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Page 1:  · Web viewIl Santuario luogo di misericordia e di tenerezza. Orizzonti, prospettive, indicazioni Alfonso Langella Pompei, 24 Novembre 2016 - ore 9.30 Il ruolo del santuario nell’annuncio

IL SANTUARIO LUOGO DI MISERICORDIA E DI TENEREZZA. ORIZZONTI, PROSPETTIVE, INDICAZIONI

ALFONSO LANGELLAPompei, 24 Novembre 2016 - ore 9.30

Il ruolo del santuario nell’annuncio e nell’offerta della misericordia di Dio alle creature e nella proposta di uno stile di solidarietà tra gli uomini è emerso più volte nel cammino percorso in oltre cinquant’anni dai Convegni dei rettori dei santuari italiani. Tali Convegni hanno prodotto notevoli riflessioni di carattere teologico e pastorale, anche alla luce dei documenti del magistero e del rinnovamento teologico postconciliari che li hanno accompagnati: due, in particolare, hanno già affrontato questo tema. Il XXIV Convegno (Roma 1988), su Il Santuario casa della misericordia1, ha proposto, tra le altre, la riflessione del biblista Giovanni Odasso, che ha letto il ruolo che il tempio aveva assunto nell’Antico Testamento, sia come luogo in cui si manifesta la misericordia di Dio, sia come spazio dal quale scaturisce lo stile dell’attenzione ai poveri da parte del popolo di’Israele2; mentre, sul piano storico, Vincenzo Bo ha descritto le linee fondamentali dell’azione caritativa che i santuari hanno svolto nei secoli3. Più recentemente, il XLVIII Convegno (Siracusa 2013) si è soffermato su Il Santuario casa della tenerezza: tra i relatori, la teologa Ina Siviglia ha toccato con una connotazione anche mariana il tema dell’esperienza della tenerezza nella pastorale dei santuari, nei suoi tratti specificamente “femminili”4.Oggi, tuttavia, in considerazione del forte impulso generato dall’anno giubilare della misericordia e da tutto l’insegnamento di papa Francesco, occorre mettere a fuoco alcune convinzioni teologiche che possano aprire nuove piste percorribili sul piano pastorale, anche nella vita dei santuari, per annunciare e testimoniare la tenerezza misericordiosa di Dio e tra gli uomini.Il legame tra la misericordia e la tenerezza è uno dei dati peculiari dell’insegnamento di papa Francesco, espresso con particolare frequenza nel corso del recente Giubileo. Tale associazione trova la sua radice nella stessa Scrittura. Il famoso termine ebraico rahamim, infatti, può essere indifferentemente tradotto con “misericordia” o con “tenerezza”, oltre che con altri vocaboli che esprimono le diverse sfumature dell’amore materno. Enzo Bianchi, riferendosi a una recente traduzione dei vangeli condotta da quattro bibliste5, ha sostenuto:

«mi pare significativo che siano proprio delle donne bibliste a insistere, per esempio, sul fatto che il termine ebraico tradotto nelle lingue neolatine con “misericordia” possa essere reso con “tenerezza”»6.

Nella bolla d’indizione del Giubileo, Misericordiae vultus (d’ora in poi MV) ha utilizzato l’immagine dell’architrave – che è ben comprensibile ai rettori dei santuari, spesso alle prese con i costosi lavori di rifacimento degli edifici sacri – per definire il ruolo “strutturale” della misericordia nelle fede e nella prassi ecclesiale:

1 Cf. COLLEGAMENTO MARIANO NAZIONALE, Il Santuario casa della misericordia. Atti del XXIV Convegno Nazionale dei Rettori dei Santuari d'Italia - Roma 1988), Santuario della Madonna del Divino Amore, Roma 1989.2 G. ODASSO, Misericordia di Dio e solidarietà umana nella prospettiva biblica del tempio, ivi, 35-44.3 V. BO, La tradizione caritativa del santuario, ivi, 19-33.4 COLLEGAMENTO NAZIONALE SANTUARI, Il Santuario casa della tenerezza. “Lasciala fare” (Gv 12,7): una sintesi dei lavori in A. RICUPERTO, I santuari sono luoghi particolari della tenerezza, in Avvenire, 12 novembre 2013.5 I vangeli tradotti da quattro bibliste, a cura di R. VIRGILI, Ancora, Milano 2016 (le quattro bibliste sono Rosalba Manes, per il vangelo di Matteo, Annalisa Guida per quello di Marco, Rosanna Virgili per Luca, Marida Nicolaci per Giovanni.6 E. BIANCHI, Rivalutare la tenerezza: anche Dio dà le carezze, in Avvenire, 14 ottobre 2015, 28.

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«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia”» (MV 10).

Se la misericordia è continuamente presente in tutti i pronunciamenti del papa, il tema della tenerezza la accompagna spesso, a partire dai tre grandi documenti del suo magistero: undici volte il termine compare nell’ Evangelii gaudium (24 novembre 2013), nove volte nell’enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), soprattutto in relazione all’opera creatrice del Padre, e ben venti volte nell’Esortazione postsinodale Amoris laetitia (19 marzo 2016), per delineare i gesti della vita familiare. Il Giubileo della misericordia (8 dicembre 2016 – 20 novembre 2016) ha consentito alle comunità cristiane di prendere decisamente coscienza di questi temi; ora nasce il compito di realizzare concretamente i propositi emersi. Papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita pastorale a Napoli nel 1990, affidò ai cristiani partenopei la missione di “organizzare la speranza”7: questa espressione – che da allora è diventata uno dei principi ispiratori del cammino della diocesi – è apparentemente paradossale, poiché coniuga lo sforzo umano della programmazione con la virtù teologale, che viene da un dono di Dio. Anche il compito della Chiesa universale postgiubilare, pertanto, potrebbe essere indicato con l’espressione “organizzare la misericordia e la tenerezza”: questo significa che siamo chiamati, da un lato, ad “armonizzare” gli sforzi per testimoniare la misericordia del Dio trinitario che perdona e, dall’altro, a “strutturare” interventi atti a rivelare la solidarietà tra gli uomini.I santuari, in particolare, per la loro collocazione spirituale e giuridica nella vita della Chiesa, possono diventare davvero un “segno profetico” per il rinnovamento della vita pastorale della comunità dei fedeli in questa direzione: in questo intervento proporrò alcune piste di riflessione sull’“organizzazione” della misericordia e della tenerezza nei santuari, i quali potrebbero contribuire alla trasformazione delle modalità della presenza della Chiesa nel mondo. Mi lascerò guidare dai quattro principi cardine, che papa Francesco ha indicato proprio nell’Evangelii gaudium (d’ora in poi EG) per realizzare la «costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità» (EG 221), ma che senz’altro, come ha riferito altre volte, possono motivare anche la “conversione pastorale” della comunità cristiana e, dunque, il rinnovamento della vita dei santuari: si tratta del primato del tempo sullo spazio (EG 222-225), della prevalenza dell’unità rispetto al conflitto (EG 226-230), della superiorità della realtà rispetto all’idea (EG 231-233) e della preminenza del tutto rispetto alla parte (EG 234-237). Egli stesso li fa derivare dai quattro postulati della Dottrina sociale della Chiesa, che sono il primato della dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, il principio di sussidiarietà e il valore della solidarietà (EG 221)8. Nonostante qualche obiezione che questi principi hanno suscitato tra i teologi (soprattutto sul web)9, pare opportuno ispirarsi ad essi, perché sul piano della prassi mostrano tutta la loro efficacia e incidenza sul cambiamento dei comportamenti. 7 GIOVANNI PAOLO II, Discorso in occasione del primo incontro con la Città di Napoli, 9 novembre 1990: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII/2 [1990], L EV, Città del Vaticano 1992, 1059.8 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA GIUSTIZIA E PER LA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, LEV, Città del Vaticano 2004, nn. 160-161.9 Per la critica ai principi di papa Bergoglio cf. G. SCALESE, I postulati di papa Francesco: http://querculanus.blogspot.it/2016/05/i-postulati-di-papa-francesco.html (accesso del 3 giugno 2016); G. MEIATTINI, Il tempo è superiore allo spazio? Intorno a una tesi di papa Bergoglio: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351356. A quest’ultimo rispondono, tra gli altri, G. LAFONT, Le temps est-il supérieur à l’espace ? http://www.cittadellaeditrice.com/munera/le-temps-est-il-superieur-a-lespace/; A. GRILLO, Il rischio di un risentimento dello spazio contro il tempo. A proposito di una critica di Don Giulio Meiattini a papa Francesco nel suo blog “Come se non”: http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/ del 24 agosto 2016. Ma il dibattito prosegue ancora sullo stesso blog: cf. http://www.cittadellaeditrice.com/munera/sui-4-principi-di-papa-francesco-il-dibattito-prosegue/.

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1. Il tempo è superiore allo spazio: la misericordia e il rapporto tra Chiesa locale e santuario

L’assioma della superiorità del tempo sullo spazio è per il papa «il primo principio per progredire nella costruzione di un popolo» (EG 222). Esso permette una rilettura delle differenze tra la vita pastorale attuata nelle parrocchie e l’approccio degli operatori dei santuari ai pellegrini, che va oltre la distinzione scontata tra pastorale ordinaria (nelle parrocchie) e straordinaria (nei santuari)

1.1. Il principio base della misericordia

Papa Francesco aveva accennato al postulato della superiorità del tempo sullo spazio già nella sua prima enciclica, la Lumen fidei, promulgata assieme a Benedetto XVI:

«Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che ‘frammentano’ il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza» (Lumen fidei, 57).

Ma in Evangelii gaudium il papa ne offre la spiegazione più dettagliata:

«Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. […] Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci» (EG 223)10.

Per giustificare biblicamente il principio, il papa menziona il richiamo di Gesù allo Spirito che nel tempo avrebbe progressivamente rivelato la verità intera ai discepoli (Gv 16,12-13) e la parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-30), che invita all’attesa del giudizio escatologico, scoraggiando ogni giudizio immediato sulla realtà (EG 223). Si tratta, quindi, di un criterio decisivo per attuare concretamente la misericordia, che è figlia dell’attesa e della pazienza e che esige il rispetto dei tempi della maturazione delle persone e delle comunità.Il primato del tempo sullo spazio emerge anche nella vicenda di Maria, primo «santuario dello Spirito»11: nella sua attesa di donna in gravidanza si concentra la secolare speranza messianica di Israele, che si realizza nello «spazio minimo» del suo ventre (Lc 1,31) e nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4): è lì che tale speranza giunge a un compimento che, a sua volta, apre una nuova storia di salvezza, che spinge gli uomini a camminare verso la della realtà del destino eterno e beato, che lei, «donna escatologica» ha già conseguito12. In lei, che come Gesù ha operato in uno spazio

10 Il principio è richiamato anche in Laudato si 178 (in riferimento alla miopia di una certa politica incapace di avere sguardi lungimiranti sull’ambiente) e Amoris laetitia 3 (a proposito del rispetto della crescita della coscienza di ogni persona) e 261 (in relazione all’educazione). Esso riappare anche in altri testi pontifici, come nel messaggio ai partecipanti al Convegno diocesano di Roma del 16 giugno 2014. Cf. G. MASPERO, Il tempo superiore allo spazio (EG 222): un principio teologico fondamentale per l’agire cristiano, in PATH 13 (2014) 403-412. Il tema era già comparso nell’intervista del papa ad Antonio Spadaro, concessa poco dopo la sua elezione: cf. A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, in La Civiltà cattolica III (2013) 468 (tutto l’articolo in 449-477);ma era già presente nella mente del papa fin dal 1974, secondo J.C. SCANNONE, Papa Francesco e la teologia del popolo, in La Civiltà cattolica, III (2014), n. 3930, 571-590.11 Cf. L.M. DI GIROLAMO, Maria, tempio e santuario del Signore, in Miles Immaculatae 39 (2003) 159-229; A. LANGELLA, La figura di Maria e il tema del santuario: riflessioni teologiche e proposte pastorali, in ARCIDIOCESI DI NAPOLI - OPERA NAPOLETANA PELLEGRINAGGI, Santuari e mezzogiorno. Riflessioni teologiche ed esperienze a confronto, a cura di U. Dovere, ONP, Napoli 2006, 71-87.12 Cf. A. LANGELLA, Maria donna della speranza nella Spe salvi, in Asprenas 55 (2008), n. 1, 139-160.

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geografico limitato, il primato del tempo della pazienza di Dio con gli uomini si è rivelato con particolare evidenza: è lei che canta la misericordia eterna che Dio elargisce nel passato, nel presente e nel futuro dell’umanità, «di generazione in generazione per quelli che lo temono» (Lc 1,50) e «come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre» (Lc 1,55).

1.2. Pastorale del primato del tempo sullo spazio: un confronto tra santuari e parrocchie

Il principio della superiorità del tempo sullo spazio è gravido di conseguenze per l’ecclesiologia: una visione di Chiesa del “primato dello spazio”, infatti, si concretizza nell’organizzazione delle comunità cristiane su base territoriale (come avviene di fatto nella struttura diocesana e parrocchiale), in modo da poter servire, ma anche “guidare”, il maggior numero di persone, con la pretesa – a volte velleitaria – di voler ricoprire tutte le zone del territorio di un paese per evangelizzarle; al contrario, un’ecclesiologia del “primato del tempo” (come quella che, invece, caratterizza di fatto la vita del santuario) diventa totalmente libera da questa preoccupazione di “conquista” territoriale e si propone umilmente nei processi dinamici che lo Spirito innesca a favore della conversione personale e delle comunità. Già nel 2005, mons. Domenico Sigalini, contrapponeva il metodo della «della domanda risposta», ossia della presunzione di poter soddisfare ogni domanda dei fedeli, a quello della «scommessa», ossia del lasciarsi provocare dalla domanda, senza alcuna pretesa di offrire soluzioni, ma offrendo una testimonianza umile, discreta, che non pretenda di “attirare” ma di “incontrare” e di “sorprendere”: egli esortava gli operatori dei santuari superare la prassi consueta del primo annuncio vissuto generalmente nelle parrocchia (attraverso le strutture standardizzate del catechismo, della preparazione ai sacramenti, vissuti negli spazi stretti dell’edificio parrocchiale) e perseguire questa prassi kerigmatica, che fa appello alla vita concreta delle persone.13 La contrapposizione tra la pastorale parrocchiale e la pastorale dei santuari – evidentemente si tratta di una semplificazione finalizzata a indicare le diverse prospettive e non tiene conto della molteplice varietà delle situazioni – a proposito del rapporto tra spazio e tempo trova un’ulteriore conferma se si considera che la parrocchia vive generalmente concentrata sul presente e solo limitatamente si rivolge al passato e al futuro, se non con riferimenti prossimi, mentre il santuario abbraccia più ampiamente le tre dimensioni del tempo, divenendo luogo della memoria, della presenza e della profezia14. La sua vocazione, infatti, consiste nel custodire la memoria del passato, spesso remoto e glorioso, rivelando perennemente le radici cristiane delle diverse culture, ma anche nell’evocare l’azione originaria del Dio creatore, che si crea una casa per rimanere con gli uomini (2 Sam 7,5-14), suscitando nel pellegrino atteggiamenti di stupore, di adorazione, ma anche di solidarietà con i fratelli dello stesso Dio. Il santuario, inoltre, nell’accompagnare la fede dei fedeli che lo raggiungono nell’oggi della storia, offrendo occasioni di contemplazione della tenerezza di Dio, rivelata agli occhi del corpo e dello spirito, mostra la presenza permanente e discreta del Dio trinitario in tutte le vicende dei singoli e delle comunità, consentendo ai pellegrini di fare l’esperienza dell’alleanza, nella Parola e nei sacramenti, come negli altri atti di culto e nelle diverse forme di pietà popolare. E, infine, apre profeticamente al futuro e alla meta comune del nostro

13 D. SIGALINI, Parrocchia e Santuari, Santuario del Divino Amore, 2005: http://www.santuariodivinoamore.it/parrocchia_e_santuari.html (consultato il 20 novembre 2016).14 B. FORTE, Il Santuario, centro di comunione e fonte di grazia per la vita liturgica e la pietà popolare. Per una teologia del “tempio”: memoria, presenza, profezia, in Santuario S. Lucia a Mare. Atti delle celebrazioni, Santuario di S. Lucia, Napoli 1983, 25-40; IDEM, Il Santuario: memoria, compagnia e profezia del Dio-con-noi, in Santuario e accoglienza. Verso il Grande Giubileo del 2000, Piemme, Casale Monferrato 1995, 42-56; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, Il santuario: memoria, presenza e profezia del Dio vivente, 8 maggio 1999, EDB, Bologna 1999 (cf. la presentazione del documento ad opera di B. FORTE, Il Santuario “cifra” dell’incontro con l’altro. Presentazione del Documento “Il Santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente”, in Il Santuario luogo privilegiato dell’incontro fra Dio e il Suo Popolo pellegrino nel tempo. XIV Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, a cura di B. FORTE - G. RAVASI, LEV, Città del Vaticano 1999, 17-31).

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viaggio terreno, che raggiungeremo attraverso il pellegrinaggio faticoso e gioioso (il “Canta e cammina” di sant’Agostino) e nel quale finalmente troveremo ristoro, quando, finalmente, non avremo più bisogno di uno spazio per incontrare Dio, ma lo adoreremo in Spirito e verità (Gv 4,23).La relazione dialettica tra primato dello spazio nella prassi delle Chiese locali e primato del tempo nel vissuto di un santuario, implica la necessità di un’armonizzazione delle due strutture ecclesiali. Spesso, invece, accade che il magistero delle Chiese locali ignori le risorse che i santuari possono offrire alla vita delle comunità: è stato notato che gli ultimi due documenti della Conferenza episcopale italiana relativi agli orientamenti per il decennio 2000-2010 (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia) e per il decennio 2010-2020 (Educare alla buona vita del Vangelo) non contengono una parola sui santuari. Il XL Convegno dei Rettori dei santuari del 2005 si soffermò compiutamente sulla necessità di favorire la «circolarità feconda» tra le due realtà ecclesiali, che spesso si ignorano, quando non sono rivali, se sussistono su uno stesso territorio15. Il santuario, infatti, accoglie spesso fedeli che hanno diradato la presenza ai raduni della comunità locale e consente di esprimere un’esperienza meno “clericale” di quella offerta dalla comunità locale: la pietà popolare – che papa Francesco, ispirandosi alla teologia latinoamericana, chiama «spiritualità popolare» (EG 124) –, spesso mortificata dagli schemi della pastorale parrocchiale, trova nei pellegrinaggi ai santuari la sua più chiara manifestazione; inoltre, realizza l’esigenza evangelica di favorire una spiritualità della speranza – anche terrena – nell’azione concreta di Dio che risponde alla richieste del popolo, attraverso la sua opera liberatrice e guaritrice. Paolo VI, a questo proposito, nell’Udienza ai Rettori dei Santuari in occasione dell’VIII Convegno del Collegamento nazionale mariano del 1972:

«I santuari possono fare moltissimo, moltissimo; sono in un certo senso le cliniche spirituali dei pellegrini che forse nelle loro rispettive parrocchie, Chiese o diocesi non trovano il conforto spirituale di cui hanno bisogno, come singoli e come gruppi: nei santuari si aprono e guariscono».

In questo senso, pertanto, i santuari possono profeticamente indicare alle Chiese locali nuovi stili di incontro, che consentano ad ogni persona di riscoprire aspetti del volto misericordioso di Dio a cui spesso la pastorale non presta attenzione. 2. L’unità è superiore al conflitto: la dimensione “agonica” della tenerezza e la pastorale della carità nei santuari

Nella tensione bipolare che dà origine al secondo principio, quello per il quale «l’unità è superiore al conflitto», papa Francesco riconosce che, lungi dall’evitare o sminuire le contrapposizioni, è necessario assumerle e superarle: «L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. Supera qualsiasi conflitto in una nuova, promettente sintesi» (EG 230). In questo modo anche la misericordia assume la veste della solidarietà, che «intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita» (EG 228).

2.1. La rivoluzione della tenerezza e la tenerezza combattiva

15 Cf. COLLEGAMENTO NAZIONALE SANTUARI, Atti del XL Convegno dei Rettori e Operatori dei santuari (Roma, 21-24 novembre 2005), 2-72: cf. in particolare A. RICCARDI, La missione dei santuari nell'ultimo scorcio del XX secolo con gli occhi puntati sull'Italia e sul mondo, ivi, 4-16; P. VANZAN, Transizione epocale in atto: sfide e "chances"per la chiesa in generale, con qualche indicazione per le parrocchie e i santuari, ivi, 17-32; C. MAZZA, Il progetto pastorale della Chiesa italiana aperta alle problematiche dei Santuari, ivi, 33-44.

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Alla luce di questo principio, anche la tenerezza perde la sua semplice connotazione sentimentale e “sdolcinata” e acquisisce una vera e propria dimensione “agonica”. Il papa, infatti, propone la «rivoluzione della tenerezza» (EG 88), che deriva dal vangelo, il quale

«ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza» (ivi)16.

Si tratta, dunque, di accogliere l’idea che l’esercizio della tenerezza comporta la lotta interiore contro il ripiegamento su sé stessi; in questo senso il papa parta di una «tenerezza combattiva » (EG 85), che induce a lottare nella consapevolezza gioiosa della vittoria già ottenuta dalla croce di Cristo:

«Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che disse il Signore a san Paolo: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9). Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male. Il cattivo spirito della sconfitta è fratello della tentazione di separare prima del tempo il grano dalla zizzania, prodotto di una sfiducia ansiosa ed egocentrica» (ivi).

Un ulteriore apporto da parte del papa alla comprensione della tenerezza fu evocato pochi mesi dopo la sua elezione nel colloquio con i superiori generali degli Ordini e della Congregazioni maschili, quando parlò di «tenerezza eucaristica», per indicare il modo con cui san Giuseppe guardava Maria – secondo l’inno dei primi vespri della solennità del 19 marzo, nella Liturgia delle ore argentina17 – e il modo con cui anche noi dobbiamo relazionarci ai fratelli. Anche in questo caso la tenerezza assume una connotazione agonica:

«Bisogna accarezzare il conflitto. Mi viene in mente quando Paolo VI ricevette la lettera di un bambino con molti disegni. Paolo VI disse che, su un tavolo dove arrivano solo lettere con problemi, l’arrivo di una lettera così gli fece tanto bene. La tenerezza ci fa bene. La tenerezza eucaristica non copre il conflitto, ma aiuta ad affrontarlo da uomini»18.

Questa componente agonica della tenerezza, come «virtù dei forti» (EG 288), acquista, poi, una dimensione mariana, soprattutto alla luce del canto profetico del Magnificat, ove Maria loda il Padre misericordioso come Colui che si mostra solidale con i poveri, che prende posizione rispetto alle ingiustizie che essi subiscono: lei stessa, poi, diventa profetessa di questo “rovescio della storia”, in cui si realizza l’incontro paradossale della lotta per la giustizia sociale con la contemplazione del mistero gratuito della tenerezza di Dio, incontro che diventa paradigmatico per la vita della Chiesa:

16 Cf. W. KASPER, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore. Radici teologiche e prospettive pastorali (GdT 378), Queriniana, Brescia 2015. Cf. anche il Convegno su «Papa Francesco e la rivoluzione della tenerezza», celebrato dal 15 al 17 ottobre 2015 a Vienna, che ha visto tra le altre, le relazioni di Isabella Guanzini, su «Tenerezza del finito. Estetica e politica delle relazioni elementari» e di Serena Noceti sul tema «Per una Chiesa inclusiva: categorie e principi interpretativi della re-visione ecclesiologica». La teologia della tenerezza è stata trattata sistematicamente da Carlo Rocchetta, autore di numerosi libri sul tema, a partire da Teologia della tenerezza. Un "vangelo" da riscoprire, EDB, Bologna 2000, passando per Abbracciami. Per una terapia della tenerezza, EDB, Bologna 2013, fino al volume scritto in collaborazione con Rosalba Manes, La tenerezza grembo del Dio amore, EDB, Bologna 2015. 17 Liturgia de las horas, Primeras vísperas, vigilia antes de la solemnidad, Himno: «Guarda a la Iglesia de quien fue figura / la inmaculada y maternal María; / guárdala intacta, firme y con ternura / de eucaristía».18 A. SPADARO, «Svegliate il mondo!». Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali, Città del Vaticano, 29 novembre 2013, in La Civiltà Cattolica 2014, n. 1 (fasc, 3925), 14 (tutto l’articolo in 3-17).

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«Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché “ha rovesciato i potenti dai troni” e “ ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che conserva premurosamente “tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri «senza indugio» (Lc 1,39). Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo» (EG 288).

E il papa scorge proprio nei santuari i luoghi in cui si manifesta la tenerezza materna di Maria nella vita dei poveri:

«Attraverso le varie devozioni mariane, legate generalmente ai santuari, condivide le vicende di ogni popolo che ha ricevuto il Vangelo, ed entra a far parte della sua identità storica. […] È lì, nei santuari, dove si può osservare come Maria riunisce attorno a sé i figli che con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e lasciarsi guardare da Lei. Lì trovano la forza di Dio per sopportare le sofferenze e le stanchezze della vita. Come a san Juan Diego, Maria offre loro la carezza della sua consolazione materna e dice loro: “Non si turbi il tuo cuore […] Non ci sono qui io, che son tua Madre?”» (EG 286).

2.2. Tenerezza combattiva nella vita dei santuari: l’impegno sociale

Questo legame tra tenerezza e ricerca della giustizia sociale si rivela anche nelle strutture caritative legate ai santuari. Come in molte parti d’Italia, anche nel nostro Mezzogiorno sono presenti alcune importanti esperienze di servizio. Si pensi alla vocazione specifica del santuario di Pompei, che grazie all’opera del laico fondatore Bartolo Longo, si caratterizza, particolarmente, per il sollievo agli orfani; o all’esperienza del santuario del Carmine maggiore di Napoli, un santuario sui generis, che non sorge - come molti altri - fuori delle città, sulle montagne, ma è posto proprio al centro della metropoli napoletana, quasi al centro dei suoi perenni problemi sociali, ove dal 1986 opera il Centro Padre Alleva, che si occupa con numerosi volontari di venire incontro alle esigenze dei poveri.L’impegno e la lotta per la giustizia sociale non si esprimono per la Chiesa – e specificamente per i santuari – solo nei progetti di assistenza ai poveri, ma anche nel servizio educativo a favore dello sviluppo dei poveri in un’economia equa e solidale e, dunque, nella lotta per la liberazione dalle cause dell’ingiusta oppressione dei poveri: come esempio basti citare il modello dei progetti di promozione del lavoro dignitoso e legittimamente retribuito e di sviluppo sostenibile curati dal santuario di Monte Berico, dei Servi di Maria, nei territori di missione; in questa direzione, poi, restano lodevoli gli sforzi per liberare da ogni forma di infiltrazione ‘ndranghetistica, camorristica, mafiosa e di altre organizzazioni criminali le manifestazioni della pietà popolare legate anche ad alcuni santuari del Sud Italia: ma, e qui occorre essere onesti, si richiederebbe una maggiore decisione e trasparenza in questa lotta da parte dei pastori e delle comunità cristiane legate ai santuari.

3. La realtà è superiore all’idea: la dimensione “corporea” della tenerezza

Il terzo principio enunciato da papa Francesco riguarda il primato della realtà sull’idea, che implica la realizzazione di una pastorale dei fatti:

«È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i

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purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (EG 231).

3.1. La dimensione “corporea” della tenerezza

Anche questo terzo principio ha delle conseguenze immediate per la realizzazione dell’annuncio della misericordia. Il papa stesso lo realizza costantemente: prima dei discorsi e dei documenti, infatti, il vangelo della misericordia e della tenerezza è annunciato da lui attraverso una «enciclica dei gesti»19 in continuo progresso, che comprende il bacio dei piedi dei poveri nelle celebrazioni del giovedì santo, le carezze agli ammalati, l’attenzione al “corpo” dei senza tetto (con il servizio docce e il barbiere in piazza san Pietro), gli abbracci e gli incontri “fisici” con le persone. Anche nella bolla d’indizione del Giubileo ha sostenuto che la Chiesa deve trasmettere la misericordia non solo attraverso il «linguaggio» ma anche attraverso i «gesti»:

«Il linguaggio della Chiesa e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre» (cf. Misericordiae vultus 11).

Innumerevoli volte si è soffermato sulla necessità di far prevalere la dimensione “corporea” della misericordia e della tenerezza su quella ideale dei discorsi su di esse: e la riflessione su questa concretezza “fisica” prende le mosse proprio dal mistero centrale della fede cristiana, che è il mistero trinitario. Egli, infatti, si è spesso riferito al contatto «guancia a guancia» del Padre con Israele, commentando il testo di Os 11,4 («Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare»), come, ad esempio, ha fatto durante la Veglia della misericordia del 2 aprile 2016:

«L’abbraccio di un papà e di una mamma con il loro bambino. È molto espressiva questa immagine: Dio prende ciascuno di noi e ci solleva fino alla sua guancia. Quanta tenerezza contiene e quanto amore esprime!20.

Lo stesso Gesù – per il papa – offriva la sua misericordia mediante il corpo: non solo le sue mani, con le quali toccava i malati, ma anche lo sguardo: «Lo sguardo di Gesù è di misericordia e di tenerezza»21, rivela papa Francesco nella catechesi sulla guarigione dell’emorroissa. E la resurrezione del figlio della vedova di Nain, ove Gesù «toccò la bara», rivela che «la misericordia parte dal cuore per arrivare alle mani»22. E anche lo Spirito trasforma la tenerezza ricevuta da Dio in un impegno concreto di solidarietà:

«Lo Spirito spinge la nostra vita sul sentiero impegnativo ma gioioso della carità e della solidarietà verso i nostri fratelli. Lo Spirito ci dona la tenerezza del perdono divino e ci pervade con la forza invincibile della misericordia del Padre»23.

19 L’espressione fu utilizzata nelle prime settimane del pontificato di Francesco dal vaticanista Raffaele LUISE, L’enciclica dei gesti di papa Francesco, 20 aprile 2013, in San Francesco. Rivista della Basilica di san Francesco d’Assisi, 94 (2913), n . 4: http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/23310_L%E2%80%99enciclica_dei_gesti_di_Papa_Francesco.php#.V-ac8tSLTVQ (consultato il 20 novembre 2016); è stata ripresa recentemente da suor Maria Antonia CHINELLO, nell’incontro su «Comunicazione e misericordia», organizzato dalla Facoltà Auxilium e dall’Ufficio Comunicazioni sociali della CEI, 5 maggio 2016.20 FRANCESCO, Discorso in occasione della Veglia della misericordia, 2 aprile 2016: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/april/documents/papa-francesco_20160402_veglia-preghiera.html (consultato il 20 novembre 2016); cf. anche FRANCESCO, Amoris laetitia 28.21 FRANCESCO, Udienza generale, 31 agosto 2016: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2016/documents/papa-francesco_20160831_udienza-generale.html (consultato il 20 novembre 2016).22 FRANCESCO, Udienza generale, 10 agosto 2016: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2016/documents/papa-francesco_20160810_udienza-generale.html (consultato il 20 novembre 2016).

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Se la tenerezza di Dio è reale, concreta fino ad essere corporea, anche nella testimonianza della misericordia e della tenerezza da parte dei cristiani, la caratteristica dominante deve essere ancora una volta la concretezza:

«La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!»24

D’altra parte, il termine ebraico rahamim è il plurale di rehem, che indica l’utero, ossia l’organo in cui concretamente ha origine la vita25 ed è carico di materialità e di realtà terrestre, oltre che di femminilità e di maternità. Anche in questo caso la testimonianza della madre di Gesù diventa significativa: la tenerezza di Dio misericordia prende corpo proprio nel suo utero.

3.2. Tenerezza “corporea” e santuari: la proposta “scandalosa” di papa Francesco

Sempre a partire dal principio della superiorità della realtà sull’idea, anche i santuari sono chiamati a esprimere in gesti concreti la misericordia e la tenerezza come solidarietà: spesso, durante l’anno giubilare della misericordia, il papa ha invitato alla concretezza nell’esercizio della misericordia, fino ad affermare che «se il Giubileo non arriva alle tasche, non è un vero Giubileo»26. La dimensione caritativa della vita dei santuari si esprime attraverso molteplici opere di assistenza, che, tuttavia, non esauriscono il cammino verso la misericordia del Padre – che tutti siamo chiamati ad imitare, secondo Gesù (Lc 6,36) –, che richiede sempre di fare un passo ulteriore. In questo caso il papa, poi, ha lanciato più volte una grande sfida anche ai santuari (così come alle famiglie, alle comunità parrocchiali e alle comunità religiose): quella di accogliere famiglie di profughi negli ambienti disponibili. Una prima volta, nella visita al "Centro Astalli" di Roma per il servizio ai rifugiati, il 10 settembre 2013, si riferì esplicitamente agli istituti religiosi:

«In particolare – e questo è importante e lo dico dal cuore – vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire. Superare la tentazione della mondanità spirituale per essere vicini alle persone semplici e soprattutto agli ultimi. Abbiamo bisogno di comunità solidali che vivano l’amore in modo concreto»27.

Ma nell’Angelus del 6 settembre 2015, più direttamente (a scanso di equivoci!) invitò anche i santuari, oltre che le parrocchie e i conventi, a compiere tale opera di misericordia:

23 FRANCESCO, Angelus, 10 gennaio 2016: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2016/documents/papa-francesco_angelus_20160110.html (consultato il 20 novembre 2016).24 FRANCESCO, Omelia nella messa con i seminaristi, i novizi e le novizie , 7 luglio 2013: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130707_omelia-seminaristi-novizie.html.25 Cf. Rahamim. Lingua, terra, misericordia, a cura di F. BRENCIO, in Kasparhauser.net. Rivista on line di cultura filosofica, luglio/settembre 2013, 1-222.26 FRANCESCO, Udienza generale, 10 febbraio 2016: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2016/documents/papa-francesco_20160210_udienza-generale.html.27 FRANCESCO, Discorso al "Centro Astalli" per il servizio ai rifugiati Roma, 10 settembre 2013: h ttps://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/september/documents/papa-francesco_20130910_centro- astalli.pdf.

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«in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia»28.

Poco più di un mese dopo tale appello, la Conferenza episcopale italiana ha emanato un Vademecum per realizzare operativamente l’invito del papa, in cui sono indicate dettagliatamente le modalità attraverso le quali le comunità possono attivarsi: a proposito del «dove accogliere», in particolare, i vescovi elencano alcune esemplificazioni per l’accoglienza, tra le quali sono menzionati «gli spazi legati a un santuario, che spesso tradizionalmente hanno un hospitium o luogo di accoglienza dei pellegrini».29

Molte sono le obiezioni che tutti (famiglie e comunità cristiane) possiamo opporre a quest’invito così coinvolgente: ho sentito diversi responsabili di istituti che, pur lodando l’appello del vescovo di Roma hanno elencato le difficoltà relative al rispetto della sicurezza degli edifici, dell’adempimento delle pratiche burocratiche, ecc. Ma di fronte ai richiami del Vangelo, per i discepoli non ci sono alibi…

4. Il tutto è superiore alla parte: la misericordia come perdono, accoglienza e comunione

Il quarto ed ultimo principio proposto dal papa riguarda il primato del tutto sulla parte: «A noi cristiani questo principio parla anche della totalità o integrità del Vangelo che la Chiesa ci trasmette e ci invia a predicare. La sua ricchezza piena incorpora gli accademici e gli operai, gli imprenditori e gli artisti, tutti. La “mistica popolare” accoglie a suo modo il Vangelo intero e lo incarna in espressioni di preghiera, di fraternità, di giustizia, di lotta e di festa. La Buona Notizia è la gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli […]. Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno. Il tutto è superiore alla parte». (EG 237).

Nell’annuncio universale del vangelo, la Chiesa è chiamata a privilegiare in tutte le sue manifestazioni la dimensione comunitaria rispetto a quella individuale dell’esperienza della fede. Questo vale, ad esempio, anche per tutte le celebrazioni legate al perdono – in particolare per il sacramento della riconciliazione, che fra tutti è quello in cui l’aspetto ecclesiale appare più nascosto – e determina la maturazione di uno stile pastorale che favorisca il riconoscimento e l’accoglienza dei carismi degli altri, oltre ad imporre la radicale ricerca di comunione fra le diverse realtà ecclesiali. In tutti questi tre ambiti i santuari possono divenire luoghi profetici, capaci di aprire le porte per anticipare un profondo rinnovamento della prassi ecclesiale.

4.1. Santuari e pastorale comunitaria del perdono

Sull’esperienza del sacramento della riconciliazione nella vita dei santuari il CNS ha realizzato negli anni diversi Convegni30. L’esperienza della Chiesa riconosce nei santuari un luogo privilegiato

28 FRANCESCO, Angelus, 6 settembre 2015: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2015/documents/papa-francesco_angelus_20150906.html.29 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Indicazioni alle diocesi italiane circa l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati. Vademecum approvato dal consiglio permanente, 13 ottobre 2016.30 Cf. COLLEGAMENTO MARIANO NAZIONALE, Problemi morali e pastorali dei santuari (XXII Convegno Nazionale dei Rettori dei Santuari d'Italia. Roma, 24-27 novembre 1986), in La Madonna 35 (1987), n.3: tra i contributi, cf. J. VISSERO, Il confessore del Santuario: preparazione e responsabilità, ivi, 105-112; COLLEGAMENTO NAZIONALE SANTUARI, Lasciatevi riconciliare con Dio: confessarsi oggi nei santuari. Atti del XXXIV Convegno nazionale dei Rettori dei santuari, 23-26 novembre 1998: La Madonna 47 (1999); M. BASSO, Conclusioni del XLV Convegno Nazionale dei Rettori e Operatori dei Santuari su “I Santuari educatori di Riconciliazione”, San Francesco di Paola, 22 ottobre 2010: http://www.santuariodivinoamore.it/paola2010.html; cf., inoltre, sulla dimensione mariana del rapporto tra santuari e riconciliazione, L.M. DE CANDIDO, Il santuario mariano luogo di evangelizzazione e di riconciliazione, in

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per la celebrazione del perdono. Anche recentemente il papa ha chiaramente affermato la necessità che proprio nei santuari la confessione si trasformi in un evento dal valore esistenziale anche per i confessori:

«Confessare in un santuario è fare esperienza di toccare con mano la misericordia di Dio […] Il santuario è la casa del perdono, dove ognuno si incontra con la tenerezza del Padre che ha misericordia di tutti, nessuno escluso. Chi si accosta al confessionale lo fa perché è pentito, è pentito del proprio peccato. Sente il bisogno di accostarsi lì. Percepisce chiaramente che Dio non lo condanna, ma lo accoglie e lo abbraccia, come il padre del figlio prodigo, per restituirgli la dignità filiale (cfr Lc 15,20-24). I sacerdoti che svolgono un ministero nei santuari devono avere il cuore impregnato di misericordia; il loro atteggiamento dev’essere quello di un padre»31.

Le indicazioni del Direttorio su pietà popolare e liturgia, poi, assumono un ruolo normativo: dopo aver ricordato che «per molti fedeli la visita al santuario costituisce un’occasione propizia, spesso ricercata, per accostarsi al sacramento della Penitenza» (n. 267) e che nei santuari occorre curare il luogo della celebrazione e la preparazione al sacramento, il testo della Congregazione per il culto divino richiama la necessità di riscoprire proprio in questi luoghi il Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale (la seconda forma prevista per la celebrazione del sacramento, dopo quella individuale). Per di più, tale forma del sacramento, secondo il Direttorio, «debitamente organizzata e preparata, non dovrebbe costituire un’eccezione, ma un fatto normale, previsto soprattutto per alcuni tempi e ricorrenze dell’Anno liturgico. Infatti “la celebrazione comune manifesta più chiaramente la natura ecclesiale della penitenza” (Ordo Paenitentiae. Praenotanda, n. 22)» (ivi). Come spesso accade, alla teoria non corrisponde la prassi. Quella delle celebrazioni comunitarie dei riti di penitenza appare un’esperienza ancora troppo poco praticata, tranne che in qualche caso. Occorrerebbe, per la verità, riscoprire anche la riconciliazione senza confessione individuale integra e con assoluzione generale (la terza forma del sacramento), che, pur considerata del tutto eccezionale dalle norme liturgiche, è sostenuta da molti teologi (in Italia soprattutto dal compianto liturgista francescano Rinaldo Falsini [† 2008]32), anche – ma non solo – alla luce della ormai grave crisi del sacramento, spesso disertato da molti fedeli e soprattutto dai giovani cattolici. Sarebbe auspicabile che proprio i santuari possano trovare il modo di “istituzionalizzare” un servizio di riconciliazione comunitaria (almeno nella seconda forma), in modo da cominciare a favorire profeticamente una simile prassi. Ciò presupporrebbe, ovviamente, una programmazione di tali celebrazioni nei vari momenti dell’anno liturgico, che dovrebbero essere preannunciate alle comunità di provenienza dei pellegrini che hanno intenzione di recarsi al santuario – ad esempio, durante i contatti per la prenotazione dei pellegrinaggi – e preparate già prima di partire nelle comunità di partenza, attraverso la catechesi e la preghiera.

4.2. Santuari e stili di “accoglienza”

Il ministero della tenerezza e della misericordia, inoltre, è attuato nei santuari anche attraverso l’attività dell’accoglienza dei pellegrini, della quale il papa ha parlato diffusamente nel discorso tenuto in occasione del Giubileo degli operatori dei pellegrinaggi e dei Rettori dei santuari, del 21 gennaio 2016, in cui ha affermato:

R. GIRALDO - C. DEL ZOTTO - L.M. DE CANDIDO, Maria nella riflessione cristiana e nella spiritualità francescana, LIEF, Vicenza 1990, 149-184; D. CANCIAN, Santuari mariani e pastorale della riconciliazione sacramentale, in Lacrime nel cuore della città. Atti […] del XIII Colloquio internazionale di mariologia nel 50° anniversario del pianto di Maria (Siracusa, 29 novembre - 2 ottobre 2003), AMI, Roma 2007, 459-474.31 FRANCESCO, Discorso in occasione del Giubileo degli operatori di pellegrinaggi e rettori di santuari, 21 gennaio 2016: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/january/documents/papa-francesco_20160121_giubileo-operatori-santuari.html 32 Cf. R. FALSINI, Il sacramento della Penitenza. Per una rinnovata celebrazione, O.R., Roma 1981.

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«Con l’accoglienza, per così dire, “ci giochiamo tutto”. Un’accoglienza affettuosa, festosa, cordiale, e paziente. Ci vuole anche pazienza! I Vangeli ci presentano Gesù sempre accogliente verso coloro che si accostano a Lui, specialmente i malati, i peccatori, gli emarginati […] L’accoglienza è davvero determinante per l’evangelizzazione. A volte, basta semplicemente una parola, un sorriso, per far sentire una persona accolta e benvoluta.Il pellegrino che arriva al santuario è spesso stanco, affamato, assetato… E tante volte questa condizione fisica rispecchia anche quella interiore. Perciò, questa persona ha bisogno di essere accolta bene sia sul piano materiale sia su quello spirituale. È importante che il pellegrino che varca la soglia del santuario si senta trattato più che come un ospite, come un familiare. Deve sentirsi a casa sua, atteso, amato e guardato con occhi di misericordia. Chiunque sia, giovane o anziano, ricco o povero, malato e tribolato oppure turista curioso, possa trovare l’accoglienza dovuta, perché in ognuno c’è un cuore che cerca Dio, a volte senza rendersene pienamente conto. Facciamo in modo che ogni pellegrino abbia la gioia di sentirsi finalmente compreso e amato. In questo modo, tornando a casa proverà nostalgia per quanto ha sperimentato e avrà il desiderio di ritornare, ma soprattutto vorrà continuare il cammino di fede nella sua vita ordinaria»33

Al di là della presenza di strutture di accoglienza, più o meno efficienti, gli operatori dei santuari sono chiamati, quindi, soprattutto a trasformare l’accoglienza in uno stile pastorale ed evangelizzatore. L’accoglienza si esprime, tra l’altro, anche nel non impedire forme legittime di preghiera e pietà popolare, imponendo la celebrazione eucaristica quale unica forma di culto: sebbene, come ricorda la tradizione ecclesiale, la celebrazione liturgica, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» abbia un carattere «preminente»34 sulle altre forme di pietà, ciò non vuol dire che essa sia «esclusiva». Le altre forme di preghiera, liturgiche e non, benché debbano ovviamente condurre alla comunione col corpo eucaristico del Signore Gesù, hanno la loro dignità in se stesse.Ma anche il ministero della consolazione35 e, più specificamente, quelli della guarigione e della liberazione dal maligno trovano il “luogo naturale” di esercizio proprio nei santuari: attraverso gli interventi soprannaturali della potenza di Dio, ma anche attraverso l’impegno di direttori spirituali e l’eventuale presenza di esorcisti, i santuari diventano così manifestazioni della misericordia e della tenerezza del Padre, che, nell’azione dello Spirito, prolunga il ministero di Gesù consolatore, guaritore e liberatore di tutti gli infelici attraverso la Chiesa.

4.3. Santuari e forme di comunione ecclesiale

Un terzo ambito nel quale l’esperienza dei santuari è chiamata a rivelare in modo peculiare la preminenza del tutto sulla parte, in riferimento alla misericordia, è quello della comunione ecclesiale, che implica un atteggiamento di condivisione delle diverse esperienze della vita cristiana. In primo luogo, la pietà popolare, a cui si è già accennato, e che è possibile indicare come vera forma di spiritualità. Proprio in riferimento ai pellegrinaggi ai santuari – in particolare a quelli mariani, ma anche a quelli dedicati ai santi –, la spiritualità popolare ha elaborato l’attenzione alla misericordia e della tenerezza di Dio con modalità non sempre ortodosse. Tuttavia, anche laddove

33 FRANCESCO, Discorso in occasione del Giubileo degli operatori di pellegrinaggi e rettori di santuari, 21 gennaio 2016.34 «Come responsabili della pastorale nei Santuari, quindi, è Vostro compito istruire i pellegrini sul carattere assolutamente preminente che la celebrazione liturgica deve assumere nella vita di ogni credente. La pratica personale di forme di pietà popolare non va assolutamente ostacolata o rigettata, anzi va favorita, ma non può sostituirsi alla partecipazione al culto liturgico. Tali espressioni, infatti, piuttosto che contrapporsi alla centralità della Liturgia, devono affiancarsi ed essere sempre orientate ad essa. È infatti nella celebrazione liturgica dei Sacri Misteri che si esprime la preghiera comune della Chiesa tutta»: CONGREGAZIONE DEL CLERO, Lettera ai Rettori dei santuari, 15 agosto 2011: http://www.santuari.it/santuarionews.asp?CodSant=51008&ArgID=1&NewsID=19&Titolo=Lettera+della+Congregazione+del+Clero+ai+Rettori+dei+Santuari+il+15+agosto+2011 (consultato il 20 novembre 2016)35 Cf. R. DELGADO PEREZ, "Consolate, consolate il mio popolo": i santuari, sacramento di consolazione. IX incontro dei santuari spagnoli (Santuario della Madonna di Montserrat, 26-28 settembre 2006), in Dolentium hominum 23 (2008), n. 2, 30-41.

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permangono forme non autenticamente “cattoliche” di esperienze popolari, è possibile individuare delle piste che possono condurre ad una genuina esperienza spirituale. Anche in questo il magistero di papa Francesco è illuminante e invita a riconoscere nelle manifestazioni umili della pietà popolare la «vita teologale animata dall’azione dello Spirito»:

«Per capire questa realtà [della pietà popolare] c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani, specialmente nei poveri. Penso alla fede salda di quelle madri ai piedi del letto del figlio malato che si afferrano ad un rosario anche se non sanno imbastire le frasi del Credo; o a tanta carica di speranza diffusa con una candela che si accende in un’umile dimora per chiedere aiuto a Maria, o in quegli sguardi di amore profondo a Cristo crocifisso. Chi ama il santo Popolo fedele di Dio non può vedere queste azioni unicamente come una ricerca naturale della divinità. Sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5)» (EG 125).

Ci si può spingere oltre e ricercare – con questo «sguardo del Buon Pastore» – anche nelle forme apparentemente più lontane dalla retta fede cattolica una qualche opportunità. È il caso, ad esempio, delle leggende – comuni a tante aree del Mezzogiorno e non solo – sulle sette Madonne sorelle, alle quali fanno riferimento sette santuari mariani, di cui uno principale, che insistono su uno stesso territorio, di solito su alture, che formano un cerchio che lambisce il mare. Delle sette sorelle, una è identificata come la più “brutta” – di solito perché “nera” – ed è chiamata “schiavona”, cioè straniera, perché è scacciata dalle altre ed è costretta a rifugiarsi lontano; e, tuttavia, ella diventa la più bella e la più amata di tutte per il popolo. Per l’area napoletano-irpina, ad esempio, la tradizione individua nel santuario di Montevergine a Mercogliano (AV) la sede della sorella “schiavona” di altre sei Madonne, che, con diverse varianti, risiedono in altrettanti santuari; per il Cilento, invece, si segnalano quelle che ruotano intorno al santuario della Madonna del Sacro Monte a Novi Velia (SA), sul M. Gelbison, a 1707 m. d’altezza); in Val d’Agri quelle centrate sul santuario del Sacro Monte di Viggiano (PZ); ma in tantissime zone del sud (dal Gargano alla Marsica, dall’area Crotonese alla Sicilia) permangono leggende simili36. Un tempo, tutti i sette santuari locali erano mete di pellegrinaggi ricchi di elementi simbolico-religiosi; oggi, molto spesso, solo il santuario principale è aperto al culto.Fermo restando, ovviamente, l’assoluta eterodossia della devozione alle sette sorelle, tuttavia, sarebbe almeno il caso di riconoscere che il fenomeno della moltiplicazione delle Madonne deriva dalla (legittima) necessità di rappresentare, quasi personificandole nelle immagini, le molteplici funzioni della Madre di Dio nella storia della salvezza: la sua relazione con le persone trinitarie, i diversi eventi della storia della salvezza nei quali ella è presente, il suo multiforme influsso sulla vita della Chiesa e degli uomini. Forse occorrerebbe – anche sul piano del turismo religioso – rivalutare la forma di pellegrinaggio a tappe nei luoghi delle “sorelle”, riconsiderando i contenuti teologici dei titoli con i quali ciascuna di loro era o è venerata, per proporre quasi una catechesi mariana itinerante. Ma questo comporta la volontà di collaborare e programmare insieme, anche mettendo in comune le risorse economiche dei santuari più ricchi con quelle dei santuari più poveri: non potrebbe il Collegamento nazionale dei santuari provvedere a promuovere delle reti di sostegno reciproco tra i santuari vicini?Sempre nell’ambito della pietà popolare mariana nei santuari è possibile cogliere un’ulteriore conseguenza per una pastorale della comunione. Se la teologia ha tradizionalmente elevato la madre di Gesù fino a idealizzarla e a renderla una figura perfetta ma distante e «irraggiungibile» (sola sine exemplo, dicevano i medievali)37, la pietà popolare conserva – forse meglio di tante costruzioni teologiche – il dato biblico della concretezza personale della Vergine: i pellegrini colgono profondamente il fatto che, come afferma il Concilio, Maria «ha vissuto sulla terra una vita comune

36 Cf. G. PROFETA, Le sette Madonne sorelle e la magnificazione del nume. Avvio a una demopsicologia delle credenze , Japadre, L’Aquila, 1997; G. TARDIO, Le leggende delle Sette Madonne sorelle, SMiL, San Marco in Lamis (Fg) 2008.37 Cf. A. LANGELLA, “Sola sine exemplo”. La fede e la riflessione su Maria nel’XI secolo, in Theotokos 17 (2009) n. 1, 3-14.

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a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro» (Apostolicam actuositatem 4) e sperimentano quanto ella sia, oltre che Vergine, Madre e Sposa, soprattutto «vera nostra sorella»38. Sono soprattutto le donne (e le donne teologhe) a proporre una lettura della persona della madre di Gesù alternativa a quella prodotta da secoli di teologia pensata da maschi celibi. Esse inducono a superare l’idea che Maria possa essere additata semplicemente come modello della donna tutta casa e chiesa, sposa e madre, docile e silenziosa, umile e sottomessa e indicano – anche alla luce del magistero pontificio che va dalla Marialis cultus di Paolo VI (1974) alla Mulieris dignitatem (1988)di Giovanni Paolo II, fino alle continue affermazioni di papa Francesco – la Vergine come modello della donna emancipata, impegnata nella vita sociale, economica e politica, in cui non si realizzano non solo le virtù “passive” ma anche quelle “attive”.La riscoperta di questa moderna dimensione femminile della persona di Maria dovrebbe spingere sempre di più la Chiesa a superare concretamente certi divieti ai ministeri (attualmente le donne possono essere esercitare solo ministeri di fatto, essendo loro precluso l’accesso non solo ai ministeri ordinati, ma anche a quelli istituiti) e a individuare ministeri esclusivamente femminili (visto che esistono ministeri esclusivamente maschili). Ad esempio, se molti santuari sono custoditi da congregazioni femminili e sono retti di fatto da una religiosa, non si potrebbe superare, almeno per i santuari, il can. 556 del Codice di diritto canonico, che lega il ruolo di rettore al sacerdozio ministeriale, impedendo che una donna possa essere nominata rettrice? Ovviamente, la rettrice svolgerebbe tutti compiti del rettore, da quelli della cura della vita pastorale a quelli amministrativi, fatti salvi quelli relativi al ministero ordinato (che riguardano, soprattutto, la presidenza delle celebrazioni liturgiche e sacramentali).Una terza possibilità per favorire una pastorale di comunione anche nei santuari riguarda l’accoglienza del valido sostegno delle aggregazioni laicali: se l’esperienza del Cammino neocatecumenale può offrire un notevole contributo alla celebrazione della confessione comunitaria, i membri del Rinnovamento carismatico e del Rinnovamento nello Spirito potrebbero animare preghiere di guarigione e liberazione, mentre movimenti come Comunione e liberazione o la Comunità di Sant’Egidio potrebbero mettere a servizio le loro competenze nell’ambito della carità politica, solo per proporre qualche esempio. Si tratta di una efficace modalità di attuazione del principio che il tutto è superiore alla parte: una vera conversione pastorale implica il coinvolgimento di tutte le realtà ecclesiali disponibili. Anche in questo caso, una simile attenzione, rivelerebbe la capacità dei santuari di rinunciare alla presunzione dell’autosufficienza e dell’autoreferenzialità, in vista di una “pastorale integrata”.

Conclusione: una sintesi delle proposte

Come si vede, i quattro principi enunciati da papa Francesco, benché non siano direttamente connessi con la pastorale dei santuari, offrono notevoli piste di riflessione ai rettori e alle comunità legate a questi «luoghi di santità». La multiforme esperienza della misericordia e della tenerezza all’interno dei santuari può senz’altro fornire un modello di pastorale alternativo a quello delle parrocchie e che, anzi, può aprire un varco nel cammino di rinnovamento delle prassi ecclesiali. Più concretamente e in sintesi queste sono le proposte che scaturiscono da questa riflessione allo scopo di riconoscere nei santuari dei veri “segni profetici” per la “conversione pastorale” e che sottopongo all’esame dei rettori. 1. I santuari esprimano sempre meglio la loro vocazione a essere luoghi in cui il primato del tempo sullo spazio è vissuto nel rispetto dei cammini di conversione di ciascuno, in una pastorale che tende all’accoglienza e all’incontro prima che alla “conquista” dei cuori delle persone.

38 E.A. JOHNSON, Vera nostra sorella. Una teologia di Maria nella comunione dei santi, Queriniana, Brescia 2005. Il titolo del volume ricalca un’espressione di Marialis cultus 56.

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2. Secondo il postulato del primato dell’unità nel conflitto gli operatori dei santuari riconoscano la chiamata all’impegno sociale, sforzandosi di trovare occasioni per liberare la pietà popolare dagli eventuali legami con le strutture dell’ingiustizia economica e dalla criminalità, senza compromessi.3. Sul piano della preminenza della realtà sull’idea rendano visibile la misericordia e la tenerezza di Dio e siano credibili testimoni della solidarietà concreta sforzandosi di realizzare la proposta di papa Francesco e dai vescovi italiani di accogliere nelle strutture inutilizzate i profughi.4. Relativamente alla superiorità del tutto sulla parte le attività dei santuari tengano sempre viva la dimensione comunitaria in tutte le espressioni della misericordia: in relazione alla vita sacramentale, dunque, si incrementino le celebrazioni comunitarie del sacramento della riconciliazione e si accolgano altre forme di preghiera comune oltre al culto liturgico; si colgano, inoltre, le occasioni offerte dalla pietà popolare, anche non proprio ortodosse, per creare occasioni di collegamento tra i santuari stessi; si dia spazio al “genio” femminile anche negli organismi decisionali dei santuari e si collabori con le aggregazioni laicali specializzate nei vari settori della pastorale. Queste proposte seguono la direzione della continua cura della Chiesa nel ricercare forme di mediazione dell’annuncio della salvezza più comprensibili alla sensibilità dell’uomo contemporaneo e, nello stesso tempo, più vicine all’essenzialità evangelica. Tutto a partire dal presupposto che i santuari possono diventare luoghi di profezia per la Chiesa, avanguardie di un cammino che anche le altre strutture ecclesiali dovrebbero seguire.

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