gru Bianca fu creato non è chiara. Una leggenda racconta che esistevano cinque Forme di combattimento già impiegate al momento in cui Da Mo si ritirò nel monastero Shaolin (527-536 dC). Le cinque forme includono il Drago, la Tigre, la Pantera, il Serpente e la Gru. Se questa leggenda è corretta, allora il primo accenno di storia dello stile della Gru Bianca dovrebbe iniziare in questo periodo."* Durante il seminario, Sensei Leijenhorst non ci ha parlato della storia del Qi Gong e della Gru Bianca, ma ci ha offerto una prospettiva multi-livello su ciò che è il Qi Gong e, più importante, sul modo in cui sperimentarlo. Questo approccio multi-livello ha consentito a ciascun partecipante - dal principiante all'avanzato - di trovare un adeguato livello di pratica all'interno dei diversi livelli di sperimentazione. Un primo livello di sperimentazione è stato la giocosità. Come esercizio Sensei ha chiesto ai partecipanti di trovare il centro del proprio corpo e quindi, pretendendo di cadere all'indietro, osservare le reazioni del proprio corpo nello sbilanciamento e, all'ultimo momento, nel riprendersi ed evitare la caduta. Quanti preconcetti bisogna lasciare andare per

“fare il gioco del cadere all'indietro”? Sensei ha ricordato ai partecipanti di non bloccarsi in un “ruolo di karateka” (tipo: “sono invincibile”), ma di lasciarsi andare e lasciare che le cose accadano. Non resistere. Consentire il flusso. In modo morbido e tranquillo ci siamo spostati su altri esercizi, in cui il corpo crea un 'onda' nella colonna vertebrale e - con un movimento circolare verticale, dalla parte posteriore a quella anteriore del corpo, insieme alla respirazione - completa la cosidetta 'piccola circolazione' (dal punto Huiyin, tra gli organi genitali e l'ano, l'energia si muove lungo la spina dorsale, intorno alla testa, fino alla fronte, al torace e all'Hara per tornare al punto Huiyin e ricominciare nuovamente la piccola circolazione). In effetti, il secondo livello del seminario ha toccato alcuni dettagli “tecnici” molto importanti, come il punto Huiyin ed i meridiani energetici. Secondo la medicina cinese, il corpo umano è attraversato da dodici canali energetici principali e otto vasi attraverso i quali circola il Qi. Alcuni degli esercizi

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White Crane Qi Gong

di Maura Garau

Piccola circolazione percorso del fuoco.

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eseguiti durante il seminario hanno aperto la parte anteriore e posteriore del corpo (vaso concezione e governatore), il meridiano della vescica urinaria lungo la spina dorsale, e il meridiano della vescicola biliare sui fianchi. Lungo i meridiani si trovano punti di digitopressione specifici. Huiyin è considerato molto importante nella medicina cinese, in quanto è il punto d'incontro fra il vaso c o n c e z i o n e , i l v a s o governatore e il vaso strategico. I l t e r z o l i v e l l o d i sperimentazione riguarda

l'uso delle immagini. L'antico cinese dice: "Il Qi va dove lo guida la mente". Le immagini sono un ottimo modo per 'guidare' il Qi. Attraverso alcuni esercizi e l'uso delle immagini Sensei Leijenhorst ha portato i partecipanti in contatto con il proprio senso di libertà, potenza e coraggio: “wu ji” = svuotare se stessi e non avere confini (in questo modo si deve iniziare ogni esercizio di Qi Gong). “L'aquila cattura la sua preda”, “l'orso nuota nel lago”... A completamento di ciascun esercizio si riportano le mani (e l'energia) nel Dan Tien, l'Hara. Si accumula energia nel Dan Tien (come nel kata Sanchin). Ci si radica. In definitiva, il Qi Gong è al 50% naturale, già dentro

di noi. Attraverso la pratica del Qi Gong, noi ci ricordiamo della nostra condizione naturale. Impariamo a regolare i nostri livelli di energia, in cui l'ultimo livello di regolazione è “ il non regolare più”. Sensei ha chiuso il seminario lasciando tempo per domande, ed infine dando una dimostrazione speciale di movimento spontaneo nel Qi Gong: l'espressione e la trasformazione dell'energia interna dalla Gru al Drago. Torniamo alle antiche Forme di combattimento della Gru Bianca. Se qualcuno durante il seminario era rimasto perplesso e confuso dai movimenti morbidi e “danzanti” del Qi Gong, credo che non abbia più avuto dubbi quando ha visto che l'energia espressa nel corso della dimostrazione, attraverso la Gru e il Drago, era effettivamente un'energia marziale (ed era meglio trattare Sensei Leijenhorst con la “necessaria attenzione”!) Infine, su richiesta di uno studente, per i partecipanti che sono rimasti oltre il termine, Sensei Leijenhorst ha cantato un antico mantra. Ancora Qi Gong: l'energia della voce ha riempito l'aria e i corpi. Ancora voglia di giocare e tanta generosità da parte di un insegnante che doveva finire il seminario alle 17,30, ma che ha condiviso il suo tempo con i partecipanti ben oltre l'orario stabilito. Come afferma lui stesso: Qi Gong vuol dire esprimere il meglio di sè. Raccomando caldamente di partecipare a qualche seminario di Qi Gong di Sensei Leijenhorst. Tuttavia, se lo si fa, bisogna essere pronti a lasciare che le cose accadano e a giocare! *Estratti da “The Essence of Shaolin White Crane” del Dr. Yang Jwing-Ming, YMAA Editore

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Per vivere libero il Giappone non aveva che due vie: o rinchiudersi - e lo tentò inutilmente - o combattere; combattere in tutti i modi con tutte le ar-mi, con i cannoni e con gli opifici, con le corazzate e con le navi commerciali, con la diplomazia e con lo studio.

E ha combattuto. Ha creato ventiseimila scuole dove ha foggiato

la sua nuova generazione; ha servito docilmente i vio-lenti stranieri dei “settlements” per imparare l’organismo dei loro traffici; ha mandato i suoi figli a studiare l'arte in Germania, la scienza navale in Inghil-terra, la produzione industriale in America, il diritto in Italia.

Noi in tutto questa lavorio vedevamo solo una comica mania d'imitazione, argomento inesauribile di caricature; non potevamo prenderlo sul serio il Giap-pone, con i suoi ventagli, i suoi paraventi, i suoi cava-lieri vestiti di lacca e le sue donnette vestite di seta. E il Giappone si preparava a lottare in ogni campo e a vincere in ogni campo. Oggi ci scagliamo contro la sua pericolosa ambizione, ma non pensiamo che senza questa ambizione la terra del Sole Levante non sareb-be adesso che una colonia europea. Per essere un po-polo libero il giapponese non poteva fare che quello che ha fatto.

È stata una lotta di tutti i giorni; questo popolo ricercava le sue debolezze per rimediarvi, ha compiu-to dei miracoli: senza capitali ha creato un'industria, ha creato un grande esercito, una grande marina. Tut-to ciò è stato possibile per lo spirito di sacrificio e d'altruismo, che l'educazione millenaria ha dato al po-polo, per l'amore ardente al paese, per la lealtà al So-vrano, e per il sentimento d'ubbidienza alla legge che deriva da quell'assoluta assenza d'egoismo che è una caratteristica della razza. Nessun giapponese pensa due volte a dare la vita o a dare gli averi alla Patria nel momento del bisogno. In questi giorni, per il “Fondo di guerra”, dai più poveri vengono fatte offerte che

sono frutto di intere vite di lavoro, offerte che valgono sangue. Quando occorre scegliere marinai o soldati per un'impresa disperata, tutti gli uomini “implorano” d'esservi chiamati; nelle file giapponesi sono innume-revoli gli eroi come Pietro Micca; e non è un popolo sanguinario, è un popolo che ama i fiori che adora i bambini, che inneggia nei suoi canti a1la pace della casa, alla poesia della famiglia. Ecco le forze che han-no spinto il Giappone nel rapido cammino che ancora ci meraviglia. Nelle ingegnose scimmie imitatrici che ci facevano sorridere ardevano queste anime!

Ed è durato quarant'anni l'equivoco! Noi non abbiamo compreso il Giappone, come non compren-diamo tutto ciò che si permette d'essere differente da noi e dalle cose nostre. Noi ci poniamo nel centro dell'universo a modello della perfetta umanità; chi dif-ferisce dal modello è naturalmente considerato infe-riore, buffo o barbaro, eccezionale, fenomenale. Ab-biamo il “fenomeno giapponese”, il “fenomeno cine-se”. Con questo appellativo mettiamo quasi fuori dal-la legge naturale centinaia di milioni di uomini perché pensano ed agiscono in moda diverso da noi. Non ab-biamo mai cercato di penetrare le leggi di questi “fenomeni”, che generalmente osserviamo attraverso il daltonismo dei nostri interessi.

L'anima giapponese è così diversa dalla nostra che vi sono in essa emozioni e sentimenti ignoti a noi, come vi sono emozioni e sentimenti nostri inafferrabi-li ad un giapponese, La vita emotiva di questo popolo non somiglia alla nostra. Non tutti i nostri pensieri hanno la parola-giapponese che li traduce, e nessuna lingua occidentale potrebbe ridire ogni pensiero di questa gente. Si prova qui talvolta un desiderio dolo-roso di poter uscire per un momento dalla prigione della nostra mentre, prigione ristretta ferrata da secoli di credenze e di abitudini, prigione antica, alla quale ogni generazione ha aggiunto o ribadito una barra, credendo forse di toglierla: si prova il desiderio di penetrare nello spirito di un giapponese e guardare un

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Il Giappone in Guerra

breve passaggio tratto dall’omonimo libro di Luigi Barzini trascrizione a cura di Giorgio Saporito

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istante il mondo con i suoi occhi. Come lo vedrem-mo? Senza dubbio più bello, più degno di viverci, e lo ameremmo quietamente come il giapponese lo ama.

Cosa potevano capire di tutto questo gli avidi mercanti europei dei “settlements”, che sono stati gli intermediari fra il Giappone e noi? Cosa potevano capirne i diplomatici, il cui primo dovere è quello di essere parziali e ingiusti? Dall'anima giapponese non è stata compresa che quella parte infima che collimava con la nostra, che rispondeva a sentimenti nostri, la parte camune all'anima di tutti gli uomini. Ed è la par-te meno bella. Abbiamo giudicato prendendo noi stes-si come pietra di paragone, e gli inchini cerimoniosi che ci venivano fatti fecero credere a viltà e servili-smo; il perenne sorriso del giapponese persistente anche in momenti dolorosi, fu creduto un segno d'i-pocrisia e d'insensibilità, la semplicità della vita, per la quale le nudità sono mostrate e non guardate , fu scambiata per corruzione; il comunissimo suicidio d'onore sembrò un segno di barbarie. E cosi prendem-mo come un omaggio, come un segno d'ammirazione incondizionata l'accanito studio de1le nostre cose e scambiammo per istinto d'imitazione l'accettazione delle nostre armi e delle nostre macchine. La ragione

logica di tutto rimase impenetrata, rimase mistero, ri-mase “fenomeno giapponese”, un non senso, un'origi-nalità, una cosa stravagante e divertente. Divertente sopra tutto; ci co1pì il ridicolo dei contrasti fra il vec-chio ed il nuovo, fra l'orientale e l'occidentale, fra i cappelli a cilindro e il “kimono”, fra i “tatami” e le scarpe, fra l'obi ed il busto, e ridemmo, ridemmo. Ab-biamo visto il Giappone come lo ha visto Pierre Loti, senza capirlo; un grazioso enigma.

Cominciamo a comprenderlo ora che non lo vediamo più curvo e sorridente, ora che si solleva fie-ramente con la spada nuda in mano, e ci dice; Io sono come voi, ho nel mondo g1i stessi diritti vostri e so difenderli! Ora ci si svela la ragione dell'attività giap-ponese per quarant'anni: era per giungere a questo! E la cosa ci sembra enorme, quasi inammissibile, Non possiamo perdonare al Giappone di non averlo capito.

E' amaro per il nostro amor proprio doverci ricredere, dover far largo a questo inferiore, salito improvvisamente di grado. E cerchiamo tutti i pretesti per considerarlo ancora un inferiore, diventato forte in virtù nostra: ci ha copiato!

Dimentichiamo che tutti ci siamo copiati l'uno dall'altro e che soltanto per questo la civiltà nostra ha

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assunto una forma unica per tutti i paesi, dimentichia-mo che dalle macchine alle cravatte, dai cannoni alle mode, tutto passa i confini, tutto diventa patrimonio comune. La rapidità con la quale il Giappone ha adot-tato quello di cui aveva bisogno è diventata una ragio-ne d'accusa, vi abbiamo riconosciuto un non so che di animalesco, di servile, di spregevole, una mancanza di carattere; come un'abiura al passato, una indegna rinnegazione delle antiche forme. Ma bisogna venire qui a studiare il Giappone al Giappone, per accorgerci che il patrimonio del passato è intatto, sacrosanto, posto in alto come questi templi shintoisti che domi-nano il paese dalla cima dei colli ombrati dai silenzio-si boschi secolari. E' questa e la vera forza. le macchi-ne e le armi nuove sono adottate e adoperate come forse non tutti i popoli che le inventarono saprebbero. Le capacità giapponesi non si sono dunque arrestate alla rapidità della copia ; c'è dunque qualche cosa di più e di meglio d'una facilità d'imitazione. E questa cosa non l'abbiamo portata noi, non l'abbiamo inse-gnata, è vecchia di mille anni, è appunto il patrimonio del passato, è l'anima giapponese, quel mistero che ci sfugge ma che noi sentiamo: è la forza che conduce a1le vittorie.

Chi sa che essa non derivi dalla specia1e con-cezione dell'esistenza umana radicalmente diversa dal-la nostra! Per noi è la “struggle for life”; noi ci slan-ciamo ciascuno alla ricerca d'un bene “nostro”, come ad una conquista e torturiamo le menti, laceriamo le anime, logoriamo i corpi in questa lotta esasperante e inutile dietro ad una felicità che non troviamo mai e che crediamo sempre altri ci abbia tolto. Il giapponese non da nessun valore alla vita materiale, si contenta di quello che ha, sa la vanità di ricercare di più, e gode gioie ignorate da noi, assapora la semplice vita, estre-mamente semplice, trova tutta la sua felicità nel godi-mento dei tesori che Izanagi, il creatore del Giappone, ha profuso per tutti, la bellezza della campagna, i fio-ri, 1e piante, le montagne il sereno, il mare; la con-templazione gli dà ebbrezze profonde; ogni giornata di sole a primavera è una festa giapponese, per la qua-le la gente indossa gli abiti più belli e invade lieta-mente i giardini e i parchi, e tutte le stagioni hanno le loro bellezze, cioè le loro feste. Il nostro individuali-smo ci separa, disgrega la compagine sociale, noi ten-diamo ognuno a ideali personali, egoistici. I giappone-si hanno un ideale comune, attingono tutto il conforto

e tutta la dolcezza della vita ad uno stesso amore: l'a-more alla Patria, un sentimento che e divenuta religio-so. Di esso è piena l'anima di ogni giapponese; questo amore occupa tutto il posto che in noi prendono le febbrili ansie e le preoccupazioni della vita. Tutte le energie sono spese per il bene comune. Le ambizioni personali, le invidie non sono forti qui, dove la mone-ta è un'invenzione recente; e ogni uomo occupa per-ciò il suo vero posto, con una disciplina naturale. Ne viene un insieme perfettamente armonico. Il Giappone manca, e vero, d'individualità, ma al momento del bisogno sorge sempre l'uomo di genio che pensa, o che organizza o che comanda, per poi, compiuta la sua missione, scomparire nella uniformità ridente, po-vera e compatta del popolo. Vi e una granitica, me-ravigliosa, invincibile solidarietà sociale. E tutta un'altra umanità sopra altre basi.

Per tendere alla felicità, o almeno alla minore infelicità, noi abbiamo raffinato la mente, i giapponesi l'anima; noi abbiamo adoperato il calcolo, essi il senti-mento; noi abbiamo raggiunto una grande perfezione intellettuale, essi una grande perfezione morale; sono due vie diverse, opposte. Chi ha preso la buona? Si rimane in dubbio se le cose nostre abbiano veramente diritto ad un assoluto primato sul mondo. E pensare che per tanti anni siamo stati persuasi che i giapponesi ci ammirassero! Ci ammiravano come un brav'uomo inerme può ammirare uno straniero che, sfondato l'u-scio, gli entrasse in casa col fucile spianato, dicendo-gli: Viviamo insieme! Il brav'uomo si procura al più presto un fucile anche lui: ecco in succinta la storia della “trasformazione giapponese”. Evidentemente gli interessi dello straniero ne sono danneggiati. Tanto più che i giapponesi non dimostrano ne amore, ne gratitudine e riconoscenza verso i loro maestri oc-cidentali.

Molto avrei da aggiungere per meglio illustra-re la psiche e la virtù bellica del popolo giapponese, ma le cure imposte dal mio dovere in guerra mi vieta-no di occuparmi più oltre di tale importante argomen-to…

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Sensei Paolo Spongia, cintura nera 6° Dan, nasce a Roma il 4 Ottobre 1962.

Ha iniziato la pratica del Goju-Ryu Karate-Do all'età di 13 anni, dopo varie esperienze La sua strenua ricerca della pratica pura del Goju-Ryu Karate-Do lo conduce alla Scuola del grande Maestro Morio Higaonna incontrando dapprima Sensei Shunji Sudo Tanaka. Ha un'autentica 'illuminazione', consapevole di aver incontrato l'autentico Goju-Ryu di Okinawa e aderisce all' International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation, organizzazione mondiale che fa capo al Maestro Morio Higaonna. Sotto l'inestimabile guida del Maestro Higaonna e del Maestro Sudo e praticando sotto la guida dei più grandi insegnanti IOGKF : Shuichi Aragaki Sensei (allievo del fondatore Chojun Miyagi Sensei), An'Ichi Miyagi Sensei (allievo del fondatore Chojun Miyagi Sensei e Maestro di Morio Higaonna Sensei), Jiuichi Kokubo Sensei, Terauchi Kazuo Sensei, Bakkies Laubscher Sensei, Pantanovitz Leon Sensei,

Molyneux Ernie Sensei, Andrews George Sensei... perfeziona la propria tecnica riconducendola all'originale insegnamento del Maestro Chojun Miyagi fondatore del Goju-Ryu. Nel 2009 Higaonna Sensei sceglie Spongia Sensei, insieme ad altri senior instructors IOGKF, come membro del Naha Shi Bunka Kyokai (那覇市文化協

会), il dipartimento culturale del governo della città di Naha, Okinawa, il dipartimento si occupa del preservare il Goju-Ryu di Okinawa, insieme ad altre arti okinawensi come prezioso tesoro culturale. Per maggiori informazioni su Sensei Spongia e sull'IOGKF vi consigliamo di visitare il sito www.iogkf.it Vi presentiamo di seguito l'intervista esclusiva che Senesei Spongia ci ha rilasciato: Newbushido.it: A chi consiglierebbe la pratica del Karate? Sensei Spongia: A tutti indifferentemente. Sembra una domanda dalla risposta scontata e propagandistica invece la ritengo una domanda fondamentale. Metterei però in guardia sul fatto che il Karate-Do è per tutti e per nessuno. Ovvero la pratica del Karate-Do, naturalmente nella sua accezione più completa, offre un’infinita gamma di strumenti ed esperienze formative che, sapientemente somministrate da un Insegnante preparato, possono permettere a chiunque, a qualsiasi età, di raggiungere la propria pienezza sia sotto il profilo psicofisico che morale. Però, come ogni arte che si rispetti, richiede, specie dopo un certo livello di approfondimento, una sincera dedizione.

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Karate Goju-Ryu, intervistiamo Sensei Spongia

intervista pubblicata su NewBushido.it

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Il che significa fare del Karate-do il fondamento della propria vita e trasporne efficacemente i principi nella vita quotidiana. Con dedizione non intendo un impegno full time e una mania monotematica, assolutamente il contrario, chi mi conosce sa bene che il mio ‘modello’ di Insegnante di Karate-Do non è solo uno specialista di calci e pugni ma un uomo completo in ogni ambito capace di comprendere ed applicare in ogni momento della vita quotidiana i principi dell’arte. Ma si deve andare a fondo nello studio della Disciplina, offrendogli il tempo, la passione e l’impegno necessari altrimenti i risultati non potranno che essere limitati, come in qualsivoglia arte. A tutti piace dire di praticare ‘l’arte del Karate’ ma qualsiasi arte che si rispetti richiede passione, dedizione e disciplina nonché creatività e intuizione (che paradossalmente sono proprio frutto dalla disciplina) altrimenti diventa, nella migliore delle ipotesi, un hobby tra i tanti con un efficacia di gran lunga minore anzi, a volte con effetti deleteri, perché l’atteggiamento hobbystico e disimpegnato, caratteristico dei nostri tempi è all’origine di molte malattie della nostra Società. Per concludere la risposta: il mare è immenso, ma se andrai con un cucchiaio raccoglierai solo un cucchiaio d’acqua … Mi permetta di aggiungere un annotazione riguardo alla pratica dei bambini che considero un capitolo a sé. La pratica rivolta ai bambini deve avere un’impostazione propedeutica. Ovvero lavorare su ogni qualità motoria e psicologica del bambino offrendogli gli strumenti per crescere in modo completo sfruttando però al massimo gli strumenti educativi, mitici e simbolici, che ci offre a piene mani la nostra disciplina e che parlano profondamente alla psiche del bambino. Sono contrario ad un certo approccio ‘sportivo’ che ha epurato il Karate-Do proposto ai bambini di questi preziosi elementi rendendolo un insipido giochino sportivo che ha perso tutto il suo potere mitico e simbolico.

Newbushido.it: Lei quando e perché ha iniziato a praticarlo? Sensei Spongia: Ho iniziato all’età di 13 anni. Giocavo a tennis dall’età di sette anni e scoprii il Karate, come spesso accade, perché un amico, che già praticava, mi portò ad assistere ad una lezione… fu una folgorazione, ricordo ancora l’odore del Dojo, mi sembrò di essere tornato a casa. Per un paio d’anni frequentai il Dojo pur continuando a giocare a tennis a livello agonistico poi verso i 15 anni dovetti decidere in che direzione riversare le mie energie e non ebbi dubbi nello scegliere il Karate-Do; sentivo che mi poteva offrire, come è stato, gli strumenti per diventare un uomo, ben oltre il fare un punto gettando una pallina al di là della rete. Scelsi il Karate-Do perché capii che lo potevo portare con me nella vita di tutti i giorni e non farne un’esperienza limitata al campo di gioco. Newbushido.it: Il Goju-Ryu è forse il più tradizionale tra gli stili di Karate, affonda pesantemente le sue radici nell'isola di Okinawa, quali sono le differenze principali con gli altri stili di Karate. Sensei Spongia: Sinceramente non mi sento di fare paragoni qualitativi. Credo di conoscere abbastanza bene il mio stile, non abbastanza gli altri per poterne parlare. E’ indubbio che il Karate-Do che è stato importato e si è diffuso in Giappone abbia subito delle trasformazioni notevoli, rispetto al Karate originario di Okinawa, sia dal punto di vista tecnico/stilistico che da quello degli obiettivi. La sportivizzazione poi ha fatto il resto. In ambito sportivo penso che non abbia più senso parlare di stili. Lo stesso Goju-Ryu ha subito una profonda trasformazione nella sua importazione da Okinawa al Giappone tanto che alcune metodiche di allenamento sono state completamente abbandonate e gli stessi

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kata hanno subito importanti modificazioni. Io penso che uno stile, praticato con la giusta dedizione e sotto una guida competente, debba offrire un programma completo e collaudato da una lunga esperienza che viene da una successione di Maestri. Uno stile deve essere ‘efficace’ e con questo termine non intendo solo l’efficacia nel combattimento, aspetto senz’altro fondamentale, ma anche efficacia nel lavoro sull’energia e su tutti gli aspetti psicofisici che permettono al praticante di ottenere benessere dal suo esercizio. Insomma si devono raccogliere i frutti, si devono vedere concretamente i risultati del proprio esercizio, sia in termini marziali che di benessere. Altrimenti si hanno tutte quelle aberrazioni in cui si ricerca il benessere attraverso un esercizio molle e accomodante alla richiesta del pubblico, che a mio parere, al di là di un sollievo momentaneo, è totalmente inefficace ad una formazione profonda e duratura, oppure, in cui si ricerca la fatidica ‘efficacia’ in combattimento, raggiungendo, in qualche raro caso, una certa efficacia a breve termine ma che inesorabilmente crolla con l’avanzare dell’età lasciandoci in eredità un corpo martoriato. Troppo spesso si vedono spacciare dei prodotti improbabili, commistioni di tecniche ed esercizi senza

alcuna connessione tra di loro. Prima di incontrare il Goju-Ryu del Maestro Higaonna pur praticando come adesso con grande impegno, ero tormentato da numerosi dubbi perché non riuscivo a raccogliere i frutti promessi, non vedevo risultati concreti, adeguati al mio sforzo e allora ho continuato a cercare, a cercare, fino all’incontro con il mio Maestro che ha fugato ogni dubbio. Tornando a parlare del Goju-Ryu che pratico, ritengo che sia uno stile completo nel senso più pieno del termine. Tutte le forme di esercizio da noi utilizzate dal Junbi Undo all’Hojo Undo, dal Kakie all’Irikumi, dal Kata al Bunkai… collimano nel risultato finale, constatabile concretamente: la formazione globale del praticante sia dal punto di vista marziale che della formazione psicofisica e del benessere. Se si trascura anche solo un aspetto della pratica il risultato finale sarà di gran lunga diverso. Newbushido.it: Sensei Higaonna è una leggenda vivente del Karate, ci può descrivere che tipo di Maestro è? Sensei Spongia: Higaonna Sensei è l’esempio vivente della dedizione alla pratica. E’ un uomo di grande disponibilità e dolcezza ma che sul tatami fa paura. E’ un Maestro severo ed esigente che, a quelli che considera i suoi allievi diretti, non fa sconti, come è giusto che sia. Quando sono ad Okinawa, insieme ad Higaonna Sensei ci rechiamo all’alba a Kozenji, il tempio Zen a Shuri dove insegna e vive Sakiyama Sogen Roshi, novantenne, grande Maestro Zen Rinzai, in gioventù allievo di Chojun Miyagi Sensei; pratichiamo Zazen sotto la sua guida, poi si torna al dojo a praticare il Goju-Ryu, a volte alle 23 di notte Higaonna Sensei è ancora lì ad incitarci all’ennesima ripetizione con ‘Mo ichi do’ (ancora una volta). Quando Higaonna Sensei fu mio ospite per la prima volta a Roma, ricordo che dovetti ricorrere ad un trabocchetto per riuscire a portarlo, una sera, a vedere almeno il Foro Romano, di fronte al quale, affascinato ed ispirato, cominciò a parlarmi della tradizione.

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Nei giorni precedenti non eravamo mai usciti dal mio Dojo e ad ogni mio tentativo di proporgli una breve visita alla Città Eterna rispondeva con un secco: ‘ima keiko, ora allenamento’… Era lì per me, per permettermi di sfruttare al massimo l’occasione della sua presenza e si offriva totalmente senza concedersi pause né distrazioni. Al termine della sua permanenza, eravamo seduti al tavolo di casa mia e mi disse: ‘chiedimi quel che vuoi, chiedimi di insegnarti quel che vuoi, il mio corpo è il tuo…’. Non dimenticherò mai quelle parole che sono state il s igi l lo di una relazione inest imabile . Il rapporto personale con un Insegnante depositario di una tradizione è essenziale alla trasmissione di un’Arte. Newbushido.it: ci racconta qualche altro anedoto su Senesei Higaonna? Sensei Spongia: Mi fa piacere raccontarvi altri divertenti ed inediti episodi per darvi idea del carattere e della gentilezza del Maestro. Eravamo a Firenze per un breve, meritato riposo dopo le fatiche del XIX Gasshuku Europeo da noi organizzato in Italia, e ogni giorno, mentre pranzavamo o cenavamo al ristorante, Higaonna Sensei ad ogni portata non perdeva occasione per fare i complimenti e ringraziare il cameriere per i piatti ‘ d e l i z i o s i ’ . Anche in quella occasione dopo aver visto ed apprezzato il David di Michelangelo (di cui apprezzò l’equilibrio e la postura) decise che era stato sufficiente e che era il caso di tornare in Albergo ad allenarci… Oppure quando si faceva rincorrere da mio figlio, che allora aveva 4 anni, attorno al tavolo del soggiorno, conservo gelosamente quel filmato. Newbushido.it: Lei va spesso ad allenarsi ad Okinawa, ci sono differenze tra un allenamento in un dojo italiano e uno in dojo Giapponese ? Sensei Spongia: Il Dojo ad Okinawa è considerato come la propria seconda casa non come una palestra dove andare a

comprare un prodotto. Gli allievi se ne prendono cura e arrivano un po’ prima delle lezioni per provvedere alla pulizia e alla manutenzione. Io penso che questo sia un aspetto fondamentale, difficile da far passare in Occidente. Fa una grande differenza tra il vivere il Dojo da padroni di casa o da clienti. Una volta il mio Maestro Zen disse: ‘non è un Dojo un luogo dove qualcuno è pagato per pulire’ e ancora: ‘ gli allievi sono quelli che aprono la porta dall’interno, i clienti sono quelli che se la fanno aprire…’. Ho fatta mia questa filosofia spontaneamente fin dalla fondazione del Tora Kan Dojo (Honbu Dojo d’Italia IOGKF), 25 anni fa, e ho sempre provveduto personalmente alla sua pulizia, oggi affiancato da qualche allievo che dopo lo Zazen dell’alba rimane a fare del Samu (lavoro manuale espresso nello spirito Z e n ) . Quando pulisco il Dojo ripulisco il mio spirito e mi predispongo alla pratica ed all’insegnamento. Il tatami che al mattino ho pulito strofinandolo in ginocchio, la sera mi restituisce tutta l’energia di cui son capace quando lo percorro insegnando. Tutti gli allievi, al termine di ogni lezione, passano degli stracci sul tatami per lasciarlo pulito per chi viene dopo. In un Dojo si impara a prendersi cura di tutto, degli oggetti come di sé stessi, di sé come degli altri. Proprio qualche giorno fa un mio allievo di circa 60 anni, un famoso medico primario, dopo aver strofinato in ginocchio il tatami insieme ai suoi compagni mi esprimeva la sua commozione per il sentimento di comunione che provava nel condividere questo semplice gesto con i suoi compagni di pratica di ogni estrazione sociale ed età. Sono azioni che hanno una valenza simbolica ed educativa straordinaria che spesso non si ha il coraggio di proporre in Occidente per paura di perdere il consenso… ma l’educazione è un rischio e non si è dei veri maestri se non si è capaci di correre questo r i s c h i o . Pensate che valenza educativa potrebbe avere se nelle nostre scuole, sin dalle elementari, per una mezz’ora si permettesse ai bambini ed ai ragazzi di prendersi cura della pulizia dei locali che li ospitano. Ma chi

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avrebbe il coraggio oggi di proporre questo? Il Dojo ad Okinawa ha un’impostazione più familiare rispetto ad un Dojo giapponese, più stile cinese. Gli allievi aprono il Dojo e come detto se ne prendono cura e cominciano ad allenarsi. Ci sono oggi classi ufficiali a certi orari ma spesso capita che mentre ci si allena da soli Higaonna Sensei, che abita sopra, scenda, ti veda nel Dojo e cominci ad insegnarti in una estemporanea quanto preziosa lezione. La pratica nel Dojo, ad Okinawa, è un tornare alla fonte per rinnovare lo spirito e raffinare la tecnica. E’ come lucidare ed affilare una spada, è una pratica quotidiana, altrimenti la lama diventa opaca e perde il filo. Praticando da soli, senza una guida, senza un confronto, anche se si hanno delle buone basi, è facile prendere notevoli deviazioni. ‘Nessuno vede le proprie sopracciglia’ ama ripetere Higaonna Sensei per sottolineare quanto sia importante avere questo feedback dal confronto col proprio insegnante e con altri praticanti. Nel Dojo di Higaonna Sensei ho avuto anche la preziosa occasione di praticare, sotto la guida degli insegnanti del mio Maestro: An’Ichi Miyagi Sensei (morto lo scorso anno) e Shuichi Aragaki Sensei, entrambi discepoli del fondatore del Goju-Ryu. Inoltre, altro aspetto fondamentale, nel Dojo è possibile vedere il proprio Maestro mentre si allena. Vedere all’opera Higaonna Sensei e questi Maestri, ormai ultrasettantenni, è la prova evidente dell’efficacia di una pratica corretta e quotidiana del Goju-Ryu Karate-Do tradizionale ed è per me motivo di continua ispirazione. Newbushido.it: Lei pratica anche Zen, quale rapporto c'è tra l'Arte Marziale e la spiritualità? Sensei Spongia: Lei mi fa delle domande interessanti che meriterebbero ognuna una conferenza come risposta e mi piace essere generoso nella mia risposta.Spero ci sia sufficiente spazio nel vostro Portale. Se parliamo davvero di arte marziale allora l’aspetto spirituale emerge potentissimo. Deshimaru Roshi (Patriarca dello Zen Europeo) Maestro del mio Maestro diceva: ‘…Evidentemente nei tornei non si lotta per la propria

vita o la morte, ma per un punteggio: la forza del corpo quindi, e della tecnica sono allora sufficienti. Ma nei tempi antichi era completamente differente visto che era la vita a trovarsi in gioco: era l’intuizione allora a decidere tutto, come ultima risorsa. Oggi si dovrebbe ritrovare questo: comportarsi nel Dojo in ogni azione, come se la vita vi fosse coinvolta. Le arti marziali, allora, ritroverebbero il loro vero posto: la pratica della Via. Altrimenti non sarebbe che un gioco… Forza del corpo, della tecnica e dello spirito, sono in effetti più o meno uguali, ma è sempre Shin lo spirito che decide l’esito del combattimento.’ La pratica dell’arte marziale, come dello Zen, deve portare a confrontarsi con la questione fondamentale del nascere-morire. Potrei citare ancora, Dogen Zenji, Patriarca dello Zen Soto, vissuto in Giappone nel 1200 che disse: ‘Praticare è conoscere sé stessi, conoscere sé stessi è abbandonare sé stessi, abbandonare sé stessi è riconoscersi in ogni esistenza’. L’esperienza religiosa è un’esperienza estetica (coinvolge tutti i sensi) attivata dal rito. La pratica dell’arte marziale tradizionale è impregnata di rito e di esperienza estetica e, raggiunta una certa profondità, avvicina all’esperienza religiosa. Nel mio caso, l’Insegnamento Zen, e, in particolare quella che è definita ‘educazione Zen’ mi ha aiutato a cogliere aspetti della pratica del Karate-Do che altrimenti mi sarebbero sfuggiti e ha permesso alla mia pratica di raggiungere una profondità che forse non avrei mai sperimentato. Nella mia vita l’incontro con lo Zen è stato determinante. Penso che sia impossibile raggiungere le profondità dell’Arte solo con l’apprendimento tecnico. L’approccio educativo (e si può essere educati ad ogni età), da sempre essenziale nell’insegnamento delle arti marziali e nella trasmissione del loro spirito più autentico è oggi totalmente dimenticato. Già all’inizio della mia pratica del Karate-Do, a 13 anni, avevo intuito che l’apprendimento tecnico racchiudeva un’essenza che doveva coivolgere ogni ambito della vita umana e mi chiedevo, sin da allora, come trasporre i principi del Karate-Do alla mia vita quotidiana, lo Zen mi ha dato la chiave per risolvere questo dilemma.

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Mi tornano alla mente le parole di un altro grande Maestro Zen e Maestro di Budo, Omori Sogen Roshi: 'Lo Zen senza l’esperienza fisica che lo deve accompagnare non è altro che vuote chiacchiere. Tutte le vie marziali senza una veritiera realizzazione della Mente Universale [cioè del Vero Corpo dell’Uomo] in altro non consistono se non in comportamenti bestiali. ' Proprio domani inizieremo un raduno che ho denominato da più di 13 anni Ken Zen Ichinyo Gasshuku (il Gasshuku del Karate e Zen come una cosa sola) in un Dojo di Roma dove la pratica della meditazione ed educazione Zen e del Goju-Ryu Karate-Do si alterneranno armoniosamente allo studio e alla comunione di vita in un ritito di 3 giorni. Ho condotto questo genere di raduni per 12 anni nel monastero Zen Fudenji sia per 4 volte in Olanda ed ora alla sua diciassettesima edizione, nella mia città. Sono convinto che questo genere di esperienza permetta di assaporare una profondità dell’esercizio che potrà permettere di orientare correttamente la propria pratica e la propria vita. Newbushido.it: Il suo Dojo non è una semplice 'palestra' ma è arredato appunto come un autentico dojo, quanto è importante il giusto ambiente e la g i u s t a a t m o s f e r a p e r l a p r a t i c a ? Sensei Spongia: L’ambiente è molto importante. Parla direttamente al nostro inconscio e ci costringe ad un certa qualità di comportamento e presenza. Allo stesso tempo però non si tratta solo di disporre della mobilia in un ambiente. Il Dojo è costruito dallo spirito della pratica che vi si svolge che, a poco a poco, da forma anche allo spazio e viceversa. Il mio piccolo Dojo si è trasformato in questi 25 anni riflettendo costantemente la pratica che lo ha abitato. La pratica nel Dojo deve portare ad affinare la sensibilità per riconoscere il Dojo in ogni luogo. Newbushido.it: Ci descrive un suo allenamento tipo? Sensei Spongia: Inizierei col dire che l’allenamento nel Dojo è solo un aspetto della pratica che cerco di approfondire in ogni momento de l l a mia v i t a quo t id iana . Non saprei dunque troppo distinguere un momento

p r i v i l e g i a t o p e r i l m i o e s e r c i z i o . Se Lei intende la specifica pratica tecnica del Goju-Ryu allora posso risponderle che pratico tutti i giorni. La sera insegnando nel mio Dojo mi alleno insieme ai miei allievi ma questo non è sufficiente e la mattina o in appositi spazi nel pomeriggio dedico delle ore per il mio personale studio ed approfondimento. Durante le lezioni, con i miei allievi, alleno in particolare il Junbi Undo ed Hojo Undo (esercizi preparatori e supplementari di condizionamento e potenziamento), il Kakie, l’iri Kumi (combattimento) e d i l b u n k a i . Da solo alleno molto il Kata, mi alleno al sacco pesante e al makiwara. Ritengo inoltre che nella mia esperienza di pratica sia stato fondamentale e continui ad esserlo la pratica nell’ambito del Gasshuku. La pratica nel Dojo e la partecipazione ai Gasshuku sono complementari nella mia pratica. Da molti anni oltre a recarmi ad Okinawa, ‘inseguo’ per il mondo il mio Maestro per riceverne l’Insegnamento durante i Gasshuku da Lui condotti. L’esperienza del Gasshuku permette di vivere, oltre all’insegnamento del Maestro e dei suoi allievi più avanzati, un fruttuoso confronto con altri insegnanti di tutto il mondo. Permette di non cadere nel pericoloso vizio, così diffuso nel mondo delle arti marziali, di isolarsi, di non accettare il confronto, non inteso come competizione, bensì come intensa pratica comunitaria. Chi inizia ad insegnare spesso si isola, si crea una piccola isola felice nel proprio dojo e sfugge ogni occasione di confronto e verifica nascondendosi dietro un’immagine troppo spesso costruita sul nulla, sulla propaganda. Partecipare al Gasshuku permette di coltivare quell’attitudine essenziale al continuo apprendimento che i giapponesi definiscono Shoshin, la mente del principiante. Altro aspetto di particolare valore educativo consiste nel fatto che durante un Gasshuku gli allievi hanno l’occasione di vedere il proprio insegnante nella veste di allievo. Non c’è modo migliore per un allievo per imparare a rapportarsi ad un maestro, cosa niente affatto semplice per la nostra formazione culturale ed educativa, che vedere il proprio insegnante nella relazione col suo

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maestro. Questo è un punto nodale ed è drammaticamente assente, tranne rarissime eccezioni, nel mondo del Karate italiano. Newbushido.it: Come molti stili Giapponesi anche la storia del Goju-Ryu inizia in Cina, che rapporto c'è tra l'esercizio del Kakie e altri metodi di allenamento simili come ad esempio il Tui shou del taijiquan? Ci spiega come funziona e a cosa serve questo metodo di allenamento? Sensei Spongia: E’ interessante che proprio di recente nelle Scuole del Fuzhou, nel sud della Cina, dove ha avuto origine il Goju-Ryu, sia stato intodotto l’insegnamento del Goju-Ryu della scuola del Maestro Higaonna. Credo che sia la prima volta che in Cina accada qualcosa di simile con uno stile di Karate ‘ g i a p p o n e s e ’ . In una delle sue numerose visite in Cina alla ricerca delle origini del Goju-Ryu, sulle orme di Kanryo Higaonna Sensei, il Maestro Morio Higaonna ed i suoi allievi hanno mostrato i nostri kata e i Maestri cinesi si sono commossi affermando che le antiche forme che si erano perse in Cina si sono preservate ad Okinawa… Il Kakie è un’esercizio fondamentale del Goju-Ryu di Okinawa. Credo che abbia numerose affinità con l’esercizio del Tui shou del Taijiquan e con il Chisao del Wing chun. L’influenza dello stile della Gru bianca è evidente in questo esercizio. Nel Kakie ci si esercita alla sensibilità al contatto con le braccia ed il corpo dell’avversario per intuire la sua intenzione ed applicare leve, proiezioni e colpi alla corta distanza. Naturalmente si tratta, come detto poc’anzi, di un esercizio che per quanto fondamentale, deve integrarsi e completarsi con altri esercizi del sistema Goju-Ryu. Newbushido.it: Quale è la sua opinione sulla pratica sportiva del karate? Sensei Spongia: Io penso che ci sia spazio per tutto. Ma si deve essere onesti. Lo sport è una cosa l’arte marziale è tutt’altro. A parte chi fa l’esperienza della gara, peraltro molto limitata nei suoi contenuti tecnici, e comunque un numero limitato di atleti, agli altri, e agli stessi

agonisti al termine della loro carriera, alla fine, cosa rimane oltre alle medaglie che comunque arrugginiscono ? L’esperienza della competizione può essere senz’altro importante per un giovane, io stesso ho calcato i quadrati di gara per molti anni (anche perché allora non c’era molta altra scelta) e so dunque di cosa parlo, ma va proposta con molta attenzione, onestà e coerenza in modo che il giovane praticante non debba snaturare la propria pratica per ottenere il successo in g a r a . I valori etici, morali e tecnici espressi nella pratica del dojo dovrebbero riflettersi nella prestazione competitiva. Si tratta dello Shiai, inteso come verifica di alcune capacità tecniche e psicologiche acquisite attraverso la pratica, grazie al confronto con l’avversario che, specie se di valore, permette u n ’ e f f i c a c e v e r i f i c a . Si è invece andati, mi sembra, molto lontano da questa impostazione, in tutt’altra direzione, con un totale abbandono non solo della valenza ed efficacia tecnica dell’Arte Marziale ma anche e soprattutto dei suoi aspetti educativi ed etici. La nostra scuola, la IOGKF, non ha finalità agonistiche. Quando abbiamo azzardato a proporre un’ esperienza competitiva ai nostri ragazzi siamo stati molto, molto attenti alla formula da adottare. L’abbiamo studiata e perfezionata in modo che potesse permettere una sana ed efficace occasione di verifica delle qualità psicofisiche e tecniche con delle prove che richiedessero al praticante una preparazione completa e non specialistica e che fosse fedelissima al programma didattico e all’impostazione educativa del Dojo. I nostri allievi, ragazzi ed adulti, si allenano duramente e con grande entusiasmo senza aver bisogno di motivare la propria pratica con l’obiettivo d e l l a m e d a g l i a . Per non parlare poi del trattamento riservato dal mondo del karate sportivo ai cosiddetti ‘amatori’ o ‘non agonisti’, che sembrano essere considerati solo ‘carne da affiliazioni’ e che invece nella scuola tradizionale costituiscono i pilastri dei dojo e della S c u o l a . Paradossalmente i grandi Maestri del Budo, compreso Higaonna Sensei, che non sono stati dei campioni sportivi, sarebbero considerati dei praticanti

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‘amatoriali’. E a questi praticanti amatoriali, considerati praticanti di serie b, si dà il contentino del grado dan, che va a sostituire la medaglia. Altrimenti che senso hanno quelle patetiche sessioni d’esame a cintura nera di vario dan, alle quali ho purtroppo assistito nelle federazioni sportive, se non a dare un contentino a chi ama appendere un diplomino al muro invece che praticare per davvero? Anche nel mondo puramente sportivo, se vuoi giocare a tennis con qualcuno devi saper gettare la palla al di là della rete, così se ti presenti all’esame per acquisire un brevetto di nuoto e, a metà vasca, vai a fondo miseramente, nessun istruttore si sognerà mai di riconoscerti un brevetto. Invece questo è accaduto nel mondo del Karate sportivo con degli effetti devastanti sulla reputazione del Karate non solo come arte marziale ma anche come semplice sport. Oggi sembra ci sia un’inversione di tendenza, visto il fallimento dell’approccio sportivo, e cominciano a ‘riaffiorare’ un po’ ovunque fantomatici Insegnanti di Karate-Do tradizionale… Ma, quando si parla di Karate-Do tradizionale non si intende mica, come è comunemente e comodamente interpretato, usare una terminologia giapponese e scimmiottare pedissequamente dei gesti considerati ‘antichi’ senza comprenderne l’essenza. La tradizione è solo nella trasmissione dello spirito e delle profondità di un’arte, I shin den Shin, da cuore a cuore, si dice nello Zen, in un lignaggio ininterotto di uomini che hanno saputo dedicare la propria vita allo studio e alla ricerca. E in questo passaggio l’arte si arricchisce di nuove intuizioni grazie all’unicità, all’alchimia inedita, di ogni relazione maestro/allievo che se è autentica, ha come risultato la maturazione dell’allievo, che non sarà un clone del maestro, ma saprà a sua volta dare una fresca interpretazione che arricchirà l’arte. Hanno invece illuso, e continua a lasciarsi illudere chi vuole avere le cose a buon mercato, che si possa ottenere una conoscenza del Budo solo attraverso la frequentazione di corsi ed esami federali. Il risultato è che in Italia sono tutti maestri dai dan

altisonanti, spesso senza aver mai avuto davvero un maestro, senza aver mai veramente iniziato un autentico percorso formativo attraverso l’impegnativa relazione umana con un Insegnante depositario di una tradizione. Mentre la trasmissione della conoscenza, nella Via del Budo così come nello Zen, passa proprio esclusivamente da questa relazione personale che coinvolge ogni aspetto della propria vita. Non è solo questione di tecnica è lo spirito che deve essere trasmesso. Senza di esso, quando va bene, si tratta solo di uno sport. Newbushido.it: la Iogkf ha in programma delle manifestazioni in Italia nel prossimo futuro? Sensei Spongia: La nostra Scuola ha un calendario di attività di pratica nutritissimo. Ormai da più di 15 anni, ogni anno il nostro calendario vede in programma 3 seminari, una dimostrazione annuale che riunisce tutte le scuole, due Gasshuku di formazione ed aggiornamento degli Insegnanti IOGKF Italia, un Ken Zen Ichinyo Gasshuku e uno stage nazionale condotto da un grande Maestro straniero della IOGKF (abbiamo avuto negli anni in Italia oltre allo stesso Higaonna Sensei, Nakamura Sensei, Bakkies, Kuramoto, Sudo, Molineux, Nunes, Leijenhorst…) per la prossima stagione stiamo decidendo chi invitare e il livello della scuola italiana è ormai tale da richiedere la presenza dei più grandi Senior Instructors della IOGKF. Stiamo poi già guardando al 2013 che ci vedrà ospitare in Italia il prestigioso Gasshuku Europeo IOGKF che riunirà praticanti da tutto il mondo per una settimana di intensa pratica sotto la guida di Higaonna Sensei e dei suoi più anziani allievi. Concludendo la ringrazio per avermi invitato ad esprimere queste mie considerazioni a ‘ruota libera’ per il vostro nuovo Portale delle Arti Marziali al quale auguro ogni fortuna.

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Sensei Nakamura, ogni volta che vengo a uno dei tuoi gasshuku, penso: ‘Non esiste possibilità di superare questa esperienza!’ Indovinate un po’? E' successo di nuovo, ma questa volta la goccia ha fatto traboccare il vaso. Ora dico veramente: ‘Come diavolo si può superare questa esperienza?’

Il Gasshuku di questo fine settimana con SpongiaSen-sei è stata una delle mie esperienze più alte nel karate. In realtà posso spingermi oltre e dire che è stata anche una delle esperienze migliori della mia vita. La pratica del karate è stata meravigliosa come in tutti i gasshu-kuIOGKF, ma ciò che ha reso questo week-end molto diverso per me è stato: 1. La meditazione Zen: sapevo che Spongia Sensei

aveva insegnato meditazione zen, ma non sapevo che fosse un monaco Buddhista Zen! (i racconti del suo percorso mi hanno fatto sentire come se le cose che ho fatto finora nella mia vita fossero state insi-gnificanti al confronto). Non ci ha insegnato solo a

‘meditare’. Ci ha offerto l’occasione di gustare e dare uno sguardo raro e profondo a ciò che sono lo Zazen e il Buddhismo. Spongia Sensei in un primo momento ha detto che era un po’ riluttante e un po’ preoccupato nel con-dividere questa esperienza con noi. Temeva che potessimo avere un approccio solo superficiale o fraintendere lo Zen e il Buddhismo. Posso parlare per me stesso e dire che è stato decisamente tutto il contrario.E' stato commovente vedere quanto il suo insegnamento veniva dal cuore e quanto ha parlato

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Fuyu Gasshuku - Canada 2011 Zen e Goju-Ryu

lettera di ringraziamento di Sensei Sam Larioza

Ohana Karate - USA

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al cuore di ognuno di noi, di come è stato capace di prendersi cura di ognuno di noi. Ho costantemente teso le orecchie per ascoltare con attenzione ogni parola che SpongiaSensei diceva, con la paura che mi potessi perdere anche uno solo dei suoi messag-gi.

Le due cose profonde che ha detto e che resteranno per sempre con me sono: • Quando gli ho chiesto da quanto tempo era un ‘insegnante’ la sua risposta è stata più o meno: non ho mai inteso esserlo o addirittura pensato a me come insegnante. Ho solo sentito che ad un certo punto era arrivato il momento di ‘restituire’. Semplicemente e naturalmente restituire tutto quello che mi è stato dato. Nelle sue parole: ‘Sento che questo è l'unico modo per me per cer-care di restituire qualcosa della ricchezza che ho ricevuto nella mia vita dal Karate-Do e dalla prati-

ca Zen. Penso anche che se qualcosa di buono può venire dalla mia azione e dalle mie parole, questo provenga dalla saggezza dei nostri Antenati e Ma-estri, devo tutto a loro. ’ Questo messaggio ha cambiato il mio modo di ve-dere la speciale opportunità che ci è offerta nell'in-segnare e guidare gli altri. • Questo è quello che veramente mi ha toccato: ‘La cosa più preziosa che si può fare per l'umanità e l'universo è quella di ‘essere nel momento.’ Con ciò egli non intendeva solo ''fare attenzione o igno-rare tutte le distrazioni'', ma spendersi totalmente nell’azione che si sta facendo come sia la cosa più importante che abbiamo mai fatto. Rendere ogni passo che si fa nel dojo, o anche l'atto di mettere i calzini, la cosa migliore e più importante che ab-biamo mai fatto. Ha detto di approcciare il‘pulire il pavimento, proprio come si lava un bambino’. • Il momento più divertente è stato quando Sensei Jeff Mann ha posto una domanda molto se-ria,‘Qual è l'errore più grande che gli occidentali fanno nel cercare di capire lo Zen?’ Mi è piaciuto così tanto quando Sensei Spongia ha fatto una pau-sa, ha sorriso e ha risposto, ‘cercare di capire lo Zen.’

2. Quanto davvero conosco: Sai, dopo aver praticato

karate per quasi 18 anni pensi di avere visto tutto, ma sapete una cosa? L’80% di quello che abbiamo fatto in questo fine settimana è stato completamen-te nuovo per me !!!!!!!! Inoltre il tuffo nella pratica Zen mi ha fatto capire quanto poco conosco vera-mente. E il risultato è stato darmi una spinta a sa-perne di più.

3. Uomini da imitare: Alcuni anni fa uno dei miei mentori nel business mi ha confidato un semplice ‘segreto’ che cambia la vita. Ha detto ‘Vuoi cono-scere il segreto del successo? E 'semplice. Basta copiare quello che fanno altre persone di successo! ‘Sia nel campo aziendale che nel mondo del karate ho avuto la fortuna di trascorrere del tempo con persone eccezionali. Higaonna Sensei e Nakamura Sensei sono al top di questo gruppo. Nel momento in cui ho incontrato Spongia Sensei ho capito im-mediatamente che sarebbe stato qualcuno da cui dovevo imparare. Egli probabilmente ha intuito questo, e ho osservato tutto ciò che faceva e ascol-tato con attenzione tutto ciò che diceva cercando di assorbire il più possibile. La sua capacità di

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‘connettersi’ con le persone è misteriosa. Lo ha fat-to facendo sentire ogni persona con cui si trovava parlando, la persona più importante della stanza. Egli ci ha ispirato a voler imparare da lui quando ha iniziato scusandosi per il suo scarso inglese e per il suo timore di non essere in grado di insegnar-ci, ma dicendo che avrebbe fatto ‘del suo meglio’.Il suo inglese era, in effetti, meglio di quello della maggior parte dei miei vicini di casa in Michigan e quello che doveva insegnarci letteralmente “roba dell’altro mondo”. Ho anche potuto osservare come ha mangiato, bevuto e socializzato con noi. Spero che non mi abbia percepito come una presenza in-vadente, ma ero solo affascinato e volevo imparare con l'osservazione tutto quanto potevo perché sape-vo che questa lezione di vita sarebbe finita la do-menica. Così poco tempo per imparare così tanto.

4. I livelli di insegnamento e di leadership: Prima di questo weekend pensavo che ci fossero tre livelli di qualità per insegnanti o leader. Il primo livello è la capacità di insegnare o di ‘presentare’ del materia-le. I buoni insegnanti e leader portano la gente a capire le informazioni o le competenze. Il secondo livello è di ‘motivare’. A questo livello più alto l’allievo impara, ma poi è portato a fare un altro passo e sviluppare la spinta a fare qualcosa in più. Il terzo Livello è di ‘ispirare’. Trovo ''ispirare'' una bella parola. Va ben oltre il semplice motivare. A-vevo pensato che questo fosse il più alto livello di leadership. Questo fine settimana mi sono accorto che c'era un ulteriore e superiore livello. Il quarto livello: la capacità di un leader o un insegnante di

‘cambiare la vita di una persona’ in modo signifi-cativo e immediatamente. E' vero che al momento giusto un insegnante entrerà nella tua vita. E 'anche vero che l’allievo deve essere pronto per la lezione o il messaggio. Spongia Sensei è arrivato al mo-mento giusto per me.

5. Una volta sola nella vita: sto cercando di convince-

re sempre di più i miei allievi a venire ai Gasshuku IOGKF. Ma questa volta ero un po’ triste. Quando sono tornato ho detto ai miei allievi del meraviglio-so weekend. Che ha ben superato le mie aspettati-ve. Ho fatto parlare gli allievi, che avevano parteci-pato, della loro esperienza. Ma ero un po’ triste perché sapevo che gli altri avevano appena perso qualcosa di speciale che non avrebbero mai più a-vuto la possibilità di recuperare. Ora ci potrebbe essere un'altra possibilità di allenarsi con Nakamu-ra Sensei o Spongia Sensei, ma non sarà mai la stessa di quella che abbiamo vissuto lo scorso fine settimana. Potrebbe essere simile, ma non sarà mai la stessa. Sono triste per coloro che l'hanno persa.

Quindi Sensei, la ringrazio per aver portato, o real-mente dovrei dire avere condiviso, Spongia Sensei con noi. È stata un'esperienza che non dimenticherò mai e che mi lascia il desiderio di conoscere di più. Lei ha parlato della vostra missione di portare tutti i più grandi Sensei della IOGKF a Burlington nel pros-simo futuro. Non vedo l'ora che arrivi il tour mondiale ‘Karate Jam 2011’!

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Costruzione del Nuovo Dōjō - reportage -

Venerdi 04 marzo, mentre in via di Selva Candida n.45/C, a ritmo serrato, procedeva-no i lavori di costruzione della nuova sede della Tora Kan, in uno studio notarile roma-no, veniva finalmente firmato l’atto d’acquisto del locale!

Due delle tre serrande del locale. Quella di sinistra sarà l'accesso principale sull'accoglienza di circa 15 mq (quella at‐tuale misura 6 mq). Dall'accoglienza si accede al corridoio dal quale si accede alle due sale, agli spoglia‐toi, al magazzino e agli uffici.

Gli  infissi esterni e  le porte d'accesso sa‐ranno  in  alluminio  strutturato,  come  le‐gno, con disegno Shoji, con vetri antisfon‐damento opachi con effetto carta di riso. Questo cortile di accesso ha anche il van‐taggio  di  essere  una  corte  coperta  dalle intemperie. 

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Questa la grande porta scorrevole che dal corridoio permette di accedere al Tora no Dojo, la sala gran-de di pratica (85 mq) che sarà pavimentata in par-quet. La sala più piccola, Ryu no Dojo, misura circa 45 mq perfettamente quadrati e senza colonne e sarà pavimentata con Tatami da Judo (4 cm. di spesso-re)

Le  porte  saranno  tutte  in  legno  con  disegno  stile shoji, più o meno come questa nell'immagine  

Tranne  le  porte  degli  spogliatoi  e  del magazzino, tutte  le  altre  saranno  scorrevoli  a  scomparsa  nei muri. 

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Il capocantiere Livio impegnato nell’elevazione del-le tramezzature, dopo aver terminato la costruzione delle soppalcature.

Lorenzo, in visita al cantiere

Questo è un piccolo ufficio privato che sarà arreda-to con tatami tradizionali in paglia di riso. Dall'ufficio privato e dalla sala grande, attraverso

due porte scorrevoli, si accederà all'ufficio al pub-blico che affaccia sull'accoglienza attraverso una finestra.

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Dice Lo Zen Tsai Chin Chung

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Quale è l'esercizio più efficace, naturale e completo per il potenziamento della parte inferiore del corpo? Si può affermare senza timore di smentita lo squat (nelle sue diverse forme: libero, con carico, etc.). Squat viene dal termine inglese “to squat” – accovac-ciarsi. Continuamente si cercano e sperimentano soluzioni che possano migliorare la forza ed il potenziamento degli arti inferiori. Tuttavia di rado ho trovato un eser-cizio tanto completo quanto poco e, ancora più spesso, approssimativamente praticato. Un’adeguata cono-scenza del gesto o la difficoltà di corretta esecuzione che l'esercizio richiede (tempo e fatica per poterlo im-parare) potrebbero esserne la causa. Vediamo di rendere lo squat un po' meno oscuro (per la fatica non posso aiutarvi). In realtà non si potrebbe parlare di qualcosa di meno conosciuto: un piegamento sulle gam-be! La natura ha creato le nostre articolazioni per poter compiere que-sto gesto normalmente. Avete mai osservato un bimbo che solo da qual-che tempo compie i pri-mi passi, raccogliere qualcosa o accovacciarsi per osservare un oggetto in terra? E' molto probabile che abbiate osservato un di-screto squat profondo. I nostri schemi motori a volte

alterati da pattern (motori) scorretti o da problemati-che di natura muscolo-scheletrica (retrazioni muscola-ri, infortuni, etc.) trasformano spesso un gesto natura-le in uno adattato ma non più fisiologicamente corret-to. Una premessa è d'obbligo: quello fatto qui vuole rima-nere uno sguardo di insieme, funzionale ad impostare un gesto il più possibile efficace, economico e privo di controindicazioni: pertanto, malgrado il concetto illustrato di seguito può essere applicato in termini generali ad un piegamento sulle gambe, ricordiamo per precisione che le variazioni (presenza, posiziona-mento del carico, etc.) che condurrebbero l'argomento verso una analisi biomeccanica eccessivamente speci-fica per ora non verranno approfondite.

Cominciamo col dire che in un piegamento/squat coinvolge praticamente tutti i distretti corporei: • colonna vertebrale • anche

“ACCOVACCIARSI CORRETTAMENTE” LO SQUAT

Rubrica a cura di Sensei Fabrizio Angelici

Conoscere ed approfondire ciò che riguarda il miglioramento e l'ottimizzazione della condizione fisica può essere di interesse e di aiuto a tutti coloro che per passione, per ricerca o per lavoro si occupano e/o prati-cano attività fisica/sportiva. Attraverso le pagine di questa rubrica proveremo a dare un'idea di quelli che sono gli elementi che concorrono al miglioramento e l'ottimizzazione della condizione fisica e della pre-stazione, considerando accanto ai principi generali le caratteristiche e le esigenze di una pratica particolare e complessa come è quella del Goju Ryu di Okinawa.

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• ginocchia • caviglie • arti superiori (in funzione del tipo di squat: con bi-

lanciere, con bilanciere sopra la testa, stabilizzano/sostengono il carico; a carico naturale aiutano il bi-lanciamento nel gesto).

Consideriamo uno squat classico con bilanciere sulle spalle: partendo dalla stazio-ne eretta, piedi leggermente più larghi delle spalle e ruo-tati di circa 30° , si inizia la discesa. Durante tutto il movimento

la colonna l o m b a r e deve man-tenere una posiz ione quanto più vicina alla sua fisiologica curvatura: questo è facilmente com-prensibile considerando la confor-mazione strutturale delle vertebre e dei dischi.

I dischi intervertebrali funzionano da ammortizzatori: nella curvatura fisiologica della colonna questa fun-zione viene assicurata nel modo migliore, anche sotto carichi elevati: quando le vertebre modificano oltre un certo limite accettabile questa curva fisiologica (es. fig. 1) i carichi non sono più distribuiti uniformemente

sui dischi e le forze compres-sive vengono mal assorbite dalla struttura: se queste sol-lecitazioni continuano a per-sistere o se superano una cer-ta intensità (vale anche per i carichi dovuti ad una posizione/postura scorretta protratta nel tempo) si può andare incontro a degenera-zione o lesioni dei dischi, delle articolazioni e dei corpi vertebrali. Quello appena

illustrato è l'elemento principale su cui concentrarsi durante l'esecuzione ma non il solo: per controllare la posizione della schiena è necessario adoperare in ma-niera corretta anche e ginocchia. Appena inizia la discesa le anche ruotano come per far sfilare i glutei indietro e far cadere l'ombelico in avan-ti(passatemi i termini causa necessaria chiarezza); il bacino si sposta dietro (rispetto all'asse verticale della

stazione eretta) (fig.2). L' errore principale nell'esecuzione riguarda il mante-nere il bacino bloccato, concentrandosi nello scendere con il piegamento delle ginocchia piuttosto che con la flessione delle anche. Se nella prima fase della discesa questo può non risultare evidente, man mano che si scende il bacino perde in maniera più evidente la cur-vatura lombare e la inverte (fig.3) ponendosi in posi-

zione decisamente rischiosa (soprattutto sotto carico rilevante). Inoltre nella prima parte del piegamento il quadricipite è protagonista: tuttavia quando si arriva al parallelo (cosce rispetto al suolo) e sotto (squat pro-fondo) l'azione di frenata/controllo nella discesa e di spinta/controllo durante la risalita della muscolatura dei glutei e degli ischio crurali (bicipite femorale, se-mitendinoso e semimembranoso) diviene fondamenta-le. Per un corretto assetto spesso si raccomanda di non superare con le ginocchia il limite della punta dei pie-di: questo è un consiglio guida soprattutto per indiriz-zare il principiante nelle prime esecuzioni. Un mode-rato superamento (qualche cm) non crea un problema rilevante, in particolare per uno squat profondo. La posizione deve permettere di poter spingere sul pavi-mento con tutta la superficie del piede. Un eccessivo carico sull' avampiede o addirittura un sollevamento dei talloni (errore assai frequente nel principiante) po-trebbe essere indice di rigidità delle caviglie o di erro-ri di esecuzione. Che utilizziate un classico squat con bilanciere, uno jump squat a carico naturale o che lo adattiate alle necessità della vostra disciplina una buo-na posizione e una corretta esecuzione sono d'obbligo per poter avere nel vostro arsenale di tecniche uno de-gli esercizi più efficaci e completi che potreste trova-re.

fig.1

fig.2 fig.3

Nota: la fig.1 è stata presa da www.sportmedicina.it

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Continua la raccolta degli articoli più significativi pubblicati sul Ken Zen Ichinyo Blob

 

Ken Zen Ichinyo

Goju-Ryu e Zen un cammino verso la pienezza di sé

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

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Quelli che seguono sono i Dōjō Kun (precetti del Luogo dove si persegue la Via) della IOGKF che vengono recitati al termine della sessione di pratica riguardo i quali intendo offrire un commento in que-sto spazio.

Hitotsu 礼儀を重んずること

Reigi o omonzuru koto.

Rispetta gli altri e agisci sempre con

onore e cortesia .

Hitotsu 勇気を養うこと

Yūki o yashinau koto

Sii coraggioso.

Hitotsu 伝統空手道を守り日々の鍛錬を怠らず

常に研究 工

夫をすること

Dentō karate o mamori hibi no tanren o oko-

tarazu tsuneni kenkyū kufū o suru koto

Con la tua pratica quotidiana proteggi il Ka-

rate-do tradizionale.

Hitotsu 不撓不屈の精神を養うこと

Futō fukutsu no seishin o yashinau koto

Sforzati di coltivare uno spirito incorruttibi-

le e indomabile. Non arrenderti mai.

Hitotsu 心身を錬磨し剛柔流空手道の真髄究める

こと

Shinshin o renma shi Gōjū-Ryū Karate no

shinzui o kiwameru koto.

Perfeziona il corpo e la mente e sforzati di

raggiungere l’essenza del Goju-Ryu Karate

-do.

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Dōjō Kun La mente che ricerca la Via

di Sensei Taigo Spongia

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I Dōjō Kun in generale

Tutti i precetti si aprono con ‘Hitotsu’ che si traduce con ‘Primo’ ovvero ‘Numero uno’. L’elenco dei Dōjō Kun non prosegue poi con ‘Futatsu: Secondo’, ‘Mitsu: Terzo’ ma ogni precetto è ‘Hitotsu’ ‘Il Primo’. Questo sta a sottolineare l’importanza di ognuno dei precetti che non sono elencati come un’elenco in or-dine di priorità ma come linee guida di comportamen-to virtuoso che hanno tutte la medesima, capitale, im-portanza. I Dōjō Kun nascono come principi di un codice etico che lungi dall’essere regole rigide ed imposte dall’esterno assumono la forma di esortazioni che de-vono portare il praticante a riflettere sulla propria vita e ad aiutarlo nelle scelte che la vita stessa impone quotidianamente. Ad ogni recitazione dei Dōjō Kun poniamo il nostro spirito di fronte allo specchio dei Precetti e siamo sfi-dati a riesaminare i nostri principi. I Dōjō Kun ci ricordano anche quanto la nostra vita sia strettamente interconnessa con quella di ogni altra esistenza e quanto l’incolmabile debito di gratitudine che abbiamo nei confronti dei nostri antenati e mae-stri sia il nutrimento fondamentale della nostra azione quotidiana. Azione che, proprio in virtù di questo debito e di que-sto legame, assume una dimensione ‘cosmica’ che trascende i nostri bisogni e desideri personali.

Storicamente la leggenda fa risalire la prima formula-zione di Dōjō Kun a Bodhidharma, Primo Patriarca Cinese dello Zen, al quale si attribuisce un’importante influsso sullo sviluppo delle Arti Mar-ziali. I Dōjō Kun poi si differenziano da Scuola a Scuola ma alla base delle varie interpretazioni e traduzioni stanno i principi fondamentali del rispetto, integrità, forza d’animo, onore e lealtà nonché del valore e dell’importanza, nella propria vita, della pratica del Karate-Do. Largamente influenzato dai Principi Buddhisti, il Ka-rate-Do, riconosce ‘nell’azione retta’ il presupposto fondamentale per la quiete della mente. Il rispetto dei principi morali dettati dai Dōjō Kun funge da ‘distillatore’ dell’azione guerriera propria alla pratica del Budō. Come ha detto il Maestro Omori Sogen, monaco Zen e Insegnante di Spada: ‘le arti marziali, praticate sen-za una Mente rivolta al Risveglio, non sono altro che pratiche bestiali’. Con una mente rivolta al Risveglio invece la pratica marziale diviene uno strumento di straordinaria po-tenza per conoscere sé stessi e conoscere gli altri ed il mondo, presupposto fondamentale ad ogni azione ‘morale’ ed ‘efficace’. I Dōjō Kun, come principi morali, fanno dunque la differenza tra una pratica ‘egoistica’ indirizzata solo alla fama e al profitto derivanti dal successo sportivo o magari solo al proprio esclusivo benessere e la pra-tica dell’autentico Budō tesa a forgiare uomini che possano mettere la propria integrità, salute, coraggio e forza al servizio dell’intera società.

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Eccomi, come promesso, a commentare il primo dei nostri cinque Dōjō Kun. Un’allieva mi chiedeva, qualche giorno fa, dove tro-vassi le energie, il tempo e la concentrazione per scri-vere riguardo i Dōjō Kun, visti gli impegni dell’insegnamento, della conduzione del Dōjō, a cui si è aggiunto in questi giorni l’ingente lavoro di co-struzione della nuova sede del Tora Kan Dōjō. Ho risposto che anche questo lavoro fa parte dell’edificazione del Dōjō, come è stato per ogni ge-

sto che ci ha portato dopo 25 anni a costruire una nuovo Dōjō. Il Dōjō non è fatto solo di mattoni, lo abbiamo già costruito e lo costruiamo, giorno per giorno, con la sincerità e qualità del nostro esercizio e, an-che...recitando i Dōjō Kun. Hitotsu 礼儀を重んずること

Reigi o omonzuru koto. Rispetta gli altri e agisci sempre con onore e cortesia

Analizziamo i caratteri che compongono il Dōjō Kun: 礼儀 (れいぎ): Reigi, Le buone maniere, l’etichetta.

Composto da 礼 (れい): Rei, il ringraziare, esprimere gratitudine e 儀 (ぎ) gi: cerimonia, modo

di comportamento.

重(おも)んずること: Omonzuru koto, rispetta,

onora...

Il Reigi, il comportamento adeguato e rispettoso,

regola la vita nel Dōjō nei rapporti tra i praticanti, tra allievi ed insegnanti, nel relazionarsi agli oggetti e agli spazi del Dōjō.

Ad Okinawa il Reigi del Budo giapponese è stato

recepito pienamente ma con alcuni adattamenti derivati dalle tipiche caratteristiche della cultura

Dōjō Kun: Il Primo Precetto

di Sensei Taigō Spongia

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

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okinawense.

Un’impostazione per certi versi più morbida e familiare è caratteristica dei modi di comportamento

nel Dōjō di Okinawa.

Così come alcuni aspetti dell’etichetta si esasperarono, con evidenti deviazioni, in Dōjō giapponesi (specie di Scuola Shotokan) sotto

l’influsso delle esigenze militari del periodo storico

nel quale il Karate è stato importato e si è diffuso in

Giappone.

I ‘modi di comportamento’ hanno lo scopo di educare l’animo del praticante alla cortesia, al rispetto, all’attenzione e alla vigilanza, oltre ad

avere l'effetto di ‘distillare’, la pratica marziale che

si svolge nel Dōjō. Rispettare i ‘modi di comportamento’ costringe il

praticante ad una continua attenzione e concentrazione nonché a rapportarsi con l’ambiente e con chi lo abita rispettando distanze, tempi,

ritmi… una vera educazione all’armonia e alla

consapevolezza.

“L’etichetta consiste nel cogliere di volta in volta il giusto equilibrio, e armonizzare la propria azione e

presenza con lo spazio ed il tempo di ogni situazione.”

I detrattori dell’etichetta del Dōjō sono per lo più

coloro che ne hanno una conoscenza estremamente superficiale e non l’hanno mai vissuta per esperienza

diretta in un vero Dōjō e che, non avendo la competenza e la ‘credibilità’ necessari per proporla,

si sono accontentati di scimmiottare sommariamente

e approssimativamente termini e gestualità

giapponesi per poi abdicare di fronte alla goffagine ed inefficacia della messinscena .

Come per ogni ‘buona educazione’ questa si assorbe

inconsciamente quando gli esempi e modelli di riferimento, nella famiglia, come in qualsiasi comunità, sono credibili e coerenti altrimenti si ottiene proprio l’effetto contrario e ‘l’etichetta’ diviene occasione di vessazione, rigidità,

instupidimento.

Anche la struttura architettonica di un Dōjō è studiata al fine di evocare una continua consapevolezza e ricordarci il legame con la natura e con chi ci ha preceduto sulla Via.

Il Reigi ha molteplici strati di significato che si svelano con l’avanzare dell’esperienza nella pratica e nella frequentazione del Dōjō.

Lo sguardo del praticante si deve affinare con

l’esercizio per cogliere sfumature e significati che sfuggono ad uno sguardo ordinario e superficiale,

per cogliere quello che è ‘nascosto allo sguardo’, 見え隠れ (miegakure) e che solo il cuore può cogliere intuitivamente. ‘L’essenziale è invisibile agli occhi’ scrive Antoine

de Saint-Exupéry nel suo ‘Piccolo Principe’. Chi ha frequentato un Dōjō per poco tempo (il che

può significare anche qualche anno), magari con

finalità esclusivamente legate alla forma fisica o

altro, può vivere con disagio i modi del Dōjō e non

fare in tempo ad arrivare a gustarne i preziosi frutti abbandonando prematuramente la pratica. Anche

questo è un effetto positivo del Reigi, quello di

favorire la selezione di chi è animato dalla corretta aspirazione e atteggiamento nei confronti del Dōjō e dell’insegnamento che vi risiede.

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Più di una volta ho fatto notare ai miei allievi il valore formativo del saluto rituale che viene effettuato all’inizio ed al termine delle lezioni, uno

dei momenti topici del Reigi del Dōjō. Il semplice allinearsi prontamente e precisamente,

che potrebbe essere riduttivamente interpretato come

un’atteggiamento conformista, richiede al praticante di uscire dal proprio ‘isolamento individualistico’

per entrare in relazione con gli altri nel condividere un ordine comune.

Chi è portato per la sua personalità ad

‘anteporsi’agli altri dovrà riconsiderare la propria posizione arretrando leggermente, chi è timidamente

portato ad arretrare, a nascondersi dietro gli altri, dovrà accettare di ‘farsi avanti’ e disporsi in prima

fila… Un’azione semplice del corpo che ha implicazioni profonde sulla psiche.

L’inchinarsi esprimendo sincera gratitudine ai Maestri dai quali abbiamo ereditato il prezioso

tesoro della nostra pratica, diviene altrettanto

fondamentale per attingere alla stessa energia che ha

animato la loro azione e rammentare a noi stessi che nulla saremmo senza lo sforzo e l’intuizione di chi ci ha preceduto, nel Karate-Do come nella vita.

Altrettanto vale per il muoversi nello spazio senza esitazioni, con eleganza ed efficacia.

Non si può esprimere un gesto elegante ed efficace

se si è contratti dalle proprie paure, insicurezze,

pregiudizi… esercitarsi ad esprimere gesti eleganti ed efficaci libera la mente dai suoi impedimenti e plasma e ammorbidisce il corpo.

Imparando ad ‘osservarci’, attraverso le forme che

ci impone il Reigi, mentre ci muoviamo nel Dōjō, ci permette di riconoscere le nostre vere caratteristiche, le nostre limitazioni, che spesso

riusciamo a dissimulare nella vita di tutti i giorni agli occhi degli altri e a noi stessi attraverso

molteplici strategie.

Il semplice imparare, finalmente, a riconoscere ed

ammettere a sé stessi le proprie limitazioni è già più

della metà del cammino verso il superamento dei propri limiti e la guarigione dalle proprie fobie e patologie.

Continuando a prendere spunto dal rituale del saluto,

chi comanda il saluto deve scuotere con la propria voce, col proprio vigore, lo spirito dei presenti, deve

concedere il giusto tempo senza permettere l’indugiare della mente.

Per non parlare dell’esercizio dello sguardo.

Quando ci si inchina all’altro si cerca per un istante il contatto degli occhi poi lo sguardo morbidamente ma decisamente si abbassa. Un contatto troppo

prolungato denota un atteggiamento aggressivo e

provoca imbarazzo e chiusura, lo sfuggire

timidamente il contatto degli occhi è altrettanto

indelicato e indice di eccessiva insicurezza.

Pensate per un istante quale profonda educazione

alla sensibilità, al cogliere e rispettare lo spirito

altrui, sia insita nel semplice educare il proprio

sguardo.

Imparare ad abbracciare tutto con uno sguardo

ampio che non afferra ma a cui nulla sfugge…

Questi sono solo alcuni esempi della grande efficacia del Reigi nella formazione del praticante.

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Tutti i grandi Maestri della tradizione del Budō hanno avuto la preoccupazione di trasmettere ai propri allievi la capacità di trasporre i principi dell’Arte ad ogni azione quotidiana,

Il Reigi coinvolge così ogni aspetto della vita nel Dōjō, ogni aspetto del vestire, dell’abitare, del ‘nutrirsi’, i tre Nyoho della tradizione Buddhista (molto del Reigi viene dalle forme nate nei Dōjō Zen).

Anche la stessa efficacia in combattimento, la cosiddetta difesa personale, era per Jigoro Kano, per Chojun Miyagi, Gichin Funakoshi…una naturale conseguenza dell’educazione alla prontezza, alla consapevolezza, alla determinazione che deriva non

solo dallo studio del Waza, della tecnica marziale specifica, ma anche dall’affinamento delle proprie qualità psicologiche, intuitive, percettive…

In Giappone si usa dire: ‘Si devono usare cortesia e

buone maniere anche tra buoni amici’. Nel Dōjō, anche se ci si conosce e frequenta da

decenni, ci si rapporta sempre con il rispetto e

l’educazione con cui ci si rapporterebbe ad un padre nei confronti dell’insegnante e a dei fratelli maggiori nei confronti dei compagni di pratica più ‘anziani’ detti Senpai 先輩 (せんぱい) ‘il compagno che è

arrivato prima, che sta davanti a noi’ . Il rapporto Senpai先輩 – Kohai後輩 (こうはい) ‘il compagno che è dietro, arrivato dopo’ è

determinante nei rapporti sociali nella cultura giapponese e nella comunità del Dōjō .

Da “Sol Levante” di Michael Crichton:

Dialogo fra John Connor, capitano dei Servizi Speciali in pensione e

profondo conoscitore della cultura giapponese e Peter J. Smith, agente di collegamento dei Servizi Speciali. …

Connor sorrise.

“Sono sicuro che se la caverà benissimo”, disse. “Probabilmente non avrà alcun bisogno di me. Ma se dovesse trovarsi in

difficoltà io dirò:

“Forse posso aiutarvi io”. Sarà il segnale che le redini passano a me. Da quel momento lasci che sia io a parlare. Sarà meglio

che non apra più bocca, anche se si rivolgeranno a lei. Okay?”

“Okay.”

“Magari le verrà voglia di dire qualcosa, ma non si lasci coinvolgere.”

“Ho capito.”

“Inoltre, non si mostri sorpreso, qualsiasi cosa io

faccia. Qualsiasi cosa.”

“D’accordo.”

“Non appena subentro io, lei si sposti leggermente

alle mie spalle, alla mia destra. Non si sieda. Non si guardi attorno. Non

dia mai l’impressione di distrarsi. Tenga presente che loro, a

differenza di lei, non appartengono alla cultura del bombardamento

televisivo. Sono giapponesi. Tutto quello che lei farà, ai loro occhi avrà un significato.

Ogni dettaglio del suo aspetto e del suo

comportamento avrà un suo peso… su di lei, sul dipartimento di polizia e su di me, in qualità di suo superiore e Senpai.”

“Va bene capitano.”

“Domande?”

“Che cos’è un Senpai?”

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Connor sorrise.

“In Giappone”, spiegò, “un Senpai è un uomo di esperienza che guida un uomo più giovane, chiamato Kohai. Il rapporto

Senpai-Kohai è molto comune. Spesso si dà per scontata l’esistenza

di un tale rapporto ogni volta che si vede un giovane lavorare con un

uomo più anziano.

Probabilmente lo penseranno anche di noi due.”

“Una sorta di mentore e allievo?”, chiesi. “Non proprio”, disse Connor. “In Giappone il rapporto Senpai-Kohai ha una sfumatura diversa. Più vicina alla funzione di un padre affettuoso: ci si aspetta che il Senpai sia indulgente nei confronti del Kohai e chiuda un occhio davanti alle intemperanze

e agli errori giovanili del suo protetto.” Sorrise. “Ma sono certo

che lei non combinerà niente del genere.”

(brano tratto da ‘La relazione Senpai-Kohai nella cultura giapponese’di P.Corgiat di cui consiglio la lettura per approfondire l’argomento che stiamo trattando: http://www.aikidoitalia.it/pics/Tesina%

20Senpai-Kohai.pdf)

Per concludere riporto a seguire le significative riflessioni di alcuni Maestri sul Reigi, l’etichetta del Dōjō:

“ Le Arti Marziali, senza un’autentica ricerca di realizzazione della mente, non sono altro che pratiche bestiali”

Omori Sōgen Roshi, Maestro Zen e Maestro di Spada

“L’alfa e l’omega del Budo sono nel Rei. Gli istinti aggressivi e combattivi aumentano se vengono lasciati liberi durante la pratica di combattimento. … Il combattimento

privo di regole e di etica appartiene al modo

animale e non al Budo. L’etichetta e la disciplina permettono il funzionamento

armonioso di queste regole.”

“Conoscere il giusto posto è come conoscere se stessi …

conoscere se stessi è conoscere la missione

assegnataci dal cielo. Compiere la missione del cielo è conformarsi all’ordine dell’universo … là risiede la vera pace.”

Tamura Sensei Aikidō

“La Via del Karate inizia e termina con il rispetto”

Gichin Funakoshi Sensei, fondatore del Karate

Shotokan

“…Un anno al culmine dell'estate, mi recai al Ryū Kan, una famosa palestra di arti marziali di Kumamoto, dove mi esercitai al Kendō con alcuni giovani. Conservo un indelebile ricordo di uno di loro, un giovane dell'ultimo corso che, grondante

sudore, s'inginocchiò con il busto perfettamente

eretto verso un piccolo altare e con voce squillante comandò agli altri: "Saluto!" (Rei!). Suscitò in me

un'impressione di freschezza, come se in

quell'istante si fosse lacerata la cortina di paura che

m'opprimeva. Mi parve che quello fosse un esempio

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perfetto di come un cerimoniale possa rendere affascinanti i giovani, molto più affascinanti di coloro che vivono in in modo sregolato e confuso.”

Yukio Mishima ( da 'Lezioni spirituali per giovani samurai')

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tratto dal libro "Meditazione: cos'è e come praticarla" del Maestro Dzogchen Sogyal Rinpoche, Edizioni Amrita, 1991

La Meditazione Come Stile di Vita

Quante persone ai nostri giorni hanno familiarità con la meditazione ? In alcune parti del mondo in particolare, la meditazio-ne è diventata un fenomeno molto comune, quasi un lavoro domestico. Ha incontrato un’accettazione ge-neralizzata, perchè viene riconosciuta come pratica che spezza molte barriere, sia culturali che religiose, e che mette a fuoco lo sviluppo spirituale personale; giacchè da molti punti di vista, la meditazione è una

pratica che trascende la religione. Se dovessimo presentare la meditazione da una pro-spettiva Buddhista, per prima cosa dovremmo notare che la pratica meditativa mira a lavorare sulla mente, sul cuore, e con l’energia. Certe volte possiamo prati-care la meditazione in maniera molto semplice: la-sciamo tranquilla la nostra mente, in una condizione naturale; nell’immobilità, nel silenzio e nella pace. Quietamente.

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Alcuni possono conoscere un metodo e usarlo, come l’osservazione del respiro. Ma altri, quando diciamo loro ” Sedete “, poi non sanno assolutamente che fare, e aspettano che il silenzio finisca il più presto possibi-le, perchè è qualcosa a cui non sono abituati, e per quanto idilliaco possa essere l’ambiente in cui vivia-mo, senz’altro è stato raggiunto dagli influssi del ven-tesimo secolo. Limitarsi a rimanere tranquilli e silenziosi è una cosa con la quale abbiamo la minima familiarietà: l’immobilità ed il silenzio ci rendono nervosi ed insi-curi, come se trovarsi di fronte a se stessi, senza alcu-na attività - tutti soli con noi stessi - fosse un’esperienza piuttosto terrorizzante. E la maggior parte delle volte, quando sediamo tranquilli, quello che succede è che i nostri pensieri cominciano a cor-rere a 2000 l’ora, se non più veloci. Quasi sempre, quando sediamo, il problema riguarda l’energia. A volte però, le cose sono facilitate da un certo am-biente, potrebbe essere un ambiente naturale, o una certa atmosfera creata da amici o praticanti che siedo-no in silenzio tutti insieme: allora, anche se non avete familiarietà con la meditazione, il fatto stesso di esse-re in un ambiente del genere vi ispira la pace mentale. Nelle prime fasi, quindi, la meditazione calma, pacifi-ca e stabilizza la mente. In effetti il termine sanscrito per indicare la meditazione è ‘ Dhyana ‘, in Tibetano ‘Samten’, in Cinese ‘Ch’an’ ed in Giapponese ‘Zen’. Che cosa significa la parola tibetana ‘Samten ‘ ? ‘Sam’ è la mente pensante, e ‘Ten ‘ significa solidifi-care, calmare o stabilizzare. Significa anche ” affida-bile ” o ” stabile “. Così il nostro primo passo è calmare e stabilizzare la mente pensante. Se la mente è in grado di stabilizzar-si da sola, senza ausilio di oggetti o tecniche, va be-nissimo. Altrimenti, se non siamo abituati, o se non ci sentiamo a proprio agio, e se semplicemente non sap-piamo come fare, allora in certi casi ci serviamo di tecniche quali osservare il respiro, guardare un ogget-to, od usare un mantra, per aiutare la mente a focaliz-

zarsi, calmarsi e stabilizzarsi. Quello che è sempre molto importnate tenere a mente è che il metodo, o l’esercizio, non sono che un mez-zo; in altre parole, non sono la meditazione. E’ per mezzo della pratica che si raggiunge la perfezione: il puro stato di presenza totale, che è la meditazione. Quando siamo realmente noi stessi … quando noi ci manifestiamo .. quando tutto il nostro ego innaturale si è dissolto … quando non esiste più dualità … quando siamo in grado di arrivare alla condizione non duale di assenza dell’ego… quello stato si chiama meditazione, nel senso ultimo della parola. Allora non esiste più alcun conflitto, perchè la dualità viene naturalmente dissolta e liberata. Così, quello che cerchiamo in realtà di fare quando pratichiamo la meditazione è calmare e stabilizzare, così da dimenticare la nostra mente confusa o ” sé egoico “. L’ego è un sostituto, un sé fasullo, sempre mutevole. Non è altro che un insieme di idee, concetti, condizio-namenti, basati non sulla verità; ma, su pure menzo-gne e credenze che, sottoposte ad esame, dimostrano di non aver alcun fondamento reale. E’ importante ricordare che il principio dell’assenza dell’ego nel Buddhismo non significa che prima c’era un ego, e che poi il Buddhista se ne è liberato ! Al contrario, significa che per cominciare non esiste al-cun ego, e che bisogna realizzare ‘questa’ assenza di ego. Talvolta, quando facciamo pratica, riusciamo a tro-varci in stato meditativo; allora scopriamo che non esiste più alcuna dualità, conflitto o confusione. E se guardiamo dentro di noi quando ci troviamo in tale stato, scopriamo che l’ego è inesistente: ci manife-stiamo attraverso il nostro vero sé naturale, o Sè Bud-dhico, il ” sé privo di sè ” che è sempre dentro di noi, e che costituisce la nostra natura inerente. E’ questo che tutte le religioni hanno sempre definito principio di bontà o divinità: l’uomo è fatto ad immagine di Dio, come dice il Cristianesimo; nel Buddhismo di-

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ciamo che la natura del Buddha esiste in ogni cosa. E dov’è questa bontà, questa natura Buddhica ? Nel profondo della Natura della Mente. E’ come il cielo momentaneamente oscurato dalle nubi che, quando le nuvole si dissolvono, si rivela, limpido e chiaro, con un sole immenso di compassio-ne che risplende su ogni cosa. Noi chiamiamo questa luce solare ” Boddhicitta “, il ” cuore della nostra essenza illuminata “. Questa bontà fondamentale deve essere trasportata nella nostra realtà; anche se è la nostra natura, e sia-mo tutti Buddha, siamo solitamente piuttosto confusi e rannuvolati, ed abbiamo dimenticato e perso il con-tatto con quello che siamo realmente. Quando diciamo che abbiamo la natura di Buddha, parliamo in termini di Terra; non dello stato finale di purificazione. Così, anche se Buddha ‘è’ la nostra natura, non ce ne rendiamo conto, dal momento che siamo oscurati da due nubi: quella emozionale e quella intellettuale. Siamo partiti insieme, ma il Buddha ha preso una strada, e noi l’altra. Così, negli insegnamenti, chiamiamo questo concetto ” una Terra, due Sentieri “. Abbiamo fatto qualche passo lungo la nostra strada, e questo si chiama ‘ Samsara’. In particolare, in Occidente, stare nel ‘Samsara’ è molto facile perchè il suo meccanismo domina il nostro essere con tanta potenza, ed il passo con cui procede è così spedito. Noi dobbiamo uscire dal nostro sentiero per cercarlo, il ‘Samsara’, e nem-meno attendere che arrivi; è ovunque come la polve-re: oggi pulisci e domani ce n’è altrettanta. Dal mo-mento che la sua influenza è così forte, il ‘Samsara’ si perpetua da solo, senza bisogno di alcun aiuto da par-te vostra. Il fine della meditazione è conservare la purezza della nostra natura inerente, ed anche se non riusciamo a rimanere a lungo in tale stato, se ogni giorno iniettia-mo almeno una goccia di una tale pura consapevolez-za nel nostro flusso mentale, ne costruiamo lentamen-

te l’intelaiatura. Il nostro carattere di base, fondamen-tale, non è altro che un flusso mentale od energetico: noi ’siamo’ solo un flusso mentale. Se ci guardiamo, e ci chiediamo chi siamo realmente, forse scopriremo che la nostra identità è tutte queste cose diverse: il passato, i nostri genitori, la nostra casa, il nostro lavo-ro, il nostro cane, la nostra compagna, nonchè qualsi-asi altra esperienza. E’ possibile che oggi ci sentiamo bene perchè oggi le cose vanno bene, ma se domani, chiedendoci come stiamo, scopriamo che non è la stessa cosa, dov’è fi-nito il ” sentirsi bene ” ? E’ scomparso completamen-te, perchè nuove nfluenze si sono succedute alle pre-cedenti. E noi continuiamo a cambiare con il mutare delle cir-costanza, come il flusso di un ruscello; anche se sem-bra sempre lo stesso, in effetti cambia continuamen-te…. Così dobbiamo modificare questo flusso menta-le, con la purezza della nostra natura intrinseca. Infatti, lo scopo della meditazione, non è solo avere davvero una fugace visione di quello che è la nostra natura e penetrarla, ma anche portare una tale consa-pevolezza nella nostra vita quotidiana; la nostra esi-stenza ordinaria ed il modo in cui vediamo le circo-stanze normali della nostra vita saranno allora bene-dette da una tale prospettiva. Anche solo esercitarsi per un breve periodo nella meditazione può fare un mondo di bene, ma se volete una tale pratica abbia realmente un effetto stabile e duraturo, quello che do-vete fare non è prenderla come una medicina o una terapia occasionale, ma come se fosse la fonte quoti-diana di cibo o sostentamento. Solo allora gli effetti reali della meditazione potranno farsi sentire. Basta pensare a quanto a fondo abbiamo percorso l’altra strada, creando concretamente un’abitudine’ che domina la nostra esistenza. Se guardiamo i nostri sogni, per esempio, vediamo che non sono altro che rappresentazioni ed immagini di abitudini, e, come si usa dire, ” le vecchie abitudini sono dure a morire “. Ci vuole ‘un bel po’, perché se

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anche lo stato meditativo è un’arma molto potente capace di spezzare la confusione, è altrettanto vero che non fa parte della nostra esperienza quotidiana e che non è diventata essa stessa un’abitudine: così non siamo capaci di trasportare la sua influenza positiva nel mondo delle nostre abitudini radicate. Ma, ancora una volta, è importante non accentuare troppo concetti dualistici, di lotta tra bene e male; tut-to questo è più simile al concetto di luce: quando splende, non si trova più l’oscurità. Così dobbiamo portare luce alle nostre vite, tirar fuori la nostra vera natura e permetterle di risplendere. Se guardate a certi grandi maestri, od ai buoni praticanti, od anche solo alle persone buone, vedrete che irradia-no calore, una presenza che è fonte di ispirazione, e che potete riconoscere quando vi trovate in loro com-pagnia. E’ interessante notare che i Tibetani, quando parlano tra loro, non chiamano il loro capo ” il Dalai Lama” bensì "Kun Dun", che significa "la presenza". Una persona realmente presente è un Buddha, e questa presenza buddhica è ciò che dobbiamo coltivare. All’inizio viene chiamata ” attenzione ” e quando la si realizza pienamente, diventa ‘presenza’. La disci-plina della pratica reale della meditazione insegna a mantenere una tale presenza nella nostra vita quoti-diana. Nel Buddhismo, si sente spesso pronuciare la parola ‘disciplina’: la disciplina non significa un atteggia-mento rigido, o una routine militaresca senza senso dell’umorismo, ma una consapevolezza e presenza di spirito continua. Viene definita ” come un profumo impregnante”. Nelle conversazioni avute con dei terapeuti, molti mi hanno spiegato come, stando alla loro esperienza, uno dei metodi più potenti di guarigione sia una ‘profonda’ meditazione in postura. A volte chiedono ai loro pazienti di rimanere in postura, come minimo per tre ore. Un altro fenomeno che hanno osservato è il fatto che anche se alcuni possono essere fortemente

legati alla meditazione, o ad altre tecniche di tratta-mento, e si sentano a proprio agio con esse, ciò nono-stante non riescono ad ottenere gli effetti desiderati: i sintomi non mostrano alcun miglioramento. Scoprono, poi, che la causa è il fatto che questi parti-colari pazienti accettano di meditare solo in presenza del terapeuta. Non continuano, poi, effettivamente, fino a portare la pratica nella vita quotidiana facendo-ne qualcosa di reale. Quando invece ci riescono, i successi sono molto più netti. Nello stesso modo, dobbiamo vedere la pratica della meditazione come modo di vivere. Ogni volta che praticherete la meditazione, sia nelle prime ore del mattino che in qualsiasi altro momento della giornata, vi accorgerete che aprirà una porta sul vostro essere inerente. Dopo questa apertura iniziale, la cosa più importante non è la pratica in sé, ma lo stato mentale che una tale pratica sviluppa dentro di voi: mangiare è piacevole, ma è più importante sentirsi soddisfatti e nutriti; così, lo stato mentale indotto dalla meditazione ha un si-gnificato molto maggiore del fatto stesso di meditare. Troppo spesso la gente si dedica alla meditazione per ottenere qualche risultato straordinario, come visioni, luci o miracoli sovrannaturali, e se tutto questo non accade , si sentono piuttosto delusi. Ma il miracolo che avviene in realtà è più normale e più utile: è una trasformazione sottile, non solo nella vostra mente e nelle vostre emozioni, ma anche nel vostro corpo, ed è altamente curativo. Come hanno scoperto scienziati e medici, quando godete di un buono stato mentale, anche le cellule del vostro corpo sono più contente: riuscite ad immaginare le cellule che alzano i loro piccoli calici di champagne e dicono ” cin cin ” ? Ma quando la vostra mente si trova in uno stato nega-tivo, allora anche le vostre cellule diventano maligne. La nostra salute globale ha parecchio a che fare con il nostro stato mentale, e con il nostro modo di essere. In particolare, in questo periodo, in cui gli uomini

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sono colpiti da così tante malattie, la comprensione di questo fatto non può non risvegliare in noi la possibi-lità di veder la vita in modo diverso: in un certo senso non esiste possibilità di scelta; è davvero questione di sopravvivenza. Vivere con lucididità è la più grande protezione, anche per la nostra salute. Così dovete prolungare lo stato mentale nel quale vi trovate dopo la meditazione, sicchè farete ogni cosa con quella presenza mentale. C’è una storia molto famosa di una conversazione di un maestro Zen ad un suo discepolo, il quale gli chie-de: ” Maestro, come porti l’illuminazione nell’azione concreta ? Come la pratichi nella vita quotidiana ? ” ” Magiando e dormendo “, risponde il maestro. ” Ma, Maestro tutti dormono e mangiano .” ” Ma non tutti mangiano quando mangiano, e non tutti dormono quando dormono “. Da qui deriva il famoso detto Zen: ” Quando mangio, mangio. Quando dormo, dormo “. Questo significa essere presenti al 100% nell’azione; non siete più il vostro ego ordinario, e la vostra azio-ne è diventata un’azione universale, un’azione com-passionevole. Senza più dualismo, ‘diventate voi stes-si l’azione’. Per esempio, è stato scoperto che quando rigovernate, se mantenete la mente pura e lavate i piatti con tutto voi stessi, ciò è molto energizzante. Se invece nel frattempo pensate a molte altre cose, allora diventerà una seccatura. Questo dovrebbe suggerirvi l’applicazione continua della lucida attenzione e della presenza. Se volete che la vostra pratica sia veramen-te di beneficio per voi e per la vostra esistenza, e per-ciò anche di beneficio per gli altri, non potrete dedi-carvi ad essa solo occasionalmente. Spesso la gente chiede: ” E’ meglio praticare venti minuti la mattina, o la sera, oppure fare diverse sedu-te più brevi ? ” Sì, è positivo praticare la meditazione venti minuti, anche se questo non vuol dire che venti minuti sia un limite massimo. Da nessuna parte nelle scritture si parla di venti minuti. ” Venti minuti ” è una nozione

che si è sviluppata in Occidente; potreste chiamarla ” Periodo Standard per la Meditazione ” . A volte la gente teme, se non rimane in postura per venti minuti, di fare qualcosa di sbagliato, come quando si inter-rompe una cura di antibiotici. Ma il punto fondamen-tale non è il tempo: il punto è se la pratica vi porta realmente ad un certo stato di presenza. Se così è, potete rimanere in postura anche solo cin-que minuti, per tre minuti, potete sedervi anche solo per un minuto…, per trenta secondi… perfino cinque secondi… ma potrebbe non essere sufficiente ! Il punto fondamentale non è nemmeno la postura, in particolare i meditatori pigri che si siedono per venti minuti e si appisolano ! Per loro in particolare, venti minuti di meditazione sonnolenta non sono consiglia-bili: dovrebbero praticare seduti cinque minuti , ma ben svegli… Credo che siano abbastanza felici di questa notizia !.... ...Se continuate una tale forma di alternanza di pratica e di rilassamento interconnessi dal filo della vostra lucidità, allora lentamente, lentamente, tra meditazio-ne e post-meditazione ci sarà minor differenza, scom-parirà il confine. Come ha detto un grande maestro: ” Non ho mai meditato, ma non mi sono mai neanche mai distratto, neppure per un solo secondo. Un tale praticante non ha bisogno necessariamente di meditare, perché si trova sempre in tale stato, e non si distrae mai, nemmeno per un solo momento. Naturalmente, il problema sta nel riuscire a farlo per ventiquattr’ore al giorno, trecentosessantacinque gior-ni all’anno. Quando fate un ritiro meditativo, per e-sempio, il fine fondamentale è tagliarvi fuori dagli impegni della vostra esistenza e ritirarvi nell’ambiente naturale e propizio della meditazione. Ritiro significa mettere un limite alle attività super-flue: in una tale situazione voi mantenete la medita-zione quasi ventiquattr’ore al giorno, anche mentre dormite, mangiate e vi rilassate. Se la vostra pratica è intensiva, profonda e rilassata a quel modo, allora comincia ad avere un effetto di fondamentale impor-

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tanza sul vostro essere profondo, e sul flusso della vostra mente. Però, non è soltanto praticando nell’ambiente di un ritiro che i benefici della meditazione possono perme-are il vostro flusso mentale. Dopo un tale ritiro, anche mentre vivete la vostra solita esistenza in città, potete praticare un po’ al mattino e quindi applicare una tale presenza in tutta la vostra vita quotidiana. Allora, o-gni volta che vi sentite persi, confusi, o distratti, tor-nate alla vostra meditazione, od alla vostra respirazio-ne, riconquistate e matenete tale stato di presenza, e riposate in esso per tutto il tempo che potete. E’ l’applicazione continua di tale presenza che provoca realmente cambiamenti profondi.... ...La respirazione è il tramite vitale dell’energia; è come lo spirito, che riunisce il corpo e la mente. Si dice spesso che la respirazione sia il veicolo della mente. Così, se volete calmare, o domare la mente, domate il respiro, e allora domerete abilmente la mente nel contempo. Quando usate la respirazione, tenete la bocca legger-mente aperta come se foste sul punto di dire ” aaah “. Non serve una respirazione speciale; respirate come vi viene, in maniera rilassata. A volte respirare ed es-sere presenti è sufficiente, ma se avete bisogno di concentrarvi perchè la vostra mente è molto agitata e turbolenta, allora centratevi sulla vostra respirazione

ed identificatevi con l’espirazione. Questa è una tecnica interessante, perchè mentre all’inzio può essere solo una semplice pratica di os-servazione dell’espirazione, in seguito, se si viene introdotti in forme di meditazione più avanzate, ci si accorge che può aprire molte, molte porte. Serve qua-si come preparazione per la pratica meditativa di Ma-hamudra o dello Dzogchen. Osservate la respirazione, focalizzatevi sull’espirazione e identificandovi in essa. Quando espirate, il respiro si dissolve nello spazio; l’inspirazione avviene naturalmente ogni volta che i vostri polmoni si svuotano, così non dovete pensarci troppo. Non concentratevi troppo; date circa il 25% della vostra attenzione, e lasciate il resto quietamente rilassato, tutt’uno con il vostro respiro. Usate questa tecnica per tutto il tempo che vi serve. Vi porterà maggiore chiarezza. Poi, quando vi ritro-verete più centrati nella natura della vostra mente, e quando vi ritroverete in sintonia con il respiro, non dovrete più rivolgergli particolari attenzioni. Limita-tevi semplicemente a riposare nella pace della vostra mente. Tranquillamente, svegli, attenti e rilassati. Poi, co-minciate nuovamente a distrarvi, ritornate ancora una volta alla respirazione. Questa è la tecnica. Ora si tratta solo di metterla in pratica.

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Allora un contadino disse: Parlaci del Lavoro. E lui rispose dicendo: Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l'anima della terra. Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita, che avanza in solenne e fiera sotto-missione verso l'infinito. Quando lavorate siete un flauto attraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica. Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e

muta quando tutte le altre cantano all'unisono ? Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizio-ne e la fatica una sventura. Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine. Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita. E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.

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Sul Lavoro

di Kalhil Gibran

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Ma se nella vostra pena voi dite che nascere è dolore e il peso della carne una maledizione scritta sulla fronte, allora vi rispondo : tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi è stato scritto. Vi è stato detto che la vita è tenebre e nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti. E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio, E ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere, E ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro, E ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore; E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi, con gli altri e con Dio. E cos'è lavorare con amore ? E' tessere un abito con i fili del cuore, come se doves-se indossarlo il vostro amato. E' costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato. E' spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia, come se dovesse goderne il frutto il vostro amato. E' diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito, E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intor-no a voi.

Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno: "Chi lavora il marmo e scopre la propria anima con-figurata nella pietra, è più nobile di chi ara la terra. E chi afferra l'arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana, è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi". Ma io vi dico, non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno, il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d'erba; E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore. Il lavoro è amore rivelato. E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla por-ta del tempio, accettare l'elemosina di chi lavora con gioia. Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuoce-te un pane amaro, che non potrà sfamare l'uomo del tutto. E se spremete l'uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino. E anche se cantate come angeli, ma non amate il can-to, renderete l'uomo sordo alle voci del giorno e della notte.

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Ogni primo mercoledì di ogni mese dalle ore 20 alle 22

Lezione Cinture Nere (Assist. e Resp. Dojo) Tora Kan Honbu Dojo

25-27 Marzo 2011 2° Gasshuku di formazione e aggiornamento Insegnanti IOGKF Italia

16-17 Aprile 2011

Stage Nazionale condotto da Katsuya Yamashiro Sensei

22 Maggio 2011 Seminario di Primavera Bambini IOGKF Italia

5 Giugno 2011

Seminario d’Estate

Giugno 2011 (data da stabilire)

XVIII Ken Zen Ichinyo Gasshuku

2 Luglio 2011

Esami di Graduazione Dan

25-29 Luglio 2011 Gasshuku Europeo Portogallo

2 Luglio 2011 Festa di Chiusura della Stagione Accademica

Ricordiamo che la pratica Zen presso il Tora Kan Dojo si tiene regolarmente il:

Martedi’ ore 05:50/06:50 Venerdì ore 05:50/06:50

Un Lunedì del mese dalle 21:30 alle 23:00 Una Domenica al mese Zazenkai o Zazenkai Sesshin

Possono prendere parte alle sedute di pratica tutti gli interessati.

Chi si avvicina alla pratica per la prima volta lo deve far presente al Dojo per essere opportunamente introdotto. Tel.:06-6155 0149

Altre informazioni e il calendario bimestrale degli incontri di pratica sul sito: www.torakanzendojo.org

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Essendo la finalità primaria del nostro notiziario l'informazione culturale relativa alle Discipline praticate nella nostra Scuola. Chi non fosse in possesso dei numeri precedenti di "Tora Kan Dojo", vista anche l'importanza dei temi trattati, può farne richiesta alla segreteria

Sperando di fare cosa utile riportiamo a seguire i sommari dei numeri precedenti:

Anno I numero I Luglio 1995 Introduzione.................................................del M° P.Spongia Storia del Goju-Ryu (I parte) Allo Stage del M° Sudo....di E.Frittella,M.Salustri ,D.Manzari Zen e Arti Marziali.....................................del M°P.Spongia Calendario attività Federali e Sociali KENKON significato del simbolo La Tora kan ha adottato una bimba vietnamita

Anno I numero II Novembre 1995 Introduzione.....................................del M°P.Spongia La Storia del Goju-Ryu (2a parte) Training Autogeno. I Kata del Goju-Ryu: Gekisai Dai Ichi e Ni...del M° P.Spongia Esami Tora Kan Zen e Arti Marziali (2a parte).........del M° P.Spongia Questa Terra è Sacra I precetti dell'Okinawa Goju-Ryu Calendario. L'Arbitro.................................di G. Manzari Medicina Sportiva : L'integrazione Alimentare......del Dott.D.Incarbone

Anno II numero 3 Febbraio 1996 Introduzione......................del M°P.Spongia Miyamoto Musashi.........del M°P.Spongia Il Libro dei Cinque Anelli......di M.Musashi Medicina Sportiva : I danni del Fumo.....del Dott.Onconi Lo Sport e i Bambini.............del M°P.Spongia Zen - La Tora kan come Dojo Zen Zen - Perchè Zazen........................... di L.D.Lestingi Il Significato della Cintura Nera..............del M°P.Spongia I Kata del Goju-Ryu - Saifa......................del M°P.Spongia L'Arbitro - Ippon o Waza-ari ? ................di G.Manzari Calendario

Anno II numero 4 Giugno 1996 Introduzione................................................del M° P.Spongia Intervista al Maestro Shunji Sudo...........di G. Manzari Il Mandarino della Presenza Mentale..... del M° T.Nhat Han I kata del Goju-Ryu : Seiyunchin..............del M° P.Spongia Zen -"Camminando distrattamente..."......di C.Devezzi Shoto Niju Kun.......................................del M° G.Funakoshi Il Giardino Zen...............................................di G.Micheli L'Arbitro : Comportamento vietato e penalità...di G. Man-

Anno III n° 7 Marzo/Maggio 1997 Da Cuore a Cuore : cinque giorni con Higaonna Sensei............... del M°P.Spongia Esami di graduazione Due parole sulla Kick Boxing.......................... .....di Antonio Caffi Una tradizione non ancora riscoperta................del M° Taiten Guare-schi Calendario Provvisorio eventi L'arbitro: Modifiche al regolamento.....................di Manzari Giusep-pe Poesia Zen Risultati Gare Una Strana eredità................................................di Valerio Proietti

Anno III n° 8 Estate 1997 Ken Ogawa e la grandezza mancata..........................di John Yacalis L’Arte Marziale come Arte Educativa....................di Jigoro Kano Esami di graduazione.............................................. I Regolamenti della Kick Boxing..........................di Antonio Caffi Poesia Zen e non................................................. Accomunati dalla pratica............................ di Massimo Abbrugiati Una Strana eredità................................................di Valerio Proietti

Anno IV n°10 Inverno 1997 Non Perdete la Memoria.......................................di P. Spongia Hojo Undo l’allenamento supllementare........di John Porta e Jack McCabe Le regole del Full Contact..................................di Antonio Caffi Poesia Zen e non La Tora Kan ai nazionali Csain................di Daniela Manzari Sforzarsi di perfezionare la personalità......di H. Kanazawa Una strana eredità.......................................di Valerio Proietti

Anno III n° 9 Autunno 1997 Karate-do Gaisetsu...............................................del M° C. Mi-yagi One MoreTime...................................................di A. Bini Okinawa 1998.....................................................del M° Higaon-na Un allenamento straordinario anzi normale.........di G. Manzari Poesia Zen e non................................................. Nei numeri precedenti.......................................... Riconoscimento del Kobudo Kyokai .................... Antichi Metodi.....................................................di J. Marinow Una Strana Eredità................................................di V. Proietti

Anno IV n°11 Primavera 1998 Shuichi Aragaki.........................................di P. Spongia Aikido ovvero............................................di E. Vitalini Perchè parlare di Yoga oggi........................di Stefania Amici Poesia Zen e non Sulle Arti Marziali...................................del rev. Taiten Guare-schi Una strana eredità.......................................di Valerio Proietti

Anno IV n°12 Estate 1998 Sensazioni nel Dôjô...................di F. Mezzanotte La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu...................di Morio Higaon-na Voce del Futuro Risposta all’incontro con un Maestro Zen...................di D. Di Perna Il Paradosso Morale..................di C. Barioli Agenda Schegge Zen e non Bun Bu......................................di P. Spongia

Anno IV n°13 Autunno 1998 Sakiyama Sogen Roshi La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu...........di Morio Higaon-na Voce del Futuro A Distanza di quei Due Giorni...di P.Favale Autobiografia di un Allievo divenuto Discepolo........di A. Landi Okinawa Budo Sai.......di P.Spongia Schegge Zen e non. Bun Bu.................di P.Spongia

Anno IV n°14 Inverno 1998-99 La struttura della I.O.G.K.F..............pag.3 ‘Na Sera a Betlemme........................pag.4 Il Karate del Leone............................pag.5 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)............pag. 10 Voce del Futuro...............................pag.13 XVII Gasshuku Europeo.................pag.14 Come un Cosmonauta....................pag. 15 Junbi Undo......................................pag.16 Trofei I.O.G.K.F. Italia...................pag.18 Agenda............................................pag.21 Schegge Zen e non.........................pag. 22

Anno V n°15 Primavera 1999 La struttura della I.O.G.K.F..................pag.3 Il Diritto del Bambino al Rispetto.....pag.4 Gli Scritti dei Maestri.........................pag.8 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)............pag. 15 Voce del Futuro...............................pag.18 XVII Gasshuku Europeo.................pag.20 I Colori del Buio, La Vove del Silenzio......................................pag. 21 Grazie Sempai.................................pag.22 1° Coppa I.O.G.K.F. Italia Kata....pag.23 Agenda............................................pag.24 Schegge Zen e non.........................pag. 25 Nei Numeri Precedenti...............pag.26

Anno V n°16 Estate 1999 La struttura della I.O.G.K.F..........pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei.......pag.4 Qualcosa in più su Okinawa.........pag.5 Miyagi il Grande Viaggiatore.......pag.8 Icona Vivente............................pag.13 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu(segue).........pag. 14 Lo Sguardo del Maestro..............pag.17 Voce del Futuro......................pag.18 Agenda...................................pag.20 Schegge Zen e non..................pag. 21

Anno V n°17 Autunno 1999 La struttura della I.O.G.K.F..............pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..........pag.4 Benvenuti a Stoccolma!....................pag.5 Vent’anni I.O.G.K.F.........................pag.6 Il Kakie nel Goju-ryu di Okinawa...pag.8 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)............pag. 14 Karate:Origine del nome.................pag.16 Voce del Futuro...............................pag.18 Agenda............................................pag.20 Schegge Zen e non.........................pag. 21

Anno VI n°18 Inverno 1999-2000 La struttura della I.O.G.K.F.........pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei....pag.4 Mò Vié Natale...........................….pag.5 Il Valore dei Kata.........................pag.6 Sydney Leijenhorst....................pag.7 Zazen e Kata Sanchin...............pag.10 Aikido alla Tora Kan.................pag.15 Il Guerriero-fiore.......................pag.16 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)......pag. 18 Voce del Futuro.........................pag.20 Agenda......................................pag.21 Schegge Zen e non..................pag. 22

Anno VI n°19 Primavera 2000 La struttura della I.O.G.K.F.........pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei....pag.4 Kata e Kumite...........................….pag.5 Maestro Oggi?…..........................pag.6 Un Capodanno a Fudenji............pag.7 Budo e Sport…………................pag.11 Hyaku Hachi no Bonno............pag.12 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)......pag. 17

Anno VI n°20 Estate 2000 La struttura della I.O.G.K.F...........pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…..pag.4 Rimanere Fedeli..............................pag.5 Vita da Zen.......................………….pag.9 Nel Cuore della Materia................pag.12 Graduazioni e Gare.................….pag.13 XVIII Gasshuku Europeo.........….pag.14 Appunti di Viaggio........................pag.16 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)...…..pag. 18 Voce del Futuro............................pag.20 Agenda......................................….pag.21 Schegge Zen e non.....................pag. 22 Riflessioni………………………….pag.23

Anno II numero 5 Settembre/Novembre 1996 Introduzione.........................................del M°P.Spongia Sensei Morio Higaonna:il leone di Okinawa....di Terry Hill (I parte) Sho Jin : lo sforzo concentrato qui e ora........di C.Devezzi Calendario Provvisorio eventi L'arbitro: Il Kata nelle competizioni sportive....di G. Manza-ri XIV Gasshuku Europeo................................del M° P.Spongia Nei numeri precedenti Nuovi corsi alla Tora Kan Hanno parlato di noi (rassegna stampa)

Anno III n° 6 Dicembre/Febbraio 1996-97 Vent’anni................................................................del M° P. Spongia Sensei Morio Higaonna:il leone di Okinawa.............di Terry Hill (II parte) Educazione e Karate-Do........................................del M° P. Spongia Calendario Provvisorio eventi L'arbitro: Comportamento “sportivo”.....................di Giuseppe Man-zari Poesia di Ryokan Tigri e Pecore....................................................di Patrick Mc Carthy Una Strana Eredità..................................................di Valerio Proietti

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

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seguono sommari dei numeri precedenti:

Anno 6 numero 21 Inverno 2000/2001 La struttura della I.O.G.K.F..............pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..….....pag.4 XIX Gasshuku Europeo.....................pag.5 Er Cambiamento..............…………...pag.6 Budo e Zazen Conferenza del M°Guareschi.............pag.7 Graduazioni IOGKF................….…pag.13 Album di Famiglia……….........…...pag.14 Lotta Libera……..............................pag.15 Dice lo Zen………………………...pag. 17 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)........….pag. 19 Voce del Futuro...............................pag.21 Agenda.........................................….pag.22 Schegge Zen e non......................…pag. 23 Riflessioni………………………….pag.23 Crescita…………………………….pag.24

Anno 6 numero 22 Primavera 2001 La struttura della I.O.G.K.F..............pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..….....pag.4 Riflessioni…………………………...pag.5 Miyagi Chojun Memorial Martial Arts Festival 2000………….pag.7 XIX Gasshuku Europeo...................pag.10 Budo e Zazen (2aparte) Conferenza del M°Guareschi...........pag.11 Ancora la Chiamano Olimpiade…..pag.16 L’attimo Da Non Perdere………….pag.18 Graduazioni IOGKF................….…pag.19 Dice lo Zen………………………...pag. 20 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)........….pag. 21 Voce del Futuro......................…......pag.23 Agenda IOGKF Italia..................….pag.24 Schegge Zen e non...................…...pag. 25

Anno 6 numero 23 Esatate/Autunno 2001 La struttura della I.O.G.K.F....…......pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..….....pag.4 Riflessioni…………………………...pag.5 Il Papalagi………………..………....pag.7 Intervista al Maestro Kase..........…...pag.8 L’Esercizio del Jiyu Kumite Nel Goju-Ryu di Okinawa.......……..pag.13 Penso che………….………..……...pag.18 Zen Humor………………………...pag.19 Graduazioni IOGKF................……pag.20 Dice lo Zen………………………...pag. 21 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)........….pag. 22 Voce del Futuro......................….....pag.24 Agenda IOGKF Italia..................…pag.25 Risultati Gare……………………...pag.26 Schegge Zen e non...................…...pag. 27

Anno 7 numero 24 Inverno 2002 La struttura della I.O.G.K.F....….....pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…...pag.4 Riflessioni……………………….…pag.5 Natale Vero..……………..………...pag.7 Dipingere il Gasshuku.....................pag.8 Impressioni di Settembre.......…......pag.13 Collage d’emozioni.………..……...pag.14 Gasshuku Symposium………….....pag.22 Graduazioni e Gare IOGKF...…....pag.26 Dice lo Zen…………………..........pag. 27 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)............pag. 28 Voce del Futuro......................…....pag.30 Agenda IOGKF Italia....................pag.31 Schegge Zen e non...................…..pag. 33 Nei Numeri Precedenti…………..pag.34

Anno 7 numero 25 Primavera 2002 La struttura della I.O.G.K.F.....….....pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..….....pag.4 Varcando la Porta d’Ingresso.…...…pag.5 Dimostrazione alla Nippon Ko Budo di Higaonna Sensei............pag.8 Primo Trofeo Iri Kumi..........….......pag.10 Kangeiko - Tempo Restituito...…....pag.12 Casalotti e una Luna Zen..……......pag.15 Gasshuku Symposium : Leijenhorst........................................pag.18 Graduazioni IOGKF..............…......pag.20 Dice lo Zen…………………...........pag. 21 Sensei Ernie Molyneux...................pag. 22 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue).............pag. 25 Agenda IOGKF Italia.....................pag.27 Schegge Zen e non...................…...pag. 28

Anno 8 numero 26 Autunno2002 La struttura della I.O.G.K.F.....….....pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…....pag.4 XXI Gasshuku Europeo..........…......pag.5 Gasshuku Symposium: Taiten Guareschi Roshi.....................pag.6 Kyusho...................................….......pag.10 .da “Il Profeta”..........................…...pag.16 Flash News.........................…….....pag.17 Dice lo Zen…………………..........pag. 18 Kata.................................................pag. 19 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)............pag. 22 Agenda IOGKF Italia.....................pag.26 Schegge Zen e non...................…..pag. 27 Nei Numeri Precedenti…….……..pag.28

Anno 8 numero 27 Inverno 2002/03 La struttura della I.O.G.K.F.....….....pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…....pag.4 Il Ki nella Pratica Buddhista Zen.....pag.6 Scoccare la freccia al proprio cuore....................................pag.12 Primo Viaggio..........................…....pag.13 Graduzioni IOGKF Flash News.........................…….....pag.15 La Totalità di Bohm e l’Ordine implicato...........................pag.16 Zen e Arti Marziali Il Principio dell’eccellenza.............pag.18 Dice lo Zen…………………..........pag. 23 La Visione Sciamanica...................pag. 24 La Storia del Karate Okinawa Goju-Ryu (segue)............pag. 26 Agenda IOGKF Italia.....................pag.28 Schegge Zen e non...................…..pag. 29 Nei Numeri Precedenti…….……..pag.30

Anno 8 numero 28 Primavera/Estate 2003

L’Agenda di Higaonna Sensei..…....pag.4 Sotto il Pino.....…...............................pag.5 Graduazioni IOGKF........................pag.11 Sensei Bakkies..................................pag.12 Ode alla Vita.............................…....pag.15 V Trofeo Higaonna..........................pag.16 Alla Gendronniere............................pag.18 Shuichi Aragaki Sensei....................pag.20 Dice lo Zen......................................pag. 24 Intevista ad una Karateka...............pag. 25 Lettera a Miriam.............................pag. 30 L’Agopuntura tradizionale cinese................................................pag.32 Agenda IOGKF Italia.....................pag. 36 Schegge Zen e non...........................pag.37 Nei Numeri Precedenti.....................pag.38

Anno 8 numero 29 Autunno 2003

L’Agenda di Higaonna Sensei..….....pag.4 Marcello Bernardi..............................pag.6 London Spring Gasshuku................pag.10 Graduazioni IOGKF........................pag.12 Intervista a Sensei Bakkies..............pag.13 Come acqua che scorre............…....pag.20 La Storia del Karate.........................pag.22 Scoprendo il corpo............................pag.24 Dice lo Zen......................................pag. 25 Agenda IOGKF Italia.....................pag. 26 Schegge Zen e non...........................pag.27 Nei Numeri Precedenti.....................pag.28

Anno 9 numero 30 Inverno 2003/2004

L’Agenda di Higaonna Sensei..…..…..pag.4 Il Maestro di Dattilografia.............…..pag.6 Breve Biografia di Sensei Tetsuji Nakamura………………...........……...pag.11 In Allegra Compagnia................……pag.13 Graduazioni IOGKF 1°Trofeo Kenkon………………….…..pag.14 Doping..………..............….…………..pag.15 Notizie Lampo.........................……...pag.17 Movimento del corpo e Stato della Mente........................…...pag.18 Significato dei Nomi dei Kata del Goju-Ryu.....................……pag. 21 La Missione di Taisen Deshimaru Roshi……………………..pag. 22 La Storia del Karate...……………….pag. 25 Dice lo Zen..…………………………..pag. 27 Agenda IOGKF Italia................……pag. 28 Schegge Zen e non.....…...........…….pag. 29 Nei Numeri Precedenti...............…...pag.30

Anno 9 numero 31 Primavera/Estate/2004

La Struttura della IOGKF…………….pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…..….pag.4 Lettera di Higaonna Sensei…………..pag.5 Speciale Kangeiko………...............…pag.6 Nakamura Sensei: tradizione moderna..12 Ricordi della visita di Jigoro Kano...pag.20 Bun Bu Ryodo, schegge di un’esperienzapag.22 Graduazioni IOGKF............….……….pag.24 Costruiamo insieme Fudenji....……..pag.25 Il Calendario di Fudenji.............…….pag.26 La Storia del Karate………………….pag. 27 Dice lo Zen……………………………..pag. 29 Agenda IOGKF Italia..................……pag.30 Schegge Zen e non…...................…….pag. 31 Nei Numeri Precedenti..................…...pag.32

Anno 9 numero 32 Autunno 2004

La Struttura della IOGKF…………….pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…..….pag.4 Riflessioni…………………..…………..pag.5 Ken Zen Ichinyo Gasshuku..............…pag.6 Tre giorni a Fudenji………………..pag.10 IOGKF Budo Sai 2004……………..pag.12 Immagini del Budo Sai 2004………pag.13 Appunti di viaggio…………………..pag.24 Graduazioni IOGKF............….…….pag.27 Costruiamo insieme Fudenji....……..pag.28 Il Calendario di Fudenji.............…….pag.29 IV Trofeo Iri Kumi…………………..pag. 30 Gasshuku a Palermo………………....pag.31 Dice lo Zen…………………………..pag. 34 Agenda IOGKF Italia..................……pag.35 Schegge Zen e non…...................…….pag. 36 Nei Numeri Precedenti..................…...pag.37

Anno 10 numero 33 Inverno 2004/05 La Struttura della IOGKF…………….pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…..….pag.4 Lo Sguardo che mi ri-guarda….……..pag.5 1°Trofeo Chojun Miyagi...............…….pag.7 Budo Sai Symposium: ‘Il Futuro del Karate’..............……………………………pag.9 Lettera aperta……………………....pag.14 Il Lavoro e il suo segreto…….………pag.15 Voce del Futuro…………………...pag. 19 Qualità del Tè verde…………….…pag.20 Graduazioni IOGKF............….……….pag.21 In ricordo del Maestro……………..pag.22 Costruiamo insieme Fudenji....……..pag.24 Il Calendario di Fudenji.............…….pag.25 La Storia del Karate………………….pag. 26 Dice lo Zen……………………………..pag. 28 Agenda IOGKF Italia..................……pag.29 Schegge Zen e non…...................…….pag. 30 Nei Numeri Precedenti..................…...pag.31

Anno 10 numero 34 Primavera 2005 La Struttura della IOGKF…………….pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…..….pag.4 1° Trinacria Gasshuku……..….……..pag.5 Il Karate di Zenko Heshiki...........…….pag.7 Voce del Futuro……………………...pag.13 L’Allenamento…...……………….…….pag.14 Graduazioni IOGKF............….……….pag.16 Cucinare la Vita……..…………………pag.17 La Mia Pratic con An’ichi Miyagi.pag.18 Pagine nel Vento…..……...……………pag.21 Budo e Zen: un cammino verso…….pag.22 Costruiamo insieme Fudenji....……..pag.25 Il Calendario di Fudenji.............…….pag.26 Kangeiko 2005…………………………pag. 27 La Storia del Goju-Ryu a fumetti…pag. 29 Agenda IOGKF Italia.........…......……pag.31 Nei Numeri Precedenti..................…...pag.32

Anno 11 numero 35 Inverno 2005/06 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…….pag.4 Chojun Miyagi………….……….…..pag.5 Il Monaco e il Leone……........……pag.12 A Fudenji……..……………………pag.13 La gara di Judo-educazione…...…..pag.14 Nakamura Sensei 2005.......….……pag.15 Voce del Futuro……..……………..pag.20 L’Allenamento……………………..pag.21 Graduazioni IOGKF..…...…………pag.22 Cucinare la Vita……………………pag.23 Sydney Leijenhorst: in equilibrio tra Yin e Yang.……………......……pag.24 Pagine nel vento………..............….pag.31 Una breve disamina sul kata Sanchin……………………………pag. 33 Il Calendario di Fudenji………..…pag. 36 La Storia del Goju-Ryu a fumetti….pag.37 Agenda IOGKF Italia.........…......…pag.39 Nei Numeri Precedenti..............…...pag.40

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seguono sommari dei numeri precedenti:

Anno 12 numero 37 Inverno 2007 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Il Suono del Fuoco………………….pag.4 Non è mai troppo tardi.……….…….pag.7 2° Trofeo Chojun Miyagi…….……..pag.8 La Storia dimenticata……………...pag.10 I Bersaglieri a Montelungo…..……pag.11 Carissima Mamma..……...…...…...pag.14 Il mio Otto Dicembre………………pag.15 Rikyu e i fiori..……….........….……pag.18 Il Fattore Ki..………………………pag.19 Ordinazioni..………………….……pag.21 L’Allenamento……………………..pag.22 Cucinare la Vita….....…...…………pag.25 Il Calendario di Fudenji………..…pag. 27 La Storia del Goju-Ryu a fumetti….pag.28 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.30

Anno 11 numero 36 Autunno 2006 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 L’Agenda di Higaonna Sensei..…….pag.4 Miyagi Chojun MA Festival & World Championships……...….… .pag.5 Una breve riflessione sul Sanchin...pag.11 II Trofeo Kenkon:risultati…………pag.12 Afrodite e Marte…………...…...…..pag.13 Shodan……………………………..pag.23 Essere Insieme……….........….……pag.24 Graduazioni IOGKF..……………..pag.27 L’Allenamento……………………..pag.28 Cucinare la Vita….....…...…………pag.30 Il Calendario di Fudenji………..…pag. 32 La Storia del Goju-Ryu a fumetti….pag.33 Agenda IOGKF Italia.........…......…pag.35 Nei Numeri Precedenti..............…...pag.36

Anno 12 numero 38 Primavera 2007 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Zen e Psicosomatica (1a parte)….….pag.4 1000 Km. A Fudenji….……….…….pag.8 Quattro giorni lunghi un’ora.……..pag.11 Aprirsi alla domanda………………pag.12 La forza della pratica condivisa…...pag.13 Giocare la vita…….……...…...…...pag.14 L’Allenamento……………………..pag.16 Voce del futuro…………………….pag.18 Cucinare la Vita….....…...…………pag.19 Shodan……………………………..pag.20 Il Calendario di Fudenji………..…pag. 22 La Storia del Goju-Ryu a fumetti….pag.23 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.25

Anno 13 numero 39 Autunno 2007 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Fudoshin, la mente inamovibile..….pag. 4 Zen e Psicosomatica (2a parte)….….pag.6 La Famiglia cresce………………..pag. 10 L’Azione Spontanea….……….…...pag.11 Guida al Bushido…………...……..pag.13 L’Allenamento……………………..pag.19 Cucinare la Vita….....…...…………pag.21 Il Calendario di Fudenji………..…pag. 24 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.25 Nei Numeri Precedenti..............…...pag.27

Anno 13 numero 40 Inverno 2007/08 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Lettera di Higaonna Sensei….. ..….pag. 4 Incontri ravvicinati tra scienza e mistica………………………...….….pag.5 L’attualità della Parola del Buddha………………………...pag.11 Judo-Moralità e pratica fisica.…….pag.12 3° Trofeo chojun Miyagi…...….…..pag.18 L’Allenamento……………………..pag.19 Cucinare la Vita….....…...…………pag.21 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.23 Sapore di Samu…………………….pag.24 Nei Numeri Precedenti..............…...pag.27

Anno 13 numero 41 Primavera 2008

La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Lettera di Higaonna Sensei….. ..….pag. 4

Incontri ravvicinati tra scienza e mistica...pag.5 L’attualità della Parola del Buddha…..pag.11

Judo-Moralità e pratica fisica.…….pag.12 3° Trofeo chojun Miyagi…...….…..pag.18 L’Allenamento……………………..pag.19 Cucinare la Vita….....…...…………pag.21 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.23 Sapore di Samu…………………….pag.24 Nei Numeri Precedenti..............…...pag.27

Anno 13 numero 42 Autunno 2008 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 La Costituzione……………….. ..….pag. 4 Diavoli armati………………...….….pag.6 Kata………………………………….pag.9 Don’t move…………………...…….pag.19 La Sincerità…………….…...….…..pag.21 Il Fattore Ki………………………..pag.23 Graduazioni IOGKF……………….pag.26 L’Allenamento……………………..pag.27 Cucinare la Vita………...………….pag.29 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.32 Nei numeri precedenti…..…………pag.33

Anno 14 numero 43 Inverno 2008/09 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Deprogrammarsi…..………….. ..….pag. 4 Saggio 2008……...…………...….….pag.6 Come trasformarsi………………....pag.10 Graduazioni IOGKF……………….pag.22 L’Allenamento……………………..pag.23 Cucinare la Vita………...………….pag.25 La Scienza e l’Irrazionale…………pag.26 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.28 Nei numeri precedenti…..…………pag.29

Anno 15 numero 44 Primavera 2009 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Memento…………..………….. ..….pag. 5 Premio Makoto......…………...….….pag.7 Giovannino Guareschi……..……….pag.8 Il Gentiluomo……………………...pag.11 Graduazioni IOGKF……………….pag.14 L’Allenamento……………………..pag.15 Le Sette pieghe dell’Hakama..…….pag.17 Speculando sul Sisma……………...pag.19 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.21

Anno 15 numero 45 Autunno 2009 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Invito alla collaborazione….….. ..….pag. 5 Il genoma e la criptonite……...….….pag.6 Il mio ricordo di Miyagi Sensei……pag.10 La famiglia IOGKF Italia cresce.....pag.13 Lo Stile del Guerriero……………...pag.14 Graduazioni IOGKF……………….pag.16 Alluvione al Dojo di S.Teodoro……pag.18 L’Allenamento……………………..pag.19 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.23 Voce del Futuro……………………..pag.24 Il Buon Senso di un’Oca…………...pag.25 Nei numeri precedenti…..…………pag.26

Anno 16 numero 46 Inverno 2009 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Fare L’Uomo…………..….….. ..….pag. 6 Premio Makoto………..……...….….pag.8 Hojo Undo, una panoramica……..…pag.9 Cambiare d’Abito………………......pag.15 Viaggio di ricerca in Cina.………...pag.17 Graduazioni IOGKF……………….pag.21 Rassegna(zione) Cinematografica…pag.22 L’Allenamento……………………...pag.24 Lettera del Maestro Guareschi…….pag.26 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.28 Voce del Futuro……………………..pag.29 Nei numeri precedenti…..…….……pag.30

Anno 16 numero 47 Primavera/Estate 2010 La Struttura della IOGKF…………..pag.3 Redazione Tora Kan Dojo.................pag.5 Il Karate del Mio Gatto..…….....…..pag. 6 Hidari Gomon........…………... ...….pag.8 Lo Stage di Sensei Nunes..................pag.9 Riflessioni.........................................pag.12 Dice lo Zen…..…………….……….pag.13 Gasshuku dei Capo Istuttori…...….pag.14

L'incontro con Eido Shimano Roshi a Kozenji……………......…...pag.16 Come Allacciare la Cintura…….....pag.20 L’Allenamento……………………..pag.21 Agenda IOGKF Italia.........……..…pag.24 Nei numeri precedenti…..…………pag.29

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

Anno 17 numero 48 autunno 2010 La Struttura della IOGKF…………pag. 3 Augurio di inizio Stagione...............pag. 4 Costruiamo insieme……………….. pag. 6 Resoconto del Viaggio in Cina….....pag. 7 Il Kata: un Esercizio Esoterico……pag.12 Dice lo Zen…..…………….……….pag.21 L’Allenamento……………………..pag.22 Graduazioni………………………..pag.24 Novità: il Blog……………………...pag.26 The Budō Charter.............................pag.28 Il Diario del Dōjō……......................pag.30 La Tecnica Segreta di Sensei……...pag.32 Mutamento di Prospettiva…………pag.33 Ken Zen Ichinyo Gasshuku……….pag.36 Ringraziamento……………………pag.40 Agenda IOGKF Italia……………..pag.46

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L’ International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Italia è presente su Internet con un sito ricco di preziose informazioni. Sul sito è anche disponibile l’albo delle cinture nere IOGKF Italia e una selezione di

articoli pubblicati sui vecchi numeri di T.K.Dojo

www.iogkf.it

Nichi Nichi Kore Koujutsu (Ogni giorno, così com'è, è un buon giorno)

incisione su pietra di Sensei P.Taigō Spongia

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49

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“Ho smesso di voler capire e accettato di non capire. Non capire è forse l'unico modo per stare davanti ad un'eternità e scusarsi d'aver così spesso e con tanta

distrazione sottovalutato la portata del suo mistero.”

Tiziana Verde

Tora Kan Dojo Anno 17° n. 49