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1 “VISIONE PERSONALE SUL RISORGIMENTO ITALIANO E SUI MOTI LIBERALI” (a cura di Silvano Bernardoni. 2011) BIBLIOGRAFIA: “L’età contemporanea” – Carmelo Bonanno – Liviana editrice – Padova – 1968. “Pensiero ed azione del Risorgimento” – Luigi Salvatorelli – Einaudi – 1963. “Storia militare del Risorgimento” - P. Pieri – Einaudi – Torino – 1962 – vol. I e II. Volumi vv dell’istituto per la storia del Risorgimento – Roma. 1) PREMESSA. a. Il XIX secolo si caratterizza per il dare vita a nuove forze politiche, economiche e spirituali. Le scoperte della scienza e della tecnica, lo sviluppo industriale e commerciale, l’indipendenza delle nazioni e la loro unità sotto una monarchia o sotto una repubblica, l’espandersi del capitalismo e la presa di coscienza del proletariato, il trionfo del liberalismo e la nascita del socialismo di varia matrice, l’imperialismo e il colonialismo, l’affermazione del romanticismo e del positivismo, le libertà dell’uomo e del cittadino, la caduta dei privilegi feudali, “lo stato” come garanzia dei diritti di tutti i cittadini, le conquiste estese a vari strati dell’umanità, la trasformazione del pensiero per grandi masse umane, problemi universali posti in essere per la vita dei singoli e per le classi sociali furono i grandi temi del XIX secolo. b. Il XIX secolo fu il secolo degli inventori e dei cervelli scientifici che applicarono la scienza alla tecnica e così fiorirono nuove industrie e nuovi mezzi di trasporto (battello a vapore e treno/ferrovia). La rivoluzione industriale generalizzata, nel vecchio continente, portò alla produzione di beni di produzione (macchinari) e a generi di consumo in grande quantità a prezzi abbastanza bassi per effetto della concorrenza… beni che tramite i trasporti poterono arrivare in tutto il mondo

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“VISIONE PERSONALE SUL RISORGIMENTO ITALIANO E SUI MOTI LIBERALI”

(a cura di Silvano Bernardoni. 2011) BIBLIOGRAFIA:

• “L’età contemporanea” – Carmelo Bonanno – Liviana editrice – Padova – 1968.

• “Pensiero ed azione del Risorgimento” – Luigi Salvatorelli – Einaudi – 1963.

• “Storia militare del Risorgimento” - P. Pieri – Einaudi – Torino – 1962 – vol. I e II.

• Volumi vv dell’istituto per la storia del Risorgimento – Roma. 1) PREMESSA. a. Il XIX secolo si caratterizza per il dare vita a nuove forze

politiche, economiche e spirituali. Le scoperte della scienza e della tecnica, lo sviluppo industriale e commerciale, l’indipendenza delle nazioni e la loro unità sotto una monarchia o sotto una repubblica, l’espandersi del capitalismo e la presa di coscienza del proletariato, il trionfo del liberalismo e la nascita del socialismo di varia matrice, l’imperialismo e il colonialismo, l’affermazione del romanticismo e del positivismo, le libertà dell’uomo e del cittadino, la caduta dei privilegi feudali, “lo stato” come garanzia dei diritti di tutti i cittadini, le conquiste estese a vari strati dell’umanità, la trasformazione del pensiero per grandi masse umane, problemi universali posti in essere per la vita dei singoli e per le classi sociali furono i grandi temi del XIX secolo.

b. Il XIX secolo fu il secolo degli inventori e dei cervelli scientifici

che applicarono la scienza alla tecnica e così fiorirono nuove industrie e nuovi mezzi di trasporto (battello a vapore e treno/ferrovia). La rivoluzione industriale generalizzata, nel vecchio continente, portò alla produzione di beni di produzione (macchinari) e a generi di consumo in grande quantità a prezzi abbastanza bassi per effetto della concorrenza… beni che tramite i trasporti poterono arrivare in tutto il mondo

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conosciuto, contro lo scambio di materie prime o prodotti agricoli che limitarono così o eliminarono quasi per sempre le ricorrenti crisi e/o carestie.

c. La borghesia capitalista, industriale e commerciale divenne la

classe dominante del secolo. Ai guadagni dell’imprenditore non corrisponde un (equo) lavoro retribuito proporzionalmente soprattutto per effetto del libero mercato e della libera concorrenza che avevano lo scopo di offrire, sul mercato, i beni prodotti al prezzo più basso e quasi quasi vicino al prezzo di costo. I gruppi di industriali, stanchi della libera concorrenza, instaurarono il regime di monopolio, distruggendo i principi ed i vantaggi della libera concorrenza. “Lo stato” lasciò fare, non intervenne per correggere gli squilibri economico-sociali ed organizzandosi “ad hoc”.

d. I principali avvenimenti politici, i moti liberali e le guerre

d’indipendenza portarono ad alimentare la necessità del principio di nazionalità e di indipendenza degli stati feudali ed autocratici del tempo, aprendo una stagione nuova all’insegna del progresso. La fede nella libertà, nell’indipendenza e nell’autodecisione delle nazioni divenne il credo o la fede di tutto il secolo, e le libertà individuali nonché il diritto di proprietà e di scelta del lavoro e di libertà di coscienza divennero imperativi unici per l’intero secolo; tutti insieme ed insieme ad altri fattori esterni dettero il via a 32 rivoluzioni, cambiando il volto politico- istituzionale del vecchio continente.

e. “Lo stato” nel XIX secolo, attraverso la rappresentanza del

popolo acquisì una parte della sovranità dei cittadini e diventò strumento di difesa e di garanzia delle libertà e dei diritti dei cittadini, in cui la legge diventò sovrana e la democrazia moderna si avviò alle sue prime esperienze di vita puntando sulla libertà, ma anche sulla responsabilità dei cittadini attraverso l’esercizio di alcune prassi. Lo stato liberale, verso la fine del XIX secolo, rimaneva tuttavia conchiuso nella sua dialettica tra stato e libertà individuale. Si affacciavano all’orizzonte: un nuovo concetto di stato basato sulla forza ed uno stato capace di una legislazione sociale per dirimere i conflitti di interesse tra capitale e lavoro, ma anche uno stato che, una volta realizzata la nazionalità, sconfinò nel nazionalismo aggressivo ed imperialista con le conseguenze che esso determinò nel successivo secolo.

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2) IL CONGRESSO DI VIENNA (1815) a. Il congresso di Vienna, fu organizzato per dare un assetto

politico-istituzionale alla vecchia Europa scossa dalle guerre napoleonica. La santa alleanza cioè il reciproco aiuto degli stati aderenti (Russia, Prussia, Austria, Francia, etc… ) aveva al congresso come base ideale “i principi della religione cristiana”, ma il Ministro austriaco Metternich, trasformò gli ideali cristiani in attività operativa fatta di oppressione e di reazione alle individualità ed al sorgere delle nuove nazioni. Infatti fu inaugurata la “politica di intervento”, per intervenire cioè all’interno di ogni stato nel quale si fossero manifestate attività di indipendenza, per restaurarvi l’ordine turbato! Alla santa alleanza non parteciparono né il Papa né l’Inghilterra. Le aspirazioni alla auto-determinazione dei popoli: italiano, polacco, ungherese, prussiano, serbo, etc… furono solo aspirazione che rimasero tali e per realizzarsi furono foriere di guerre e di rivendicazioni territoriali.

b. La questione italiana fu non un problema, ma una serie di problemi articolati e complessi dai risvolti internazionali ed interni:

1) L’Inghilterra vedeva di mal occhio la stretta alleanza degli stati

centrali tra loro: Austria, Prussica e Russia. Per poter dividere il blocco operò affinché l’Austria si staccasse della Russia ed avesse mano libera in Italia e nei Balcani. La stessa Inghilterra contro l’eventuale espansionismo francese ed austriaco favorì l’allargamento territoriale del regno Sardo-Piemontese con l’annessione della Liguria e della Lomellina o Alto Novarese. Due partiti (modi di concepire la realtà) si opposero: il partito di Metternich che voleva la pace nell’ubbidienza dei popoli e la collaborazione degli stessi popoli in uno spirito di reciproca integrazione sotto gli Asburgo, il partito di Mazzini che concepiva la pace ed il progresso nell’indipendenza delle nazioni.

2) Forse è il caso di vedere o esaminare le cose politiche o

economiche secondo l’ottica della “Real politik”. Le potenze della santa alleanza si accordarono a Vienna per difendere: i loro troni, gli interessi concreti, pratici ed immediati e mantenere “il principio di equilibrio tra le potenze” che aveva dominato per secoli in Europa prima della Rivoluzione Francese.

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3) IL RISORGIMENTO ITALIANO: ORIGINE, VISIONI, CRITICHE, LUCI ED OMBRE.

a. PREMESSA

Il Risorgimento italiano al di là del mito e della oleografia celebrativa è stato un dramma e spesso una serie di tragedie del popolo italiano, o meglio della borghesia, dei soldati, dei volontari e di casa Savoia nel duro cammino per diventare nazione. Quel lungo cammino, come testè detto, è stato fatto di luci e ombre, di tormenti, di colpe, di vizi e di errori, ma anche di gloria, di amor di patria disinteressato, da idealità, di tanto sangue…da non dimenticare mai!!!!

b. PROBLEMI DI FATTO 1) Ai fattori ideali (libertà, indipendenza, unità, romanticismo…) si

unirono concrete necessità (mercati più vasti, vie di comunicazione, abolizioni di dogane e dazi protettivi). Il tradizionale individualismo che rovinò per secoli l’ Italia fu in parte superato dalla necessità di fare critica al passato, e di trovare terreno comune per armonizzare gli interessi individuali con quelli della società e con quello dello stato. Le nuove esigenze di libertà furono sentite da un’esigua minoranza di uomini eletti (e di donne elette) facenti parte della carboneria o della massoneria, da professori e studenti universitari, da commercianti e artigiani, non dal popolo perché: ignorante, povero, pauroso, clericale ed ostile al cambiamento. Il grosso “neo” che rimarrà per molto tempo e che resiste fino a oggi fu il “Municipalismo” (non il federalismo che è un’altra cosa) che stentò a riconoscere la necessità di una coscienza nazionale ed una visione necessaria e realistica di un’ Europa unita o federata fatta di difesa comune, di libertà individuali e collettive, di libero commercio, di moneta unica per agevolare gli scambi commerciali, e di difesa delle differenze nella libertà per dare vigore alle individualità emergenti delle menti e ai prodotti unici esclusivi ed inimitabili delle comunità.

2) I contrasti non furono pochi e non sempre sereni tra i

protagonisti della vita politica italiana pro-risorgimento. Il Gioberti sperò nella religione comune come cemento civile e nel Papa come guida politica della nuova Italia (idea balzana perché

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il Papa ha per istituzione idee sovrannazionali e come territorio un territorio suo dove realizzare un suo sogno teocratico fatto di basiliche, conventi, ordini religiosi, messe cantate, bonarietà e studi teologici). Il Mazzini, romantico e patriottico, credette nel popolo, nell’unità della nazione e nella repubblica (l’Italia di Mazzini e di Garibaldi, fatta di popolo, con leggi ed istituzioni volute dal popolo, non poteva trovare possibilità concrete di realizzazione perché, anzi-detto, il popolo era massa inerte ed ignorante, oltre che povero di mezzi ideali e di sostanze materiali; quindi una pura e semplice utopia, non per questo da denigrare… Mazzini anticipava i fatti di un secolo).

3) I Sabaudisti furono sempre fermi nella loro personale

convinzione che la Casa Savoia svolse dal XVI secolo una missione nazionale nella storia d’Italia ed identificarono il Risorgimento con la formazione dello stato italiano ad opera di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II°. I seguaci di Gaetano Salvemini affermarono che il risorgimento fu un’operazione diplomatico-politico-militare di casa Savoia per poter annettersi le popolazioni delle altre regioni d’Italia, non sempre con la loro volontà.

c. CHE COSA FU IL RISORGIMENTO?

Alle infinite risposte fornite da storici, filosofi, politici, letterati…. Io cercherò di dare una spiegazione personale lontana dai paroloni e dai discorsi fumosi e cattedratici, ma basata sui fatti contingenti di quel periodo e le successive conseguenze, senza nulla togliere ai pensatori del calibro di: L. Salvatorelli, di B. Croce, di Gramsci, di Silva, di Villari, di Borghese, di Luzzato, di Volpe, ed altri… Il Risorgimento italiano si sviluppò per una situazione particolare dell’ Italia (nell’800 italiano ed europeo) ebbe dalla sua una minoranza di intellettuali e di uomini pratici. Essi capirono che era giunto il momento storico di poter unificare l’Italia attraverso le forze disponibili del tempo, capaci di attuare il progetto, e cioè: l’esercito piemontese con Casa Savoia, la massoneria italiana denominata carboneria, alcune migliaia di volontari animati da ideali patriottici, e di pensatori della caratura di: Mazzini, Cattaneo, D’Azeglio e Gioberti. Il Risorgimento non rappresentò un movimento rivoluzionario, perché unificò l’Italia divisa e compartimentata per territorio ed

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istituzioni sotto il Piemonte e sotto i suoi ordinamenti: militari, giuridici, fiscali, amministrativi non rappresentò un movimento rivoluzionario perché la classe dirigente d’Italia rappresentata dalla borghesia intellettuale, agraria, industriale e commerciale rimase tale, e dopo il risorgimento si rafforzò. Il risorgimento si realizzò per confluenza di forze moderate, liberali, illuminate che si incunearono nel bel mezzo della corrente fluviale dell’ Italia del tempo, lasciando ai lati o ai margini i rivoluzionari di sinistra (Mazziniani e Garibaldini) ed i conservatori retrivi (Solaro I° Ministro di Carlo Alberto nei primi anni della sua reggenza). Cavour fu un pragmatico ed un moderato dotato di grandi visioni storico-politiche: positivo, pragmatico e con i piedi per terra. Il partito che ebbe il maggior consenso nel paese fu quello liberal-moderato che rappresentò il coagulo della borghesia con la nobiltà e con i cattolici neoguelfismi transitati dall’appoggio al Papa all’appoggio a casa Savoia. Questo rappresentava il problema per linee interne; il problema per linee esterne si realizzò con l’appoggio della Francia e “dell’ Inghilterra liberale”. In quella linea mediana si mossero le forze del risorgimento. I soldi per i moti liberali e mazziniani arrivarono dai nobili e dall’ Inghilterra liberale, i soldi per le guerre d’indipendenza arrivarono dalla Francia e dall’Inghilterra. In Italia c’era di tutto, cattolici liberali e cattolici controriformisti , c’erano i Ghibellini e c’erano i Guelfi, c’era un popolo ignorante, analfabeta, affamato, bigotto, dedito al lavoro ed ai numerosi figli che non avevano un tozzo di pane e uno straccio di vestito da mettersi addosso e scarpe da calzare. Si voleva dare a questo popolo il voto per democratiche istituzioni, ed anche la capacità di poter partecipare alla vita economica e politica del paese? Molti Italiani venivano aiutati a sopravvivere dai monaci e dalla chiesa che è sempre stata, e lo è ancora, anti-unitaria ed anti-italiana perché considera l’Italia un proprio feudo per diritto divino o per concessione ereditaria di Costantino il Grande (documento falso). Quindi, come il buon padre di famiglia è un padre di buon senso che fa il passo quanto è lunga la gamba per far vivere la famiglia, altrettanto dicasi della classe del tempo che ebbe i suoi massimi esponenti in quei moderati ed onesti che furono prima Cavour indi Giolitti. Il primo fondò il nuovo stato, il secondo passò dallo stato liberale-istituzionale allo stato liberale-sociale inserendo masse di lavoratori nella vita attiva del paese attraverso il voto e la legislazione del lavoro.

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4) MASSONERIA E CARBONERIA a. La storia della massoneria è stata tracciata, per linee maestre, in

un mio scritto del 2002. La massoneria italiana aveva le sue origini da quella madre di origine francese. La scissione della massoneria italiana diede origine alla carboneria. Comunque nell’Italia settentrionale la massoneria rimase tale, di contro, nel meridione d’Italia la carboneria prevalse nettamente sulla massoneria. La massoneria italiana, come quella internazionale, fu cosmopolita ed anticattolica, la carboneria rimase patriottica, nazionale e cattolica. Facevano parte della carboneria, ex impiegati ed ufficiali, ex napoleonici, scrittori, professionisti e borghesi che avevano bisogno di più libertà e di uno stato costituzionale con molteplici garanzie liberali. I moti liberali verranno trattati per linee maestre in seguito. Ai primi moti del 1820-21 a Napoli ed in Sicilia fecero seguito quelli del Piemonte del 1821. Ai primi del 1820-1821 fecero seguito i moti liberali del 1830-31 a Modena, e quello mazziniano a Genova del 1932-1933; indi quello del 1834 ai confini della Svizzera, poi quello di Imola del 1843 e quello dell’anno seguente dei fratelli Bandiera in Calabria nel 1844, e quello di Rimini del 1845, indi i moti del 1848: a Milano, a Venezia, a Roma, a Messina, a Palermo e a Sapri nel 1857 (da parte di Carlo Pisacane).

b. Secondo lo storico Salvemini: i moti liberali del 1820-21 si

chiusero in disastrosi insuccessi, i moti del 1830-31-32 dimostrarono la necessità da parte dei governanti di dare “costituzioni” come primo atto politico a cui avrebbero fatto seguito lotte politico-militari fino alla definitiva indipendenza. I liberali napoletani o siciliani non avrebbero avuto la loro indipendenza se non si fosse risolto prima il problema del lombardo veneto contro l’Austria.

5) LA RIVOLUZIONE NEL REGNO DEI BORBONI. a. La prima prova, diciamo rivoluzionaria, in Italia si ebbe nel

1820-1821 in Piemonte e a Napoli. L’Italia meridionale, in quella stagione storica offrì il primo esperimento liberale-costituzionale. Ai primi di luglio del 1820 le guarnigioni di Nola e di Avellino, ad opera di due ufficiali di cavalleria Michele Morelu e Giuseppe

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Silvati e del prete Manichini, si mossero verso Napoli chiedendo una costituzione liberale come quella di Spagna. L’insurrezione fu guidata da Guglielmo Pepe, il quale ottenne dal re Ferdinando la costituzione giurando sul Vangelo. Anche i Siciliani si mossero e chiesero una costituzione “similare” per la Sicilia che garantisse un’autonomia per l’isola. Lo storico Pietro Colletta fu inviato in Sicilia per reprimere il moto separatista. Su richiesta di Ferdinando, l’Austria inviò un esercito di 50.000 uomini che ebbe facilmente ragione del movimento liberale sconfiggendo gli insorti a Rieti e ad Antrodoco (1821). La reazione di re Ferdinando fu spietata: molti furono i fucilati e tantissimi gli esiliati. Perché i moti del napoletano? A Napoli e dintorni, al tempo di Murat, le istituzioni di marca francese presero piede e si affermarono insieme alla massoneria. La restaurazione del Congresso di Vienna creò malcontento e agitazione. La carboneria cercò di riunire e disciplinare le sette segrete dell’Italia del sud. Piccoli possidenti, piccoli impiegati, ufficiali e sottufficiali, per ragioni diverse, si trovarono concordi nel combattere il vecchio reiterato sistema borbonico. Si stimò che ammontassero a 300-400 mila gli iscritti alla carboneria, e Guglielmo Pepe, comandante della 3° divisione militare, permise che le unità militari si riempissero di carbonari. Le truppe regolari nel napoletano ammontavano a 19.000 soldati più le milizie volontarie. I volontari ribelli si mossero da Nola per Monteforte ed infine ad Avellino per fare adunata generale e di lì puntare su Napoli. Alla testa dei rivoltosi primeggiava un frate un po’ sui generis, un certo Minichini, a cavallo, vestito da frate, con un grosso fucilone ed una spadona: gli occhi fiammeggianti di furore, ed orante parole sconnesse: “costituzione, trono, libertà”. Alla corte napoletana il re Ferdinando convocò una specie di consiglio di guerra con i generali: Medici, il duca d’Ascoli, Carrascosa, D’Ambrosio, Fardella e Filangieri. Assente il Gen. Pepe perché non dava completo affidamento. Vennero inviati in zona i due Generali fedelissimi: Nunziante e Campana. Molte truppe al comando dei predetti generali passarono dalla parte dei ribelli, tanto da indurre i due comandanti a ritirarsi dietro il fiume Sarno a protezione di Napoli dalla parte di Salerno. A Napoli il Gen. Napoletani annunziava a Pepe che la sua brigata si sarebbe unita ai costituzionalisti. A quel punto il Pepe aderì (pure lui), pur non essendo carbonaro, ma per evitare l’anarchia e la prepotenza faziosa. Il re annunciò che entro 8 giorni (6 luglio 1820) avrebbe concesso la costituzione ed un

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governo costituzionale. Una colonna immensa di soldati e ribelli liberali (circa 14 mila) si preparò ad entrare in Napoli da Capo di Chino al comando del Gen. Pepe. La rivoluzione si era realizzata all’italiana in 4 giorni per il concorso della piccola borghesia agraria, degli ufficiali ex murattiani e dei sottufficiali dell’esercito napoletano perché mal pagati e per nulla considerati. “More solito” degli Italiani, moltissimi erano saltati sul nuovo carro dei vincitori, mentre il malcontento serpeggiava dando vita al brigantaggio ed all’invasione delle terre demaniali, comunali e quelle dei signori da parte di turbe di contadini laceri ed affamati.

b. In Sicilia, intanto, il moto carbonaro napoletano non era stato accolto dai liberali locali con l’entusiasmo che si sarebbe potuto credere. L’isola soffriva di una grossa crisi economica aggravata da una politica doganale jagulatoria. Il 17 luglio, la rivolta fu imponente al grido di “costituzione”, ma non c’era chi comandasse la folla e chi regolasse gli eventi. Una turba di popolo eccitata entrò nel forte di Castellammare a Palermo e si impadronì di 14 mila fucili e relative munizioni. Per dare ordine agli eventi venne nominata una giunta di governo presieduta da borghesi, dai rappresentanti le corporazioni, dal principe di Torrebruna e da vescovo della città. Da Napoli furono inviati nell’isola alcuni emissari, ma presto furono arrestati. Per rimette ordine nell’isola fu inviato il Gen. Florestano Pepe, mentre nelle roccaforti dei Borboni (Caltanissetta, Catania, Messina e Siracusa) da parte della giunta siciliana fu inviato un certo numero di bande costituite da avanzi di galera e scarti della rivoluzione. Il Gen. Florestano Pepe, fratello di Guglielmo, al comando di 6 mila soldati, 500 cavalieri e 6 cannoni presto ebbe ragione di bande di irregolari. Il Pepe concluse un accordo con il principe di Villafranca nel quale si amnistiavano i ribelli e si convocavano a Napoli i deputati regionali della Sicilia. Al Pepe, troppo morbido, subentrò il Gen. del Genio Pietro Colletta, futuro eminente storico. Questi riconobbe le misere condizioni dell’isola e la necessità di ricostruire il tessuto economico dell’isola. Ormai, tuttavia, era giunto il momento di prepararsi alla lotta contro le forze della Santa Alleanza e quindi dell’Austria. Furono apprestati, in poco tempo, 52 mila uomini divisi in battaglioni, legionari e militi territoriali.

c. Si pensò a due linee di difesa: la principale verso Capua al comando del Gen. Carrascosa e la secondaria al comando del

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Gen. Guglielmo Pepe dall’Abruzzo per prendere di spalle o di fianco gli Austriaci in marcia su Napoli. Gli Austriaci puntarono sugli Abruzzi, contro Pepe, in un rapporto di 5 a 1. Il Pepe, allo scopo di evitare continue diserzioni, decise di attaccare gli Austriaci nelle vicinanze di Rieti. Il 7 marzo 1821, l’attacco dei napoletani ebbe inizio sulla scorta di un piano geniale di Pepe. I soldati napoletani mancavano di disciplina, di addestramento e di spirito di combattimento. Ad Antrodoco, luogo per natura forte, fu dato l’ordine di resistere al Col russo. Il 9 marzo le colonne austriache mossero contro i liberali di Pepe, che dopo una giornata di movimenti, per aggiramento, conquistarono il contrafforte entrando successivamente in L’Aquila. Gli austriaci con 40 mila uomini attaccarono le posizioni principali del Carrascosa tenute da 25 mila uomini. Le diserzioni dei napoletani crebbero in modo esponenziale. Si decise un’ultima difesa a Mignano e a Sesto sul Volturno ed infine a Capua. Le unità di Pepe con 15 mila uomini si ritirarono ad Isernia e si fortificarono. Tutte le unità del I° corpo napoletano si ritirarono o disertarono. Il 20 marzo 1821 venne firmata la resa tra il Gen. Fiquelmont e il Gen. Ambrosio. La rivoluzione costituzionale nel napoletano e nella Sicilia ebbe termine. Il 24 marzo un nucleo di deputati lanciò un invito al re per il perdono dei combattenti e degli insorti. L’invito non fu recepito… la reazione fu spietata e generalizzata.

6) I MOTI COSTITUZIONALI IN PIEMONTE.

Gli avvenimenti del napoletano ebbero presto ripercussioni in Piemonte. In Piemonte era tornato, da un lungo esilio in Sardegna, Vittorio Emanuele I° , che come primo atto aveva soppresso tutte le riforme francesi. Ciò provocò un grande e diffuso malcontento tra i liberali e i carbonari. I liberali simpatizzavano per Carlo Alberto tramite il Conte Santorre di Santarosa per le sue inclinazioni liberali e per aver prestato servizio nell’esercito napoleonico.

a. Il 10 marzo 1821 le guarnigioni di Alessandria, di Pinerolo e di Vercelli insorsero chiedendo “la costituzione e la guerra all’Austria”. Vittorio Emanuele I° abdicò in favore del fratello Carlo Felice che trovavasi a Modena. La reggenza fu affidata a Carlo Alberto che concesse “la costituzione di Spagna” salvo l’approvazione del re. Carlo Felice chiese l’intervento dell’Austria. Le truppe austriache si unirono a quelle piemontesi di stanza a

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Novara e sconfissero le truppe degli insorti a Novara l’ 8 aprile 1821. I liberali insorti ripararono in Spagna ed in Grecia, mentre Carlo Alberto si recò a Firenze presso il suocero Ferdinando III° e nel 1823 prese parte alle attività della “Santa Alleanza” contro i liberali spagnoli.

b. AVVENIMENTI MILITARI DEL PIEMONTE.

I numerosi reduci delle campagne napoleoniche erano stati riammessi nell’esercito piemontese. Molti erano massoni ed anti-austriaci. In Piemonte, il marchese di San Marzano, nel 1815, aveva apportato una riforma notevole all’esercito sopprimendo i reggimenti provinciali ed immettendo i riservisti dai 18 ai 26 anni direttamente nell’esercito: totale 16mila uomini complessivi ed 8 mila di ordinanza. Gli ufficiali dal Ten. Colonnello in su, tutti i grandi dovevano essere di carriera. Nel 1815 fu fondata l’accademia militare.

c. Tra il 6 e l’8 marzo 1821 si tennero frenetiche consultazioni tra

le diverse anime dei carbonari, e tra i capi della setta liberale con Carlo Alberto. A Torino i congiurati furono dell’avviso di rimandare l’impresa (costituzione e guerra all’Austria) ad Alessandria gli animi erano più accesi ed erano risoluti ad andare avanti. A Fossano la rivolta naufragava. Da Pinerolo, da Vercelli, due colonne di soldati e congiurati si mossero verso Alessandria, mentre a Torino, la sera del 10, si riunì il Consiglio della Corona con il re: fu deciso di concedere una costituzione di tipo francese o inglese, non di tipo spagnolo. Gli insorti insistettero per una costituzione spagnola… presero d’assalto la cittadella di Torino e vi issarono il tricolore. [I fatti sono stati narrati testè… La reggenza passò di fatto a Carlo Alberto che aveva appena 22 anni e con nessuna esperienza politica]. Fu decretato l’armamento della Guardia Nazionale e la chiamata dei contingenti provinciali di fanteria con la costituzione di 6 battaglioni di fanteria di 800 uomini ciascuno. Fu creata una giunta a Torino di 28 membri composta da uomini onestissimi e moderati, ma non all’altezza degli avvenimenti in corso d’opera. Carlo Felice, da Modena, sconfessò quanto Carlo Alberto aveva promesso e sottoscritto ed ordinò allo stesso Carlo Alberto di lasciare il Piemonte. Il 14 marzo i sovrani della Santa Alleanza stabilirono di rinforzare fino a 90 mila uomini le unità austriache e di disporre una riserva di russi in Galizia di 100 mila soldati. Agli ordini di Carlo Felice il Marchese La Tour con

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molte unità fedeli si mosse da Novara per Torino scortato a distanza da migliaia di Austriaci in retroguardia. I costituzionalisti, comandati dal Col. Regis, si mossero su Novara nella speranza che le truppe reali piemontesi fraternizzassero con gli insorti. Nei pressi di Novara i liberali si scontrarono con la cavalleria austriaca ed i battaglioni di cacciatori tirolesi e la lotta, impari, fece retrocedere le unità costituzionali fino a Vercelli. Le unità degli insorti erano oramai in pieno dissolvimento. I morti furono 60 circa in totale (delle 2 parti). Gli insorti ebbero 250 prigionieri. Il 10 aprile i regi piemontesi al comando di La Tour arrivarono a Torino, occupandola. Gli insorti più in vista lasiarono il Piemonte per l’esilio, mentre in Piemonte, come a Napoli, iniziava la tragedia delle persecuzioni e delle vendette.

d. UN QUADRO DI CARLO ALBERTO DA PARTE DI PIERO PIERI.

Carlo Alberto, al tempo dei moti del Piemonte, aveva 22 anni, era principe del ramo laterale di Carignano. Poteva considerarsi un federato alla carboneria, sebbene non fosse mai stato inserito ad una società segreta. Federico Confalonieri e molti patrioti lombardi pensavano a lui come futuro re d’Italia costituzionale, liberale per una certa dimestichezza con gli elementi più intelligenti e spregiudicati dell’aristocrazia piemontese come: Carlo di San Marzano, Gugliemo Moffa di Lisio, il Conte Giacinto Provana di Collegno, il Conte Ettore Perrone di San Martino, il Maggiore d’artiglieria Conte Santorre di Santarosa, il Gen. Gifflenga ex Gen. napoleonico, ect… E’ però vero che appariva sempre incerto, strano, ineguale, un curioso miscuglio di qualità positive e negative, di ascetismo e di puritanesimo unito a divertimenti ed a indulgenze verso il bel sesso. Desideroso di gloria e di azione, alternava a periodi di fiacchezza e svogliatezza, ostentazione di idee liberali [ed a volte disprezzo per la plebe e scetticismo sulla sua capacità di rigenerazione], a momenti di misticismo e ardore di vanità e di adulazioni; insomma un misto di contraddizioni, (che ricordavano il carattere bizzarro della madre, Albertina di Sassonia-Curlandia), e la mancanza di un’educazione organica nel giovinetto, passato tra collegi parigini e ginevrini, con maestri giansenisti e roussoniani, fra compagni giacobini e napoleonici, protestanti e cattolici; e poi piombato sotto una rigida etichetta di corte, e infine circondato e carezzato da giovani e da uomini dall’aristocrazia illuminata. Si può asserire che la fiducia dei cospiratori in Carlo Alberto, alla

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fine del 1820 ed al principio del 1821, non era grande, ed anzi era molto scarsa. Tuttavia il suo nome serviva molto per attrarre al movimento gli elementi più temperati e dar prestigio alla causa.

e. IL PROFILO DI UN PATRIOTA PIEMONTESE: CARLO BIANCO.

Carlo Bianco era piemontese ed apparteneva ai dragoni del re. Nacque il 10 aprile 1795 a Barge vicino a Monte Pellice da padre avvocato e nominato conte da Vittorio Amedeo III°. Dagli studi in giurisprudenza passò alla carriera militare. Nel 1821 pose tutto il suo impegno nel trascinare il suo reggimento in Alessandria al moto costituzionale. Combatté con coraggio e perizia a Borgo Vercelli ed a Novara, poi fu esule in Spagna perché condannato a morte in contumacia. Combatté con i proscritti italiani contro i reazionari spagnoli e contro i francesi. A Malaga fu preso prigioniero, fuggì, prima in Grecia indi a Malta. A Malta si diede agli studi di storia e di arte militare e redisse un trattato sulla guerra insurrezionale in Spagna per bande. Trattato pubblicato nel 1829 in Francia. Si iscrisse alla giovane Italia e viaggiò ramingo tra Svizzera, Belgio e Italia. Deluso dagli affetti familiari e mortificato dalla miseria, a Bruxelles si gettò in un canale dando fine alla sua tormentata esistenza. Il Bianco dichiarò che il suo trattato non era soltanto un’elaborazione teorica, ma anche un sunto della sua esperienza nonché una pratica familiare di profondi statisti e di comandanti di bande. Per la piccola guerra (cioè guerriglia) il Bianco si rifece ad esempi di antichità: alla Guerra di Indipendenza delle colonie americane contro l’Inghilterra, alla guerra di Vandea, all’insurrezione nel Tirolo di Andreas Hofer contro Napoleone e all’insurrezione della Grecia contro i Turchi, alla guerra popolare in Russia nel contro Napoleone. Il trattato poteva considerarsi uno strumento per la redenzione italiana. Sosteneva che gli Italiani dovevano fare affidamento sulle proprie forze cioè sull’insurrezione popolare. La guerra per bande: guerra che richiedeva altro spirito della dottrina classica e che richiedeva ardore e tenacia, ma che alla fine avrebbe avuto ragione dei più potenti eserciti regolari. Gli Italiani avevano subito sconfitte anche recenti, ma agli Italiani non mancavano di doti eccelse di coraggio e di abnegazione ed i comandanti non erano di minor livello. La penisola italiana per la sua configurazione fisica, la guerra per bande era adatta: terreno montuoso, boschi fitti, molti corsi d’acqua, valli strette, ostacoli naturali in montagna, in collina e in pianura. In pianura

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poi erano presenti: laghi, paludi, maremme e larghe estensioni di foreste. La guerra nazionale per bande doveva essere preparata da un’azione illegale, da organizzazioni clandestine, da irradiarsi in forme capillari. Le armi per combattere il nemico sarebbero state prese ai regolari dagli insorti: con colpi di mano, con attacchi fulminei di notte, usando inizialmente balestre, spade, frecce, forconi… Il problema principe sarebbe stato il vettovagliamento per la custodia del quale si sarebbero usati sotterranei invisibili e caverne. Il capo banda, con 20/30 proseliti, si sarebbe addentrato nei boschi per poi: infestare le strade, arrestare i corrieri, fermare le diligenze. Piombare poi sui piccoli centri per impadronirsi del denaro, dei viveri e delle armi. Parte dei viveri dovevano essere distribuite alla popolazione per fare proseliti. Il capo banda si sarebbe spostato con i suoi uomini di continuo in modo da rendersi irreprensibile e in modo da disperdere le forze regolari. I prigionieri catturati dovevano essere passati per le armi allo scopo di spezzare il morale. Alla lotta per bande avrebbe fatto seguito la lotta politica da estendere ai borghi, ai paesi, alle città. I capi politici dovevano essere tratti da ufficiali giovani ardenti, attivi ed intelligenti. Dalle bande si sarebbe passato alle colonne volanti, poi alle legioni che avrebbero costituito la base del nuovo esercito che costituiva il nucleo di coagulazione dei valori di: libertà, indipendenza ed unità d’Italia. Anche le donne avrebbero partecipato alla rinascita del paese dedicandosi alle attività logistiche e sanitarie come avvenne in Spagna nella difesa di Saragozza e nell’insurrezione greca. E’ appena il caso di accennare che in soccorso agli insorti spagnoli del 1806-1813 molti inglesi vi parteciparono e con molto denaro. L’occasione è propizia per ricordare altri due scritti importanti per l’unità d’Italia: il primo ad opera del barone Camillo Vacani, al servizio degli Austriaci poi dell’esercito italiano con tre volumi sulla guerra di Spagna del 1806-1913 e l’altro di De Laugier comandante dei legionari toscani a Curtatone e Montanara e successivamente ufficiale del Granducato toscano fino all’unità d’Italia.

7) I MOTI LIBERALI DEL 1830-1831

a. In Francia dal 1815 al 1824, era salito al trono Luigi XVIII che aveva governato il paese con una costituzione liberale ed in modo bonario e pratico. In seguito all’uccisione del duca di Berry, figlio del conte di Artois, erede presunto al trono, la

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politica nazionale si fece più reazionaria ed iniziò il periodo del “terrore bianco”. Dal 1824 al 1830 il conte di Artois, col nome di Carlo X, successe al fratello, inaugurando un periodo reazionario e restituendo al clero gli antichi privilegi. Dal 27 al 29 luglio 1830 la borghesia e gli operai di Parigi innalzarono le barricate e costrinsero il re alla fuga. I deputati ofrirono la corona di Francia, in nome dei francesi, a Luigi D’Orleans. Fu varata una costituzione nuova e moderna, fu adottato il tricolore come vessillo di Francia e fu varata la “politica del non intervento negli altri stati” contro i dettami della Santa Alleanza. Gli avvenimenti di Parigi ebbero ripercussione nel Belgio che intendeva staccarsi dall’Olanda per ragioni: religiose, politiche ed economiche. Il 25 agosto 1830 vi fu una sommossa contro gli Olandesi, sommossa che nel dicembre del 1830, con “la conferenza di Londra” diede il via all’indipendenza del Belgio come stato autonomo e neutrale, sotto la reggenza del principe Leopoldo di Sassonia-Coburgo.

b. Gli avvenimenti di Francia ebbero la loro ripercussione in Italia. Il duca di Modena Francesco IV d’Este-Lorena desiderava ingrandire il proprio territorio. Egli strinse rapporti abbastanza amichevoli con i carbonari modenesi: Ciro Menotti ed Enrico Misley. Menotti sperava nel duca, per una sollevazione dell’Emilia da estendersi alla Lombardia ed al Veneto per creare un nuovo Regno italico. La politica del non intervento di Luigi Filippo in Polonia non funzionò. I congiurati, il 5 febbraio 1831 l’insurrezione ebbe luogo . Lo stesso moto per ragioni di opportunità fu avviato tra il 3 ed il 4 febbraio. La casa di Menotti fu circondata ed i congiurati furono fatti prigionieri. La rivolta si propagò a Bologna. Parma, alle legazioni pontificie, etc… A Bologna il 25 febbraio, i rappresentanti degli insorti delle città ribelli si adunarono a Bologna proclamando la fine dello stato temporale dei papi e la redazione di uno stato delle province unite. Gli Austriaci, al comando del Gen. Frimont, sconfissero facilmente gli insorti a Rimini il 25 marzo. Ciro Menotti fu giustiziato ed il Gen. Zucchi, comandante delle truppe degli insorti, fu condannato al carcere a vita.

c. Ecco la dinamica degli eventi italiani del 1831 ed a seguire. Ciro

Menotti era riuscito a comporre un comitato generale che dirigesse la rivolta (a Parigi) e comitati minori a: Modena, Parma, Forlì, Mantova, Firenze. A Parigi ed a Marsiglia Enrico Misley aveva raccolto 1.200 fucili e munizioni e due cannoni per essere

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destinati Massa. La rivolta doveva partire da Modena, poi a Parma ed infine a Mantova dove erano di guarnigione 4.500 soldati austriaci. Il timido atteggiamento del re di Francia Luigi Filippo nei riguardi della lotta in Italia fece cambiare idea ed atteggiamento al duca di Modena che pian piano si allontanò dai congiurati modenesi e da Ciro Menotti, tanto che il 21 gennaio 1831 lo stesso duca lanciò un proclama contro i perturbatori dell’ordine. Il mattino del 3 febbraio erano stati arrestati Nicola Fabrizi ed espulsi dai ducato i generali napoleonici Fontanelli e Zucchi. Allora il Menotti decise di agire subito con un piano che avrebbe presto di sorpresa il duca nel palazzo ducale e fare prigioniero il duca stesso; poi avrebbero aperto le porte(dello stesso) palazzo ducale alle truppe in rivolta provenienti dalla campagna: Finale, Carpi, Mirandola e Sassuolo. Il duca giocò d’anticipo, e, la notte del 3 febbraio, fece circondare la casa di Ciro Menotti e fece arrestare una quarantina di congiurati per lo più operai e contadini. La sera del 5 febbraio il duca lasciò Modena per Mantova con Ciro Menotti, prigioniero, al seguito. La città di Modena, il 6 febbraio, unitamente agli insorti delle campagne chiesero la costituzione della Guardia nazionale e la liberazione dei detenuti politici. Le due cose furono ottenute dalla reggenza ducale ed il giorno 9 febbraio si costituì un governo provvisorio da 3 consoli e da un dittatore: l’avv. Biagio Nardi. A Bologna si costituì un governo provvisorio costituito da borghesi e patrizi con il comando delle unità insorte da parte del Gen. polacco Grabisky. Tranne Forlì dove si ebbero 5 morti, tutta la Romagna era in sommossa…con strascichi nelle Marche e nell’Umbria. In genere i reazionari mostrarono smarrimento e viltà. Una figura singolare di combattente fu (l’ufficiale) il Col. Sercognani di Faenza chiamato a comandare la guardia nazionale di Pesaro. Il predetto ufficiale, con un limitato numero di truppe, riuscì a prendere la fortezza di San Leo, la cittadella di Ancona e stava marciando su Roma quando fu richiamato a Bologna perché l’impresa sembrava impossibile per la mancanza di armi. Il Sercognani pur con le munizioni contate attaccò Rieti comandata dal vescovo Ferretti. L’attacco non riuscì anche per un improvviso ed inaspettato temporale. Ormai era giunto il tempo della reazione austriaca. Il Gen. Frimont, come detto, al comando di 45 mila soldati marciò prima su Parma, poi su Modena ed infine su Bologna. A Novi Modenese un piccolo battaglione di volontari (300circa) fece una resistenza eccezionale. Ebbe 30 morti e 60 feriti prigionieri. L’unica resistenza rimaneva quella di Bologna facente parte dello

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stato pontificio. Tuttavia gli Austriaci conquistarono Bologna, ma lo scontro più duro si ebbe tra Santangelo di Romagna e Rimini. Vista la mancanza di appoggio della Francia e la mancanza di viveri e di munizioni, il governo delle province unite scese a patti con il Cardinale Benvenuti che concesse agli insorti piena amnistia ed il mantenimento in ruolo degli impiegati e dei militari. La rivolta nell’Italia centrale (compresa l’Emilia) dopo un mese e mezzo di operazioni cessava! La rivolta del 1831 fu una rivolta borghese, senza sangue, di avvocati e medici. Si parlò, per la prima volta della cessazione dello stato temporale dei papi e di Roma capitale d’Italia.

8) LA RIVOLTA DI GENOVA -1832-1833 E L’INVASIONE DELLA

SAVOIA -1834- a. Prima di parlare dei moti mazziniani è opportuno fornire un

profilo del suo ideatore e maestro Giuseppe Mazzini. Nacque a Genova nel 1805 da una famiglia borghese. Studiò medicina e giurisprudenza, ma le sue idealità presto fecero abbandonare codeste discipline. Nel 1828 si fece carbonaro e divenne giornalista e pubblicista. Scoperto, fu rinchiuso nella fortezza di Savona dove, fra l’altro, contrasse la T.B.C.. Liberato scelse l’esilio in Francia, in Inghilterra, in Svizzera. Nel 1831 fondò a Marsiglia “la giovane Italia” con un ideale ed un programma imperniato nella difesa di Dio e nella missione del popolo italiano verso: la libertà, l’unità, l’indipendenza dell’Italia. L’Italia per trovare la sua legittimità doveva essere (governata) o strutturata in repubblica in cui i cittadini fossero tali e non sudditi di sovrani o corone.

b. Il primo moto mazziniano fu tentato a Genova tra elementi della

borghesia e dell’esercito. Il moto fallì. Carlo Alberto represse il moto ed agì contro i congiurati con molta severità: 12 furono i condannati a morte. L’amico di Mazzini, Jacopo Ruffini si uccise in carcere per non rivelare i nomi dei congiurati. La congrega genovese dei mazziniani fu capeggiata sul piano dell’azione da Giuseppe Garibaldi, imbarcato sulla fregata Euridice. Il moto successivo doveva scoppiare l’ 11 febbraio 1834 a seguito della sollevazione della Savoia. I congiurati furono scoperti ed i mazziniani tra cui Garibaldi si diedero alla macchia per finire a Nizza poi in America, perché condannato a morte in contumacia come nemico della patria e dello stato.

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c. Nel 1834 a Berna, con un gruppo di esuli fondò la “giovane Europa”, il grande maestro Mazzini, e dalla Svizzera, nel Canton Ticino, raccolte alcune centinaia di esuli di diverse nazioni, tentò un moto per l’invasione della Savoia. L’invasione della Savoia per l’incapacità del comandante, il Gen. Ramorino, naufragò. Gli esuli furono costretti a rimanere in esilio per molto tempo ancora. Nel 1837 [è appena il caso di ricordare] un esule modenese dei fatti del 1831, un certo Nicola Fabrizi, rifugiatosi a Malta fondò “la legione italica” che affiancò la giovane Italia di Mazzini. Si trattava di una vera e propria organizzazione guerresca, costituita da bande, da utilizzare sui monti dell’Italia centrale e meridionale, perché l’Austria potesse operare su un terreno non favorevole e lontano dalle basi logistiche proprie. Tra il 1840 ed il 1845 i moti si ebbero proprio per merito del Fabrizi. Si costituirono in ogni regione dei comitati rivoluzionari il cui capo animatore fu il Nizzardo colonnello Ignazio Ribotti. Nel 1843, un gruppo di mazziniani, occupata Imola, tentò di far insorgere le Romane. Il complotto o moto insurrezionale fallì. A Bologna furono arrestati 116 insorti, 7 furono fucilati, mentre i capi riuscirono a passare, attraverso il granducato di Toscana, e ad imbarcarsi a Livorno.

d. IL MOTO DEI FRATELLI BANDIERA (1844)

I fratelli Bandiera, nativi di Venezia ed appartenenti alla marina austriaca, e figli di un ammiraglio austriaco, avevano fondato, tra i marinai della marina austriaca, una società segreta chiamata “esperia” mettendosi in contatto epistolare con Mazzini. Da Corfù salparono per Cosenza approdando a Crotone; traditi da un congiurato furono fatti prigionieri e successivamente fucilati. Le plebi contadine erano rimaste inerti e passive al moto dei fratelli Bandiera, ma avevano anche assalito ferocemente i patrioti gridando “viva Ferdinando”.

9) STUDI ED ESPERIENZE MILITARI DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL 1848.

a. Degli studi di Carlo Bianco è stata data ampia dissertazione. b. Tra il 1800 ed il 1805 uno svizzero del cantone francese del

Vaud, ormando italiano, capo di battaglione dell’esercito elvetico, Antonio Enrico Jomini ricercò i principi supremi della guerra.

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Nel 1837 pubblicò il famoso “traitè” testo fondamentale delle scuole militari d’Europa. Per lo studioso svizzero la guerra era retta da alcuni principi fondamentali eterni ed immutabili. Ecco alcuni principi:

• Principio della massa ed economia delle forze;

• Operare il principio della massa in uno sforzo combinato sul punto decisivo;

• Rapida azione sulle vie di comunicazione o sulla sua base di operazione (tagliare le linee di rifornimento logistiche);

• Azione possibilmente sul fianco o alle spalle dell’esercito nemico (azione di avvolgimento e/o di aggiramento);

• Impegnare il massimo di forze contro la parte più debole dell’avversario.

Lo studioso svizzero scrisse un’opera memorabile fini a scendere nella precettistica. Trascurava alcuni aspetti che caratterizzavano la ricerca strategica e tattica della battaglia, e cioè: la superiorità morale ed intellettuale del capo, l’addestramento delle truppe, il numero dei soldati, l’armamento, etc… IL PRUSSIANO KARL VON CLAUSEWITZ.

Il più grande teorico moderno dell’arte della guerra fu il prussiano Karl Von Clausewitz nato a Burg c/o Magdeburgo nel 1780. A 12 anni, entrato nell’esercito in qualità di aspirante e a 13 anni partecipava all’assedio di Magonza. Nel 1801 entrava nella scuola militare di Berlino alle dipendenze del Gen. Scharnhorst. Partecipava alla campagna contro Napoleone del 1806 cadendo prigioniero dei Francesi. Nel 1809 partecipava allo stato maggiore prussiano, col predetto Scharnhorst, per la preparazione militare per la riscossa nazionale. Nel 1812 partecipava alle dipendenze dello zar della Russia alla battaglia di Borodino ed infine nel 1815 come capo di stato maggiore del III° c.a. prussiano nella battaglia di Ligny. Nel 1818 promosso gen. maggiore diresse fino al 1830 le scuole militari prussiane. Nel 1831 moriva a 51 anni di colera.

a. Fin da giovane il Karl aveva predilezione ed attitudine agli studi di: storia, politica, sociologia ed arte militare. Aveva studiato: Polibio, Machiavelli, Montesquieu e Montecuccoli.

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b. Nel periodo 1819-1830 aveva predisposto lavori preparatori per la grande sua opera: Vom Kriege (della guerra) con lunghe meditazioni e ricerche. Morì prematuramente e pertanto la sua opera non poté essere portata alla rifinitura; rimase comunque la più alta visione della guerra in cui il pensiero umano sia giunto nel campo teorico e dei fondamenti dell’arte della guerra.

c. Il Klauswitz analizzò il profondo cambiamento avvenuto nella

società da parte della rivoluzione francese per gli organici degli eserciti europei ed il nuovo spirito combattivo. La nazione armata implicava pertanto l’impiego di tutte le risorse economiche, perché diventava “guerra assoluta” realizzata. In termini di fatto con l’obiettivo dell’annientamento dell’avversario.

d. La guerra era diventata il regno dell’incertezza e del pericolo e la

sua conduzione avrebbe avuto a che fare con multiformi ostacoli, previsti ed imprevisti: terreno, strade, viveri, condizioni atmosferiche, malattie, fatiche, depressione morale, ordini pervenuti in ritardo o non chiari, informazioni errate, incidenti, alloggiamenti, etc… Una vera dottrina non sempre era possibile applicarla in modo scientifico e molto sarebbe stato deciso dagli errori del nemico e dalla possibilità di applicare la sorpresa. La guerra non era e non poteva definirsi scientifica, perché era scienza morale e quindi lo spirito umano sarebbe stato basilare e vincente come: prostrazione, euforia, fiducia,e sfiducia, fanatismo e collasso morale, abnegazione, valutazione della minaccia avversaria, intimidazione strategica e valutazione operativa. Elementi importanti non potevano non essere il carattere e la vigoria dello spirito. Il comandante poi doveva avere un’intelligenza: pronta, lucida, un carattere forte e fermo, una cultura vasta, profonda e solida, una visione esatta della situazione propria e di quella dell’avversario, infondere ottimismo e fiducia nei propri dipendenti. Le regole di base dovevano essere sempre tenute presenti, ma le mosse dovevano tendere ad una semplicità intrinseca, ad una linearità quasi elementare.

e. L’annientamento dell’avversario rappresentava il programma di

massima, ma esso richiedeva truppe valorose ed addestrate e grandi quantità di mezzi; nella battaglia bisognava proporzionare i mezzi al fine, perché il successo era sempre proporzionato al rischio. In guerra giocavano ruoli decisivi (di

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carattere esterno) legati alla politica, alle alleanze, all’apertura di nuovi fronti, ad esaurire le risorse economiche dell’avversario.

ANDREA ZAMBELLI (UNIVERSITA’ DI PAVIA)

Nel 1839 presso l’università di Pavia appariva un’opera colossale e meritoria del prof. Zambelli in due volumi sulla guerra. Egli affrontava il problema guerra sotto l’aspetto scientifico e del progresso tecnico-scientifico e le sue implicazioni sulla politica e quindi guerra come elemento primario e politica come elemento secondario: cioè il progresso scientifico come prima cagione del progresso sociale e politico. Altre ragioni dello stadio di Zimbelli erano le implicazioni della polvere da sparo alle armi; il progresso delle armi da fuoco allargava gli organici degli eserciti e le masse di uomini avrebbero prevalso sulle qualità individuali. La vittoria era pertanto della tecnica e del calcolo. Questi stadi furono esaminati da Carlo Cattaneo sul “politecnico”; Carlo Cattaneo che rimaneva la maggior mente di storico dell’Italia del 1800 italiano.

10) BILANCIO FINALE DEL RISORGIMENTO ITALIANO E DEI (SUOI) MOTI LIBERALI.

a. I morti italiani nelle guerre di indipendenza (1848-1859-1866-

1870) furono circa 6 mila, mentre i feriti furono circa 27 mila. Quasi il doppio dei caduti si ebbero nella lotta al brigantaggio nell’Italia meridionale.

b. Le lotte o le rivolte che si ebbero ripetutamente, in diverse parti

d’Italia, si ebbero più che per desiderio di indipendenza, per le tasse eccessive e dalla vendita di terre comunali o demaniali ai soliti che avevano i soldi e che poco o niente fecero vedere sui campi di battaglia per l’indipendenza d’Italia.

c. L’Italia unitaria fu piemontizzata: statuto albertino, esercito con

organici e regolamenti sabaudi, moneta, imposte, apparati giudiziari ed amministrativi piemontesi. Carlo Cattaneo definiva la nuova Italia “una conquista regia”.

d. Il grande perdente del risorgimento fu la chiesa con lo stato

temporale. Furono incorporati nello stato laico italiano circa 4

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mila monasteri e conventi e la maggior parte dei beni fondiari e quelli della “mano morta”. Molti preti, circa 130 mila, furono passati allo stato laicale. La frattura fra stato e chiesa, nonostante due concordati non è ancora chiusa.

e. L’altro grande perdente del risorgimento fu il ceto dei contadini

poveri, perché poveri e pezzenti erano sotto la chiesa ed il regno delle due sicilie e così rimasero; tuttavia con l’unità d’Italia essi cominciarono a pagare le tasse e a fare il soldato (coscrizione obbligatoria ). Con Garibaldi, nei mille, non c’era un contadino ed i contadini del sud erano più legati ai Borboni ed alla chiesa che all’élite: borghese e illuminata del nord e del Piemonte.

f. L’unificazione italiana fu un evento accidentale, soprattutto per

l’influenza estera e per effetto di una minoranza liberale (specie la massoneria) che con le sue idee progressiste e le sue mire scientifiche tenne legata l’Italia all’Europa ed alla realtà culturale europea, e , presto, si diffuse [piano piano, lentamente lentamente] con l’istruzione elementare obbligatoria e con la coscrizione obbligatoria.

g. I Piemontesi che amministrarono l’Italia post-unitaria erano

un’élite di gentiluomini, di galantuomini, di funzionari onestissimi e leali. Cosa che non potè dirsi degli altri Italiani, quando entrarono nell’apparato pubblico; la legge nazionale venne diffusa in tutto il paese dopo il 1861, ma venne applicata in modo diverso da regione a regione, insomma venne applicata, come alla sogli del III°millennio, “all’italiana”.

h. La maggior parte degli Italiani parlavano il dialetto locale o

quello regionale, e molti cittadini del nuovo stato, divisi da un millennio di storia si mantennero abbastanza distaccati dal nuovo regno.

i. L’altro ostacolo all’unità morale dell’Italia dell’800 fu l’espandersi

del movimento anarchico, e della lotta di classe da parte dei socialisti che non volevano sentir parlare di patria, ma solo di lotta di classe, ai quali si opposero sia la borghesia liberale e colta sia i patrioti nazionalisti.

j. Comunque dal 1870 al 1914, nonostante qualche guerricciola e

crisi gravi ed arresti, la libertà parlamentare non è stata mai messa in discussione, e le libertà civili, quelle culturali, quelle

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artistiche, quelle economiche e quelle tecnico-scintifiche non furono mai ostacolate. La struttura liberale, seppur piemontizzata, resse all’impatto dell’unità italiana che fu per valori ed essenza statuale la più grande conquista statuale dal tempo dei liberi comuni d’Italia.

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INDICE 1. PREMESSA pag. 1 2. IL CONGRESSO DI VIENNA pag. 3 3. IL RISORGIMENTO ITALIANO pag. 4 4. MASSONERIA E CARBONERIA pag. 7 5. LA RIVOLUZIONE DEL REGNO DEI BORBONI pag. 7 6. I MOTI COSTITUZIONALI IN PIEMONTE pag. 10 7. I MOTI LIBERALI DEL 1830-1831 pag. 14 8. LA RIVOLTA DI GENOVA E L’INVASIONE DELLA SAVOIA pag. 17 9. STUDI ED ESPERIENZE MILITARI DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL 1848 pag. 18 10. BILANCIO FINALE DEL RISORGIMENTO pag. 21