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Page 1:  · Web viewMauro Di Marzio. Il contratto: punti in comune e differenze. tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law. Quale interesse suscita l’argomento?

Mauro Di Marzio

Il contratto: punti in comune e differenze

tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law

1. Quale interesse suscita l’argomento?

Ho l’impressione che, se ci interrogassimo tra operatori pratici del diritto — intendo dire avvocati e magistrati — sull’affinità tra ordinamenti di civil law e common law, il primo settore che verrebbe in mente non sarebbe quello del contratto, ma quello della responsabilità civile.

Chiunque di noi sa qualcosa — tanto per fare un esempio — di danni punitivi. Ed è al corrente, così, della decisione della S.C. che ha negato la delibazione di una sentenza statunitense con cui la madre di un motociclista morto in un incidente stradale aveva ottenuto un triplice risarcimento: nei confronti dell'assicuratore del veicolo del responsabile, nei confronti del costruttore del casco protettivo indossato dalla vittima, nei confronti del costruttore della fibbia del casco: secondo la S.C. il giudice straniero avrebbe liquidato un danno punitivo non previsto né ammissibile nel nostro ordinamento (Cass. 19 gennaio 2007, n. 1183).

Conosciamo un po’ tutti, poi, un istituto mutuato dal common law quale il trust, figura — tradizionalmente distinta, in common law, dal contratto — che ha ricevuto da noi, negli ultimi anni, una fortuna non facilmente pronosticabile: si tratta, pressappoco, di un rapporto fiduciario in virtù del quale un soggetto (settlor), trasferisce la proprietà di determinati beni ad un suo fiduciario (trustee) investendolo di un obbligo che va a vantaggio di un beneficiary (che può essere, tanto determinato, quanto indeterminato), talora sotto la supervisione di un protector.

Qui però dobbiamo parlare del contratto: somiglianze e differenze nei sistemi di common law e civil law. Perché dobbiamo occuparcene? In effetti, non sembra che si tratti di uno di quei temi che stanno particolarmente a cuore alla dottrina. La giurisprudenza, poi, non mi pare abbia avuto grandi occasioni esaminare l’argomento.

Il titolo della relazione, però, si può riformulare così: le differenze ordinamentali in tema di contratti nei sistemi di common law e civil law costituiscono un ostacolo, ed eventualmente un ostacolo insormontabile, al compimento del processo — Principi Unidroit, Codice Europeo dei contratti, legislazione europea, anzitutto in tema di consumatori — di omogeneizzazione del diritto privato europeo?

Posta la questione in questi termini, l’interesse che essa suscita mi pare evidente. E ciò, al tempo stesso, rende ovvio che l'attenzione debba essere riservato anzitutto al common law inglese.

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2. Il contratto in civil law.

Per fare un raffronto tra contratto in common law ed in civil law occorrerebbe anzitutto intendersi sulla nozione di contratto accolta nell’intera area di civil law. Il che imporrebbe di astrarre i principi comuni dai diversi ordinamenti di civil law: basterà, però, accennare esemplificativamente al nostro codice civile per comprendere che l’individuazione di poche risolutive definizioni, tali da riassumere i caratteri del contratto in civil law, è missione proibitiva.

Rodolfo Sacco (Il contratto, UTET, Torino, 1975, pag. 12) evidenzia che «contratto» è espressione polisensa, sicché una sua definizione univoca ed onnicomprensiva è pressoché impossibile: «Non è possibile definire il contratto in base all'ambito entro cui è chiamato ad operare. Non è possibile definire il contratto in modo unitario attraverso una enumerazione dei suoi componenti costitutivi».

Ciò che possiamo dire è che il contratto:

a) ha di regola una struttura almeno bilaterale;

b) si fonda sulla dichiarazione quale strumento di autonomia;

c) si realizza attraverso l'accordo, che determina di regola un effetto obbligatorio;

d) richiede una causa.

Per fissare un punto di partenza, forse, la cosa più semplice è prendere per buona la definizione di contratto che dà l’art. 1321 c.c.: l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.

Ma anche così non abbiamo fatto molti passi avanti. Il contratto al quale pensiamo oggi, così come si atteggia nel diritto vivente, è lo stesso contratto al quale pensava il legislatore del 1942?

Proviamo a dare una risposta facendo qualche esempio, così, senza nessuna pretesa di sistematicità.

Pensiamo ai vizi della volontà, in particolare all’errore. Nella costruzione codicistica del contratto siamo, per così dire, al centro del problema: sulla configurazione dell’errore la dottrina ha tratto i maggiori argomenti a sostegno della tesi dell'abbandono del dogma della volontà — il contratto quale fusione di due consensi, ormai inteso come retaggio individualista prodotto dal pensiero giuridico di stampo liberale ottocentesco — e dell'accoglimento della teoria della dichiarazione, in forza della quale l'aspetto essenziale della fattispecie negoziale sta nella oggettivizzazione della volontà attraverso la dichiarazione, teoria ispirata a ragioni di solidarietà sociale, di tutela dell’altro contraente, il quale abbia fatto incolpevolmente affidamento sulla validità del contratto (passaggio dalla scusabilità alla riconoscibilità dell’errore, equiparazione, sul piano degli effetti, tra errore vizio ed errore ostativo).

A fronte di tanto rilievo concettuale, guardiamo però ai repertori: troviamo qualche questione elegante in tema di compravendita di opere d’arte e poco altro.

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Perché?

La marginalizzazione dell'istituto possiede ragioni evidenti. La figura dell'errore, quale evento psichico collocato in interiore homine, è tutta modellata su una contrattazione individualizzata, destinata a sfociare in un accordo effettivo, e mal si adatta al fenomeno della contrattazione di massa attraverso formule standardizzate, le quali lasciano poco spazio alla possibilità dell'errore, e ne riservano ancor meno alla sua riconoscibilità. D'altro canto, la contrattazione di massa pone l'esigenza che il consenso del contraente debole sia vero e reale, sia cioè un «consenso informato», il che pone sovente a carico dell'altro contraente precisi obblighi informativi previsti dalla legislazione speciale.

Pensiamo alla causa.

Se l'espressione «contratto» è polisensa, l'espressione «causa» è sospesa tra il giuridico ed il magico. In un volume collettaneo degli anni 70 Mario Bessone ed Enzo Roppo elencano qualcosa con un centinaio di opinioni dottrinali sulla nozione di causa (Giuliano Amato, Sabino Cassese e Stefano Rodotà (a cura di), Il controllo sociale delle attività private: testi e materiali, ECIG, Ed. culturali internazionali, Genova, 1972, pp. 231 ss.). È probabile che oggi il numero sia aumentato.

In giurisprudenza è stata accolta tralaticiamente, fino a tempi recentissimi, la nozione bettiana di causa come oggettiva funzione economico-sociale del contratto. Poi le cose cambiano e (saltiamo subito all'epilogo) si fa strada una nozione diversa: quella di causa in concreto, che possiamo identificare come l'effettiva funzione pratica che i contraenti intendono realizzare, l'interesse pratico perseguito dai contraenti. La sintesi, insomma, degli interessi che il contratto è diretto a realizzare.

Il caso in cui la S.C. presta espressa adesione al nuovo indirizzo è interessante.

Una coppia acquista un viaggio a Cuba. Qualche giorno prima della partenza i due apprendono che nell’isola c’è una epidemia di una seria malattia tropicale, il dengue emorragico. Allora recedono dal contratto e comprano da un altro tour operator un altro viaggio per una meta più tranquillizzante: il Messico. Il primo tour operator, a questo punto, vuole la penale collegata all’esercizio del recesso. Nel giudizio che ne nasce i giudici di merito si sforzano di dare ragione ai due turisti sostenendo che il contratto di viaggio è nullo per impossibilità sopravvenuta dell’oggetto. Ma si tratta evidentemente di una sciocchezza: Cuba continua ad esserci, l’albergo pure, le escursioni programmate si possono fare, e così via. D’altra parte attaccare la pattuizione dal versante della causa, nella sua configurazione tradizionale, è impossibile: la funzione economico sociale del contratto, nella sua astrattezza ed oggettività, non è neppure sfiorata dal dengue emorragico. La S.C. aderisce perciò alla nuova configurazione della causa in concreto (Cass. 24 luglio 2007, n. 16315). Ecco allora il responso: una volta stabilito che l'interesse concreto perseguito mediante il contratto di viaggio-vacanza «tutto compreso» è qualcosa che ha a che vedere con il benessere psicofisico del turista, può un simile interesse effettivamente realizzarsi in un luogo in cui c'è il rischio di riportare a casa una brutta malattia? No, naturalmente. E ciò perché si verifica qui una «sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione», che fa in definitiva cadere la causa in concreto possa sostegno del contratto. Sicché il tour operator rimane senza penale.

Pensiamo alla forma.

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Quelli non proprio freschissimi di studio hanno imparato che l’ordinamento osserva il principio della libertà di forme: ma talvolta richiede un particolare tipo di forma, la forma scritta ad substantiam, in qualche caso l’atto pubblico, perché commisurata alla particolare importanza dell’atto da compiere. Così, un contratto di locazione si può concludere verbalmente. Ma se la locazione dura più di nove anni ci vuole la forma scritta ad substantiam.

Voltiamo però lo sguardo alla legislazione speciale. Sono state introdotte previsioni formali — senza pretesa di completezza — in materia di intermediazione finanziaria (art. 23, 1° e 3° co., d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), in materia di gestione di portafogli di investimento (art. 24, 1° co., lett. a, e 2° co., d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58); nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (art. 117, 1° e 3° co., d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385; art. 127, 2° co., d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385); in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, o vendita «porta a porta» (art. 5, 1° co., d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50); in materia di vendita di pacchetti turistici (art. 6, 1° e 2° co., d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111); in materia di multiproprietà (art. 3, 1° co., d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427).

Si tratta, evidentemente, di situazioni in cui non è l’importanza dell’atto che impone il requisito formale, ma un’esigenza di trasparenza in favore di uno dei contraenti e, a posteriori, di prova del contenuto della pattuizione.

Di qui, dall’accenno alla connotazione protettiva che ha assunto il requisito formale, verrebbe naturale affrontare il tema delle nullità speciali, poste non già — come la nullità codicistica — a tutela di superiori ed intangibili interessi ordinamentali, ma a tutela di uno dei contraenti: quello giudicato meritevole di protezione. Così la nullità perde i suoi caratteri propri (assolutezza, rilevabilità d’ufficio) e diviene nullità relativa, suscettibile di essere eccepita soltanto dal contraente protetto.

Potremmo continuare a lungo, ma mi fermo ad un’ultima osservazione. Quali ricadute avrà sul funzionamento del contratto la svolta del novembre scorso (Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972) in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento? Mi sembra facile prevedere che per tale via si accentuerà il controllo giudiziale sulle pattuizioni che possano risultare lesive di valori della persona.

Bene. Con gli esempi fatti così, disordinatamente, ho cercato di dire che il contratto è un cantiere aperto e che l'assetto odierno del contratto è ben diverso da quello costruito dal legislatore del 1942. Le frontiere della disciplina del contratto non sono forse altrettanto mobili di quelle della responsabilità civile, ma certo non sono immobili come una roccia: ci sono senza dubbio punti fermi, ma — per riprendere il titolo del convegno — mi sembra che in movimento non ci siano soltanto delle virgole.

Riassumendo, direi che le linee di sviluppo, tra loro intrecciate, hanno riguardato e riguardano:

a) il rilievo conferito allo status delle parti, dal versante dei contratti del consumatore;

b) l'introduzione di forme di controllo ex post dell'equilibrio economico riflesso nel contratto, attraverso strumenti quali la causa, l'oggetto, la forma;

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c) l'utilizzo anche in ambito contrattuale, a fini di riequilibrio, dei valori della persona;

d) la valorizzazione della buona fede quale clausola generale finalizzata al controllo del comportamento delle parti nella fase prenegoziale, in quella di conclusione del contratto ed in quella di esecuzione.

3. Il contratto in common law.

Passiamo al contratto in common law (su cui v. in generale Giovanni Criscuoli, Il contratto nel diritto inglese, 2ͣ ed., Cedam, Padova, 2001).

Una differenza c'è sicuramente, è la più consistente e forse è l'unica davvero rimarchevole. È una differenza che discende dalla stessa struttura del common law: manca una disciplina dei contratti in generale. Da noi è la legge che regola il contratto. Ed i codici contengono disposizioni generali in tema di contratti: così il Code civil francese, che sta alla base del nostro, dedica ai contratti in generale il titolo terzo del libro terzo («Des contrats ou des obligations conventionnelles en général»), a partire dall'art. 1101 che dà la definizione di contratto («Le contrat est une convention par laquelle une ou plusieurs personnes s'obligent, envers une ou plusieurs autres, à donner, à faire ou à ne pas faire quelque chose»).

Questo vuol dire che la disciplina del contratto in generale, proprio per questa sua connotazione, ha un'enorme forza espansiva. Gli esempi che si potrebbero fare sono anche in questo caso innumerevoli. Faccio il primo che mi viene in mente.

Il divieto convenzionale di alienare.

L'art. 1379 c.c. stabilisce che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo entro certi limiti, tra i quali una durata contenuta nel tempo. La norma, dunque, pone quei limiti solo per il divieto di alienazione. Ebbene, accade che un prelato doni un immobile alla sua diocesi con vincolo, dedotto sotto forma di condizione, di destinazione perpetua a casa di riposo. La diocesi, ad un certo punto, decide di destinare l'immobile ad altro. Ne sorge una controversia (promossa dagli eredi del prelato) e la S.C. stabilisce infine — confermando un suo orientamento precedente — che il vincolo di destinazione è nullo (ma la donazione resta valida) perché mancante di un conveniente limite di tempo. Sicché, in fin dei conti, la diocesi fa del bene quel che vuole, e gli eredi del prelato perdono la causa.

Il contratto, in Inghilterra, affonda le radici nel medesimo humus da cui è sorto il civil law: il diritto romano giustinianeo. Ma il common law è rimasto in definitiva più legato al diritto rimano di quanto non sia stato per la disciplina continentale del contratto, che è stata, se così si può dire, rifondata da Domat e Pothier, il cui lavoro si è riversato nel Code Napoléon ed ha dato vita alla parte sul contratto in generale.

Il common law è di formazione essenzialmente giurisprudenziale, ed al lavoro della giurisprudenza, tanto più se tenuta all’osservanza della regola dello stare decisis, è connaturata una tendenza conservatrice insita nella regola della vincolatività del

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precedente, insieme ad un ovvio tratto di frammentarietà discendente dall’impostazione casistica del lavoro dei giudici.

Così, i caratteri del diritto dei contrattisi ricostruisce attraverso la manualistica che se ne occupa.

3.1. È possibile una definizione di contratto in common law?

Come definire il contratto in common law?

Le cose non sono forse molto diverse rispetto a qui. Ci sono diverse definizioni (p. es. «Agreement giving rise to obligations which are enforced or recognized by law», così Guenter Heinz Treitel, The law of contract, pag. 1, dodicesima ed ultima edizione del 2007 aggiornata da Edwin Peel; «A promise or a set of promises which the law will enforce», così Halsbury, The law of England, Butterworths, IV ed., vol. IX, pag. 80; Harding Giffard, Earl of Halsbury, era Lord high chancellor of Great Britain).

Ma c’è anche chi sostiene, proprio come da noi, che una definizione soddisfacente è velleitaria (Patrick Selim Atiyah, An Introduction to the Law of Contract).

3.2. Le parole chiave.

In mancanza di una definizione proviamo almeno ad indicare le parole chiave ai fini della definizione del contratto:

— convention: è nozione più ampia di contract; il contract fa parte delle conventions, ma tra queste rientrano, ad esempio accordi che coinvolgono la pubblica amministrazione, i quali non sono contratti; potremmo dire, dal nostro punto di vista, che il rapporto tra convention e contract è sovrapponibile a quello tra accordo e contratto con cui si apre l’art. 1321 c.c. (ma «accordo», per noi, è a propria volta espressione polisensa: l’accordo dell’art. 1321 c.c. non è l’accordo dell’art. 1325 c.c.);

— promise: è la dichiarazione di assumere un obbligo; l'idea, che sta alla base della nozione di contract in common law, è che l'ordinamento vincola il promettente alla sua promessa per soddisfare l'affidamento che il promissario ha riposto nell'adempimento di essa;

— agreement: è l’incontro delle volontà che genera il contratto; un agreement può non essere un contratto: ed è il caso del gentlemen’s agreement, obbligazione giuridicamente non vincolante e non coercibile; non sembra contestabile che l’agreement abbia una parentela col principio continentale solus consensus obligat e, in altri termini, col principio consensualistico; usando la nostra terminologia, dunque, potremmo dire che l’agreement pone anzitutto l'accento sulla volontà, la promise pone anzitutto l'accento sulla dichiarazione;

— obligation: è l'obbligo che discende dal contratto: qualcosa di diverso, cioè dalla nostra obbligazione, la quale non nasce soltanto dal contratto;

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— bargain: vuol dire, più o meno, «affare»; qui sta ad indicare la negoziazione, l'operazione economica alla quale il contratto dà veste giuridica;

— consideration: esprime la controprestazione fornita dalle controparti («Consideration is the exchange of benefit and detriment»). È requisito fondamentale nel common law perché non è immaginabile un contratto senza che avvenga uno scambio di prestazioni tra i contraenti. Quelli che presso di noi sarebbero contratti unilaterali, con obbligazioni cioè a carico di una sola delle parti, sono privi di consideration e quindi, secondo il diritto inglese, è possibile stipularli solo attraverso la forma scritta e solenne dei contracts under seal; la consideration è assimilabile (molto alla lontana, per la verità) alla «causa» negli ordinamenti a civil law, cioè alla ragione del contratto.

3.3. La freedom of contract.

Oltre a queste parole-chiave dobbiamo citare almeno l'espressione freedom of contract (Patrick Selim Atiyah The Rise and Fall of Freedom of Contract, Oxford University Press 1979).

I termini della questione sono riassunti nell'introduzione all'ultima edizione di Treitel: nel 19º secolo i giudici ritenevano che le persone pienamente capaci potessero in generale stipulare i contratti che volevano: la legge interferiva soltanto su alcuni aspetti di giustizia quali misrepresentation, undue influence, illegality. Non c'erano interferenze, invece, soltanto perché una parte era economicamente più potente dell'altra e così capace di realizzare un affare economicamente sbilanciato. Di qui il riconoscimento della validità dei contratti standard predisposti da una delle parti per proteggere i propri stessi interessi: contratti dinanzi ai quali — dice Treitel — «l'unica scelta del cliente è tra l'accettare i termini del contratto o fare senza i beni o i servizi in questione».

Successivamente, però, interviene il legislatore a correggere lo squilibrio del potere contrattuale, sì da intaccare il principio di freedom of contract: «The contents of many contracts of employment are now regulated in some detail by legislation; and many important aspect of relationship of landlord and tenant are in the case of some tenancies controlled by legislations. Under others statutes, terms are compulsorily implied into contracts and cannot be excluded by contrary agreement; while the validity of standard form contracts is subjected to severe legislative restrictions, especially in contracts between a commercial supplier of goods or services and a consumer. In all these cases the main relationship between the parties is still based on agreement, bat many of the obligations arising out of it are imposed or regulated by law» (Treitel, Introduzione).

Come si vede, perciò, non è accaduto in Inghilterra qualcosa di molto diverso da quanto è accaduto in Italia.

3.4. La disciplina del contratto in common law.

Passiamo a qualche cenno descrittivo sulla disciplina del contratto in common law.

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In generale quella di contract negli ordinamenti di common law è nozione più ristretta della nozione di contratto presso di noi. Il contract è un accordo tra due o più parti che dà luogo ad uno scambio di prestazioni e, quindi, dall'assunzione di obblighi da entrambe le parti: il collegamento tra la prestazione di una parte e quella dell'altra prende, come abbiamo visto, il nome di consideration.

Negli ordinamenti di civil law, invece, rientrano tra i contratti non solo gli accordi connotati da uno scambio di prestazioni e, quindi, dal sorgere di obblighi in capo a tutte le parti (contratti bilaterali o sinallagmatici) ma anche quelli che, come la donazione, fanno sorgere obblighi in capo solo ad una o ad alcune delle parti (contratti unilaterali). Nei paesi di common law, invece, un atto privo di consideration è possibile solo come deed: si tratta di un atto (rientrante nella categoria dei documents under seal) connotato da una serie di requisiti formali (redazione per iscritto; firma della parte e suo sigillo, oggi sostituito dalla dicitura «as seal»; presenza di un testimone; consegna del documento all'altra parte) che può avere qualsiasi contenuto (anche un contract può essere fatto in questa forma); è necessario, tra l'altro, per la donazione.

Insomma, potremmo dire che, se non c’è la consideration, gli inglesi ritengono di trovarsi dinanzi ad un nudo patto, cui applicare l’antico principio romanistico ex nudo pacto obligatio non oritur (D. 2, 14, 7, 4): il «nudo consenso», un semplice scambio di promesse, non è sufficiente a vincolare le parti giuridicamente, sicché, in mancanza di consideration, occorre compensare con una certa dose di formalismo.

Quanto alla forma, allora.

Questa è in generale rimessa alla scelta delle parti. Vige cioè il principio della libertà della forma: «As a general rule no formalities are required for the creation of a contract in English law» (Atiyah); eccezioni riguardano, appunto, i contract under seal e talune forme prescritte ad substantiam: si tratta di contratti traslativi di beni mobili a scopo di garanzia e di consumer credit agreements; inoltre sono richiesti per iscritto ma come requisito per l'azionabilità in giudizio (forma ad probationem) e quindi non sono nulli, i contratti traslativi o di godimento di beni immobili. Alcune di queste previsioni formali derivano dal legislatore e mostrano un’origine non dissimile da quella cui si è fatto riferimento nell’accennare all’evoluzione della forma in Italia.

I contratti possono dunque essere suddivisi essenzialmente in:

— Simple contracts: contratti, diremmo, a forma libera sottoposti alla disciplina generale.

— Contracts under seal: letteralmente contratti con sigillo, potremmo dire contratti solenni; sono contratti che necessitano di una forma scritta e solenne affinché abbiano validità e le parti devono rispettare particolari procedure quali la presenza di testimoni e la consegna alla controparte. Inoltre può mancare la consideration (la controprestazione), perciò sono spesso utilizzati per contratti a titolo gratuito, per contratti con obbligazioni a carico del solo proponente, per liberalità o per rinunce di un diritto, per transazioni. Rientrano in tale categoria i deeds o convenant.

In base alla modalità di esecuzione si pone questa ulteriore distinzione:

— Transaction contract se istantanei, esempio compravendita di un bene.

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— Relation contract se di durata, esempio un rapporto di lavoro.

In base all’atteggiarsi della consideration:

— Executed contracts: an executed contract is one in which nothing remains to be done by either party, and where the transaction is completed at the moment that the agreement is made, as where an article is sold, and delivered, and payment therefore is made on the spot.

— Executory contracts: an executory contract is a contract to do some future act, as where an agreement is made to build a house in six months, or to do an act on or before some future day, or to lend money upon a certain interest payable at a future time.

Passiamo ad accennare al momento perfezionativo del contratto.

Il contratto si perfeziona nel momento in cui offerta e accettazione (offer, acceptance) sono esattamente coincidenti.

L'offerta è la promessa dell'offerente di assumere uno specifico obbligo nei confronti della controparte e può essere portata a conoscenza del destinatario in forma orale, scritta o mediante comportamento concludente.

L'accettazione deve avvenire nel tempo prestabilito eventualmente dall'offerente, in caso di accettazione dopo la scadenza, l'offerente può riservarsi la possibilità di accettare ma comunicandolo all'oblato. Se l'accettazione è difforme dall'offerta si ha controproposta.

L’accettazione e tutte le dichiarazioni ricettizie si reputano conosciute del destinatario nel momento in cui giungono al suo indirizzo, salvo se questi provi di non esser stato in grado di riceverle per fatto non a lui imputabile (come è stabilito presso di noi dall’art. 1335 c.c.). Costituisce eccezione a tale principio la mail box rule: in caso di accettazione per mezzo postale, questa si considera adeguatamente comunicata nella data in cui l'oblato imbuca la lettera (fa fede il timbro postale). Il rischio del mancato recapito è dunque dell'offerente.

La revoca dell'offerta può esser effettuata purché prima dell'accettazione dell'oblato (nella mail box rule prima che imbuchi la lettera).

La revoca dell'accettazione è esclusa nella mail box rule mentre negli altri casi deve pervenire all'offerente prima della dichiarazione di accettazione (caso peraltro difficilmente realizzabile).

Le parti nel momento della negoziazione precontrattuale sono tenute al rispetto dei duties of disclosure, i doveri precontrattuali.

Un accenno va fatto qui alla contractual intention.

Essa esprime la volontà delle parti di creare un vincolo giuridico tra loro. Queste possono infatti regolarmente disporre che gli accordi non abbiano valore legale pur se il contratto è in astratto fair cioè è valido e dotato di tutti i requisiti giuridici. È il caso dei gentlemen's agreements. Quindi il contratto si perfeziona nei termini descritti, ma sempre che le parti siano animate da contractual intention.

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Oggetto.

Come in Italia (artt. 1346 ss. c.c.) anch'esso deve essere lecito, (non contrario a norme imperative), possibile (l'esecuzione deve poter esser garantita senza eccessivi costi per la controparte), determinato o determinabile.

Un accenno alle cause d'invalidità del contratto.

Anzitutto l’incapacità dei contraenti.

Contratti con i minori: i contratti conclusi da coloro che rientrano in tale categoria sono vincolanti solo se necessaries, cioè atti indirizzati al mantenimento della propria condizione sociale (es. acquisto di vestiti, cibi). Gli altri atti che esulano da tale insieme sono invece annullabili (voidable) ad istanza del minore nel corso della sua minore età o entro un tempo ragionevale dopo il compimento della maggiore età.

Infermità mentale e drunkness: in linea di massima sono ascrivibili agli infermi, gli incapaci naturali e legali e ai drunkeness coloro che si trovano in condizione di incapacità per causa a loro imputabile (ubriachi o drogati). In entrambe le situazioni i negozi da essi conclusi sono validi e vincolanti a meno che la controparte non fosse consapevole dello stato d'incapacità e quindi si possa ravvisare un intento doloso. In tal caso i contratti sono annullabili su istanza del soggetto danneggiato.

Il campo dei vizi del volere è alquanto articolato.

Incontriamo la figura del mistake, che ha una disciplina piuttosto complessa, di formazione come sempre casistica.

Vi è poi la misrapresentation. In questo caso uno dei contraenti comunica all'altro notizie false sull'operazione contrattuale, tali da indurlo a prestare il consenso. Si tratta di una figura che corrisponde solo in parte a quella del dolo. Anche qui vi è una falsa rappresentazione della realtà indotta da uno dei contraenti a scapito dell'altro. Ma la misrepresentation può essere non soltanto fraudolent, qualora sia avvenuta con la consapevolezza e con intento lesivo dell'interesse della controparte, ma anche innocent nel caso in cui vi sia stato inconsapevolmente la comunicazione di tali notizie, oppure negligent in caso di omissione colposa o di mancata verifica della veridicità delle informazioni. La misrepresentation deve avere in ogni caso rilievo essenziale. Il rimedio apprestato è quello della rescission for misrepresentation, cioè l'annullamento del contratto su istanza della parte lesa. Questa viene concessa sempre che il contratto non sia stato ancora eseguito o la parte lesa abbia la possibilità di ripetere la prestazione ricevuta. Inoltre deve esser richiesta entro un termine ragionevole dalla conclusione del contratto. I diritti dei terzi che hanno acquisito a titolo oneroso e in buona fede sono salvi (non invece nei casi di contratto void, nullo). Alla rescission sono sempre connessi i danni (anche nei casi in cui questa non è concessa).

La duress è figura assimilabile alla violenza (art. 1434 c.c.). Si tratta non già di violenza fisica (in common law come in civil law la violenza fisica determina la mancanza assoluta della volontà e la conseguente nullità del contratto) ma di violenza morale, consistente nella imposizione o nella minaccia di intuizione di un male ingiusto e notevole al fine di indurlo alla conclusione del contratto. Anche in questo caso il contratto è annullabile ad istanza della sola vittima.

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Particolare attenzione merita la figura della undue influence. Qui siamo dinanzi ad un vizio che non ha un esatto corrispondente presso di noi. Si tratta di influenza abusiva: di approfittamento da parte di uno dei contraenti delle condizioni di debolezza, soggezione dell'altra parte. Si trova affermato che l’undue influence è il risultato di una situazione di inequality bargaining power. Ne è esempio un caso degli anni 60. Un padre garantisce il fido concesso da una banca al proprio figlio. Tempo dopo gli affari di questo vanno male, sicché il padre incrementa la garanzia al fine di ottenere un elevamento dell'affidamento del figlio. Nell'occasione, il funzionario incaricato di trattare per conto della banca si reca presso l'uomo, gli porta i documenti necessari, lo avvisa il carattere particolarmente gravoso dell'atto, lo invita a decidere solo dopo aver riflettuto ed essersi consultato con una persona di sua fiducia. Cosa che il padre fa. Gli affari del figlio, però, continuano a peggiorare, sicché la banca gli prospetta un ulteriore aumento del fido dietro un pesante aggravamento della garanzia, non più soltanto reale, ma anche personale. In questo caso, però, il funzionario della banca va dall'uomo e gli fa firmare le carte senza dargli tempo di pensare. Il giudice, allora, riconosce l'invalidità dell'ultima garanzia prestata, poiché il diritto inglese tutela «chiunque abbia sottoscritto, senza aver preso disinteressato consiglio, un impegno, allorché questo sia risultato chiaramente iniquo e la libertà contrattuale del sottoscrivente sia stata pesantemente inficiata dal suo stato di bisogno economico o dai suoi condizionamenti psicologici o dall’ignoranza o da malattia, nonché dalle suggestioni o dalle pressioni esercitate dalla controparte a proprio vantaggio» (Lloyds Bank v. Bundy [1975] Q.B. 198).

Resta da accennare all'inadempimento e ai danni da inadempimento.

Quanto all'inadempimento occorre rammentare le due figure della frustration e del breach of contract.

La frustration non ha una precisa corrispondenza nei sistemi di civil law. Con una certa approssimazione potremmo dire che si tratta di impossibilità sopravvenuta della prestazione, entro cui convergono ipotesi diverse individuate su base casistica. In linea generale in caso di inadempimento dovuto a circostanze sopravvenute non imputabili al debitore si produce la risoluzione del contratto. Ciò accade, tra le altre ipotesi:

— in caso di distruzione materiale dell'oggetto della prestazione; nel leading case, Taylor v. Caldwell, King's Bench, 3 B. & S. 826, 122 Eng. Rep. 309 (1863), una parte ottiene dall'altra il godimento di un locale per organizzarvi concerti, ma l'edificio viene distrutto da un incendio prima che le rappresentazioni abbiano inizio; il proprietario dell'immobile, quindi, agisce in giudizio per ottenere il corrispettivo pattuito, ma la corte, nel risolvere la questione dell'individuazione della parte tenuta a sopportare il danno per la mancata utilizzazione dell'immobile, stabilisce che nulla è dovuto al proprietario, osservando che, se il raggiungimento dello scopo del contratto è reso impossibile da una causa estranea alla volontà delle parti ed irresistibile, il contratto si scioglie e le parti sono liberate le proprie obbligazioni;

— in caso di illiceità sopravvenuta che vada ad interessare l'oggetto del contratto, come nel caso di un atto legislativo che proibisca l'esecuzione di una determinata prestazione; direi che viene qui una certa assonanza col factum principis;

— in caso di mancato verificarsi di una condizione implicita che abbia costituito the real basis of the contract; qui il leading case è Krell v. Henry [1903], 2KB 740): un uomo aveva convenuto di poter godere di una stanza con finestra per poter assistere

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all'incoronazione di Edoardo VII, ma lo scopo del contratto, su cui entrambi i contraenti erano d'accordo, non era stato esplicitato; essendo stata rinviata l'incoronazione, ed avendo il proprietario dell'immobile richiesto il pagamento del corrispettivo, la corte stabilì che nulla era dovuto, dal momento che «the coronation procession was the faundation of this contract»; evidenti qui le assonanze con la figura della presupposizione.

E va aggiunto che, nel 1943, il Law reform frustrated contracts act ha stabilito l'obbligo della restituzione delle somme pagate, salvo patto contrario. È più o meno quanto accade da noi nel caso che, scioltosi il contratto, viene in questione l'applicazione delle regole sulla ripetizione dell'indebito oggettivo.

Quanto al breach of contract. Con tale espressione si intende genericamente l'inadempimento contrattuale imputabile a dolo o colpa del debitore. Può trattarsi di fundamental or vital breach, nel caso che l'inadempimento sia così grave da incidere radicalmente sull'equilibrio del rapporto; può trattarsi altrimenti di defective performance, di adempimento difettoso, che non altera significativamente l'equilibrio contrattuale. Nel primo caso si ha la risoluzione (termination for breach). Nel secondo caso no.

L'inadempimento tale da determinare la risoluzione deve essere colpevole, sicché non si ha breach of contract quando il debitore sia stato in buona fede o il suo comportamento sia stato determinato da una legittima scusante: deve trattarsi, insomma, di inadempimento «without lawful excuse».

I danni da inadempimento contrattuale vengono risarciti in presenza di nesso di causalità tra l'inadempimento e il danno secondo il principio intended consequences are never too remote (Chaplin v Hicks [1911] 2 KB 786, CA, 6.10).

In ordine al quantum, il risarcimento si attua attraverso una somma volta ristorare il pregiudizio commisurato alla posizione economica che il plaintiff si sarebbe aspettato di realizzare attraverso l'adempimento della pattuizione. Si parla in questo caso di «expectation measure» or «benefit-of-the-bargain» measure of damages). Il risarcimento è finalizzato «to put the victim, so far as money can do it, in same situation as if the contract had been performed» (Robinson v. Harman [1848] 1 Ex. 850, 855).

Il principio, dunque, è quello del risarcimento integrale comprendente, secondo la nostra terminologia, anche il lucro cessante.

Quando è impossibile o inopportuno quantificare in tal modo il risarcimento, quest'ultimo viene commisurato alla posizione economica che il danneggiato occupava al momento della conclusione del contratto. Si parla in questo caso di reliance damages: qualcosa di non così diverso dal danno emergente.

Mi pare utile aggiungere che nel diritto inglese il danno da inadempimento contrattuale è anche quello non patrimoniale, di natura essenzialmente morale: «The disappointment, the distress, the upset and frustration caused by the breach» (Jarvis v. Swan Tours Ltd [1973] QB 233).

4. Gradual convergence.

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Mi avvio a concludere.

È certo interessante compiere una valutazione statica dei punti in comune e delle differenze tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law. I punti in comune, abbiamo visto, sembrano maggiori delle differenze, che pure vi sono e non trascurabili.

A volte, poi, le differenze non sono proprio irresistibili. Ho accennato alla donazione, che è fuori del mondo dei contratti perché, secondo il punto di vista inglese, mancante di consideration. Sicché per la donazione occorre utilizzare il deed, che per gli inglesi non è un contratto. Ebbene, della cosa si è occupato Gino Gorla oltre mezzo secondo fa, osservando, in sostanza, che il deed e la nostra donazione si muovono in parallelo, giacché entrambe le figure impiegano schemi formali non troppo diversi per rendere coercibili le promesse gratuite (Gino Gorla, Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, Giuffré, Milano, 1954).

Tuttavia, più che guardare agli aspetti statici, mi pare più stimolante chiedersi se tra i due ordinamenti vi siano linee evolutive comuni: se in entrambi gli ordinamenti tiri, per così dire, lo stesso vento.

Ebbene, io credo che si debba in primo luogo guardare a quella che ho indicato come la differenza più profonda: la fonte giurisprudenziale del common law a paragone con la fonte legale del civil law.

Ecco: non è forse vero che l’energia creatrice della giurisprudenza va acquistando da noi sempre maggior rilievo? Mi basta, per dimostrarlo, citare una sola espressione: «interpretazione costituzionalmente orientata». Potrei elencare decine e decine di radicali e talvolta impensabili mutamenti giurisprudenziali occorsi negli ultimi anni sotto il segno del dovere del giudice di interpretare le norme in conformità a Costituzione.

E d’altro canto: non è forse altrettanto vero che la legge, in Inghilterra va acquistando sempre maggio peso? Ho accennato alla legislazione intervenuta su temi particolarmente «caldi»: il contratto di lavoro, il credito al consumo, un settore che potremmo avvicinare, per il suo rilievo sociale, a quello delle locazioni rubane (Leasehold Reform, Housing and Urban Development Act 1993), i contratti dei consumatori (The Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations 1999, Statutory Instrument 1999 n. 2083, attuativo della direttiva 93/13/CE).

Ma ci sono esempi di graduale convergenza che si manifestano in campi di rilievo sociale non trascurabile ma nemmeno così evidente.

Voglio fare l’esempio del contratto a favore di terzo. L’art. 1411 c.c. stabilisce che: «È valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse».

Una cosa del genere in Inghilterra, nella logica del common law, sarebbe stata impensabile. Il contratto a favore di terzo, infatti, entra in conflitto con il principio della privity of contract, che discende dal principio romanistico alteri stipulari nemo potest. L’inammissibilità del contratto a favore di terzi è sancita nel caso che segue (Tweddle v. Atkinson, [1861] 1 B S 393).

I padri di una coppia in procinto di sposarsi si accordano per pagare allo sposo una certa somma a seguito delle a nozze. Dopo che queste sono state celebrate, il padre di lei

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non vuol pagare, sicché il genero agisce in giudizio contro il suocero. Ma la corte respinge la domanda perché tra suocero e genero manca la consideration.

Il Contracts (Rights of Third Parties) Act 1999, però, ha ammesso il contratto a favore di terzi, attribudendo al terzo il diritto di agire in giudizio per l'adempimento di una clausola contrattuale stipulata a suo beneficio dai contraenti.

Ho usato poco fa l’espressione graduale convergenza. Non è mia. È la citazione del titolo di un volume a cura di Basil Markesinis, The Gradual Convergence: Foreign Ideas, Foreign Influences and English Law on the Eve of the 21st Century, Clarendon Press, Oxford, 1994. E mi sembra sia il modo migliore per riassumere punti in comune e differenze tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law.