vita di caterina -...

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VITA DI CATERINA LABURE’ (27 novembre 1830 ore 17,30: La Santa Vergine appare a Caterina Laburè…) 1. L’INFANZIA E IL LUTTO (1806-1818) Nove ottobre 1815. L'Imperatore Napoleone I è in cammino per Sant'Elena dove arriverà il 15 col suo piccolo gruppo di fedeli. In Francia si stabilisce e riprende vita la Restaurazione mentre i grandi sogni di rivoluzione e di gloria si dissipano come nubi su campi di rovine. Un'orfana A Fain-les-Moutiers, villaggio della Borgogna, di appena duecento abitanti, una bambina piange. Si chiama Caterina Labouré ma risponde al nome di Zoe, la santa del giorno della sua nascita. Caterina non è sola a piangere, è l'ottava di dieci figli che hanno perduto la loro mamma, Maddalena Gontard, 46 anni, di famiglia agiata, divenuta fattoressa in seguito al suo matrimonio con Pietro Labouré. La morte è stata improvvisa, la casa è in lutto dalle 5 del mattino. I vicini presentano le loro condoglianze e offrono i loro servizi al fattore, Pietro Labouré, che fino al mese precedente era stato il signor Sindaco. La grande sala della fattoria è piena di bisbigli soffocati; si prega con quel gusto nuovo della preghiera nato dopo la clandestinità della Rivoluzione, ancora vicina. Si compiangono i figli più piccoli: Caterina, 9 anni, Tonina, 7, e Augusto, 5, infermo a causa di un incidente. Questa notte le porte non saranno chiuse a catenaccio. Delle ombre si avvicenderanno intorno al letto su cui riposa la defunta dal volto di avorio. La morte della fattoressa fa apparire in forma di disordine e di imperiose necessità tutto ciò che ella faceva e che non si farà più: tutto quello che l'ha consunta. distrutta a fuoco lento. Educata in un ambiente ricco, quasi spensierato, ella ha ceduto sotto il peso della fattoria: la terra, il bestiame, la gente, i figli; in meno di vent'anni ne ha avuti 17, dei quali 10 sopravvissuti. Soltanto questi ultimi venivano contati in quei tempi di elevata mortalità infantile. Si dovevano alleggerire i bilanci di morte. Maddalena era così sopraffatta che non ha neppure insegnato a leggere ai figli minori. Caterina rimarrà a lungo confusa di non saper fare la propria firma. Quanto all'ultimo piccino, Augusto, il suo misero stato sembra testimoniare il logorio cui era giunta la madre sulla quarantina... Affidato alla donna di servizio nella «carrozza » che riconduceva la famiglia da Senally, il bambino era caduto sulla strada. Lo raccolsero esanime, rimase in coma parecchi giorni e sarebbe

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VITA

DI CATERINA

LABURE’

(27 novembre 1830 ore

17,30: La Santa Vergine

appare a Caterina

Laburè…)

1. L’INFANZIA

E IL LUTTO

(1806-1818)

Nove ottobre 1815.

L'Imperatore Napoleone I è in cammino per

Sant'Elena dove arriverà il 15 col suo piccolo gruppo

di fedeli. In Francia si stabilisce e riprende vita la

Restaurazione mentre i grandi sogni di rivoluzione e

di gloria si dissipano come nubi su campi di rovine.

Un'orfana

A Fain-les-Moutiers, villaggio della Borgogna, di appena duecento abitanti, una

bambina piange. Si chiama Caterina Labouré ma risponde al nome di Zoe, la santa del

giorno della sua nascita. Caterina non è sola a piangere, è l'ottava di dieci figli che

hanno perduto la loro mamma, Maddalena Gontard, 46 anni, di famiglia agiata,

divenuta fattoressa in seguito al suo matrimonio con Pietro Labouré. La morte è stata

improvvisa, la casa è in lutto dalle 5 del mattino. I vicini presentano le loro

condoglianze e offrono i loro servizi al fattore, Pietro Labouré, che fino al mese

precedente era stato il signor Sindaco. La grande sala della fattoria è piena di bisbigli

soffocati; si prega con quel gusto nuovo della preghiera nato dopo la clandestinità

della Rivoluzione, ancora vicina. Si compiangono i figli più piccoli: Caterina, 9 anni,

Tonina, 7, e Augusto, 5, infermo a causa di un incidente. Questa notte le porte non

saranno chiuse a catenaccio. Delle ombre si avvicenderanno intorno al letto su cui

riposa la defunta dal volto di avorio. La morte della fattoressa fa apparire in forma di

disordine e di imperiose necessità tutto ciò che ella faceva e che non si farà più: tutto

quello che l'ha consunta. distrutta a fuoco lento. Educata in un ambiente ricco, quasi

spensierato, ella ha ceduto sotto il peso della fattoria: la terra, il bestiame, la gente, i

figli; in meno di vent'anni ne ha avuti 17, dei quali 10 sopravvissuti. Soltanto questi

ultimi venivano contati in quei tempi di elevata mortalità infantile. Si dovevano

alleggerire i bilanci di morte. Maddalena era così sopraffatta che non ha neppure

insegnato a leggere ai figli minori. Caterina rimarrà a lungo confusa di non saper fare

la propria firma. Quanto all'ultimo piccino, Augusto, il suo misero stato sembra

testimoniare il logorio cui era giunta la madre sulla quarantina... Affidato alla donna di

servizio nella «carrozza » che riconduceva la famiglia da Senally, il bambino era

caduto sulla strada. Lo raccolsero esanime, rimase in coma parecchi giorni e sarebbe

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stato infermo per il resto della vita, abbastanza lucido per esserne

profondamente umiliato, bizzarro per mascherare la propria angustia. Che fare di tutto

questo piccolo mondo? Con la pazienza caratteristica dei contadini, il fattore

improvvisa soluzioni di fortuna: delle due bambine, Caterina e Tonina, si assumerà la

responsabilità una sua sorella, Margherita, moglie di Antonio Jeanrot, commerciante

d'aceto a Saint-Remy, che dista 9 chilometri a nord-est di Fain. uesto diminuirà il peso

di Maria Luisa, 20 anni, secondogenita, la maggiore delle figlie. Fino ad oggi ella

viveva in un pensionato a Langres, presso una zia materna, senza figli, vedova di un

ufficiale. Ritorna a casa e continua coraggiosamente il gravoso impegno che ha

schiacciato sua madre. Quanto al padre, egli si rallegra di aver rinunciato il mese

scorso alla carica di sindaco, nella quale era succeduto al cugino Nicola Labouré nel

1811.

L'esilio di Saint-Remy (1815-1818)

Nell'autunno del 1815 Caterina, la mano nella mano di Tonina, lascia la fattoria natale

incamminandosi attraverso i sentieri i cui grandi alberi hanno cominciato a riprendere

le loro tinte d'oro e di porpora. Ella si sente doppiamente orfana perché la morte della

mamma l'allontana anche dal padre. E questo strappo non è il minore. Suo padre conta

molto per lei, che è la maggiore delle due figlie vissute fino allora nella casa. La sua

vita rimane orientata verso la fattoria paterna, come una bussola verso il suo polo.

Riguardo al vuoto lasciato dalla mamma, Caterina ha trovato da sé una soluzione.

Nella camera della defunta (questa si trovava ancora sul letto di morte?) c'era una

statua di Maria. « Zoe » non era tanto alta da poterla toccare. Tutta in lacrime, sale sul

mobile e abbraccia la Madonna. Le chiede così di sostituire la mamma perduta. La

bambina si credeva sola, ma la donna di servizio, cui nulla sfugge, l'ha vista e fu lei a

raccontare, in seguito, il fatto a Tonina. Quelle lacrime sono le prime e le ultime.

Caterina ora è forte. La nuova madre che si èscelta le insegna non a gemere e a vivere

nella dipendenza, ma ad assumere la responsabilità della propria vita. La prova, per il

momento, è l'esilio a SaintRemy. La località, sulla riva della Brenne, è piacevole. La

grande casa dal tetto di tegole è accogliente col suo portico e il viavai dei clienti dello

zio, ma il muro del giardino impedisce la vista del paesaggio dal lato del fiume: parte

pericolosa e interdetta all'accesso. La casa è animata: due cugini e quattro cugine dai

10 ai 18 anni: tutti, dunque, maggiori delle due bimbe. Ma la zia Jeanrot, troppo

affaticata da questa numerosa famiglia e dal suo commercio d'aceto, abbandona quasi

sempre i ragazzi alla donna di servizio. Senza dubbio aveva presunto delle proprie

forze facendo la proposta di accogliere in casa sua le due orfane.

Il ritorno (gennaio 1818)

Due anni dopo, il padre che, sotto il colpo della perdita della moglie, aveva

acconsentito a malincuore a separarsi dalle due figliolette, « sente la mancanza di

Caterina », la preferita delle sue tre figlie e la richiama alla fattoria. Questo ritorno per

essa è una festa sotto ogni aspetto poiché ritorna a casa anche per fare la prima

comunione fissata per il 25 gennaio 1818. E' pervasa allora da un grande fervore, da

uno slancio gioioso verso Dio, amplificato dalla gioia umana di ritrovare la sua casa.

Caterina ama il lavoro e ha il dono dell'iniziativa. Per Maria Luisa, la sorella maggiore

che l'abitua ai lavori casalinghi, questo ritorno è la soluzione di un problema. Al

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momento della morte di sua madre, ella si preparava a « fare il postulato » tra le

Figlie della Carità a Langres, la città dove era stata allevata. Il ritorno a Fain costituì

per lei una costrizione, un esilio. Le iniziative di Caterina, la sua buona intesa col

padre, liberano Maria Luisa. Fin dal 5 maggio seguente, ella ritorna a Langres per

cominciarvi il postulato presso le Figlie della Carità. Caterina-Zoe, che conta appena

12 anni, ha facilitato questa partenza. Quando se ne è trattato, ha guardato gaiamente

la sorellina minore, Tonina, 9 anni, e le ha detto: « A noi due: porteremo avanti la

casa ». Il ricorso a Maria non è stato per essa un passivo rifugio di bambina paurosa.

Nella notte della fede, aveva stretto quel vincolo di ragazza libera e responsabile. A 12

anni, è matura per assumere il fardello che aveva schiacciato sua madre e divenire la

prima collaboratrice del padre.

2. LA VOCAZIONE (1818 - 1830)

Una fattoressa di 12 anni

Ecco dunque Caterina divenuta fattoressa. E' lei che assume il ruolo di madre di

famiglia e di padrona di casa. La fattoria, dal tetto di tegole rosso-grigie, forma un

rettangolo di fabbricati chiuso pressoché come un chiostro. Si apre sulla strada per

mezzo di un atrio e culmina a 10 metri di altezza nella famosa piccionaia, quasi tozza

tanto è larga, che indica i Labouré « come una delle famiglie principali del paese ». La

gente ci pensa due volte prima di varcare il portone dell'antico Sindaco. « Non

andavate a giocare con Zoe? » fu chiesto a una ragazza di Fain, coetanea di Caterina.

Ella rispose: « Oh, no! I Labouré erano di condizione più elevata della nostra. Non ci

permettevano di andare in casa loro senza motivo; erano grandi proprietari... Era una

delle migliori famiglie di Fain, la loro...». Fain era un paesetto, ma il padre di Caterina

vi era considerato il primo cittadino per l'istruzione e il prestigio di cui godeva.

Huysmans ha presentato Caterina come « una antica serva di fattoria », ma non era

questa la sua posizione. La Vergine l'ha scelta « rozza e limitata » come egli

aggiunge? La verità è che era analfabeta e lo sarebbe stata fino a 20 anni: più a lungo

che Bernadetta di Lourdes. Ma, come Bernadetta, ha una statura morale unita a quella

ricchezza umana, propria dei poveri che non hanno atteso ad apprendere a leggere e

scrivere per esistere. Bernadetta, come primogenita, avrà dei doveri di « erede »

secondo il costume di Bigorre. Il titolo di erede era un'ironia per Bernadetta, i cui

genitori avevano soltanto debiti... mentre i genitori di Caterina possedevano la terra

che coltivavano. Come orfana, Caterina è stata promossa padrona di casa fin

dall'infanzia: una posizione che molte donne raggiungevano soltanto sulla cinquantina

o mai, giacché alcune restavano, fino alla tomba, sotto il giogo di una suocera onni-

potente. A 12 anni, Caterina è la regina in questa grande fattoria, chiusa come una

fortezza: una regina laboriosa ma che comanda ai servi e alla donna di servizio. Il suo

regno è costituito dal recinto, la stalla, il giardino e, soprattutto, la sala della fattoria. Il

padre vi è re quando rientra dai campi. Le sue parole sono rare, ma determinanti.

Garantiscono, anzitutto, a Caterina l'autorità su questo locale che funge nello stesso

tempo da cucina e sala di soggiorno. La regina non conta che alle dipendenze del re e

tace in sua Dresenza. Il suo dominio è pure il locale dove è situato il forno, il frutteto,

la stalla, il pollaio, la colombaia di 1121 compartimenti, che ospita da 600 a 800

piccioni. Caterina ama il suo popolo che rumoreggia e tuba, che sbatte le ali intorno a

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lei per afferrare a volo il grano che ella lancia senza arsimonia. Le immagini fatte

sulla testimonianza dei contemporanei di Caterina, hanno dato retrospettivamente a

questa volata una forma di corona o d'aureola.

La giornata di Caterina

Come padrona, Caterina è la prima ad alzarsi nella casa. In ogni stagione, deve

svegliarsi per prima. I suoi occhi si aprono quando albeggia e l'orizzonte comincia a

tingersi di azzurro o di malva, attraverso le finestre che si aprono sul pianoro boscoso.

Le piace l'aurora, soprattutto l'inverno, quando le notti sono più lunghe della sua

stanchezza, ed ella spia il primo raggio di sole da sotto il piumino. Al solstizio d'estate

èun altro affare. Caterina comincia la giornata alle 4 e questa non è mai troppo lunga

per il lavoro. Svegliandosi, deve lottare con la stanchezza e gli indolenzimenti per

riprendere la catena. L'aurora, allora, insiste, quasi aggressiva, incalzando un rimorso.

A noi due, mio Dio... e il mio lavoro! La principale mansione quotidiana della massaia

è quella di preparare la cucina. Tre pasti: la prima « colazione », che rompe il digiuno

della notte, consiste in una zuppa con distribuzione di uno spuntino che gli operai por-

tano nei campi. Il pranzo è pesante, in estate, quando lo si deve portare ai mietitori. La

cena richiede una cucina più laboriosa, ma consiste sempre nella stessa vivanda: piatti

di legumi misti al lardo. La fattoressa è padrona e serva: paga di persona, più di ogni

altro. Non mangia a tavola con gli uomini ma nell'angolo, presso il camino; non

interviene nella conversazione. Caterina è stata formata in un mondo gerarchico, alla

scuola del rispetto e del silenzio, ma anche a lente deliberazioni per far riuscire i suoi

progetti e, quando è necessario, render possibile l'impossibile. La cura del bestiame

ritma le giornate. Mungere le mucche, mattina e sera, costituisce un lavoro duro per le

mani e, ancora di più, per il dorso costretto a rimaner curvo. Caterina distribuisce il

foraggio e conduce la mandria all'abbeveratoio comunale. Versa ai maiali la zuppa

ingrassata da tutti i resti e rifiuti. Raccoglie le uova dal pollaio. Per tutta la giornata va

e viene dai pozzi, fortunatamente non troppo distanti, per attingere l'acqua che viene

usata con misura. Nelle lunghe serate invernali, i piccoli lavori casalinghi si

prolungano senza tregua. Si veglia ora in una famiglia ora in un'altra, alla luce delle

candele, davanti al fuoco del camino: spesso in casa dei Labouré che hanno una

grande sala e un forno. Ci si rifugia in quel locale quando gela da spaccar le pietre. La

temperatura vi si mantiene elevata, di un calore denso, sostenuto dallo spessore dei

mattoni arroventati. Quegli incontri fanno economizzare la legna e forniscono un

tempo per scambiarsi notizie, ricordi, racconti paurosi o affascinanti. La preghiera che

conclude la serata porta più lontano la comunicazione: tutto uno spazio di libertà,

programmato dall'intimo, attraverso il rito e la tradizione.

La settimana

Nella trama delle giornate occorre sistemare le attività periodiche: ogni settimana,

Caterina impasta la farina col lievito e scalda il forno. Le sono necessarie sette o otto

fascine di legna. Quando il calore è penetrato bene nella pietra, Caterina toglie cenere

e carbone con la paletta, raccoglie la brace negli spengitoi, poi afferra le lunghe pale di

legno per infornare, in bell'ordine, sette o otto pagnotte di pasta bianca e molle.

Bisogna allora aspettare... facendo un altro lavoro. E al termine di una lunga ora, le

ritira lievitate e brucianti sotto la crosta dura e bruna. Che paura, le prime volte, che il

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miracolo non si realizzi! Il giovedì è giorno di mercato a Montbard (distante 15

chilometri). Ogni settimana si deve fare il bucato della biancheria minuta: occupazione

abituale e banale.

L'anno a Fain

Due o tre volte all'anno, ben altra cosa è il bucato in grande: quello della biancheria di

casa, che si conserva di generazione in generazione, perché si consuma poco a motivo

di questa lenta rotazione. E' un avvenimento: si tirano fuori dalle cassepanche vere

montagne di lenzuola. I vicini vengono a dare una mano. E' festa, una rude festa! In

fondo all'enorme tinozza, Caterina dispone dei mannelli ricavati dalla potatura delle

viti. Li ricopre con un lenzuolo, depone su questo uno strato di cenere di legna

(attenzione che non vi si mescolino gusci d'uova, che macchiano)! Ricopre la cenere

con un altro lenzuolo e vi pone sopra la biancheria che era a mollo nell'acqua fredda

fin dalla vigilia. Comincia allora l'operazione. La grande conca è là sul fuoco, che

bolle a tutto vapore. Per mezzo di bricchi, Caterina versa sulla biancheria l'acqua

bollente che penetra la massa. Poi, instancabilmente, riprende dal disotto quell'acqua

filtrata lentamente e la versa dall'alto. La liscivia così si concentra. Ma non bisogna

andare troppo oltre perché il « detersivo » finirebbe per rovinare le mani e la stessa

biancheria. Caterina impara che l'ottimo è, talvolta, nemico del bene. Quando la cenere

ha compiuto l'opera sua, il bucato viene portato in una carriola al lavatoio comunale

sito di fronte alla casa, a ridosso di questa. Le lavandaie vi scendono per una scala di

parecchi gradini. In ginocchio, nella vasca, risciacquano e sbattono la biancheria

mentre spiano se il tempo e il vento la faranno asciugare più o meno rapidamente,

prima che venga stirata e messa negli armadi che si riempiranno di nuovo di candide

lenzuola, profumate di bulbi d'iris o di lavanda. Ogni anno, all'inizio dell'inverno, si

uccide il maiale. In una fattoria grande come questa se ne uccidono anche due,

ripetendo l'operazione, se necessario, il martedì grasso. L'animale è stato ingrassato

fino a raggiungere il peso di 300 libbre all'incirca. E' un'altra festa, più gioiosa di

quella del bucato: un'orgia di sanguinacci, di carne ai ferri, di cicciolini perché occorre

mangiare o dar via molto presto le parti deperibili. Gli abitanti della fattoria e quelli

che son venuti a dar loro una mano, possono consumare in quei giorni fino a dodici o

tredici piatti di carne. Gli stomaci solidi compensano in tal modo le carenze arre trate

di proteine. Il pasto va innaffiato... E, sebbene i Labouré non abbiano vigne, si trova o

arriva immancabilmente qualche bottiglia di virio accompagnata da tanto buon umore.

L'importante è ciò che non si mangia quel giorno: prosciutto e lardo vengono subito

salati: forniranno, per il resto dell'annata, il nutrimento carneo, poiché la carne

costituisce una rarità. Soltanto sotto Napoleone III, l'Auxois si trasformò in regione di

allevamento di bestie da macello. La carne di manzo sopraggiunge talvolta in

abbondanza, ma a causa di una calamità: quando una mucca è accidentata o vecchia.

La si divide con i vicini, a condizione che renderanno lo stesso dono. Le perdite così

divengono feste perché ènecessaria che niente si perda. La disgrazia si cambia in

abbondanza e condivisione. Così Caterina fa suoi i riti, le ricette culinarie e tradizioni

innumerevoli che comprende sempre meglio, di anno in anno. Dev'essere vigilante con

le bestie (la mucca che si rifiuta di dar latte perché le è stato tolto il vitello), con la

gente (queste signore che tirano più che possono sul prezzo del burro e delle uova) e

perfino col tempo. E' un tempo aperto sull'eternità, attraverso l'eterno ritorno

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ascendente del ciclo delle feste. Ogni anno, Caterina capisce meglio il ciclo

liturgico: dall'Avvento a Pasqua e all'interminabile serie delle domeniche verdi dopo la

Pentecoste: il periodo dei grandi lavori. Quando l'anno sta per finire, il 2 novembre, il

parroco viene in chiesa dove tutto il villaggio è riunito... Moltiplica le benedizioni per

i defunti lungo tutto il pomeriggio: è una cerimonia interminabile, ma ogni famiglia

vuole la propria benedizione. Le giornate diventano brevi: si entra nella notte come nel

seno materno. Si sogna, si parla, si dorme a lungo. E' di stagione la morte che entra nel

ciclo della vita.

Il segreto di Caterina

Caterina sa svolgere bene il suo compito e dare a ciascuno il necessario secondo la

propria condizione e i propri bisogni, a cominciare dal padre e dal fratellino

malaticcio, oggetto delle sue più attente cure. I due meglio serviti sono Pietro, perché è

il padrone, e Augusto perché la sua infelicità è un appello lanciato verso il cielo...

Vengono poi i fratelli, la sorella, i domestici, per ultima lei. Caterina non geme sui

propri errori di principiante ma li ripara senza rumore e da ogni cosa trae una lezione.

E' la sua scuola, questa, perché ella a scuola non va. Chi le ha concesso di dominare

così, a 12 anni, questo compito schiacciante? La sua vita quotidiana èpiena, dai primi

bagliori dell'alba, quando riattizza il fuoco, fino alla sera, quando l'ultima fiammata

ravviva la penombra per terminare i lavori pesanti: quelli che si possono fare anche

senza vederci troppo chiaro; non più il cucito ma la rigovernatura delle stoviglie e la

rassettatura della casa. Caterina è ordinata. Se la cava tanto bene che la domestica

diventa superflua. E poi, l'interferenza di una persona adulta, che non accetta

facilmente l'autorità di una « giovinezza », apporta più preoccupazione che aiuto. E' un

riposo quando il lavoro avanza e la ragazza vi si muove a proprio agio con la

complicità attiva di Tonina. A 14 anni Caterina si separa dalla domestica, appena le si

presenta l'occasione propizia. E' sicura di riuscire: le cose vanno meglio di prima. E'

l'amore della terra che la sostiene. Sì, Caterina ama la madre terra, l'alba che la sveglia

ogni mattina e il lavoro che le riempie la vita, dopo il vuoto dell'esilio di Saint-Rémy.

Ma queste non sono che le apparenze. Sarebbe l'attrattiva del guadagno, la passione

contadina di guadagnare a qualsiasi costo, facendo economie? Caterina organizza

ingegnosamente le sue diverse mansioni. Altrimenti, sarebbe la rovina; di ciò la gente

di città non ha un'idea. Occorre far fronte agli imprevisti: malattie delle bestie, delle

piante, intemperie, disgrazie. Ma Caterina ama persone e cose, più del denaro pur

necessario. Sa che la sua piccola gestione casalinga, a circuito chiuso, non è che un

elemento dell'economia domestica di cui l'essenziale si trova nelle mani di suo padre.

Il segreto di Caterina è nascosto nelle sue assenze dalla fattoria. Sparisce, ogni giorno,

per qualche tempo. Non per vedere un corteggiatore. L'amor suo si nasconde nella

chiesa di Fain, vicina alla fattoria, che sorge un po' più in alto dalla parte opposta della

strada: una chiesa senza prete perché il clero, durante la Rivoluzione, si è dileguato.

Fain dipende da un cappellano che si reca di luogo in luogo a celebrare matrimoni e

funerali, raramente la messa domenicale. Le domeniche in cui vi è la Messa, Caterina

e i familiari occupano un banco riservato nella cappella della Vergine, detta la cappella

dei Labouré, perché è la famiglia che l'ha fatta restaurare. Non è l'onore del banco

riservato ai membri del consiglio di fabbrica della parrocchia, che attira Caterina alla

chiesa. Vi si reca sola, in settimana, e prega a lungo sul freddo pavimento. Si dice sia

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là che ella avrebbe contratto l'artrosi. Questa preghiera dà significato a tutto il

resto. « Le preghiere non fanno progredire il lavoro », dicono le vicine. Il lavoro,

tuttavia, viene sbrigato; Caterina è coraggiosa e di buona salute. Il tempo consacrato

ad esso non è l'essenziale per lei, ma viene in soprappiù. « Tempo perduto », si

pettegola talvolta al villaggio, dove la pietà di Caterina non ne aumenta la

reputazione. Ella non se ne preoccupa affatto: il suo tempo non è quello delle vicine

impantanate nel quotidiano. Caterina vive l'impegno di ogni giorno, ma in un'altra

dimensione, che dà senso al ricominciare senza fine, alle persone che si avvicinano e

che è meglio... incontrare: un senso che non passerà. Caterina abita con Dio nella Fede

e nell'Amore, e anche nella comunione dei Santi, da coraggiosa concittadina. A Saint-

Rémy, la zia le ha mostrato la statua della sua patrona: santa Caterina d'Alessandria,

ricca di sapienza e di luce, forte contro i persecutori. Zoe-Caterina ha familiarità coi

protettori, le cui immagini ispiranti fiducia ornano i muri della chiesa, a Fain come a

SaintRémy. Ma più ancora con la Vergine Maria che trova ogniqualvolta si reca alla

chiesa di Fain: prima al disopra del portale, col Bambino tra le braccia, poi all'interno,

le mani tese in un gesto d'accoglienza. Il tabernacolo è vuoto, in questa chiesa senza

prete, ma la presenza del Signore impregna la sua casa, si rivela in fondo al cuore. Per

Caterina è una felicità nella quale prova il bisogno di rituffarsi. E' qui che trova la

forza di far buon viso e di ben servire. Qui è il suo sogno per l'avvenre, che Tonina ha

ben presto intuito. La sorellina ha percepito chiaramente che Caterina era divenuta «

tutta mistica », come ella dice, « dopo la sua prima comunione »: senza dubbio nel

senso in cui il compatriota San Bernardo era « mire contemplativus »,

meravigliosamente contemplativo, secondo i suoi primi biografi. Il fiume della

preghiera, apparentemente disseccato dalla Rivoluzione, riprende in Caterina come in

altri contemporanei a lei sconosciuti: Giovanni Maria Vianney, Giovanna lugan, Gio-

vanna Antida Thouret, Madre Javouhey, Madda «Com'erano pie queste signorine

(Labouré: Caterina e Tonina); non andavano a divertirsi con le altre ragazze»,

testimonia una donna anziana di 88 anni, contemporanea di Caterina. Assorbita

prematuramente dalle responsabilità, maturata prima del tempo dalle rudi mansioni

della fattoria, Caterina non era troppo « amante del gioco ». Ma sarebbe

un'esagerazione agiografica dare eccessiva importanza all'espressione del nipote

Filippo Meugniot che descrive il suo come « un carattere serio, modesto e dignitoso ».

Un'altra contemporanea - « una ragazzina sua coetanea » di cui non conosciamo il

nome - estimonia che Caterina si divertiva quando i genitori la conducevano alla sagra

di Cormarin in casa di cugini e cugine.

La festa di San Roberto

Ecco il ricordo di una bambina di Cormarin, un po' aureolato dagli 80 anni passati

della testimone, nel 1896: « Caterina non era graziosa ma era gentile e buona, sempre

amabile e dolce con le compagne anche quando queste la stuzzicavano come fanno i

bambini. E se vedeva che alcune si bisticciavano tra loro, cercava di metter pace. Se

un povero si presentava gli dava le ghiottonerie che poteva trovare (...). Durante la

Messa in onore del Patrono, Caterina pregava come un angelo (...) e non voltava la

testa a destra e a sinistra

Il digiuno che nutre

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A 14 anni, ella comincia a digiunare il venerdì e il sabato, per tutto l'anno. Tonina

se ne accorge, teme che le faccia male e cerca di dissuaderla... Invano. Minaccia di

avvertire il padre, ma Caterina non si lascia impressionare: - Ebbene, diglielo! Tonina,

provocata, mette in esecuzione la minaccia. Il padre le dà ragione. Ma Caterina ha

deciso: quel digiuno è un affare tra Dio e lei. Vi trova la sua forza. Questo non

riguarda nessuno, neppure il padre, dal momento che il lavoro è fatto... Caterina

continua. Non porta rancore: il padre è il padre; Dio, è Dio. Questa contesa non ha

neppure turbato le sue buone relazioni con Tonina, il cui aiuto è valido e avveduto.

Vocazione

Verso quella stessa epoca, Caterina confida alla sorella - solo a lei - il suo progetto di

vita: una vocazione, ma che non sa né come né dove si realizzerà. Non è « per fare

come Maria Luisa », è un progetto intimo tra lei e Dio. Tonina comprende, sostiene la

sorella e l'aiuterà in questa via. Ciò resta un segreto tra loro perché il padre ha regolato

il suo conto col buon Dio, al riguardo. Non ha recriminato per la partenza di Maria

Luisa, sebbene la presenza ne fosse ben necessaria per la fattoria. Ha dato la figlia e la

dote: bene, ma ora basta.

Un sogno

Ed ecco che una notte, quella chiamata prende la forma d'un sogno. Caterina si trova

nella chiesa di Fain, al suo posto abituale, nella cappella dei Labouré. Prega.

Quand'ecco sopraggiunge un prete anziano, riveste i sacri paramenti e celebra la

Messa sull'altare candido, dalle modanature in oro. Quello che la colpisce, è 10

sguardo del sacerdote quando si volta per il « Dominus vobiscum». All'« Ite missa est

», le fa cenno di avvicinarsi. La ragazza è assalita dal timore. Si allontana

indietreggiando, affascinata. Non può distaccarsi da quello sguardo, che ricorderà per

tutta la vita. Uscendo di chiesa, Caterina va a far visita ad un'ammalata (sempre in

sogno) là ritrova il vecchio prete che le dice: «Figlia mia, è buona cosa assistere i

malati. Tu ora mi sfuggi, ma un giorno sarai felice di seguirmi! Dio ha dei disegni su

di te. Non dimeuticarlo! ». Ella si allontana di nuovo, sempre timorosa ma col cuore

ardente. « I suoi piedi non toccavano più terra ». Varcando il portico della casa paterna

si sveglia... Non era che un sogno, ma per Caterina costituisce un nuovo slancio. Il suo

regno - la sala della fattoria - è divenuto un luogo provvisorio, se non un esilio.

Compie il proprio lavoro ancora meglio di prima, ma ècome se non lo facesse. La sua

vita reale domina il vissuto quotidiano che ella ha già abbandonato con lo spirito.

Caterina riflette, abbozza progetti: per entrare in Comunità, dovrebbe almeno saper

leggere e scrivere; le hanno detto che questa èuna delle condizioni per essere

ammessa. La sua mancanza d'istruzione, inoltre, la umilia. Solo per mascherare la

propria ignoranza, la giovane paga allora 30 franchi-oro - le sue economie -a un buon

parlatore che si è impegnato ad insegnarle a fare la propria firma. Ma non basta,

ètempo di imparare a leggere, scrivere, far di conto: sulla carta e non solo nella sua

testa, sebbene una testa di contadina e le sue dieci dita, come segni di riferimento,

costituiscano una ottima calcolatrice.

Primo soggiorno a Chatillon (1824-1826)

Caterina ha 18 anni, ed ecco che Antonietta Gontard, una cugina germana da parte

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della madre, le propone di prenderla in casa sua a Chàtillon, dove gestisce un

pensionato che gode buona reputazione, al fine di istruirla. Tonina ha 16 anni, è

abbastanza robusta per assumersi la responsabilità della casa, e sempre complice... Il

padre è molto reticente: la saggezza e il fervore della figlia lo preoccupano, teme di

perderla; ma non è fiero dell'ignoranza dei suoi ultimi figli mentre i primi erano partiti

nella vita con un bagaglio tanto considerevole. Così Caterina ottiene ciò che vuole. A

Chàtillon, è felice di avere la messa vicinissima: una chiesa col Santo Sacramento e un

prete a disposizione. E' Don Gailhac, decano dei parroci, un ottuagenario (1743-1828).

Ella osa confictargli il suo sogno. Il sacerdote conosce bene le Figlie della Carità; è

colpito dalla descrizione del vegliardo: la barba, la berretta nera e il servizio dei

poveri: - Figlia mia, credo che quel prete sia proprio San Vincenzo. Qualche tempo

dopo, Caterina si reca dalle Suore, in via della Juverie, accompagnata dalla cugina.

Nel parlatorio, quale sorpresa! Il ritratto che vi si trova è quello del prete visto in

sogno. - Ma è il nostro Padre, San Vincenzo de' Paoli! le spiegano le Suore. Ci si è

chiesto come mai la ragazza non avesse mai visto il ritratto autentico del Santo,

conservato dalle Suore di Moutiers. In realtà, questo quadro, pieno di vita, attribuito a

Francesco di Tours, si trovava allora in una sala di comunità riservata alle Suore.

Caterina, ormai, ha deciso. Ma che fare? L'entrata in postulato esigerebbe il consenso

del padre e questo è escluso, per il momento. Aspettare? La fretta di Caterina è grande

e vi è ancora tempo perché diventi maggiorenne: mancano due anni e mezzo. E ciò

sembra un'eternità, alla sua età, anche a motivo dello slancio di un desiderio così

ardente. Inoltre, Caterina si sente a disagio in casa della cugina. A 18 anni, il suo

livello scolastico è quello delle « piccole » e le sue abitudini di fattoressa stonano con

quelle delle signorine ospiti del pensionato. La cugina e le compagne l'invitano

amabilmente ad imitare le loro buone maniere. Ma quelle « toilettes » ornate di nastri e

quella raffinatezza non l'attirano mentre la degnazione delle compagne ferisce la sua

fierezza e, talvolta, anche la sua rettitudine e la sua semplicità.

Dramma

Tra due decisioni che appaiono senza via di uscita, la ragazza preferisce quella leale e

coraggiosa: ritornare a casa. Il soggiorno a Chàtillon è stato relativamente breve, ma

non è stato tempo perduto. Di ritorno a Fain, Caterina può apporre la sua firma, con

mano sicura, il 16 luglio 1826, in occasione del Battesimo della figlioccia, Caterina-

Zoe Suriot. E' senza dubbio in tale circostanza che indossa per la prima volta il vestito

di seta viola che farà parte del suo « corredo ». Il padre glielo ha fatto confezionare,

poiché è in età da maritarsi. Un colpo di fulmine aggiusterebbe ogni cosa. Nell'attesa,

la vita della fattoria continua: « vitelli, mucche, maiali, covate ». Caterina,

imperturbabile e silenziosa non rifiuta il lavoro, ma ha altri pensieri: la sua vocazione

la sollecita. Tutto procede bene, per quanto riguarda Tonina che ha assunto corag-

giosamente il suo compito di massaia. Ma quanto al padre, il cielo è nero, e sarebbe

una follia far scoppiare il temporale prima di poter esercitare i suoi diritti. E Caterina

attende pazientemente di essere maggiorenne. Ed ecco il 2 maggio 1827: ha 21 anni e

manifesta la propria decisione. Il padre rifiuta violentemente il consenso: ha già dato

una figlia a Dio e ha sempre sostenuto che non ne avrebbe date due. E poi, Caterina è

utile, è una ragazza normale, è allegra, non rifugge dalle feste dei villaggi circonvicini:

Senailly, Cormarin. Riceve richieste di matrimonio e finirà bene per lasciarsi tentare

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da un bel ragazzo o da un buon partito! Se ne presentano, è vero, ma Caterina,

ahimé, per Pietro Labouré, sa quel che vuole... e quello che Dio vuole per lei.

L'esilio a Parigi (1828-1829)

Nella primavera del 1828, il padre cambia tattica per dissuaderla. Il suo quinto figlio,

Carlo, ha aperto a Parigi, in via dell'Echiquier, un commercio di vini e di tappi. La

moglie vi gestiva pure un ristorante per una compagnia di operai. Ma ecco che la

donna viene a morire, due anni dopo il matrimonio, il 21 febbraio 1828. Carlo desidera

un aiuto, perciò Caterina andrà ad aiutarlo. La capitale sveglia le ragazze e quel

ristorante le offrirà le occasioni di essere corteggiata. Per la giovane, tale decisione

apre un'altra ferita: dopo aver rifiutato la sua vocazione, il padre la manda via di casa;

di conseguenza, si spezzano dei vincoli che per lei contano molto. Soltanto il senso del

dovere e la sua accortezza la trattengono in questo nuovo lavoro presso il fratello

vedovo che comincia a consolarsi. Egli è soddisfatto della sorella e vorrebbe che rima-

nesse con lui « per il governo della casa ». Cerca perciò di trovarle marito sul posto,

ma gli approcci degli spasimanti, per i quali questa borgognona di 22 anni non è

affatto priva di attrattiva, i frizzi galanti e i tentativi della clientela del ristorante non

toccano Caterina. Le distrazioni del sobborgo e lo stesso successo della sua cucina

presso i clienti la trovano incrollabile. Carlo non si ostina nel suo progetto e giunge

l'occasione di liberare Caterina: egli si riammoglia il 3 febbraio 1829. Due donne in

una casa? Una sarebbe di troppo... Caterina non si lascia dunque sfuggire l'occasione e

scrive alla cognata di Chàtillon, molto commossa per la sua prova, e poi a Maria

Luisa, che l'anno precedente èstata nominata Suor Servente, cioè responsabile delle

Figlie della Carità a Casteisarrasin (Tarn-etGaronne). La risposta della sorella è

traboccante di felicità e di fervore: «Che significa essere Figlia della Carità? E' darsi a

Dio senza riserve per servirlo nei poveri, sue membra sofferenti (...). Se, in questo mo-

mento, una persona fosse così potente da offrirmi di possedere non un regno ma tutto

l'universo io considererei ciò come la polvere delle mie scarpe, convinta come sono

che nel possesso dell'universo non troverei la felicità e la soddisfazione che provo

nella mia vocazione...». Maria Luisa arresta questo slancio, presa da uno scrupolo: «

Desidero tanto che tu trascorra qualche tempo in casa della nostra cara cognata come

ella stessa ti ha proposto, per acquisire una certa educazione, cosa necessaria in

qualsiasi occasione ci si possa trovare. Imparerai a parlare francese un po' meglio di

quanto si faccia nel nostro villaggio, ti applicherai a scrivere e a far di conto e,

soprattutto, alla pietà, al fervore, all'amore dei poveri. Non rientra nei nostri usi

invitare alcuno a entrare nella nostra Comunità Ma ella si dà ben presto pace di questa

« debolezza » e termina ripetendo il desiderio che Caterina sia del numero di quelle

che un giorno saranno chiamate... « Val meglio servire Dio che il mondo...». Maria

Luisa riceverà più tardi questa lettera, in contrattacco, in circostanze che ritroveremo

tra qualche tempo (24 aprile 1834). Per il momento, ella consiglia alla sorella di

ritornare a Chàtillon.

Secondo soggiorno a Chatillon

La grande casa della cugina ai piedi della collina Saint-Vorles è cambiata dal primo

soggiorno di Caterina: il 15 novembre 1828 Giovanna Antonietta Gontard è divenuta

sua cognata sposandone il fratello maggiore, Uberto, sottotenente di gendarmeria dopo

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essere stato guardia del corpo di Carlo X a Parigi nel 1824. I giovani sposi sono dei

buoni avvocati presso papà Labouré, poco fiero della strada senza uscita in cui si era

cacciato per dispetto. Egli afferra l'occasione per un onorevole compromesso; Caterina

ritrova, dunque, quel pensionato che non l'attrae molto, ma frequenta sempre di più le

Figlie della Carità. Questa volta vi ha trovato una suora nuova: Suor Vittoria Séjole,

subito presa per Caterina da una simpatia non esente da ammirazione, che le farà

ripetere, ogniqualvolta riparlerà di lei, e durante tutta la vita: « Non ho mai conosciuto

un'anima così candida e pura ». Caterina e Suor Vittoria hanno molte affinità: due

contadine di buon ceppo, quasi coetanee, 22 e 27 anni, ognuna preceduta da una

sorella maggiore tra le Figlie della Carità. E, soprattutto, l'una come l'altra, amano

profondamente la Santissima Vergine e i poveri. Suor Vittoria comprende il disagio di

questa figlia dei campi nell'ambiente raffinato del pensionato; perciò insiste presso

Suor Cany, superiora dal 1814: «La riceva, è tutta candore e pietà. Non è al suo posto

tra quelle saputelle; è una buona ragazza di villaggio, come quelle che San Vincenzo

predilige ». Ecco che suor Cany si convince; cominciano le trattative. Caterina ha

ricevuto con gioia la notizia ma non vuole entrare senza dote, sapendo che questa è la

consuetudine dell'epoca. Si assume quindi la responsabilità di parlarne, in via

confidenziale, a suo fratello e alla cognata. Su questo punto Pietro Labouré resta

inflessibile. La figlia farà quel che le piace ma, parola di Labouré, lui non darà una

seconda dote. Il fratello e la cognata di Caterina provvederanno a che il proposito

paternò non si effettui. Hanno infatti una posizione finanziaria agiata, poiché entrambi

guadagnano, lui come ufficiale, lei come direttrice di un pensionato che gode di buona

reputazione.

Il postulato

Al principio dell'inverno 1830, Suor Cany manda il suo parere favorevole alla Casa

Madre, dove il Consiglio delle Figlie della Carità l'adotta in questi termini, in data 14

gennaio: «Suor Cany propone la signorina Labouré, sorella di quella che è superiora a

Castelsarrasin. Ha 23 anni ed è molto adatta al nostro istituto: è pia, ha buon carattere,

un forte temperamento, ama il lavoro, è molto allegra. Si comunica regolarmente ogni

otto giorni. La famiglia è illibata quanto ai costumi e all'onestà, ma poco agiata: si

insiste molto perché venga accettata ». In quel « sì », c'è in primo piano Suor Séjole. E

l'allusione alla famiglia « poco agiata » vuole preparare ad accettare una dote piuttosto

tenue per la consuetudine del tempo. Il 22 gennaio giunge la risposta da Parigi ed è

positiva. Caterina fa gioiosamente gli addii alle pensionanti amichevoli ma troppo

raffinate. Ella varca con gioia i cancelli della via della Juverie. Suor Séjole è felice di

formarla al modo di pregare e alla vita di comunità. La inizia pure alla distribuzione

della « minestra ai malati poveri », opera che era stata soppressa al principio della

Rivoluzione come un qualcosa di « monarchico ». Ma era stato necessario ristabilirla

al più presto perché rispondente a urgenti necessità. Caterina impara così a conoscere

la miseria e il servizio nelle sue massicce dimensioni: due volte alla settimana, la

domenica e il giovedì, verso l'una del pomeriggio, una grande quantità di brodo viene

preparata nella caldaia bollente; i poveri affluiscono muniti chi di un tegame, chi di

una casseruola o di un altro recipiente, in cui mettono la minestra per portarla ai

malati. Marietta, vecchia dipendente della casa, ammira la pietà di Caterina: ogni

giorno la postulante, alle tre pomeridiane, si reca in cappella e recita l'atto prescritto

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dalla Regola: « Vi adoro, Salvator mio Gesù Cristo, che spirate sulla croce per

amor mio. Vi ringrazio di essere morto per riscattarmi. Eterno Padre (...), ricevete il

Suo divin sacrificio (...). E' la morte di un Dio, è Dio medesimo che vi offro... »

(MISERMONT, Vie, p. 50-51). La « morte di un Dio »: queste parole risuonavano

stranamente all'indomani di tanti attentati contro Dio e i suoi ministri! Fin dall'inizio

del postulato, Caterina ricevette dalla sorella maggiore, sempre Suor Servente a

Castelsarrasin, una lettera inviata per posta il 22 gennaio 1830. Maria Luisa, « molto

edificata »dall'ultima lettera di Caterina, che sfortunatamente non ci è stata da lei

conservata, esorta la sorella con entusiasmo costante.

La partenza

Alla metà d'aprile, la prova del postulato giunge al termine: Caterina se l'è cavata con

soddisfazione. E' l'ora di preparare il corredo che viene messo in ordine nel baule: - 4

paia di lenzuola usate - 12 salviette usate - un pezzo di tela per camicie e - 11 camicie

confezionate, - 5 vestiti: 4 d'indiana e 1 di seta viola - 11 zzoletti da naso, - 3 paia di

tasche (che allora fungevano da borsetta). Caterina porta con sé anche la dote offertale

da Uberto e dalla cognata: 693 franchi. Gli sposi si fanno trovare alla stazione di

partenza della diligenza. Il pesante veicolo esce solennemente dalla città attraverso la

« porta di Parigi », come da un arco di trionfo. Suor Hinault, di 70 anni, che è stata

lunghi anni Suor Servente a Chàtillon, accompagna Caterina: ella va a raggiungere la

Comunità delle suore anziane alla rue du Bac. Il percorso è lungo 300 chilometri, 100

leghe come si diceva allora. La campagna è tutto uno sbocciare di nuove fronde e di

fiori, è la luce e la germinazione della Pasqua.

3. IL SEMINARIO (1830 - 1831)

1. L'ARRIVO

Mercoledì, 21 aprile 1830. Gli zoccoli dei cavalli battono sul selciato delle strade di

Parigi, trascinando il rumore sordo delle ruote ferrate, come una specie di tuono,

lontano e pur vicino. Per Caterina la capitale non è una scoperta. Ma quale differenza

con la prima volta! Due anni prima, era la costrizione, l'esilio: lontano dal padre che la

rigettava, lontano dal sogno che il Signor Vincenzo le aveva fatto balenare. Ed ecco il

babbo riconciliato, la casa del Signor Vincenzo aperta per accoglierla. Gli ostacoli

sono crollati come le mura di Gerico. Satura di tutte queste difficoltà, Caterina

assapora, malgrado la stanchezza, la vittoria promessa alla fede che trasporta le

montagne. Parigi non sarà più il ristorante, le bottiglie, i frizzi volgari degli operai;

sarà la preghiera, il silenzio, il servizio dei poveri e dei malati. Il sogno diviene realtà.

E' stato detto a Caterina che la formazione sarà dura, ma ella è pronta a tutto: nulla le

pesa ora che tutto risponde al desiderio del suo cuore. Ecco la stazione terminale della

diligenza col trambusto dei cavalli che nitriscono e dei cocchieri. Alcune suore della

Casa Madre, vestite come quelle di Chàtillon, sono ad attendere le viaggiatrici: è la

stessa famiglia che esprime lo stesso calore affettuoso nell'accogliere la suora anziana

e la giovane postulante.

Scoperta della rue du Bac

Le viaggiatrici vengono « imbarcate » su una carrozza, con i loro bagagli. Le ruote

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risuonano sotto il portico del n. 132 di rue du Bac, poi una cinquantina di metri più

in là, sotto un secondo portone, per fermarsi nel cortile rettangolare: a destra il

fabbricato dell'orologio, a sinistra il Seminario con la campana che convocherà

Caterina agli esercizi comunitari. Caterina è accompagnata da questo lato: l'Hòtel di

Chàtillon, strana dimora per un noviziato. La casa era stata progettata nel XVII secolo

per ostentare il prestigio della famiglia La Vallière: le finestre sono di un'altezza

smisurata. Dalla parte opposto al cortile d'arrivo - quella del giardino - un doppio

scalone di pietra, dalle sontuose ringhiere di ferro battuto, porta alla balconata del

primo piano: quello dove risiede - la Superiora generale. Le Suore del Seminario si

trovano al disotto, a pianoterra, a un livello inferiore dell'edificio, che funge da

sottosuolo. Sono allo stretto, essendo 112, per gli esercizi comunitari ed i pasti. La

notte, salgono nei dormitori situati al secondo piano costruito a mansarda, il quale

comunica attraverso le soffitte con la cappella allora più bassa dell'attuale. Anche qui

c'è affollamento. Caterina cambia il suo costume di contadina, corsetto e doppia gonna

con la cuffia e lo scialle delle suore del Seminario. Nella Comunità l'abito non ha

importanza: il Signor Vincenzo aveva voluto che le Suore vestissero da secolari, non

come le donne di mondo ma come le popolane. Per forza di cose l'abito si è evoluto

nel senso di un'uniforme religiosa. Caterna potrebbe pure stupirsi di certe differenze

che, non esistevano a Chàtillon: colore e qualità della stoffa variano da una suora

all'altra. Dalle calzature, alcune sembrano delle signore... Si confezionano cornette

smisurate. Portano grandi « colletti » e abbondanti « orli » agli abiti, guarnizioni di

nastro, si vestono perfino di lana di castoro e hanno grembiuli di merino, mentre altre

suore hanno conservato il loro aspetto di donne del popolo, più nella linea delle

intenzioni del Signor Vincenzo. E' questo il risultato del rilassamento contro cui si

lotta invano in quel periodo di « Restaurazione ». Tale parola suona come sinonimo di

mollezza e di permissività: il nostalgico ritorno a un passato estinto. Ma la fiamma

arde nel cuore di Caterina che guarda tutto con occhi nuovi, come la terra promessa e

nn si ferma ancora sulle deficienze. La giovane fattoressa, che era costretta a

contendere il tempo della preghiera con un'esistenza incalzante e senza momenti liberi,

gusta ora le vacanze dello spirito e del cuore, poiché Dio e la preghiera hanno qui il

primo posto. All'arrivo, una notizia rianima la sua speranza: domenica prossima le

reliquie di San Vincenzo saranno trasportate solennemente da « NotreDame » a « San

Lazzaro ». L'Arcivescovo le ha restituite ai Lazzaristi e precederà il corteo; sarà

presente anche il Re, personaggio lontano e quasi mitico. Il Seminario parteciperà alla

processione. Il Signor Vincenzo di nuovo fa cenno a Caterina di avvicinarsi e questa

volta la giovane suora on fugge, neppure indietreggiando... Tutto il suo essere si

slancia verso questo appuntamento: una festa per la quale ci si attende una grande

partecipazione di popolo.

2. LA TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE DI SAN VINCENZO

Vincenzo de' Paoli aveva attraversato la Rivoluzione senza eclissi. Il suo prestigio di «

padre dei poveri » era così grande che alcuni inni dell'epoca ne associano il nome a

quelli di Rousseau e di Voltaire. Era meglio avvalersi del suo irradiamento umanitario

e avere uomini come lui dalla propria parte piuttosto che contro. Ciò non aveva

impedito alle due Comunità da lui fondate di venir disciolte e perseguitate. Ma il

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commissario Delivry, incaricato di sgombrare la chiesa dei Lazzaristi, aveva

loro lasciato il corpo del Fondatore, conservato intatto nella cassa. La solenne

traslazione, che riporterà a casa sua il corpo del Signor Vincenzo, comincia il 24

aprile, tre giorni dopo l'arrivo di Caterina in Seminario. L'indomani, 25 aprile, alle 9, il

Nunzio Apostolico, Monsignor Lambruschini, celebra la messa cantata pontificale

dinanzi all'urna, posta su un palco: un pesante reliquiario d'argento, lungo 7 piedi,

realizzato da Odiot per una somma di 40.000 franchi-oro. Un'immensa folla circonda

l'Arcivescovo assistito da 12 Vescovi. Il pomeriggio, alle due, mentre nella Cattedrale

di Notre-Dame si intonano i Vespri, il corteo comincia a sfilare. L'urna è circondata

dai Lazzaristi e dai canonici del Capitolo metropolitano. Seguono i Cappellani del Re,

i Vescovi, infine l'Arcivescovo, preceduto dalla croce e dal suo portinsegna,

inquadrato da assistenti in cappa e seguito da alti funzionari. Un plotone di gendarmi

chiude la processione. Ma vi sono pure orfanelli e poveri: quelli che contavano per

San Vincenzo e che non l'hanno dimenticato. Essi formano la folla. Il Seminario è

presente: una foresta di 112 cuffiette bianche. Sotto una di queste, Caterina, felice di

far corteo all'Uomo del suo sogno e della sua vocazione. La folla s'ingrossa, « avida

com'è di veder ~ resti così preziosi del santo prete che arricchì questa grande città

dei monumenti e delle 15ti-tuzioni creati dalla sua carità per il sollievo di ogni genere

di miseria », registra enfaticamente il verbale ufficiale della cerimonia. Solo alle 6

pomeridiane, la processione giunge alla rue de Sévres. Cominciò così, sotto gli occhi

di Caterina, quella domenica 25 aprile, l'ottava-rio che vide sfilare una grande folla e

perfino il Re Carlo X, nella cappella dei Lazzaristi. Le Suore della rue du Bac, tanto

vicine (a 300 metri), vi si recano ogni giorno. Tra di esse la nostra giovane Suora

borgognona che festeggerà i suoi 24 anni la domenica 2 maggio, ottava della

Traslazione. Ella si sente leggera come un pallone di cui si tagliano i cavi che lo

tenevano prigioniero. Solo ventisei anni dopo tali avvenimenti, Caterina redigerà il

racconto della propria esperienza su richiesta del suo Direttore e lo farà con uno stile

obiettivo, spoglio di lirismo e non ortografico... Caterina situa la sua esperienza con

esattezza nel tempo e in quella dimensione nella quale ella « non vive più sulla terra ».

Si tratta di uno « stato estatico ». Non è un sogno, è sulle ali di un desiderio ricco di

esigenze che ella accede alla visione: « Imploravo da San Vincenzo tutte le grazie

necessarie a me, alle due famiglie e all'intera Francia. Mi sembrava che ne avessero

grande bisogno ». Caterina pensa alle latenti minacce rivoluzionarie, ma soprattutto

allo slancio spirituale che stenta a riprender vigore in quest'inizio di secolo.

3. LE APPARIZIONI aprile - dicembre 1830)

Il cuore del Signor Vincenzo (25 aprile - 2 maggio 1830)

L'avvenimento nasce da questo desiderio: « Pregavo, infine, il Signor Vincenzo di

insegnarmi che cosa dovevo chiedere, con viva fede. E ogniqualvolta tornavo da San

Lazzaro (dove mi ero recata per pregare dinanzi all'urna), provavo tanta pena che mi

sembrava di ritrovare, in Comunità, San Vincenzo o, almeno, il Suo cuore. (Questo)

mi appariva tutte le volte che ritornavo da San Lazzaro. Avevo allora la dolce

consolazione di vederlo (nella cappella della rue du Bac), al disopra del reliquiario in

cui erano esposte le piccole reliquie di San Vincenzo de' Paoli ». Il piccolo reliquiario

era un cofanetto di metallo e vetri, posto a sinistra dell'altar maggiore. La visione del

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cuore avvenne al disopra di esso. «Mi apparve, tre volte, in modo diverso, tre

giorni di seguito: bianco carnicino, come ad annunziare la pace, la calma, l'innocenza

e l'unione. Poi l'ho visto color fuoco, a simboleggiare la carità che si accenderà nei

cuori; mi pareva che tutta la Comunità dovesse rinnovarsi ed espandersi fino alle

estremità del mondo. La terza volta, mi apparve rosso-nero, visione che mi colmò il

cuore di tristezza. Mi sentivo così oppressa da questa tristezza che duravo fatica a

sormontarla e non capivo come, né perché, potesse essere motivata da un

cambiamento di governo ». E' questo il racconto autografo di Santa Caterina che, 26

anni dopo, serba il ricordo di 3 visioni i cui colori significano per lei l'innocenza,

l'amore, la prova. Il suo confessore e il Padre Etienne, per una confusione di date,

situarono queste visioni in luglio, in occasione della festa (e non della traslazione delle

reliquie) di San Vincenzo. Le stilizzarono in un dittico: la prima visione, di colore

oscuro, l'ultima di colore vermiglio, al contrario di Caterina. Secondo la loro

interpretazione, che circolava fin dal 1833, 23 anni prima che Caterina scrivesse il suo

racconto, la veggente non colse soltanto i simboli, ma senù interiormente delle parole.

Per la visione di colore oscuro: « Il cuore di San Vincenzo è afflitto profondamente

alla vista dei mali che si abbatteranno sulla Francia Per la visione di colore vermiglio:

«San Vincenzo è un po' consolato, avendo ottenuto, per l'intercessione della Vergine

Santissima, che le due famiglie non periscano in mezzo a queste grandi calamità

Leggendo attentamente i racconti di Caterina, questi messaggi espliciti le furono dati

solo più tardi: quando la Madonna le apparve, nella notte dal 18 al 19 luglio, festa di

San Vincenzo. Si spiega così come Etienne e Aladel avessero taciuto quell'apparizione

e fissato, in tale data, la visione del cuore del Fondatore. I documenti ufficiali hanno

sintetizzato le predizioni ricevut da Caterina in maniera progressiva, e diffuse in via

confidenziale, le quali stimola-ono con tanta forza la rinascita delle due famiglie del

Signor Vincenzo, prima ancora di essere proclamate sotto il generalato del Padre

Etienne. Queste promesse hanno avuto grande importanza, poiché furono

incessantemente confermate da una straordinaria protezione constatata negli

sconvolgimenti del secolo: dalla Rivoluzione del luglio 1830 alla Comune del 1871.

Per Caterina, l'importante è questo nuovo incontro col Signor Vincenzo che « ritrova »

sei anni dopo il sogno di Fain, ma, questa volta, ben sveglia. Ella non esagera, però,

l'importanza della visione, anzi relativizza il segno che le è stato dato di scorgere: «Mi

sembrava di ritrovare San Vincenzo o, almeno, il Suo cuore...». Non si tratta del cuore

di carne, che non si trovava nella cappella, né nell'urna di San Lazzaro, essendo stato

prelevato come reliquia, e che aveva seguito un proprio destino. Nel 1790, il Padre

Cayla, Superiore generale, l'aveva affidato all'assistente italiano, Padre Siccardi, che

l'aveva trasportato, camuffandolo in un in-folio squarciato internamente, fino a Torino.

Dopo qualche avventura, la reliquia era ritornata in Francia, a Lione, il 1°gennaio

1805, su richiesta del Cardinal Fesch. Di questa reliquia « assente », Caterina non sa

nulla. Ma insiste, giustamente, sul carattere simbolico dell<apparizione: non si tratta di

un pezzo anatomico, ma di un'icona. I tre colori non dipendono da un cobramento

pittoresco e immaginario. Costituiscono un messaggio, denso di significato che

Caterina traduce col laconico vigore delle persone dominate da una forte percezione.

La visione del colore chiaro indica piuttosto una dimensione della Incarnazione che un

colorito. Questo colore chiaro è il bianco, la tinta della pelle (non del sangue) e

simboleggia: « la pace, la calma, l'innocenza e l'unione ». Caterina è giunta in una

16

comunità convalescente, che sta rinascendo dopo l'emorragia della

Rivoluzione. Non ha trovato l'ideale che se ne era fatto, ma uria realtà più sbiadita e,

talvolta, scioccante. La speranza, tuttavia la preserva da espressioni negatve. C'era, in

quel tempo, molto da riformare. Caterina lo dirà ben presto e i Superiori già ne hanno

coscienza. Ma la visione oltrepassa la realtà difettosa in direzione di un migliore

avvenire. Il rosso fuoco della seconda visione significa piuttosto un ardore intimo che

un colore. Caterina percepisce, a sua volta, lo splendore che, da Abramo a Mosé e a

Pascal, fa pronunciare la parola « fuoco », allorché Dio è vicino. Questo fuoco che il

cuore di San Vincenzo diffonde, « deve accendere nei cuori la carità ». Caterina non

fa riferimento alle mancanze che in funzione di un superamento promesso dalla

visione. La Comunità deve « rinnovarsi » - precisa la suora - cioè riformarsi. Questa

speranza si apre a dimensioni universali: «Mi sembrava che tutta la Comunità dovesse

estendersi sino ai confini del mondo ». La terza visione, però, si trasforma in fune-sto

annuncio e ispira a Caterina « tristezze » quasi insormontabili. Si tratta di una nuova

Rivoluzione coi suoi morti, come nel 1793? Qui la visione di Caterina si concentra

simbolicamente sul vecchio monarca che, forse, ha intravisto andando a pregare presso

l'urna di San Vincenzo. La giovane suora ha saputo, almeno, che il Re ha partecipato a

questa celebrazione. Nel suo universo gerarchico, in cui il Sovrano (consacrato con

l'unzione) è un'autorità, come suo padre nella fattoria, il Papa a Roma, e la Superiora

nella casa, l'omaggio del Re al Signor Vincenzo prende un senso. La Restaurazione,

giunta agli ultimi bagliori d'un sole al tramonto - un sole invernale - le è apparsa nella

sola sua luce religiosa, prima di ricadere nella notte del niente. Caterina Labouré, da

contadina del vecchio popolo di Francia, come la Violaine di Paul Claudel, conferiva a

questo governo il carattere di un segno sacro. E vedeva nella sua caduta un sinistro

presagio: la corruzione del vecchie mondo religioso cui apparteneva con tutte le sue

fibre, pur essendo figlia di un padre che aveva esercitato le prime funzioni di ufficiale

di stato civile della Rivoluzione. Ella si sen~ ora latrice di un messaggio che va al di là

dclla sua persona, ma che deve restare un segreto tra lei e il cielo. Profitta della confes-

sione settimanale, senza dubbio il sabato ì~ maggio, per confidarlo al Padre Aladel,

ma le riesce difficile esprimere ciò che ha percepito: quel messaggio d'amore, di

promesse e di calamità imminenti. Caterina non trova eco dietro la grata: la figura nera

non le risponde che con parole di timore e di rifiuto: - Ancora una ragazza che si

monta la testa e vaneggia - pensa il confessore e l'invita alla calma e all'oblio: - Non

ascolti queste tentazioni (vi ha aggiunto: « del demonio »?). Una Figlia della Carità è

fatta per servire i poveri e non per sognare. Caterina è pienamente d'accordo per

quanto riguarda il servizio, ma questa dissuasione la stupisce perché la visione decupla

le sue forze per amare e servire. Allora, perché opporre quest'ultima a quello?

Raccoglie, almeno, senza amarezza le consegne ricevute: « Il mio confessore mi ha

calmata il più possibile, distogliendomi da questi pensieri Il più possibile! Ma é «

possibile » calmare gli ardori suscitati da Dio? La giovane suora si rifugia in una

preghiera prudente, austera, nelle formule ufficiali e nei riti sacramentali. Non vede

più il cuore di San Vincenzo. Al disopra del reliquario cesellato in metallo, ora vi è

soltanto il quadro sacro in cui Sant'Anna è assisa sulla poltrona con la Vergine Maria,

bambina, le mani appoggiate sulle ginocchia della mamma, in atto di imparare a

leggere.

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Nostro Signore nell'Eucaristia

Ma ecco altre visioni... Durante la Messa, improvvisamente, l'ostia diventa trasparente

come un velo. Al di là delle apparenze del pane, Caterina vede Nostro Signore. Il fatto

è avvenuto prima che ella abbia avuto il tempo di resistere, secondo l'invito del

confessore? Si tratterebbe di un'illusione? Caterina si applica a quest'esercizio critico...

e non vede più che l'ostia nel suo spogliamento. Ma quando si lascia andare

all'impulso intimo - quando si rimette a pregare davvero allora l'ostia rivela Colui che

ordinariamente nasconde. Non è un sogno né un'esaltazione, ma come il mistico

accedere alla Realtà. Ella riassume così la visione: «Ho visto (...) Nostro Signore nel

Santissimo Sacramento (...) durante tutto il periodo del mio Seminario, eccetto quando

dubitavo (cioè quando resistevo); allora, la volta seguente, non vedevo più niente

perché volevo approfondire (...), dubitavo di questo mistero (e) credevo di sba-

gliarmi». Come San Pietro, mentre affondava nel mare dubitando dell'inverosimile

possibilità di camminare sulle onde. Il 6 giugno 1830, festa della Trinità, la visione

diviene oscuro presagio (di funesti eventi), come il cuore del Signor Vincenzo, due

mesi prima. Caterina riprende il vocabolo « nero » per significare l'impatto di questa

visione che la rattrista. « Nostro Signore mi apparve come un Re, con la croce sul

petto, (sempre) nel Santissimo Sacramento. Ciò avvenne durante la Santa Messa, al

Vangelo. Mi sembrò che la croce cadesse (dal petto) sui piedi di Nostro Signore. E mi

sembrò che Egli fosse spogliato di tutti i suoi ornamenti. Tutto cadde a terra. Fu in

quel momento che ebbi i pensieri più neri e più tetri. Questa visione delle sofferenze di

Cristo, nella Chiesa, Suo corpo, si rifà al modello tanto vicino dei martiri della

Rivoluzione. L'interpretazione di Caterina si polarizza sul Re di Francia. I teologi, a un

dato momento, avevano fatto della sua unzione, un ottavo sacramento, per rialzare il

titolo di rappresentante di Dio che l'apostolo Paolo già attribuiva ai sovrani del

paganesimo (Rom. 13, 1-4; Tim. 2, 1-2; Tit. 3,1). Caterina distingue chiaramente la

sua visione dall'applicazione che ne fa all'anziano Re, intravisto, sfinito, nell'aprile

precedente, quando egli era venuto a rendere omaggio a San Vincenzo. «Non saprei

spiegare come » - ammette - «ma ho pensato che il Re terreno sarebbe perduto (cioè

detronizzato) e spogliato delle insegne regali Caterina tenta di confidare i propri « pen-

sieri » al Signor Aladel, ahimé, senza successo. Ma il cielo, irresistibilmente, continua

le sue comunicazioni, attraverso simboli. Il desiderio di Dio, che le aveva ispirato la

vocazione, ne infiamma la realizzazione. La giovane suora è felice in Seminario: leg-

gera abitante dei quartieri celesti, e tuttavia robusta per spazzare cortili e lavare

caldaie. E' davvero per caso che, un giorno, in refettorio, ella resti così assorta in

seguito a un'apparizione, sganciata dal mondo esterno, da sentire Suor Cailhot, la terza

direttrice, interrogarla: « Ebbene, Suor Labouré, è in estasi? ». Suor Cailhot ha

pronunciato quelle parole rudemente, senza alcun sospetto, giacché la formula era

consueta per sanzionare le distrazioni. Non è questo il genere di Caterina, che si mette

a mangiare semplicemente, come se nulla fosse accaduto. Non verrà più colta in fallo

al riguardo. Ai primi di giugno, riceve una lettera della sorella maggiore, spedita dal

mezzogiorno della Francia il 25 del mese di Maria. Maria Luisa ha appena saputo che

Caterina era entrata in Seminario, ed è un tantino scontenta: « Il tuo silenzio dal 4

marzo m'ha causato grande inquietudine (...). Ti compiangevo (...)». Detto questo, la

gioia domina la sorella maggiore: «Non ti compiango più, ringrazio il buon Dio (...).

Se non hai nulla di particolare da comunicarmi, puoi aspettare qualche tempo per

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scrivermi! (...). La tua felicità sarà perfetta tanto quanto lo si può sperare

sulla terra, se sarai docile nell'ascoltare i buoni consigli che non ti mancheranno. Spero

che abbia perduto la tua volontà propria sulla via da Chàtillon a Parigi e me ne

congratulo con te. Non reclamarla mai. Quella dei nostri Superiori vale certo più della

nostra. Convinciti bene che non ti trovi più a casa tua, che non sai fare più nulla (...).

In Seminario, mia cara, dobbiamo far provvista di tutte le virtù (...); soprattutto,

l'umiltà (...). Non è, poi, difficile credersi l'ultima di tutte quando vi si riflette un po' ».

La sorella incarica Caterina di uno speciale ricordo per la Madre Marta, uno dei grandi

fari del noviziato: «Oh! come ci piace di intrattenerci a parlare delle sue sante

istruzioni! » (n. IX, CLM, 1, p. 180).

Una missione per Caterina (18 luglio 1830)

E' proprio Suor Marta che fa l'istruzione in Seminario la sera del 18 luglio, vigilia

della festa di San Vincenzo, ed evoca con fervore la devozione del Fondatore verso la

Vergine Maria. Caterina ne beve le parole... Ha visto San Vincenzo, ha visto Nostro

Signore... ma non ha visto la Santissima Vergine. Ed eccola trasportata da un nuovo

slancio: «Sono andata a letto col (...) pensiero che, quella notte, avrei visto la mia

buona Mamma. Era tanto tempo che desideravo vederla ». Suor Marta ha fatto un

regalo alle novizie: un pezzettino del « rocchetto » (specie di cotta) che un tempo San

Vincenzo indossava. Prima di addormentarsi, Caterina è presa da una strana idea.

Rompe in due il pezzetto di stoffa e, afferma lei stessa senza ambagi, «l'ho inghiottito

e mi sono addormentata, col pensiero che San Vincenzo mi avrebbe ottenuto la grazia

di vedere la Vergine Santa » (n. 564, CLM 1, p. 336). La giovane suora riprende

bruscamente il suo racconto con un « finalmente » che traduce la segreta impazienza

della sua attesa: «Finalmente, alle lì e mezzo della sera, sentii chiamarmi per nome: -

Sorella, sorella! Mi sveglio, guardo dal lato da cui veniva la voce, cioè dalla parte del

passaggio accanto al letto. Ti ro la tenda e vedo un bambino sui quattro o cinque anni,

biancovestito, che mi dice: - Alzati in fretta e vieni in Cappella, la Santa Vergine ti

attende! - Mi sentiranno! - pensai. Il fanciullo risponde (al mio pensiero): - Sta'

tranquilla, sono le 11,30, tutte dormono profondamente. Vieni, ti aspetto. Mi vestii in

fretta e mi diressi dalla parte di quel bambino che era rimasto in piedi, a capo del letto,

senza avanzare. Egli mi seguì, o piuttosto io lo seguii, avendolo sempre alla mia

sinistra, irradiando luce ovunque passava. Lungo il nostro passaggio, tutte le luci erano

accese, il che mi meravigliava molto. Ma la mia sorpresa crebbe, quando, giunta alla

porta della Cappella, questa si aprì appena il fanciullo l'ebbe toccata con la punta di un

dito ». Narrando ingenuamente la sua avventura, Caterina non sospetta di ripetere

quella di San che un tempo San Vincenzo indossava. Prima di addormentarsi, Caterina

è presa da una strana idea. Rompe in due il pezzetto di stoffa e, afferma lei stessa

senza ambagi, « l'ho inghiottito e mi sono addormentata, col pensiero che San

Vincenzo mi avrebbe ottenuto la grazia di vedere la Vergine Santa » (n. 564, CLM 1,

p. 336). La giovane suora riprende bruscamente il suo racconto con un « finalmente »

che traduce la segreta impazienza della sua attesa: « Finalmente, alle lì e mezzo della

sera, sentii chiamarmi per nome: - Sorella, sorella! Mi sveglio, guardo dal lato da cui

veniva la voce, cioè dalla parte del passaggio accanto al letto. Tiro la tenda e vedo un

bambino sui quattro o cinque anni, biancovestito, che mi dice: - Alzati in fretta e vieni

in Cappella, la Santa Vergine ti attende! - Mi sentiranno! - pensai. Il fanciullo ri-

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sponde (al mio pensiero): - Sta' tranquilla, sono le 11,30, tutte dormono

profondamente. Vieni, ti aspetto. Mi vestii in fretta e mi diressi dalla parte di quel

bambino che era rimasto in piedi, a capo del letto, senza avanzare. Egli mi segui, o

piuttosto io lo seguii, avendolo sempre alla mia sinistra, irradiando luce ovunque

passava. Lungo il nostro passaggio, tutte le luci erano accese, il che mi meravigliava

molto. Ma la mia sorpresa crebbe, quando, giunta alla porta della Cappella, questa si

aprì appena il fanciullo l'ebbe toccata con la punta di un dito ». Narrando

ingenuamente la sua avventura, Caterina non sospetta di ripetere quella di San Pietro

negli Atti degli Apostoli (2, 6-11), quando fu liberato dalla prigione: « Durante la

notte, l'Angelo del Signore lo fece alzare... La porta si aprì da sé dinanzi a loro... Egli

credeva di sognare... ». La veggente continua: « Ma la mia sorpresa fu al colmo

quando (entrata in Cappella), vidi tutte le candele e le lampade accese, come alla

Messa di mezzanotte. Tuttavia, non vedevo affatto la Santa Vergine. Il bambino mi

condusse, allora, nel santuario, vicino alla poltrona che usava il nostro Direttore, e là

mi inginocchiai, mentre il fanciullo restava sempre in piedi. Poiché il tempo mi

sembrava lungo, guardavo se mai le vigilatrici passassero dalla tribuna. Finalmente,

giunse l'ora e il bimbo mi prevenne, dicendomi: - Ecco la Vergine Santa, eccola!

Sentii come un fruscio di una veste di seta venire dalla parte della tribuna, presso il

quadro di San Giuseppe. Una signora venne a sedersi sui gradini dell'altare, dal lato

del Vangelo, in una poltrona simile a quella di Sant'Anna. Non era tuttavia, Sant'Anna,

seduta in quella poltrona, ma la Vergine Santissima. Non aveva (infatti) la fisionomia

di Sant'Anna... Dubitavo che fosse la Madonna. Pertanto, il fanciullo ch'era là, mi

ripeté: - Ecco la Santissima Vergine. Non mi è possibile esprimere ciò che provai e ciò

che passò dentro di me in quel momento: mi sembrava di vedere la Madonna». Tutto

questo inizio (della visione) sembra un sogno, come, negli Atti, la liberazione dell'apo-

stolo Pietro, che credeva di sognare; ma il racconto è intessuto di precisazioni

realistiche che mal si confanno a un sogno. Caterina teme che passino le vigilatrici che

circolano di notte nella tribuna laterale. Dubita dell'identità della Vergine... Anche

Bernardetta si difenderà, all'inizio della prima apparizione, osservando gli alberi che

non si muovono, malgrado lo strano colpo di vento. Caterina, in piedi nel coro, a

sinistra, davanti alla balaustra, osserva attentamente la poltrona in cui la sconosciuta si

è seduta, di fronte a lei, sui gradini dell'altare, e che è simile a quella del quadro

appeso al disopra del reliquiario di San Vincenzo: il dipinto in cui è raffigurata

Sant'Anna, in atto di insegnare (a leggere) alla figlioletta, la Vergine Maria bambina.

Se non èSant'Anna, quella signora seduta, sarebbe dunque la Santissima Vergine, che

si trova in piedi nel quadro della Santa? Si sarebbe seduta sulla poltrona della

mamma? Il fanciullo ripete: « Ecco la Santissima Vergine! ». Ma Caterina non

comprende e rimane a distanza, vicino alla poltrona di P. Richenet, posta là per la

Messa solenne della Festa di San Vincenzo: « Allora, il bambino non mi parlò più con

voce infantile, ma con un tono di voce virile, simile a quella del più robusto parlatore,

pronunciando parole molto severe. Alzai, allora, gli occhi in volto alla Vergine e,

senza più esitare, feci un balzo verso di lei e mi gettai in ginocchio sui gradini

dell'altare poggiando le mani sulle ginocchia della Santissima Vergine. Quello fu il

momento più dolce della mia vita. Mi sarebbe impossibile esprimere tutto ciò che

provai. La Vergine mi insegnò come regolarmi col mio Direttore e aggiunse molte

cose che non devo dire; il modo di comportarmi nelle mie pene...». La Santissima

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Vergine le indica « con la mano sinistra i piedi dell'altare ». « Là devo recarmi,

prostrarmi (...), effondervi il mio cuore » - continua Caterina. «Vi avrei ricevuto tutte

le consolazioni di cui avrei avuto bisogno (...). Le ho domandato (allora) cosa

significassero tutte le cose viste (...) ed Ella si è degnata spiegarmi tutto ». Quali

spiegazioni ha ascoltato Caterina, durante quest'intimo incontro, a contatto con la

Madonna? La veggente ha tentato di trascriverle, alla fine della vita, 46 anni dopo

l'apparizione, il 30 ottobre 1876, in due volte. Ne stabiliamo la versione più completa

possibile, unendo le due redazioni (pubblicate in riassuno in CLM 1, p. 352-357):

«Figlia mia, il buon Dio vuole affidarti una missione. Avrai molto da soffrire, ma

supererai tutto pensando che lo fai per la gloria di Dio. Conoscerai ciò che viene da

Dio e ne sarai tormentata finché non l'avrai svelato a chi ha cura di guidarti. Sarai

contraddetta, ma non temere, sarai sostenuta dalla grazia. Rendi conto di tutto, con

fiducia e semplicità; confida, non temere. Vedrai certe cose; rendine conto (cioè): di

quello che vedrai e sentirai ». Quello che Caterina è invitata a dire con fiducia sono le

visioni e i messaggi che le verranno dati. Sarà la Medaglia riguardo alla quale, ben

presto, riceverà l'invito a farla coniare. L'apparizione conclude: «Sarai ispirata nelle

tue orazioni, rendine conto ». Questa promessa di aiuto è seguita dall'annuncio di

sciagure: «I tempi saranno tristissimi; sciagure si abbatteranno sulla Francia; il trono

sarà rovesciato; il mondo intero sarà sconvolto da disgrazie di ogni specie. (La

Santissima Vergine appariva molto afflitta dicendo questo). Ma venite ai piedi di

questo altare; qui le grazie saranno sparse su tutte le persone che le chiederanno con

fiducia e fervore: sui grandi e sui piccoli. Grazie saranno sparse particolarmente su

coloro che le domanderanno a Dio. Figlia mia, io sono felice di spandere in modo

speciale le grazie sulla Comunità. L'amo molto, fortunatamente. (E, tuttavia,) sono rat-

tristata perché vi sono grandi abusi circa la regolarità: le Regole non sono osservate, vi

èuna grande rilassatezza nelle due Comunità. Dillo a Colui che è incaricato di voi,

sebbene non sia Superiore. Fra qualche tempo la Comunità gli sarà affidata in modo

particolare. Egli deve fare tutto il possibile per rimettere la Regola in vigore. Digli, da

parte mia, che vegli sulle cattive letture, le perdite di tempo e le visite. Allorché la

Regola sarà (ri)messa in vigore, vi sarà una Comunità che verrà ad unirsi alla tua. Non

è l'uso ma io l'amo. Dì che la ricevano. Dio le benedirà ed esse vi godranno una grande

pace ». Tale predizione si realizzerà nel 1850: due Comunità entrarono nella Famiglia

di San Vincenzo: quella delle Suore della Carità, fondata da Elisabetta-Anna Seton

(divenuta, in seguito, la prima santa canonizzata degli Stati Uniti), poi quella delle

Suore di Carità d'Austria, fondata da Leopoldina de Brandis. «La Comunità godrà di

una grande pace e diverrà grande » conclude la Madonna. Ma continua poi con

l'annuncio di imminenti sconvolgimenti. «Sopraggiungeranno grandi mali, il pericolo

sarà grande. Non temete, tuttavia; di' di non temere perché la protezione di Dio è

sempre su di voi, in una maniera tutta particolare; anche San Vincenzo proteggerà la

Comunità (la Santissima Vergine era sempre triste). Io stessa sarò con voi. Ho sempre

vegliato su di voi, vi accorderò molte grazie! Verrà un momento in cui il pericolo sarà

grande. Si crederà che tutto sia perduto; (anche) allora sarò con voi. Abbiate fiducia,

riconoscerete la mia visita e la protezione di Dio con quella di San Vincenzo sulle due

Comunità. Abbiate fiducia! Non vi scoraggiate; allora sarò con voi. Ma non accadrà la

stessa cosa per altre Comunità: vi saranno delle vittime. (Dicendo questo, la Vergine

Santa aveva le lacrime agli occhi). Vi saranno vittime nel clero di Parigi: Monsignor

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Arcivescovo (nuove lacrime a questa parola), morrà ». Questa predizione non si

realizzerà nel 1830. Non si tratta neppure della morte di Monsignor Affre, ucciso sulle

barricate del giugno 1848. Il racconto autografo di Caterina precisa il tempo: 40 anni

dopo la visione del 1830. Si tratterebbe, dunque, della morte di Monsignor Darboy,

avvenuta nel 1871. Caterina, purtroppo, registrò tale interpretazione soltanto nel 1876:

«post factum », ma ricordava di averlo detto a Padre Aladel molti anni prima, come

ella stessa precisa: «A quelle parole pensai: Quando avverranno tali cose? E ho

compreso benissimo: (fra) 40 anni ». (La seconda redazione aggiunge: «e, 10 anni

dopo, la pace ». «Al riguardo, il Signor Aladel mi rispose, chiedendomi: - E noi due, ci

saremo? Io gli risposi: - Se non vi saremo noi, vi saranno altri. L'apparizione insisteva

sulle prossime disgrazie: « Figlia mia, la Croce sarà disprezzata, calpestata; il sangue

colerà... Il costato di Nostro Signore sarà nuovamente aperto. Le vie saranno piene di

sangue. Monsignor Arcivescovo sarà spogliato dei suoi abiti. (A questo punto, la Santa

Vergine non poteva più parlare, la sofferenza era dipinta sul suo volto): - Figlia mia -

mi diceva - il mondo intero sarà nella tristezza ». La visione, infine, comincia a

comunicare a Caterina progetti che si preciseranno più tardi: la nuova Associazione di

Figlie di Maria, che il suo confessore dovrà fondare; vi si celebreranno « con grande

solennità » il mese di Maria e quello di S. Giuseppe e ci sarà « grande devozione per il

Sacro Cuore » Riprendiamo qui l'autografo del 1856 in cui Caterina narra la fine

dell'apparizione. « Non so quanto tempo sia restata (presso la Vergine). So soltanto

che, quando Ella se n'è andata, ho veduto solo qualcosa che si andava spegnendo, alla

fine solo un'ombra che si dirigeva dalla parte della tribuna (a destra), (per) la stessa via

da dove era arrivata. Mi sono rialzata dai gradini dell'altare e ho scorto il bambino, (là)

dove l'avevo lasciato. Egli mi dice: - E' andata via. Abbiamo ripreso lo stesso

cammino, sempre tutto illuminato, e quel fanciullino era sempre alla mia sinistra.

Credo che fosse il mio Angelo Custode reso visibile per farmi contemplare la Vergine

Santa, giacché avevo pregato tanto che mi ottenesse questo favore. Egli era vestito di

bianco, circonfuso d'un chiarore soprannaturale, cioè risplendente di luce: sembrava

avere presso a poco 4 o 5 anni. Ritornata a letto, ho sentito suonare le 2 del mattino e

non mi sono più riaddormentata ». Questa lunga veglia, lucidissima fino al mattino,

garantisce a Caterina che non ha sognato. Ella non tarda a confidare il suo messaggio

al Signor Aladel, tanto più che è fortemente scossa da ciò che la Vergine le ha lasciato

capire: « Sarai tormentata fino a quando non l'avrai detto a colui che è incaricato di

guidarti ». La richiesta riceve cattiva accoglienza: il Signor Aladel non vi scorge che

« illusione » e « immaginazione ». Indubbiamente, le domande relative alla riforma

delle due Famiglie si identificano con le sue preoccupazioni evangeliche. Egli è una

delle giovani speranze cui s'incomincia a dar fiducia per riorientare la Compagnia. Ma

si chiede: Di che cosa s'immischia questa giovane suora? La prospettiva di essere

promosso fondatore lo urta. Adulazione che si maschera sotto le apparenze di una

missione? Infine, quella funesta profezia circa una nuova rivoluzione gli sembra

inverosimile. La traslazione delle reliquie di San Vincenzo ha manifestato un grande

fervore nel popolo mentre la rapida conquista dell'Algeria gli sembra che « prometta

alla Francia una grande prosperità ». Contrariamente a questi pronostici ricchi di

ottimismo, prima della fine del mese, cioè dal 27 al 29 luglio, scoppia la rivoluzione.

Le « tre gloriose » giornate vedono realizzarsi la caduta del trono e, nello stesso

tempo, i moti sanguinosi annunciati paradossalmente (nella visione del 18 luglio).

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Ecco i sentimenti del Padre Etienne di fronte a tali avvenimenti: «Vengono

profanate chiese, le croci sono rovesciate, Comunità religiose invase, devastate e

disperse; i preti perseguitati e maltrattati. Lo stesso Arcivescovo di Parigi è oggetto del

furore del popolaccio, obbligato a travestirsi e a nascondersi (« spogliato degli abiti

vescovili », diceva Caterina). Crediamo di veder riapparire i giorni tristi del 1793 (n.

619, CLM 1, p. 340). Più ancora che le violenze preannunciate, si verifica, però, la

protezione sui Lazzaristi e le Figlie della Carità. Le minacce sembrano arrestarsi alla

porta delle loro case: una banda di giovani insorti dai 12 ai 14 anni assale con grida

scomposte la casa dei Lazzaristi in rue de Sévres, 95. - Abbiamo visto entrare delle

armi. « Un buon Padre che porta ancora l'abito talare non avendo neppure « voluto

travestirsi come gli altri », viene a parlare loro con calma. - Figlio mio, volete vedere

le mie armi? dice al capo della banda. - Sì, signore, fatecele vedere. Il Padre apre il «

suo breviario », ne mostra le immagini che hanno la fortuna di interessare il giovane

interlocutore. - Ne vuoi una? - gli chiede il Padre. «Gliene diede una e il ragazzo se ne

andò trionfante, con la sua immagine, seguito da tutta la banda. Un altro giorno i

ragazzi ritornarono per togliere la croce dal frontespizio della casa. Ma il coraggio e

l'energia del Signor Etienne li fece filare prontamente. Più nulla venne a turbare la

tranquillità », narra Suor Pineau che riconosce in questo una manifestazione delle pro-

messe fatte a Caterina. Caterina era scesa a precisazioni ch'erano sembrate assurde: «

Un Vescovo perseguitato avrebbe trovato riparo presso i Lazzaristi ». La loro Casa

Madre sembrava il meno indicato dei rifugi. Ed ecco che un Arcivescovo, Monsignor

Frayssinous, ministro dei culti sotto Carlo X, viene a chiedere ospitalità al Signor

Salhorgne, Superiore generale, che ritiene più sicuro inviarlo a Saint-Germain-enLaye.

Vivamente impressionato da tali eventi e tali sorprese, il signor Aladel ascolta

Caterina con maggior interesse in questi tempi di torbidi ma « senza farle capire che

annette la minima importanza alla sue visioni ». Dopo la tormenta, Caterina ritorna

alle sue confessioni normali: i suoi peccatucci ordinari dei quali il suo sentimento di

contrizione e la sua umiltà accrescono l'importanza. Questo lascia sperare al

confessore che la giovane suora ridiventi una penitente senza storie né visioni.

La Medaglia

Tutto è finito davvero? No. Quattro mesi dopo, eccola messaggera di una consegna

precisa: far coniare una medaglia con l'effige dell'Immacolata che ella ha contemplato

raggiante delle grazie divine. Quel giorno Caterina fu presa di nuovo da un « grande

desiderio di vedere la Santissima Vergine », un desiderio che veniva da lontano:

«Pensavo che la Madonna mi avrebbe fatto questa grazia; questo desiderio era così

forte che ero convinta di vederla in tutto lo splendore della sua bellezza. Ho scorto la

Vergine Santa all'altezza del quadro di San Giuseppe (...), in piedi, vestita di bianco, di

statura media, il volto così bello che mi sarebbe impossibile descriverne la bellezza.

Indossava una veste di seta bianco aurora ». Questa volta l'apparizione non è avvenuta

di notte, ma « alle 5 e mezzo della sera, il 27 novembre, durante l'orazione, dopo la

lettura del punto di meditazione, in un profondo silenzio »: non più presso l'altar

maggiore, come l'apparizione nella poltrona, ma a destra, dal lato del quadro di San

Giuseppe. Caterina non ha dovuto spostarsi: ha visto, dal suo posto - sul davanti, a

destra - dove faceva la meditazione, (confusa) tra le file serrate delle suore, senza che

nessuna se ne accorgesse. Ha confidato la sua visione al Padre Aladel nel segreto del

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confessionale, ed ecco quello che egli ne ha ritenuto e diffuso: « La novizia ha

visto durante l'orazione un quadro che rappresentava la Santissima Vergine, come è

rappresentata ordinariamente sotto il titolo di Immacolata Concezione, in piedi, in atto

di tendere le braccia. (Era) vestita di bianco e indossava un manto di colore azzurro

argentato, con un velo aurora. Dalle sue mani scaturivano come dei fasci di raggi di

uno splendore meraviglioso. (La Suora) udì contemporaneamente una voce che

diceva: - Questi raggi simboleggiano le grazie che Maria ottiene agli uomini. Intorno

al quadro, ella lesse la seguente invocazione, scritta in lettere d'oro: - O Maria,

concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi! ». L'autografo di

Caterina precisa i suoi sentimenti di quel momento: «A questo punto non so

esprimermi su ciò cbe ho provato e che ho percepito: la bellezza e lo splendore, i raggi

(...). - Io spando (queste grazie) sulle persone che me le chiedono - (udì Caterina. La

voce) mi fece comprendere quanto sia dolce pregare la Santissima Vergine e quanto

Ella sia generosa verso coloro che la invocano. Quante grazie concede alle persone che

gliele domandano e quale gioia prova nell'accordarle. Non so se in quel momento

esistevo o non esistevo: godevo ». Aladel continua il suo racconto in termini che

coincidono laconicamente con quelli usati da Caterina: «Alcuni istanti dopo, quel

quadro si voltò: sul rovescio, la veggente distingue la lettera M sormontata da una

piccola Croce e, in basso, i sacri Cuori di Gesù e di Maria. Dopo che la suora ebbe

attentamente osservato la visione, la voce le disse: - Si deve far coniare una medaglia

su questo modello; le persone che la porteranno indulgenziata e che reciteranno con

pietà questa - breve preghiera, godranno di una specialissima protezione della Madre

di Dio ». Ecco come Aladel narrerà dopo qualche tempo l'apparizione. Ma, per il

momento, egli accoglie molto male la novizia. Questo ritornare delle visioni è un

cattivo segno: - Pura illusione! - controbatte. - Se vuole onorare la Madonna, « ne

imiti le virtù » e stia in guardia contro l'immaginazione. Caterina si ritira,

apparentemente calma, « senza agitarsi oltre », come constata il confessore (n .52,

CLM 1, p. 220). Ma questo dipende, anzitutto, dalla padronanza di sé e dalla grazia

promessa, giacché lo « choc » è stato forte. Sollevata per aver osato parlare, ella tenta

ora di obbedire. Aladel si è interessato così poco al messaggio che non ha mai ritenuto

la data di questa prima apparizione: 27 novembre. Caterina la ricorderà molto tempo

dopo, nel 1841. Egli non ha calcolato neppure quanti giorni dopo l'avvenimento,

Caterina venne a confidarglielo. L'importante, per lui, era di invitarla con fermezza a

non ritornare più sul fatto.

Ultima apparizione (dicembre 1830)

Ma ecco che in dicembre Caterina rivede il quadro. Dopo qualche tempo ella narrerà

per iscritto questa « terza apparizione della Madonna », seconda e ultima della

Medaglia, di cui non ha « notato il tempo », cioè la data. Come il 27 novembre,

avviene alle 5 e mezza, dopo la lettura del punto della meditazione, preceduta dallo

stesso segno: il fruscio di un vestito di seta. Ma vi è qualche differenza: la Vergine non

arriva più dal lato della tribuna, ma dietro l'altare, e il « quadro » della Medaglia non si

presenta più « all'altezza del quadro di San Giuseppe » a destra, ma al centro, « presso

il tabernacolo », un po' all'indietro. La stessa « tunica accollata » - « alla Vergine »,

come dice Caterina - « color aurora », lo stesso « velo azzurro ». « I capelli, divisi nel

mezzo, sono raccolti in una specie di cuffietta, ornata da una leggera trina, larga circa

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due dita », come precisa minuziosamente la veggente con espressioni analoghe a

quelle da lei usate per l'apparizione del 27 novembre. I raggi che si diffondevano dalle

mani « (allargandosi) verso il basso, lo coprivano tutto, tanto che i piedi della

Santissima Vergine non si vedevano più ». Come l'ultima volta, « una voce » le

risuona in fondo « al cuore ». - Questi raggi simboleggiano le grazie che la Vergine

Santa impetra alle persone che gliele domandano. L'apparizione ha le caratteristiche

di un addio. E Caterina, ormai al termine del suo Seminario, riceve questo messaggio:

- Non mi vedrai più, ma sentirai la mia voce durante le tue orazioni. E' dunque la fine

delle visioni che hanno avuto luogo tutte nella cappella della rue du Bac e che avranno

un prolungamento solo in comunicazioni e ispirazioni intime. Ecco Caterina in

conflitto tra il dovere di comunicare la richiesta così rinnovata (della Madonna) e

l'obbedienza al suo Direttore che non vuole più sentir parlare di queste « immagina-

zioni ». Dà la priorità all'obbedienza terrena dal momento che la Vergine Santa non ha

posto urgenze.

4. PRESA D'ABITO

Fine del Seminario

Il 30 gennaio 1831 termina il periodo del Seminario: Caterina prende l'abito e

l'indomani lascia il Seminario.

Primo allarme

« Prima di recarsi alla nuova destinazione trascorre qualche giorno in una casa delle

nostre suore, narra Suor Pineau nel marzo 1877 »(CLM 2, p. 57-58). Questa breve

tappa sembra fosse stata prevista da Aladel per osservare a fondo Caterina. « Egli

trova il pretesto di una visita alle suore di quella casa ». Già era circolata la voce delle

visioni del cuore di San Vincenzo, aureolata dalla straordinaria protezione che le suore

avevano sperimentato durante la rivoluzione di luglio. « Era risaputo che il Signor

Aladel aveva ricevuto delle confidenze e, dal suo arrivo, le suore lo circondarono

assalendolo, a gara, di domande ». Egli teneva gli occhi bene aperti... Caterina viene

provocata più di lui e se ne preoccupa. Finirà ella per tradirsi?... No! « Senza

sconcertarsi », Suor Caterina è« la più attenta a interessarsi a tutte le domande, con

grande calma e senza tradirsi minimamente ». Il confessore ne è impressionato: quella

che era stata accolta così severamente da lui, ha segnato un punto a suo favore (ma

egli non lascia apparir nulla). Questa giovane suora che gli arrivava nell'ombra del

confessionale, tutta piena di visioni e messaggi inopportuni, era dunque aliena

dall'ostentazione, sovranamente padrona di sé e capace di custodire il segreto. Vi era

in ciò una specie di carisma. Aladel ignorava, in quell'epoca, la seconda e ultima

apparizione della Medaglia, giacché Caterina, obbediente, non aveva osato

parlargliene. La viva impressione che egli conservò di quel giorno fu che « la Vergine

Santissima aiutasse la suora a custodire il suo segreto e che tale segreto le fosse

gradito ». Suor Marta Velay, la prima direttrice del Seminario, evidentemente, non

aveva intuito nulla, quando, al termine del periodo di formazione, poneva per iscritto

la seguente valutazione che sottolinea il carattere ordinario di Caterina: « Robusta, di

statura media sa appena leggere e scrivere. Sembra di buon carattere. La sua

intelligenza e il giudizio non sono brillanti. Ha sufficienti risorse. E' pia, lavora alla

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perfezione ».

4. PRIMI PASSI NELL’OSPIZIO DI ENGHIEN (1831 - 1836)

Dalla presa d'abito ai voti (5 febbraio - 3 maggio 1835)

Il 5 febbraio 1831, Caterina suona al n. 12 della via di Picpus: l'Ospizio di Enghien

dove è stata destinata. L'accolgono quattro Figlie della Carità mentre gli ospiti, anziani

di ambo i sessi, osservano la nuova arrivata. Ella ha 24 anni: le rimane da vivere quasi

il doppio della sua età in questa stessa casa, situata nel comune di Reully, sobborgo

poverissimo a sud-est di Parigi, a 5 chilometri dalla rue du Bac... e solo a 4 chilometri

dal ristorante di Carlo Labouré, situato anch'esso ad est, ma più a nord della città.

L'Ospizio di Enghien non conta che 12 anni di vita, essendo stato fondato nel 1819

dalla Duchessa di Borbone, in memoria del figlio, il Duca d'Enghien, fucilato nel 1804

nei fossati del castello di Vincennes, per ordine di Napoleone I. La Duchessa aveva

eretto l'Ospizio in via di Varenne per assistere i convalescenti dimessi dagli ospedali di

Parigi, insieme a dodici povere donne anziane. Fu l'erede, Madama Adelaide

d'Orléans, sorella di Luigi Filippo - il Re attuale - a trasferire la fondazione a Reully

nel 1829, aggiungendovi l'obbligo di ospitarvi 50 domestici anziani della famiglia

d'Orléans, affinché vi trovassero un'esistenza dignitosa, dopo aver lasciato la

scintillante livrea. Il motivo per cui Aladel ha voluto che Caterina dimorasse in una

periferia così vicina è di vegliare più accuratamente su questa giovane suora, che si

presenta come una persona normale nel servizio quotidiano, ma preoccupa per le sue

visioni.

1. CUCINA, ORTO E POLLAIO

La casa, dai corridoi a vòlte, si apre su un orto che si estende su due ettari di terra fino

alla via di Reully. Su questo terreno, ben presto, Suor Caterina troverà un lavoro

proporzionato alle sue forze. Troppo giovane per il servizio degli anziani, talvolta

troppo intraprendente, è adibita alla cucina e ci si avvede che la giovane suora ci sa

fare. Ella ha presto ritrovato l'abilità ai lavori domestici che aveva nella fattoria

paterna, perfezionata dall'esperienza del ristorante Labouré dove la clientela esigeva

più raffinatezza e inventiva. Caterina tratta i suoi vecchietti come dei clienti che

bisogna onorare. L'unico suo tormento è causato dalla cuoca titolare, Suor Vincenza,

di 35 anni. Questa suora, che si trova nella casa fin dalla fondazione, è molto stimata

per la sua grande abnegazione e la sua viva sensibilità, ma è troppo parsimoniosa. Per

Caterina, cui piace donare generosamente, tali restrizioni sono intollerabili. - Bisogna

sopportare questa compagna con pazienza - risponde imperturbabile Padre Aladel,

confessore della casa di Enghien. Caterina, turbata, fa del suo meglio senza, tuttavia,

arrivare a rassegnarsi. Sarebbe così poco dotata di virtù? La giovane suora cerca di

convincersene umilmente. Tutto va bene nel pollaio che le è stato affidato, poiché la

sua competenza non ha rivali, come nel vasto orto dove le suore cittadine lavorano

senza alcun profitto, e che diviene il suo dominio. Ella gestisce, organizza e difende

questo « territorio » contro i passeri e gli altri predoni: persone e bestie. Poco a poco

rinnoverà i metodi di coltivazione per fare di queste terre una piccola fattoria come

quella della Borgogna. Vi ritrova le sue origini, sebbene in una terra meno generosa di

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quella natale. Caterina realizza così, come aveva imparato a Fain, un sogno del

Signor Vincenzo che era tanto tormentato dalla sua attività « non produttiva », da

scrivere il 24 luglio 1655: « Noi viviamo del patrimonio di Gesù Cristo, del sudore

della povera gente... Ho spesso questo pensiero che mi genera turbamento: -

Miserabile! Ti sei guadagnato il pane che mangerai, quel pane che ti è procurato dal

lavoro dei poveri? ». L'analisi evangelica del Signor Vincenzo è radicale. Carlo Marx

accordava soltanto il « plusvalore » al lavoro dei poveri, mentre Vincenzo è puramente

e semplicemente cosciente che essi sono i soli autori legittimi del pane che mangia...

Caterina, massaia, vive al di là di questo problema: serve i poveri, aumentando di anno

in anno i prodotti per la loro sussistenza. Alle migliaia di polli e di piccioni si

aggiungerà ben presto i1 latte delle mucche che istallerà nella stalla di Reully: questa

fatica è un tonico per la sua coscienza.

2. FINALMENTE LA MEDAGLIA

Caterina respinta

Il ritorno a mansioni materiali improbe ha posto termine alle visioni di Caterina.

Questa ha parlato soltanto una volta della Medaglia al Signor Aladel, dopo

l'apparizione del 27 novembre. Ed egli le ha imposto con tanta autorità di non

pensarvi, che la giovane suora ha mantenuto il segreto sulla seconda apparizione,

quella di dicembre. Se ora non « ha più visioni », come la Madonna le aveva

preannunciato, una voce interiore la sollecita a trasmetterne il messaggio. A

primavera, Caterina cede, dunque, a questa ispirazione che la tormenta. Fatica

sprecata, il Signor Aladel la vede arrivare e previene ogni effusione. La consegna resta

immutata: resistere all'illusione. Caterina si sente sollevata d'aver parlato e il Padre

Aladel si rallegra di vederla andar via così tranquilla. Ma la voce interiore continua ad

insistere. Che fare tra questi ordini contraddittori: quello della Madonna e quello del

rappresentante di Dio? In autunno, ella osa replicare alla Madonna: - « Egli » non

vuole ascoltarmi. Egli è il Signor Aladel. - « Egli » è un mio servo - risponde l'intima

voce - temerebbe di darmi un dispiacere. Quello stesso autunno, Caterina ritorna, dun-

que, alla carica una terza volta, presso colui che la Madonna vuole raggiungere: - La

Vergine è spiacente! - osa dirgli. Aladel resta impassibile, ma quelle parole lo toccano

e lo tormentano, a sua volta. Si domanda se non è un « cattivo servo » di Colei che si

compiace di chiamare: « Rifugio dei peccatori »! Perplesso, lascia parlare Caterina

più delle prime due volte, senza tradire, tuttavia, il proprio turbamento. E la rinvia,

come le altre volte, senza lasciarle sperar nulla. Questa volta, però, ne parla seriamente

al P. Etienne, Procuratore Generale dei Lazzaristi e suo amico, a cui aveva già fatto un

vago cenno della cosa, sotto l'impressione prodotta in lui nel luglio 1830 dalle

predizioni della Rivoluzione. Queste due giovani speranze della Congregazione, già

cariche di responsabilità a soli 30 anni, condividono preoccupazioni e progetti.

Conoscono l'estrema prudenza che la Chiesa esige in materia d'apparizioni.

Sottomettono, tuttavia, il caso al Signor Salhorgne, Superiore Generale, che non si

mostra affatto contrario (n. 626, p. 33): - Devo recarmi tra poco dall'Arcivescovo di

Parigi, Monsignor de Quélen, per affari della Congregazione; mi accompagni -

propone il Signor Etienne al confratello - ne profitteremo per presentargli questa

domanda... in mezzo alle altre. Che ne penserà il prelato? Si domandano i due in attesa

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dell'udienza. Sorpresa! L'apparizione di Maria nel mistero della sua grazia

originale incontra in lui una profonda attrattiva. Quale bella illustrazione di tale

mistero è questo irradiamento del sole di giustizia, Cristo! Sì, Maria, la Donna rivestita

di sole di cui parla l'Apocalisse vuole irradiare Colui che ha messo al mondo: - Non vi

sono inconvenienti di sorta a far coniare la Medaglia - conclude l'Arcivescovo. Tutto,

in essa, è perfettamente conforme alla fede e alla pietà e questa medaglia può

contribuire a far onorare Dio. La via è dunque libera, pur con la prudenza che la

Chiesa richiede in simili casi: - Non si formulino giudizi prematuri sulla natura della

visione, e non se ne divulghino le circostanze. Si diffonda semplicemente questa

medaglia... L'albero verrà giudicato dai frutti. Il progetto allora prende forma, ma

senza precipitazione. Aladel stabilisce un modello ricondotto ai tratti essenziali

dell'apparizione. Per il davanti della medaglia, l'invocazione che deve esservi iscritta:

« O Maria, concepita senza peccato » invita a coniare il tipo classico dell'Immacolata

Concezione, secondo il desiderio dell'Arcivescovo. Il modello sarà, dunque, la statua

di Bouchardon, che si trova nella Chiesa di san Sulpizio ma con le mani dalle quali si

effondono raggi di luce, il che costituisce la novità della visione. Per il rovescio,

Aladel è più in imbarazzo e, contrariamente alle sue abitudini, consulta Caterina al

confessionale di Reully: - Non vi era alcun'altra iscrizione, come sul davanti? Ella

non ricorda più... Pregherà... Alla confessione seguente, dà la risposta ricevuta nel-

l'orazione: - La M e i due cuori dicono abbastanza.

Il colera

L'esecuzione della Medaglia comincerà all'inizio del marzo 1832. Ma ecco che il

colera, il 26 dello stesso mese, irrompe su Parigi in pieno carnevale. L'epidemia,

giunta dalla Russia, attraverso la Polonia, provoca diarree torrenziali che obbligano gli

ospedali, sovraffollati, a forare i letti dei malati affinché l'ondata coli nei vasi disposti

d'urgenza. In 4 o 5 ore il corpo di un uomo in buona salute si trova ridotto ad uno stato

scheletrico. Il bilancio dei morti s'ingrossa con un crescendo impressionante. Vi

saranno, in totale, 18.400 decessi ufficiali: in realtà saranno più di 20.000 perché le

statistiche e la stampa minimizzano il fenomeno per limitare il panico. I medici accorsi

a Parigi per informarsi sull'epidemia contribuiscono a propagarla in provincia. I grandi

professori combattono, più che la malattia, i suoi sintomi: diarrea, crampi o vo-miti.

Bottiglie e bagni caldi lottano contro il freddo che agghiaccia il corpo dei malati.

Salassi, calomelano, oppio tentano di addormentare gli spasimi il cui vigore sembra

concentrarsi in queste scariche inestinguibili. Duputroyen, influenzato da una ricetta

delle prostitute di Amburgo « per nascondere le loro regole », applica acetato di

piombo per arrestare le feci. Altri prescrivono preparati all'ipeca « col fine di sostituire

i vomiti naturali per mezzo di vomiti artificiali » secondo il principio: « Vomitus

vomitu curatur » (Il male si cura col male). Récamier e Chaumel praticano frizioni.

Camomilla, valeriana, menta, etere e laudano sono prescritti nelle ricette di Velpeau

all'Ospedale della Carità. All'Hòtel-Dieu, Magendie salva 8 malati su 20, grazie a

pozioni alternate di ponce e di camomilla misti ad acetato di ammoniaca. Broussais

pubblica i trionfi del suo metodo: ingestione di altea e di ghiaccio, cataplasmi e

sanguisughe dietro l'orecchio e sulla nuca. Queste terapie molto strane rivelano una

loro logica quando sappiamo che Broussais riteneva il colera una «gastroencefalite ».

Le sanguisughe poste nell'ano, secondo il giudizio comune, « attiravano il movimento

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dal centro alla periferia ». Egli aveva ottenuto, come assicurava, 39 guarigioni,

su un numero di 40 malati. La Gazzetta Medica contestò questo bilancio opponendovi

la cifra di 24 guarigioni su 129 casi. Broussais inviò i propri testimoni al redattore,

Giulio Guérin; proprio in quel tempo morì nel suo reparto Casimir-Périer (presidente

del consiglio dei ministri) « sebbene fosse stato curato da lui ». Guariva, dunque, chi

poteva. Monsignor de Quélen apprende la notizia del flagello nel rifugio in cui si

nascondeva, da quando un moto popolare l'aveva scacciato dal Vescovato, il 15

gennaio 1831: egli aveva dovuto cercar rifugio nel monastero di San Michele, poi

presso i Caffarelli. Immediatamente, l'Arcivescovo ritorna al suo popolo oppresso

dalla calamità, celebra la Messa nella Casa Madre delle Figlie della Carità (nella

cappella delle apparizioni) e si dirige verso l'Hòtel-Dieu. Il Signor Etienne,

preoccupato per le violenze da cui il Presule sembra minacciato, insiste per

accompagnarlo negli ospedali della città. Ma il gesto dell'Arcivescovo ha vinto l'odio.

Le sue preghiere, le sue benedizioni, sono messaggere di speranza. Su domanda di

Monsignor de Quélen, Padre Etienne apre le porte di San Lazzaro ai malati. Egli

èafferrato dal turbine di questo ministero in cui si moltiplicano dramma e inquietudini,

come il Signor Aladel, la cui salute subirà un grave colpo.

Vachette conia la Medaglia

Alla fine di maggio, l'epidemia sembra diminuire e i giornali ne annunciano la fine.

AladeI prende finalmente contatto con l'orefice Vachette, al n. 54 del lungo Senna

degli Orafi, e lo incarica di coniare la medaglia. L'epidemia, purtroppo, riprende fin

dalla seconda metà di giugno: il panico raddoppia, ma ormai la coniatura è in

cammino. Vachette consegna i primi 1500 esemplari il 30 giugno. L'Arcivescovo

riceve per primo la Medaglia e non tarderà a far fare per la sua camera una statua della

Vergine, « secondo il modello mostrato alla suora ». Caterina riceve la sua Medaglia ai

primi di luglio, nella sua comunità locale, senza che niente la distingua e possa

scoprirne il segreto. La veggente guarda l'effigie. Ne aveva avuto, forse, uno schizzo

in precedenza? Nessun documento lo fa pensare. Quali sono i suoi sentimenti in quella

circostanza? Anzitutto, la gioia perché la richiesta della Madonna è stata esaudita,

dopo la situazione in cui si è trovata, così sfavorevole, apparentemente senza speranza

di riuscita: la figura della Vergine appare sul davanti della medaglia, radiosa,

circondata dall'invocazione; sul rovescio, la Croce e i due cuori. Caterina si è

preoccupata della libertà di interpretazione di Aladel che aveva stilizzato il modello

ispirandosi alla Vergine di Bouchardon, e di quella dell'orefice che aveva impresso sul

rovescio le stelle omesse sul davanti della Medaglia (intorno al capo della Madonna),

aggiungendovi due sbarrette orizzontali e un trifoglio: il suo marchio di fabbrica? Il

Signor Aladel gli aveva lasciato carta bianca per i dettagli, sapendo che per esprimere

una visione ineffabile e luminosa nel minuscolo bassorilievo di una medaglia, l'artista

poteva usare soltanto una interpretazione personale. A Lourdes Don Peyramale si

dibatterà fra qualche anno con lo stesso probelma, tra Bernadetta e lo scultore Fabisch,

incaricato di scolpire una statua conforme alla visione. Egli dovrà soffocare la

delusione della veggente, per deferenza nei riguardi del rinomato artista che ha

interpretato la visione « a regola d'arte». In ogni modo, la medaglia non poteva essere

coniata secondo la realtà della visione. Caterina non si è fermata ai dettagli, troppo

felice di veder realizzato l'essenziale: l'invocazione, l'Immacolata, dalle cui mani si

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diffondono raggi luminosi, i segni della Croce e dell'Amore. In occasione di

questa prima distribuzione della medaglia, la veggente manifesta soltanto la sua

approvazione. - Ora bisogna diffonderla - dice, sicura che Dio farà il resto. Se la

realizzazione materiale, le ha procurato qualche delusione, le prime guarigioni e con-

versioni non tarderanno a rassicurare Caterina, al di là di ogni attesa.

Prinii raggi

La Medaglia fu distribuita, dalle Figlie della Carità, anzitutto nella regione di Parigi, in

occasione della nuova epidemia di colera. A Parigi, nella scuola di Piazza del Louvre,

la piccola Carolina Nenain (8 anni), l'unica bambina della sua classe che non porta la

Medaglia, era stata pure l'unica colpita dal colera. Le suore le procurano la Medaglia

ed ecco che subito la bambina guarisce e all'indomani della guarigione ritorna a

scuola. Avvengono anche delle conversioni: il 13 giugno 1833, un militare di Alençon

« bestemmiatore arrabbiato », al quale le suore avevano dato la Medaglia, si mette a

pregare, contro ogni attesa. Vede venire la morte con tanta serenità da arrivare a dire:

«Ciò che mi è causa di dolore è di aver amato così tardi e di non aver amato abba-

stanza». La Medaglia è stata diffusa senza riferimenti espliciti all'apparizione.

Altrimenti, si sarebbe dovuto procedere ad un'inchiesta canonica riferendone i risultati

a Roma dove questi dossiers vengono accolti male.

Maremoto

Ma il successo viene a superare questa discrezione. I miracoli di cui si parla provocano

domande sulle origini della Medaglia e risposte improvvisate. La voce pubblica

s'ingrossa come l'ondata violenta di un maremoto. Lettere riconoscenti giungono a San

Lazzaro senza essere state sollecitate, in cui vengono chieste altre medaglie e

spiegazioni riguardo ad essa. Il 5 agosto 1833, il Signor Lambolley, lazzarista,

emigrato in Spagna durante la Rivoluzione, manda una relazione delle apparizioni: vi

narra non solo quella della Medaglia ma anche le apparizioni del cuore di san

Vincenzo, care alle « due famiglie » da lui fondate. Fin dal mese di febbraio 1834,

prima che alcun racconto fosse pubblicato circa le apparizioni, la Medaglia era

correntemente qualificata come miracolosa. In che modo canalizzare questo mo-

vimento senza porsi in una falsa situazione di fronte alla Santa Sede che proibisce di

propagare prematuramente rivelazioni e miracoli?

Prima pubblicazione

La soluzione del problema viene trovata dal P. Le Guillou, un sacerdote bretone,

artista e musicista, che l'Arcivescovo ha chiamato a Parigi e che è divenuto uno dei

suoi consiglieri. Egli propone di pubblicare un'informazione inserita modestamente in

un « Mese Mariano », giacché si ammette che tali libri di pietà siano illustrati da «

miracoli » ed « esempi », narrati liberamente, a mo' di esempio, per stimolare il

fervore dei fedeli. La Medaglia sarà presentata dunque in questa maniera. A tal fine,

Le Guillou chiede al Signor Aladel una lettera in cui questi narrerà l'apparizione

(rispettando l'anonimato). La lettera, scritta il 17 marzo 1834, è laconica; lunga

appena una pagina, meravigliosamente prudente. «Verso la fine dell'anno 1830, una

persona mi confidò una visione da lei avuta - secondo quanto mi disse - durante

l'orazione. Aveva visto, come in un quadro, la Santissima Vergine...». Alcuni « cenni

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di guarigioni, conversioni e protezione » vengono menzionati con prudenza. Le

Guillou precisa che i medici ne restano perplessi e affermano in toni diversi: - E' un

fenomeno! Alcuni lasciano intendere ironicamente: - Si tratta di magnetismo! Il «

Mese Mariano » viene pubblicato con l'approvazione personale dell'Arcivescovo, in

data 10 aprile 1834. Prestissimo (e con estrema prudenza) un giovane di 21 anni,

Federico Ozanam, ne scrive la recensione. Ora si può dire a chi vuole avere delle

informazioni sulla Medaglia: - Legga Le Guillou a pag. 317. Questa prima diffusione

fa desiderare una notizia « ex-professo » sulla Medaglia, secondo le richieste del

pubblico. Aladel si decide a scriverla personalmente, sempre sotto l'anonimato.

Sviluppa un po' il laconico racconto del 17 marzo, riprende la redazione per due volte,

senza correzioni, che manifestano le sue esitazioni. Precisa un po' l'identità della

veggente: non si tratta più soltanto di una « persona », ma di una « Suor M.» novizia a

Parigi, in una delle comunità consacrate al servizio dei poveri ». Aladel che aveva

affermato prudentemente nel suo manoscritto: ella ha « creduto di vedere », osa dire,

in questa edizione, che la veggente « ha visto durante l'orazione un quadro ». Ma que-

st'ultima parola relativizza l'apparizione, mentre il seguito sottolinea che la «

Santissima Vergine »vi appare « come si usa vederla rappresentata sotto il titolo

dell'Immacolata Concezione ». Queste precauzioni sono una garanzia nel caso che

Roma dovesse mostrare qualche inquietudine. Ricevendo le bozze del volume, in

luglio, Aladel chiede a Caterina l'autorizzazione di divulgare (rispettando, certo,

l'anonimato) le sue confidenze al confessionale e di menzionare tale autorizzazione. In

occasione di questo stesso incontro egli ripara un 'omissione segnalata con ardore da

Caterina: « Da poco, Suor M. ci ha comunicato una circostanza che avevamo omesso

narrando le tre visioni: cioè che le grazie simboleggiate dai raggi, si diffondevano più

abbondantemente su una parte del globo che si trovava ai piedi di Maria e che questa

parte privilegiata era la Francia La Notizia viene pubblicata il 20 agosto. Il racconto

dell'apparizione è ancora laconico, spoglio: la visione non vi è descritta nei particolari,

né vi si parla di colori. Aladel si esprime come se le « tre visioni » che ricorda, fossero

rigorosamente identiche e molto distanziate nel tempo, secondo intervalli che egli

modifica nelle successive redazioni. Segue un fiorilegio di miracoli fisici e spirituali,

nei quali si trova già la guarigione di una donna muta, avvenuta a Costantinopoli il 10

giugno 1834. Questa prima edizione della Notizia, con una tiratura di 10.000 copie, è

esaurita in meno di due mesi e non sarà possibile reperirla nei due seguenti. La

seconda edizione, che appare finalmente il 20 ottobre, sparisce ancora più presto, in

meno di un mese, sebbene tirata in 15.000 copie. La terza ne conta 37.664.

Dieci milioni di medaglie

Nelle ulteriori edizioni, i racconti di guarigioni si estendono agli Stati Uniti (1836),

alla Polonia (1837), alla Cina, alla Russia (1838) e all'Abissinia (1839). In quest'ultimo

periodo, la medaglia è stata diffusa nel mondo intero in oltre 10 milioni di esemplari.

Viene coniata da una quantità di orafi tanto che il signor Vachette, sopraffatto, non ha

più il tempo di combattere i numerosi concorrenti e contraffattori. Come spiegare tale

diffusione? E' stata l'epidemia del colera a lanciare la Medaglia? L'ipotesi sembra

ovvia, ma non resiste ad un esame approfondito. I medici dell'Istituto Pasteur, che non

trascurano le scienze umane, hanno notato chiaramente la differenza di risonanza

psicologica tra la peste ed il colera. La peste risveglia il sentimento di un castigo

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divino e stimola la sensibilità religiosa, mentre il colera, con le sue grottesche

diarree, provoca piuttosto la derisione come pure la collera contro i pubblici poteri. La

gente se la prende con loro piuttosto che con Dio. E, soprattutto, la grande diffusione

della Medaglia non era cominciata nel 1832, quando l'epidemia stava terminando.

All'inizio del 1834, epoca in cui il colera è ormai dimenticato da oltre un anno,

soltanto diecimila medaglie all'incirca erano state diffuse, mentre il culmine di 50.000

non fu superato che ai primi di marzo dello stesso anno. Durante l'estate ne furono

diffuse 150.000 e 500.000 in autunno (alla fine di novembre). In seguito, il movimento

si estende su scala mondiale, indipendentemente dalle circostanze particolari.

Rendimento di grazie

Caterina rende grazie continuamente a Dio, perché questa folgorante espansione della

Medaglia è accompagnata da conversioni, guarigioni, episodi di protezione, che

alimentano le conversazioni quotidiane. La Fede, che sembrava impotente, guarisce,

converte, protegge. La Buona Novella, annunziata da Isaia, ritorna attuale: « I ciechi

vedono, gli zoppi camminano, i poveri sono evangelizzati ». Si opera un risveglio di

fede nel popolo, la cui tradizione religiosa non è stata sradicata dalla Rivoluzione. La

Medaglia è una Bibbia dei poveri, un'icona, il segno di una presenza amica e potente:

quella di Maria nella comunione dei Santi, nella luce del Cristo, all'ombra della Croce,

sotto il segno dell'unico Amore, figurato in forma di cuore sul rovescio della medaglia.

Caterina è felice perché la missione che le era stata affidata nell'oscurità, si realizza

nello splendore della luce.

3. CATERINA ESPOSTA

Ma ecco, contemporaneamente viene minacciato il segreto: si cerca di indovinare «

quale novizia del 1830 » abbia avuto la visione e le persone più perspicaci mettono

Caterina in difficoltà.

L'allarme del 1835

Nel 1835, anno in cui le medaglie sono già diffuse in numero di oltre un milione, i

Superiori, stupiti per il rinnovamento di fervore e di vocazioni, fanno eseguire dal

pittore Lecerf due quadri commemorativi delle apparizioni del 1830: il cuore di San

Vincenzo e la Medaglia miracolosa. E' questo il quadro dipinto con maggior impegno

di esattezza. Aladel si è preoccupato di indicare le tinte, specialmente il manto azzurro

argentato. Il pittore riproduce con grande precisione la cornice della Cappella di rue du

Bac, com'era prima degli ampliamenti apportativi in seguito. L'interpretazione della

visione non è minuziosa: il davanti e il rovescio della Medaglia sono rappresentati su

un unico quadro. Può darsi che Aladel abbia rivolto brevi domande a Caterina su un

punto o un altro della visione. Ed èsempre lui che le procura l'occasione di vedere i

due dipinti, dopo che sono stati collocati in Seminario. La visita è discreta,

insignificante e avviene, senza dubbio, in occasione di un ritiro di Caterina alla Casa

Madre. Ma la porta della sala è aperta, come si conviene. Mentre il confessore e la

penitente contemplano silenziosamente i dipinti, giunge una suora che afferma

ingenuamente, additando Caterina: - E' certamente questa la Suora che ha avuto la

visione! Il Signor Aladel, imbarazzato, si volse verso Suor Caterina che abbozzò un

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sorriso, dicendogli: - E' un incontro fortunato! Allora, la Suora, che credeva

aver indovinato, esclamò: - Oh! non ci credo più, perché se lo fosse, lei, Padre, non si

sarebbe rivolto ad essa per farmelo sapere. La maniera discreta per diffondere la

Medaglia, autorizzata dall'Arcivescovado, è ormai superata dagli avvenimenti. La

Medaglia è conosciuta a livello mondiale come « miracolosa ». Nessuno più ignora

che è il frutto di una visione; per conseguenza, i dicasteri romani avrebbero ragione di

denunciare in ciò un abuso. Indubbiamente non v'è pericolo nel ritardo perché anche a

Roma i cardinali Lambruschini e Rivarola sostengono la Medaglia e in quell'anno

1835 la fanno coniare a loro spese, mentre patrocinano l'edizione italiana del libro di

Le Guillou. Ma, per poco che il Sant'Uffizio se ne occupi, sotto il sigillo del suo

temibile segreto, tale influenze potrebbero non essere sufficienti: occorre fare

qualcosa.

4. UN PROCESSO IN CONTUMACIA

Monsignor de Quélen apre dunque un processo per avallare il movimento di grazie

alla sua origine. Apparizioni, Medaglia e miracoli vengono esaminati secondo i metodi

stabiliti dal Papa Benedetto XIV fin dal secolo XVIII.

Un rifiuto

Ma sorge un ostacolo: la testimonianza essenziale, cioè quella della stessa veggente.

Fino ad oggi Caterina ha parlato solo protetta dal segreto del confessionale. Perfino il

Padre Etienne non la conosce neppure di nome. L'Arcivescovo aveva domandato di

vederla, magari col volto coperto, e senza cercare di scoprirne l'identità, ma ha ceduto

dinanzi al rifiuto della veggente. Il canonico Quentin, che l'Arcivescovo ha incaricato

del processo, urta contro il medesimo ostacolo, e lo constata fin dall'inizio della sua

relazione (1836): «A motivo della regolarità dell'inchiesta, l'autorità ecclesiastica

avrebbe dovuto conoscere i dettagli della visione dalla viva voce della suora. Avrebbe

dovuto essere informata da lei stessa su tutte le circostanze dell'apparizione del qua-

dro. Infine, la fedeltà e la verità del racconto della veggente, avrebbero dovuto essere

assicurate e garantite » (n. 368, CLM 1, p. 264). Dal momento che egli definisce con

tanta chiarezza il proprio dovere, perché ha rinunciato a tale testimonianza? Perché il

confessore che aveva « invitato » la veggente « a comparire dinanzi alle autorità

ecclesiastiche (...), ha trovato in essa una tale ripugnanza che non ha potuto vincere».

Ciò avveniva nel 1835. Verso il dicembre dello stesso anno il Padre Aladel aveva

rinnovato le sue insistenze chiedendole, questa volta, « di fare personalmente la sua

dichiarazione al promotore », ma Caterina vi si era formalmente rifiutata. Per uscire

dalla difficile situazione, Monsignor Quéntin fece un ultimo tentativo, certamente nel

gennaio 1836, prima di iniziare gli interrogatori. Ma su questa ultima insistenza,

Aladel ha dichiarato: « Cosa degna di stupore: questa Suora non ricorda ora quasi

nessuna circostanza della visione e, di conseguenza, qualsiasi tentativo per ottenere da

lei delle informazioni; sarebbe del tutto inutile » (ib.). Quest'ultimo argomento

effettivamente meraviglia perché la strana dimenticanza non era una ragione per

sottrarre Caterina a comparire dinanzi all'autorità ecclesiastica. Anzi, richiedeva un

esame della causa e la natura dell'oblio. Quando? Come? E perché era sopraggiunta

questa « amnesia »? Quale ne era la portata? Era provvidenziale, patologica o

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diplomatica? L'argomento tratto dall'episodio è oggi tanto più sconcertante

giacché Caterina ritrovò la memoria ogniqualvolta dovette fornire delle spiegazioni.

Anzi, poté scrivere, dopo molto tempo, nel 1841, 1856, 1876, racconti dettagliati delle

apparizioni.

I motivi di Aladel

Si indovina il dialogo svoltosi tra il direttore un po' rude e la nostra contadina

preoccupata di proteggere il suo segreto: - Ma io non ricordo più niente! Vi era senza

dubbio del vero nelle sue parole; il ricordo di un'esperienza mistica è fragile, eva-

nescente più di un sogno perché dipende dalla grazia di un momento. Ma non vi era

anche una buona dose di prudenza paesana? - Non so più... Non mi ricordo più...

Questa risposta ancestrale, ben programmata nella memoria dei popoli, sorge

spontaneamente, irrimediabilmente, nei casi difficili. Misermont, vice-postulatore del

processo di canonizzazione, presenta un terzo argomento. Sarebbe stata la Vergine

Santa a intimare il segreto a Caterina, ma né Aladel, né Quentin, né Caterina hanno

mai detto questo. Si tratta di una tardiva induzione mistica o apologetica. Se questa era

veramente la ragione, Aladel non l'avrebbe detto al processo? Egli avrebbe potuto

convocare Caterina d'autorità, in funzione di un interesse pubblico e generale, allo

stesso titolo della missione di cui ella era stata incaricata. Perché non lo fece? Per

delicatezza nei riguardi del segreto promesso? Senza dubbio. Gli era parso che il

segreto fosse « gradito proprio alla Vergine e da Lei protetto », secondo il Signor

Boré, suo biografo. Ma non fu guidato pure dalla preoccupazione di evitare confronti

su di una missione che egli aveva interpretato in modo personale, semplificandola?

L'inchiesta non avrebbe malauguratamente e inutilmente agitato qualche controversia

su dettagli, sollevato discussioni sulla coniatura della Medaglia e creato imbarazzi

poco propizi al movimento di grazie che era in pieno sviluppo? Aladel non era indotto

a proteggere il segreto da uno spirito possessivo. Egli, infatti, aveva conservato

l'anonimato e non ci teneva ad essere il factotum di tale movimento. Nel 1835, aveva

anche chiesto di partire in missione, proprio mentre la diffusione della Medaglia e

della sua Notizia diveniva trionfale. Soltanto la sua elezione a terzo assistente del

Superiore Generale, nell'Assemblea del mese di agosto, aveva impedito la sua

partenza. Ma egli poteva temere il confronto dell'opera da lui abbozzata a grandi linee

con le precisazioni più complesse di Caterina, e anche l'eventuale alterazione del

riservato rapporto di coscienza tra confessore e penitente per le necessità

dell'inchiesta. Il segreto protegge la guida di una grande impresa. La storia non può

evitare di sollevare tale problema in quanto tensioni e contrasti sorgeranno ben presto

tra Aladel e Caterina proprio riguardo all'apparizione. C'è dunque in questo un enigma

che le buone parole e gli argomenti apologetici non sono mai riusciti a dissimulare.

Il punto di vista del Promotore

Se i motivi di silenzio restano vaghi, da parte di Caterina e di Aladel, sono chiarissimi

da parte del Promotore. Cosciente della necessità che la veggente porti la sua

testimonianza per la riuscita normale dell'inchiesta, si è infine piegato davanti al

segreto di una coscienza e al « segreto del Re »: « avendo Dio i suoi disegni in ogni

cosa », come egli afferma formalmente (CLM 1, p. 264). Ne comprendiamo la

decisione nella logica della sua vita: giovane prete, a 26 anni, sotto il Terrore, egli si

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trovò destinato, nel 1793, a esercitare il suo ministero sotto la condotta del

vescovo intruso e scismatico del Loir-et-Cher e aveva così fatto ritorno alla vita laica...

Partì alla volta di Parigi, si guadagnò la vita entrando in una pubblica

amministrazione, fece una carriera brillante e profittò della sua posizione per salvare

dei preti perseguitati. Alla fine della Rivoluzione, Don Desjardins, che glieli

indirizzava, gli consigliò di riprendere il ministero sacerdotale. L'esperienza che

Monsignor Quentin aveva acquisito gli procurò l'incarico « della direzione degli affari

temporali » nella diocesi di Parigi. Così egli divenne Canonico, successivamente Vi-

cario generale (1833)... e Promotore responsabile delle questioni canoniche. Si

compiaceva di ripetere la consegna rivoltagli dal suo Arcivescovo nell'affidargli

queste funzioni giuridiche: - Si ricordi che, nella Chiesa, non esiste un procuratore del

Re ma, secondo l'esempio di Gesù Cristo, sia sempre, nella sua funzione, un uomo

misericordioso. Questa giustizia non è soggetta ad errore. La decisione del

Promotore, incresciosa dal punto di vista del diritto e della storia, nasceva dunque da

un'istanza superiore: il Vangelo.

Ciò che Caterina evitò

La vita e la santità di Caterina vi hanno trovato la loro utilità poiché la veggente sfuggi

in tal modo a una prova penosa per la sua vita psichica e per il suo lavoro. Messa in

balia dei giudici, poi degli avversari e degli ammiratori, avrebbe conosciuto le

inestricabili difficoltà che non favorirono certo i veggenti della Salette. Senza dubbio,

Caterina avrebbe manifestato risorse nascoste che ignoreremo per sempre, ma a qual

prezzo? La sua vita sarebbe stata certamente abbreviata come quella di Bernardetta.

Non erano tali, però, la sua grazia e la sua scelta: ella conservò l'incognito solo per

Dio e per il servizio dei poveri in cui si era impegnata con tutta l'anima. Così il

processo della Medaglia miracolosa fu per Caterina un processo in contumacia, nel

senso in cui questa parola significa: il rifiuto di presentarsi davanti a un tribunale, non

nel senso etimologico in cui contumacia significa orgoglio. Tutt'altro: è a giusto titolo

che Aladel ed Etienne attestano:«La ripugnanza della suora a comparire è causata solo

dalla sua umiltà ». L'umiltà integra qui una grande prudenza e un grande realismo,

giacché Caterina presentiva quali umiliazioni sarebbero derivate da una scelta diversa,

date le condizioni della donna e la sua subordinazione a quel tempo.

5. I VOTI E IL TRAUMA

Mentre si svolgevano questi avvenimenti, Caterina continuava imperturbabile il suo

servizio.

La fine di una prova

Gli anziani apprezzavano questa giovane suora, di servizio in cucina, che li serviva

generosamente, quando Suor Vincenza Bergerault non le stava addosso. Caterina

nascondeva i suoi moti di impazienza nei riguardi della cuoca parsimoniosa, li

accusava in confessione ma non sapeva rassegnarsi su quel punto. La Superiora, Suor

Savart, ebbe pietà di lei: dopo due o tre anni dalla destinazione a Enghien di Suor

Caterina, la chiamo e le disse con un bel sorriso: - D'ora in poi, il suo ufficio non sarà

più la cucina, ma il guardaroba. Ed ecco Caterina occupata nel fare il bucato, nello

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stirare e rammendare la biancheria. E' af- fare suo: uno dei suoi mestieri di

contadina, giacché la biancheria costituisce l'onore di una casa. Caterina mette una

cura particolare nel conservare quella dei poveri pulita e ben rattoppata.

Caterina e gli anziani

La giovane suora è messa presto alla prova nella sala degli anziani del reparto uomini,

che non sono sempre facili, il linguaggio e la bramosia dei quali turbano le giovani

suore. Robusta e ferma, Suor Caterina si fa rispettare. Questo sarà ormai il suo ufficio.

I Voti (3 maggio 1835)

Esso le è stato certamente confermato in occasione dei Voti che ella emette, secondo

l'uso della Comunità, al termine di cinque anni di Vocazione. Il 3 maggio 1835,

domenica del Buon Pastore, nella modesta cappella di Enghien, dopo l'elevazione del

Calice, la sua voce s'innalza nella piccola comunità che conta sempre cinque

membri: «Io, Caterina Labouré, alla presenza di Dio e di tutta la corte celeste, rinnovo

le promesse del mio Battesimo e faccio voto a Dio di povertà, castità e obbedienza...».

A questi tre voti, le Figlie di San Vincenzo de' Paoli ne aggiungono un quarto, caro a

Caterina, e già ben radicato nella sua vita: e di impiegarmi al servizio corporale e

spirituale dei poveri malati, nostri veri padroni, nella Compagnia delle Figlie della

Carità: il che imploro per i meriti di Gesù Cristo crocifisso e l'intercessione della

Santissima Vergine Caterina ha sigillato così i suoi primi anni di validi servizi,

preparati dalla propria esperienza di contadina.

Uno scambio

Ma questo bel giorno è velato da un'ombra: l'anno precedente, il 26 aprile 1834, la

sorella maggiore, Maria Luisa, che l'aveva preceduta di 12 anni nella Comunità, ha

lasciato le Figlie della Carità, avvalendosi della libertà, data dal Signor Vincenzo alle

sue figlie, di rinnovare o meno la loro donazione ogni anno. Per Caterina, questo è uno

choc incomprensibile: stimolata dall'entusiasmo di Maria Luisa nella vocazione di

Figlia della Carità, ella non era rimasta delusa. La defezione della sorella maggiore era

tanto più sconcertante in quanto la sua vocazione era stata agli inizi una riuscita sotto

ogni aspetto. Suor Servente a 33 anni, Maria Luisa esprimeva a Caterina, ancora alla

ricerca della via da seguire, la sua irreversibile felicità e scriveva che non avrebbe mai

abbandonato la propria vocazione, neppure per diventare regina. La lettera dell'agosto

1831, giunta a Caterina ai tempi delle sue prime armi a Reully, riflette lo stesso

entusiasmo con l'unica preoccupazione che la sorella si applichi a tutti i suoi « doveri

con semplicità, candore, gioia, diligenza, apertura di cuore » e che si mantenga

all'altezza della Vocazione: « Una Figlia della Carità che ha la carità (...) dà

soddisfazione a tutti coloro che la circondano. Vedendola si dice: Ecco l'immagine di

Dio! Quale umiltà, quale compassione, quale indulgenza e bontà! Chi ammira una

Figlia della Carità dice a se stesso: Se Dio è così buono nelle sue deboli creature, che

sarà quando contempleremo le sue infinite perfezioni? Come sono felici le Figlie della

Carità che hanno qualche rassomiglianza con Dio! Egli non potrà rinnegarle! (...). Mia

cara Zoe, (...) riconosciamo di essere mediocri pittori, non è vero? Sappiamo fare solo

danni... Che fare? Non scoraggiarsi (...). Tua sorella che per tutta la vita è nell'amore

di Gesù e Maria, Maria Luisa Eppure, in quell'epoca, Maria Luisa subiva il

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contraccolpo di una calunnia così grave, che nel 1829 era stata « deposta » dal suo

ufficio di Superiora. Era rientrata nelle file come semplice «compagna», dapprima sul

posto, restandovi per due anni in una situazione traumatizzante, a contatto con chi

l'avversava... Due cambiamenti, il primo per l'ospedale di Saint-Cloud, nel 1832,

l'altro a Tarbes nel 1833 erano giunti troppo tardi... Qualcosa si è infranto... Il 2 aprile

1834, quando sta per essere pubblicato il primo opuscolo sulla Medaglia, Maria Luisa

viene richiamata alla Casa Madre dove il confronto coi Superiori non è felice... I

Labouré sono fieri, hanno una viva sensibilità e la parola tanto impetuosa quanto

laconica nelle difficoltà. Sotto il colpo dell'ingiustizia, Maria Luisa si è irrigidita,

perdendo quello slancio che dà un senso e rende possibile una vita quotidiana austera e

talvolta eroica. I Voti che Caterina emette, un anno dopo, assumono il valore di uno

scambio... nell'attesa del ritorno della sorella. Caterina, infatti, prega con una speranza

tenace: se nella Comunità si verificano, da tre anni a questa parte, tanti miracoli,

perché non potrebbe accadere quello da lei implorato? Questo choc non ha scosso la

giovane suora: forte per due, in questa prova come per il resto, ella attende l'aurora.

5. LA STAGIONE DEI FRUTTI (1836 - 1879)

Il periodo che va dai voti di Caterina e dal suo processo in contumacia (1836) fino alla

guerra e alla Comune (1870-1871), non ha attirato, a tutt'oggi, l'attenzione degli

storici: poteva sembrare come una lunga distesa di nebbia... E, tuttavia, è un tempo

pieno, nella sua vita: la stagione dei frutti.

« Al centro della scienza medica »

E' questo il tempo felice della gente che non ha storia? Sarebbe illusione il pensarlo...

L'apparenza di giovane robusta, cui tutto riesce, si trova smentita da questa lettera

dell'11 giugno 1841 in cui Suor Cany esprime a Caterina la sua compassione: « Si

trova al centro della scienza medica, eppure non riesce a ottenerne sollievo Caterina è

stata ospedalizzata per « dolori sciatici » senza che vi si possa però apportare rimedio.

Il fatto desta stupore: come conciliare questo handicap con la sua efficienza su tanti

fronti? La nipote, Leonia Labouré, che le fa frequenti visite dal 1850 in poi, conferma

questo handicap fisico e ci spiega come la zia ha risolto il problema, superando i

lamenti: «Aveva male alle ginocchia: è una malattia di famiglia, di cui soffro anch'io.

Se tentavamo di compiangerla, rispondeva che non era nulla e che si sarebbe ritenuta

fortunata finché avesse avuto la forza di lavorare». Suor d'Aragon l'ha compreso

chiaramente anche lei. « Sotto un'apparenza di floridissima salute, ella soffriva in

continuazione e nessuno la compiangeva » (n. 1013, 22 dicembre 1899, CLM 2, p.

345). « Chi semina nelle lacrime raccoglie nella gioia » (5. 126). Visitiamo, dunque, i

giardini di Caterina meraravigliosamente svariati, da quelli ai più intimi e segreti.

1. IL GIARDINO TERRESTE DI REULLY

Una nuova fattoria

Vi è, anzitutto, l'orto-giardino che Caterina coltiva nel terreno tra via di Picpus e via di

Reully, e che ella trasforma a poco a poco in una specie di piccola fattoria in cui le

bestie prosperano: fu lei, probabilmente, a introdurre l'allevamento dei piccioni, poco

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comune nella regione parigina.

Mucche e conti

Caterina ha organizzato pura la stalla dove vivranno in permanenza due mucche e,

talvolta, tre. Compera la prima il 19 marzo 1846 per 480 franchi, ma deve farla curare

perché si è ammalata. La recupera il 18 aprile e la rivende per260 franchi con una

perdita di 220 franchi. Tutto è annotato, registrato... Ma Caterina non si scoraggia:

acquista una seconda mucca il 10 maggio per 310 franchi, e la rivende in ottobre,

questa volta con 10 franchi di guadagno. La mucca n. 2 ha prodotto nel frattempo

1247 « pinte » di latte (quasi altrettanti litri, poiché a Parigi una « pinta » misura 0,93

litri): il fatto è incoraggiante. Ma le noie tornano con la terza mucca, che Caterina

aveva acquistato per 400 franchi, lo stesso giorno... Deve rivenderla nell'ottobre se-

guente per 240 franchi: quasi la metà in meno sul prezzo d'acquisto; la perdita è,

tuttavia, compensata da una produzione di 2436 « pinte » di latte. Caterina perde così

un buon centinaio di franchi su ciascuna delle mucche. La quattordicesima mucca

raddrizza la situazione: la suora la compra per 420 franchi, il 19 agosto 1851, per

rivenderla con 30 franchi di guadagno (a 450 franchi), sei anni dopo, il 31 marzo 1857.

Dal 1852 al 1861, la situazione si mantiene stabile, ma con fatica. Anche se Caterina

rivende a suo scapito, il deficit è minimo e vi è un' eccezione per la diciottesima

mucca, venduta con 40 franchi di guadagno, il 1~ giugno 1855, poi per la

ventiquattresima, rivenduta al prezzo di costo. Ma, in seguito, piombano i dispiaceri: i

prezzi salgono da 3 o 400 franchi a 5 e perfino a 600 franchi-oro. La ventisettesima

mucca, acquistata a 500 franchi, il 21 gennaio 1860, viene rivenduta il 26 novembre di

quello stesso anno « per causa di malattia », neppure a metà prezzo. La trentesima e

ultima mucca, comprata a 580 franchi il 1° novembre, è venduta in perdita il 13

ottobre 1862, a 120 franchi di meno sul prezzo di costo. La nuova Superiora di quel

tempo, Suor Dufès, giunta il 18 ottobre 1860, si preoccupa: la stalla aggrava un

bilancio già molto serrato... Suor Dufès non è affatto contenta della gestione e ne

domanda conto a Caterina, che incolonna le sue cifre in ordine perfetto. Ma la somma

mette in luce l'ampiezza del deficit. Il 17 anni, Suor Caterina ha perduto 3.655 franchi-

oro sulla compravendita del bestiame. E' una brava fattoressa, ma non una buona

sensale e a Fain, questo era un affare segreto del padre cui egli non l'ha iniziata.

Caterina è troppo retta per tentare il gioco, cosicché rivende a prezzo minore di quello

d'acquisto. Se fa eccezione la diciottesima mucca, il fatto è dovuto a un caso. Caterina

ne era così fiera che non ha potuto nascondere i propri sentimenti nel suo registro di

conti. Conclude, infatti, il « curriculum vitae » di questa brava bestia con una punta di

lirismo inabituale (tra le righe): « Questa mucca ha prodotto 16.302 "pinte" di latte in

5 anni e 8 mesi ». Le costa tanto separarsi dall'animale ormai vecchio, che ha dato al

sensale l'impressione che si tratti di un vero tesoro. In tal modo, ella ha venduto, per

una volta almeno, a un prezzo superiore al suo valore, questa mucca ormai esausta.

Non c'è una trentunesima mucca Caterina non si è data per vinta nell'ora in cui Suor

Dufès le chiede di ricapitolare i conti (1862). Sempre in anticipo con un nuovo

progetto, aveva già scritto sul suo registro: « 31.ma mucca acquistata il...». Queste

parole sono rimaste in sospeso sulla pagina bianca. Suor Dufès è inflessibile e Caterina

obbedisce pur rimpiangendo quel latte fresco, tanto apprezzato dagli anziani, e che non

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rientrava nella contabilità della casa. La suora, malgrado ciò, non resta inattiva:

nel registro dei conti da lei tenuto vediamo apparire maiali e conigli, fino al 1875. Dal

1861, vediamo pure apparire un cavallo, poi dei cavalli, di uno dei quali conosciamo il

nome: si chiamava « Bibi » ed era abbastanza capriccioso. « Un giorno » - narra Suor

Levacher: «Dovevamo recarci in carrozza alla Casa Madre, in rue du Bac: Suor

Vincenza voleva che prendessimo le strade principali, più facili per il cavallo che,

d'altra parte, era noto come molto indocile. Suor Caterina, invece, avrebbe preferito

che si prendessero altre vie. Per qual ragione? Non saprei proprio dirlo, ma ciò di cui

mi ricordo è quello che ella disse a Suor Vincenza, con una punta di malizia: - Ecco!

lei vuol far vedere il suo cavallo, il suo « Bibi »! Tuttavia, com'è bello il suo « Bibi »!

(n. 998, Suor Levacher, PO 68, CLM 2, p. 319). Il pollame rimane la base permanente

delle sue occupazioni. Come a Moutiers, ella vende dei polli per comperare quanto

occorre a mandare avanti la fattoria. A quel che sembra, le uova entrano integralmente

tra gli alimenti consumati nella casa; il loro numero è considerevole: nel 1861, le 39

galline fecero 2.626 uova. La piccionaia è più ricca; infatti solo nel 1864 Caterina

vende 313 piccioni. Se le vendite scendono al numero di 194 nel 1867 e nel 1868,

registrano un rialzo nel 1870: 257.

Bilancio

Caterina ha provveduto alla sussistenza della comunità con la sua fattoria? Sì,

nell'insieme, perché, pur avendoci rimesso nella vendita delle mucche, queste le

fruttarono 97.258 « pinte » di latte a 50 centesimi l'una, cioè 48.629 franchi, il che

supera il totale delle perdite (acquisti alimentari: 33.859 franchi). L'allevamento dei

piccioni è anch'esso positivo lungo i 14 anni (1861-1874), nei quali sono computati

3.656,85 franchi in acquisto di grani di mais e 4.852,70 franchi nella vendita, cioè un

guadagno di 1.195,85 franchi. Lo sfruttamento del pollaio sembra pure positivo per i 4

anni computati (1861-1864). L'alimentazione e la manutenzione hanno comportato

900 franchi di spese. Il valore delle uova, di per sé, è di 775 franchi, e quello dei polli

venduti, di 203,50 franchi... senza contare quelli che sono stati mangiati dalla

comunità. Queste colonne di cifre, che riassumono in una pagina o due un anno di

attività come fatto-ressa, allevatrice di polli e di piccioni, divertono Suor Dufès. Ma

Caterina, che ha imparato con molto ritardo a fare i conti, si sente responsabile del

bene dei poveri e sa che, secondo il pensiero del Signor Vincenzo, una Figlia della

Carità dev'essere onesta nel maneggio del denaro. Un ricordo riferito da Suor Olalde

illustra il sapore di questo contributo nella vita quotidiana: «Una sera, la suora di

cucina aveva dimenticato di preparare la minestra. L'ora della cena si avvicinava e

quella suora esclamò: - O Dio! non ho preparato la minestra! Suor Caterina, lungi dal

rimproverarla, disse con calma: - Non si agiti, sorella mia, ho munto or ora le mticche,

la gente di casa sarà molto contenta di avere questa sera per cena latte fresco! La

suora era proprio Suor Vincenza, la cuoca parsimoniosa: quella che la faceva soffrire».

2. SERVIZI DI OGNI GENERE

Pur « producendo », come una contadina, Suor Caterina rende servizio dappertutto

nella casa. Dopo il tirocinio in cucina, poi in guardaroba dove continua a dare uno

sguardo, collabora ai lavori pesanti; durante la ricreazione, ha sempre un lavoro fra le

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mani; il suo compito principale è la cura degli anziani, reparto uomini. Caterina è

ferma, imparziale, fa regnare un ordine perfetto e sa prevenire ogni genere di

confusione. Ma, soprattutto, ama i suoi « padroni » e ne è ricambiata. Il suo « difetto »

in questo reparto, ritenuto difficile, dove occorre dominare antichi guardiacaccia,

camerieri, maggiordomi, portieri, che hanno la nostalgia delle loro livree dorate, è che

ella non li rimprovera spesso, né a lungo, secondo Suor Dufès. Mette a letto

l'ubriacone incorreggibile che rientra in casa ebbro e aspetta l'indomani per farlo ragio-

nare. E quando questi le chiede perdono, gli dice: - Non deve chieder perdono a me,

ma al buon Dio. Suor Caterina è buona anche con gli ospiti più sgradevoli, come se i «

cattivi » (così si diceva allora) avessero diritto ad attenzioni particolari e anche a una

piccola preferenza. Li vedeva come erano in realtà: feriti che gridano aiuto e battono la

fronte contro il muro e contro la gente, come bambini ai quali si deve restituire il co-

raggio e la stima di loro stessi. Caterina non «si fa, certo, abbindolare », perché ha il

senso della giustizia ed è pronta a reagire se si devia da questa virtù. Serviva

generosamente i suoi anziani a tavola e non si stancava di ripetere: Ne avete a

sufficienza? Quale consolazione per questi vecchi, ossessionati dalla « paura di

mancare di qualcosa »! Caterina era dotata d'intuito psicologico? Era, soprattutto,

buona perché agiva disinteressatamente, mai per calcolo. «Quando uno dei suoi ospiti

non sopportava questo o quel genere di alimentazione, ella era attenta a procurare loro

un altro cibo » (n. 947, 15 febbraio 1898, PO 41, CLM 2, p. 268). L'ufficio

dell'assistenza agli anziani era associato alla responsabilità della portineria. Caterina

organizzava questo servizio che doveva essere svolto dalle 7 del mattino alle 7 di sera,

e lo faceva personalmente nei momenti liberi o nelle ore di punta. Ella manteneva la

portineria pulita e arredata sobriamente, senza ninnoli, come una cella monastica.

I poveri

Secondo quanto riferiscono le sue compagne, Suor Caterina amava soprattutto «i

poveri» che erano per lei le membra sofferenti di Gesù Cristo. Nei loro riguardi, come

verso gli anziani, era animata dal pensiero di San Vincenzo: «In verità, quando Dio ha

costituito questa Compagnia, non ha mai avuto lo scopo che voi curaste solo il corpo

(...). Ora l'intenzione di Nostro Signore era che vi preoccupaste dell'anima dei poveri

malati » (cfr. MISERMONT, Ame, p. 152). Suor Maurel afferma che per. Suor

Caterina era una felicità fare l'elemosina a questi poveri. - Nessuno mai si è lamentato

del modo in cui era accolto da lei (dice Suor Combes, n. 982, CLM 2, p. 314).

La Nera

Un giorno, verso il 1860, una povera donna, sulla cinquantina, tutta in lacrime, suona

alla porta: - Biagina! - esclama Suor Caterina abbracciandola. E' una sua antica

compagna di Seminario, Suor Lafosse, il cui misticismo faceva credere che avesse

vocazione, invece la giovane si rivelò irrimediabilmente travagliata da disastrose turbe

psichiche. I suoi slanci di buona volontà sfociavano in dimenticanze, goffaggini,

spropositi e parole pungenti che non risparmiavano neppure Caterina. In Biagina si

alternavano, inoltre, cicli di esaltazione e di depressione, di fame insaziabile e di

inquietante digiuno. Mentre Caterina metteva radici a Enghien, Biagina aveva avuto,

in 25 anni, 14 cambiamenti di casa: un record! Due volte aveva lasciato la Comunità

per rientrarvi all'improvviso, e ne era uscita una terza volta, senza speranza di

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riammissione, il 14 aprile 1855. Ormai la donna sta per entrare nel vagabondaggio

di professione. Caterina non agisce per vie traverse: riesce a convincere la Superiora e

accoglie la poveretta; non ne riceve, certo, complimenti, ma solo lamentele. - Questa

figliola ha perduto la testa! - E' pazza - constatano le suore quando Biagina cade nelle

sue stravaganze. Caterina, senza illudersi, lascia cadere le recriminazioni e sostiene

Biagina, malgrado le difficoltà. Solo lei ha una certa influenza sulla povera figliola

soprannominata « la Nera » a motivo del suo umore e dei risultati della sua attività.

Soltanto Caterina può convincerla a mangiare, durante i suoi acecssi di depressione,

durante i quali rifiuta ogni genere di cibo, e questo perché Biagina ha saputo che la

suora è la veggente della Medaglia. E lo ridice (in confidenza!) quando Caterina volta

le spalle: il che non favorisce il mantenimento dell'incognito...

3. IL GIARDINO FAMILIARE

Caterina non ha perduto i contatti con i suoi cari: una famiglia numerosa, la sua, ed

ella partecipa vivamente alle grandi gioie ma anche alle grandi preoccupazioni che vi

si alternano. Il 18 luglio 1835, il fratello Giacomo, il terzogenito, si sposa e viene a

stabilirsi a Parigi; d'ora in poi, farà alle sorelle due o tre visite all'anno, conducendo le

sue bimbette: Luisa, seguita da Leonia, nata nel 1842, che sarà più tardi testimone al

processo di canonizzazione della zia. L'11 settembre 1838, si marita Tonina, la sua

brava compagna di lavoro a Fain: Tonina ha quasi 30 anni, le sue sono perciò delle

nozze abbastanza tardive, perché ha dovuto rimanere accanto al padre per servirlo,

nella fattoria del villaggio natale dove i partiti sono rari. La ragazza aveva ereditato

anche la cura di Augusto, l'ultimo nato, che ora ha 29 anni, sempre malaticcio e di

carattere strano. Finalmente, Tonina va sposa a Claudio Meugniot, comm~rciante in

legna a Visernay. Caterina è contenta per la sorella, ma addolorata per il padre e il «

fratellino» che ella aiuta a sistemare presso il fratello Antonio, il quale compra la casa

paterna, prendendo il fratello così com'è. Nove mesi dopo, il 14 giugno 1839,

Caterina apprende la nascita di Maria Antonietta, figlia maggiore di Tonina, con la

quale avrà ben presto relazioni di privilegio.

Morte del padre

Papà Labouré non sopravviverà che sei anni alla partenza di Tonina, in una casa

divenuta triste e solitaria: muore, infatti, il 19 marzo 1844. Giuseppe, un altro fratello,

stabilitosi a Parigi, avvertito da Antonio, lo comunica a Suor Caterina, tre giorni dopo:

« Papà era molto malato (...). E' stato sepolto ieri, giovedì, 21 corrente. Non avendo

potuto assisterlo negli ultimi momenti di vita, abbiamo l'intenzione di far celebrare una

Messa e di riunirci in famiglia. Ti farò sapere la data...». Caterina non aveva valutato

la portata del senso di abbandono di suo padre, morto di solitudine e ne ha ora il cuore

profondamente ferito. Questa pena intima sgorgherà come un grido dalla sua penna, il

15 settembre di quello stesso anno 1844, quando Maria Luisa, la sorella maggiore,

uscita dalla Compagnia delle Figlie della Carità, formulerà il progetto di tornare a Fain

« per occuparsi di Augusto ». Ritornare a Fain, ora che il padre è morto? Ah! no! la

vivacità di Caterina rivela l'intima sua ferita: « Andar a prendersi cura di un fratello,

buona cosa, che il mondo approverà. Ma avrebbe approvato pure, dieci anni or sono,

quando sei uscita dalla Comunità, che tu fossi andata a rendere quegli ultimi servizi

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che si rendono nella vecchiaia, a un padre afflitto com'era il nostro, nei suoi

ultimi anni (...) e che è morto lontano dai familiari, sebbene vivesse in famiglia, ab-

bandonato in questa sua stessa familia. Il mondo avrebbe applaudito se tu fossi andata

a rendergli gli ultimi doveri che un figlio rende ai suoi genitori al momento della

morte (...), soprattutto quando se ne ha la libertà, come ce l'avevi tu ». Caterina, che

aveva rinunciato, con la morte nell'anima, ad assistere il padre, per l'unica volta nella

sua vita, ha invidiato questa « libertà »... «Non essere dunque sorpresa - conclude la

lettera - se non sei ben vista in famiglia e non aspettarti di esservi bene accolta

Caterina unisce qui la sua duplice sofferenza: l'abbandono del padre e la vocazione

stroncata della sorella maggiore: due disgrazie che non hanno potuto incontrarsi per

confrontarsi a vicenda...

Maria Luisa farà ritorno?...

La lettera continua ad essere tesa poiché Maria Luisa ha proposto alla sorella di venire

a rivederla a Enghien. Ma questo progetto urta contro le Regole della Comunità

riguardo alle Suore che hanno « lasciato » la vocazione. Fin dove arriva Caterina?

Dopo aver dissuaso Maria Luisa dal ritornare a Fain, la dissuade pure dal venire

all'ospizio di Enghien. « Mia cara amica, quanto al tuo progetto di venire a trovarmi,

vi sarebbero molti inconvenienti, perché sei conosciuta dalla maggior parte delle suore

di questa casa. Io non ti incoraggio, perciò, a venirci. Mi dici che farai un sacrificio nel

lasciarmi. Credevo che il tuo sacrificio fosse stato fatto, dieci anni fa, e pensavo che

l'avessi compiuto allegramente. Non credevo che sarebbe stato ancora da compiere.

Quanto a me, l'ho fatto, questo sacrificio che mi è costato tanto caro e il buon Dio

conosce la pena che ho provato. Sì, Dio solo e Maria, nostra buona Madre, la

conoscono! E questa pena si rinnova ancora oggi! ». Caterina parla, anche qui,

attraverso una ferita: sempre la stessa! La morte del padre, avvenuta lontano e nella

desolazione, risveglia in lei il ricordo di quella morte al padre, per cui dové passare la

sua vocazione e fa risorgere, dal profondo della sua anima, un senso del tempo che è

alla base della filosofia contadina: «Avevo pensato fino allora che saresti rientrata in

una Comunità. Ma vedo che il tempo passa e anzi è già passato. Sì, trascorre ogni

giorno...». Caterina ha contato questi dieci anni trascorsi dalla partenza di Maria Luisa,

nel 1834: il fatto che la sorella sia stata ferita da calunnie, che abbia saputo cambiare

attività in modo onorevole e utile nella professione di insegnante elementare a Parigi,

resta incomprensibile per Caterina che non si rassegna a questo presente. « Il tempo

passato non è più in nostro potere, il presente sì; l'avvenire, invece, non lo è ancora.

Profittiamo del momento presente, diamoci a Dio totalmente, in modo assoluto. Ti

ricordo la lettera che ti scrissi sei anni fa, in cui ti presentavo le più belle proposte che

tu mi hai rifiutato in blocco. E ora rimetto tutto nelle mani del buon Dio e della

Vergine Santa, tua Patrona. Ti raccomando alla Vergine come a una tenera madre (...).

Ella ti prenda sotto la sua protezione! Ti prego di invocarla per me. Addio, per ora, e,

forse, per sempre...». Si tratta di una rottura? Dove vuole arrivare Caterina? Non lo sa

neppure lei... In questa circostanza è trascinata più che non trascini ella stessa, divisa

com'è tra insuccessi persistenti e sentimenti inestirpabili, tra le Regole della Comunità

e la sua speranza. No! Non si rassegna a una rottura e a, un tratto, riprende: « Occorre

sperare che ci rivedremo ma quando? ». L'obiezione è costituita dalla disciplina comu-

nitaria sulla quale ella ritorna: «Sai bene che quando si esce dalla nostra Comunità,

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non vi sono più comunicazioni con le persone che ne sono uscite. Conosci le

nostre sante Regole... E in questo momento, più che mai, il fervore si rinnova nella

Comunità come ai tempi di San Vincenzo...». Propone la soluzione che ha finalmente

trovata, con sofferenza, ma senza far pressione: «La nostra buona Madre m'incarica di

dirti mille cose da parte sua. E' sempre pronta a venirti incontro in tutto ciò che le sarà

possibile e in ogni occasione potrai contare sulle sue delicate attenzioni. Ti vuole

sempre bene e sarà felice di renderti servizio. Se hai, tuttavia, qualcosa da

comunicarci, puoi venire in qualsiasi giorno, eccetto giovedì prossimo. Conosci le ore

in cui siamo libere, scrivimi, dunque, il giorno e l'ora in cui potrai recarti nella

comunità delle Darne bianche, nella nostra stessa via (di Picpus) al n. 15 (...). In fondo

al cortile, vi è una cappella dove ci aspetterai. Ti prego di dire al Fratello sacrestano

che aspetti la mia Superiora e me. Addio, mia cara sorella, ti abbraccio di tutto cuore e

resto, per la vita, la tua devotissima sorella...». La fierezza di Maria Luisa reagisce

male a questa lettera, di cui il lato negativo la irrigidisce ancora di più. Ebbene, sì,

ritornerà a Fain ad assistere il fratello presso il quale Dio e la carità ne saranno meglio

avvantaggiati. Quale certezza spinge dunque Caterina ad insistere? Scrive di nuovo, il

29 settembre, dopo aver riletto la lettera ardente che Maria Luisa le aveva inviato

all'inizio della sua vocazione, nel 1829: un inno entusiasta alla vita delle Figlie della

Carità (cfr. p. 30). Caterina ricopia la lettera e rinvia l'originale a Maria Luisa, per un

confronto con se stessa, nel tempo in cui Dio così parlava in lei. La tensione è

abbastanza forte: Caterina alterna il Voi al Tu rivolgendosi alla sorella che le è

doppiamente sorella, come figlia di Pietro Labouré e del signor Vincenzo. La sua

lettera è scritta un mese dopo l'elezione a Superiore generale del P. Etienne che

riaccende, viva, la fiamma del fervore nelle due famiglie spirituali di San Vincenzo:

«Ti rimando una lettera che vi farà certamente piacere. Me la scriveste quando io

volevo entrare nella nostra Comunità (...). I buoni consigli che Voi mi deste,

applicateli ora a Voi stessa e meditate bene su queste parole (...): "Se in questo

momento una persona fosse così potente da offrirmi di possedere, non un regno, ma

tutto l'universo, io considererei tale offerta come la polvere delle mie scarpe, essendo

ben convinta che non potrei trovare, nel possesso dell'universo, la felicità e la

soddisfazione che provo nella mia cara vocazione" Nell'ardore della sua perorazione,

Caterina aggiunge la parola cara, che non si trovava affatto nell'originale. E continua

in seconda pagina: «Che cosa avete preferito a questa felicità? Non oso dirlo!... Una

tentazione...». Caterina diventa tenace e severa, tanto le sembra chiaro che la luce di

Dio e l'avvenire sono presenti, al di là delle sue tensioni: si mette, dunque, al posto di

Dio per atteggiarsi a maestra? No, la lezione la fa a se stessa. Dopo il tu e il voi, infatti,

usa il noi, per parlare di umiltà: « Dobbiamo confessare che noi siamo deboli, quando

non riponiamo tutta la nostra fiducia in Dio che conosce le più segrete profondità dei

nostri cuori...». Suor Caterina attacca l'ultima trincea di Maria Luisa, l'ultima difesa

che la ragione innalza contro il suo cuore, facendole addossare a Dio i suoi progetti di

fuga: «In quasi tutte le vostre lettere, mi parlate di miracolo, come se il buon Dio ne

compisse per ogni nonnulla. Noi siamo ben povere creature per sperare che il buon

Dio ci accordi dei miracoli! ». No, Caterina che se ne intende, non crede ai miracoli

che avvengono a vanvera a seconda dei propri desideri; continua: «(Ne sarebbe

avvenuto) uno quando siete uscita dalla comunità! Ahimé! Dio sa se si tratta di un

miracolo! Nostro Signore e la Vergine Santissima e tutti i santi hanno forse vantato i

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loro miracoli? Dov'è la nostra umiltà? E' ben lontana dalla loro, o per dir meglio,

noi non ne abbiamo affatto ». La finale è un ironico incoraggiamento alla fuga:

«Addio, ti incoraggio a recarti nella nostra casa paterna. Vi troverete completamente

sola ed è là che Dio parlerà al vostro cuore ». Ciò che emerge da queste parole, nel

cuore di Caterina impegnata in questa lotta di Giacobbe, èla duplice morte che l'ha

segnata, che l'ha fatta sollevare così in alto, verso la Madonna e Nostro Signore. Tali

sentimenti le fanno riprendere la lettera arrivata in fondo alla seconda pagina e che ella

prolunga, di traverso, sulla prima: « Meditate bene la morte di nostra madre cui

assisteste e quella di nostro padre, ancora così recente (...). E' il mezzo migliore per

trovar grazia davanti a Dio » (n. 532, CLM 1, p. 319). E' proprio ciò che accadrà:

Maria Luisa accorre ben presto all'appuntamento della via di Picpus. Tutto si risolve

serenamente, senza dubbio, con Suor Montcellet, l'attiva Superiora che comincia a

estendere la casa, sviluppandone le attività dal lato dei miserabili quartieri del

sobborgo. Il 26 giugno 1845, il Consiglio generale accetta di reintegrare Maria Luisa

tra le Figlie della Carità: « considerate le circostanze esistenti al momento della sua

uscita e, in seguito, la sua condotta edificante ». Ella riprenderà l'abito di suora nella

casa di Enghien: ha cinquant'anni, è dunque nella comunità di Caterina che Maria

Luisa abbandona l'abito civile e ritrova la cuffia dalle grandi ali, probabilmente il 2

luglio, nella festa della Visitazione. Caterina ha pregato tanto per questo! Quale gioia

questa « visitazione » per le due sorelle, riunite nel solco della Madonna e del Signor

Vincenzo: una gioia nascosta in fondo al cuore, che va al di là delle parole. Ma è la

soglia di una nuova separazione poiché quello stesso 2 luglio, Maria Luisa riceve la

sua destinazione per Torino, insieme ad altre tre Suore, per decisione del P. Etienne.

Arriverà il 19 nella comunità di San Salvano e presterà servizio nelle ambulanze

durante la guerra d'Italia; non rivedrà Caterina che nel 1858, quando sarà richiamata

alla Casa Madre, in rue du Bac.

Contrasti con un artista

Verso il 1855, ecco un nuovo venuto a Parigi; si tratta di Antonio-Ernesto, figlio di

quel Carlo, commerciante in vini e proprietario di un ristorante, presso il quale

Caterina ha provato la sua vocazione. Il giovane proviene da Semur-enAuxois per

continuare gli studi nella capitale. Caterina guarda questo piccione viaggiatore d'una

ventina d'anni, « che ha l'aria d'artista », violinista estroso, tuttavia molto dotato. Ed

ecco che Antonio-Ernesto riesce a farsi assumere come membro dell'orchestra

dell'Opera! Pericolosa capitale per una simile natura! Questa volta, Caterina è presa

dal panico. Inviandole il figlio unico, il fratello non gliene affida la responsabilità? Gli

scrupoli coltivati dalla Chiesa di quei tempi s'abbattono su di lei. Il nipote alloggia

molto vicino, senza dubbio grazie alla zia che va a trovarlo spesso da madrechioccia...

Al ragazzo però non piace troppo questa « cornetta » che viene di frequente a

ispezionare. Un mattino - tardi per Caterina che si alza alle 4, presto per lui, uccello

notturno - la suora trova il nipote ancora a letto e la tavola piena di bottiglie vuote e di

bicchieri sporchi... La sua ansietà, allora, scoppia: - Ehi! Tu fai baldoria! Ricevi qui

delle donne! No, soltanto degli amici! l giovane aggiunge freddamente: - Qui sono a

casa mia. Non tornate più, ve ne prego. Nato nel 1834, Antonio-Ernesto è ora maggio-

renne e Caterina sa cosa significhi ciò, poiché si era avvalsa di questo titolo nei

confronti di suo padre... Comprende di aver sbagliato e non rimetterà più piede in casa

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del nipote. Questi verrà a Enghien all'inizio del 1861 per presentare alla zia

la moglie, Clara Letort. Il matrimonio era stato celebrato a Puligny, in Borgogna, il 14

gennaio 1861 e, a guisa di viaggio di nozze, Antonio-Ernesto ha ripreso i suoi turni

come sostituto all'Opera per offrire alla giovane sposa un inverno piacevole:

un'esperienza felice che rinnoverà negli anni seguenti. Ma egli non ritorna troppo

spesso dalla zia e dimenticherà perfino di presentarle il figlio maggiore, Carlo-

Antonio, nato l'8 giugno 1863. Caterina è ora tutta presa da Tonina e dai suoi figli.

Antonio-Ernesto e Clara se ne ingelosiscono e danno le loro preferenze a Maria Luisa,

ritornata ormai alla rue du Bac.

Tonina a Parigi

Questa preoccupazione di Caterina per la famiglia di Tonina, è tutta una storia che

avrebbe costituito un mediocre romanzo tanto è inverosimile. Tonina è giunta a Parigi

nel 1857, due o tre anni dopo il nipote violinista. La capitale ha sempre attirato i

Labouré... Il marito, uomo capace e generoso, ha venduto il suo commercio di legna e

importanti vigneti. Egli aveva la debolezza di non poter sopportare la minima quantità

di alcool, cosa difficile nella sua professione. Il minimo sbaglio lo rendeva folle e

Tonina ne soffriva. Per sottrarsi a questo cerchio infernale, egli aveva liquidato gli

affari e trovato un posto nelle ferrovie. Per Caterina è una gioia ritrovare la confidente

dei suoi primi anni e di conoscerne i tre figli: Maria Antonietta, 18 anni, Carlo

Alberto, 17, Filippo, 13. Nel 1858, fa ricevere la maggiore tra le Figlie di Maria a

Reully, dal P. Aladel in persona e assiste alla cerimonia con le lacrime agli occhi. Nel

marzo 1858, all'epoca delle apparizioni di Lourdes, Caterina viene a sapere da Tonina

e Maria Antonietta che Filippo fa un soggiorno in casa del parroco del suo villaggio: -

Vuoi farti prete? - gli domanda quando lo rivede. - Credo sia questa la mia via -

risponde Filippo che compirà tra poco 14 anni - ma non posso promettere nulla.

Qualcosa lo attira, ma egli maledice il latino che il « buon parroco » del villaggio

vuole insegnarli. Ciò potrebbe farlo dubitare della sua vocazione! Essere prete? Si!

Entrare in questi misteri? Ah, no! Ma il ragazzo supererà questo ostacolo. Caterina

ottiene dai Lazzaristi che si assumano la responsabilità degli studi del ragazzo nel

Collegio di Montdidier (Somme), grazie all'aiuto finanziario di una sua compagna e si

sente responsabile di tale aiuto. Perciò, un giorno, dice a Filippo: - Se tu non avessi

l'intenzione di abbracciare lo stato ecclesiastico, dovresti dirmelo. Filippo ha 17 anni

e non dimenticherà l'insolita provocazione lanciatagli dalla zia verso la fine dei suoi

studi: - Se vuoi entrare tra questi Signori, ti riceveranno. Vi si può essere nominato

ben presto Superiore, poi andare in Cina come il Padre Perboyre... Si può viaggiare,

vedere molti paesi... Si può anche ritornare in Patria. «Ella disse questo con aria

maliziosa come se avesse letto nel futuro e io lo presi come una facezia ma tutto si è

avverato alla lettera e nello stesso ordine da lei indicatomi. Il 9 agosto 1863 la zia mi

accompagnò quando entrai a San Lazzaro. Nel frattempo mi aveva condotto a far

visita al Padre Etienne, Superiore generale. Ha agito in tutto con la più delicata carità e

con l'approvazione dei suoi Superiori (...), ma senza mai esercitare su di me la minima

pressione ». Caterina ha compreso che bisogna rispettare la libertà di ogni persona, a

costo di moderare il proprio zelo.

Morti e conversioni

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Nel frattempo, Claudio Meugniot, padre di Filippo, è stato investito da una

locomotiva nel gennaio 1861, iniziando così un calvario che durerà 33 mesi... Da

borghese di quell'epoca, Claudio è un po' miscredente: la religione è affare di donne...

Caterina se ne preoccupa, visita il cognato, ma le idee di questi sono semplici e

assolute: - Non ne vale la pena! Abbiamo una santa nella famiglia. Non morremo

dannati. Caterina (la santa...), malgrado ciò, lo incoraggia, dicendo sovente: - Io prego

per voi, ma pregate a vostra volta! Claudio rimane scettico: - Zoe vuole convertirmi,

ma non vi riuscirà! e aggiunge senza acrimonia: - Tuttavia, è una brava figlia! Filippo

ritorna continuamente sulla salute del padre nella sua corrispondenza e vuole notizie

che i familiari tendono a nascondergli, perché non sono buone. Nell'autunno del 1862,

il medico non lascia più speranze sullo stato del malato, la cui salute, pertanto, con

grande meraviglia di tutti, sembra migliorare. Maria Antonietta viene a partecipare la

buona notizia alla zia che le risponde: - Vedi? Non dobbiamo mai disperare! E' allora

che Claudio, scosso da questa regressione della malattia, si converte e diventa da quel

momento « un modello di pazienza » come attesta la figlia Maria Antonietta.

Sopravviverà un anno, levandosi spesso dal letto: è l'ultima ripresa fisica poiché egli

muore il 26 ottobre, in via di Chàlon. « In famiglia, abbiamo sempre pensato che la

conversione di mio padre era dovuta alle preghiere di mia zia, confida la figlia, Maria

Antonietta Duhamel ». Caterina assiste i fratelli man mano che, a uno a uno, arrivano

al momento della morte. Giacomo muore nel 1855 e la sorella gli rimette al collo la

medaglia miracolosa. Poi, è la volta di Antonio che è ospite della famiglia Meugniot,

quando si fa operare a Parigi, prima di morire a Fain, nel 1864...

America e vedovanza

Il 15 ottobre 1864, Maria Antonietta Meugniot, a 25 anni, va sposa a un giovane

brillante, Eugenio Duhamel, di 32 anni, che ha il fascino degli uomini avventurosi.

Come un tempo il suocero, egli fa carriera nelle ferrovie dove gode di una situazione

agiata. L'anno seguente, il 4 agosto 1865, nasce Marta, la maggiore di questa nuova

famiglia, e Caterina non tarda a conoscerla, perché i Duhamel abitano anche loro nel

120 circondano in cui l'Imperatore ha integrato il villaggio di Reully. Nel dicembre

1866, Maria Antonietta sta per dare alla luce un secondo figlio, quando Eugenio

sparisce all'improvviso. Si tratta di un assassinio? La polizia conduce inchieste, e

ricerca il corpo del giovane in diversi luoghi. Invano, Maria Antonietta, allora, si veste

a lutto. Il 22 gennaio 1867 nasce Giovanne Carolina: i vagiti della piccola asciugano le

lacrime della mamma che assume coraggiosamente il suo compito dominando la

situazione. Le due « mamme » di Fain, Tonina e Caterina, sono accanto a Maria

Antonietta, decise e sostenerla: Caterina con la sua intrepida fede in Dio, che tutto

risolve, anche l'impossibile; Tonina col suo buon senso e il suo bagaglio di amare

esperienze. Ella dice un giorno alla sorella: - Se avessi saputo quel che doveva succe-

dermi, mi sarei fatta suora come te. Ma Caterina replica: - Ciascuno ha la propria

vocazione. Non avresti oggi la consolazione di aver donato un figlio a Dio. Suor

Caterina non si limita ai consigli di ordine spirituale e si occuperà delle nipotine la cui

educazione, per il fatto che sono orfane, porrà tanti problemi, in primo luogo di

carattere finanziario. I fratelli Meugniot, nati dal primo matrimonio del padre, restano

indifferenti nei riguardi di Maria Antonietta, loro sorellastra; Caterina, invece, darà

alla nipote un aiuto costante e riuscirà ad interessare anche la sua superiora alla

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drammatica situazione di Maria Antonietta (n. 961, test. di Leonia

Labouré, CLM, 2, p. 283). « Due anni » dopo il dramma, la giovane donna è

convocata al Ministero degli affari esteri. - Signora, si tratta di suo marito. - Sì,

signore, egli è morto... - No, signora, vive! Maria Antonietta cade priva di sensi...

Tornata a casa viene a sapere il seguito della storia. Un amico aveva avuto la sorpresa

di incontrare in America Eugenio che si riteneva fosse stato assassinato e che invece

aveva impiantato un'importante lavanderia industriale. L'amico, non osando parlare

della sua scoperta alla famiglia di Eugenio, ne aveva informata il Ministero. Che cosa

era avvenuto? Il giovane, un bel giorno, aveva preso il treno per le Havre, donde aveva

ricevuto sollecitazione per accettare un buon posto in America. Una nave era giusto in

partenza, egli vi si imbarcò come un pazzo e solo quando la terra d'Europa disparve al

suo sguardo, si rese conto della sua follia... Giunto in America, un mese dopo, non

vedeva più altra via d'uscita che di rifarsi una vita sul nuovo continente con la

speranza di ritornare in famigila, reso illustre dal successo e dalla fortuna. Erano quelli

i tempi della ricostruzione dell'America, dopo la guerra di secessione, l'assassinio di

Lincoln e l'abolizione della schiavitù (1869). Il Nord attirava allora emigranti robusti

per confermare la sua preponderanza e la sua vittoria. Ma perché, dunque, Eugenio era

partito dal suo paese? Per disaccordo con la moglie? Niente affatto: era un marito

delicato e premuroso. Una storia di donna? No, storia di mamma: una madre

possessiva. Eugenio era l'ultimo nato e la madre, vedova, si era aggrappata a lui come

all'estrema difesa contro la solitudine: vedeva in lui il « maritino » della sua vecchiaia.

Per meglio conservarselo, si era fatta prendere finanziariamente a carico dal figlio,

come dallo sposo defunto, spendendo senza contare, con una prodigalità che mal si

armonizzava con la situazione economica del figlio che, pur essendo agiata, non gli

permetteva di provvedere senza difficoltà al bilancio delle due case: soprattutto quella

di sua madre, più dispendiosa. Maria Antonietta amava il marito e aveva creduto

ingenuamente di cattivarsi la suocera a forza di gentilezze. Ogni mese le consegnava

(senza dirlo neppure a sua madre Tonina) « una busta contenente una parte dello

stipendio del marito », ma il problema non era questo. La suocera tormentava il figlio

facendogli balenare allo sguardo le meraviglie dell'America e le proposte mirabolanti

provenienti da laggiù: inconsciamente preferiva perdere quel figlio piuttosto che

condividerne l'affetto con la nuora. Eugenio tentava di conciliare il tutto partendo con

Maria Antonietta. La giovane sposa, ignorando donde venisse la pressione, cercava di

far ragionare il marito: - Prender la nave, incinta come sono, con Marta, una bambina

di 17 mesi? Sarebbe una vera follia! Debole e diviso tra le due donne - la mamma e la

sposa - Eugenio era partito per sfuggire all'ossessione di questo continuo conflitto, ine-

briato anche dal miraggio del viaggio. I rimorsi e la vergogna lo straziavano ed egli

tentò di addormentarli con il lavoro, accarezzando l'idea di ritornare a casa giustificato

da una fortuna che avrebbe reso felici i suoi cari. Anticipiamo l'epilogo di questa

storia, che ci riporta a dopo la morte di Suor Caterina. A undici anni dopo la sua

partenza, Eugenio torna per l'Esposizione del 1878, dove ha impiantato uno stand «

che richiama numerosi clienti per l'abilità di due operaie negre ». Ha fatto fortuna,

riannoda i rapporti con gli amici ma non osa presentarsi alla moglie, ed è

comprensibile! Arde, però, dal desiderio di rivedere le figlie. La scuola, avvertita,

elude le sue domande; allora egli spia l'uscita delle scolare. Avvicina la figlia minore,

Giovanna: - Sei Adriana? Prima che la bimba nascesse, aveva stabilito con la moglie

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di darle questo nome, ma gli avvenimenti avevano disposto in modo diverso: - No,

Giovanna! - Figlia mia, vuoi permettermi di abbracciarti? Lo assale tutto un mondo

di ricordi che lo scuote: un immenso desiderio di fare qualcosa per sua moglie che ha

perduto ogni fiducia in lui, per le figlie che ha abbandonato con deboli mezzi

finanziari. Riparte alla volta di New-York architettando progetti di trasferimento dei

suoi beni e di liberalità a vantaggio della famiglia. Ma le ricchezze si accumulano e si

dissipano presto oltre Atlantico: un incendio divora tutto il quartiere edificato da

Eugenio con case di legno. Egli non è coperto da nessuna assicurazione, la salute non

gli resiste sotto questo colpo ed ecco che, a soli 57 anni, ritorna in patria malato:

sembra un ottuagenario. Maria Antonietta ha rifiutato il denaro che il marito le offriva,

e la ripresa della vita coniugale, ferita da quell'abbandono che le era sembrato

inesplicabile. Si sente forte. A quel tempo, Caterina non è più in vita: è passata dal suo

pollaio al Paradiso. Maria Antonietta si rifiuta di rivedere il marito pentito e saranno le

due figlie a trascinarla nella camera della clinica dove Eugenio, distrutto, si lascia

cadere dal letto e si getta in ginocchio piangendo ai piedi della sposa. Morrà, poco

tempo dopo, il 14 settembre 1889. Ma ritorniamo ai tempi della vita di Caterina. Il 22

maggio 1869, Filippo Meugniot riceve l'ordinazione sacerdotale nella cappella di San

Lazzaro: è questa una grande gioia per Caterina.

Abbondanza di frutti

I frutti sono stati abbondanti nei giardini familiari. Soccorrendo materialmente Maria

Antonietta, Suor Caterina l'ha salvata dalla disperazione e dalla miseria. L'aiuta anche

a divenire una donna forte, nel ruolo simultaneo di padre e di madre delle sue due

orfanelle, prima di essere, per la terza generazione, una amabile e matriarcale nonna.

Due vocazioni, grazie a Caterina si sono realizzate: quella di Maria Luisa, ripresa, e

quella di Filippo, suscitata e sostenuta fino al termine da lei. Ha riconciliato con Dio i

fratelli e il cognato, miscrendenti o con una fede mediocre, persuasi com'erano che

bastasse una « santa nella famiglia ». Riscoprendo tanti piccoli episodi, sepolti fino ad

oggi nell'oblio, ci si meraviglia che Caterina abbia fatto tanto per la sua famiglia. Mai,

però, a detrimento del dovere di stato. Un giorno, Maria Antonietta Duhamel viene a

trovarla mentre sta mungendo le vacche. Suor Caterina continua a far schizzare il

tiepido latte nel secchio dove se ne ammassa la schiuma e dice alla nipote, con uno

sguardo implorante, lanciato di sotto la bestia: - Vedi come mi trovo! Ma, terminato di

mungere, va dalla nipote e le presta tutta la sua attenzione. La fedeltà di Caterina al

proprio dovere, talvolta, ha irritato i familiari: per lei, l'ufficio è tutto! Leonia Labouré

lo sa e si organizza per recarsi dalla zia « durante la ricreazione », ma bisognava

cercarla, qualche volta: - Sono quasi certa che è in Cappella - diceva Leonia. - Vado a

vedere! La trovavo, infatti, quasi sempre là! (CLM 2, p. 284). Leonia si muoveva per

farsi notare, ma invano: Caterina, gli occhi fissi sul tabernacolo, sembrava trasformata

in una statua; era tutta immersa in Dio. Quando la zia aveva finito di pregare, Leonia

mostrava il suo malcontento: - E' molto tempo che vi aspetto. E Caterina, per tutta

risposta: - Non ti trovavi in istrada, ma in casa del buon Dio, dove non si sta mai

troppo a lungo... La zia era molto puntuale perché ci congedava al primo tocco della

campana - soggiunge Leonia (CLM 2, p. 282).

4. 1 GIARDINI DEL SIGNOR VINCENZO

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I giardini che fioriscono meglio durante questo periodo, formando la gioia di Suor

Caterina, sono quelli del Signor Vincenzo, nelle sue due « famiglie »: Lazzaristi e

Figlie della Carità. Caterina, la cui vocazione era stata suscitata da un sogno

meraviglioso, fu sensibile alla decadenza seguita all'epoca della Rivoluzione. La Ma-

donna le aveva affidato la missione di intervenire presso il suo confessore affinché si

uscisse da quello stato: « La Regola non è osservata, la regolarità lascia a desiderare.

Vi è un grande rilassamento nelle due Comunità. Dillo a colui che è incaricato di

voi...».

Primi segni di ripresa

Guarigioni, conversioni, atti di protezione creano un nuovo clima in comunità. Ogni

giorno l'impossibile vede la luce e l'avvenimento nutre le conversazioni e la preghiera:

- Non sa che cosa è accaduto?... Le riforme progrediscono: non vi è più posto per

compromessi e trufferie. Spariscono stivaletti, indumenti di seta e preoccupazioni di

abbigliamenti mondani... Nel 1834, la Madre Boulet ristabiliva l'uniformità nella

Compagnia delle Figlie della Carità: abito grigio, cornetta uniforme, e la regolarità

nella vita comune.

Luci del Ritiro

Il 25 maggio 1838, dopo una conferenza ascoltata alla Casa Madre, sul tema del Nome

santissimo di Maria, Caterina annota la seguente risoluzione: «Prenderla per modello

all'inizio di ogni mia azione (...). Riflettere se Maria ha fatto tale azione, come e

perché l'ha compiuta, con quale intenzione. Oh! quanto il nome di Maria è bello e

consolante! ». Il Ritiro predicato dal P. Aladel, alla fine del mese di Maria, nel 1843, «

amplia i suoi orizzonti » e negli appunti di Suor Caterina si scorge un afflato senza

pari. All'inizio, due percezioni vengono fissate da lei: « Maria ritta ai piedi della croce,

Maria nel Cenacolo con gli Apostoli. Aspettare in silenzio i doni dello Spirito - annota

Caterina. - Maria si trovava nel Cenacolo con gli Apostoli e conservava il silenzio,

aspettando la discesa dello Spirito. Quale lezione! Maria è il nostro modello (...). O

Maria, fate che io vi ami e non mi sarà difficile di imitarvi » (« Appunti di Ritiro », p.

74). Attraverso Maria, Caterina intravede che il servizio dei poveri conduce a « una

morte soave» (p. 76): «Maria ha amato i poveri, e una Figlia della Carità che ama i

poveri, non temerà la morte. Proverà una grande consolazione perché avrà servito bene

i poveri. Non si è mai inteso dire che una Figlia della Carità che ha amato i poveri, sia

stata presa da angosce paurose al momento della morte. La si è vista, invece, arricchita

delle più dolci consolazioni, morire nel modo più sereno ». Il 4 agosto seguente, il

Signor Etienne viene eletto Superiore generale delle due Comunità, a 42 anni. Il 15

agosto, festa dell'Assunzione, egli conclude l'Assemblea rinnovando l'atto di consa-

crazione a Maria, pronunciato per la prima volta il 15 agosto 1662, due anni dopo la

morte del Fondatore. Quest'atto derivava da quello che le Figlie della Carità

pronunciavano fin dal 1658, mentre il Signor Vincenzo viveva ancora, nella festa

dell'Immacolata Concezione. « Noi ricorriamo a voi (...). Gradite di accoglierci tutte in

generale, e ciascuna in particolare, sotto la vostra protezione (...) e di impetrarci

dall'infinita Bontà che la piccola Compagnia delle Figlie della Carità, di cui siamo

membri, vi consideri sempre come la sua vera e unica Madre ». Fin dalla prima

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circolare, in data 8 settembre 1843, il nuovo Superiore generale evoca aperta-

mente le apparizioni, come sorgente della Grazia che solleva ora le due famiglie di

San Vincenzo. Caterina dové trasalire interiormente, leggendo quanto il Superiore

scriveva: «Non posso disconoscere un intervento veramente manifesto dell'Augusta e

Immacolata Maria che ci ha dato prove (...) così straordinarie della sua tenerezza (...).

La sua potente mediazione ha ottenuto da Dio che le nostre due famiglie non perissero

tra le disgrazie che le hanno accasciate e che il Signore se ne sarebbe servito per

rianimare la fede. Possiamo attribuire ad altra causa queste vocazioni, così

incomprensibilmente numerose, che sorgono da ogni parte (...), questo sviluppo così

prodigioso (...) della vostra Compagnia nel culmine stesso della tempesta? ». L'anno

seguente, il 4 agosto 1844, anniversario della sua elezione, il Signor Etienne precisa il

proprio pensiero in una lettera di quaranta pagine: l'influenza delle visioni di Caterina

vi appare ancora più evidente. I sentimenti di gratitudine di Suor Caterina esplodono in

rendimento di grazie quando ella scrive alla sorella il 15 settembre 1844: « In questo

momento, più che mai, il fervore si rinnova nella Comunità, come ai tempi di San

Vincenzo. Se vi sono stati degli abusi ora tutto si rinnova! ». Sì, Caterina non teme di

ripetere questa parola rinnovare, né di dire: tutto. Si tratta di un rinnovamento radicale,

che si opera dall'interno, e che investe progressivamente tutta la vita: la preghiera, le

relazioni umane, l'iniziativa, la generosità, l'efficacia. Nel maggio 1845, l'elezione di

Madre Mazin a capo delle Figlie della Carità accentua questo movimento. Una suora

le rende la seguente testimonianza: «Ci credevamo tornate al tempo felice in cui la

nostra Venerabile Luisa de Marillac gettava, sotto la guida del Santo Fondatore, le basi

della Comunità nascente (...). I desideri dei Superiori, non appena conosciuti o intuiti,

erano accolti dappertutto con sottomissione e realizzati senza che vi si opponesse la

minima resistenza. Che spettacolo bello offriva allora la Casa Madre! La pietà, il

raccoglimento, l'unione ne facevano un luogo di delizie e la serenità diffusa su tutti i

volti rivelava la comune felicità ». Il rendimento di grazie sommerge le due famiglie,

trascinate in un rinnovamento, al tempo stesso qualitativo e quantitativo. La forza del

governo del P. Etienne consiste nel fatto che egli accorda una priorità allo slancio

carismatico, dono gratuito, ma unendolo all'osservanza della Regola, di modo che la

fiamma e l'ordine regnino in fruttuosa armonia: la stessa che ispira la vita di Caterina.

Il 1° gennaio 1855, il Signor Etienne esprime il parere generale, scrivendo: «La

Compagnia, rialzatasi a stento dalle sue rovine, non aveva che un'esistenza molto

debole e sterile, e poche speranze di riprendere un giorno il bel posto che aveva

occupato nella Chiesa, quando una voce misteriosa le annunciò che Dio si sarebbe

servito delle due famiglie di San Vincenzo per rianimare la fede». «La Voce» di cui

parla il Signor Etienne èquella intesa da Caterina... Egli continua: «Poco tempo dopo,

ebbe luogo, nella cappella della Casa Madre delle Figlie della Carità, la apparizione di

Maria Immacolata che fece nascere la Medaglia Miracolosa. Tale evento si verificò

nel 1830. Cominciò, allora, una nuova èra per la Compagnia». In passato, malgrado gli

sforzi enumerati daJ Signor Etienne nella sua circolare: «la Compagnia sembrava

sempre impotente a risollevarsi, conservando della sua antica vitalità soltanto un

debole bagliore che pareva dovesse spegnersi ben presto. Le vocazioni vi erano rare e

incostanti; non si contavano in Francia che alcune istituzioni languenti e, nei paesi lon-

tani, qualche casa abbandonata dove antichi Missionari terminavano tristemente una

carriera apostolica che era stata colmata solo di lacrime e di sofferenze, senza che

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avessero potuto essere addolcite neppure da una speranza consolante. Ma dopo

quest'apparizione di Maria Immacolata, tutto cambiò volto. La vita sembrò rinascere

nel seno della Comunità. Dal 1831, colonie di Missionari, animati dal più puro e

ardente zelo, traversarono i mari andando, nel Levante e in Cina, a riallacciare con le

nostre missioni estere quella catena di generazioni che la Rivoluzione aveva

spezzato». Un inno di riconoscenza, questo, nel duplice senso del termine: riconoscere

e render grazie! Padre Etienne evoca l'espansione mondiale seguita a questo

cambiamento di qualità. Il numero delle suore del Seminario è aumentato da appena

un centinaio a più di cinquecento. Occorre costruire un gigantesco edificio per

accoglierle, ma neppure questo basterà e sarà necessario decentrare la formazione

delle novizie nei diversi paesi e nelle provincie della Comunità. Il movimento è

analogo per i Lazzaristi, dove le case agonizzanti ricevono sangue nuovo: un afflusso

di giovani. Si devono fare con accanimento nuove fondazioni, nominando giovani

superiori che entrano in carica appena la loro formazione è terminata: nel 1839, i padri

si stabiliscono in Cina e le suore a Smirne. Nel 1842 è la volta della fondazione di

Algeri... Il Signor Etienne constata: «Tutto questo è avvenuto durante i 24 anni decorsi

dall'apparizione di Maria Immacolata. Chi non vedrebbe in ciò un intervento mera-

viglioso del Cielo? Chi non proverebbe gli stessi sentimenti di ammirazione di San

Vincenzo e non esclamerebbe con lui: Vi è in questo la mano di Dio? ». La

conclusione sfugge al trionfalismo attraverso lo stesso cammino del Fondatore: «

Tutto questo si fonda su un fatto essenziale per i figli di San Vincenzo: la virtu' del-

l'umiltà ». Le due famiglie vincenziane non sono che uno strumento, ma l'irradiamento

della Medaglia èmondiale. La sua diffusione è incalcolabile e raggiunge il miliardo. Le

notizie di conversioni si moltiplicano. Caterina percepisce tutti questi eventi. Nel

1837, una lettera del P. Perboyre, missionario in Cina, molto stimato da Suor Caterina,

narra come la Medaglia abbia liberato una donna pazza, che forse era posseduta dal

demonio. Dai primi del 1842, Caterina ha saputo una notizia che si diffonde con la

rapidità di un fulmine: tutta la stampa ne parla. Un giovane banchiere ebreo, alsaziano,

da poco fidanzato, recatosi a Roma con occhio critico riguardo al Cattolicesimo, aveva

accettato la Medaglia, provocato da un amico francese: Teodoro de Bussières. E si

converte improvvisamente, nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte. La Vergine gli è

apparsa come è raffigurata sulla Medaglia: « Non mi ha detto nulla ma ho capito

tutto», dice il convertito che, dopo la conversione avvenuta il 20 gennaio, è ricevuto

dal Papa Gregorio XVI verso la fine dello stesso mese. Il Cardinal Vicario istruisce

sull'evento un processo ufficiale in forma canonica secondo la consuetudine romana.

Tutti i testimoni hanno fatto la loro deposizione in tale processo: dall'amico del

giovane ebreo ai sacerdoti che ne hanno ricevuto le confidenze e al sacrestano.

Alfonso Ratisbonne, che abbraccia lo stato ecclesiastico, domanda di vedere la suora

che, per la prima, ha avuto la medesima visione; vorrebbe condividere con lei la grazia

e confermarla... Ma Caterina ha fatto la sua scelta: quella della discrezione e del

lavoro... E rifiuta.

Sviluppo e problemi di Reully

A Reully, la comunità in cui vive Suor Caterina, il rinnovamento mondiale si

concretizza in una laboriosa quotidianità. La casa è impiantata in una strana situazione

di cui la nobile fondatrice, Adelaide d'Orlèans, non aveva affatto idea: - Una vera

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Cina! - dirà ben presto Suor Dufès. Fondata e sovvenzionata dalla famiglia

del Re Luigi-Filippo, il vasto edificio di recente costruzione, sorge in un quartiere

miserabile, sempre in effervescenza. Le figlie del Signor Vincenzo vi lavorano cer-

cando di farsi tutte a tutti, senza prospettive politiche, preoccupate soltanto di

rispondere alle esigenze del Vangelo. E' tutta l'avventura della casa di Reully che

assumerà ben presto una forma drammatica. Suor Savart, la prima Superiora di Suor

Caterina (1819-1844), non si era chiusa nella proprietà come in un'isola: Caterina

aveva conservato di lei un luminoso ricordo. - Era una buona suora anziana - diceva -

ella voleva che, ogni anno, i primi frutti dell'orto fossero portati a famiglie bisognose

del quartiere o ai suoi buoni anziani; le suore potevano gustarne soltanto dopo di

loro. L'ebbe come Suor Servente per tredici anni, fino alla morte, avvenuta il 29

dicembre 1844 (n. 656, CLM 2, p. 101). Suor Montecellet, che le succede nel 1845,

apre l'era delle fondazioni a servizio del quartiere. Nel 1849 - l'anno del colera - fonda,

dall'altro lato del giardino, l'opera della « Provvidenza Santa Maria »: le scuole e un

asilo, costruiti, ma non pagati, che accolgono la miseria fisica e morale, compresa

quella dei figli di operai che, in quel tempo, erano sfruttati orribilmente. Nel 1850,

apre un piccolo internato per le orfane del colera. L'anno seguente è eletta Superiora

generale (9 giugno 1851). Suor Mazin, antica Superiora generale, la sostituisce ma

solo per alcuni mesi (1851-1852). A Suor Mazin succede Suor Randier, dal 1852 al

1855: un'organizzatrice nata, che unisce, in maniera unica, doti di intelligenza a una

generosità creativa. Caterina vuoi molto bene a questa sua quarta superiora che, però,

le viene tolta assai presto. Le succede Suor Guez (1855-1860), donna avveduta, che

apprezza molto Suor Caterina e stabilisce eccellenti relazioni, a tutti i livelli. Ma

eccola sostituita anch'essa. L'evoluzione che Suor Guez ha reso stabile, è stata rapida.

La casa mantiene difficilmente l'equilibrio tra l'ospizio casalingo dove vivono gli

anziani e il servizio del quartiere; tra il compito affidato alla comunità dalla famiglia

d'Orléans e le urgenze create dalla miseria. L'amministrazione della famiglia reale

protesta contro la partenza di Suor Guez. E anche le suore... Ed ecco arrivare Suor

Dufès, l'ultima superiora di Caterina. Giunge nella casa il 18 ottobre 1860, ha

trentasette anni, progetti grandiosi ed una volontà di ferro, che impegna senza indugi

per soccorrere l'immensa miseria del quartiere. La sua giovinezza intraprendente

affanna la comunità che difende le abitudini stabilite da due Superiore generali. Le

suore vorrebbero trovare un appoggio in Caterina, suora anziana dal giudizio sicuro,

che ormai ha superato la tappa delle nozze d'argento, e può resistere al nuovo stile di

vita, che gli anziani ospiti non apprezzano... E quando essi si preoccupano o si

lamentano presso la regina Amelia, che si trova in esilio, si crea, di conseguenza, una

situazione di disagio. Caterina non entra minimamente in questi motivi di malcontento

e difende l'autorità. Giunge fino a riunire le giovani suore esitanti per dir loro: - Non vi

immischiate. Nel fuoco della discussione, aggiunge anche: - La Superiora rappresenta

il buon Dio! (n. 993, e più avanti, al cap. IX). Suor Dufès le deve moltissimo, avendola

scampata bella giacché avrebbe potuto essere deposta dal suo ufficio (come in altri

tempi Maria Luisa Labouré). Le difficoltà tendono a rinascere e Suor Combes, di 28

anni, giunta nella casa nel 1861, vi si trova implicata: - Piu' volte fui incitata da Suor

Caterina a sottomettermi alla Superiora - ricorda la suora (n. 983, CLM 2, p. 316).

Ugualmente, Suor Maurel d'Aragon (21 anni), arrivata a Reully nel 1862, che Suor

Caterina un giorno chiama nel suo ufficio: - La nostra vita, è la fede: vedere Dio in

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tutto, nei Superiori, negli avvenimenti. Suor Maurel ha compreso, per tutta la

vita, l'assoluto di Dio, al di là delle lamentele umane. Le lamentele sono quelle degli

anziani che si sentono emarginati in questo alveare popolare che accende in loro la

nostalgia della vita nel castello. Caterina, che capisce l'importanza dei poveri del

quartiere, deve por fine alle loro lamentele e mobilitare i loro buoni sentimenti. Suor

Dufés ha preso con maestria il sopravvento sulla situazione, ma è molto difficile far

coesistere queste due case situate ai lati opposti del giardino: l'ospizio fondato dalla

famiglia d'Orléans e le opere del quartiere popolare. Nel 1865, senza dubbio in seguito

a nuove lamentele degli anziani presso la regina Amelia, Caterina dice a Suor

Cosnard, una giovane suora: - Enghien sarà trasferito in un castello... Ella ha creduto

vedere un « castello della Loira» su cui era scritto « Ospizio di Enghien», ma non

indugia su questo presagio che si realizzerà nel 1901 e che costituisce una eccezionale

confidenza. Una vera, reciproca confidenza si è stabilita tra Suor Caterina e Suor

Cosnard, una normanna di 24 anni, che ha saputo apprezzare l'esempio di Caterina e

ricorderà tutta la vita i piccoli segreti « pratici di povertà » che Suor Caterina le ha

insegnato fin dal suo arrivo nella casa, nel 1864 (CLM 2, p. 258). L'accoglienza di

Caterina a queste giovani suore principianti è un tesoro nascosto: « Al mio arrivo

(1858), fu suor Caterina ad accogliermi, abbracciandomi per prima con grande

cordialità - narra Suor Clavel » (n. 969, CLM 2, p. 296). L'unità della casa deve molto

a questa accoglienza che viene dal cuore, a questi consigli ricchi di profonda

esperienza pratica, che Suor Caterina offre alle nuove arrivate: Suor Millon (1859),

Suor Combes e Suor Tomas (1861), Suor Maurel d'Aragon e la bretone, Suor

Tranchemer (1862): giovani di famiglie nobili e popolane sono riunite al servizio dei

poveri in una comunità in cui non vi sono distinzioni e dove si alternano preghiera,

momenti di gioia, lavoro... Le più accorte percepiscono la sorprendente santità di

Caterina. « Altre suore, forse, apparivano esteriormente altrettanto perfette, ma

nessuna produceva, come lei, l'impressione di un'anima annientata dall'amor di Dio,

della Santissima Vergine e completamente staccata da se stessa », dirà qualche tempo

dopo suor Cosnard (n. 938, CLM 2, p. 259). Nel 1856 o 1857, Caterina, nota una

suorina di 23 anni, che è stata mandata per qualche giorno a Enghien allo scopo di

farla distrarre. Intuisce quel che non va nella giovane suora? Le si accosta mentre

attraversa il giardino per andare da Reully a Enghien: - Piccina mia, lei sta

rimuginando un cattivo pensiero. Ha colto nel segno, Suor Caterina! La « piccola » le

risponde: - Ero entrata in comunità per curare i malati e non riuscirò mai a parlare in

pubblico!... Suor Fouquet, infatti, è stata destinata nel mese di agosto all'asilo di

Boulogne e ciò che la rende ammalata nen è il fatto di doversi occupare dei bambini,

ma di essere esposta al pubblico, giacché, a quei tempi, tutti « potevano entrare e

assistere alle lezioni che la suora faceva ai bimbi », compresi gli adulti. Così la «

sorellina », scoraggiata, concluse tristemente: - Preferisco rientrare in famiglia. - Si

faccia coraggio - riprese Suor Caterina facendo vibrare il suo robusto accento di

borgognona - Io pregherò la Santissima Vergine per lei. Mi prometta di pregarla, a

sua volta, per un anno. Sarà promossa agli esami e perseverera nella sua Vocazione!

Per due anni, infatti, Suor Fouquet sormonta le sue ripugnanze dopo di che, nel 1858,

è destinata, secondo il suo primo desiderio, alla casa Nesle (Somme) per assistere gli

anziani... come Caterina a Enghien. (Testimonianze di Suor Lenoi-mand, n. 956, PO

45 CLM 2, p. 275; n. 957, CLM 2, p. 276; n. 1268, PAspec, p. 363; cfr. p. 825). Nel

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1860, al suo arrivo, Suor Giuseppina Combes di 29 anni, azzarda una

confidenza imprudente a una delle compagne. Come Suor Caterina ha potuto saperlo?

« Ella mi rimproverò (narra Suor Combes), soggiungendo: - Vedrà tra qualche tempo!

Qualche tempo dopo, questa compagna rinunciava alla sua vocazione e ritornava nel

mondo » (n. 1297, 20 luglio 1909, PAspec, p. 725). Sostenuta ora dalla sua comunità,

Suor Dufès procede, tra inestricabili difficoltà finanziarie. La « Provvidenza Santa

Maria », costruita da molto tempo in via di Reully, non è stata ancora pagata. Le

scadenze incalzano la superiora. Un giorno ella non ha di che pagare il fornaio ed entra

in cappella per confidare la sua preoccupazione alla Madonna. Sulla soglia, una

visitatrice le chiede dove si trova la cassetta delle offerte, vi depone la propria e se ne

va. Suor Dufès vi troverà esattamente la somma che le mancava. Al suo arrivo nella

casa, ella sentì stringersi il cuore vedendo girare nella strada dei ragazzi della prima

Comunione, ubriachi fradici. Sono dei « tiratori », come vengono chiamati: ragazzi

sfruttati dagli stabilimenti di carta da parati, che prosperano sulla miseria di Reully. I

giovani vi sono trattati come « bestie da soma », secondo la constatazione di Suor

Dufès. La maggior parte non fanno neppure la prima Comunione e quelli che la fanno

non vengono preparati all'importante atto. La festa si svolge come una rivincita di

questo ambiente frustrato, degradato dalla miseria. E' dunque, un combattimento

quotidiano, sulla breccia... Alla richiesta del governo, finalmente preoccupato dalla «

Cina » di Reully, la scuola delle suore, fondata per questi ragazzi, diventerà ben presto

scuola comunale. Il piccolo orfanatrofio, fondato nel 1850 dall'Arcivescovo per le

orfanelle del colera, vede fiorire delle vocazioni. La domenica è impiegata

laboriosamente per insegnare alla gioventù - compresi i « tiratori » delle fabbriche

di carta da parati - a leggere e scrivere e il catechismo. I compiti nuovi ed illimitati

obbligano ad aumentare locali e suore, cosa facilitata dalla sovrabbondanza di novizie.

In seguito al colera del 1866 occorre sistemare le soffitte per altre orfane. La casa di

Enghien contava 5 suore quando vi giunse Caterina, 29 nel 1860 all'arrivo di Suor

Dufés, 40 nel 1870. Le nuove creazioni della comunità stimolano slanci generosi ma

in mezzo ad avventure che lasciano le suore in allarme. Il 17 febbraio 1863, martedì

grasso, alle 4 del mattino, un violento incendio scoppia nella fabbrica di carta da

parati, contigua alla cappella di Reully. Le fiamme lambiscono il tetto delle suore,

minacciando di divorare tutto il caseggiato. « Eravamo costernate, scrive Suor

Filomena Millon. Suor Caterina, calmissima, prega davanti alla statua della Madonna

del giardino. Ella rassicura Suor Dufès e tutta la comunità: - Non abbiamo paura di

niente; l'incendio si fermerà e non accadrà loro alcun male ». I bambini, ai quali le

suore fanno ripetere il catechismo nei parlatori, sono i figli degli insorti del 1848:

tumultuosi, innalzano un giorno una barricata nella via di Picpus, allora tanto tran-

quilla. Panico degli anziani, antichi servitori dell'alta nobiltà, i quali avevano pur

predetto che le suore avevano torto di attirare in casa quella ragazzaglia. Essi

presentano le loro rimostranze al riguardo presso influenti personalità. Dal fondo

dell'esilio, la regina Maria Amelia abbandona la sua consueta benevolenza per pregare

Suor Dufès di non accogliere più quella gioventù turbolenta in casa. (n. 1360, p. 17-

18). Suor Dufès non cede: l'avvenire di quei ragazzi è l'avvenire di Dio in questo

quartiere abbandonato. Al n. 79 della via di Reully (accanto al 77 dove le Suore

fondarono le prime opere) la comunità possiede un vasto appezzamento di terreno

occupato da un cordaio che l'ha preso in affitto. Questi avanza delle pretese elevate per

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disdire il contratto... Suor Dufès, allora, mobilita la preghiera: le suore

improvvisano, un'intera notte di adorazione continuata. Ed ecco che l'indomani, il

locatario viene spontaneamente con proposte ragionevoli, che Suor Dufès accetta

immediatamente. E costruisce scuole dotate di un cortile interno: viene fondato così il

patronato dei ragazzi, dove fin dal 1864 i giovani sono formati, istruiti, catechizzati.

Autorizzati ad aggregarsi a una nuova Associazione di Figli di Maria, organizzata dal

Signor Etienne, essi vi entrano con entusiasmo. (Crapez, Vita di Caterina Labouré,

1911, p. 167). Nel 1868, la regale fondatrice si preoccupa di vedere la sua opera -

l'ospizio - emarginata da questo profluvio di attività. Non è questo lo scopo della

fondazione, che ella sovvenziona sempre con un contributo di 500 F. per ogni ospite

anziano, di 600 F. per ciascuna suora e di 1200 per il cappellano. Agisce perciò con

tutta la sua autorevole influenza, ma Suor Dufès non si piega. Dopo tutto, la famiglia

reale non ha fondato che la casa di Enghien ed ora vi sono due case. Le 25 suore

occupate nelle opere del quartiere - non sovvenzionate - alloggeranno all'altro lato del

giardino, in via di Reully, compresa Suor Dufès che prende così le proprie distanze. E,

fin dal 1867, gli esercizi di comunità vengono trasferiti anch 'essi in via di Reully,

mentre nell'ospizio in via di Picpus, vengono lasciate soltanto le suore incaricate di

assistere gli anziani. Suor Dufès affida la responsabilità della casa a Suor Caterina,

consegnandogliene le chiavi. Tale soluzione obbliga a costruire ancora e le

preoccupazioni finanziarie diventano grandi come case, le scadenze dei pagamenti

impossibili a rispettarsi. Un giorno, mentre Suor Dufès fa la questua, non per la sua

casa, ma per la chiesa della Madonna delle Vittorie, viene interpellata da una

benefattrice, molto attenta... Tempo perduto, a suo avviso, in una giornata tanto

piena... Ma la signora ha annotato l'indirizzo e qualche giorno dopo, passa a Reully e

consegna a Suor Dufès 30.000 franchi-oro per la casa, in memoria della figlia defunta:

il problema economico è ormai risolto.

Suora « Tutto fare »

Quale posto occupa Suor Caterina in questa comunità? Sebbene responsabile

dell'Ospizio, non partecipa alle deliberazioni e decisioni riguardo alla casa: si fa poco

caso della sua persona. E' solo la « suora regolare », vaccaia, contadina, suora

«tuttofare », il che sembra del tutto naturale. E, poiché ella appare contenta, non si va

tanto per il sottile... Caterina si compiace di vedere la gioventù della casa e non crea

problemi a nessuno. Né in portineria, né altrove; nessuno, infatti, si lamenta di lei che

è la brava faccendiera, capace di risolvere i mille problemi, materiali o... caratteriali.

Tutto ciò sembra normale e nessuno pensa a essergliene riconoscente. Suor Dufès,

sebbene sia stata avvertita in via confidenziale, che Caterina è la veggente del 1830, la

tratta con severità: « Cinque o sei volte - narra Suor Cosnard -, ho visto Suor Caterina

in ginocchio davanti a Suor Dufès, che la rimproverava di mancanze da lei non

commesse e delle quali non era responsabile. I rimproveri erano vivaci, molto vivaci,

ma Suor Caterina, benché innocente, non si è mai scusata. Mi è sembrato, tuttavia, che

nel suo animo vi fosse una lotta... Le labbra le si muovevano come volessero aprirsi

(...). La lotta è sempre finita col trionfo dell'umiltà. Sono stata tanto impressionata (...)

che ho chiesto a Suor Dufès come poteva trattar(la) così... (... Ella) mi rispose, con un

tono di grande fermezza: - Mi lasci fare, Sorella mi sento ispirata ad agire così » (n.

291, PAspec 44, p. 652 e n. 937, CLM 2, p. 256). L'atteggiamento severo della

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superiora è contagioso: alcune suore istruite, che fanno bella figura nella

comunità, non fanno alcun conto della persona e del giudizio di questa suora incolta, le

cui maniere e il grembiule sanno di stalla... Come assicura Suor Clavel, una di queste

suore « umilia », « schernisce » la veggente fino a trattarla da « stupida » e «

sempliciotta » (n. 970 e 972, CLM 2, p. 298-300). Ma Caterina, accogliente, è un

rifugio per le nuove venute, che spesso in questo maledetto quartiere si trovano a

disagio o imbarazzate di fronte a compiti nuovi. Se le domestiche le vogliono molto

bene, è perché ella è attenta alle loro necessità. Cecilia Delaporte, la piccola

guardarobiera di 20 anni, cade ammalata al suo arrivo nella casa, nel 1868, ed è Suor

Caterina che va a farle visita (come Bernardetta visiterà Giovanna Jardet, la servetta

ammalata di Nevers, dimenticata nella sua mansarda). Nel gran freddo del tragico

inverno 1870-1871, ella porterà a Cecilia « un piumino e un bicchierino di elisir »: «

Un giorno - ricorda la ragazza - porgevo i ferri alle suore che stiravano. Suor Caterina

si accorse che avevo caldo e mi diede un bicchiere di latte » (n. 1018, PO 85, CLM 2,

p. 348). Tra Caterina, i poveri e i bambini si stabilisce subito un rapporto: tutti quelli

che si trovano in imbarazzo ricorrono a lei come a una buona nonna, che ha messo

radici nella casa, salvo a dimenticare l'anziana dopo aver imparato a volare con le

proprie ali... I vecchi le sono grati perché Suor Caterina mantiene in ordine l'ospizio,

quando è diventato un'opera marginale, nell'alveare straripante di attività. E

quell'ordine torna a vantaggio di Suor Dufès, che i fondatori avrebbero voluto far

partire se così non fosse stato. Caterina non si risparmia e sembra meravigliosamente

presente su tutti i fronti: l'orto e il cortile, la portineria e i poveri. Continua ad

addossarsi le faccende pesanti e umili; è sempre lei, infatti, che dà la cera con grande

fatica alle scale degli anziani. Si pensa che Suor Caterina sia robusta; tuttavia faccende

del genere non sono più per la sua età, che tocca la sessantina! Si meraviglia di sentire

talvolta che il cuore le cede... Ma supera il malessere e riprende respiro: volere è

potere! Suor Caterina gode una riputazione discreta ma solida come assistente degli

agonizzanti... Sì priva del sonno secondo le esigenze di queste agonie, frequenti negli

anziani: soltanto tra gli uomini, ne muoiono tre o quattro l'anno. Caterina unisce

armoniosamente la cura del corpo alla preghiera e tutti coloro che sono vegliati da lei

trovano la pace. Se miscredenti si riconciliano con Dio e, talvolta, fanno una « santa

morte » come si dice nella casa. Suor Dufès, alla fine della vita di Suor Caterina,

constata che nessuno dei ricoverati èmorto senza essersi riconciliato col Signore. Suor

Elisabetta de Brioys, di nobile famiglia, ma anche donna di « grande intelligenza e

grande virtù », tiene a che Caterina le renda quest'ultimo servizio. Figlia della Carità

dal 1852, Elisabetta è stata accettata in Comunità per le sue doti spirituali, malgrado

fosse affetta da una tubercolosi che si complica poi con una meningite. Durante l'estate

del 1863, il 24 agosto la suora esce dal coma e, lucidissima, dice a Suor d'Aragon che

la veglia: - Muoio, cerchi Suor Caterina, le dica di noi lasciarmi! E' tardi e Suor

d'Aragon rimanda la realizzazione del desiderio della compagna, che appare prematuro

tanto più che ella stessa le sta vicina per assisterla... Alle 11 di sera l'ammalata « ripete

» la sua domanda. Suor Caterina è a letto dalle 9 e dorme profondamente. Suor Clara

la scuote, ella si sveglia amabilmente, si mette la cornetta ed eccola al suo posto

accanto al letto della moribonda, a vegliarla con lo sguardo buono dei suoi occhi

azzurri pregando tranquillamente. Alle 4 del mattino suona la campana dell'alzata:

Caterina continua a pregare... Il rantolo dell'ammalata si accentua, ma con ritmo

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tranquillo... Suor Elisabetta si spegne alle sei, ai primi raggi del sole del '25 agosto.

Suor Caterina si allontana e riprende il suo lavoro quotidiano.

Il giardino delle Figlie di Maria

In questo irradiamento Caterina è particolarmente sensibile a un punto, quello che era

stata incaricata di trasmettere al P. Aladel: « La Vergine Santa vuole da lei una mis-

sione (...). Lei ne sarà il fondatore e il direttore. Si tratta di una Confraternita di Figlie

di Maria, alla quale la Santissima Vergine accorderà molte grazie. Lei otterrà delle

indulgenze (...). Si celebreranno molte feste, il mese di Maria si celebrerà con grande

solennità e la devozione diverrà generale ». Il desiderio della Madonna trovò una

realizzazione spontanea nel 1838, in un periodo nel quale il P. Aladel era terzo

assistente e collaboratore del P. Etienne, allora procuratore generale. Benigna Hairon,

nata a Beaune nel 1822, riunisce in quella città un primo gruppo di Figlie di Maria, l'8

dicembre 1838: la ragazza ha 16 anni e diviene così, come ella stessa affermava, « la

prima associata », nella casa delle Figlie della Carità. L'Associazione è costituita il 2

febbraio 1840 e, da allora, si diffonde un po' dappertutto in provincia: a Sant'Eulalia di

Bordeaux, il 19 marzo 1840, a Saint-Flour, nel 1841. La prima Associazione parigina

nasce a Saint-Louis-en-l'Isle, il 16 dicembre 1845. Il P. Etienne nomina allora Aladel

direttore della nuova opera. Il 20 giugno 1847, egli si reca a Roma ed ottiene da Pio IX

un'udienza in cui il Papa accorda, apponendovi la sua firma, la facoltà « di stabilire

nelle scuole dirette dalle Figlie della Carità », un'Associazione sotto il patrocinio della

Vergine Immacolata, con tutti i privilegi di cui godeva l'Associazione fondata da lunga

data a Roma dai Padri Gesuiti. Nel 1848, P. Aladel pubblica un Manuale delle Figlie

di Maria, le cui edizioni si succedono a ritmo incessante: 25.000 copie in meno di 10

anni. Nel 1851 il movimento si estende a Reully dove vi sono tredici candidate. Il 21

novembre il Signor Aladel viene a fondare di persona l'Associazione, con la

collaborazione del cappellano Don Pietro Coullié, futuro cardinale, e consegna la

medaglia alle tre prime aspiranti, orfanelle, Ester, Antonietta e Zoe. L'8 dicembre

seguente, altre entrano nel gruppo che elegge una presidente, Carolina Huot,

dodicenne: una fiamma ardente, quest'adolescente! E' l'incantesimo di una specie di «

millenarismo »? No, il registro dei verbali di Reully annota spietatamente un

rilassamento nell'Associazione. In data 20 febbraio 1853, come si legge nel detto

registro, per mancanza di « riunioni solenni delle Figlie di Maria », non esiste « un

consiglio, non vi sono nuove ammissioni. Poco a poco diminuisce il fervore (...). Le

nostre riunioni settimanali diventavano di volta in volta meno numerose. Le Figlie di

Maria sembravano non capire più l'ineffabile felicità di appartenere alla loro (...)

amabile Madre. Questo titolo così dolce sembrava essere divenuto solo un nome vano

e quel nastro azzurro (...) un frivolo ornamento ». Ma il carisma, svuotato dall'interno,

ritrova un secondo soffio ancor più profondo. E' così che il gruppo accoglie nel 1858

Maria Antonietta Meugniot, nipote di Suor Caterina. Nel 1860, Carolina, la

presidente-fondatrice, cade ammalata; conta ora 21 anni di età e 9 di carica, ma il

declino fisico sembra intensificare il fervore e la qualità della sua testimonianza.

Smagrita, diafana, sempre gioiosa, presiede le riunioni e pronuncia parole così

luminose che vi si scorge un'ispirazione divina. « Giustezza e precisione mostravano

che le sue parole erano dettate dal buon Dio », leggiamo nel registro il 17 dicembre

1859, all'indomani della sua morte. Caterina resta vigilante e i suoi consigli come il

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suo esempio sostengono il fervore.

5. IL GIARDINO SEGRETO

Ella serba nell'intimo del cuore il suo « giardino chiuso » di cui difende l'intimità con

rara efficacia. I grossi zoccoli, il grembiale sudicio di contadina e la sua discrezione

sono i baluardi dietro i quali si mette al sicuro il suo segreto che è più minacciato di

quanto non appaia.

L'incognito in pericolo

Diventa, infatti, sempre più difficile dissimulare chi è « la novizia del 1830 »: la

notizia comincia a circolare negli anni '50... mentre i Superiori e altri lo sanno o

l'indovinano. Nel 1855 Suor Charvier, durante il periodo di Seminario, sente dire: «La

Suora che ha visto la Santissima Vergine è adesso occupata a curar le vacche in una

casa di Parigi. Ora (racconta Suor Charvier), fui destinata proprio alla casa di

Enghien, nello stesso ufficio di Suor Caterina. Ebbi allora l'idea che quella Suor

Labouré, addetta alla cura delle vacche, potesse essere la veggente della Vergine

Santissima. L'osservavo, quindi, più da vicino, la trovavo molto pia ed umile e,

tuttavia, mi dicevo: - No, non può essere lei che ha visto la Sautissima Vergine. Non la

trovavo, infatti, abbastanza mistica...». Dal 1855 in poi, Caterina è continuamente

insidiata. Non solo Suor Dufès, prima di essere nominata superiora della casa nel

1860, è stata avvertita del segreto, ma anche giovani suore provenienti a Reully dal

Seminario, « sanno »... Ugualmente, i sacerdoti (il futuro cardinal Coullié, cappellano

della casa), la famiglia di Caterina..., e « La Nera » che lo dice al primo che capita.

Tentativi di violare il « giardino chiuso » di Suor Caterina e piccoli incidenti si

moltiplicano... ed è soltanto a forza di ascendente ma anche di astuzia paesana che ella

riesce a difendere la discrezione... suscitando spesso il dubbio. Un giorno Suor Dufès

si lascia convincere da alcune benefattrici desiderose di « vedere la suora che ha avuto

la visione della Santissima Vergine » e, dopo essersi schermita, ha finito col cedere: -

Ebbene! le accompagnerò al refettorio degli anziani dove la suora in questione

sta facendo il servizio. « Le visitatrici erano appena entrate », che Suor Caterina « si

eclissò con grande stupore della Superiora che non l'aveva mai veduta comportarsi in

quel modo ». Come aveva sospettato il tranello? Dopo la partenza delle persone venute

in visita si recò da Suor Dufès e la pregò « di non indirizzarle più visite simili » n.

1014).

Il Giardiniere

Suor Caterina sa di non essere la giardiniera di questo « giardino chiuso », ma è il P.

Aladel che detiene l'autorità di Dio e della Chiesa, e lui che possiede sapere e potere in

un mondo che essa intuisce complicato. Da buona contadina, ella sa che gli impulsi

chimerici sono destinati a finire in uno smacco. Vede « l'incapacità » delle giovani

suore volenterose ad allevare piccioni o polli e sa di aver anch'essa la peggio quando

contratta con i sensali: si sente incapace nelle cose che ignora. Il successo di cui è lo

strumento non la mebria: tutto progredisce in uno slancio in cui non mancano le spine

dolorose come accade nelle ore del parto. Le relazioni con il Padre Aladel restano

difficili, tese; il confessore sospetta sempre l'eccesso, l'illusione. La Medaglia è un

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affare chiuso... Che non vi si ritorni più sopra! Caterina, invece, vi ritorna, anche

se non ha più alcuna apparizione. Ma la voce interiore della Madonna le ricorda la

missione che le ha affidato e le conseguenze che ne derivano. Come mai quella

cappella è ancora chiusa al pubblico, mentre la Madonna vi ha aperto una sorgente di

grazie? Come mai l'anniversario di quell'evento non è commemorato da qualche

pellegrinaggio, da una comunione annuale di tutta la Comunità?

Richeste insoddisfatte

Ciò che tormenta Suor Caterina, fin dal 1839, è la costruzione di un altare e di una

statua commernorativa nel luogo della prima apparizione a lato dell'altare, a destra di

chi guarda. E tale statua avrà un globo nelle mani: cosa che fino ad oggi è stata

dimenticata. Si decide a parlare, osa e insiste nell'ombra del confessionale. Il Signor

Aladel si accalora e il malcontento la vince sull'abituale discrezione del suo carattere: -

Vespaccia! L'interiezione ha passato la tendina nera del confessionale e raggiunge

qualche orecchio fine... - Il confessionale tremava - ha creduto poter affermare un

testimone... Richiesta non soddisfatta. Nel 1841-1842, tuttavia, P. Aladel, che è in

profonda armonia di sentimenti con Suor Caterina a dispetto delle tensioni superficiali,

sembra si lasci convincere. Lo stesso successo della Medaglia miracolosa, le 100.000

copie della Notizia da lui scritta, esaurite, lo costringono a fare una nuova edizione del

suo opuscolo, da lui riveduto. Egli fa ampliare la cappella della rue du Bac, divenuta

troppo angusta, e costruire un nuovo Seminario per 500 giovani Suore. Questo obbliga

a riflettere, a tracciare piani. A lungo andare, l'insistenza di Caterina si fa strada... Fu il

P. Aladel a invitarla, il 15 agosto 1841, a mettere per iscritto il racconto

dell'apparizione della Medaglia? Oppure ella lo fece perché fosse letto, giacché non

riusciva a farsi ascoltare? Quest'autografo insiste su dettagli descrittivi: «Attraverso il

velo, ho scorto i capelli che incorniciavano la fronte e le tempia, ricoperti da una trina

alta tre centimetri, senza increspature, cioè appoggiata leggermente sui capelli: il volto

era piuttosto scoperto ». Ma ciò che le interessa, sono i desideri della Vergine che ella

ha già presentato a viva voce... In un tempo in cui la comunione quotidiana non era

accordata, Caterina chiede una comunione supplementare di tutta la Comunità per

celebrare l'anniversario dell'apparizione di Maria. E, soprattutto, ripete per iscritto: «

Ora mi sento spinta, da due anni, a dirle di far costruire o innalzare un altare della

Santissima Vergine nel luogo stesso in cui è apparsa ». Quest'altare deve comportare

una statua della Vergine, come ella l'ha vista in quel luogo: Caterina insiste su un

dettaglio inedito: la Madonna tiene «una «sfera » tra le mani, rappresentante il globo

terrestre. Teneva le mani elevate all'altezza della vita, in atteggiamento molto spon-

taneo, gli occhi rivolti al Cielo ». (n. 445457, CLM 1, p. 293). E' uno sguardo di

implorazione e un gesto di offerta per questo mondo: i suoi figli che Ella desidera

proteggere. «A questo punto il suo volto era di una bellezza straordinaria che non

potrei descrivere e poi, d'un tratto, ho scorto degli anelli alle sue dita, adorni di pietre

preziose, l'una più bella dell'altra ». La voce le fa comprendere che non si ha mai

troppa speranza nella protezione di Maria: « Le pietre che non emanano luce, sono le

grazie che ci si dimentica di implorare». (n. 631-632, CLM 1, p. 344-346). In

quell'anno 1841, la domanda insistente di Caterina provoca un'inchiesta

supplementare. Le sue indicazioni, per la prima volta, vengono annotate su un foglio

in forma di progetto, che sarà consegnato al pittore Letaille perché eseguisca

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l'immagine che ella domanda. L'« essen- ziale » consiste in questo: « La Vergine

Santissima tiene leggermente il globo tra le mani, rischiarandolo di viva luce.

L'importante è dare la percezione esatta di questa luce intensa che illumina la terra e

che è concentrata nelle mani, da lui nasce la sorgente luminosa. La Vergine Santa

guarda questa povera terra con tenerezza materna. Intorno alla figura vi sarà la scritta:

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi». Letaille, sulla traccia di tali

indicazioni, abbozza il disegno del quadro desiderato: una Vergine in piedi, coronata

di stelle, la luna sotto i suoi piedi secondo il cap. 12 dell'Apocalisse e il foglietto-

programma. La Madonna tiene tra le mani un enorme globo: mezzo (sorprendente) per

impedire che i raggi emananti dalle mani nascondano questo globo. Malgrado le

speranze di Caterina, il progetto non viene preso in considerazione.

La Croce del 1848

Nel 1848, all'inizio della Rivoluzione, come già nel 1830, ella è pervasa da un soffio

simbolico e profetico che riceve come una grazia, come una richiesta... E questo in un

clima nuovo giacché in quegli ultimi anni si è affermato l'irradiamento religioso di

Chateaubriand. L'ostilità all'oscurantismo medievale ha fatto posto ad una nostalgia

del Medio Evo gotico e della Chiesa: un movimento carismatico e poetico è nato

intorno alla Medaglia. Ozanam la portava quando fondò le Conferenze di San

Vincenzo de' Paoli nel 1833; Newman se l'era messa al collo, il 22 agosto 1845, due

mesi prima della sua conversione, avvenuta il 9 ottobre. Caterina non ha analizzato

tutti questi avvenimenti anche perché non legge molto. La nuova visione la domina

improvvisamente, gratuitamente, dall'intimo del suo spirito, come le precedenti: ciò

che le è concesso di contemplare, è il trionfo della Croce, un trionfo che si deve

realizzare: un crocifisso monumentale deve essere innalzato nella città di Parigi: esso

rafforzerà i vincoli dei cristiani col Cristo crocifisso. Caterina non dà, alla caduta del

Re Luigi Filippo, maggior importanza di quella che diede alla caduta di Carlo X nel

1830; è tutta protesa verso l'avvenire di Dio. « Questa croce sarà chiamata la croce

della vittoria. Sarà tenuta in grande venerazione. Da tutta la Francia e dai paesi più

lontani, perfino dall'estero, verranno a contemplarla, gli uni per devozione, gli altri in

pellegrinaggio, altri ancora per curiosità. Infine, si verificheranno fatti di protezione

tanto speciali, che assomiglieranno a miracoli. Nessuno verrà a Parigi senza recarsi a

visitare e vedere questa croce, come un'opera d'arte. Nell'autografo, Suor Caterina,

invece di « l'art » « l'arte »), ha scritto « lard » (= « lardo »), il che diminuisce il suo

credito. Il sublime si affonda nella volgarità e il P. Aladel vi trova motivo per

sorriderne... Ma ella continua imperturbabile, passando dal futuro al passato: « Sul

piedistallo della croce, sarà rappresentata tutta la rivoluzione, così come si è svolta. La

base della croce mi è sembrato misurasse da 10 a 12 piedi di larghezza e la croce da 15

a 20 piedi d'altezza; una volta innalzata, tuttavia, mi pareva fosse alta circa 30 piedi ».

Le proporzioni sono più modeste di quelle di Paul Claudel quando progettava una

cattedrale sotterranea a Chicago con un campanile di 700 metri. « Sotto questa croce,

riposerà una parte dei morti e dei feriti durante gli avvenimenti tanto penosi (...) ». Tra

quei morti, Caterina ne discerne uno con particolare intensità (come nella visione del

1830): « A questo punto, appare un braccio e una voce risuona, dicendo: - Scorre il

sangue! E, indicando quel sangue: - L'innocente muore, il pastore dà la propria vita ».

Sappiamo che Monsignor Affre morì sulle barricate del 1848, in atto di recarvisi come

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messaggero di pace... « La croce mi è apparsa bellissima. Nostro Signore

sembrava appena spirato, con la corona di spine sul capo, i capelli sparsi tra le spine

della corona, sulla nuca, la testa inclinata dalla parte del cuore. La piaga del fianco

destro (...) mi sembrava fosse lunga tre dita e ne scaturivano gocce di sangue. Questa

croce mi sembrò di un legno prezioso, non comune e ornata d'oro o dorata ». La

vivace visione è piena di speranza. Caterina si sente spinta a parlarne al P. Aladel. - Ci

risiamo!... - pensa il confessore. Ripete le sue solite raccomandazioni contro ogni

genere di illusioni. Caterina torna alla carica, ma senza successo, cosicché il 30 luglio

1848, si decide a prender la penna: « Padre, ecco (...) che, per la terza volta, le parlo di

questa croce, dopo aver consultato il buon Dio, la Santissima Vergine e San Vincenzo,

nostro padre, il giorno della sua festa e per tutta l'ottava in cui mi sono abbandonata

completamente a Lui e l'ho pregato che mi liberasse da qualsiasi pensiero singolare a

questo riguardo e su tante altre cose. Invece di sentirmi sollevata, mi sono sentita

sempre più spinta a riferirle tutto per iscritto. Così, per obbedienza, mi sottometto e

penso che non sarò più turbata da simili pensieri. Col più profondo rispetto, sono la

sua figliola, devotissima al Sacro Cuore di Gesù e a Maria ». Lancia quest'ultima

implorazione sulla carta, come si lancia una bottiglia in mare; lascia in bianco la terza

pagina, mentre scrive l'indirizzo su una parte della quarta (che spesso, allora, veniva

utilizzata a tale scopo, per economizzare una busta). L'indirizzo è redatto secondo la

formula tradizionale che ripete cerimoniosamente il titolo del destinatario: Al Signor

Signor Aladelle Direttore delle Figlie della Carità. Caterina ha commesso un errore di

ortografia scrivendo il nome del direttore, che ha messo al femminile... Prima di

chiudere la lettera, aggiunge, in prima pagina, uno schizzo per esprimere

concretamente il luogo dove la croce era collocata. Questa iscrizione, che accompagna

lo schizzo, traduce il suo tormento: «Dal momento in cui è stata innalzata ed ha

percorso una parte della città di Parigi per gettare il terrore nei cuori, ed è venuta a fer-

marsi davanti alla cattedrale di « Notre-Dame», era portata da parecchi uomini che

apparivano corrucciati in volto. Infine, essi hanno abbandonato la croce che è caduta

nel fango e sono fuggiti. Mi è sembrato che li avesse invasi uno sbigottimento

interiore, costringendoli ad andarsene, abbandonando tutto. Questa croce è coperta da

un velo di crespo». Da Vincenzo: Tale visione, dai colori intensi, è interpretata Suor

Caterina come quella del cuore di San « Il bianco che tocca la testa di Nostro Signore,

simboleggia l'innocenza, Il rosso (è) il sangue che scorre L'azzurro, è la livrea della

Santissima Vergine». Caterina non sembra aver sognato che questi sono i tre colori

della bandiera francese... sebbene in ordine inverso. Proietta il vivo delle sue visioni,

senza vagliarle con la ragione. Quale vincolo corre tra quest'immagine di profanazione

e la croce trionfale che deve essere eretta? E' un atto di riparazione? Ella non lo

precisa... Tutto ciò può sembrare strano, oggi. Ma la visione si presentava con

un'apparenza imponente che penetrava nella coscienza popolare della metà del secolo

XIX, in cui la Croce aveva un prestigio e una popolarità immensi. L'apparizione di una

croce luminosa a Migné (Vienne) nel 1826 aveva lasciato un ricordo durevole negli

animi... Vi furono anche altre apparizioni della Croce, più frequenti in quell'epoca di

quelle della Vergine. Era il tempo in cui venivano innalzati in tutta la Francia dei cai-

vari, a migliaia, come una protesta all'iconoclastia e alle bestemmie dell'inizio di

secolo. In piena Rivoluzione, nel 1848, il 24 febbraio, senza dubbio dopo la visione

profetica di Caterina, una croce, presa durante l'invasione del Palazzo Reale, era stata

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effettivamente portata in trionfo dagli insorti: punto in comune con la visione di

Caterina. L'insurrezione che saccheggiava il Palazzo Reale era divenuta processione

per accompagnare quel Crocifisso in chiesa, stando alle cronache del tempo. « Giovedì

scorso (24 febbraio), nel momento in cui il popolo aveva invaso le « Tuileries » e ne

stava gettando dalle finestre mobili e pitture, un giovane che fa parte della Conferenza

di San Vincenzo de' Paoli, accorse in tutta fretta in cappella, temendo (...) una

profanazione (...). Il pio giovane pregò alcune delle guardie nazionali di aiutarlo a

portar via i vasi sacri e il Crocifisso (...). Nel cortile, risuonarono grida contro gli

uomini che passavano carichi di quel prezioso deposito. Allora, quello che portava il

Crocifisso, lo innalzò in aria gridando: - Volete essere rigenerati? Ebbene! non

dimenticate che potrete esserlo soltanto per mezzo del Cristo! - Oh! sì, sì, rispose un

gran numero di voci, è il Maestro di noi tutti! E tutti si scoprirono il capo al grido di:

Viva il Cristo! Il Crocifisso e un calice senza patena furono portati per così dire in

processione fino alla chiesa di San Rocco dove furono ricevuti dal Parroco (dall'Amico

della Religione, 29 febbraio 1848, p. 497. CLM 1, p. 321)». Nel 1848, a differenza del

1830, il popolo rivoluzionario di Parigi acclamava spontaneamente alla croce di

Cristo. Caterina lo percepiva e se si fosse innalzato il calvario che ella chiedeva,

avrebbe potuto avere un irradiamento analogo a quello avuto dalla Medaglia

miracolosa. Questo monumento sarebbe stato il logico coronamento delle sue visioni

perché le avrebbe ricentrate sul Cristo. Tale logica era una convinzione profonda di

Caterina che l'esprimerà in una delle sue ultime parole, quelle in cui, sul letto di morte,

tradurrà la sua gioia di andare a ricongiungersi con « Nostro Signore, la Santissima

Vergine e San Vincenzo ». Questa frase riassume il tema delle sue visioni ma in ordine

inverso. Caterina ebbe prima la visione del cuore di San Vincenzo, nell'aprile 1830,

continuò con le apparizioni della Vergine a cominciare dall'estate dello stesso anno. E

tutto culminava in quel trionfo della Croce di Nostro Signore nel 1848, nel solco delle

visioni eucaristiche del 1830. San Vincenzo e la Madonna avevano trovato, non senza

difficoltà, un'eco presso il P. Aladel, ma il grandioso progetto della Croce non fu

accolto e venne sepolto... non senza sofferenza da parte di Caterina. Le sembrava che

il desiderio stesso del Signore e, nello stesso tempo, la sua missione fossero stati

amputati. In conflitto tra la visione e l'obbedienza, si è liberata la coscienza, mettendo

tutto per iscritto e ora si rifugia nel Signore. Non ne riparlerà più...

Un altare ed una statua

La Suor Caterina continua ad essere tormentata dall'ansioso desiderio di un altare, con

la Vergine del globo, che commemorerebbe l'apparizione e aprirebbe la cappella alla

sua vocazione di luogo di pellegrinaggi. Il P. Aladel, sempre più carico di responsa-

bilità per lo sviluppo delle « Figlie di Maria », prende allora le distanze da Suor

Caterina. Nel 1851, il P. Chinchon diviene il suo confessore ordinario a Reully e lo

sarà fino al 1875. Egli ha 35 anni ed ascolta di più, sebbene non cooperi maggiormente

del confratello. E' dietro iniziativa del P. Chinchon o del P. Aladel che Suor Caterina,

nel 1856, redige un racconto autografo sulle prime apparizioni: quella del cuore di San

Vincenzo e quella, del tutto sconosciuta, in cui la Vergine le aveva affidato una

missione, il 18 luglio 1830? Questi scritti rimarranno segretissimi. Ma qualcosa si

produce nel senso dei suoi voti. L'ampliamento della cappella, cominciato nel 1849,

comporta la realizzazione di un nuovo altar maggiore, dietro cui si innalzerà una statua

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della Vergine dei raggi, secondo il modello della Medaglia miracolosa. Tali

realizzazioni si verificarono secondo la logica del progetto di ampliamento che

comportava l'aggiunta delle navate laterali, più che secondo le richieste di Caterina: -

Non era affatto questo che ella domandava - assicurava Suor Hannezò, bene informata

al riguardo (n. 1315). Né il luogo, né la forma: - Ella non era affatto contenta della

statua della Santissima Vergine perché questa non era rappresentata come l'aveva

vista lei (...), con la « sfera » del mondo tra le mani (Suor Cosnard, n. 937, CLM 2, p.

255). Il P. Chincon, il nuovo confessore, riconosce che Caterina si lamentava con lui

dell'« atteggiamento» che il P. Aladel dava alla Vergine. Ugualmente il P. Chevalier.

Ed è nel luogo della prima apparizione della Medaglia, a destra e non al centro, che

ella desiderava l'altare. Almeno la statua ricordava l'apparizione e rispondeva al

desiderio d'illustrare il pellegrinaggio alla rue du Bac. Ma la Comunità, sempre più

numerosa, con più di 500 novizie in quegli anni, non permetteva di aprire la cappella

al pubblico. Caterina, che ne sperimentava i grandi benefici, ogni volta che vi si

recava, avrebbe desiderato di condividere generosamente questa grazia.

Lourdes e la rue du Bac

Quando sentì parlare dell'apparizione di Lourdes (1858), disse: - E' la stessa! « Ciò

che vi è di più straordinario - scrive Suor Dufès sua Superiora - è che Suor Caterina,

pur non avendo letto nessuna delle opere pubblicate, era più al corrente di tutti gli

avvenimenti, delle persone che avevano fatto quel pellegrinaggio ». Secondo Suor

Tranchemer, sua compagna, Caterina avrebbe detto: - E dire che questi miracoli

potrebbero aver luogo nella nostra Cappella! Si sarebbe espressa così anche con Suor

Millon: - Se i Superiori avessero voluto, la Vergine Santa avrebbe scelto la nostra

cappella. Secondo Suor Pineau, Suor Dufès avrebbe trovato: « tra gli oggetti

appartenenti a Caterina, un pezzo di carta su cui si leggono le seguenti parole, scritte

di pugno dalla suora: - Mia buona Madre, qui non vogliono fare ciò che voi volete,

manifestatevi altrove. In diverse circostanze, racconta Suor Cosnard, Suor Caterina ha

insistito con forza per persuadermi che il pellegrinaggio a « Nostra Signora delle

Vittorie » (la cui Confraternita aveva come insegna la Medaglia Miracolosa) e quello a

Lourdes erano stati accordati dalla Santissima Vergine, per supplire a quelli che i

superiori non avevano ritenuto dover autorizzare nella nostra cappella. - Tuttavia, mi

disse Suor Caterina, più volte, con un accento particolare, dei pellegrinaggi verranno

fatti malgrado tutto. Il tormento di non essere ascoltata, in certi periodi, la irrigidisce

un po' e ne perderebbe il sonno e l'equilibrio se non trovasse, ai piedi dell'altare, ciò

che la Madonna le aveva promesso: una sorgente di pace!

6. MORTE DEL P. ALADEL

La domenica, 23 aprile 1865, il P. Aladel fa una conferenza in cui ricorda le

apparizioni del cuore di San Vincenzo. Due giorni dopo, martedì 25 aprile, festa di

San Marco, i confratelli si meravigliano che egli sia assente perché è la regolarità in

persona. Ma non si muovono. La suora d'ufficio della sacrestia della Comunità, dove

egli celebrava la Messa, si preoccupa di vedere che, per la prima volta, ritarda. Corre a

San Lazzaro in cerca di notizie. Salgono nella camera del Padre e lo trovano disteso

sul pavimento, privo di conoscenza, col viso contro terra, colpito da un attacco

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apoplettico. Muore lo stesso giorno verso le 3 del pomeriggio. Le ultime parole

della sua ultima predica presero così il senso di un presentimento: «Quando l'ultimo

giorno della nostra vita, dopo il Consummatum est delle ultime sofferenze, l'anima

nostra lascerà il corpo che la trattiene prigioniera, se il nostro Beato Padre San

Vincenzo ritroverà in noi un grande spirito di fede, una grande carità, una tenera

predilezione per la Vergine Immacolata, ci presenterà a Lei, e l'Immacolata Maria ci

condurrà a Gesù». I suoi confratelli hanno pensato che egli avesse offerto la propria

vita in cambio di quella del Superiore generale che gli sembrava minacciata. Il

giovedì, 27 aprile, i funerali vengono celebrati dal P. Eugenio Vicart che gli succederà

come direttore delle suore e ammonitore del Superiore generale. Alla celebrazione

liturgica partecipano alcuni studenti lazzaristi. Uno di loro è Filippo Meugniot (20

anni), il nipote di Caterina. Di questa celebrazione egli ha conservato un ricordo che lo

colpì di « stupore». « Svolgevo l'ufficio di turiferario. Voltandomi per compiere un

movimento del cerimoniale, lo sguardo mi cadde su Suor Caterina che si trovava nel

primo banco con la sua superiora (Suor Dufès). Fui impressionato dall'aspetto radioso

della sua fisionomia. Non me ne spiegavo il motivo (...): ricordo e riflessi celesti delle

relazioni che ella aveva avuto col venerato defunto?». Tale serenità sarà ben presto

turbata da una nuova tormenta.

6. LA GUERRA E LA COMUNE (Luglio 1870-Giugno 1871)

1 LA GUERRA DEL 1870

Il 19 luglio 1870, l'Imperatore dichiara guerra alla Prussia. I Francesi, che l'epopea

napoleonica fa ancora sognare, si esaltano. Perfino in casa delle suore si prega per la

vittoria, come testimonia Suor Tranchemer, 44 anni, bretone, legittimista, della quale

Suor Dufès giudica la « pietà esaltata» (n. 630). Caterina non partecipa a questo

entusiasmo: - Poveri soldati! - dice soltanto.

Il serpente nel deserto

Il 4 agosto 1870, il P. Etienne pubblica una circolare per esortare alla fiducia. Vi evoca

lo straordinario movimento di grazie che anima Lazzaristi e Figlie della Carità e lo

attribuisce - più esplicitamente che mai - alla prima visione di Caterina: quella del

cuore di San Vincenzo «profondamente afflitto dai grandi mali che stanno per

abbattersi sulla Francia». Le due Case Madri hanno beneficiato di una stupefacente

protezione, nel 1830, secondo la predizione della veggente ancora sconosciuta, come

egli ricorda.

Assedio di Parigi

La guerra va male: sconfitta in Alsazia fin dai primi di agosto, poi in Lorena. Il 2

settembre capitola Sedan. Napoleone si costituisce prigioniero, l'Impero crolla, la

Repubblica è proclamata il 4 settembre. I Prussiani si avvicinano a Parigi; il 13 e il 14

settembre, le suore delle 30 case della periferia, talvolta accompagnate dai loro poveri,

si rifugiano nella capitale. Un'ambulanza è organizzata alla Casa Madre. Caterina si dà

da fare presso i « fornelli » di Reully per nutrire non solo gli anziani dell'ospizio, ma

anche i poveri affamati, il cui numero va crescendo... Si dovranno moltiplicare le

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porzioni fino a 1200 al giorno. Compito duro per le suore e dura prova questa!

L'11 settembre 1870, i superiori le autorizzano in via eccezionale alla Comunione

quotidiana ed esse vi attingono forza e pace. Il 18 settembre 1870, i Prussiani

assediano Parigi. Le suore si affidano alla protezione di Maria: appendono la Medaglia

alle porte e finestre della casa: - Bisogna nasconderle! - dice una Suora. - No! -

protesta Caterina - Mettetele in mezzo al portone.

Caterina Superiora?

Durante i primi giorni dell'assedio, il nipote Filippo, ormai lazzarista, viene a farle

visita a Enghien. La ritrova « nel suo ufficio della portineria» nell'angusto locale, che

ella mantiene disadorno come una cella monastica. « Non si dilungò sui tragici

avvenimenti. La sua conversazione fu un po' più familiare di quanto non lo fosse

abitualmente. Mi parlò della sua gioventù, passò alla vita di comunità. Mi ricordo

soltanto di una cosa (...): la Superiora generale delle Figlie della Carità (che era credo

la Madre Devos, morta in odore di santità), l'(aveva fatta) venire e le (aveva) comu-

nicato che pensava di nominarla Suor Servente (cioè superiora di una casa). - Oh,

Madre! rispose Suor Caterina - sa bene che non ne sono capace. « E fui rimandata a

Enghien» (concludeva). Il tono della voce completava bene il suo pensiero e voleva

dire: - E hanno fatto bene. Caterina non sarà mai Superiora di nome, ma sta per

rivelarsi superiore agli avvenimenti. Metz capitola il 31 ottobre; a questa notizia

scoppia una rivoluzione che, però, muore sul nascere. Gli eventi non impediscono che

si effettui una « presa d'abito » per 30 suore, il 14 novembre, alla Casa Madre. Esse

sostituiranno le suore inviate a Bicétre per assistere i colpiti dal vaiolo. Altre 23

prendono l'abito il 28 per facilitare l'invio di un rinforzo sperimentato al medesimo

ospedale.

Fame e cucina

A Reully « le scuole e l'asilo» sono convertiti in ambulanza mentre l'ospedale militare

del Val de Gràce, servito dalle Figlie della Carità, vi stabilisce la propria «succursale».

Il sindaco incarica le suore di distribuire la carne alle piccole ambulanze del quartiere.

Viene instaurato il razionamento dei viveri: la penuria diventa fame e complica il

compito di Caterina nella cucina economica. I 40 cavalli del magazzino del « Bon

Marché», « così belli, puliti, ingrassati», sono venduti come carne da macello, non

avendo più di che nutrirli. Le suore della rue du Bac vengono a saperlo troppo tardi...

Ne avrebbero comprato qualcuno! « La carne d'asino è venduta a 5 franchi la libbra (e

non se ne trova) neppure (...) a questo prezzo esagerato. Non vi sono più aringhe salate

né salumi, non si trova che riso, pane e vino». « Siamo razionati a 30 grammi di carne

a testa per giorno», si legge nel Diario del 10 novembre 1870 (Anfr. 1871, p. 221). In

data 12 novembre, un coniglio costa 20 franchi-oro, un gatto 8 franchi, si comincia a

mangiare carne di cane («eccellente»)... e di topo (p. 226). Suor Caterina, cui piace

servire con larghezza, si vede ridotta a quella parsimonia che non sopportava in Suor

Vincenza, ai tempi delle sue prime armi in cucina. La giovane Suor Mauche, 25 anni

(futura Superiora generale), non può rassegnarsi a nutrire così male i suoi feriti e

diventa ingegnosa per procurare loro dei « supplementi». Si dà tanto da fare che i

malati la chiamano « l'ebreo errante». Un giorno, mentre le suore pregano in cappella,

essi ne celebrano i meriti con tanto entusiasmo che tutta la comunità li ode, attraverso

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il tramezzo, compresa la suorina che nasconde il viso tra le mani. Non è forse

riuscita a preparare per i suoi 90 malati un'« insalata» di arance innaffiate da tre litri di

rhum, carpiti al medico e al « comandante», un severo ufficiale dalla barba bianca?

Quel lusso mascherava la realtà: non vi era neppure una arancia a testa. Suor Caterina

si ingegna ugualmente per la sala dell'ambulanza, di cui è responsabile, come ci

comunica Suor Tranchemer (CLM 2, p. 147). Le sue due nipoti, Marta di 6 anni e

Giovanna di 4 «di salute delicata», ricorderanno a lungo « i sollievi» che ella

procurava loro, in occasione delle visite a Reully, « col permesso dei Superiori.

Ricordo la nostra gioia infantile - scrive Marta - nel ricevere da lei del pane bianco e

una porzione di piselli conditi col lardo: cosa molto rara in quel momento. Mia sorella,

nella sua ingenuità di bambina, supplicava la nonna (Tonina): - Ancora un pisello -

(Relazione di Marta Duhamel, p. 4)». I dolciumi sono riservati ai malati e ai feriti. Le

suore sono ridotte alla porzione minima. Suor Dufès si preoccupa di vederle « divorare

in certi giorni nient'altro che un pezzo di pane nero», dopo un lavoro sfibrante. La

giovane Suor Eugenia confesserà più tardi che prima di lavare il mestolo del servizio,

guarda vergognosa se è davvero sola e lecca avidamente le magre particelle di

minestra rimaste sul cucchiaio con cui è stata servita.

Vere e false speranze

L’ingenua speranza che Dio accorderà la vittoria predomina sempre nella comunità

delle suore. Una di loro mobilita Caterina a pregare: - Povere figlie - risponde questa -,

preghino anche per i nostri poveri soldati così disgraziati in questa terribile guerra

(...). Quando viene annunciata una pretesa vittoria, ella sorride con aria incredula: -

Uccello di cattivo augurio - protesta Suor Tranchemer. Caterina replica: - Non si

spaventi, la Vergine Santa ci protegge. Veglia su di noi e su tutta la comunità. Suor

Tranchemer, affascinata da Suor Caterina, che sa esser la veggente della Medaglia,

non ne comprende però l'atteggiamento: sembra che veda solo disgrazie,

capitolazione, entrata dei Prussiani in Parigi, manifestando, tuttavia, una calma e una

fiducia a tutta prova, che invita a condividere. Il 16 dicembre, due piccioni viaggiatori

recano una notizia incredibile: i Prussiani hanno passato la Loira, Orléans è caduta. A

Parigi, il 1° dell'anno 1871 è sinistro, senza ricevimenti. Ma la Gazzetta Ufficiale del 2

gennaio afferma « che non si capitolerà, costi quel che costi ». Si conta sulle 400.000

Guardie nazionali per una operazione massiccia. Corrono profezie circa una grande

battaglia che dovrà svolgersi sotto le mura di Parigi e che farà delle vittime, ma sarà

vittoriosa (Diario, in Anfr., 1871, p. 264).

Inverno totale

Dal mese di dicembre, il gelo spacca le pietre: il 5 gennaio 1871, la temperatura

scende a li gradi sotto zero. Gli obici piovono sulla capitale; i monelli parigini ne

vendono le schegge. Si racconta di questo dialogo tra uno di loro e un suo cliente: -

Quanto costa una scheggia d'obice? - Borghese non ne ho più, ne aspetto. Si spiano

dei segni in cielo. Il 17 gennaio, verso le sette della sera, il giardino di Reully è

ricoperto di uno strato di neve friabile. Le giovani operaie, andandosene a casa, danno

in esclamazioni dinanzi alla tinta « fuori dell'ordinario » dell'« Qrizzonte, misterioso,

velato»... che esse recepiscono come un presagio: - Il cielo è in lutto per tutti i nostri

lutti - dice Suor Tranchemer. Caterina guarda e tace. La compagna comprenderà ben

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presto che quella sera la Vergine appariva nel villaggio di Pontmain, anch'esso

ammantato di neve. E' a questa visione che pensava Caterina?, si domanda la suora

senza ottener risposta all'interrogativo. L'11 gennaio «un'aurora boreale getta il ter-

rore» su tutto il personale della casa: suore, bambine, feriti. Caterina non si

sconvolge... Il 18 gennaio i generali Trochu e Ducrot preparano in segreto

un'operazione per la quale mobilitano tutte le forze possibili. Si vengono a cercare gli

uomini validi all'ambulanza diretta da Suor Caterina. Alcuni di questi sono appena

ristabiliti: - Poveri agnelli! - ella dice - Li conducono al niacello. L'indomani, 19

gennaio, è la sortita di Buzenval. Le truppe conquistano le alture di Montretout,

Garches e La Jonchère, ma si ritirano con una sanguinosa sconfitta.

Caduta di Parigi

Il 26 gennaio 1871, alle 4,30 del mattino, 72 bombe piovono sull'ospedale militare del

Val de Gràce. Il fuoco crepita, l'infermiera - una Figlia della Carità che fa la veglia - fa

trasportare i malati al piano superiore. Appena gli ultimi hanno abbandonato la sala,

crolla il soffitto. Il 29, si conclude un armistizio e il 1° marzo i tedeschi entrano in

Parigi.

2. LA COMUNE (marzo-maggio 1871)

Un'altra guerra

E' la pace umiliante ma anche densa di rimproveri e minacce. Recandosi a pregare

davanti alla « Vergine del giardino» con Suor Caterina, Suor Tranchemer le dice: -

Capisce questo, Suor Caterina? Abbiamo capitolato e tutti i nostri militari dicono che

avremo la guerra! Una guerra ancor piu' terribile dell'altra! Caterina,

apparentemente pessimista riguardo agli avvenimenti, irradia una pace e una fiducia

che non sono intaccate dagli choc quotidiani. Suor Tranchemer crede di ricordare che

ella ha predetto la « guerra civile». Alla data in cui colloca la conversazione, infatti,

cioè il 21 marzo, la Comune non è più una profezia. Si è stabilita dopo una lunga

fermentazione e la creazione di comitati segreti, fin dal 2 marzo. Questo movimento di

resistenza popolare, anarchico e laico, è ostile a tutto ciò che ricorda l'antico regime: il

clero, la famiglia reale che sovvenziona l'ospizio di Enghien. Le suore si trovano,

dunque, « dalla parte cattiva». Il loro instancabile servizio in favore di ogni genere di

miseria, dona loro, tuttavia, l'affetto e la simpatia del popolo. Esse tengono un posto

incalcolabile nel quartiere che la Comune vuole risvegliare a un nuovo ideale. Tra i

comunardi dalla sciarpa rossa, dalla parola generosa, e le suore sicure della loro fede e

della loro missione, estranee al clima politico in cui tutto è immerso, che lo si voglia o

no, sarà uno scatenarsi di drammi psicologici che si concluderanno quasi sempre senza

vincitori né vinti. La nuova rivoluzione è un'esplosione adolescenziale in cui si

uniscono violenza e gentilezza, utopia e organizzazione, ideologia e umanità. Gli

umiliati, promossi alla parola e al potere, non hanno sempre la stoffa per tali funzioni.

E il movimento spesso strariperà a causa di questi caratteriali contro i quali esso si farà

un dovere di infierire. Nella notte dal 17 al 18 marzo, la « vigilia della festa di San

Giuseppe», gli insorti hanno preso d'assalto la « Butte Montmartre». Il cannone tuona

e lo si sente da Reully. La sede della Comune è ora all'« Hotel de Ville », dove prepara

le elezioni per il 22 marzo. La vigilia, Suor Tranchemer aveva profittato di un

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momento di sosta per prendere in trappola Caterina, il cui apparente pessimismo urta

il suo patriottismo: - Ma, Suor Caterina, come ha saputo quello che sarebbe

accaduto? Chi glielo ha detto? Il suo buon angelo? Nostro Signore?... Allora, se non è

il suo angelo custode, né Nostro Signore, è dunque la Santissima Vergine! Caterina

elude ogni risposta ma rimane pessimista: - Mio Dio, quanto sangue, quante rovine!

Suor Tranchemer, esaltata da questa sinistra prospettiva, va a trovare la superiora, che

si accalora parlando col P. Chinchon, il confessore della casa. Giunto da Dax, egli si è

recato a Enghien il 21 marzo. - Che cos'ha? - domanda freddamente la superiora

conoscendo l'esaltazione dell'importuna, che esagera sempre le cose. Il P. Chinchon

tace, Suor Dufès rimprovera: - Ecco! Lei perde la testa e anche Suor Caterina. Vada

dunque a comunicare queste predizioni alle sue compagne... E' questo che fara? - Oh

no, certo, « ma Soeur »! - Va bene, conservi il silenzio! - Sì, « ma Soeur» - conclude

Suor Tranchemer che si ritira, poco lusingata, ma impressionata dalla calma di

Caterina e dalla sua speranza su un orizzonte dallo sfondo così oscuro. Conseguenza

dell'episodio, un colloquio di Caterina col P. Chinchon, suo confessore, che è

impensierito da questa conversazione. E' in quella occasione che egli le avrebbe fatto

mettere per iscritto le predizioni ricevute nella notte dal 18 al 19 luglio 1830,

compresa la morte dell'Arcivescovo annunciata entro il termine di 40 anni. Le elezioni

decise dalla Comune urtavano contro opposizioni vivaci. L'impresa era rischiosa, ma il

nuovo regime ha il prestigio della sua resistenza ai Prussiani e delle sue idee generose

per una società nuova nascente sulle rovine di un impero crollato catastroficamente.

La partecipazione si rivela superiore alle previsioni: 229.000 elettori su 480.000

iscritti, con una forte maggioranza nei quartieri operai. Il 26 marzo, il nuovo governo

comincia a legiferare. A dispetto della contro-propaganda versagliese, rimette in

funzione i pubblici servizi, mette una tassa sul pane e la carne, controlla i mercati

pubblici e privati, riorganizza il servizio sanitario (13 aprile), sopprime il lavoro

notturno dei panettieri, e il diritto, fino ad allora riconosciuto ai padroni, di prelevare

delle ammende sui salari (20 maggio). Prepara l'elezione di una camera federale di

lavoratrici. I comitati rivoluzionari proliferano. La reazione contro l'antica società

implica l'anticlericalismo. Le suore non hanno più posto in una simile società e sono

minacciate. Il pessimismo le investe, ed ecco che Caterina le rassicura: - La Vergine

veglierà, custodirà tutto. Non ci accadrà alcun male - afferma. E aggiunge: -

Dobbiamo pregare affinché Dio abbrevi i giorni cattivi.

Un sogno?

Nei primi giorni di aprile, Suor Dufès, preoccupata, riceve una visita di Caterina nel

suo studio: « Ella mi disse con la sua abituale semplicità: - « Ma Soeur», la Santissima

Vergine è venuta a vederla, e non l'ha trovata. - Come? - le risposi - E' venuta la

Santissima Vergine? - Si, ma Soeur, è entrata nella sala di comunità e ha chiesto di

lei. Non trovandosi lei nella sala, la Vergine si è recata nel suo studio, si è seduta al

suo posto e mi ha detto: « Dica a Suor Dufès di stare tranquilla, non accadrà nulla a

questa casa, ella può andarsene. Io terrò il suo posto». Poi Suor Caterina mi annunciò

che avrei dovuto lasciar la casa, che sarei partita con Suor d'Aragon, la cui famiglia

volentieri ci avrebbe ospitate, e non sarei tornata che il 31 maggio». Suor Dufès alza le

spalle: un bel sogno! Ma il « sogno» ha fatto colpo. Caterina è interrogata al riguardo

durante la ricreazione. Suor Maui-el d'Aragon, che non era presente, l'interroga

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l'indomani. Ella raccoglie un'altra versione che si riassume nel modo

seguente: - Quando ho visto la Vergine Santa, sono venuta a cercarla perché le

facesse gli onori di casa ed è lei che l'ha accompagnata nello studio di Suor Dufès. La

Vergine si è seduta alla scrivania dicendo che avrebbe custodito la casa. Dopo di che

è scomparsa. La comunicazione di Caterina non viene presa sul serio: miraggio che ci

si compiace di far balenare nei periodi di turbamento. E' accolta più con « humour»

che con tragicità. Caterina stessa è un po' stupita di aver fatto questa confidenza, lei

che non è chiacchierona. Incontrando Suor Dufès, quello stesso giorno, le dice: -

Sorella, non deve prestare eccessiva attenzione a quello che ho narrato. - Oh, cara

sorella, non vi ho neppure pelisato! - risponde la Suor Servente. Per tutti, non si tratta

che di un sogno fantastico, ma più tardi, quando si avvererà, Suor Dufès lo considererà

una visione. Caterina glielo avrebbe confermato in seguito. Suor Chiara d'Aragon è

rimasta con la persuasione che se Caterina ha parlato di sogno, sul momento, « è per

umiltà». E, tuttavia, la maggior parte dei testimoni lo narrano come un sogno.

Venerdì Santo (7 aprile)

La situazione peggiora in questa calda primavera. Il 7 aprile, Venerdì Santo, allarme

all'ospedale improvvisato dove le suore curano più di 200 soldati. Due di loro «sono

andati a denunciare la presenza di due gendarmi nell'ambulanza. Il fatto corrisponde a

verità». Sono due feriti. Ma la notizia è esplosiva perché « i gendarmi di Versailles

fucilano e assassinano i patrioti», secondo l'affermazione dei manifesti della Comune.

« La folla si reca nella casa delle suore per impadronirsi di questi due uomini e

fucilarli. Essi non poterono sfuggire e furono condotti al corpo di guardia». Il risultato

sembra senza speranza. Ma Suor Dufès accorre « nella caserma di Reuilly» e insiste: -

Questi gendarmi non hanno preso parte a nessuna spedizione contro il popolo. Sono

dei malati; si trovano nell'ambulanza dietro prescrizione medica. La sua autorità

ottiene l'impossibile: le vengono restituiti i due uomini: - E' sotto la sua

responsabilità! Le cose restano a questo punto per oggi.

Pasqua violenta (9 aprile)

Il giorno di Pasqua, nuova ed ultima visita del P. Chinchon, perché gli audaci

viaggiano in questi tempi torbidi: egli partirà alla volta di Bruxelles prima di rientrare

a Dax. Il P. Chinchon confessa: Caterina, che è sua penitente da 20 anni, ne approfitta.

E' in quell'occasione che egli raccoglie da lei le profezie del quaderno nero: « di 15

centimetri per 21 », il cui contenuto impressionerà tanto fortemente il P. Serpette al

suo arrivo a Dax? Il P. Chinchon celebra la Messa che non era stata celebrata da molto

tempo. Meraviglia in questa festa di Pasqua! Nello stile scarno e nell'incertezza,

l'Eucaristia assume tutto il suo valore trascendente nella morte e la resurrezione di

Cristo, ritrovando una dimensione insospettata. La gioia e la pace relativizzano pri-

vazioni, preoccupazioni e drammi quotidiani. Quella sera di Pasqua, durante la

ricreazione, una folla di 100 comunardi armati invade di nuovo la casa. Alla loro testa,

questa volta, vi è colui che è stato eletto Sindaco del XII cincondario (Diaire, Anfr

1871, p. 395). La liberazione dei gendarmi è stata contestata. Come mai i

rappresentanit del popolo si sono lasciati influenzare dagli argomenti presentati da una

suora, senza dubbio complice della reazione? Quelli che stamane avevano ceduto se ne

vergognano. La truppa ostile viene tumultuosamente a reclamare i due gendarmi. Le

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suore resistono; una di esse riconosce, in prima fila, un uomo che aveva sfamato,

insieme alla sua famiglia, durante l'assedio: - Lei! - esclama la suora. L’uomo si na-

sconde a malapena dietro gli altri ma non osa intervenire per calmare i camerati. -

Consegnateci i due gendarmi! - Mai! - risponde Suor Dufès. Si levano delle sciabole,

alcune mani si tendono verso di lei ma senza osare di toccarla (n. 1360)). Uno dei

soldati della Guardia mobile di Parigi, che aveva denunciato i due gendarmi, forza la

barriera formata dalle suore, « seguito dalle guardie» e incomincia «una perquisizione

nella casa per trovare i due proscritti che conosceva benissimo avendo trascorso più di

due mesi in loro compagnia. Uno di questi era ben nascosto; perciò non lo trovò.

L'altro era a letto e Dio permise che la guarda lo vedesse, gli passasse davanti e non lo

riconoscesse...». L'insuccesso della perquisizione suscita l'esasperazione. Suor Dufès

incassa il colpo senza cedere, ma la sua autorità fonde in questa fornace... Uno degli

invasori le mette le mani addosso, vuole rapirla di forza: - gendarmi o la superiora! -

grida. - Ella se ne è fatta garante. Alcuni infermieri e dei soldati feriti la sostengono.

Le 30 suore (tra le quali Caterina) arrivano e fanno corpo con la loro Suor Servente.

Saranno condotte via tutte o nessuna! La solidarietà delle trenta « cornette » pone il

problema di questo ospedale, il cui servizio dev'essere assicurato... Lo psicodramma

volge nella facezia: - Cosa volete che faccia di tutte queste rondinelle spaurite? -

esclama il sindaco del XII cir condario, scoppiando a ridere. Questa uscita salva la

situazione. Ma egli aggiunge: - Domani avrete mie notizie. Nessuno ha perduto la

faccia. Sono le 10 della sera. Le suore sono stupefatte di queste fiammate di violenza

nel loro paese. Il comandante ha usato un linguaggio truculento, « sconveniente »! Mai

avevano visto nulla di simile, neppure quelle di loro che erano state in Medio Oriente

o negli Stati Uniti!

Lunedì di Pasqua (10 aprile)

Le suore, che hanno molti amici nella piazza, sono avvertite discretamente che un

«mandato d'arresto» regolare è stabilito contro Suor Dufès per « cospirazione con gli

Orléans», fondatori del l'ospizio di Enghien. Due religiose di Picpus, vicinissime di

casa, e due Figlie della Carità sono state condotte nella prigione di San Lazzaro. Suor

Dufès non potrà evitare l'arresto; viene sollecitata, perciò, a fuggire. Il Lunedì di

Pasqua, 10 aprile, alle 11 ella fugge, profittando del momento in cui le guardie

nazionali si trovano al caffè. Conduce con sé non Suor d'Aragon, come aveva predetto

Suor Caterina, ma Suor Tanguy. Giungono la sera stessa a Versailles, dove l'esercito

regolare ha posto i suoi quartieri. Ma all'arrivo, Suor Dufès è invasa dall'angoscia. Che

idea ha avuto di condurre con sé Suor Tanguy? Lascia la comunità senza capo, in una

situazione difficile! In realtà, la comunità ha reagito bene: di fronte alla drammatica

situazione, si è rifatto un capo...

Caterina al Quartier Generale

Mentre Suor Dufès si nascondeva, « una suora» che il Diario della Comune conserva

anonima, ha la geniale idea di prevenire gli avvenimenti: si reca al Quartier Generale

degli insorti a Reuilly. E' meglio che la discussione avvenga in casa loro che nella

comunità. E tale diversione maschera la fuga di Suor Dufès. Chi è la suora di cui non

conosciamo il nome? Non è Suor Tanguy che è da poco partita, nè la piccola Suor

Mauche, che è troppo giovane. E' Caterina, l'anziana, già responsabile dell'ospizio di

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Enghien e che sostituisce la superiora quando è assente. L'anonimato sotto cui la

custodiscono gli appunti dell'epoca si spiega con la discrezione che è di rigore quando

si tratta di Caterina, il cui segreto è soltanto trapelato. Ella viene a difendere con calma

la causa della sua superiora davanti al nuovo Sindaco del XII circondano. Tutto questo

le ricorda il tempo in cui suo padre era il signor Sindaco a Fain. Ma qui, quanti tipi

robusti con la cintura rossa! Ve ne è di che turbare persone meno solide di lei. Questa

visita tormenta i comunardi, preoccupati delle loro relazioni con le suore, sostenute

dall'opinione pubblica e riconosciute di pubblica utilità. Caterina è stupita della facilità

con cui ha « potuto penetrare in questo santuario ». « Ella si trova di fronte a una

sessantina di individui, gli uni seduti intorno a un tavolo, gli altri armati di fucili; altri

mangiano o fumano, tutti avvolti in cinture rosse che salgono loro fino al collo, come

scrive la cronaca del Diaire con una punta di esagerazione ». La Comune è al corrente

dell'affare. Non appena Caterina ha pronunciato la sua arringa sul giusto diritto di Suor

Dufès, è accolta da una ondata di invettive. Ella « subisce » l'affronto senza batter

ciglio, per il tempo necessario, ritta e calma. Quando essi hanno vuotato ben bene il

sacco e torna il silenzio, domanda: - Volete permettermi di spiegarmi? Il momento era

stato ben scelto. Istintivamente, Caterina ha ricordato la vecchia regola del Vangelo:

quando vi troverete dinanzi ai tribunali, non preoccupatevi di quello che direte, lo

Spirito Santo ve lo suggerirà. Ella si spiega « coraggiosamente, con poche parole » e la

sua laconicità serve la causa che difende. Secondo la cronista, la sua argomentazione

si riassume in quanto segue: « La superiora non era tenuta a mantenere la parola data,

dal momento che aveva ottenuto dalla stessa Comune dei lascia-passare, su cui era

stato apposto il timbro ufficiale per i gendarmi, i quali, naturalmente, avevano potuto

servirsene - E' falso, è falso - le gridano. - D'altra parte, Lei avrebbe dovuto dircelo. Il

sangue borgognone di Caterina le monta alla testa: - Come - risponde - spetta a noi di

funzionare da polizia? E, dal momento che ci viene mostrato un lascia-passare, col

vostro timbro, dobbiamo tenerlo per sospetto? La si vuole trarre in arresto, ma ella

gioca sull'ordine e la regolarità dei prestigiosi documenti nei quali la Comune mette il

proprio onore: - Mostratemi il vostro ordine, il vostro mandato! - dice Suor Caterina.

A questo punto, il comandante del distaccamento sguaina la sciabola: - Ecco il mio

ordine, ecco il mio mandato! Parecchi uomini dalla cintura rossa circondano Caterina,

ma uno dei soldati da lei curato nell'ambulanza (un uomo di cuore), si è levato in piedi

più presto degli altri: «Afferrando la suora per le braccia, la strappa a quei furiosi.

L'aveva afferrata con tanta forza, che la suora ha ancora le braccia illividite, nota la

cronista Caterina era stata forse afferrata dapprima in maniera più rude. Quel che è

certo è che lascia liberamente il municipio: ha vinto! « La sera, le guardie nazionali

che occupavano la casa di Reuilly furono fatte partire ». I comunardi ritorneranno? si

domandano tremanti le suore. Il racconto della spada sguainata le impressiona, come

le braccia « tutte livide »che Caterina ha dovuto mostrare al suo ritorno. La Comune

spera ancora di durare. Per questo, deve ristabilire la pace con le suore che vivono

senza paura in questo quartiere.

Medaglie e insicurezza

Il 23 aprile i combattimenti si intensificano. Un mattino, grande emozione: una

battaglia si prepara per l'indomani. Dei comunardi accorrono ma questa volta è per

chiedere medaglie a Suor Caterina. Quelle che ha date hanno accreditato la sua

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protezione. Un giovane, bestemmiatore inveterato, ne vuole una. - Dove corre

così? - gli domanda Suor Tranchemer. - A cercare una medaglia! - Ma Lei non crede

né a Dio né al diavolo! Cosa ne farà? - E' vero - risponde - ma domani andiamo al

fuoco! Essa mi proteggerà! - Vada, dunque, speriamo che La converta - soggiunge

Suor Tranchemer. L'altro è pronto a tutto per ottenere ciò che vuole, e Caterina

distribuisce generosamente, senza preferenza nè di partito nè di persona. La Vergine

riconoscerà i suoi e convertirà gli altri: Caterina si affida a Lei. La vita continua a

Enghien-Reuilly. Caterina si dedica al suo lavoro, tanto più schiacciante in quanto il

numero delle suore è diminuito nella tormenta: da 33, eccole ridotte a 14. C'è da

averne il respiro corto, con le responsabilità, la cucina, le pressioni della Comune, l'in-

sicurezza per gli anziani e le bambine. Si trova il mezzo di mandare le donne anziane a

Ballainvilliers da Suor Mettavent, in una zona tranquilJa. Riguardo alle orfanelle,

quelle che hanno una famiglia più o meno lontana sono state inviate ad essa. Ma ne

restano una trentina. Che fare? Il Dottor Marjolin, medico dell'ospedale « Santa

Eugenia» (oggi, « Trousseau »), vedendo la situazione, « viene spontaneamente a

proporre » di « accoglierle nel suo convalescenziario di Epinaysous-Bois (Senna e

Marna), Suor Millon ve le conduce « al riparo da ogni pericolo ». - Sono convinta che

dobbiamo alla protezione della Vergine Santa questo felice avvenimento e di Suor

Caterina non vi è estranea - affermava Suor Millon al processo di canonizzazione (n.

966, 10 giugno 1898, CLM 2, p. 293).

Maniera in cui si avvera la profezia

A Versailles, tuttavia, Suor Dufès, strappata alle sue responsabilità, è divorata

dall'inquietudine. L'indomani del suo arrivo, 11 aprile, la battaglia tra i Versagliesi ed i

comunardi ha avuto inizio. Che cosa accadrà nella casa? E che idea ella ha avuto di

condurre con sé l'elemento più dinamico e più solido della comunità: Suor Angelica

Tanguy? Quasi quasi sarebbe pronta a ripartire! Ma Suor Tanguy previene questo pro-

getto suicida: è lei che tornerà ad Enghien. Suor Dufès accetta, sollevata: - Mi mandi

Suor Chiara d'Aragon. E se la situazione si prolunga, mi recherò con essa nel

Mezzogiorno. La famiglia di Suor Chiara abita nelle vicinanze di Tolosa e ha offerto di

accoglierle. Ed è pure a Tolosa, alla casa S. Michele, che trent'anni prima, al termine

del Seminario, che Suor Dufès era stata destinata. Il 17 o 18 aprile, Suor Tanguy

riparte dunque per la casa di Enghien, dove arriva senza ostacoli e manda

immediatamente Suor Chiara a Versailles. Suor Dufès parte subito con la nuova

compagna per Tolosa dove arriverà il 20 aprile. Vi rimarrà più di un mese... Si realizza

così la predizione di Caterina: - Non vi pensavo neppure più - dirà più tardi Suor

Dufès. - Ma in seguito, questa coincidenza mi colpì molto.

Le cittadine

Sin dal suo ritorno, Suor Tanguy ha ripreso la direzione della scuola che funziona

come può: manca di personale e, soprattutto, di locali, in seguito all'invasione dei

feriti. Pare che, fin dal 18 aprile, ella vede giungere due donne, delle cittadine dalla

cintura rossa: - Veniamo a sostituire le suore. Hanno un ordine di missione: si tratta di

educare le bambine secondo il nuovo spirito, evitando « ciò che potrebbe violentare le

giovani coscienze ». Questo implica il fatto « di non parlare più di Dio », di « togliere

il Crocifisso, di non fare più il catechismo », ecc. Quel giorno, le « cittadine » non si

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spingono oltre, e se ne vanno dicendo: - Ritorneremo! Il che avviene presto.

Un'antica alunna di Suor Angelica si presenta per prendere « il posto di direttrice ». -

Come, sei tu, cittadina! - risponde l'antica maestra alla sua antica alunna venuta a

soppiantarla. - Sei tu che accetti un simile mandato! Non te ne vergogni? La ragazza

non vuole udir nulla, si installa in cattedra, come ha visto fare, in altri tempi, a Suor

Tanguy e si prepara a dare un compito alle bambine. Ma una di queste, si mette in

ginocchio, imitata dalle altre: - Perdono, signora, non abbiamo fatto la preghiera. La

nostra maestra ci faceva cominciare sempre da essa. Una volta di più, la solidarietà va

contro corrente. Le Figlie di Maria sorvegliano la casa perché niente venga rubato, e

nascondono a poco a poco quello che sembra minacciato. Le cittadine sono diventate

la preoccupazione numero uno. Sono là sul territorio delle suore per soppiantarle. Una

di loro è terribile: la « Valentin » che i testimoni qualificano come « mostruosa » senza

precisare meglio.

Caterina e la « mostruosa » Valentin

Poco dopo la metà di aprile, due comunardi armati attraversano il giardino di Reuilly.

Entrano nel piccolo refettorio di Enghien e chiedono di Suor Caterina. Vi trovano due

suore, che non si curano di informarli: i due puntano il revolver alla gola di una di

esse. Suor Tranchemer interviene: - Disgraziati! non è Suor Caterina! Riponete la

vostra arnia nel fodero e ve la farò conoscere, se mi garantite che non le sarà fatto

alcun male! - Vengo a cercarla per condurla a Reuilly; il cittadino Filippo vuol

vederla, ma non le verrà fatto del male. Ve la ricondurrò! - Guardate, eccola! Ma

riponete le armi, le suore non hanno bisogno di queste per camminare, se quello che

si domanda loro non è contrario alla coscienza. Le suore la vedono andar via, col

cuore stretto. Si parla di ostaggi, di esecuzioni... Si mettono in preghiera, mantengono

« le finestre aperte »e spiano il rumore di una « denotazione ». Trascorrono due ore

che sembrano « eterne ». Ecco Caterina di ritorno, scortata dalle sue due guardie del

corpo. Era stata convocata, non a motivo del processo delle suore ma per quello della

« Valentin »... e come testimone di accusa. La Comune ne aveva abbastanza delle

stranezze di questa esaltata: voleva dare un esempio. Perché citare Caterina? A causa

della fiducia che ella ispirava? O perché aveva particolarmente sofferto per colpa della

« cittadina »? Il tribunale si attendeva la ferma accusa di questa suora che sa parlare

con giustizia. Sorpresa! Ella si pone come testimone in difesa, e discolpa la Valentin.

Decisamente, con le suore accade sempre qualcosa di inaspettato! Non si arriva a

sapere da quale parte stanno... Ecco i giudici costretti a essere misericordiosi!

Ultima Messa a Reuilly

La sera del 23 aprile, seconda Domenica di Pasqua, il P. Mailly, Procuratore di San

Lazzaro intrepido « passe-partout », viene in cerca di notizie. Da quindici giorni, le

suore non hanno avuto « nè messa, nè comunione». Egli promette di tornare

l'indomani e mantiene la parola. E' diventato abile nel passare inosservato, secondo i

settori che traversa... Eccolo il lunedì mattina, 24; il suo nuovo travestimento fa ridere

le suore. Trovano che egli ha « i modi di un artista decoratore di terza categoria» (sic).

Ma il Padre si è munito di un pacchetto contenente una veste talare che indossa al suo

arrivo... Celebra la messa, confessa fino alle 9 e si eclissa... Fa bene, perché questa

messa è stata scoperta; inoltre egli ha lasciato alle suore tutto un carico di provviste

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inviate dagli Inglesi, per le famiglie povere. La distribuzione ha inizio poco

dopo che è andato via.

Distribuzione agitata

« Alle 10 », arrivano i delegati della Comune. Più di 200 persone fanno la coda sulla

strada: le suore hanno cominciato il loro lavoro. Su consiglio del P. Mailly,

preoccupato di prevenire la ressa e la collera della gente frustrata, esse hanno

avvertito: - Buona gente, ve ne sarà soltanto per i primi arrivati. L'attesa è rassegnata,

ma ansiosa: - Fermate la distribuzione! - comandano i delegati. - Signori, vi

preghiamo di annunciarlo voi stessi, perché le donne del quartiere ci strapperanno gli

occhi, se le rimandiamo a mani vuote! - Certo! - rispondono i delegati. Detto fatto

annunciano: - La Comune requisisce i viveri! Ne risulta una mostruosa gazzarra: i

delegati devono ricorrere a una squadra di guardie nazionali armate, per far portar via

le botti di gallette e di carne salata. Questo spiegamento di forze non accomoda niente!

L'« irritazione popolare » prende le proporzioni di una sommossa. I delegati

rinunciano: - La distribuzione continua! - Cittadini, fatela voi stessi - dicono edu-

catamente le suore. I delegati sono lusingati da questo ruolo vantaggioso, ma non è

facile distribuire viveri limitati a una folla affamata. Preoccupati di riparare la cattiva

impressione fatta, gli ultimi arrivati diventano amabili. Tentano di « rispondere » a

tutti simultaneamente. Ne risulta un nuovo disordine: «un concerto di schiamazzi e di

grida "guadagna" tutta la strada ». - Vedete questa ladra! - grida un monello. - Sono

tre volte che torna, dopo aver deposto in luogo sicuro ciò che ha già ricevuto! Il tono

si alza, non ci si sente più... Sopraffatti, spolmonati, i delegati chiedono consiglio alle

suore per calmare questa folla ed esse vi si applicano. Con la fiducia ritorna l'ordine...

I delegati se ne meravigliano: - Vi trovate spesso di fronte a scene del genere? -

domanda uno di loro alla fine della distribuzione. - Ma, signore, ogni giorno nella

cucina! - Ebbene, vi auguro di divertirvi molto!... Se ne vanno. Caterina è sempre

calmissima e dice: - Stia tranquillo, non accadrà nulla! Continua ad assistere anziani e

feriti. La penuria crescente la rattrista, ma sa farla accettare senza panico.

Medaglie e cinture rosse

Rimane spesso nella portineria di via Picpus, n. 12, dalla parte di Enghien, dove è

necessario sorvegliare. Le sue medaglie hanno successo. I comunardi di guardia si

fanno sostituire dai camerati per venire a cercarne. Ella ne dà a chiunque viene, con

una parola di esortazione adatta a ciascuno. Ecco pure Siron, il capo degli occupanti,

un antico galeotto, che viene a chiederne una. Caterina non fa eccezione di persone...

E questo bandito dice apertamente senza dissimulazione: - Sono completamente

cambiato! Si farà difensore delle suore.

Il parossismo

Ve n'è bisogno perché la lotta tra Versailles e Parigi si indurisce e la violenza si

esaspera in combattimenti disperati. Il 28 aprile un circolo vota la morte

dell'Arcivescovo di Parigi. A Reuilly le accuse vengono lanciate contro le suore:

l'immaginazione si accende in quest'ora in cui cresce una delle più antiche necessità

sociali del mondo: quella di trovare dei capri espiatori. Le suore sono accusate di aver

ucciso tre donne del quartiere, Caterina è convocata dal cittadino Filippo per un

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interrogatorio dal quale si trae fuori a forza di calma. Il 28, arrivano degli

uomini in collera, coi fucili carichi e invadono la sala di comunità. Le suore, riunite in

numero di 14, si rifugiano al primo piano del guardaroba, proprio al disopra, e

attraverso il pavimento odono grida e minacce.

Viatico

L'indomani, una di loro, temendo la profanazione, va a prendere il ciborio in cappella.

Lo depone su un tavolino, tra, due candele accese. Nella pace, le suore restano in

adorazione attendendo gli eventi. Il sacerdozio dei fedeli riprende le proprie

dimensioni in tempo di crisi. In basso, gli occupanti scoprono le bottiglie di vino

destinate all'ambulanza. Si trovavano forse in quella famosa « cantina » che sarà

l'ultima dimora di Caterina? Queste bottiglie non sono state nascoste dalle Figlie di

Maria. I tappi saltano e la perquisizione, incoraggiata da questa fortuna, continua in

una esaltata euforia da cui emergono minacce di morte contro le suore. I delegati

salgono con grande schiamazzo. Davanti alla porta del guardaroba esitano, inco-

raggiandosi reciprocamente: - Entriamo? Siron è con loro, li ferma e grida attraverso il

tramezzo: - Non abbiate paura, Sorelle, passeranno sul mio corpo prima di giungere

fino a voi! Detto questo, si conca per traverso davanti alla porta e, sotto l'effetto delle

libagioni, si addormenta, seguito dagli altri. Che fare? A mezzanotte, al passaggio dal

29 al 30 aprile, le suore si comunicano con le proprie mani: è il loro viatico? Si

sentono forti, come Elia, per camminare 40 giorni e 40 notti. Si è fatto di nuovo

silenzio. Socchiudono la porta, i comunardi sono profondamente addormentati. In

punta di piedi, le suore scavalcano i corpi giacenti. Raggiungono un'altra ala della casa

e si preparano a partire. A Caterina costa lasciare gli anziani: se fosse sola, rimarrebbe,

ma non è più lei a comandare, deve obbedire.

La corona

Prima di lasciare la casa, ella va a inginocchiarsi un'ultima volta davanti alla statua

della Madonna: è la vigilia del mese di Maria - domani sarà il 1° maggio: - Saremo di

ritorno prima che esso sia terminato - dice Caterina. Le suore pregano e cantano un

inno. « Neppure una comunarda osa intervenire, nemmeno la Valentin! ». Caterina

toglie la corona alla statua, per sottrarla ad ogni profanazione. Ve la restituirò -

confida alla Madonna. Gli occupanti le lasciano partire dopo averle sottoposte a

minuziosa perquisizione: vuotano a terra i sacchi blu, non senza frizzi. - Non vi

emozionate, non accadrà niente di grave - dice Caterina alle suore preoccupate. (n.

1255, citato nota 53).

3. L'ESODO

Alle 6 della sera, esse salgono in un omnibus. Sulla strada, l'ambiente è febbrile: la

folla, montata contro tutto quello che riguarda il clero, insulta le suore, ma il tragitto è

diretto e rapido: un'ora dopo, alle 7, giungono a San Dionigi, da Suor Randier.

San Dionigi

Filippo Meugniot, il nipote di Caterina, vi è passato questo stesso giorno ed è appena

andato via « con un'andatura di commesso viaggiatore declassato, le mani in tasca,

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senza breviario, s'intende, munito soltanto di non so quale passaporto straniero che

ha mostrato agli « oltranzisti ». Il documento indica così gli agenti della Comune «

partigiani della guerra a oltranza » contro i tedeschi. Caterina per poco non ha potuto

vedere il nipote che è ripartito per Loos dove insegnerà quasi senza libri. Suor Randier

fa buona accoglienza alle suore. E' stata la terza superiora di Caterina a Enghien, dal

1852 al 1855. Purtroppo, l'amministrazione l'autorizza a ospitare una sola persona. La

comunità di Reuilly si disperde, secondo le occasioni o affinità familiari o

comunitarie. La metà delle suore avevano preso altre direzioni prima di arrivare a San

Dionigi. L'indomani, Suor Angelica parte subito per Tolosa per andare a raggiungere

Suor Dufès. Il 1° maggio, quindi, non restano a San Dionigi che le due « anziane »:

Suor Caterina, 65 anni, e Suor Tranchemer, 45... Nell'incertezza, nella dispersione e

nel rilassamento, Caterina sente rifluire in sé tutta la tensione arretrate... Sorge in lei il

pensiero della morte con la preoccupazione di tutto ciò di cui resta debitrice alla

Madonna: tutto quello che ancora le è stato rifiutato. Nel momento in cui Suor

Angelica, robusta e giovane, va a raggiungere Suor Dufès e le altre si sparpagliano;

ella prova il bisogno di non restare sola, ma forse anche di sostenere la fragile

personalità di Suor Tranchemer. Mentre i Versagliesi cominciano a bombardare la

capitale, ella dice alla compagna: - Eccoci sole, noi le anziane. Che cosa faremo? -

Suor Randier la ospita volentieri. - Si, ma me sola... Scendono in giardino, Caterina

confida: - Non mi sento bene, ho la mia età, posso morire. Desidererei avere vicina

una compagna. Vuole seguirmi? - Ma certo, Suor Caterina! A sua disposizione! -

Grazie! Non ci lasceremo piu! Immediatamente, va a ringraziare Suor Randier che le

incoraggia entrambe a riposare fino all'indomani.

Ballainvilliers (2-30 maggio)

Il martedì, 2 maggio, le due suore partono alla volta di Ballainvilliers; Caterina precisa

allora alla compagna: - Ho qualcosa da confidarle al momento della morte. Non posso

dirlo a suore estranee, desidererei una compagna... ed è lei! Partiamo dunque! Si

mette in cammino, con un « buon sorriso ». Quello stesso martedì, verso le 5 di sera,

tutte e due sono « installate » nel « castello di Ballainvilliers », in casa di Suor

Mettavent. E' questa una donna energica, sulla cinquantina, che ha girato molto in

Medio Oriente: Costantinopoli, Alessandria, dove ha fatto le esperienze più penose:

colera (1865), sommosse, calunnie, un oceano di miserie, una spaventosa mortalità.

Nominata superiora a Ballainvilliers, poco prima del 1870, vi ha già fondato un

orfanatrofio, una scuola materna, una farmacia, oltre la scuola esistente al suo arrivo.

Durante la guerra, ella ha organizzato due ambulanze, raccolto vecchi abbandonati. Il

suo intervento presso i Prussiani ha salvato parecchi condannati, tra i quali un padre di

famiglia. Incontrando un giorno una colonna di 300 prigionieri francesi, morenti di

freddo e di fame, Suor Mettavent si assunse la responsabilità di requisire nei panifici

tutta la pasta che si poteva far cuocere, facendone poi la distribuzione sotto gli occhi

dei Prussiani, sbalorditi di ammirazione. Appena furono aperte le porte di Parigi, dopo

l'assedio, era partita con una grande carrozza per rifornirne di viveri la Casa Madre

dove era stata economa dal 1866 al 1868. Le sentinelle tedesche l'avevano ricacciata

come gli altri, ma un ufficiale prussiano l'aveva riconosciuta. Questi aveva presa la

briglia del cavallo, facendola passare, con tutte le provviste. A Ballainvilliers, la suora

preserva ora il paese dal saccheggio e organizza giuste distribuzioni. Si è presa anche

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la cura di nascondere una provvista di grano, che riserva per la semina e che

darà ai contadini che hanno preso la fuga, quando faranno ritorno. Caterina e la

compagna collaborano volentieri con la coraggiosa padrona di casa, tanto più che ella

aveva accolto, da parecchie settimane, le donne anziane dell'ospizio di Reuilly: è

questa una delle ragioni che hanno attirato Caterina a Ballainvilliers, dove si ritrova in

un ambiente conosciuto. Ella scrive a Suor Dufès una lettera di otto pagine: questa

missiva, purtroppo distrutta, ha lasciato il ricordo di una predizione che allora

sembrava folle: tutta la comunità sarebbe stata a Reuilly per la chiusura del mese di

Maria! Il mese di maggio avanza, le violenze non fanno che esasperarsi. Per i preti non

è più il caso di circolare in abito talare, sotto pena di essere tratti in arresto. I lazzaristi

si vestono « da laici, da borghesi, da borghesucci » come si diceva allora: - Si crederà

che tutto sia perduto, le chiese saranno chiuse - aveva affermato Caterina. Il 16

maggio, la colonna Vendòme è abbattuta nel cuore di una disordinata festa popolare. Il

18, un battaglione di « vendicatori della Repubblica » saccheggia la chiesa della

Madonna delle Vittorie, sede di un'arciconfraternita conosciuta a livello mondiale, di

cui la Medaglia Miracolosa è l'insegna. Caterina apprende la notizia: - Hanno toccato

la Madonna, non andranno piu lontano. A Cecilia Delaporte, la guardarobiera di

Reuilly, una laica con la quale spesso ha lavorato, Suor Caterina conferma

tranquillamente: La Vergine Santa custodisce la nostra casa. La ritroverete intatta.

Morte dell'Arcivescovo

Il 21 maggio, le truppe di Versailles penetrano in Parigi attraverso la porta di Saint-

Cloud. Una settimana di duri combattimenti ha inizio, gli ostaggi presi dalla Comune

sono minacciati. Il 24 maggio, nella prigione della Roquette, Monsignor Darboy,

arcivescovo di Parigi, è fucilato, come il parroco della Maddalena, 5 Gesuiti, 15 altri

preti e 45 gendarmi. Caterina aveva intravisto la morte dell'arcivescovo, da 40 anni. Il

P. Chinchon, suo confessore, aveva raccolto questa predizione, in occasione del suo

passaggio a Reuilly, alla fine di marzo, e la teneva registrata in un quaderno nero. Di

ritorno a Dax, il 19 maggio, egli ha confidato tale predizione ai confratelli, nella mat-

tinata cinque giorni prima del massacro degli ostaggi, come assicura il P. Serpette,

giovane lazzarista, (22 anni), testimone della conversazione. Colpito da tale annuncio,

egli si è recato la sera stessa dal P. Chinchon, il confessore di Caterina, che ha

sfogliato con lui il famoso quaderno nero: « Mi lesse due righe che predicevano la

morte di Monsignor Darboy. Mi disse che gli altri preti pure sarebbero stati messi a

morte... Egli pianse e mi congedò senza darmi la benedizione, come si usa alla fine

della comunicazione spirituale. Era troppo emozionato. Da quel giorno, appena ci era

possibile parlare con qualche prete, che leggeva il giornale, domandavo sempre se vi

erano notizie dell'arcivescovo di Parigi... Finalmente queste giunsero, terribili ». Quel

quaderno, purtroppo, non ha potuto essere ritrovato e neppure esattamente identificato.

Parossismi e protezioni

Il 27 maggio, Suor Tranchemer, tornando da Longjumeau, vede i bagliori

dell'incendio, nel centro di Parigi ed esclama: - Parigi brucia! Che diverrà la Casa

Madre? Caterina è imperturbabile: - Non tema per le nostre case, la Santissima

Vergine le custodisce. Essi non le toccheranno. La comunità, tuttavia, vive in pieno

dramma. San Lazzaro è stato accerchiato dalle guardie nazionali. Il 105° di Linea ha

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installato un posto di guardia permanente nel parlatorio. Gli ultimi novizi lazzaristi

lasciano la capitale per Dax. Si vorrebbero far sfollare anche le suore del Seminario,

ma i delegati vi si oppongono per tutta la giornata. Solo alle 10 della sera il 27 maggio

esse prendono il treno in direzione del « Berceau » di San Vincenzo de' Paoli. Nella

Casa Madre, non si celebra più la Messa da parecchi giorni. Il P. Mailly continua a

celebrarne quà e là. Il 24 maggio egli ha rischiato di saltare il muro degli « Incurabili »

(oggi Ospedale Laennec) per celebrare una Messa nella Cappella della Medaglia

Miracolosa. Gli obici piovono; uno di questi colpisce il muro del Seminario e rimbalza

sulla soglia del refettorio San Giuseppe, ma non scoppia. Un altro penetra in un

dormitorio e vi mette fuoco. Un « commando » s'introduce nell'ospedale degli

Incurabili e spara all'interno della casa. I federati contrattaccano dall'infermeria, dalle

cucine, dal giardino. La Superiora generale riunisce la comunità nel laboratorio San

Giuseppe e dà le consegne. In casa, le suore pregano, fuori si spara col fucile. Il

Consiglio di Stato, le Tuileries, il Louvre sono in fiamme. Nel pomeriggio, detona-

zioni violente: è la polveriera del Lussemburgo che scoppia. In questa giornata del 24

maggio l'incendio si propaga fino ai « lungo Senna ». I combattimenti infuriano, i

cadaveri si allineano sui marciapiedi, ma « non vi sono vittime » tra le suore. Tuttavia,

si avvicenda dramma su dramma, urgenze su urgenze, incertezza su incertezza. Viene

innalzata una barricata in via dell'Inferno, presso l'asilo dei Trovatelli tenuto dalle

Figlie della Carità. Gli insorti, in una posizione insostenibile, danno l'ordine di

sfollare, perché incendieranno la casa. In un quarto d'ora, bisognerebbe, in pieno

combattimento, portar via 700 bambini. E' impossibile! La Suor Servente si getta alle

ginocchia del comandante che ritorna sulla decisione presa dicendo: - Sorella, io credo

in Dio; la sua casa non sarà incendiata. Ordina ai cannonieri di portar via i pezzi già

pronti in batteria. E' obbedito, ma non si ritorna impunemente su un ordine disperato.

Gli insorti lo afferrano e lo fucilano sul posto perché ha indebolito la resistenza. Come

avviene che anche qui le suore e tutti i loro malati siano incolumi, così come alla rue

du Bac, in via dell'Inferno e altrove? Il 28 maggio l'armata versagliese sottomette

Parigi.

4. RITORNO A ENGHIEN (31 maggio)

Suor Dufès è richiamata da Tolosa per telegramma. A Versailles ritrova le compagne

di Ballainvilliers: Caterina e Suor Tranchemer. Le suore desidererebbero rientrare fin

dal martedì 30, ma occorre un permesso per ottenere il quale perdono del tempo; la

partenza è rimandata all'indomani, 31 maggio. Alle 5 del mattino, assistono insieme

alla Messa in cui Suor Eugenia Mauche, la sorellina delle arance al rhum, futura

Superiora generale, pronuncia i Voti. Nella prima mattinata di questo mercoledì 31

maggio, Suor Dufès è a Reuilly con tutta la sua comunità, eccetto Suor Chiara, la

compagna che è rimasta nel Mezzogiorno e che le raggiungerà soltanto il 4 giugno.

Ecco dunque quest'appuntamento del 31 maggio che Caterina aspettava con fiducia.

La statua del giardino ha subito degli assalti, è stata rivestita di una stoffa rossa e,

forse, è sciupata. E' alla Vergine della « cappella di Enghien » che Caterina restituisce

la corona tolta il 30 aprile. Non importa la statua, ma quello che essa rappresenta: - Ve

l'avevo detto, mia buona Madre, che sarei tornata per incoronarvi prima della fine del

mese. La casa si trova in disordine, ma i danni sono insignificanti. Le Figlie di Maria

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riportano gli oggetti che avevano messo al sicuro. Suor Dufès ripensa al sogno di

Caterina e alla promessa della Madonna: - Custodirò la casa. Voi sarete rientrate pri-

ma della fine del mese di Maria. Le due famiglie di San Vincenzo sono state

incredibilmente protette. Al riguardo circolano innumerevoli racconti, accompagnati

da rendimento di grazie, che sono stati registrati, lo stesso anno, in gran numero, nella

cronaca di questi tempi eroici. Alcuni giovani lazzaristi ne sono turbati e scandalizzati:

perché questa protezione per le due famiglie del Signor Vincenzo, mentre altri,

compresi religiosi e religiose, hanno sofferto fino alla morte? Il Padre Fiat dovrà

spendere una grande ingegnosità per rassicurare questi insoddisfatti della croce. Li

comprendiamo perché la pace ristabilita è rude e violenta. A Reuilly, alcuni comunardi

feriti sono stati messi nel dormitorio delle orfanelle, trasformato in ambulanza, per

esservi curati. Ma nell'attesa di un giudizio inesorabile Suor Dufès li affida a Suor

Mauche, che godeva tanta reputazione presso i suoi malati, durante la carestia, per il «

suo buon cioccolato », il buon caffè al latte » e il suo buon cuore. Ella è forte per i

Voti emessi quella mattina durante la Messa, prima della partenza per Reuilly.

Affidandole i malati, le comunicano la sorte che li attende: sono una trentina. Era un

po' spaventata dai loro volti, diffidenti od ostili, dai loro sguardi ansiosi. Ed eccola

schiacciata da un timore più grave, più irrimediabile. Che fare? Ricorre a Suor

Caterina che ha dato tante medaglie agli insorti: - Ne ha ancora? Ne riceve una

manata con qualche incoraggiamento: - Suvvia, piccola mia, non tema niente. Suor

Eugenia teme di provocare delle bestemmie e spingere all'impenitenza finale. Attende,

perciò, per due giorni il momento favorevole. Una sera le vicne un'idea; prende il

coraggio a due mani e dice: - Amici miei, ho qualche cosa da chiedervi. - Cosa vuole?

- Il permesso di recitare una preghiera. - Faccia pure, sorella. I feriti indovinano fin

troppo la sorte che li attende. Si sono tolto il berretto di cotone e l'hanno gettato sul

letto. Suor Eugenia comincia fervorosamente a pregare ma alla fine del Padre nostro

scoppia in lacrime. Tutti la guardano sorpresi: - Miei poveri amici, è per domani. Cade

il silenzio, l'emozione è tale che Suor Eugenia non osa offrire le medaglie. Se ne va in

una stanza vicina e le infila ciascuna ad un cordoncino. E' calata la notte: la suora

prega e depone lievemente una medaglia su ogni guanciale. Quando lascia il

dormitorio, verso le 4 del mattino, per la Messa, i feriti dormono, la medaglia è sempre

sul guanciale. Quando risale, essi l'hanno al collo, gliela mostrano ringraziandola.

Frattanto si sono confessati, su proposta di Suor Dufès; è venuto un prete, che è un

antico ostaggio della Comune e che se n'è andato via profondamente edificato. Alle 7

del mattino, carrozze e barelle vengono a prendere i feriti per condurli a Versailles.

Essi son calmissimi e ringraziano le suore... Saranno tutti giustiziati. L'armata di

Versailles ha perduto 877 uomini, ne ha fucilati 20.000 nelle strade, durante la san-

guinosa settimana. Ha tratto in arresto 38.578 sospetti, dei quali 1064 donne e 614

ragazzi. La vita è ripresa in un bagno di sangue. A Enghien-Reully le suore rimettono

la casa in ordine, le scuole vengono riaperte, Caterina ritrova i suoi anziani, che non

l'hanno dimenticata. Durante il mese di maggio, essi ripetevano spesso ai cittadini

infermieri: - Faremo quello che Suor Caterina faceva. Le restano ormai solo sei anni

di vita.

7. DECLINO O VITA IN ASCESA (1871 - 1876)

79

Il ritorno

Il 31 maggio 1871, Suor Caterina ha ritrovato l'ospizio, il pollaio, la portineria.

L'ambiente è quello in cui si ristabiliscono relazioni interrotte... I poveri, più numerosi

dopo tanti sconvolgimenti, sono felici di rivederla nella portineria, presente e

soccorrevole: sanno di essere i suoi preferiti. Gli anziani le fanno festa perché, come

testimonia Suor Millon, nel loro reparto, nessuna suora « è amata quanto lei ». Essi ne

amano l'equità, la forza che fa segnare l'ordine a beneficio di tutti; soprattutto, la sua

attenzione preveniente per ciascuno, talvolta burbera ma sempre viva. Sanno bene che

è loro affezionata e che possono contare su di lei.

1. LE OPERE E I GIORNI

Caterina ha passato i 65 anni ma si alza sempre al suono della campana, alle 4 del

mattino. La sua vecchiaia è solida, la preghiera esemplare e sobria: si tiene dritta,

immobile, le mani appoggiate sull'inginocchiatoio, lo sguardo traspa rente fisso Sul

tabernacolo o sulla statua della Madonna. Per la festa di Santa Caterina, il 25 novem-

bre 1871, Caterina, divenuta da quattro giorni la «decana » della comunità di Enghien-

Reuilly, è gratificata di questo poema in versi dozzinali come li sapevano fare in quel

secolo. Se nei Cieli viene cantata una santa benedetta, anche sulla terra è festeggiata

una suora molto amata: la decana di Enghien che è circondata dal nostro amore, e che

vorremmo conservare sempre, sempre. Caterina fu più sensibile a questo « compli-

mento» che uno dei suoi anziani le rivolse, in nome di tutti gli altri: - Sorella, lei è

buona per tutti. A tavola, ci chiede sempre: « Ne avete a sufficienza »? (n. 920, Suor

Tanguy, CLM 2, p. 236). Perché questi complimenti? Forse perché il coraggio e le

predizioni di Caterina, durante la Comune, le hanno procurato la sua ora di gloria? E',

molto più verosimilmente, perché la veneratissima decana della comunità, Suor

Vincenza Bergerault, di 75 anni, nata nell'altro secolo, ultima testimone della

fondazione (1819), è morta alcuni giorni prima, il 21 novembre 1871. Questa cuoca

parsimoniosa era stata una prova per Caterina, ma aveva una vera riputazione di santa.

Il suo coraggio eroico durante la lunga malattia era stato oggetto di ammirazione. Nel

periodo della Comune, era già un cadavere ambulante, che avevano dovuto rivestire,

dopo l'Estrema Unzione, per trasportarla alla meglio alla Casa Madre, il 30 aprile,

quando le suore furono scacciate da Reuilly A coronamento di tutta la sua vita, Suor

Vincenza era morta il 21 novembre, festa della Presentazione della Vergine, e poiché

il segreto perdurava, alcune suore erano indotte a vedere in lei la veggente della

Medaglia miracolosa.

Un'anziana poco onorata

Caterina, la nuova decana, non beneficiava della stessa venerazione di Suor

Bergerault. Il suo genere di santità grossolana deludeva, la sua semplicità sembrava

eccessiva, la vecchiaia non le procurava un'aureola. Caterina non ha voce in capitolo

nelle decisioni comunitarie. Accetta questo disprezzo che la protegge. Un giorno, la

nipote Leonia Labouré, le domanda: - Zia, com’è che stai sempre nella stessa casa da

più di 40 anni? - Vengono cambiate soltanto le suore intelligenti - risponde Caterina,

che non è sciocca (n. 1280, Leonia Vittoria Labouré, 2 luglio 1909, PAspec 34, p.

497).

80

Intuizioni e intercessioni

Poco consultata dall'autorità, Suor Caterina è più che mai un punto di riferimento e un

soccorso per le giovani suore, soffocate da questa casa faticosa di un quartiere

popolare, che sconcerta ancora la loro inesperienza. Suor Felicita Hébert (26 anni), che

deve la sciare la comunità locale per motivi di salute, si raccomanda alle sue preghiere

e riceve questa confortante risposta: - Oh, piccola mia, la Vergine Santa ha per lei un

grande affetto! Può stare tranquilla, tutto andrà bene. La casa ha ripreso rapidamente

il suo slancio, dopo il ritorno di Suor Dufès che moltiplica i progetti con un ritmo

affannoso per l'età avanzata di Caterina, sempre trattata rudemente, sempre senza

amarezza.

Maria e Gabriella

Nella primavera del 1872 giungono a Reuilly due postulanti: il 10 maggio Gabriella de

Billy, la cui famiglia è di elevata condizione; il 25 giugno Maria Lafon, figlia di un

coltivatore d'Aunìlac, che ha conservato un caloroso ricordo della suora anziana. Per

aiutare le postulanti ad acclimatarsi, la Regola le autorizzava ad andare a passeggio

con le loro famiglie. Verso la fine di giugno, un calesse si ferma davanti al n. 77 della

via di Reuilly. Il signore de Billy e sua moglie, condotti dal cocchiere, vengono a

prender la figlia per il pomeriggio. E Maria, la contadinella, rimane sola. Senza

pensarci due volte, Caterina si reca da Suor Dufès con un pretesto per andare a rue du

Bac. Non conosce luogo migliore, quaggiù. Il permesso è accordato e Caterina

aggiunge: - Mi permette di condurre la « piccola»? Bibi, il cavallo della comunità, è

impegnato per altri lavori? Ebbene, la passeggiata è fatta a piedi, ma allegramente,

dalla postulante di 23 anni e dalla suora di 66. Se la intendono come due amiche, se

non come due complici. Suor Cosnard, ora in ufficio al Seminario, al loro arrivo dice

scherzosamente (forse con un pizzico di gelosia?): - Oh, oh! suor Labouré, credo che

ella abbia una piccola preferenza per la signorina Maria! A queste parole, la testa

della nostra borgognona si riscalda e la risposta parte impetuosa: - In fede mia, quando

la signorina Gabriella va a passeggio in carrozza, la signorina Maria può ben

permettersi di passeggiare a piedi! «Quanto a me, narra candidamente quest'ultima,

non avevo fatto il paragone tra l'altra postulante e me. Ma suor Caterina vi aveva

pensato, temendo di vedermi in pena». L'altro ricordo di Suor Maria è quello di una

sera d'estate un po' strana, in uno di quei pesanti tramonti che non finiscono mai. Un

vecchio era morto a Enghien, sotto quella canicola. E si parlava di un pazzo che era

evaso, il giorno precedente, dal manicomio vicino. E' un po' scossa da tali

avvenimenti, «la signorina Maria», ma li ha dimenticati durante la scuola serale ai

giovani operai che frequentano i corsi di Reuilly; questi hanno chiacchierato con lei ed

è dopo le 9 che la ragazza rientra all'ospizio di Enghien. L'attività le aveva fatto

dimenticare le sue paure; la notte le risveglia. Il lungo vestito sfiora le foglie morte e il

fruscio le dà l'impressione di essere inseguita. Si affretta e il fruscio si fa più forte. Si

slancia verso la porta di Enghien, vicinissima; ma ecco, davanti a lei, nel cortile, una

forma nera: è un fantasma o il pazzo evaso? Maria cerca una scorciatoia per la scala

esterna che porta al dormitorio. Fatalità! la porta è chiusa a chiave! La giovane

postulante bussa, tamburella con le dita la porta gridando: - Suor Labouré! Suor

Labouré! Mentre Caterina si affretta a scendere al suo richiamo, Maria discerne

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meglio il fantasma nero che si avvicina: né il pazzo, né il morto, è il signor

Cappellano che rientra in casa. Suor Labouré apre la porta con la candela in mano. -

Che c'è, figlia mia? Maria, confusa, balbetta la propria emozione: il morto, il pazzo, le

foglie... Caterina canzonerà la piccola postulante così poco coraggiosa? No,

l'accompagna al dormitorio traversando i corridoi oscuri, nei quali la candela proietta

sul soffitto ombre che ormai non sono più minacciose. Caterina ha ritirato la sopra-

coperta e sparisce nella cucinetta ove si preparano le tisane, mentre Maria si sveste.

Ritorna con un bicchiere di acqua zuccherata al fior di arancio. Presa questa, « la

piccola Maria » dormirà come un ghiro. Alle 4, la campana suona la sveglia; ella cerca

di aprire gli occhi pesanti ma un sussurrio dolcissimo la rassicura: - Zitte, zitte! - dice

Caterina alle compagne - La piccola dorme... Le postulanti venivano esercitate a poco

a poco all'alzata delle 4. « Dormivano » più a lungo, tre volte alla settimana, durante il

primo mese, due volte nel secondo, e potevano, in seguito, essere scusate secondo le

loro condizioni. Caterina, responsabile della casa, aveva diagnosticato necessario che

Maria riposasse a lungo. Caterina si sente più vicina alle giovani, man mano che vede

sfrondarsi le fila della sua generazione, mentre l'età media assume i principali incarichi

della casa. Ella pensa più a lungo alla morte come a una prossima scadenza.

Viaggio in cielo

Poco dopo la Comune, fa questo sogno che narra ingenuamente alla nipote Maria

Antonietta: « Ero appena morta e arrivavo in cielo, dove entravo attraverso una porta

molto luminosa. Vi incontravo prima mio padre, poi il minore dei miei fratelli

(Augusto), poi tua madre. Dissi al babbo: - Luisa non è qui? Luisa era la maggiore

delle sorelle. Allora mio padre, mi rispose: - No non è qui, ma l'aspettiamo. Macabro

sogno! Né Augusto, né Tonina (la madre dell'interlocutore) erano morti. Realista e

maliziosa, Maria Antonietta esclama: - Ma, zia, non si deve credere ai sogni, è

superstizione! - C'è sogno e sogno - risponde sentenziosamente Caterina. Voleva dire

« che vi sono sogni ai quali si deve credere? Quale grado di fiducia annetteva a questo

»? - Non me l'ha detto - soggiunge Maria Antonietta. Ma la sognatrice teneva a quel

sogno che raccontò in seguito al nipote Filippo Meugniot, il fratello di Maria

Antonietta, la versione del quale è un po' diversa. Caterina, arrivando in cielo, aveva

detto a Tonina: - Come, tu, la più piccola, sei arrivata in cielo per prima? - Perché

no? - aveva risposto Tonina. - Questo sogno mi ha scossa molto - diceva Caterina,

sebbene simulasse di non credervi troppo. Nel dicembre 1873, Filippo era venuto a

confidare alla zia una grossa preoccupazione: a 29 anni, era stato consultato per

divenire superiore del piccolo Seminario di Saint-Pons, nella diocesi di Montpellier...

E la casa si trovava in « difficoltà »: - Pregate perché la cosa non avvenga! - dice a

Caterina. Ella risponde tranquillamente: - Pregherò perché si faccia la volontà di Dio.

« La volontà di Dio » ne confermò la pesante carica. Sembra che né lui né lei abbiano

riparlato in quell'occasione della predizione che Caterina gli aveva fatto, quando era

ragazzino: - Se vuoi entrare tra questi signori... si può diventare superiore... Filippo

diventava superiore prima dei 30 anni: età eccezionale! Sembra che non abbia neppure

ricordato alla zia la confidenza da lei fattagli nel 1871: come gli avesse dato il cattivo

esempio, rifiutando per sé una carica di superiora... Con l'età Caterina diviene più

aperta alle confidenze. Verso la stessa epoca (1873 o 1874), racconta alla sorella

Maria Luisa, in presenza di Suor Cosnard (ora « Suora d'ufficio » al Seminano), il

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sogno che le aveva illuminato il cammino della vocazione: la chiamata del vecchio

prete in cui aveva riconosciuto molto tempo dopo il Signor Vincenzo. Suor Cosnard è

impressionata dal suo accento, quando ella parla di quello sguardo che le rimane

presente (capitolo 2, nota 65).

Addio a Tonina

Il sogno profetico sulla morte dei familiari aveva cominciato a realizzarsi fin

dall'ottobre 1872. Tonina cade ammalata in quel periodo e nell'aprile del 1873 si

alletta per sempre. Soffre molto. Caterina la visita di frequente durante l'ora della

ricreazione perché ella abita vicinissima: al n. 5 di via Crozatier, nel XII circondario:

queste visite sono un sollievo per Tonina. A metà gennaio 1874, l'ammalata cade in

una specie di coma: girata verso il muro non sembra più in istato di cambiare

posizione. Per curarla, si è dovuto tirare il letto in mezzo alla camera. Ella non parla e

sembra che non abbia conoscenza. Caterina è avvertita, giunge il 16 gennaio alle 13,

l'ora della ricreazione. E' responsabile del tempo dei suoi anziani. E' la prima volta che

trova Tonina in questo stato. Maria Antonietta e le sue due figlie, Marta e Giovanna

sono presenti, silenziose davanti alla malata che giace in coma. Caterina le fa uscire e

chiude la porta. Ma ecco che sentono parlare nella camera e per un pezzo. Dopo

un'ora, Caterina riappare: - Andate a vedere vostra madre, vuole parlarvi. Ella

riprende il cammino di Enghien, verso le miserie dei suoi anziani. Maria Antonietta,

Marta (8 anni e mezzo) e Giovanni (7 anni) si precipitano, Tonina le accoglie

sorridente, appoggiata al guanciale. Sembra felice, guarda con affetto le due nipotine e

tutto il cuore le passa attraverso parole banali: - Siate sempre molto buone! - E' la zia

Caterina che l'ha risuscitata? - domanda una delle bambine, senza che vi sia il tempo

di approfondire... Passata un'ora, l'ammalata ricade in letargo, indebolendosi poco a

poco. Il terzo giorno, alle 4 del mattino, Tonina muore: è il 20 gennaio 1874, 32°

anniversario dell'apparizione della Vergine a Maria-Alfonso Ratisbonne, il convertito

della Medaglia miracolosa. In questo stesso anno, Caterina fa entrare le due nipotine

nella scuola delle suore, al n. 77 di via de Reuilly. «Là avemmo la soddisfazione di

vedere la nostra zia Caterina quasi ogni giorno (raccontano le ragazze). Ci

affezionammo di più a lei perché, sebbene avesse i lineamenti più fini, somigliava alla

nonna (Tonina), che non avevamo più. Durante la ricreazione delle alunne, dopo il

pranzo, la vedevamo spesso attraversare i cortili della casa di Reuilly per ritornare a

quella della via di Picpus; correvamo verso di lei e l'accompagnavamo fino in fondo al

giardino ». Un giorno, ella le accompagna ad una passeggiata. Per le bambine è una

festa, ma Caterina vuol fare anche un piacere a qualchedun altro. Si recano nella «

casa dei Fratelli Ospedalieri di San Giovanni di Dio », in via Oudinot, dove suo

fratello Carlo Labouré è «venuto dalla Borgogna per farsi operare, soffrendo del «male

della pietra». Il suo stato abbastanza grave poteva fra presumere che non sarebbe

vissuto a lungo (...). Non conoscevamo questo prozio. Ella aveva ritenuto opportuno di

presentarci a lui, ricordava Marta Duhamel che, trent'anni dopo conservava un

luminoso ricordo di quest'avventura insolita favorita dalla complicità di Caterina (n.

1453 a, Marta Duhamel, rapporto scritto poco prima del 1914, p. 101).

Visita al Superiore generale

Il 12 marzo di questo stesso anno 1874, muore il Signor Etienne, Superiore generale,

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che spira alle 11 precise in piena lucidità e senza agonia. Tre giorni prima egli

aveva chiesto l'Unzione degli infermi, che aveva ricevuto in presenza di tutta la

Comunità. -La mia missione è terminata... Vado a raggiungere la grande famiglia del

cielo. Domando perdono a tutti quelli ai quali forse ho recato della pena. Oh sì! Ho

amato le due famiglie di San Vincenzo (« Vita del P. Etienne », Paris, 1881, p. 348-

350). Egli ne aveva guidato lo sviluppo meraviglioso. Pare che avesse finalmente

saputo, poco dopo la sua elezione, che Caterina era la veggente. Ella ha lasciato un

appunto autografo sul loro ultimo colloquio in cui aveva rinnovato la domanda che la

cappella della rue du Bac fosse aperta al pubblico. Gli aveva anche presentato il

desiderio che Maria fosse onorata nella Congregazione col titolo di « Regina

dell'Universo ». Il superiore aveva risposto in maniera evasiva ma incoraggiante: -

Ebbene, Suor Caterina, la Vergine Santa le ha detto quando vorrebbe essere onorata

sotto questo titolo? Quando glielo dirà, faremo quanto sarà necessario. Preghi per

questa intenzione. La Vergine Santa vuole da lei qualcosa. L'11 settembre 1874 il

Signor Boré diviene Superiore generale... Poco dopo la sua elezione, preoccupato di

illuminare il proprio governo, convoca Caterina e l'interroga, insieme con i « Superiori

maggiori », « circa le rivelazioni di cui era stata onorata nel 1830. Come conseguenza,

intorno ad essa, si formò una specie di aureola che contribuì ad accentuare la sua

riputazione di santità, come assicura il P. Chinchon, suo confessore o. Ella, tuttavia,

sembrò sconcertata da questo inatteso interrogatorio e non parlò molto, perciò deluse...

Per la Francia, questi sono anni oscuri e penosi... Le esecuzioni capitali dei comunardi

continuano fino al 6 giugno 1874, ma il Paese si rialza dalle rovine. Caterina prosegue

il proprio cammino nel suo faticos o lavoro e le sue intuizioni.

Predizione?

Nell'autunno 1875, Don Olmer suona alla porta dove Caterina « tira la cordicella o. E'

una forza della natura ma anche della grazia e, per il momento, un costruttore. Egli si è

reso illustre nella Comune per il suo coraggio, la sua dedizione, infine per un'evasione

senza di cui sarebbe morto. Nominato l'anno precedente amministratore della nuova

parrocchia fondata nel quartiere, ha già due vicari e comincia a costruire la chiesa

dedicata a santa Radegonda. Ma si delinea tutto un movimento perché la patrona ne sia

la Madonna. E' il desiderio di Caterina che sembra abbia una doppia vista quando si

tratta della Vergine Maria. Il suo saluto è amabile e insolito: - Buongiorno, signor

parroco dell'Immacolata Concezione! - Ma io non sono parroco! - Lo sarà! - Sì, ma la

parrocchia si chiama Santa Radegonda! - Si chiamerà l'Immacolata Concezione! Don

Olmer vi fu insediato come parroco due anni dopo: il 29 settembre 1877. E fu questa

la prima chiesa dedicata all'Immacolata Concezione nella diocesi di Parigi. Caterina

rimpiange sempre che la cappella della rue du Bac non sia aperta ai pellegrinaggi

perché è sempre sollecitata da questa promessa della Madonna: - Si avvertirà il mio

passaggio! (Suor Cosnard, CLM 2, p. 266). La difficoltà consisteva nell'« aprire al

pubblico la cappella della casa dove si trovava un noviziato (numeroso) come il

nostro o, spiega Suor Cosnard. E Caterina, tuttavia, avrebbe detto con un sospiro,

udendo il racconto della guarigione di una sordomuta avvenuta a Lourdes: - Tutti

questi miracoli avrebbero dovuto aver luogo nella nostra cappella! Le rincresceva

pure che non si tenesse conto della medaglia, soggiunge Suor Cosnard. « Ella mi

disse: - Ci sono alcune suore del Seminario che non portano la Medaglia e non si

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pensa a darla loro. Le chiesi: - Come lo sa? E mi rispose: - Ah! si informi e vedrà.

Dovetti convenire che era vero Suor Caterina invita « a pregare molto o, ma « ad

aggiungere alla preghiera lo spirito di penitenza e di sacrificio o: « Si chiede troppo

ciò che si desidera e non abbastanza quello che vuole il buon Dio » - avrebbe detto a

Suor Tranchemer che troppo facilmente prendeva i propri desideri « legittimisti » per

quelli di Dio stesso. Il Maresciallo di Mac-Mahon è stato eletto Presidente della

Repubblica il 24 maggio 1873. La moglie diventa amica della casa. Questa donna

forte, generosa e discreta, viene senza apparato. Le confidano il nome della veggente e

Suor Dufès trova un pretesto per presentargliela... Caterina ha capito, ma non fugge.

Qualche giorno prima, una povera donna era venuta a chiederle 60 franchi (introvabili)

per pagare l'affitto. Le daranno lo sfratto. Caterina narra questo dramma, la signora ha

cuore e le dà i 60 franchi.

Nella fila

Durante lo stesso anno 1874, Suor Dufès decide di sostituire Suor Caterina come

responsabile dell'ospizio di Enghien. Ha bisogno di un braccio destro per rinsaldare

l'unità delle due case e vincere certe tensioni. E' Suor Angelica Tanguy, di 36 anni, che

pone alla direzione dell'ospizio, col titolo di assistente. Dura prova per Caterina perché

è sempre difficile passare in sottordine nel luogo dove si avevano funzioni direttive.

Come reagirà? Le suore se lo domandano nell'ora in cui Suor Dufès annunzia la

promozione di Suor Angelica, decorata di questo titolo di assistente, che Caterina non

ha mai avuto pur esercitando le stesse funzioni. Le suore incaricate degli anziani pre-

feriscono Suor Caterina alla nuova responsabile, più secondo il nuovo stile di Reuilly,

più rigida e con minore esperienze. Ma Caterina si affretta a dire a Suor Dufès: - Oh! «

sorella o, le obbediremo come fosse lei in persona! Non è adulazione, né diplomazia

per lusingare la nuova assistente, poiché Suor Tanguy non è presente (l'ha precisato

ella stessa al Processo). E' con apprensione che quest'ultima avvicina Caterina di cui

prende il posto: - Spero che si troverà bene con me e che non mi procurerà delle noie -

le dice quel giorno. - Oh no! mia buona sorella, non avrà mai nulla a temere da me -

risponde Caterina. Il sacrificio è fatto nell'insieme, ora deve realizzarlo nei dettagli,

giorno per giorno. Da quando Suor Dufès risiedeva in via di Reuilly, dall'altra parte

del giardino (1868), Caterina aveva in consegna le chiavi, simbolo del suo potere sulla

casa. Ogni sera, chiudeva le porte della via di Picpus e portava le chiavi nella sua

camera: - Mantenga le chiavi - suggeriscono le suore a Caterina. Le tentatrici non

sapranno mai che Suor Tanguy, giunta con passo leggero, ha sorpreso la

conversazione e si dilegua senza farsi vedere mentre Caterina risponde: - Sì! Le

consegnerò fin da questa sera a suor assistente che rappresenta la superiora. La sera,

Suor Tanguy spia i passi di Caterina: il tintinnio delle pesanti serrature che ella chiude

le giunge amplificato nel silenzio notturno... Ed ecco che dopo l'ultimo scatto, il passo

tranquillo di Suor Caterina si avvicina. Essa depone il mazzo di chiavi accanto al letto

nel gran silenzio che sarà rotto soltanto dalla campana del mattino. L'indomani, in

refettorio, le posate di Suor Caterina sono messe, come abitualmente, al posto d'onore,

accanto alla superiora, Suor Dufès. La suora del refettorio non ha cambiato nulla per

rispetto all'«Anziana». Questa non vi fa attenzione... fino a quando scorge Suor

Tanguy in un posto più modesto. Non si muove ma, terminato il pranzo, va a trovare la

suora d'ufficio in refettorio, Suor de la Haye Saint-Hilaire (28 anni): - Per favore

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cambi il mio coperto e dia il mio posto a suor assistente... Mi stanca di passare da

questo lato della tavola - aggiunge per dare una motivazione senza importanza al suo

proposito. « Questo mi fu detto con una tale semplicità che avrei potuto cadere in

inganno, narra l'interlocutore. Ma la dififcoltà da vincere per raggiungere il posto che

aveva occupato fino ad allora, (...) era troppo insignificante per lasciar dubbi sul

motivo (...): deferenza e umiltà o. Caterina conserva la libertà di spirito nelle

responsabilità che le restano. Un giorno, distribuisce agli anziani, aiutata da Suor

Cantel, « alcune porzioni avanzate o. Le piace dare con larghezza. L'assistente passa e

la rimprovera. Caterina tace rispettosamente, la compagna ne ècolpita, ma Caterina la

rassicura: - Non si turbi, sono in regola: ho i miei permesst. Secondo Suor Cantel ciò

significava l'autorizzazione della stessa Suor Dufès, ma Caterina non se ne valse per

non far perdere la faccia alla giovane assistente, ancora fragile nell'esercizio della sua

autorità. Caterina la sostiene in ogni circostanza: In una giornata d'adorazione,

sapendo quanto sarebbe stata felice di andare in cappella, narra Suor Giovanna

Maurel, le dissi: - Sorella, spetta a me stare in portineria e a lei di andare dal bunn

Dio. Suor Caterina risponde: - Suor Angelica l'ha detto, ciò basta. Dobbiamo

applicare al prezzo di questi sacrifici la riflessione che Caterina fece un giorno a Suor

Tanguy: - Ho avuto grandi pene, grandi difficoltà, un momento ho pensato di chiedere

il cambiamento di casa. Ho pregato, ho consultato il mio confessore e sono rimasta.

Impulsiva e paziente

Suor Giovanna Maurel (31 anni), giunta nell'ottobre 1875, ci presenta uno sguardo

nuovo su Caterina che la iniziava ai primi uffici: guardaroba e piccionaia. Venuta da

una famiglia che non l'aveva formata ai lavori materiali, ella riconosce che era poco «

adatta o al primo lavoro, «ancor meno» al secondo. Ma - afferma - Suor Caterina «mi

riprendeva con tanta carità che ne ero confusa». Un giorno, la giovane suora lascia

morire un piccione e Caterina ne è rattristata, ma è molto amichevolmente che le fa

capire il suo errore, perché Suor Giovanna tenderebbe allo scoraggiamento. A Suor

Giovanna ripugna tanto assistere gli anziani; Caterina l'aiuta «a superarsi» e le dice un

giorno sentenziosamente: - Ha un bel fare, è lei che mi sostituirà. E' proprio quel che

accade: quando Caterina declinerà, sarà lei a prenderne il posto... Suor Giovanna si

preoccupa molto di un vecchio che non è cattolico. E Caterina: - Lei manca di fiducia,

il buon Dio può tutto. Fu esaudita perché, prima di morire, egli chiese anche il signor

Cappellano (n. 1299, PAspec 52, p. 746). Suor Maurel sentiva il beneficio

dell'irradiamento di Caterina: «Mi piaceva tanto mettermi al suo posto in cappella,

quando ella non c'era. Una sorella mi ha fatto al riguardo dei rimproveri, dicendo che

ero veramente orgogliosa per occupare quel posto. Io lo desideravo perché, per me, era

una santa che vi pregava, e a mia volta vi pregavo come fossi stata sulla tomba di una

santa» (ib., p. 745; cf. p. 746). «Un giorno (racconta ancora Suor Maurel), mi sono

impazientita con la suora che doveva darmi la colazione degli anziani. Era sempre in

ritardo e ciò mi impediva spesso di arrivare alla Messa, dall'inizio. Ne ero urtata e

Suor Caterina mi disse: - Bisogna dare tutto al buon Dio, non andare a lamentarsi.

Così faceva lei. Quello che più ha colpito Suor Maurel, è la pazienza instancabile di

Caterina nei riguardi di Biagina, «La nera», la sua aiutante in portineria. - Tenuta solo

per carità, la donna era sgarbata anche verso Suor Caterina. Più volte, avrei voluto

andare da Suor Dufès per informarla di tutto e far mettere quella figliola alla porta. Ma

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Suor Caterina sempre mi fermò: - Perché (diceva) questa persona è incapace di

fare qualcosa nel mondo. Caterina subiva allora le bizzarre punzecchiature di una

suora burlona che era chiamata «la piccola imbecille dell'asilo». Per sondare il segreto

di Caterina sull'apparizione della Medaglia, questa giovane suora' un giorno, in piena

ricreazione, davanti a Caterina, china sul suo lavoro a maglia, alla destra

dell'assistente, dice in tono provocatorio: - Quella che l'ha veduta, non ha visto che un

quadro! L'ultima parola non faceva che riprendere quella del P. Aladel nella sua

Notizia (n. 52), ma ella lo diceva con tono scettico e deliberatamente provocatorio.

Caterina si drizza d'impulso, il rossore le è salito al volto: - Cara, la suora che ha visto

la Santissima Vergine l'ha vista in carne ed ossa, come lei e me! Suor Tanguy, che

presiede la ricreazione, devìa la conversazione. Per una volta, Caterina presa alla

sprovvista, ha rischiato di tradirsi. Si immerge di nuovo nel lavoro, con una specie di

indifferenza, e ritrova il suo silenzio. Di solito ella si distingueva specialmente per

l'umile discrezione: «Un giorno, durante la ricreazione, una giovane suora sosteneva il

contrario di quello che Suor Caterina diceva». Poiché questa difendeva il proprio

punto di vista, intervenne la superiora: - Vedo che sostiene energicamente le sue

opinioni. Suor Caterina si inginocchiò in mezzo al cortile e domandò perdono (...). -

Riconosco che non sono che un'orgogliosa. Il vedere questa suora anziana umiliarsi

così, attirò le lacrime negli occhi delle compagne. Il ricordo più saliente di Suor

Maurel, è questo consiglio di Suor Caterina, quando si trovava in difficoltà: -

Dobbiamo aver fiducia.

2. IL SEGRETO IN PERICOLO

Il segreto di Caterina trapela da ogni parte ed ella deve, perciò, raddoppiare la

prudenza. Dalla parte del Seminario Antonietta di Montesquiou de Fezenam (27

anni), entrata in Seminario nell'aprile del 1873, sente dire da Suor Mauche, suora

d'ufficio per la formazione delle giovani suore, che «la supposta veggente» è Suor

Caterina Labouré. Suor Antonietta arde dal desiderio di conoscerla. Suor Mauche ne

trova l'occasione: - Ecco la suora di cui le ho parlato... Tutta felice di questa scoperta,

narra Suor Montesquiou, « indicai Suor Caterina a una compagna dicendo: - E' quella

là. « Suor Caterina lo notò e mi mostrò un volto severo. Questo mi sconcertò

totalmente, tanto che non osavo più guardarla o. (n. 1285, Suor de Montesquiou, 7

luglio 1909, PAspec 39, p. 577).

Dalla parte dell'Arcivescovado

Monsignor Fages, futuro vicario generale di Parigi, allora segretario particolare del

coadiutore, Monsignor Richard, si, reca a Enghien con Don Odelin per scoprire il

famoso segreto. Si èorganizzato per venire nell'ora in cui proprio Caterina è di guardia

in portineria. Viene con l'intenzione di parlare, ma Caterina vedendolo arrivare con le

sue scarpe ornate di fibbie, con estrema rapidità, « taglia corto prontamente»: - Cerca

la direzione, Reverendo, eccola! E poiché i due ecclesiastici insistono, s oggiunge: - Li

accompagno dalla Superiora, che risponderà loro! Suor Maria Luisa de la Haye

Saint-Hilaire (30 anni), che riceve la visita dei suoi amici il conte e la contessa

d'Avenel de Nantré, crede poter condividere con loro, discretamente, il segreto della

casa.«Mentre li riaccompagnavo alla porta, incontrammo Suor Caterina e io dissi

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all'orecchio della signora d'Avenel: - Ecco

la suora che ha avuto la visione della Medaglia miracolosa. Contro ogni previsione da

parte mia, il signor d'Avenel si girò e rivolgendosi a Suor Caterina, disse: - Oh,

sorella, sono felice di vedere e di salutare la suora che ha avuto il grande favore della

visione della Medaglia miracolosa! Non sapendo che fare, mi rivolsi alla signora

d'Avenel: - Signora, sapesse quello che fa suo marito! Fino a qual punto mi contraria!

La suora non vuole che si sappia. Con grande disinvoltura, la signora - Giuseppe, ti

sbagli, la suora non ha detto questo! Nel frattempo, Suor Caterina scuoteva la testa e

simulava un grande stupore. Durante la ~iornata, la superiora mi fece chiamare, Suor

Caterina era passata da lei. La superiora mi disse di chieder perdono a Suor (Caterina),

ciò che feci subito: - Piccola, mi disse Suor Caterina, alla buona e con grande

dolcezza, - non bisogna parlare così a casaccio. E non mi tenne affatto il broncio per

questo incidente. Secondo Suor Demoulins, Suor de la Haye Saint-Hilaire, confusa,

avrebbe risposto a Suor Caterina: - Sorella, in Seminario mi avevano detto che era una

suora del pollaio di Enghien che aveva visto la Santissima Vergine!

Lettura d'anime

Caterina che sa ben nascondersi, ha il dono di leggere nei cuori? E' l'impressione che

ha dato a Suor Darlin, in occasione di una delle sue visite alla sua cara rue du Bac,

«verso il 1875. «Ero di guardia al piccolo parlatorio, in Seminario (...). Parecchie

suore di Enghien vennero a trovare la loro postulante e cominciarono un'animata

conversazione. Una delle suore restava un po' isolata, senza prender parte alla

conversazione. Mi avevano detto che era la suora che aveva avuto le apparizioni della

Santissima Vergine... Avrei ben voluto parlare alla Venerabile, ma non osavo. Nel

medesimo istante, ella lasciò il suo banco, venne a trovarmi in ufficio, e mi disse

guardandomi con bontà: - Sorella, venga con me nella classe Santa Maria a dire un'«

Ave Maria alla Santissima Vergine. Ora questa classe era precisamente quella di cui

ero incaricata. Mi alzai senza rispondere e, molto contenta; ero meravigliata delle sue

parole, perché ella non mi aveva mai veduta. Ma Suor Darlin commette l'errore di

lasciar troppo trasparire la sua ammirazione per la veggente che l'ha resa felice...

Caterina immediatamente saluta e se ne va.

3. LA GRANDE CONFIDENZA (primavera 1876)

Tensione con Suor Dufès

Agli inizi del 1876, le « note annuali di Suor Dufès su Suor Caterina attestano

laconicamente: « Salute pessima. Non si alza» (sottinteso: alle 4, l'ora di Regola). Le

due annotazioni seguenti attestano la tensione che esiste nei rapporti tra la superiora e

Suor Caterina: « Carattere molto impulsivo, giudizio passabile. In altri termini, Suor

Dufès non è sempre d'accordo con Caterina, il che genera un'ombra, malgrado la

docilità di quest'ultima. Ma tutto termina con un omaggio senza riserve: ...pietà solida,

adem pie benissimo il suo ufficio. L'elogio assume tutto il suo valore in quanto le note

di Suor Dufès sono spietate. Se Suor Caterina « adempie benissimo il suo ufficio», lo

fa superando una stanchezza che si appesantisce sempre di più giorno dopo giorno.

omincia a dire che non passerà l'anno. Si alza ora un po' più tardi, ma è presente,

veramente presente presso gli anziani e in portineria: accogliente e discreta, in questo

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piccolo locale (che ha conservato spoglio come una cella monastica).Ciò che

stupisce di più è l'umiltà con la quale sopporta la severità particolare di Suor Dufès.

Non solo accetta i rimproveri e domina la sua impulsività, che le fa arrossire il volto,

ma, quando il rimprovero sarebbe tale da innalzare una barriera, viene personalmente a

riprendere i contatti come se nulla fosse accaduto. Caterina trova nella sua mente

qualche permesso da chiedere (di quelli che la superiora non rifiuta mai), bussa al suo

ufficio e le domanda... - Ma Soeur, vuol essere così buona da accordarmi il tal

permesso? (n. 937, 1291). Il rapporto è ristabilito, il permesso accordato. La superiora

è contenta di ritrovarsi buona: questo calma la sua inquietudine di coscienza su ciò che

la « spinge o a provare in tal modo Caterina. Ci si meraviglia che la « fierezza dei La-

bouré» sia abbassata a tal punto. Bernardetta non seppe trovare questa risorsa nei

confronti di Madre Maria Teresa Vanzou.

Caterina perde il suo confessore

In questa primavera 1876, Caterina non viene a domandare un « piccolo permesso o,

quando bussa alla porta dell'ufficio di Suor Dufès: - Ma Soeur, vorrebbe essere così

buona da permettermi di andare a vedere il Padre Boré? Si tratta del Superiore

generale. - Nientemeno! Caterina continua con calma: - Ci ha ritirato il nostro

confessore, il P. Chinchon e, in coscienza, io ho bisogno di rivolgermi a lui. Vorrei

domandargliene il permesso. Sì, verso la fine dell'anno scorso, il Superiore generale

ha liberato il P. Chinchon di tutte le attività esterne - compresa Reuilly - perché si

occupi esclusivamente della formazione degli studenti e novizi. Ora Caterina sente che

la fine si approssima, conosce bene la propria natura e i sentieri della morte che tanto

sovente ha seguito da vicino. E' ansiosa di regolare gli ultimi doveri della sua

missione, che da 40 anni le sono stati ricusati, ma che la « tormentano o sempre. Il P.

Chinchon è più accessibile del P. Aladel ma non acconsente di più a richieste che

oltre-passano le sue competenze. Gli accade pure di essere severo, come narra Suor

Cosnard: « Tra il 1864 e il 1873 (non saprei precisare meglio l'epoca) il P. Chinchon

(...) pubblicamente, in una riunione di suore, ha umiliato Suor Caterina,

rimproverandole di voler far passare i suoi sogni per realtà e (di) ridicolizzare tutta la

comunità. Suor Caterina era rimasta umile, tranquilla al suo posto, senza rispondere,

né manifestare malcontento... La cosa era molto impressionante. (...) Il Padre voleva

parlare delle apparizioni? (...) Probabilmente, ma egli aggiustava le cose in modo che

ci si poteva sbagliare. Io sono uscita dalla riunione quasi scandalizzata di questa

maniera d'agire del P. Chinchon. In seguito ho pensato che egli volesse provare la

virtù di Suor Caterina perché mai ne parlava così, lui che era tanto discreto (n. 1291,

Suor Cosnard, 10 luglio 1909, PA 44, p. 653). A dispetto di tale severità, una specie di

dialogo e di fiducia si era stabilito per intuizione tra il confessore e la sua penitente.

Quando era preoccupato per qualche affare, il P. Chinchon le chiedeva: - Offra una

comunione per i miei studenti e novizi! Ella preparava presso di lui il terreno, per

ottenere quello che rimaneva in sospeso: l'altare e la statua della Vergine col globo, da

erigere nel luogo della prima apparizione. Il P. Chinchon l'ascoltava più di Aladel. Le

suore che conoscevano la laconicità di Caterina, si meravigliavano delle sue

confessioni, piuttosto lunghe, che contribuivano ad allungare l'attesa di quelle che

seguivano. - Suor Caterina, lei che è così sbrigativa in tutto, come mai ha bisogno di

tanto tempo per le sue confessioni? E' forse scrupolosa? - le dice scherzosamente una

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di queste. - Cara, ciascuna ha le sue esigenze personali, ecco tutto! Questo

fossato, improvvisamente scavatosi tra loro, era una catastrofe.

Rifiuto al vertice

Ecco perché in questo mese di maggio, Caterina chiede di vedere il P. Boré per

ottenere da lui l'autorizzazione a rivolgersi al suo confessore. Suor Dufès, dapprima

poco favorevole, finisce per acconsentire. Purtroppo, il colloquio è un fiasco: non si

possono fare eccezioni, né creare precedenti!

Domani alle 10

Caterina ritorna a Reuilly, con gli occhi ancora pieni di lacrime. Suor Tanguy se ne

meraviglia perché non l'hanno mai vista piangere, neppure nelle grandi pene di

famiglia. - E tuttavia, avrei bisogno di rivolgermi a questo confessore - ella dice a

Suor Dufès e aggiunge: - Ormai non vivrò piu' a lungo. Credo sia giunto il momento

di parlare... Lo sa di che? Commossa, Suor Dufès risponde: - Mia buona Suor

Caterina, sospetto fortemente, è vero, che lei abbia ricevuto la Medaglia miracolosa,

ma per discrezione non gliene ho mai parlato. - Ebbene, ma soeur, domani chiederò

consiglio alla Santissima Vergine durante l'orazione. Se Ella mi dice di narrare tutto,

lo farò. Altrimenti, conserverò il silenzio. Se la Vergine Santa mi permette di parlare,

la manderò a chiamare alle 10. Lei verrà a Enghien, nel parlatorio, saremo piu'

tranquille. Suor Dufès confida questo colpo di scena a Suor Tanguy, aggiungendo: -

Giudichi in quale stato di ansia sarò fino a domattina. L'indomani, Caterina le fa

cenno ed ella accorre. « Il colloquio cominciò alle 10 e non terminò che a

mezzogiorno. Ciò che meraviglia Suor Dufès è il vedere Caterina così poco loquace

esprimersi « con precisione e facilità. Ella racconta le prime apparizioni: il cuore del

Signor Vincenzo, il Cristo nell'Eucaristia e la Vergine nella poltrona, il 18 luglio 1830:

queste ultime del tutto sconosciute. Erano rimaste nel segreto delle confidenze e

dell'autografo del 1856, ignorati da tutti. Suor Dufès, la cui durezza nei riguardi di

Caterina era un riflesso di difesa, «Si sente più volte spinta a gettarsi alle sue ginocchia

per domandarle perdono di averla così poco conosciuta. (Ritiene questo gesto

esagerato), ma non può trattenersi dal mormorare: - E' stata davvero favorita. - Oh! -

risponde Caterina - non sono stata uno strumento. Non è per me che la Vergine

Santissima è apparsa. Se mi ha scelta, ignorante come sono, è perché non si possa

dubitare di lei». In quest'occasione, come spesso, Caterina è un'eco interiore del

Signor Vincenzo che diceva: « Sono stato scelto perché non ero niente, nessuno potrà

dubitare che cose sì grandi non siano l'opera di Dio».

La Vergine col globo

Caterina arriva al punto difficile che la tormenta « da sì lungo tempo »: la Santissima

Vergine aveva in mano un globo. Nessuna immagine la rappresenta così. Il P. Aladel

ha sempre rifiutato. Suor Dufès è perplessa... Che novità è quella? E come conciliare

questa immagine con quella della Medaglia: la Vergine dalle mani aperte? Davvero

Caterina passa i limiti: - Diranno che è pazza! - Oh! non sarebbe la prima volta! Il P.

Aladel mi ha perfino trattata da « vespaccia » quando insistevo a tal riguardo. Suor

Dufès comprende il senso: è un gesto di Madre e di Regina dell'Universo. La Madonna

protegge e offre a Dio il globo che rappresenta la terra; tuttavia, la superiora è

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sconcertata: - Ma che ne è stato di questo « globo»? -domanda, preoccupata di non

riuscire ad armonizzare le due immagini. - Non vidi piu' che i raggi emanati dalle sue

mani - risponde evasivamente Caterina. Suor Dufès è sempre più perplessa: - Ma che

ne sarà della Medaglia se questa visione viene diffusa pubblicamente? - Oh! non

bisogna toccare la Medaglia miracolosa! Suor Dufès insiste: - Ma se il Signor Aladel

ha rifiutato, aveva delle buone ragioni. - E' il martirio della mia vita! - confessa Suor

Caterina, che non può rassegnarsi a tale omissione. - E lei conoscerebbe qualcuno che

potrebbe garantire il suo racconto? - C'è Suor Grand, che in quel tempo era in ufficio

al Segretariato. E' ora superiora a Riom; ha lavorato col P. Aladel. Il pomeriggio di

quella stessa giornata, Suor Dufès, sconvolta dalla confidenza, ne fa parte a Suor

Tanguy. E' sedotta, ma perpiessa dinanzi a questo contrasto sulla stessa apparizione,

dunque sulla Medaglia. Caterina, ora che è anziana, non esagera?... La superiora si

ricorda di alcuni piccoli fatti che hanno alimentato la sua perplessità e la sua

aggressività nei confronti della veggente. Quando era in vita il P. Etienne, dopo la

Comune, Caterina non ha avuto l'idea che si sarebbe trovata a « m. 1,50» di profondità

« una pietra piatta come una pietra tombale » - ha annotato Suor Dufès senza capire (n.

699, CLM 2, p. 120) - e «materiale per la costruzione di una cappella», o piuttosto « di

una chiesa »? Ella aveva pensato a un tesoro e, poiché il meraviglioso compimento

delle predizioni di Caterina durante la Comune le aveva valso un certo credito, aveva

avvertito il P. Etienne. Insieme decisero di fare degli scavi. Ma dove? A tal riguardo,

Caterina era più in imbarazzo. Gli scavi non ebbero risultato... Ripresi sotto il

generalato del Padre Boré, non hanno portato che alla scoperta di un pozzo turato che

avrebbe costretto a discendere a oltre 18 metri sotto terra. - Sorella, si è sbagliata - ha

detto recisa-mente Suor Dufès a Caterina che non ha sollevato discussioni e ha

risposto umilmente: - «Ma Soeur », va bene, mi sono ingannata, credevo di aver detto

il vero. Sono veramente contenta che si conosca la verità (n. 645, CLM 2, p. 48). Ma

quanta ansia e fatica spese in questa inutile opera di scavo! Caterina si sbagliava anche

questa volta? Per verificarlo, Suor Dufès scrive a Suor Grand; la risposta si fa

attendere e non partirà che il 24 giugno. Essa conferma la straordinaria visione di

Caterina: «Sì, mia buona Suor Dufès, la nostra dolce Regina è apparsa tenendo la «

sfera» del mondo nelle sue mani verginali e benedette, riscaldandola col suo amore,

poggiandola sul suo cuore misericordioso e guardandola con ineffabile tenerezza.

Conservo pure uno schizzo, progettato molto tempo fa, che la rappresenta in questo

atteggiamento » (n. 460). Suor Grand aggiunge una perorazione calorosa ma confusa

per armonizzare le due visioni, quella col globo e quella senza.

La veggente e lo scultore

In seguito a tale conferma, Suor Dufès accompagna Caterina alla rue du Bac, dopo un

« pranzo anticipato ». E, « mentre la comunità èin refettorio » la conduce in cappella

dove si fa indicare il posto esatto in cui collocare la statua e l'altare: dal lato destro di

chi guarda l'altare, dove si trova il quadro di San Giuseppe. Suor Dufès presenta la

richiesta ai superiori, ma non se ne fa nulla. Si avrebbero così due statue della Vergine

il che solleverebbe delle difficoltà presso le autorità. Ma niente impedisce che il

modello sia realizzato per la casa di Reuilly, a titolo privato. Suor Dufès vi provvede.

Soltanto Chevalier (fin dal 1878), secondo Suor Dufès, ha notato alcuni particolari

concreti della descrizione: « Né troppo giovane, nè troppo sorridente, ma di una

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gravità mista a tristezza, che sparivano durante la visione, quando il volto si illu-

minava dei chiarori (...) dell'amore, soprattutto nel momento della sua preghiera » (n.

674, CLM 2, p. 111). Suor Dufès ordina la statua presso la Ditta Froc-Robert e invia

Caterina al laboratorio per esaminare il bozzetto. La sicurezza e le critiche della suora

mettono lo scultore in allarme: - Non è la suora delle apparizioni? (n. 1251, PAspec 7,

p. 180). Ciò serve ad abbreviare il dialogo. Caterina si eclissa con l'aria trasognata che

prende in tali circostanze. Questo intervento della contadina presso l'artista fa

veramente ridere l'accompagnatrice: - Ma di che cosa s'impiccia? Ha perduto la testa?

Caterina non può nascondere la sua delusione: no, non è questo. Suor Dufès le fa fare

il giro dei magazzini di San Sulpizio per tentare di scoprire l'introvabile modello.

Inutilmente. Qualche settimana dopo, la statua è consegnata a Reuilly. Suor Dufès non

la metterà in cappella ma, discretamente, nell'ufficio dove lavora e dove Caterina è

invitata a recarsi. Ella osserva con molta attenzione: molti dettagli da lei descritti sono

stati scrupolosamente eseguiti: il globo d'oro sormontato da una croce, « il serpente

verdastro » sotto i piedi dell'Apparizione, ma non manifesta entusiasmo, anzi torce il

naso. Un po' delusa, Suor Dufès la esorta: - Non si dev'essere troppo difficili! Gli

artisti terreni non possono realizzare quello che non hanno visto!

La fine del martirio

La confidenza e la realizzazione della statua costituiscono per Caterina un grande

sollievo e le apportano una grande pace. Le ferite si cicatrizzano; questo segno

insperato le dona la speranza che la statua sarà un giorno collocata nella cappella.

Quale importanza?

Responsabile verso la Madonna di quanto era stato omesso, Caterina ora si sente

scaricata, pronta alla partenza che avverte prossima. Nel l'ora in cui il corpo le viene

meno, la serenità del profondo risale alla superficie. La sua vecchiaia diventa un

bell'autunno, ma la contadina sa bene che queste ultime gioie annunciano l'inverno e la

morte; non le costa di vederla avvicinarsi, si abbandona all'incontro sconosciuto come

ad un viaggio verso la persona amata. Quello che avverrà in seguito non la riguarda: il

cielo e i superiori ne avranno cura. Quale importanza aveva la realizzazione com-

plementare di questa Vergine col globo? E' difficile valutarlo! Questa statua non ha

esercitato un influenza paragonabile neppure in minima parte a quella della Medaglia

miracolosa che veniva nell'ora giusta per risvegliare nella Chiesa una nuova primavera

di carismi e di conversioni. Se il P. Aladel non si faceva scrupolo per i dettagli, aveva

rispettato però l'essenziale: l'invocazione, la rappresentazione più classica dell'Im-

macolata Concezione e le mani da cui emanavano i raggi, simbolo nuovo della luce di

Dio attraverso Colei che generò il Verbo. Ma era legittimo che Caterina desiderasse

veder rappresentato quest'elemento complementare che deriva anch'esso da una

tradizione? Tocchiamo a questo punto la relatività delle visioni. La Chiesa ha sempre

insistito al riguardo, sottolineando il contrasto tra le rivelazioni private e la rivelazione

evangelica. Le prime non sono che un carisma particolare, destinato a risvegliare la

speranza.

« E' l'ultima volta »

E' senza angoscia che ad ogni festa liturgica, Caterina ripete ciò che è divenuto un

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ritornello: - Celebro questa festa per l'ultima volta! Pensano che vaneggi

poiché non si avverte che declina ma ella persevera nella propria idea e vi ritorna il 15

agosto, festa dell'Assunzione, nel ricevere la visita di Maria Antonietta Duhamel con

le due nipotine: « Donò alcune immagini alla maggiore in ricordo della sua prima

Comunione (narra Maria Antonietta). Le feci osservare che non vi era alcuna fretta

perché la bambina avrebbe fatto la prima Comunione solo l'anno seguente, ma ella mi

rispose: - Oh! hia cara figliola, l'anno prossimo noi ci sarò più. - Ma è troppo presto -

replica Marta - io non farò la prima Comunione che nel mese di maggio! - Lo so, ma

non sarò più qui. Preferisco dartele subito ». Suor Caterina le offre un'immagine che

rappresenta una comunicanda, e qualche ricordo. Maria Antonietta Duhamel insiste: -

Ma voi godete buona salute come sempre. - Non volete credermi! - dice

scherzosamente Caterina ferma nella sua convinzione - Vedrete! L'8 settembre, visita

di Filippo Meugniot il quale non sa che è l'ultima. Suor Dufès gli svela il segreto di

Caterina, che egli ignorava. Il giovane non osa parlarne alla zia e si meraviglia di

trovarla sempre tanto discreta. E' molestata dal cuore che le provoca dei soffocamenti,

ma si mette seduta nel letto. Il nipote è impressionato dalla sua calma, dalla sua «

tranquillità »: « è pronta a comparire dinanzi a Dio ». Evoca allegramente il riposo

forzato (che le costa): - Eccomi come una regina... Bernardetta farà uso dello stesso

paragone, in una lettera del 1876 indirizzata a Madre Sofia Cresseil. Verso la fine del

mese, Caterina è ancora allettata. Suor Henriot viene a farle visita e l'assiste poiché

l'infermiera abituale è assente: - Preghi per me - le dice. - Pensi a me, io pregherò per

lei - risponde Caterina. Nel marzo seguente, Suor Henriot ricorderà questa promessa.

Veglierà in preghiera, presso la tomba di Suor Caterina, per una suora gravemente

ammalata... Quella suora guarira...

4. UN AUTUNNO RADIOSO

Declino

In ottobre Caterina si alza; il declino è lento: « indebolimento, languore, vecchiaia,

logorio, sfinimento », dicono i testimoni. - Non è più lei... - dicono coloro che la

vedono indebolirsi. - Ne han dette ben altre di Nostro Signore - confida Caterina che

conserva buono l'udito e buoni gli occhi azzurri dietro le lenti dalla montatura di ferro.

Il suo cuore cede, la respirazione è soffocata. Per sollevarla, le applicano delle san-

guisughe sui reni. La sua pazienza aumenta in proporzione dei dolori alle gambe. Suor

Combes si stupisce di vederla « sempre calma come se non soffrisse ». Quando la

sofferenza diventa palese e la compiangono, ella dice: - Il buon Dio merita certamente

che soffriamo per Lui.

Ultime attività

Ha cessato di lucidare con la cera i pavimenti con lo straccio pesante. E' stata disim-

pegnata dagli impieghi regolari, ma quando può alzarsi custodisce la portineria. Fa

piccoli bucati complementari, passa in rivista il vestiario degli anziani e vigila sulla

loro alimentazione di cui conosce così bene i problemi da 46 anni: perché ognuno

abbia tutto il necessario! Ella mette le giovani suore al corrente delle mansioni che

lascia. « Negli ultimi mesi del 1876 », Suor Cabanes, incaricata della cucina, la vede

arrivare « ogni giorno, prima dei pasti, per assicurarsi che tutto sia conveniente » ed è

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messa da lei al corrente « dei piccoli dettagli », con grande « bontà». - Ecco

come facevo io - dice Caterina - e come faceva la suora che l'ha preceduta. Se in-

contra qualche pena, non si spaventi - aggiunge - io ne ho incontrate altre! Il 30

ottobre 1876, prende la penna per mettere in iscritto la confidenza fattale dalla Ma-

donna, seduta sulla misteriosa poltrona, alla rue du Bac: « Figlia mia, il buon Dio

vuole affidarti una missione! ». In quegli stessi giorni, dice a Suor Millon: - Morrò

prima dell'anno prossimo e non vi sarà bisogno di carro funebre per portarmi al

cimitero! - Scherza, Suor Caterina? - Vedrà, mia cara! (n. 1257, PAspec p. 237).

Ritiro di novembre

Il 5 novembre 1876, Caterina è ancora abbastanza forte per recarsi a fare il ritiro alla

Casa Madre. Ve la conducono in carrozza: in una cornice dorata di foglie autunnali,

ella si mostra coraggiosa, segue tutti gli esercizi, resta in ginocchio come le suore più

giovani, malgrado la sua artrite, tanto dolorosa e le ginocchia gonfie. Rifiuta anche un

cuscino che le viene offerto per arrecarle sollievo. Anche in tale occasione, il suo

vaneggiare stupisce: - E' il mio ultimo ritiro - dice a Suor Pineau (n. 892; cfr. n. 1278,

1660, MISERMONT, Vita, 1931, p. 227; ed. 1933, p. 229). Non le prestano gran che

fede per tale affermazione... Civetteria di un'anziana che cerca di farsi compatire...

Ella, tuttavia, dice questo senza affettazione. Al suo arrivo, fa una visita alla sorella

maggiore, Maria Luisa. Non è tanto soddisfatta di trovarla a letto, sebbene sia ottua-

genaria: - Presti troppa attenzione ai tuoi malanni; credo che, se lo volessi, potresti

alzarti! Non è che Caterina manchi di compassione per le infermità. Tempo addietro,

andando a far visita a un fratello ammalato all'Ospedale Lanboisière, si era affrettata a

discendere dalla carrozza per prima per aiutare la sorella anziana. Ma, nella fretta, si

era slogato il polso, cosa che non le aveva impedito di fare volentieri la visita, con la

mano fasciata. Ma Caterina, che conosce ora la vecchiaia, sa quanto le costi, ogni

mattina, sollevare dal letto le sue vecchie ossa, malgrado tutto... Non è più come a

Fain, quando era giovane! Questa volta, ella parla soprattutto a Suor Cosnard, sua

antica compagna di Reuilly dal 1864 al 1873, che si trova ora in ufficio al Seminario.

C'è una vera comprensione tra lei e Suor Caterina che spera far passare attraverso la

compagna il messaggio della Madonna, ancora troppo misconosciuto... Suor Cosnard

fa parte di quelle che « sanno ». Interiore e discreta, sebbene fervorosa, sa condividere

in profondità. Riesce così a far parlare Caterina sulle apparizioni, per accenni, senza

che ella si sveli. Caterina può in tal modo confidare il messaggio che le sta a cuore: -

Quando è apparsa a « una delle nostre suore » (...) la Vergine Santissima teneva fra le

mani la « sfera » del mondo. Ella la offriva (...). Nessuna stampa delle apparizioni la

rappresenta in tale atteggiamento. Ella lo vuole, però, e vuole anche un altare nel

luogo dove è apparsa. Tutto questo, a proposito del Seminario e della formazione

delle suore. Caterina si duole che qualcuna di loro non porti neppure la Medaglia e che

la cappella della rue du Bac rimanga sempre chiusa ai pellegrini... L'ultimo giorno (14

novembre), Caterina chiede a Suor Cosnard: - Mi accompagni in Seminario. Durante

quell'ora di ricreazione, in cui non vi è nessuno, vuole rivedere, un'ultima volta, i due

quadri delle apparizioni, dipinti da Lecerf nel 1835: i primi e quelli più accuratamente

eseguiti per commemorare il messaggio presso le Figlie della Carità. Caterina si

inginocchia e prega, si alza poi (non senza sforzo) e contempla a lungo quelle pitture

che Aladel le aveva mostrato, 31 anni prima... Si attarda... la campana suona la fine

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della ricreazione e le giovani suore rien- trano in Seminario. Spiano la suora dagli

occhi azzurri e una di loro si lancia a indovinare: - Oh! E' la suora che ha visto la

Santissima Vergine! Caterina ritorna in sé: - Va bene! sorella, va bene! - dice

recisamente. Sarebbe un tiro giocato per « mostrarla »? Suor Cosnard ha forse svelato

il suo segreto? Se ne va bruscamente e rientra a Reuilly senza andare a salutarla. Suor

Cosnard ne soffre molto. Caterina la ritiene colpevole? E' irritata? Quale triste epilogo

di quegli incontri così belli! « Sono le nostre perle! » Malgrado tale incidente, il

soggiorno alla rue du Bac ha fatto del bene a Caterina. Ha ripreso coraggiosamente i

suoi lavori. Il 24 novembre, vigilia della festa di Santa Caterina, Suor Tranchemer, che

le gira sempre d'intorno, le conduce delle bimbe per augurarle buona festa. Caterina è

inginocchiata davanti alla fontana del cortile. Lava, da sola, le sedie degli anziani, cioè

le sedie bucate, che gli anziani utilizzavano di notte per i loro bisogni in un tempo in

cui non vi erano bagni nel piano. Non è un'occupazione piacevole. Le bambine si

turano il naso, ella sorride della loro delusione e dice: - Questo è essere Figlie della

Carità, bambine, sono queste le nostre perle! Si lava le mani e si toglie il grembiule,

tutta pulita: - Ora venite perché vi abbracci! Era cosa rara perché, come racconta in

altra sede Suor Tranchemer, « Caterina non aveva l'abitudine di abbracciare i bambini,

ma si chinava e faceva loro una leggera carezza ». In un giorno di festa, però,

seguendo la buona tradizione paesana, ci si abbraccia. - Siate tanto buone, tanto

obbedienti e la Santa Vergine vi amerà molto. Io la pregherò per voi - dice prima di

riprendere il lavoro. Il 30 novembre, morte di Augusto, « il fratellino » infermo di

Caterina che ella aveva assistito quando era giovane. Era rimasto handicappato per

tutta la vita, a carico degli uni e degli altri. Il l° settembre 1867, uno dei fratelli lo

aveva ricoverato alla « Certosa » di Digione, l'ospizio del dipartimento, in via

Plombières. Una polmonite se l'era portato via, dopo 9 anni di ricovero. Caterina non

l'aveva rivisto da lungo tempo. Il beniamino della famiglia aveva 67 anni.

Ultima festa dell'Immacolata

L'8 dicembre, Suor Dufès le procura la gioia di recarsi alla Casa Madre, in occasione

della festa dell'Immacolata. E' prendere due piccioni con una fava, perché Suor

Cosnard è triste dopo il brusco addio del ritiro... « Caterina era un po' irritata contro di

me, persuasa com'era che avessi provocato proprio io l'esclamazione delle novizie

(racconta Suor Cosnard). Ci abbracciamo, in segno di riconciliazione, senza spiegarci

diversamente » (n. 939). Il segreto di Caterina trapela sempre più, ma si evita di

provocarla. Il fervore intorno a lei mantiene le distanze... Avviene forse perché non

l'aiutano a salire in carrozza? Lasciando la Casa Madre ella cade e si sloga il polso, ma

non ne fa parola e nessuno se ne accorge. Come può, avvolge il braccio contuso nel

fazzoletto: - Che le succede, Suor Caterina? - domanda Suor Dufès. Questa mostra il

polso fasciato che sostiene con l'altra mano e risponde allegramente: - Ah! sorella mia,

ho il mio mazzo di fiori. Ogni anno, la Vergine Santa mi invia doni di tal genere!

Caterina prende come regali avvenimenti lieti e tristi... La confidenza non colpisce

meno Suor Charvier che esclama: - La sistema bene, la Santissima Vergine! Vale la

pena che lei si disturbi per andarla a pregare alla Casa Madre? Caterina risponde «

con grande calma »: - Quando la Vergine Santa invia una sofferenza, è una grazia che

ci fa (n. 976, CLM 2, p. 307). Sì, tutto è grazia per Caterina!

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5. QUANDO GIUNGE L'INVERNO

Per Suor Caterina il declino si accentua: il polso rifiuta di funzionare, ella è spesso

costretta a stare a letto ma si alza appena può, tanto affaticata che fa pena. Coraggiosa

senza debolezza, ha bisogno soltanto di piccoli riguardi per il suo indebolimento. «

Quello che vuole » Non è difficile per il vitto e mangia sempre di meno. La mattina

non può prendere nulla, la sera quando le chiedono che cosa desidera, risponde: -

Quello che vuole. E se insistono, conclude invariabilmente: - Delle uova strapazzate. «

Sollievi »? Un giorno, tuttavia, il ritornello varia; Caterina si sente debole, non ha

mangiato in questi giorni e la preoccupazione di riprendere le forze, le dà l'idea di

chiedere: - Una mela cotta! Lei, che sembra ordinariamente indifferente, fa vedere che

aspetta questa mela che ritarda. Ha fame? Sì, un'improvvisa fame di moribonda,

sussulto di un organismo sfinito. - Come! Una suora che si dice abbia visto la

Santissima Vergine si lascaia andare a desiderare tali delicatezze! - esclama Suor

Tanguy. Dice questo davanti al P. Chinchon, l'antico confessore, che la stupisce

prendendo le difese di Caterina: - Oh! - egli afferma - potrei citarvi un santo

canonizzato (il cui nome è stato dimenticato dal testimone), che chiese delle fragole

sul letto di morte (n. 979, Suor Cantel, CLM 2, pagina 310). Come tutte le persone che

si indeboliscono, Caterina sente talvolta il bisogno di cibi più corroboranti. Negli

ultimi tempi in cui non poteva sopportare niente al mattino, si manteneva prendendo la

sera « brodo, latte, tisana o anche dell'uva passita ». Ella non suppone che questi

piccoli dettagli saranno presto considerati in maniera sospettosa nei processi di

canonizzazione. L'avvocato del diavolo, meravigliato di queste tendenze naturali in

una candidata alla santità, si domanderà se la golosità non sia stato il demonio della

sua vecchiaia. Era il punto di vista del P. Hamard, lazzarista, il cui spirito critico e

faceto si divertiva a smontare fervori che gli sembravano eccessivi. - Suor Caterina

era una buona figlia - diceva alle suore di Reuilly - ma si lasciava andare a un po' di

sensualità durante la malattia. Suor Lenormand si crederà obbligata a riferire queste

parole, in coscienza, poiché ha giurato di dire tutto in fedeltà al giuramento. Avrà

bisogno di lunghe dissertazioni per dissipare queste critiche basate su false apparenze.

Questo lavoro riuscirà a dare l'esatta visione dei modesti desideri di Caterina, che

saranno trovati conformi alle Regole del Signor Vincenzo e paragonabili alle tendenze,

talvolta più raffinate, di certi santi nella loro ultima malattia. Vent'anni dopo, durante

l'estate 1869, Teresa di Lisieux morente, esprimerà desideri di cibi più costosi: arrosto

o un dolce alla crema di cioccolato (RENÈ LAURENTIN, Thérèse de Lisieux, Paris,

1973, pagina 125). La santità non esclude innocenti desideri naturali, né la semplicità

del cuore.

Un'infermiera negligente

Se Caterina ha dovuto talvolta spilluzzicare è perché la sua infermiera negligente, Suor

Maria, dimenticava di portarle il pranzo quando la « decana » malata non poteva

scendere. Caterina non si sarebbe lamentata per nulla al mondo; di conseguenza si

contentava di quello che trovava. Da ciò, i suoi pasti frugali e fuori serie, che sono

stati presi per cose superflue. Anche l'assistente, Suor Tanguy, l'ha riconosciuto come

pure Suor Olalde: « Caterina non si lamentava e sopportava tutto. (...). Essendomi

accorta della cosa, volli sapere ciò che ne pensasse la Venerabile. Questa mi rispose

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con calma e semplicità: - Suor (Maria) non è una lavoratrice! Abbandonata,

senza lamentarsi, Caterina non raccoglierà che rimproveri piuttosto vivaci, compresi

quelli di Suor Tanguy. Suor Cabanes racconta: «Ho visto proprio io la suora assistente

della comunità fare a Suor Caterina rimproveri molto vivi perché avrebbe omesso di

prendere delle medicine che la suora della farmacia le aveva portato, quando era

ammalata e costretta a letto. (...) Ella non si scusò e (...) mantenne il silenzio. (...)

Quando Suor Assistente se ne fu andata, Suor Caterina si voltò dalla mia parte e mi

disse con grande dolcezza: - Non l'ho vista in tutta la giornata e vede come mi tratta

quando viene (...). Ella aveva preso le medicine prescrittele. Un giorno, Suor

Tranchemer la scopre senza fuoco, in pieno dicembre: - Deve aver molto freddo, Suor

Caterina. Riaccenderò il fuoco... - No, lasci, non è nulla. Tutto è grazia per Caterina in

queste lunghe notti senza luce. Verso la metà di dicembre (secondo Suor Maurel): «

non poteva prendere niente altro, il suo stomaco era malandato (...). A malapena,

riuscivamo a farle bere un po' di brodo verso le 9 del mattino Il 18 dicembre Suor

Cessac, una postulante in partenza per il Seminario, viene a farle gli addii. «Suor

Caterina era molto calma e mi disse: - Me ne vado in cielo! Andrò a Reuilly Verso il

20 dicembre, Suor Maria Thomas (l'infermiera negligente, secondo Suor Pineau, n.

892) la trova sempre benevola: - Oh, come è buona la mia superiora! -esclama

Caterina. Suor Maria si stupisce di sentirla dire, dopo il ritornello ben conosciuto

riguardo alla sua morte, « prima del prossimo anno »: - Non ci sarà bisogno del carro

funebre. Suor Maria esclama: - Ma come si farà con un corpo così grande? Ella

replica: - Ebbene, sarà così. Io verrò a stare con voi a Reuilly. E aggiunge: - Non vi

sarà bisogno di cordoni. Caterina intende parlare di ciò che allora si chiamavano i «

cordoni della coltre mortuaria »: quei nastri che degli amici tenevano cerimonio-

samente ai quattro angoli del carro funebre. Suor Thomas si affretta a riferire questo

strano discorso a Suor Dufès: - Tenga questo per lei - risponde la superiora (n. 645,

CLM 2, p. 50).

La Marescialla ed altre visite

Caterina resta spesso a letto, il che comporta un piccolo flusso di visite: coloro che

sanno, specialmente la Marescialla de Mac-Mahon. Suor Caterina le consegna delle

corone e alcune Medaglie. Ma Leonia Labouré, venuta a far visita alla zia qualche

settimana prima della sua morte, non ha il permesso di salire al dormitorio e Caterina

non è in condizioni da poter discendere. Fra le visite quotidiane, oltre Suor Tranche-

mer, c'è Suor Charvier, che attesta: «Andavo a farle visita ogni giorno e, talvolta, più

volte al giorno. Le portavano di tanto in tanto la santa comunione (...). Le chiesi una

volta perché non sollecitasse questa grazia più di frequente ed ella mi rispose: -

Quando mi portano il buon Dio, sono contenta ma preferisco fare come tutti, non

voglio farmi notare ». Anche Suor Cabanes: «La vedevo ogni giorno da quando si era

allettata; io le dicevo: - Mia buona Sorella, è molto sola! Ella mi rispondeva: - Vada!

Non sono molto da compiangere, ho tutto quello che mi è necessario! ».

Infine, il confessore

Giunta a uno stato di pazienza inalterabile, Caterina ha espresso, tuttavia, un desiderio:

rivedere il P. Chinchon, il confessore che le è stato ricusato l'anno scorso, dopo un

quarto di secolo in cui tante cose si erano avviate. E' una richiesta serena; ora che si è

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confidata, Caterina si sente al disopra delle ferite subite: è un ultimo scambio,

un incontro, un addio. Il 29 dicembre, Suor Tranchemer le fa un'ultima visita, mentre

Suor Dufès è al capezzale dell'ammalata, ed è affascinata dalla serenità del volto di

Caterina.

Unzione degli infermi

Negli ultimi giorni di dicembre, Caterina chiede l'Olio degli infermi, ma la cosa

sembra prematura. Tuttavia, poiché ci si accorge che ella sta per mancare, viene fatta

la proposta di andare in cerca di un sacerdote vicino, dai Padri di Picpus. - Posso

aspettare il lazzarista che confessa... Paradosso! Questo lazzarista è il P. Hamard...

Caterina riceve gli ultimi Sacramenti mediante il ministero di colui che sarà il più

pericoloso avvocato del diavolo all'apertura del processo di canonizzazione, non per

ostilità ma per gusto del paradossale... Molte delle compagne sono presenti: -

Domando loro perdono di tutte le mie mancanze a loro riguardo - dice Caterina

secondo l'uso. Riceve in piena lucidità l'unzione su ognuno dei cinque sensi, a

cominciare dagli occhi azzurri: - Il Signore ti rimetta i peccati commessi con lo

sguardo. Le formule hanno qualcosa di assurdo davanti a questa trasparenza; Caterina

rinnova i suoi voti con uno slancio tranquillo.

Ultima confidenza

Il 30 dicembre visita di Suor Cosnard mentre altre suore sono presenti. Dopo la

riconciliazione dell'8 dicembre, Suor Consard desidererebbe una conversazione più

intima, ma come fare? Si avvicina al letto e mormora: - Suor Caterina, ci lascerà

senza una parola sulla Vergine Santissima? Caterina la fa avvicinare, annota Suor

Pineau, si china, le parla all'orecchio, le altre non sentono... Sì, Caterina ha qualche

cosa da dire a Suor Cosnard perché è suora « d'ufficio », incaricata della formazione in

Seminario. La morente conserva desideri immensi e anche rimpianti riguardo alle due

famiglie del Signor Vincenzo: - Faccia pregare bene; il buon Dio ispiri ai superiori di

onorare Maria Immacolata: è il tesoro della Comunità. Si reciti bene il Rosario. Le

vocazioni saranno numerose... se si trae profitto da questi tesori. Di fronte alla

recessione degli anni 1860-70, ella avrebbe aggiunto: - Diminuiranno se non si è fedeli

alla Regola, all'immacolata Concezione, alla corona... Noi non siamo più abbastanza

le serve dei poveri! Ricorda le giovani suore che ha aiutate a vincere delle ripugnanze,

tra le quali, ultimamente, Suor Maurel che l'ha sostituita: - Le postulanti dovrebbero

andare negli ospedali per imparare a superarsi. Si interrompe, temendo di andare

oltre la sua missione: - Non spetta a me parlare. E' il P. Chevalier (il direttore delle

Figlie della Carità) che ha questa missione! Ricorda forse la suora che la trattava da

sciocca e cercava opere più appariscenti? Soggiunge: - Le giovani suore sono state

troppo innalzate, invece di essere mantenute sempre nell'umiltà. Che esse ascoltino le

suore anziane... Imparino lo spirito di San Vincenzo... La Santissima Vergine ha

promesso grazie ogniqualvolta si pregherà nella cappella: soprattutto la purezza di

spirito, di cuore, di volontà... Il puro amore.

Preghiere degli agonizzanti

Intorno al letto di Caterina che si indebolisce, oggi vengono recitate le preghiere degli

agonizzanti, che ella stessa ha chiesto. - Non ha paura di morire? - domanda Suor

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Dufès. Gli occhi azzurri di Caterina sembrano esprimere meraviglia, come un

cielo senza una nube: - Perché temere di andare a vedere Nostro Signore, sua Madre e

San Vincenzo?

8. MORTE DI CATERINA (31 dicembre 1876)

1. LUCIDA E PACIFICATA

31 dicembre 1876: l'anno termina e Caterina non è morta, né sembra prossima alla

morte; Suor Dufès canzona questa testarda... Caterina le dichiara tranquillamente: -

Non arriverò a domani! Suor Dufès contesta: - Ma domani è il primo dell'anno! Non è

il ;nomento di lasciarci! Caterina ripete imperturbabile: - No, non arriverò a domani!

Visita del biografo

Nel pomeriggio, il P. Chevalier, vice-direttore delle Figlie della Carità, viene a darle la

benedizione. L'ammalata l'ha veduto più volte in quest'anno, perché egli termina una

nuova edizione - riveduta e rimaneggiata - del libro sulla Medaglia, di cui Aladel

aveva pubblicato l'ottava edizione nel 1842. Egli si era preoccupato della Vergine col

globo: - Non l'ha sognata? - Ho visto davvero questo globo! - Perché il P. Aladel non

ne ha parlato? Caterina non trova risposta e il P. Chevalier la cercherà a lungo. Egli

contava pubblicare l'opuscolo nell'anno, ma Caterina gli diceva allegramente: -

Quando questa notizia apparirà, io sarò morta! - E' pronta! - aveva replicato lui nella

precedente visita. - La coglierò alla sprovvista. Nel 1842 dicevo anche al P. Aladel

che né lui, né io avremmo visto l'edizione seguente. Caterina è sempre preoccupata

della rue du Bac: Fonte sconosciuta, fonte sigillata: - I pellegrinaggi che le suore

fanno altrove non ne favoriscono la pietà - afferma. La Vergine Santa non ha detto

che si doveva andare a pregare tanto lontano. Ella vuole che le suore l'invochino

nella cappella della comunità. E' là il loro pellegrinaggio. Il suo futuro storico la

benedice prima di andarsene, ella sembra felice.

2. PRIMI ALLARMI

Verso le 3 pomeridiane, ecco una visita gradita: Maria Antonietta Duhamel, la figlia di

Tonina, con le sue bambine: Marta e Giovanna, come pure un'altra nipote. Più

fortunate di Leonia Labouré, ricacciata indietro a metà dicembre, esse hanno il

privilegio di salire « nel dormitorio » di Caterina, che respira con difficoltà. « Il sudore

le imperla la fronte » ma il suo cuore si risveglia per accogliere... Si siede, « con le

gambe penzoloni » dal letto di ferro, la cornetta che le è stata messa alla meglio

dall'infermiera negligente. Ha preparato le strenne per le bambine e invia una suora a

prenderle nell'armadio: caramelle, cioccolato... e una manciata di medaglie per la

mamma. La visita non deve essere troppo lunga per non stancarla: - Ritornerò domani

per augurarvi buon anno, dice Maria Antonietta alzandosi. - Se torni, mi vedrai ma io

non ti vedrò perché me ne sarò andata - risponde sentenziosamente Caterina. Ella

sembra assopirsi, il suo sguardo azzurro diventa vago. Maria Antonietta e le nipotine

sono appena giunte in fondo al giardino che Suor Caterina si accascia sul guanciale;

stava preparando i doni per le suore: dei pacchetti di medaglie che le cadono di mano

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sparpagliandosi sul letto. L'infermiera avverte con urgenza Suor Dufès, accorre

al dormitorio la comunità che comincia a pregare, ma Caterina apre gli occhi: falso

allarme! - Mia buona Suor Caterina - dice scherzosamente Suor Dufès - non sa

dunque che è il 31 dicembre! Le pare un giorno adatto per procurarci simili spaventi?

- Ma io non volevo che la disturbassero, ma Socur! Non è ancora la fine! Decidono,

tuttavia, di portarle il Viatico; le suore scendono per accompagnare il Santissimo

Sacramento. In quel momento arriva Suor d'Aragon, la compagna di Suor Dufès

durante l'esodo al tempo della Comune. Profittando che sono sole, ella si avvicina al

letto dell'ammalata: - Suor Caterina, preghi per me... per i miei nuovi compiti! La

suora è stata da poco nominata Suor Servente (cioè Superiora) nella casa dei Blancs-

Manteaux. Caterina promette, ed aggiunge: - Ho visto il P. Chevalier. Sono felice!

Riceve il Viatico... Una suora le chiede: - Farà le mie commissioni per il cielo? Col

suo abituale realismo, Caterina risponde: - Non so come questo avvenga lassù! In vita,

come in morte, non si deve mai promettere quello che non si potrà mantenere! Suor

Dufès si domanda se la compagna veda il cielo come una maestosa corte: - Andiamo,

Suor Caterina! In cielo non è necessano conporre delle frasi! Basterà uno sguardo,

per confidare le sue intenzioni al buon Dio! - Oh! allora, Lo pregherò! risponde

Caterina che si ritrova in questa prospettiva. Suor Dufès è chiamata in parlatorio. -

Sono delle giovani che vengono ad augurarle buon anno. Ella esita, ma Caterina le

dice: - Ha certo il tempo, può andarvi. La farò avvertire. Verso le 5, Suor Dufès

manda Suor Clavel al capezzale della malata. - Non credo che sia così vicina alla fine,

ma se vede che si indebolisce, venga a dirmelo. Verso le 5,30, Suor Combes raggiunge

Suor Clavel. Alle 6, ha improvvisamente l'impressione che Caterina se ne vada;

discende in cerca di Suor Dufès, ma vedendo la superiora, Suor Caterina si riprende

ancora una volta e ricomincia ancora una volta l’antifona: Morrò oggi stesso.

3. LA PARTENZA

Suor Dufès è scesa per la cena. Una suora giunge con delle medaglie; infatti Caterina

aveva ripreso a preparare i pacchettini per la comunità, e per Suor Cosnard e, non

avendone a sufficienza, le aveva chiesto: - Suor Caterina, ecco le sue medaglie!

Questa non risponde e non dà segno di vita, Suor Tranchemer gliene mette alcune

nelle mani; le medaglie cadono sul lenzuolo. Sono le 6,30: questa volta, Suor Caterina

se ne va. Suor Dufès interrompe il pasto e sale in fretta. Suonano la campana: non si

usa farlo per l'agonia, ma si tratta di Caterina... La comunità accorre: non è questo

l'uso, ma si tratta di Caterina! Ella aveva previsto la liturgia della sua morte: 63

bambine per dire ognuna delle invocazioni litaniche... Suor Dufès aveva arricciato il

naso davanti a quest'insolito programma: - Non vi sono 63 invocazioni nelle litanie

della Vergine Santa! - Ci sono, nell'Ufficio dell'Immacolata Concezione... Nel nostro

libro di preghiere! Vanno a vedere nelle Litanie dell'Immacolata, nel Formulano di

preghiere all'uso delel Figlie della Carità: queste non comportano che 37 invocazioni!

Ma Caterina non ha detto le litanie, bensì l'Ufficio... E, infatti, il piccolo Ufficio, pub-

blicato nello stesso Formulano, contiene ben 63 titoli litanici, da quello di Regina del

mondo (Domina mundi) a Salute degli infermi... Essi si succedono in serie, senza

l'alternarsi del prega per noi, preghiera che non si presta ad essere recitata dai

bambini! Le ammiratrici di Caterina non si preoccupano per questo ... Esse preparano

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le 63 invocazioni su altrettanti cartoncini. Caterina ha fatto bene il conto delle

litanie come al tempo della sua contabilità di fattoressa. Ha pensato al simbolismo

intenzionale di queste 63 invocazioni? Non lo sappiamo. Ma l'autore dell'Ufficio le ha

contate evidentemente in funzione della tradizione che attribuisce 63 anni alla

Madonna: 15 prima e 15 dopo i 33 anni del Cristo. I cartoncini sono dunque pronti ma,

l'ultimo dell'anno, non vi sono più bambine nella casa. Le orfanelle sono sparse nelle

famiglie che le ospitano in occasione del capodanno. Se ne troveranno soltanto 2 o 3,

che non sono in condizioni di recitare le litanie. Almeno, Caterina non morrà lontano

dai bimbi: ha visto questo pomeriggio le sue tre nipotine che conserveranno come reli-

quie le caramelle che ella aveva dato loro. Tre bambinette, rimaste in casa, vengono

volentieri a quest'ultima cerimonia. Le suore recitano le litanie. Caterina aveva chiesto

che si ripetesse l'invocazione Terrore dei demoni, la diciottesima. Viene ripetuta tre

volte... La moribonda sembra associarsi a questa preghiera ma non si ode il suono

della sua voce. - Vuole dunque lasciarci - le dice dolcemente e con tenerezza Suor

Dufès; Caterina non risponde: « silenziosa nell'ora della morte come lo era stata

durante la vita ». Le suore continuano con le preghiere degli agonizzanti, ripetono

l'invocazione della medaglia: O Maria concepita senza peccato... Caterina si assopisce

a poco a poco, si addormenta senza agonia. Suor Cantel si meraviglia di non veder

apparire « sul suo volto nessuno dei segni che si notano sul viso dei moribondi »...

Non ha « mai visto nulla di simile ». Caterina accetta docilmente e a doppio titolo, la

morte, da campagnola, abituata com'è ad adattarsi perfettamente ai ritmi della vita, da

cristiana, felice di andare a raggiungere, secondo una delle sue ultime parole, « Nostro

Signore, la Madre sua e san Vincenzo ». Un sorriso... due grosse lacrime: è morta. Le

chiudono gli occhi, sono le 7 pomeridiane. Suor Caterina aveva previsto questa morte

33 anni prima, durante il ritiro del maggio 1843, unicamente alla luce dei poveri e

della Santissima Vergine: « Maria ha amato i poveri e una Figlia della Carità che ama

i poveri (...) non avrà alcun timore della morte. Non si è mai inteso dire che una Figlia

della Carità, che ha amato veramente i poveri, abbia provato timori spaventosi di

fronte alla morte. Al contrario, (...) l'hanno vista fare la morte più dolce possibile » (n.

524, Note del Ritiro predicato dal P. Aladel, Quaderno degli Autografi, p. 76-78).

Proprio così l'anno vista vivere sera del 31 dicembre 1876.

4. LA LUCE

- Sì, era veramente lei che ha visto la Santissima Vergine! La cospirazione del silenzio

ha perduto la sua ragion d'essere, con la fine della vita terrena di colei che aveva così

coraggiosamente difeso il suo segreto.

Avrai la grazia

In refettorio, questa sera stessa, Suor Dufès dichiara: - Poiché Suor Caterina è morta,

non vi è più nulla da nascondere. Leggerò quanto ella ha scritto. Va a prendere nella

sua scrivania il racconto autobiografico che Caterina aveva scritto per lei il 30 ottobre,

dopo essersi confidata. E' la lettura spirituale per la comunità, questa sera.

Veglia

Le suore si disputano la felicità di preparare e poi di vegliare la salma questa notte.

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Anche quelle che temono di restare sole con un cadavere, lo fanno con gioia e

premurosamente. Caterina è esposta nella « camera mortuaria » che l'architetto ha

creata in quest'ospizio, accanto alla cappella, a sinistra dell'ingresso. Nelle sue mani

una corona con la medaglia, al disopra del capezzale, una statua della Madonna, sulla

salma un giglio e delle rose di macchia, venuti non si sa da qual parte in questa

stagione. - Come è bella nella morte - si meraviglia Suor Maddalena, che non la

trovava « bella », quando era viva.

Fotografie

Si vuole fissare il ricordo di questo volto che non vedrà più; quindi un fotografo è

convocato fin dall'indomani, al mattino del 1° gennaio. - Dobbiamo prenderla con

l'abito che indossava al tempo delle apparizioni! suggerisce una suora. Le mettono la

cuffia del Seminario, che ringiovanisce stranamente la sua maschera di anziana. Poi le

rimettono l'alata cornetta per una seconda fotografia.

Diffusione della notizia e affluenza

Fin da questo mattino del 1° gennaio, le voci che corrono suscitano una sfilata di

persone provenienti dal quartiere, dalla Casa Madre, da San Lazzaro e d'altrove. - La

folla sembra uscire di sottoterra - dice meravigliata Maria Antonietta Duhamel.

Occorre canalizzare questo afflusso, proteggere colei che ha ceduto le armi. Due suore

si collocano, una a capo e l'altra ai piedi di Caterina; interponendosi, prendono gli

oggetti che la gente vuol far toccare al suo corpo: corone e medaglie. Anche gli uomini

sono contagiati; non avendo altro, presentano i loro orologi alle due suore e li

riprendono con fervore. Le piccole Duhamel sono presenti e aiutano a ordinare il via

vai tra la gente che affluisce e questa salma, tempio di Dio. Caterina attira « come una

santa », osserva la piccola Marta. «Quando muore una delle nostre sorelle, la tristezza

ci invade, è questo un sentimento naturalissimo - attesta Suor Angelica. - Ora, alla

morte di Suor Caterina, nessuna pianse e noi non ci sentivamo tristi » (n. 1254, Suor

Tanguy, PAspec 10, p. 208). Caterina, che era di carattere gaio, aveva dovuto far

emergere la sua gioia da molti affanni... e non ha voluto lasciare tristezze. Sembra una

persona che dorme, le sue membra rimangono morbide. - E' morta veramente? - arriva

a dire Maria Antonietta Duhamel.

Rue du Bac

La comunità non può sopportare di abbandonare Caterina al cimitero, ma sembra

impossibile custodirne le spoglie. Fin da questa mattina, Suor Clavel e Suor Charvier

sono andate alla Casa Madre per annunziare il decesso... Strano capodanno! Leonia

Labouré, recatasi a far visita a Maria Luisa per presentarle gli auguri, apprende la no-

tizia: - Era una santa! - dice la sorella maggiore, sapendo ciò che le deve. - La

pregherò perché mi chiami quest'anno presso il buon Dio. Alla mia età, sono soltanto

un peso per la comunità. Suor Maria Luisa morrà in questo stesso anno, il 25 luglio, a

82 anni. Le due suore vanno al Segretariato e lanciano - follemente e timidamente -

l'idea di seppellire la defunta a Reuilly. Sorpresa! Suor De Geoffre è sedotta e si

incaricherà personalmente di ottenere il permesso dei superiori. Di ritorno a casa, le

due suore non osano mettere Suor Dufès al corrente della loro iniziativa (indiscreta)?

Per questa è dunque una sorpresa, nel pomeriggio, quando due superiore della Casa

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Madre, venute a Enghien per pregare presso la salma, le annunciano: - Ebbene,

sì, l'autorizziamo a fare le pratiche necessarie per conservare il corpo di Suor Cate-

rtna. Suor Dufès si volta verso le sue emissarie di questa mattina: - Loro hanno fatto il

peccato, saranno dunque loro a farne la penitenza! Le incarico di fare loro stesse le

pratiche necessarie. Le suore hanno le ali ai piedi per recarsi dal commissario di

polizia: - La loro richiesta è molto difficile e oltrepassa le mie competenze - risponde

questi -Ma credo che abbiano degli amici all'Eliseo. Detto, fatto. L'indomani mattina,

2 gennaio, ecco le due suore al Palazzo presidenziale. La Marescialla de MacMahon

telegrafa al Prefetto di polizia per ottenere l'autorizzazione. Viene a portarla di persona

la sera stessa, e prega presso le spoglie della serva di Dio. Si tratta di un'autorizzazione

« temporanea », ma con la garanzia che sarà presto trasformata in autorizzazione

definitiva, quando il luogo e le modalità della sepoltura saranno state determinati. Il

problema è questo: - Dove seppellirla?

La tomba si trova sotto la cappella

Si è giunti a questo punto alla sera del 1° gennaio - narra Suor Dufès che è oppressa

dalla difficoltà. - Preghiamo! - dice alle suore. « Esse passarono la notte a supplicare

Maria Immacolata di non permettere che la nostra compagna ci fosse portata via.

Durante tutta la notte, io cercavo invano un luogo conveniente per deporne la spoglia

(...). Improvvisamente, al suono della campana delle 4 del mattino, credetti sentir

risuonare all'orecchio queste parole: La tomba si trova sotto la cappella di Reuilly» (n.

645, Suor Dufès, CLM 2, p. 53). Queste parole sono sorte spontaneamente. L'ar-

chitetto avrebbe voluto colmare quello scavo inutile, nel centro della casa. Ma la

superiora precedente, Madre Mazin, aveva opposto un rifiuto non si sa perché...

Questo scantinato sembra offrirsi come luogo adatto per la sepoltura. La Marescialla

ha tenuto ad assumersi personalmente la spesa di una triplice cassa: d'abete

(all'interno), di piombo e di quercia (all'esterno): protezione necessaria contro la

putrefazione e i rischi previsti dai regolamenti d'igiene in seguito alle epidemie.

Questa ermetica bara permette di attendere l'autorizzazione definitiva e la sistema-

zione che verranno solo fra tre mesi. Sono chiamati in fretta degli operai che

cementano il suolo di questa caverna e preparano un apertura sufficiente per farvi

discendere la bara.

Né carro funebre né cordoni

I funerali si svolgono il mercoledì 3 gennaio, nella festa di Santa Genoveffa, cara a

San Vincenzo; la cerimonia comincia alle 10. La Messa cantata viene celebrata dal P.

Chinchon nella Cappella di Enghien, troppo piccola, straripante. Caterina aveva detto

alle suore: - Egli ritornerà da noi. L'anno seguente, infatti, egli riprenderà le sue

funzioni di confessore a Reuilly (n. 898, CLM 2, p. 224). I poveri hanno offerto una

corona, gli anziani un'altra. Ci tengono ad essere in testa al corteo per accompagnare

all'ultima dimora colei che li ha assistiti così bene. Si, « nessun'altra suora era tanto

amata come lei! ». Ma questo dono, questa presenza sembravano naturali al punto che

essi se ne accorgono soltanto ora. Dietro a loro, «il corteo è aperto dallo stendardo dei

giovani», seguiti dalle Figlie di Maria, anch'esse con lo stendardo in testa. Vengono

poi gli « esterni » che hanno « lasciato il lavoro » per essere presenti, e le orfanelle col

velo bianco. Finalmente, la salma portata a braccia: si realizza così la predizione di

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Caterina. - Non si avrà bisogno del carro funebre. Andrò a Reuilly. Suor Maria

Thomas, l'infermiera negligente, comprende improvvisamente questa frase che l'aveva

sconcertata e ricorda che Caterina aveva detto pure: - Non saranno necessari i

cordont. « E ciò che corrisponde da noi ai cordoni della coltre mortuaria tenuti da

coloro che accompagnano i defunti, spiega Suor Cosnard ». Quale folle idea sale nel

cervello di Suor Maria? - In mancanza di cordoni - ella dice, «andai ad afferrare uno

dei quattro angoli del drappo mortuario con la segreta intenzione di far trovare

bugiarda Suor Caterina, quando uno dei portatori mi disse: - Si ritiri, sorella, ci

disturba! Suor Maria si eclissa... Altre suore (tra le quali Suor Cosnard) cui ella,

avvalendosi della sua autorità di sacrestana, aveva fatto cenno di tenere gli altri angoli

del drappo, rientrano nel corteo. A dispetto « della solennità del momento », Suor

Maria sbalordita mormora a voce abbastanza alta perché Suor Cosnard la senta: - Lei è

sempre la stessa, Suor Caterina! Il suo tentativo è stato vano e la predizione si è

compiuta. Marta Duhamel racconta: « Mia sorella ed io camminavamo proprio dietro

la cassa e non piangevamo, malgrado la pena di averla perduta perché la

consideravamo già come una "beata" di cui non si può rimpiangere la felicità

Processione

Seguono le Figlie della Carità, in numero di 250, poi il clero con numerosi lazzaristi,

infine, un'immensa folla di gente del popolo, venuta da tutto il quartiere. Sono venuti

alcuni giovani operai del sobborgo Saint-Antoine, con la medaglia all'occhiello, so-

spesa ad un nastro azzurro e la Marescialla de Mac-Mahon, amica discreta della casa.

Accanto alla cassa, viene portata la magnifica corona che ella ha offerto con queste

parole da lei scritte: In rispettoso omaggio a Suor Caterina. Da Enghien a Reuilly il

corteo attraversa, passando per il viale principale, l'orto-giardino che Caterina « ha

fatto a sua immagine » durante 46 anni. Gli alberi da frutta da lei piantati, le aiuole da

lei formate, adattando l'esperienza della terra di Borgogna a quella dell'Ile-de-France,

restano un prolungamento vivo del suo corpo di contadina e porteranno ancora per

lungo tempo i frutti che ella ha preparato. Il volo dei piccioni che si librava sulla sua

infanzia, si libra ora sulla sua morte. Il corteo procede lentamente a causa della folla,

della strettezza del viale, ma anche per il fervore dei partecipanti.

MALATTIA E MORTE DI CATERINA

Caterina, molto robusta in apparenza, soffrì d'artrite e fu ricoverata in ospedale già nel

giugno 1844 (vedi cap. 5°). Durante la giovinezza vi è una sola forma di artrite

frequente: il « reumatismo articolare acuto». Secondo Bouillaud, che l'ha identificato

un secolo fa, è caratterizzato da atralgie mobili, colpisce le articolazioni e attacca il

cuore.

Il lato medico

Il reumatismo osservato durante la sua giovinezza, sembra aver determinato una

lesione cardiaca, per molto tempo non riconosciuta, cosa che non meraviglia in quel

tempo. Caterina sopportò, senza lamentarsi, le conseguenze di questo male. Il suo duro

lavoro accentuò l'indebolimento del muscolo cardiaco, la qual cosa può spiegare il

rigonfiamento degli arti inferiori, l'edema, le difficoltà respiratorie degli ultimi anni:

d'origine cardiaca, secondo i testimoni. Così la morte di Caterina fu quell'usura e

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quell'estinzione che essi descrivono.

La notte e l'aurora

Come ha accolto santa Caterina questa morte sorprendentemente pacifica? Si è esitanti

di fronte a una realtà così personale. La dottoressa Elisabeth Kubler-Ross (U.S.A.) ha

denunciato i falsi drammi e i travestimenti della morte in una società piena di tranelli.

Essa ha identificato le fasi normali di una morte ben accolta. Essa distingue: 1. Lo

schoc; 2. Il rifiuto; 3. La collera; 4. La depressione; 5. Il mercanteggiamento: se

guarirò... »; 6. L'accettazione; 7. La decatheixis (10° stadio secondo la medicina

ellenica) che comporta un'apertura serena verso un'altra cosa. Caterina ha bruciato le

tappe ansiose, conflittuali e negative di ogni morte. Non si trova traccia delle prime

cinque. E' entrata immediatamente nelle fasi finali della pace e della luce. Ha forse

inventato la morte senza dolore, di cui sognano i medici? Sì, se la morte senza dolore

è, come il parto indolore, l'arte difficile di assumere un passaggio arduo e la violenza

di rudi aggressioni interiori. Si, soprattutto, se è lo slancio dell'amore verso l'Incontro

che ella ha espresso, in maniera limpida, fino al giorno della sua morte: «raggiungere

Nostro Signore, la Santa Vergine e San Vincenzo ». Le invocazioni e i canti sgorgano

come per una festa. Non canti mortuari ma il Benedictus, il Magnificat, le litanie della

Vergine e, soprattutto, l'invocazione impressa sulla medaglia: - Maria concepita senza

peccato... Questa è cantata con crescente fervore. All'arrivo a Reuilly, le prime file si

dividono e si raggruppano per lasciar passare la bara. Il canto è ripreso con nuovo

fervore nel momento in cui i quattro portatori calano la bara attraverso la stretta

apertura costruita ieri, fino al suolo della tomba, di recente ricoperto di cemento. La

gente si è arrampicata sui tetti delle case vicine. No, non è un corteo funebre, ma una

gioiosa processione quella che la folla ha improvvisato. Si vede, tuttavia, qualche

lacrima: gli anziani che sanno ciò che perdono e poi, la nipote, Leonia Labouré: ci si

meraviglia, la si consola. - Ma lei non deve piangere! E' una santa, ha visto la

Santissima Vergine!

Pellegrinaggio a Reuilly

Nei giorni seguenti continua l'affluenza alla tomba in cui la cassa è stata deposta su

due cavalletti: la Marescialla de Mac-Mahon, la contessa d'En, figlia dell'ex

imperatore del Brasile, la moglie del senatore Buffet, ma soprattutto il popolino del

quartiere... Nei primi giorni, una povera donna conduce, in una cassetta montata su

rotelle, un ragazzo di 12 anni, « nato con le gambe legate », secondo la sua

espressione. Sconsolata, ci tiene a calarlo nella tomba... La cosa non è facile, non vi è

che una scala piuttosto ripida. Una suora calma il ragazzo inquieto con delle leccornie.

I familiari lo calano aiutandosi con delle corde. Ed ecco che egli si rialza da sé... Le

sue gambe sono divenute solide. E' senza dubbio il primo miracolo di Caterina per i

poveri. Ma il beneficiario è sparito prima delle inchieste, come molti poveri che

rimangono anonimi... Nella folla, i bambini sono numerosi. L'autorizzazione definitiva

per la sepoltura è ottenuta solo dopo tre mesi, nell'aprile 1877, in seguito all'ispezione

decisiva di un architetto e di un commissario di polizia. Strana coincidenza: Caterina

aveva detto, prima di morire: « alla profondità di m. 1,50 » si « vedrà una pietra

tombale (...) e vi si troverà del materiale sufficiente per far costruire (...) una chiesa ».

Suor Dufès aveva capito che si trattava di un tesoro nascosto; in collegamento con due

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Superiori generali, aveva fatto fare degli scavi, ma invano. Caterina si era dunque

veramente ingannata e ne aveva convenuto! Ed ecco che il commissario di polizia pre-

scrive di seppellirla proprio « a m 1,50 di profondità ». Di conseguenza si prepara la

tomba con pietra tombale. Verso il 1896 un prete spagnolo, Don Dadorda, venuto in

Francia per Caterina, ottiene con grande fatica il permesso di trasformare lo scantinato

in cappella, spendendovi 3.000 Franchi-oro. Vi si colloca un altare offerto dalla

Signora Gil Moreno de Mora. Simili feste, simili pellegrinaggi alla tomba non

anticipavano il giudizio della Chiesa? Se ne preoccuparono più tardi, durante il

processo di canonizzazione. Ma l'impossibile diventa ora possibile. Caterina aveva

risentito come « un matirio » i rifiuti ai quali si erano urtate, per più di 40 anni le

richieste della Vergine di cui ella era l'impotente messaggera. Temeva il 1870 come un

anno oscuro ma intravedeva, per il 1880, una speranza che sarebbe stata colmata.

L'aveva scritto in uno dei suoi autografi, l'anno in cui morì: « 10 anni dopo, la pace! »

(n. 639, CLM 2, p. 3,57). Ciò che le era stato rifiutato fino allora, le è accordato in

quell'anno: l'altare commemorativo e la statua della Vergine col globo sono collocati

nella cappella delle apparizioni dal P. Fiat. Questa cappella, finalmente viene aperta ai

pellegrinaggi, vi è celebrato il cinquantenario... Le due comunioni chieste da Caterina

per l'anniversario delle apparizioni del cuore di San Vincenzo e dellla - medaglia sono

autorizzate. Caterina aveva detto per iscritto: - Domandino a Roma e verrà loro

concesso piu di quanto chiedono. Questa speranza intravista nel 1880, parve presto

smentita da un intoppo. Nel 1881 la Congregazione dei Riti ordina di togliere la

Vergine col globo, collocata da meno di un anno nella Cappella. Ma, quattro anni

dopo, Leone XIII la fa rimettere. Nel 1894. il P. Fiat, scottato da questo incidente,

aveva introdotto una timida richiesta per celebrare « delle messe votive », senza

neppur parlare della medaglia. Egli si vede concedere, da parte dlla Congregazione dei

Riti, l'Ufficio della Medaglia con delle letture che narravano l'apparizione della

Vergine e la vita di Caterina. La festa liturgica della manifestazione della Medaglia

miracolosa viene così celebrata il 27 novembre 1894. E questo non basta al Cardinale

Aloisi Masella che ha oltrepassato la richiesta... Egli si dichiara « scandalizzato dalla

modestia » eccessiva dei lazzaristi e scrive: - Li ho biasimati ad alta voce. L'anno

seguente prende in disparte la Superiora generale delle Figlie della Carità, venuta a

Roma: - Quando introdurranno la causa di canonizzazione? Alla risposta piuttosto

evasiva della Superiora, risponde energicamente: - Ma come! E' una religiosa di

eminente santità! Se non lo fanno loro, lo farò io stesso! Le obiezioni suscitate da

questo luogo di pellegrinaggio quale Reuilly era divenuto e che poteva anticipare il

culto, spariscono, come pure quelle costituite dalla vita troppo ordinaria di Caterina.

Lo scandalo di questa banale veggente, che la gloria umana non ha sfiorato neppure

con la punta della sua ala selvaggia, obbliga a risalire alla sorgente stessa del Vangelo:

è a questa sorgente che ci riconduce la sconcertante santità di Caterina, obbligandoci a

rimettere in onore il Vangelo stesso. E' quello che ha fatto la prima biografa, Suor De

Geoffre, per tentare di ridurre una considerevole opposizione. « I contemporanei di

Nostro Signore non si scandalizzavano perché i suoi parenti erano poveri, che egli era

di Nazareth, mangiava e beveva come tutti e conversava coi peccatori? ». Le critiche

sono sommerse: quello che emerge è la santità dei poveri, frequente e misconosciuta.

E' il punto di partenza del Cristo: Beati i poveri! (Mat. 5,11). Il 27 luglio 1947, Pio XII

dichiara Caterina santa di fronte alla Chiesa universale, nella Basilica di San Pietro a

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Roma. Settant'anni prima, indovinava già il giudizio di Dio quella Suor Dufès, che

aveva impiegato tanto tempo a comprendere Caterina, quando, il 4 gennaio 1877,

all'indomani della sepoltura scriveva a Filippo Meugniot che non si era trovato

presente a quel momento luminoso: « La guardavo come la benedizione della casa e

ora, mi compiaccio nel considerarla in Cielo come una protettrice (...). Felice di aver

potuto conservare i suoi preziosi resti, saremo contente (...) di ricordare le grazie

inestimabili che ella aveva ricevute...Vi impareremo ancora come muoiono i santi, con

quali sentimenti di fiduci e di gioia si vede giungere quest'ultimo momento quando si è

saputo vivere per Dio e per Dio solo».

CONCLUSIONE

Come possiamo vedere il Cristo quaggiì...

Questa vita semplice, trasparente, parla da sé sfidando ogni commento. Dobbiamo

trarne delle conclusioni? Ciò che vi è di meraviglioso in Caterina, si dirà, sono le

apparizioni con il loro prestigio e i loro frutti? Non lo è, ancora di più, il servizio dei

poveri: « nostri padroni », come diceva Caterina sull'esempio del Signor Vincenzo?

Ella vi apprese ad incontrare Gesù Cristo in profondità ed è questa, forse, la

conclusione più indispensabile di questo libro. Il segreto di santa Caterina non consiste

tanto nell'aver nascosto la sua identità di veggente, ma piuttosto nella meravigliosa

articolazione che ha saputo stabilire tra lo splendore delle apparizioni e l'umiltà del suo

servizio: gli anziani dell'ospizio, i poveri del quartiere, per i quali ebbe una predi-

lezione, e tutti gli afflitti, i funestati, gli emarginati, i caratteriali (p.e. la Nera, sua

antica compagna di noviziato). Caterina fu per essi un porto e li amò con predilezione.

Seppe andare incontro a loro anche nella povertà: raccomodava ugualmente i loro

indumenti e i propri con rattoppi fatti accuratamente che andavano di pari passo con

una impeccabile pulizia, secondo i testimoni. Ha donato generosamente lavoro, veglie,

affetto, tutto ciò che possedeva, non lasciando quasi nulla alla sua morte al punto che

ci si trovò in imbarazzo nel « dare dei ricordi »all'infuori dei suoi occhiali e dei suoi

indumenti... Ella non aveva complessi: osava parlare di Dio a coloro che soccorreva.

Donare Dio e donare il pane, donare Nostro Signore e donare il proprio affetto ai

sofferenti erano due movimenti simultanei che sgorgavano da uno stesso cuore. Come

non dare ciò che ella riteneva il bene migliore? In lei, all'alba del XIX secolo, lo

Spirito Santo cominciava a formare, per i tempi nuovi, un nuovo tipo di santità

ritrovato alle sorgenti stesse del Vangelo: una santità senza successi né trionfi umani.

La gloria non ha « sfiorato Caterina neppure con la più piccola estremità della sua

grande ala selvaggia ». Fu trattata da stupida e sempliciotta... In lei non vi era altro che

un amore presente ed efficace. Tutta di Dio solo, e per questo tutta per gli uomini: il

segreto di Caterina sta nell'alleanza di questi due amori in un unico amore,

nell'armonia tra le visioni e il servizio... La preghiera è sgorgata in lei da fonte genui-

na, fin dall'infanzia, in una chiesa dal tabernacolo vuoto. Si scavò così in lei una fame

profonda, così si accesero in lei gli stessi desideri di Dio. Ella scoprì pure il digiuno

come una forza e una luce, imparò solo da Dio a visitare i poveri malati presso i quali

venne a raggiungerla in sogno il Signor Vincenzo. Caterina ha vissuto questi doni di

luce nella prova. Sebbene robusta, soffrì giovanissima di una artrite che la obbligò a

ricoverarsi in ospedale a soli 35 anni e causò la sua morte per insufficienza cardiaca.

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La Missione ricevuta dalla Madonna, incontrò una costante opposizione che

ella chiamò senza esagerare, « il suo martirio », poiché era straziata dal conflitto

interiore tra l'autorità del suo confessore e la luce di Dio che la sospingeva. Ha

superato questo « tormento », non con volontarismo, ma ricorrendo alle profonde

sorgenti della natura e a quelle della grazia che era stata invitata a trovare ai piedi

dell'altare nella cappella della rue du Bac. Il suo segreto non consiste tanto nelle

apparizioni di cui quest'opera stabilisce finalmente il racconto autentico, senza vane

aggiunte, né sottrazioni e confusioni. Non sta nell'aver saputo nascondere la sua

identità; che era stata intuita da lunga data, ma svelata solo alla sua morte. E' la sua

stessa trasparenza, è quella semplicità che ha sconcertato parte di coloro che vissero

con lei... Così alcune sue compagne non davano alcun peso a questa contadina: è una

santità diversa, più mistica, più brillante ed eloquente di quella che avrebbero voluto

trovare in lei Suor Dufès o Suor de Tréverret, come affermano i testimoni. Il XIX

secolo era il secolo dell'eloquenza, nell'arte e nella religione. La vita di Caterina, senza

enfasi né romanticismo, è impregnata anzitutto di vera semplicità: questa virtù che il

Signor Vincenzo metteva al primo piano dello spirito evangelico e che definiva come

sguardo in Dio. Sì, Caterina ha saputo tutto vedere in Dio, tutto accettare in Lui. Dio

in tutto e tutto in Dio, sono queste le espressioni che segnano l'intera sua vita. E

ancora: Tutto per Dio. Quando la compiangevano perché veniva trattata da sciocca,

diceva: - Tanto è per il buon Dio. Caterina sapeva vedere Dio nella gioia e nella prova,

nei superiori e nei poveri. Ci si stupiva che con il suo ascendente e la sua naturale

autorità non rimproverasse di più i vecchi ubriaconi verso i quali si manteneva

amorevole... - Che volete - rispondeva - vedo in loro Nostro Signore. Al di là delle

visioni eccezionali, limitate ai pochi mesi del Seminario (aprile-dicembre 1830), il

dono della veggenza per Caterina consisté nel edere il Cristo nella vita quotidiana:

soprattutto i poveri e i peccatori, secondo l'identificazione che Egli ci ha insegnato: -

Avevo fame e mi avete dato da mangiare... Ero in

prigione e mi avete visitato... Quello che avrete fatto ai più piccoli dei miei, l'avrete

fatto a me. Caterina aveva orrore del peccato, ma amava i peccatori e sperava da Dio

la conversione che li avrebbe identificati pienamente al Cristo, attraverso la loro « via

crucis »... Fu questa la sua santità, questo il suo sguardo che può essere condiviso ed è

pieno di significato: una bella icona dello stesso Vangelo.