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AGGIORNAMENTO CONTINUO PER LA PRATICA CLINICA Volume 16 - n. 3/2017 Settembre-Dicembre 2017 Direttore Scientifico: Ercole Concia - Direttore Editoriale: Matteo Bassetti Reg. Trib. di Roma n. 238 del 23/05/2002 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% c/Roma/Aut. 72/2010 - Periodicità quadrimestrale - © 2017 MEDIPRINT S.r.l. a socio unico

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A G G I O R N A M E N T O C O N T I N U O P E R L A P R AT I C A C L I N I C A

Volume 16 - n. 3/2017Settembre-Dicembre 2017

Direttore Scientifico: Ercole Concia - Direttore Editoriale: Matteo Bassetti

Reg. Trib. di Rom

a n. 238 del 23/05/2002 -Poste Italiane S.p.A. - Spedizio

ne in A.P. 7

0% c/Rom

a/Aut. 72/2010 - Periodicità quadrimestrale - ©2017 M

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TS.r.l. a socio unico

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Comitato Scientifico Editoriale:

ALLEGRA C.ALTAMURA C.AMBROSIONI E.BASSETTI M.BELLIA V.BIANCHI PORRO G.

CACCIAPUOTI F.CAMANNI F.CARRATÙ L.CARRUS P.CHIESARA E.CONCIA E.

CRINÒ L.DAL PALÙ C.DE GRANDIS D.DI BIAGIO A.ESPOSITO S.FERRARA P.

FRASCHINI F.LUISETTI M.MALERBA M.MANCINI M.OLIVIERI D.PUDDU P.

SCAGLIONE F.SIRTORI C.STERNIERI E.TODESCO S.VAIRA D.VISCOLI C.

AGGIORNAMENTO CONTINUO PER LA PRATICA CLINICA

Direttore Responsabile: Antonio Guastella

©2017 MEDIPRINT S.r.l. a socio unicoVia Cossignano, 26-28 - 00138 RomaTel. 06.8845351-2 - Fax [email protected] • www.mediprint.it

Vol. 16 - n. 3/2017 - settembre-dicembreReg. Trib. di Roma n. 238 del 23/5/2002Poste Italiane S.p.A - Spedizione in A.P. 70% c/Roma/Aut. 72/2010Periodicità quadrimestrale

Tutti i diritti sono riservati.Nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo(comprese fotocopie), senza il permesso scritto dell’editore.

Stampa: CSC Grafica SrlVia A. Meucci, 28 - 00012 Guidonia (Roma)

Finito di stampare nel mese di dicembre 2017

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Trattamento del tromboembolismo venoso conrivaroxaban. Esperienze cliniche a confronto 55Pasquale Morella, Maurizio Sacco, Mariano Carafa, Mariagiovanna Di Palo, Gaetana Ferro

Asa nella prevenzione cerebrovascolare: indicazioni delle Linee Guida iso-spread 69Augusto Zaninelli

Indice

Pubblicazione quadrimestrale - Volume 16 - n. 3 - settembre-dicembre 2017

AGG IORNAMENTO CONT INUO PER LA PRAT ICA CL IN ICA

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Trattamento del tromboembolismo venoso conrivaroxaban. Esperienze cliniche a confronto

Pasquale Morella1, Maurizio Sacco1, Mariano Carafa1, Mariagiovanna Di Palo1, Gaetana Ferro2

1Medicina del DEA, AORN Cardarelli, Napoli; 2APS/OBI, AORN Cardarelli, Napoli

FARMACI 2017;16(3):55-68 55

IntroduzioneIl Reparto di Medicina d’Urgenza dell’AORN Cardarelli di Na-poli si afferma, nel corso degli ultimi due decenni, come riferi-mento regionale ad alta specialità per la diagnosi e il tratta-mento dell’Embolia Polmonare (EP)/Trombosi Venosa Profon-da (TVP). Nell’anno 2015 sono stati circa 300 gli accessi perTromboembolismo Venoso (TEV), dei quali il 50% dimesso conDRG primario per tale patologia. Un flusso di tale portata ha ri-chiesto la messa a punto di un percorso assistenziale diagno-stico-terapeutico (PDTA) multidisciplinare, approvato dall’A-zienda, che consente di effettuare tempestivamente diagnosi,stratificare prognosticamente il paziente e approntare una te-rapia “tailored”, finalizzata a ottenere l’effetto più rapido sullarisoluzione della acuzie e atto a ridurre al minimo la mortalità ela morbidità (a breve e lungo termine) legate a questa patologiache, come è noto, rappresenta la terza causa di morte nel mon-do (dopo IMA ed ACV) per patologie cardiovascolari. L’approccio multidisciplinare contempla il coinvolgimentodell’area di accettazione PS/OBI per la diagnosi di TEV; la Me-dicina d’Urgenza presso cui viene effettuato l’iter proceduraledi stratificazione prognostica e quello, consequenziale, di tera-pia personalizzata; il Laboratorio di Emodinamica annessoall’UTIC e la Radiologia Interventistica, per l’esecuzione diprocedure di tromboaspirazione/trombolisi locoregionale neicasi selezionati rispettivamente di Embolia Polmonare ad altorischio (ove vi sia controindicazione alla terapia trombolitica) enelle forme particolarmente estese di TEV prossimale sintoma-tica in pazienti a basso rischio emorragico.Tale sistema organizzativo si propone, oltre a perseguire in

primis obiettivi clinici di eccellenza, di ottenere un impatto si-gnificativo sulla economia aziendale. In tal senso risulta di pri-maria efficacia la capacità di individuare i pazienti a basso ri-schio di mortalità a 30 giorni che possono, come da Linee Gui-da ESC 2014, essere dimessi precocemente già dal PS (“earlydischarge”). Si tratta comunque, a tutti gli effetti, di dimissioniprotette. Il nostro PDTA contempla, infatti, la possibilità di ef-fettuare “follow-up” periodici. Da due anni è attivo, con fre-quenza settimanale, un Ambulatorio dedicato, fornito di “data-base” per la raccolta dei dati personali, laboratoristici e stru-mentali dei pazienti afferenti e di personale medico espertonella gestione farmacologica del TEV e nell’esecuzione di tec-

nica ecocardiografica e di ecocolordoppler venoso, al fine diindividuare pazienti a rischio di sviluppo di complicanze tardive(Ipertensione Polmonare Post-Tromboembolica (IPPT)/sindro-me post-flebitica). L’ambulatorio consente di valutare, in ma-niera circostanziata, la durata della terapia in rapporto alla cau-sa scatenante l’episodio di TEV (grazie anche alla possibilità dieffettuare screening trombofilico) oltre che, ovviamente, di per-sonalizzare la terapia in rapporto alle eventuali variazioni degliindici di funzione renale e/o epatica e/o di eventuale insorgen-za di eventi avversi (emorragie maggiori e/o clinicamente rile-vanti non maggiori). L’ambulatorio è aperto al territorio col qua-le costantemente, tramite incontri informali, implementiamoreiteratamente i nostri contatti sia per il “learning” che come re-ferenti per i MMG.

Classificazione del TEV sulla base dei fattori di rischio• “Provocata” (Provoked). Fattore di rischio noto reversibile etransitorio con insorgenza dell’evento per lo più entro 3 mesi:traumi, fratture, chirurgia, immobilità protratta o viaggi moltolunghi, terapia ormonale, gravidanza e puerperio, recenteospedalizzazione; fattore di rischio noto e permanente: neopla-sia attiva; trombofilia (Fig. 1).

• “Non provocata” (Unprovoked). Forme idiopatiche.

Figura 1. Fattori di rischio per TEV.

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Diagnosi di embolia polmonare: dal sospettoclinico-anamnestico ai test di laboratorio estrumentaliIl sospetto diagnostico di EP pre-test, formulato in presenza di al-cuni segni e sintomi, può essere confermato o scongiurato, in pri-ma istanza, attraverso il ricorso a Scores predittivi. Della pletora di-sponibile, il più utilizzato a tutt’oggi (per semplicità e immedia-tezza applicativa) resta lo Score di Wells, che considerasegni/sintomi e fattori di rischio compatibili con TEP, come ripor-tato nella sottostante tabella (Tab. I). A queste diverse condizioni

viene attribuito un punteggio diverso: dopo averne calcolatoquello complessivo, si definisce la diagnosi di TEP:• “poco probabile” se inferiore a 4;• “moderatamente probabile” se compreso tra 4,5-6;• “molto probabile” se superiore a 6.Alla luce di tale score, secondo flow-chart stabilite dalle piùrecenti Linee Guida, è opportuno procedere con la richiesta el’esecuzione di alcune indagini di laboratorio e strumentali,come di seguito specificato (Fig. 2). Wells Score <4: eseguire il dosaggio di D-Dimero:• se superiore ai cut-off di riferimento (v.n. 10 x età del pazientese età >50 anni): indirizzare il paziente all’esecuzione di Angio-TC torace;

• se inferiore, considerato il suo elevato valore predittivo nega-tivo, si può ragionevolmente escludere la diagnosi di TEP.

Wells Score >4: occorre, senza ulteriori indagini laboratoristi-che, richiedere direttamente l’Angio-TC torace, che potrà con-fermare la diagnosi di TEP (Fig. 2).

La stratificazione del rischio prognostico(mortalità a 30 giorni) ai fini della decisioneterapeuticaOttenuta la conferma diagnostica di TEP, risulta necessario ef-fettuare la stratificazione prognostica che orienti le scelte tera-peutiche più adeguate.Il primo approccio alla stratificazione prognostica è, anche in que-sto caso, clinico e prende in considerazione non solo parametri difacile rilievo che orientano verso un’attuale o temibile progressio-ne verso lo scompenso emodinamico (P.A. <100 mmHg, F.C.>110 bpm) o un quadro di insufficienza respiratoria (SpO2 in ariaambiente <90 mmHg), ma anche dati anamnestici che costitui-scono fattori di rischio per le forme a prognosi peggiore (scom-penso cardiaco, patologie respiratorie croniche, neoplasie). Il PESI (Pulmonary Embolism Severity Index) Score, o il PESI Sco-re semplificato, classifica, pertanto, i pazienti in 3 diverse catego-rie di rischio di mortalità a 30 giorni dall’evento acuto (Tab. II): • basso rischio: mortalità a 30 giorni dall’evento <3%;• rischio intermedio: mortalità a 30 giorni tra 5 e 15%;• alto rischio: mortalità a 30 giorni >18%. Col solo punteggio clinico-anamnestico non è possibile, tutta-via, eseguire una stratificazione più fine, che consenta, nell’am-pia “area grigia” costituita dai pazienti a “rischio intermedio”, diseparare quelli a prognosi peggiore (rischio intermedio-alto) daquelli a prognosi migliore (rischio intermedio-basso): l’introdu-zione di tecniche strumentali e indagini bioumorali nel percorsoprognostico fornisce lo strumento necessario per effettuare unoscreening molto più dettagliato e circostanziato. Pertanto, inte-grano e potenziano le capacità discriminative del PESI score: 1. i valori degli indici bioumorali di compromissione miocardica:

troponina e BNP;

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P. Morella, M. Sacco, M. Carafa, M. Di Palo, G. Ferro

Segni clinici e sintomi compatibili con la TVP 3L’EP è giudicata essere la diagnosi più probabile 3Intervento chirurgico o allettamento per più di 3 giorni durante le ultime 4 settimane 1,5Precedente TVP o EP 1,5Frequenza cardiaca >100 min. 1,5Emottisi 1Cancro attivo (trattamento in corso o entro i precedenti 6 mesi o trattamento palliativo) 1≤4: Bassa probabilità di pretest (o EP improbabile)4,5-6: Moderata probabilità di pretest>6: Alta probabilità di pretest

Tabella I. Score di Wells relativo all’EP (da: Wells PS 2000; Kearon C2006; mod.)

Figura 2. Schema per la diagnosi e terapia dell’EP.

Sospetta EP

Anamnesi, EO, Rxtorace per escludere

altre cause

Score >4(EP probabile)

Angio-TC

Positiva Negativa Positiva>500 µg/l

Negativa≤500 µg/l

EPesclusaRivalutarealtre

possibilicause esintomi

TerapiaEP

EventualeECD artiinferiorise

sospettoTVP

D-Dimero

Score ≤4(EP improbabile)

Applicazione EP-Wells Score

+

+ +

+

+

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2. la valutazione strumentale dell’anatomia e della funzione ven-tricolare destra effettuabile con:

A. ecocardiogramma per lo studio della geometria e della cine-tica del ventricolo destro nonché del calcolo indiretto dellapressione sistolica polmonare (PAPs);

oppure B. TC polmonare per il calcolo del rapporto tra i diametri teledia-

stolici ventricolari (con “cut-off” VD/VS >0,9).Un “PESI score” >1, in presenza o meno di uno solo tra i marca-tori bioumorali e strumentali di danno miocardico destro identi-

fica i pazienti a rischio “intermedio-basso” laddove la positivitàdi entrambi (bioumorali e strumentali) di “impegno destro” iden-tifica, invece, i pazienti a rischio “intermedio-alto”. La presenza di shock e ipotensione (P.A.S. <90 mmHg, oP.A.S. inferiore di almeno di 40 mmHg rispetto ai valori usualiper una durata di almeno 15 minuti) configura un rischio dimortalità elevato.Un “PESI score” <1 con negatività laboratoristica e strumentaledi impegno ventricolare destro individua, infine, i pazienti a bas-

so rischio suscettibili di dimissioni ospedaliere precoci (“earlydischarge”) entro 24 ore dalla diagnosi. Una delle più importanti innovazioni e raccomandazioni emergentidalle Linee Guida ESC 2014 è rappresentata proprio dalla possi-bilità dell’“early discharge” (con prosecuzione della terapia a do-micilio): ciò che impatta notevolmente sulla spesa Sanitaria di cia-scun Paese ed è pertanto motivo di continue riflessioni e confrontiche incoraggiano la realizzazione di PDTA (Percorsi Diagnostico-Terapeutici-Assistenziali) nelle strutture Ospedaliere.Tale approccio è sintetizzato e semplificato nella tabella delleLinee Guida ESC 2014 sulla stratificazione del rischio progno-stico delle TEP (Tab. III).

Terapia del TEVLo “step” successivo alla stratificazione prognostica di ogni sin-golo paziente è costituito dal percorso terapeutico che, seppurunivoco per le forme a elevato rischio con instabilità emodinami-ca (trombolisi sistemica), apre invece lo scenario a diverse op-zioni per le forme a rischio intermedio (sia basso che alto) tutte,come vedremo, validissime e confortate da ampi studi di registroe da dati “real life” e, per tale motivo, non scevre da dispute de-rivanti da confronti di esperienze diverse nell’applicazione quo-tidiana in campo clinico delle diverse strategie adottate.I dicumarolici (con target di INR compreso tra 2 e 3) embricati,fintantoché questo non fosse raggiunto, con le eparine (non fra-zionata, a basso peso molecolare o, in tempi recenti, il penta-saccaride fondaparinux), hanno a lungo rappresentato il “goldstandard” della terapia del TEV.L’annosa problematica dei dicumarolici si sintetizza nel lenti“onset” e “offset” del farmaco e nel suo ristretto range terapeu-

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Trattamento del tromboembolismo venoso con rivaroxaban. Esperienze cliniche a confronto

PESI score PESI semplificatoEtà Età in anni 1 punto (se età >80 anni)Sesso maschile +10 punti -Neoplasia +30 punti 1 puntoScompenso cardiaco +10 punti 1 puntoMalattia respiratoria cronica +10 punti Frequenza cardiaca +20 punti 1 punto>110 bpmPressione arteriosa +30 punti 1 puntosistolica <100 mmHgFrequenza respiratoria +20 punti ->30 atti/min.Temperatura corporea +20 punti -<36°CStato mentale alterato +60 punti -Saturazione O2 <90% +20 punti 1 punto(prelievo arterioso)

Stratificazione del rischio (mortalità a 30 giorni) Classe I ≤65 punti 0 punti rischio di mortalità 1% molto basso (0-1,6%) (95% CI 0,0%-2,1%) Classe II 66-85 punti ≥1 punto rischio basso (1,7-3,5%) di mortalità Classe III 86-105 punti (95% CI 8,5%-13,2%) moderato (3,2-7,1%) Classe IV 106-125 punti elevato (4,0-11,4%) Classe V >125 punti molto alto (10,0-24,5%)

Tabella II. Classificazione dei pazienti in base al PESI score o al PESI scoresemplificato.

Rischio di mortalità precoce Parametri di rischio e punteggio Shock o PESI classe III-V Segni di disfunzione RV Biomarcatori cardiaci ipotensione o sPESI ≥1 su un test di imaging di laboratorioAlto + + + +

Medio Medio-alto - + Entrambi positivi Medio-basso - + Uno (o nessuno) positivoBasso - - Valutazione facoltativa; se valutato, entrambi negativi

Tabella III. Tabella delle Linee Guida ESC 2014 sulla stratificazione del rischio prognostico delle TEP.

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tico, nelle numerosissime interferenze alimentari e farmacologi-che e, prima di tutto, nella necessità di sottoporre i pazienti aprelievi ematici seriati per la titolazione, ciò che ne rende la ge-stione indaginosa e spesso mal tollerata.L’avvento dei DOAC piomba su questo fondatissimo e radicato“anatema” terapeutico come un meteorite che lo fa vacillare vor-ticosamente. Ma se la disputa accademica iniziale è acerrima, lasvolta clinica si distende su opzioni terapeutiche “sartorializza-te” per ogni paziente, ragion per cui ogni farmaco trova la suaapplicazione più idonea al caso. L’esplosione dei DOACS (Direct Oral Anticoagulants) nella comu-nità scientifica avviene nel 2010, epoca della pubblicazione, sullarivista New England Journal of Medicine, dell’Einstein PE e del-l’Einstein DVT, che dimostrano la non inferiorità del rivaroxaban ela maggiore sicurezza, in termini di complicanze emorragiche, ri-spetto alla terapia tradizionale (EBPM + AVK) nel trattamento far-macologico acuto rispettivamente dell’EP e della TVP prossimalesintomatica. A partire da settembre 2011 rivaroxaban è stato indi-cato dalla European Medicines Agency (EMA), e quindi approvatodalla Commissione Europea, per l'utilizzo nella pratica clinica.Il rivaroxaban è stato, pertanto, il primo DOAC a essere disponi-bile e per questo motivo, anche nella nostra pratica quotidiana,quello corroborato da una esperienza più lunga di utilizzo e con-seguentemente di verifica, nel mondo reale, degli end-point disicurezza e di efficacia.Si tratta di un anticoagulante orale che inibisce selettivamente ilfattore X attivato, assorbito dal tratto prossimale del digiuno at-traverso la GP-protein, che ne regola il trasporto attraverso lamucosa intestinale, ed escreto per il 50% attraverso il rene (il33% nella sua forma attiva).Un’ulteriore rivoluzione apportata dal rivaroxaban è la modalità disomministrazione del farmaco secondo lo schema “single drugapproach”: all’atto della diagnosi con dose di carico 15 mg duevolte al dì per 21 giorni, seguito dalla monosomministrazione di20 mg una volta al dì. Questa modalità differenzia lo schema po-sologico della molecola rispetto ad altri DOACs (dabigratan ededoxaban), per i quali è prevista la somministrazione di EBPM dipentasaccaride per almeno 5 giorni prima dell'inizio della terapiaorale. Ovviamente lo schema “single drug approach” meglio sisposa (non richiedendo la via parenterale) con una delle innova-zioni principali proposte dalle Linee Guida ESC 2014: l’“early di-scharge”, ovvero la dimissione precoce (entro 24 h dalla diagno-si) dei pazienti con diagnosi di TVP/EP a basso rischio. Un altro “punto di forza” della molecola è la monosomministra-zione successiva al periodo di carico che migliora, in manieradrammatica, la compliance del paziente aprendo la strada, nella“real life”, a un trattamento ottimale che assicuri il raggiungimen-to di obiettivi terapeutici del tutto sovrapponibili a quelli deglistudi di registro in termini di efficacia nella risoluzione della pa-tologia nella “fase acuta” e di prevenzione delle recidive nella

“fase a lungo termine”. In figura 3 riportiamo gli schemi di ap-proccio terapeutico con DOACs nel paziente con diagnosi diTVP/PE.Ma, nel mondo reale, rivaroxaban è davvero così sicuro ed effi-cace come descritto negli studi pilota?Una decisa risposta viene dallo Xalia: uno studio osservazionale,prospettico, non interventistico, effettuato su un campione di piùdi 4.000 pazienti selezionati in 19 Paesi europei, nel quale la de-cisione sul tipo di trattamento da intraprendere (tradizionale conEBPM + AVK o rivaroxaban) nelle TVP prossimali sintomaticheisolate o complicate da TEP è appannaggio esclusivo del medi-co che prende il paziente in carico. I dati emersi confermano, a12 mesi dall’arruolamento, una riduzione delle recidive (1,4% vs2,3%) e dell’incidenza di emorragie maggiori (0,8% vs 2,1%) nelgruppo trattato con rivaroxaban rispetto a quello trattato con te-rapia tradizionale. Gli studi prospettici, quali lo Xalia, sono univocamente consideratile verifiche statistiche più potenti dei risultati ottenuti dagli studi pi-lota, in quanto prendono in esame una popolazione non selezio-nata, con comorbidità che non sono contemplate negli studi di re-gistro, così come non univoche sono la durata del trattamento, lamodalità e la tempistica del follow-up. Analoga valenza hanno i registri “real world”. A questo propositosegnaliamo il registro internazionale “RIETE”, la cui raccolta didati è iniziata nel 2001, a cui afferiscono numerosi centri italiani,nei quali vengono riportati e disponibili “online” 24 ore su 24, idati di migliaia di pazienti affetti da TEV, ciò che rende possibileraggruppare pazienti con le più varie comorbidità in cui valutaregli end-point di efficacia e sicurezza delle varie strategie tera-peutiche; trovare spunti e suggerimenti per tipo e durata del trat-

FARMACI 2017;16(3):55-6858

P. Morella, M. Sacco, M. Carafa, M. Di Palo, G. Ferro

Figura 3. Schemi di approccio terapeutico con DOACS nel paziente condiagnosi di TVP/PE.

Strumento attuale di cura:

Inizialmente LMWH poi switch:

Agente orale singolo:

Trattamento iniziale Trattamento acutoa lungo termine

(3 mesi)

Trattamento prolungato(12 mesi)

Warfarin giornalmente (INR 2-3) Warfarin ogni giorno (INR 2-3)LMWH+warfarin

>5 giorni

Dabigatran (150 mg/bid) Dabigatran (150 mg/bid)LMWH5 giorni

Edoxaban giornalmente(60 o 30 mg)

Nessun dato correnteLMWH5 giorni

Rivaroxaban (20 mg/die)(almeno 6 mesi)

Rivaroxaban (20 mg/die) oRivaroxaban (10 mg/die)

Rivaroxaban15 mg/bid

3 settimane

Apixaban (5 mg/bid)(almeno 6 mesi) Apixaban (2,5 mg/bid)

Apixaban10 mg/bid

1 settimana

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tamento farmacologico da intraprendere; identificare eventualifattori di rischio non ancora codificati.Altro punto topico è il “timing” di sospensione del trattamentopost-acuzie.Si è già parlato altrove, in quest’opuscolo, della differenza traTEV “provoked” e “unprovoked”. Non si tratta di una distinzionemeramente accademica, ma di un concetto che impatta forte-mente sulla percentuale di recidive successive all’evento acuto.Si passa dal 3%/anno per le forme indotte da fattori transitori ereversibili (es. post-chirurgiche/post-traumatiche) a più del20%/anno per le forme innescate da neoplasie (Fig. 4). Quest’ul-tima, ovviamente, è una percentuale inaccettabile che suggeri-sce la prosecuzione di un regime terapeutico che conservi, tut-tavia, l’efficacia e la sicurezza della fase acuta. A tale esigenzarispondono gli studi “in extension” dei DOACs. L’Einstein Exten-sion ha evidenziato che il prolungamento della terapia anticoa-gulante con rivaroxaban, per 6-12 mesi successivi al trattamentodella fase acuta, ha risparmiato 34 recidive al costo di 4 eventi disanguinamenti “maggiori” rispetto al gruppo placebo su uncampione totale di circa 1.200 pazienti arruolati. Ovviamente sideve considerare l’eterogeneità della popolazione selezionata,precisando che i pazienti anziani, quelli con insufficienza renale,gli obesi, i neoplastici sono anche quelli a maggior rischio emor-ragico. Proprio la possibilità di sanguinamento costituisce lospettro che aleggia minaccioso sulla decisione di estendere iltrattamento con anticoagulanti orali oltre il termine della faseacuta. Lo studio Einstein CHOICE ha dimostrato che la prosecu-zione per 12 mesi del trattamento con rivaroxaban, a dispettodella perfetta sovrapposizione degli end-point di sicurezza, ridu-ce del 70% le recidive di TEV sia nelle forme “provoked” che inquelle “unprovoked” se confrontato con ASA 100 mg/die (presi-dio farmacologico che ha peraltro per lungo tempo rappresenta-

to, a giusto motivo “l’approdo sicuro“ del post-acuzie nel TEV,comportando una riduzione delle recidive del 32% vs placebo).Da sottolineare che, in questo studio, la inusuale dose di 10mg/die di rivaroxaban (al momento utilizzata solo nella profilassidel TEV nella chirurgia ortopedica dell’anca e del ginocchio) haprodotto risultati del tutto sovrapponibili a quella convenzionaledi 20 mg/die. Se ne conclude che la decisione sul timing di sospensione deltrattamento deve integrare, all’etiologia (“provoked” o “unpro-voked”) della TVP, la valutazione del rischio emorragico (que-st’ultima standardizzata in numerosissimi scores) in ogni sin-golo caso (Tab. IV). Nel RIETE score, il rischio emorragico vie-ne definito come basso (punteggio=0), intermedio (punteggio1-4) ed elevato (punteggio >4) in relazione ai fattori di rischioconsiderati (Tab. IV).

Terapia della fase acuta del TEV Una volta fatte le premesse del capitolo precedente, descrivere-mo le opzioni terapeutiche previste per le diverse forme di TEP,stratificate per rischio di mortalità a 30 giorni.A. I pazienti con EP ad alto rischio possono presentarsi in arre-

sto cardio-respiratorio (in questo caso la probabilità di deces-so nei primi 60 minuti è decisamente elevata), oppure confunzioni vitali conservate ma instabili (P.A.S. <90 mmHg, op-pure inferiore di 40 mmHg rispetto ai valori standard del pa-ziente per una durata di almeno 15 minuti di osservazione): inquesti casi l’immediato supporto delle funzioni emodinami-che e respiratorie ed il trattamento anticoagulante con trom-bolisi sistemica devono essere immediatamente avviati.

TrombolisiLe attuali Linee Guida indicano la terapia trombolitica come trat-tamento di scelta per la riperfusione primaria del circolo polmo-nare nei pazienti con EP ad alto rischio. Per quanto riguarda ilconfronto fra diversi farmaci trombolitici, 100 mg di rtPA (attiva-tore tessutale del plasminogeno umano ottenuto mediante tec-nologia del DNA ricombinante) in 2 h hanno determinato un mi-glioramento emodinamico e angiografico più rapido rispetto al-l’urokinasi e alla streptokinasi.

FARMACI 2017;16(3):55-68 59

Trattamento del tromboembolismo venoso con rivaroxaban. Esperienze cliniche a confronto

Fattori di rischio Score (punti)Sanguinamento maggiore recente 2Livelli di creatinina (>1,2 mg/dl (110 µmol/l) 1,5Anemia uomini: Hb <13 g/dl 1,5 donne: <12 g/dlCancro 1EP clinicamente evidente 1Età >75 anni 1

Tabella IV. RIETE Register Bleeding Score.Figura 4. Frequenza attesa di recidiva/anno in varie categorie di pazienticon TEV (trattati)

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Le controindicazioni alla trombolisi nell’EP sono desunte dalleLinee Guida dello STEMI, ma nel caso dell’EP a rischio elevatole controindicazioni considerate assolute nello STEMI possonoessere considerate relative. Decisamente rischiosa risulta la pratica della trombolisi neipazienti affetti da EP a rischio intermedio-alto con stabilitàemodinamica.Lo studio PEITHO, un trial clinico in doppio cieco condotto su1.006 pazienti, si è proposto di valutare efficacia e sicurezza dellaterapia fibrinolitica con un singolo bolo di tenecteplase in aggiun-ta alla terapia anticoagulante con eparina in pazienti con EP acu-ta a rischio intermedio-alto, ovvero con stabilità emodinamica.L’endpoint principale di efficacia era rappresentato dalla morta-lità e dallo scompenso emodinamico ad insorgenza entro 7 giornidalla somministrazione del trombolitico; gli endpoint primari di si-curezza erano il sanguinamento maggiore extracranico e l’ictusischemico o emorragico nei 7 giorni dopo la randomizzazione.Le conclusioni dello studio evidenziano come, nei pazienti affetti daEP a rischio intermedio-alto, la terapia fibrinolitica prevenga loscompenso emodinamico, ma aumenti in maniera inaccettabile ilrischio di emorragie maggiori e ictus. Da qui la necessità di riserva-re, ai pazienti con rischio intermedio-alto, un attentissimo monito-raggio dei parametri vitali, al fine di cogliere, quanto più precoce-mente possibile, il viraggio all’instabilità emodinamica che li rendereclutabili per la terapia trombolitica (che può essere effettuata, ra-gionevolmente, fino a 14 giorni dalla diagnosi di TEP). Tuttavia, nel-lo studio PEITHO, il numero dei pazienti a rischio intermedio-alto,che è evoluto verso una chiara forma di instabilità emodinamica,tale da richiedere “trombolisi rescue”, è stata relativamente esigua:17 casi su 500 in trattamento farmacologico con eparine.

Trombectomia percutaneaLa trombectomia percutanea trova indicazione perentoria neipazienti emodinamicamente instabili con controindicazioni as-solute alla trombolisi sistemica, così come nei casi in cui il trat-tamento trombolitico stesso si riveli inefficace o richieda tempitroppo lunghi per la criticità in cui versa il paziente. Si tratta diuna tecnica eseguibile solo nei laboratori di emodinamicaesperti che si qualifichino come centri Hub. Viene effettuataper ricanalizzare le arterie polmonari principali e lobari, trovan-do controindicazione (per rischio elevato di perforazione consanguinamento) nei rami polmonari distali con diametro infe-riore a 6 mm; va precisato che la metodica non ha lo scopo didissolvere comunque del tutto i trombi, ma piuttosto di rista-bilire un flusso ematico adeguato alla riperfusione dei distrettipolmonari coinvolti. La tecnica si basa sull’introduzione di cate-teri per via venosa femorale che raggiungono il circolo polmona-re attraversando le sezioni cardiache destre. Il trombo può esse-re risolto fino alla restituzione della pervietà (non necessaria-mente completa disostruzione) dei vasi impegnati dai trombi

mediante aspirazione, frammentazione o con AngioJet, utiliz-zando in questo caso, oltre all’aspirazione, l’effetto additivo difrantumazione del materiale trombotico da parte di un getto idri-co ad alta velocità. La trombolisi locoregionale a bassissimo do-saggio può migliorare l’efficacia delle singole tecniche ed essereseguita in associazione a queste. Molti autori sostengono la possibilità di adottare tale proce-dura anche nelle forma a rischio intermedio-alto, con impe-gno delle sezioni destre documentabile con tecniche di ima-ging (ecocardiogramma o TC) ed elevazione dei biomarker(troponina e BNP).A fronte di un’esigua percentuale di sanguinamento per perfora-zione dei vasi trattati, l’efficacia della trombectomia percutaneaè dimostrabile (dopo 2-3 giorni dalla procedura) col rimodella-mento inverso del ventricolo destro e riduzione della PAPs. An-che le recidive e le complicanze tardive (IPPT) dell’EP sarebberopoco frequenti nei pazienti sottoposti a questa procedura.B. Il punto cardine nel trattamento dell’EP a rischio intermedio

resta la terapia anticoagulante, oggetto di innovazione farma-cologica da alcuni anni a questa parte.

Per lungo tempo l’approccio è consistito nell’embricazione dellaterapia parenterale con eparine a basso peso molecolare EBPM(es. enoxaparina 100 UI/kg x 2/die) e, più di recente, fondapari-nux con posologia titolata secondo il peso corporeo e la funzio-nalità renale) con dicumarolici fino al raggiungimento di valori“target” di INR compresi tra 2 e 3. Come abbiamo lungamentediscusso, secondo le Linee Guida ESC 2014 i DOAC rappresen-tano un’alternativa altrettanto efficace e più sicura rispetto allaterapia tradizionale sia in “single drug approach” per rivaroxa-ban e apixaban sia in “double drug” per dabigratan ed edoxaban(che richiedono la somministrazione preventiva di anticoagulan-te parenterale). Pertanto, la scelta terapeutica, in questi casi, ètotalmente appannaggio del clinico.La terapia con rivaroxaban nel TEV non prevede flessibilità dellaposologia rispetto a quanto invece indicato nell’utilizzo dellostesso farmaco nella fibrillazione atriale. Nel TEV è previsto unprotocollo statico, con regimi di dose di rivaroxaban prefissati a15 mg/bid per 3 settimane nella fase iniziale, e di 20 mg od nellafase a lungo termine. L’obiettivo di tutte le terapie anticoagulantinon è, ovviamente, quello di dissolvere direttamente il tromboma, piuttosto, quello di “contrastare” la cascata emocoagulativain modo da spostare la bilancia emostatica a favore dei sisteminaturali di fibrinolisi.In pratica si evita che “a trombo si aggiunga trombo”, direzio-nando il “carico di lavoro” della plasmina sul materiale tromboti-co che impegna il circolo polmonare all’atto della diagnosi. È intuitivo, pertanto, che il carico della fase iniziale ha l’in-tento di risolvere la trombosi polmonare, ciò che ne giustifi-ca l’aggressività posologica. Risulta pertanto fondamentaleuno screening quasi “ossessivamente” dettagliato dei pa-

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zienti candidabili al “single drug approach”. Oltre alla valutazione del rischio emorragico (effettuabile con inumerosissimi e seppur non totalmente affidabili “scores”), vaconsiderata la “fragilità” del paziente correlata con età, pesocorporeo e funzionalità renale. Per la valutazione di quest’ultimanegli RCT dei DOACs è stata utilizzata la formula di Cockroft-Gault, che trova semplice e rapidissima applicazione al letto delpaziente con l’utilizzo di qualsiasi dispositivo connesso alla rete. Gli studi di farmacocinetica di rivaroxaban mostrano che la mo-lecola viene eliminata per circa 1/3 (circa 33%) della dose assun-ta per via renale. Potrebbe, pertanto, risultare “avventato” sotto-porre un paziente con ridotto valore di clearance della creatininaad un carico orale massiccio della molecola. Nello studio registrativo Einstein PE sono stati arruolati circa 207pazienti (circa l’8,6% del totale del “gruppo rivaroxaban”) conclearance della creatinina inferiore a 50 ml/min che hanno mo-strato end-point di efficacia e sicurezza perfettamente sovrap-ponibili a quelli ottenuti nel sottogruppo, molto più numeroso, dipazienti con funzione renale normale (clearance della creatinina>80 ml/min.). A rafforzare tale evidenza, l’analisi “post-hoc” deipazienti “fragili” (età >75 anni, peso corporeo < 50 kg, clearancedella creatinina <50 ml/min), confermava gli end-point di effica-cia e sicurezza nel gruppo trattato con rivaroxaban a fronte di unimportante aumento dei sanguinamenti maggiori - dall’1,1% al4,5% - nel gruppo in terapia “convenzionale” (EBPM + AVK). Tali risultati, corroborati dai più ampi numeri rilevati nei registri di“real world”, testimoniano definitivamente la sicurezza del farma-co. D’altronde anche la terapia convenzionale con AVK puòesporre a progressivo decadimento della funzione renale per cal-cificazioni parenchimali indotte dalla somministrazione prolunga-ta di tali sostanze. Ciononostante nei pazienti con insufficienzarenale di grado moderato (clearance della creatinina <50 ml/min),in quelli ultraottantenni così come in quelli con peso <60 kg, è vi-vamente raccomandata dalle LG ESC 2014 una valutazione ri-schi/benefici attenta e circostanziata prima di intraprendere ilpercorso terapeutico con i DOACs. Estrema importanza, infine,riveste la raccolta dell’anamnesi farmacologica per le numerica-mente esigue, ma potenzialmente pericolose, interferenze capacidi potenziare o ridurre (modificando l’assorbimento intestinale-mediato dalla P-gp-(Glicoproteina P o il metabolismo epatico-mediato dal CYP3A4-) l’efficacia di rivaroxaban.Categoricamente controindicata è la somministrazione, durante

trattamento con rivaroxaban, di antimicotici del gruppo degliazoli (ketoconazolo, voriconazolo, itraconazolo) e degli antiviraliinibitori delle proteasi nell’HIV, laddove particolare cautela deveessere posta al contemporaneo utilizzo di antiaritmici quali dro-nedarone, amiodarone, chinidina e verapamil, della rifampicina edi antiepilettici (fenitoina, fenobarbitale, carbamazepina). Il più frequente utilizzo del “single drug approach” trova senzadubbio applicazione nel gruppo di pazienti a rischio intermedio-basso oltre che, ovviamente, nel “basso rischio”.Delle forme a rischio intermedio–alto si è già discusso nelle pre-cedenti pagine, relativamente alla loro possibile evoluzione-se-condo statistiche in circa il 10% dei casi-verso scompenso emo-dinamico; le Linee Guida ESC 2014 raccomandano una vigileosservazione del paziente, non esprimendosi in modo univocosul tipo di trattamento da intraprendere. Nella nostra pratica cli-nica quotidiana, nell’aderire alle Linee Guida, disponiamo il mo-nitoraggio dei parametri vitali del paziente e selezioniamo i casiclinici nei quali la terapia parenterale con eparina sodica (che no-toriamente ha un’emivita brevissima e richiede frequenti controllidell’APTT) va preferita agli anticoagulanti orali, in modo da ridur-re al minimo il rischio emorragico iatrogeno in caso di necessitàdi intraprendere trombolisi sistemica “rescue”.C. L’EP a basso rischio, infine, definisce una categoria di pa-

zienti che non presentano fattori di rischio primari correlatiall’EP (sPESI=0), né compromissione clinico-strumentale-la-boratoristica del ventricolo destro. Per lo “zoccolo duro” de-gli “integralisti della terapia tradizionale”, il “basso rischio”rappresenterebbe il solo gruppo di pazienti che riflette piena-mente la selezione effettuata negli studi di registro e per cuii dati di efficacia e sicurezza dei NAO sarebbero estrapolabilinell’attività clinica quotidiana. L’“early discharge”, concettodel tutto rivoluzionario per una patologia gravata da una mor-talità (se non tempestivamente riconosciuta) del 12% a 30giorni dall’evento acuto, è riservata a questo gruppo di pa-zienti, a condizione che essi possano continuare a essere as-sistiti con controlli ambulatoriali seriati per un “follow-up”che possa definire nel tempo l’etiologia, l’efficacia, la sicu-rezza, la compliance a la durata della terapia.

Di seguito, un riepilogo dell’approccio terapeutico in relazionealla stratificazione del rischio di mortalità e secondo le Linee Gui-da ESC 2014 (Tab. V). In alcune condizioni cliniche, dove cioè sia attestata l’impossi-

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Tabella V. Stratificazione del rischio di mortalità secondo le Linee Guida ESC 2014.

Rischio di mortalità precoce Parametri di rischio e punteggioAlto Trombolisi

Intermedio Intermedio-alto Monitoraggio parametri vitali - Terapia anticoagulante Intermedio-basso Ospedalizzazione - Terapia anticoagulanteBasso Terapia anticoagulante - Valutare dimissione precoce

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bilità ad avviare/proseguire la terapia anticoagulante e laddoveessa sia risultata inefficace o sia stata complicata da effetti col-laterali, ovvero in caso di scarsa compliance del paziente, vapreso in considerazione il posizionamento di un filtro cavale. Larecente Review di Bikdeli, effettuata su circa 2.000 pazienti in42 anni di osservazione, evidenzia l’efficacia del posiziona-mento del filtro cavale in termini di riduzione del 50% di recidi-ve di TEP, a fronte di un aumento del 70% dell’incidenza diTVP nei pazienti portatori di tale dispositivo, restando invariatala mortalità (per tutte le cause). Ciò suggerisce un ricorso “ra-gionato e ponderato” all’impianto del filtro cavale.

La nostra esperienzaCome già precisato nella parte introduttiva di quest’opuscolo, laMedicina d’Urgenza dell’AORN “A. Cardarelli” di Napoli si attestastoricamente come Centro ad alta prevalenza di ricoveri per TEV,sia per l’elevatissima recettività quotidiana del PS, sia per l’espe-rienza maturata nel corso di oltre due decenni su tale patologia,ciò che ne rende un Ospedale di riferimento non solo campano,ma anche per le regioni limitrofe. Il sopracitato Percorso Diagno-stico Terapeutico accelera e facilita l’integrazione di più figurespecialistiche secondo tragitti ben codificati e che assicurino lamassima resa qualitativa sia nei vari “step” diagnostici che in quel-li terapeutici. Annualmente afferiscono, nel nostro Reparto, circa200 pazienti, che ricevono un trattamento durante la fase acuta evengono seguiti in “follow-up” con durata media di 12 mesi. Il rivaroxaban è stato il primo DOAC a essere approvato dellaCommissione Europea per il trattamento del TEV e inserito nelleLG ESC 2014 con classe di raccomandazione I B. Risale al 2011 l’inizio del nostro utilizzo, nella pratica quotidia-na, di rivaroxaban per il trattamento delle TVP prossimali sin-tomatiche e delle EP a rischio di mortalità basso e intermedio.Essendo la più “anziana” tra le molecole della sua classe, a tutt’og-gi resta senz’altro quella più sperimentata sui nostri pazienti. È stato necessario un training effettuato in maniera seriata attra-verso successivi “hospital meeting” per informare e addestrareadeguatamente tutto il personale medico e paramedico alle indi-cazioni, controindicazioni, modalità e posologia del trattamentodel TEV con rivaroxaban secondo “single drug approach” e, adoggi, tale sforzo è ripagato da un’assoluta uniformità di compor-tamento che assicura un’ottima compliance agli standard previ-sti. Ogni paziente viene “screenato” (età, peso corporeo, funzio-ne renale calcolata-come da RCT–con formula di Cockroft-Gault)prima dell’inizio della terapia e informato adeguatamente sullanecessità di assumere il farmaco durante i pasti (ciò che ne otti-mizza la biodisponibilità). Un problema ancora annoso restanotuttavia gli “early switchers” ovvero i pazienti che, a causa di tra-gitti diagnostici più indaginosi (es. degenti in altri Reparti o giuntic/o ns P.O. in seconda cura) sono stati trattati con eparine per untempo superiore alle 48 ore: per questo tipo di pazienti vi sono

evidenze, in letteratura, sulla possibilità di poter avviare il tratta-mento con rivaroxaban anche dopo le 48 ore canoniche ammes-se dai due protocolli registrativi Einstein DVT e PE ed in linea conquanto visto nello studio osservazionale Xalia. In conformità conquest’ultimo il nostro gruppo protrae, fino ad un totale di 14 giornidalla prima dose, la somministrazione di terapia parenterale conEBPM, passando, successivamente, alla monosomministrazionedi rivaroxaban, eludendo in tal modo, la dose di carico. La compliance del paziente alla terapia è ottima: la monosom-ministrazione viene accettata di buon grado. Le omissioni acci-dentali della dose quotidiana sono sporadiche. La nostra idea èche, a differenza della fibrillazione atriale, patologia molto spes-so cronica con la quale il paziente impara a “convivere” a volte“obliando” le eventuali complicanze tromboemboliche, la TVPresta a lungo una esperienza temibilissima che segna il pazientee lo motiva fortemente a “curarsi” per evitare recidive e accele-rare la reintegrazione nella quotidianità con piena ripresa dellepropria integrità fisica. Nella nostra casistica la percentuale del-le forme idiopatiche è molto elevata: tali si definiscono eventi diTEV per i quali -anche a fronte di scrupolosi screening previstidal nostro programma di “follow-up” ambulatoriale - non siaemersa alcuna chiara etiologia sottostante, comprese patologieneoplastiche, autoimmunitarie e trombofiliche. Numerosi sono icasi di TEV neoplastica, per i quali attualmente utilizziamoEBPM/fondaparinux in attesa dei risultati dei diversi studi incorso e dell’omologazione che, quasi certamente, avverrà intempi brevi per l’utilizzo dei DOACs anche per questo ampiogruppo di pazienti. Il rivaroxaban si cimenta con il cancro attra-verso il programma “CALLISTO”, una ricerca clinica multi-trial,prospettica, integrante 9 studi clinici (registri, studi spontanei,studi Company Sponsored), orientata a ottenere evidenze sul-l’efficacia e la sicurezza dell’impiego del farmaco nella patolo-gia neoplastica. La percentuale di recidive nei pazienti neopla-stici o con forme idiopatiche impone un prolungamento del trat-tamento ben oltre i canonici 3 mesi codificati per le forme pro-vocate da cause transitorie e reversibili (post-chirurgiche o po-st-traumatiche). I dati degli studi “in extension” e quelli dei regi-stri “real world” tipo RIETE sono estremamente confortanti nelconfermare i dati di sicurezza ed efficacia della molecola. Il ti-ming del “follow-up” ambulatoriale è fissato a 1, 3, 6 e 12 mesidall’evento acuto. Le percentuali di sanguinamento maggiore eclinicamente rilevante non maggiore sono estremamente bassenella nostra casistica. L’evento più frequentemente riscontrato(6 casi/300 pazienti seguiti in follow-up) è stato il sanguinamen-to gastrico (EGDS confermato), che ha richiesto un attento mo-nitoraggio clinico/laboratoristico e la discontinuazione della te-rapia con DOACs. Le infrequenti e temibilissime emorragie ce-rebrali sono state riscontrate in 4 casi trattati con molecole di-verse dal rivaroxaban e nei quali la prescrizione della dose eraincongrua rispetto all’età e alla funzione renale dei pazienti col-

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piti. Rari i sanguinamenti minori, che non hanno tuttavia richie-sto interruzione del trattamento. Spesso, nelle forme a più altorischio di recidive, con residuo post-trombotico di dimensioninon definite negli ecodoppler effettuati in ambulatori esterni ocon oscillazioni dei valori di d-dimero, protraiamo l’osservazio-ne anche a terapia sospesa per cogliere lo sviluppo di eventualicomplicanze tardive (a tal proposito risulteranno estremamenteinteressanti i dati del Garfield VTE Registry), quali l’inabilitante efrequente (circa 25% dei pazienti colpiti da TVP) sindrome po-st-trombotica (PTS) e la piuttosto rara (4% dei pazienti colpiti daEP) IPPT. Per la prima eventualità è in corso un progetto di per-corso diagnostico-terapeutico per le forme di TVP più estese(iliaco-femoro-poplitee) che coinvolga la radiologia interventi-stica per l’esecuzione di trombolisi loco-regionale, terapia che,negli studi ad hoc, ha mostrato un discreto vantaggio rispettoalla terapia standard, nel prevenire la PTS. Estremamente rac-comandabile è inoltre, a tal fine, l’utilizzo di calze elasto-com-pressive 40 mmHg per 2 anni dall’evento acuto. Per la secondaeventualità (IPTT) ci accingiamo a creare una rete, con coinvol-gimento di altri presidi ospedalieri regionali e nazionali, che of-fra una valutazione mirata (cateterismo cardiaco destro) ed unadeguato approccio interventistico (endoarteriectomia polmo-nare) in caso di persistenza della sintomatologia dispnoica e/orilievo all’ecocardiogramma di elevati valori di PAPs, in presen-za di mancata regressione o peggioramento dei difetti di riem-pimento all’angio-TC polmonare e/o alla scintigrafia polmonareventilo/perfusiva. Il fine principe di quest’opuscolo è proprio quello di far luce sullanostra realtà operativa, per far sì che ne usufruisca non solo il ni-do del nostro PS, ma anche e soprattutto il territorio dove, spes-so, i medici che ivi operano si trovano sprovvisti di riferimentispecializzati per la terapia, la diagnosi e il follow-up della fre-quentissima patologia trombo-embolica venosa.

Un caso clinico di embolia polmonare a bassorischioUn uomo di 45 anni giunge in PS per comparsa di lieve males-sere, febbricola e tosse non produttiva da alcuni giorni; riferiscedi essere un podista ma che negli ultimi giorni, a causa dei sud-detti sintomi e di una sfumata dolenzia diffusa all’arto inferioresinistro, ha sospeso l’allenamento.All’ingresso, i valori di PA appaiono nella norma (128/75mmHg), la frequenza cardiaca è di circa 95 bpm, a fronte diuna frequenza media a lui nota di circa 50 bpm, quest’ultimaperaltro compatibile con l’esercizio fisico abituale. Vengonorichiesti un ECG (che documenta ritmo sinusale) e i prelieviematochimici, che mostrano, nell’ambito del profilo emocoa-gulativo, un discreto incremento del D-Dimero (630 ng/ml) euna lieve leucocitosi neutrofila.La radiografia del torace appare sostanzialmente negativa, l’os-

servazione ecografica dell’arto inferiore sinistro (di consistenzatesoelastica lievemente aumentata rispetto al controlaterale)mostra trombosi suboccludente della vena poplitea e delle venegemellari omolaterali.I dati clinici, laboratoristici e strumentali suggeriscono una proba-bilità moderata di EP (Wells score 6) e impongono l’esecuzionedell’Angio-Tc Torace, che conferma la presenza di parziali difettidi opacizzazione a carico di alcuni rami subsegmentari posterioridel lobo inferiore del polmone sinistro (Fig. 5). Lo score prognostico (mortalità a 30 giorni) configura un’EP abasso rischio, in assenza di alterazioni emodinamiche e/o eco-cardiografiche (Figg. 6,7) e con troponina e ProBNP negativi an-che ai successivi controlli ematochimici.Si decide per il ricovero in Medicina d’Urgenza e, in assenza dicontroindicazioni, per l’approccio “single drug” con rivaroxaban,secondo RCP (15 mg 2 volte al giorno per 21 giorni, poi 20 mg algiorno). Persistendo stabilità emodinamica e mostrando assolutatollerabilità alla terapia, il paziente viene dimesso dopo 36 ore dal-la diagnosi, con indicazione a follow-up ambulatoriale, che al se-condo controllo, eseguito a 3 mesi, mostrerà totale risoluzione delTEV, sia in termini di TVP che di EP precedentemente documen-tata. L’analisi post-hoc dello studio Einstein PE non ha evidenziato

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Figura 5. Angio-TC torace: deficit di perfusione dell’emicircolo polmonaredestro.

Figura 6. EP a basso rischio: normale rapporto VD/VS.

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alcun evento di morte per PE o per ogni causa nel gruppo di pa-zienti con PESI score <1 così come anche la percentuale di san-guinamenti maggiori è risultata molto bassa (inferiore 1% durantei novanta giorni di osservazione successivi all’evento) in questoampio gruppo (53,6% della popolazione reclutata).La scelta del rivaroxaban è inoltre estremamente adeguata in unpaziente giovane, candidato ad una ripresa piena delle proprie at-tività quotidiane, che, pertanto, richiede una sorta di “minimali-smo” posologico.La monosomministrazione, dopo dose di carico, attende piena-mente a tali esigenze e dovrebbe essere, in questi casi (conside-rate altresì la documentata sicurezza del farmaco e la disponibilitàdi “follow-up” ambulatoriale) da ritenersi “mandatoria”.Pertanto l’opzione rivaroxaban appare quanto mai circostanziataper il paziente del nostro caso che non necessita di ospedalizza-zione ma piuttosto di uno stretto monitoraggio ambulatoriale.

Un caso clinico di embolia polmonare a rischiointermedio-altoUna giovane donna di 22 anni, in terapia estro-progestinica persindrome dell’ovaio policistico (PCOS), giunge in PS con di-spnea e toracoalgia destra. All’ingresso, la paziente presentatachicardia sinusale (F.C. media 136 bpm), P.A. 90/60 mmHg(valore non dissimile dall’usuale) e l’emogasanalisi mostra alca-losi respiratoria ipocapnica e ipossiemica; l’arto inferiore sini-stro presenta consistenza tesoelastica aumentata rispetto alcontrolaterale. Alla luce del quadro clinico e del riscontro obiet-tivo, calcolato un Wells Score di 7, viene eseguito Ecocolordop-pler venoso, che documenta estesa TVP dell’asse iliaco-femo-rale sinistro (Fig. 8) e angio-TC torace (Fig. 9), che mostra TEPestesa ai rami lobari e segmentari di entrambe le arterie polmo-nari. All’Ecocolordoppler cardiaco, si evince altresì dilatazione eipocinesia del VD (TAPSE=12 mm), insufficienza tricuspidalicadi grado moderato realizzante una PAPs stimata di circa 64mmHg, in presenza di vena cava ipocollassabile con gli atti re-spiratori. Giungono, intano, gli esami di laboratorio, con riscon-

tro di rialzo dei valori ditroponina (1,8 ng/dl, v.n.<0,2 ng/dl) e di NT-proBNP 2.600 ng/ml(v.n. <100 ng/ml). La pa-ziente, classificata a ri-schio intermedio-alto(mortalità a 30 giorni>18%), viene posta inmonitoraggio per ECG eSatO2, in Maschera diVenturi FiO2 60%, e allaluce della stabilità emo-dinamica, si decide perl’approccio meno invasi-vo rispetto alla tromboli-si (prevista del resto nelpaziente a rischio elevato), avviando terapia con rivaroxabansecondo schema “single drug approach” come da RCP. Dimes-sa dopo 19 giorni con evidenza TC di deficit residui di perfusio-ne subsegmentari (Fig. 10) e completa risoluzione della TVP(Fig. 11). Al follow-up (ad oggi, 12 mesi) nessuna recidiva di TEVné sanguinamenti maggiori o minori (Fig. 12). Il caso clinico de-scritto è paradigmatico per le tromboembolie polmonari, la cuistratificazione prognostica si pone al limite tra le forme a rischiointermedio alto (da sottoporre a terapia anticoagulante) e quellead alto rischio (richiedenti trombolisi). Nella nostra paziente, afronte di un’emodinamica stabile, i dati strumentali e biochimicidi impegno ventricolare destro rendono la progressione dellapatologia estremamente imprevedibile.Tuttavia la nostra scelta terapeutica privilegia il criterio di sta-

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Figura 8. Ecocolordoppler venoso: par-ziale incomprimibilità della vena femora-le comune destra, con evidenza di imma-gine iperecogena adesa alla parete, rife-ribile in prima istanza a trombo flottante.

Figura 9. Angio-TC torace.

Figura 7. EP a basso rischio: accelerazione del flusso transtricuspidalico.

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bilità emodinamica, come da Linee Guida, e in particolarel’opzione “single drug approach” con rivaroxaban appareplausibile in quanto la paziente non è stata pretrattata conEBPM e questo rende possibile l’immediato carico orale conl’anticoagulante orale diretto. A supporto di tale scelta tera-peutica, ricordiamo il dato pubblicato dello studio Einsten PE,sottogruppo pazienti con EP, che al basale e dopo 21 giorni ditrattamento con 15 mg BID, eseguivano indagine TAC: l’88%dei pazienti osservati mostrava una totale o parziale risoluzio-ne dei trombi a fronte del restante 12% dei pazienti che mo-stravano stabilità del quadro radiologico di EP. La nostraesperienza con rivaroxaban ha confermato quanto osservatonel trial clinico mostrando estrema rapidità d’azione nella riso-luzione dei sintomi e delle occlusioni trombotiche. A ulteriore

supporto di tale scelta terapeutica giungono anche i dati dellostudio PEITHO, che controindicano la trombolisi nelle forme diTEP estese ma con stabilità emodinamica.

Un caso clinico di embolia polmonare ad altorischioF.P., un uomo di 72 anni, fumatore, iperteso in terapia farma-cologica, giunge in PS per episodio sincopale complicato datrauma cranico provocato da caduta al suolo. All’ingresso, ilpaziente presenta marcata ipossiemia (SpO2 in aria ambien-te=72%), ipotensione (P.A. 82/54 mmHg) e tachicardia sinu-sale (138 bpm) (Fig. 13) con evidenza ecocardiografica di

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Trattamento del tromboembolismo venoso con rivaroxaban. Esperienze cliniche a confronto

Figura 10. Evidenza TC di deficit residui di perfusione subsegmentari.

Figura 11. Ecocolordoppler venoso: completa risoluzione della TVP.

Figura 12. Follow-up 12 mesi.

Figura 13. Tachicardia sinusale (138 bpm) all’ECG.

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ipocinesia, dilatazione del ventricolo destro e severa iperten-sione polmonare (PAPs circa 80 mmHg) (Fig. 14). Viene per-tanto sottoposto ad angio-TC Torace, che evidenzia EPmassiva (Fig. 15) secondaria a TVP vena femorale destra. Inconsiderazione del quadro clinico si dispone per il monito-raggio del paziente e l’immediato inizio (dopo avere esclusocontroindicazioni assolute) di trombolisi sistemica (rTPA 100mg e.v. in 2 ore). Al termine di quest’ultima si osserva unanetta riduzione della dispnea con SpO2 in aria ambiente=86%, aumento dei valori di P.A. (106/74 mmHg) e riduzionedella F.C. (98 bpm), ciò che indica clinicamente il ripristinodella stabilità emodinamica: tanto si conferma con ecocar-diogramma, che mostra drammatico rimodellamento inversodel VD, con ripristino della normale cinetica e riduzione dellaPAPs (48 mmHg) (Figg. 16,17). Verrà eseguita Angio-TC dicontrollo con evidenza di ricanalizazione del circolo polmo-nare (Fig. 18). Si avvia pertanto infusione continua con pom-pa volumetrica di eparina sodica secondo aPTT misurato

ogni 3 ore nelle prime 24 ore, “switchando” a somministra-zione di fondaparinux a partire dalla successiva giornata. Adistanza di quattordici giorni dall’evento, persistendo ottimo

FARMACI 2017;16(3):55-6866

P. Morella, M. Sacco, M. Carafa, M. Di Palo, G. Ferro

Figura 16. Ecocolordoppler transcuspidalico: riduzione della PAPS dopotrombolisi.

Figura 18. Angio-TC di controllo.

Figura 17. Ecocolordoppler cardiaco dopo trombolisi: rimodellamento in-verso del ventricolo destro e del retto interventricolare.

Figura 15. Angio-TC: EP massiva.

Figura 14. Ecocolordoppler cardiaco: flusso transcupidalico con evidenza divalore di PAPS circa 80 mmHg.

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compenso emodinamico con respiro sufficiente in aria am-biente (SpO2 = 96%), si prescrive terapia anticoagulante ora-le con rivaroxaban (20 mg in monosomministrazione giorna-liera). Il paziente viene dimesso in ventesima giornata. I datiemersi dall’analisi post-hoc dello studio Einstein PE hannodimostrato che nei soggetti con PESI score >2 (ovvero adelevato rischio di morte a 30 giorni dall’evento, circa il 9,7%dell’intera popolazione reclutata per lo studio) c’è una mag-giore incidenza di recidive di TEV, mortalità per PE, mortalitàper tutte le cause e per sanguinamenti maggiori in entrambii gruppi di trattamento, rispetto a quelli con SPESI 0-1, ma ilgruppo dei pazienti trattati con rivaroxanan ha una minoreincidenza di sanguinamenti (0,8 vs 3,2). Questa evidenza sul-l’end-point di sicurezza ha diretto la nostra scelta terapeuti-ca verso rivaroxaban. Inoltre, la scelta di rivaroxaban viene

rafforzata da evidenze scientifiche relative ai pazienti chehanno praticato la trombolisi, nei quali la scelta di rivaroxa-ban come prosieguo alla terapia trombolitica si è rivelata ef-ficace in termini di outcome a breve e medio termine (rispet-tivamente ricanalizzazione dei vasi trombizzati e recidive diTEV) e per la possibilità di dimettere il più precocementepossibile il paziente stesso. Questo caso di TEP a rischioelevato ha trovato piena adesione alle Linee Guida ESC 2014che raccomandano, come prima scelta, la terapia tromboliti-ca (alteplase-rTPA 100 mg in 2 h), salvo controindicazioniassolute o inefficacia della trombolisi o condizioni del pa-ziente che non consentano di attendere i tempi di riperfusio-ne richiesti dall’infusione del trombolitico. In questo casovanno altresì considerate le procedure invasive alternative(trombectomia chirurgica o percutanea).

FARMACI 2017;16(3):55-68 67

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Abstract

In Italy, cardiovascular disease is one of the most important publichealth problems, being one of the main causes of morbidity, disabil-ity and mortality. Since 1899, ASA has been the most widely useddrug of the century, and it is also at the heart of a primary preventionstrategy for cardiovascular disease. This article focuses on the pos-sible use of low dose ASAs in cardiovascular and cerebrovascularprimary prevention, as evidenced by the latest issue of the SPREADGuidelines, which are in favor of using this molecule. According tothe Swedish study, in subjects that discontinue ASA there is an in-crease in cardiovascular events of 37%, underlining the importanceof continuous cardiovascular prevention with ASA. In addition tohighlighting their important role in secondary prevention, it is alsonecessary to define the possible net benefit of prescribing ASAs toindividuals with no previous cardio- and / or cerebrovascular history,thus taking into account the opinion and preferences of the informedpatient.

Riassunto

In Italia le malattie cardiovascolari rappresentano uno dei più importantiproblemi di salute pubblica, essendo tra le principali cause di morbosità,invalidità e mortalità. Dal 1899 l’ASA è il farmaco con l’impiego più dif-fuso del secolo, collocandosi anche al centro di una strategia di preven-zione primaria sulle malattie cardiovascolari. In questo articolo si fa ilpunto sul possibile utilizzo di ASA a bassa dose in prevenzione primariacardio- e cerebrovascolare, come anche evidenziato dall’ultima edizionedelle Linee Guida SPREAD, che si pronunciano infatti in modo favorevolesull’uso di questa molecola. Secondo lo studio svedese, infatti, nei sog-getti che interrompono l’ASA si verifica un incremento degli eventi car-diovascolari del 37%, a sottolineare l’importanza della prevenzione car-diovascolare continuativa con ASA. Oltre a evidenziare l’importante ruoloin prevenzione secondaria, occorre definire anche il possibile beneficionetto derivante dalla prescrizione di ASA in individui senza precedenticardio- e/o cerebrovascolari, tenendo quindi in considerazione l’opinio-ne e le preferenze del paziente informato.

AsA nella prevenzione cerebrovascolare:

indicazioni delle Linee Guida iso-spreAd

AsA in cerebrovascular prevention:

iso-spreAd Guidelines recommendations

Augusto ZaninelliThe System Academy, Firenze

FARMACI 2017;16(3):69-75 69

Tra le innovazioni e gli elementi che hanno contribuito a miglio-rare la vita umana nello straordinario progresso della Medicinanel secolo scorso, può essere annoverato, a pieno titolo, lo svi-luppo dell’acido acetil salicilico (ASA), l’aspririna, tanto che alcu-ni studiosi hanno a ragione considerato il Novecento “il secolodell’aspirina”. J.O. Gasset in “La rivolta delle masse” scriveva (1):“Oggi, per l’uomo della strada la vita è più facile, più comoda epiù sicura che per i potenti di ieri. A lui importa poco di non es-

sere più ricco del suo vicino, se il mondo intorno a lui gli dà stra-de, ferrovie, alberghi, un sistema telegrafico, benessere fisico easpirina”. Infatti, dalla registrazione del suo brevetto avvenuta aBerlino nel 1899, l’ASA è stata il farmaco con l’impiego più diffu-so del secolo. La sua introduzione in commercio ha progressiva-mente modificato sensibilmente il panorama della terapia medi-ca, soprattutto come antinfiammatorio, e nell’ambito delle ma-lattie reumatiche e poi cardiovascolari (CV).

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Cenni di epidemiologia

In Italia le malattie CV costituiscono, ancora oggi, uno dei piùimportanti problemi di salute pubblica: esse sono tra le princi-pali cause di morbosità, invalidità e mortalità. Rientrano in que-sto gruppo le più frequenti patologie di origine arteriosclerotica,in particolare le malattie ischemiche del cuore (sindrome coro-narica acuta, infarto del miocardio e angina pectoris) e le malat-tie cerebrovascolari (ictus ischemico ed emorragico). Chi so-pravvive a una forma acuta diventa un malato cronico con no-tevoli ripercussioni sulla qualità della vita e sui costi economicie sociali che la società deve affrontare. Le patologie cardio- ecerebrovascolari, poi, sono fra i maggiori determinanti delle ma-lattie legate all’invecchiamento, in particolare disabilità fisica edisturbi della capacità cognitiva. Non è facile avere un quadroepidemiologico completo e affidabile di questa patologia nelsuo complesso. Per una valutazione del suo impatto è infatti ne-cessario stimare non solo la quota di eventi acuti (sindromi co-ronariche acute, infarto acuto del miocardio e ictus cerebrale)ricoverati in ospedale, ma anche i deceduti di morte improvvisache non riescono a raggiungere l’ospedale (2,3) e l’altrettantoimportante quota, in termini di salute pubblica, composta dacoloro che soffrono di una condizione cronica non necessaria-mente ospedalizzata. Questi ultimi casi sono identificati solo at-

traverso indagini specifiche (4). Inoltre, per valutare la salutedelle comunità, è necessario stimare i valori medi dei fattori dirischio e le prevalenze delle condizioni a rischio con indagini ad

hoc. Un dato importante è che in poco più di 30 anni la mortalitàtotale si è più che dimezzata (il tasso standardizzato di mortalitàtotale si è ridotto del 51% tra il 1980 e il 2013) e il contributo del-le malattie cardio- e cerebrovascolari è stato quello che più hainfluito sul trend in discesa della mortalità. Nello stesso periodola mortalità per malattie ischemiche del cuore si è ridotta del63% e quella delle malattie cerebrovascolari del 70%. Nono-stante questo, le malattie del sistema circolatorio rimangonoancora patologie molto frequenti e sono fra le maggiori cause dimorte prematura e invalidità permanente nella popolazione ita-liana: nel 2013 (ultimo dato ISTAT disponibile) tale mortalità rap-presentava il 37% della mortalità generale (41% nelle donne e34% negli uomini), quella per malattie ischemiche del cuore erail 12% (11% nelle donne e 13% negli uomini), la mortalità permalattie cerebrovascolari il 10% (11% nelle donne e 8% negliuomini) (5).Dalla mole di dati raccolti in questi anni attraverso le coorti dipopolazione seguite longitudinalmente che hanno dato luogoalla predizione del rischio italiano, è stato possibile spiegare,per la popolazione italiana di età 25-84 anni, quanta parte dellariduzione degli eventi fatali di cardiopatia coronarica registratanei 20 anni tra il 1980 e il 2000 fosse da attribuire alle azioni diprevenzione primaria sui fattori di rischio nella popolazione,basate principalmente sugli stili di vita (alimentazione, attività

fisica, abitudine al fumo) e quanta parte fosse dovuta al com-plessivo utilizzo dei farmaci e dei trattamenti chirurgici (by-pass aorto-coronarico e angioplastica) in fase acuta, in preven-

Augusto Zaninelli

FARMACI 2017;16(3):69-7570

Figura 1. Spiegazione della riduzione della mortalità coronarica in Italia dal 1980 al 2000 (da: Palmieri L 2010; mod.).

0

-15.000

-30.000

-45.000

Prevenzione primaria

Prevenzione secondaria

Nel 2000 ci sonostati 42.927 morti

coronariche in meno

Obesità +1%Diabete +2%

Fumo -4%Colesterolo -23%Pressione arteriosa -25%Attività fisica -6%

Trattamento infarto -5%Prevenzione secondaria -6%Scompenso cardiaco -14%Angina -9%CABG e PTCA -1%Angina instabile -1%Statine preventive -3%Farmaci ipertensione -2%

1980 2000

-40%

+3%

-58%

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zione primaria e secondaria). In particolare, a fronte di 42.927decessi in meno registrati tra il 1980 e il 2000 per malattia co-ronarica, ben il 58% è stato attribuito ai benefici derivati dallariduzione dei principali fattori di rischio nella popolazione, ef-fetto ridotto di un 3% dovuto all’incremento del diabete e del-l’obesità, mentre il 40% è derivato dai benefici ottenuti dalcomplesso dei trattamenti farmacologici e chirurgici (Fig. 1) (6).Questi risultati enfatizzano l’importanza di una strategia com-plessiva che da un lato promuova attivamente un’azione diprevenzione primaria di popolazione sulle malattie CV, perse-guendo la riduzione dei principali fattori di rischio attraversol’adozione di stili di vita adeguati, e dall’altra incrementandol’attenzione alla prescrizione e all’aderenza ai trattamenti far-macologici efficaci, tra cui l’ASA.

Meccanismi d’azione dell’ASA

L’ASA ha un diverso meccanismo di inibizione dell’attività ci-clo-ossigenasica (COX-2) rispetto agli altri FANS. Mentre que-sti agiscono per lo più come inibitori reversibili dell’enzima, at-traverso un meccanismo di competizione con l’acido arachido-nico (AA) per il legame a un comune sito di ancoraggio all’inter-no del canale della COX-2, l’ASA inattiva permanentemente laCOX-2 attraverso un processo di acetilazione di una serina si-tuata in vicinanza del sito catalitico dell’enzima (Fig. 2) (7,8).Pertanto, mentre la durata dell’effetto inibitorio dei FANS èstrettamente legata alla presenza del farmaco in circolo e quin-di alla sua emivita, la durata dell’effetto inibitorio dell’ASA di-pende dalla velocità della sintesi de novo dell’enzima da partedelle cellule bersaglio dopo la rapida scomparsa (emivita: circa20 minuti) del farmaco dal circolo (9). Anche l’inibizione dellafunzione piastrinica trombossano (TXA2)-dipendente è un ef-fetto farmacologico dell’ASA condiviso dalla maggior parte deiFANS tradizionali, ma non dai coxib.Queste peculiarità si traducono nelle seguenti caratteristiche distin-tive dell’inibizione della sintesi piastrinica di TXA2 da parte dell’ASA:1) la natura cumulativa dell’inibizione, in seguito a somministra-

zioni giornaliere ripetute, dovuta all’incapacità delle piastrinedi risintetizzare la COX-1 acetilata dall’ASA durante l’interval-lo posologico di 24 ore;

2) la relativa selettività dell’inibizione della COX-1 piastrinica adopera di basse dosi di aspirina (75-100 mg/die), con sostan-ziale risparmio della COX-2 vascolare (la principale fonte diPGI2 nell’uomo), dovuta all’acetilazione pre-sistemica (nel

sangue portale, prima del primo passaggio epatico che de-acetila circa il 50% dell’ASA assorbita) della COX-1 piastrini-ca e all’intervallo posologico di 24 ore, che consente la sinteside novo di COX-2 nelle cellule endoteliali dei vasi e in altri tipicellulari renali, limitando l’entità e la durata di effetti extrapia-strinici indesiderati;

3) la saturabilità dell’inibizione della COX-1 piastrinica a dosigiornaliere molto basse (30-40 mg) (10).

Nel corso degli ultimi 10 anni, poi, sono stati studiati i potenzialieffetti protettivi nei confronti di malattie extravascolari: il mecca-nismo di azione alla base di questi effetti è stato, infatti, oggettodi numerose pubblicazioni ed è ancora controverso (11-14).

L’impiego dell’ASA nella prevenzione primariacardio- e cerebrovascolare

Una vera e propria rivoluzione nell’impiego tradizionale dell’ASAè stata lo sviluppo e l’utilizzo del basso dosaggio, soprattutto inprevenzione secondaria, nei pazienti affetti da cardiopatia ische-mica o malattia cerebrovascolare, che si associa a una consi-stente e significativa riduzione della mortalità e della ricorrenzadi eventi aterotrombotici maggiori (15,16), a fronte di un accet-tabile rischio emorragico, soprattutto non fatale, correlato allasua assunzione.D’altra parte, è sempre un esercizio difficile, oltre che teori-co, immaginare una riduzione brusca e dicotomica del rap-

ASA nella prevenzione cerebrovascolare: indicazioni delle Linee Guida ISO-SPREAD

FARMACI 2017;16(3):69-75 71

Figura 2. Schema del meccanismo d’azione dell’ASA (da: Patrono C 2005; mod.).

Fosfolipasi

Isomerasi tessuto-specifiche

Acido arachidonico

COX Bassa dose di aspirina~~ ~~

Prostaglandina G2

Prostaglandina H2

Trombossano A2

Prostaglandina D2

Prostaglandina E2

Prostaglandina F2α

Prostaciclina

Prostaglandina-sintasi H1

Prostaglandina-sintasi H2

HOX

Acido arachidonico

COX Alta dose di aspirina

Prostaglandina G2

Prostaglandina H2

HOX

Fosfolipidi- Acido arachidonico

Recettori specifici per i prostanoidi (TP, DPs, EPs, FPs, IP)

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porto rischio/beneficio dell’assunzione di ASA tra coloroche l’assumono in prevenzione secondaria, con piena ap-provazione e condivisione della comunità scientifica medi-ca, e coloro che vengono generalmente etichettati comesoggetti “a rischio”, in cui gli interventi sono definiti in pre-venzione primaria. Infatti, il rischio cardio- e cerebrovasco-lare deve essere considerato come un “continuum” che vadai livelli bassi, come nella popolazione generale, a livellimolto elevati, come nei pazienti già colpiti da manifestazioniacute di queste patologie. Se è certamente vero che l’impie-go dell’ASA in prevenzione secondaria è corroborato da nu-merosi studi clinici e meta-analisi che hanno dimostrato il li-vello di beneficio dell’aspirina, l’interesse crescente circa ilpossibile ruolo benefico dell’aspirina in prevenzione primariaderiva dal progressivo accumularsi di evidenze a favore dell’i-potesi secondo cui l’ASA, oltre a favorire la protezione cardio-e cerebrovascolare, sarebbe in grado di ridurre significativa-mente il rischio di altre patologie. Numerose meta-analisi sonostate pubblicate per chiarire il ruolo dell’ASA nella prevenzio-ne primaria. Una di queste, condotta nel 2009 dalla Anti-Th-rombotic Trialists (ATT) Collaboration (17) ha valutato comeendpoint cardio- e cerebrovascolari il numero di eventi coro-narici (IMA fatale e non fatale), il numero totale di eventi car-dio- e cerebrovascolari (IMA, ictus e morte per cause atero-trombotiche), ictus ischemico ed emorragico non fatale e lamortalità per tutte le cause. Riduzioni si sono evidenziate perquanto riguarda l’IMA e gli ictus non fatali, in particolare ische-mici, a fronte di un aumento del numero di ictus emorragici neipazienti che assumevano ASA rispetto al placebo. Per quantoriguarda il numero di decessi per cause CV, non è stata ri-scontrata alcuna riduzione nel gruppo trattato con ASA rispet-to al placebo. Questi dati sono stati confermati in un’analisiper sottogruppi, con particolare attenzione nei confronti deipazienti diabetici. Una successiva meta-analisi di 10 trial sulruolo di aspirina in prevenzione primaria è stata condotta dallaUnited States Preventive Society Task Forse (USPSTF) (18) eha dimostrato una consistente efficacia dell’ASA nel preveniregli IMA non fatali e gli ictus. Quest’analisi ha incluso dati circa118.445 soggetti di età compresa fra 55 e 65 anni. Tre dei trialinclusi hanno arruolato solo soggetti maschi e uno solo donne.In 8 studi è stata somministrato ASA a dosaggio di 100 mg oinferiore. La durata del follow-up è stata di 3-10 anni. Nella po-polazione a cui veniva somministrata aspirina a basso dosag-gio (<100 mg/die), si assisteva a una riduzione del 17% del nu-mero di eventi coronarici e di IMA non fatale (relative risk [RR]

0,83 [95% CI da 0,74 a 0,94]). Inoltre il numero di ictus non fa-tali risultava ridotto quando nell’analisi venivano inclusi gli stu-di con aspirina a basso dosaggio (RR, 0,86 [CI, da 0,76 a0,98]). La significatività statistica non è stata invece raggiuntaper quanto riguarda la mortalità per cause CV (RR, 0,94 [CI, da0,86 a 1,03]). La riduzione della mortalità per tutte le cause èapparsa significativamente ridotta nei trial che impiegavanoASA a qualsiasi dosaggio, non esclusivamente <100 mg/die(RR, 0,94 [CI, da 0,89 a 0,99]). Per quanto riguarda la popola-zione femminile, i dati raccolti nel WHS non hanno mostratoun’evidenza sufficiente a favore dell’ASA nel ridurre il rischiototale di IMA, fatale e non, e la mortalità cardio- e cerebrova-scolare e non (19,12). La terapia con aspirina, invece, era as-sociata a una riduzione del 22% del rischio di attacchi ische-mici transitori. Un beneficio consistente è stato inoltre osser-vato nel sottogruppo di donne di età superiore a 65 anni, in cuiil rischio di eventi CV è risultato ridotto del 26% e il rischio diictus ischemico del 30%. In questo sottogruppo l’ASA ha ri-dotto, in maniera significativa, anche il rischio di IMA.Alla luce di tutte le evidenze in prevenzione primaria, spessocontroverse e correlate a popolazioni eterogenee, quindimeritevoli di un’analisi approfondita, l’ultima edizione delleLinee Guida SPREAD si pronunciano in modo favorevolesull’uso di ASA alla dose di 100 mg/die, unica dose ammes-sa da AIFA in questa tipologia di pazienti (Raccomandazio-ne 7.14.b Forte a favore) richiamando alla valutazione nelsingolo paziente il rapporto rischio/beneficio atteso (20).

La prevenzione primaria con ASA nellamedicina del territorio

Il setting della Medicina Generale Italiana è stato protagonista,all’inizio degli anni duemila, di una ricerca a suo modo rivoluzio-naria. Lo studio PPP, infatti, fu il primo effettuato nel nostro Pae-se, in deroga a una disposizione di legge che allora vietava aiMedici del Territorio, di partecipare, in qualità di sperimentatori,a ricerche clinico-farmacologiche.Lo studio Primary Prevention Program, vide il coinvolgimen-to di Medici di Medicina Generale per valutare l’effetto del-l’ASA e della vitamina E nella prevenzione primaria in sog-getti con almeno un fattore di rischio CV. Anche se lo studionon può essere considerato esente da critiche metodologi-che, i risultati indicarono che la vitamina E non era efficacenella prevenzione dell’ictus (RR 1,24; IC95 0,66-2,31), men-

Augusto Zaninelli

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tre l’ASA riduceva gli eventi CV totali (RR 0,77; IC95 0,62-0,95) e sembrava ridurre il rischio totale di ictus, sia pure inmodo non significativo (RR 0,67; IC95 0,36-1,27) (21).Per verificare che il beneficio ecceda il rischio, è altresì neces-sario prendere atto del fatto che, sotto l’ampio ombrello dellaprevenzione primaria, si collocano pazienti con livelli di rischio,caratteristiche cliniche e aspettativa di vita molto variabili e inol-tre che gli studi condotti non hanno sempre avuto durata e po-tenza sufficienti per dimostrarlo. Poiché l’entità della riduzionedel rischio CV derivante dall’assunzione di ASA dipende dal ri-schio CV iniziale, appare di fondamentale importanza l’indivi-duazione e l’utilizzo di sistemi univoci e affidabili per la valuta-zione dello stesso. Le carte del rischio come il Framingham Co-ronary Heart Disease Risk Score (22), quelle sviluppate dall’A-merican College of Cardiology/ American Heart Association(AHA/ACC) Task Force risk equations (23) lo SCORE (Systema-tic Coronary Risk Evaluation) approvato dall’European Societyof Cardiology (24), permettono di dare una stima del rischio CVbasata sulla valutazione dei fattori di rischio tradizionali. Il siste-ma Framingham predice il rischio a 10 anni di sviluppare eventiCV mortali e non (basso <10%, moderato 10-20% e alto >20%).Il sistema SCORE, invece, valuta esclusivamente il rischio dieventi aterotrombotici mortali a 10 anni: le categorie di rischiosono “basso” (<1%), “moderato” (1-5%), “elevato” (5-10%) e“molto elevato” (>10%). Il rischio di eventi fatali e non fatali è dicirca tre volte superiore rispetto ai soli eventi mortali.

Come descritto nel precedente paragrafo, a seconda dei varicriteri o scale o score adottati, la prevenzione primaria conaspirina a basse dosi è sicuramente utile nei soggetti a ri-schio alto e molto alto. È probabilmente non utile in quantorischio e beneficio praticamente si equivalgono per gli indivi-dui a basso rischio cardio- e cerebro-vascolare, mentre perquelli a rischio intermedio, che sono la maggioranza, si sug-gerisce di valutare il rapporto rischio/beneficio caso per ca-so, in base alla storia clinica, familiare, lavorativa, sociale,psicologica ed economica. In questa visione, il ruolo del Me-dico di Medicina Generale e della medicina del Territorio, ap-paiono fondamentali.La vera sfida, anche per la definizione delle raccomandazionidelle Linee Guida, pertanto, è quella di identificare il rapporto ri-schio/beneficio nella popolazione generale in prevenzione pri-maria per la quale non sempre il vantaggio dell’assunzione delfarmaco, in assenza di segni e sintomi, supera il potenziale ri-schio di sviluppare effetti indesiderati.

Il ruolo dell’ASA nella prevenzione secondariadegli eventi CV

Scopo principale di questa succinta trattazione era quello di fareil punto riguardo al possibile utilizzo di ASA a bassa dose in pre-venzione primaria cardio- e cerebrovascolare, tuttavia non va di-

ASA nella prevenzione cerebrovascolare: indicazioni delle Linee Guida ISO-SPREAD

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Figura 3. Effetti del trattamento con ASA sull’incidenza degli eventi CV in pazienti ad alto rischio (da: ATC 2002; mod.).

N. di eventi vascolari (%)Categoriedi trialPregresso infartomiocardico

N. trialinclusi

Terapiaantiaggregante

Controllo(aggiustati)

Osservati/Attesi

Varianza Autoaggregante: controlloOdds ratio (IC) % Riduzione

Odds ratio (ES)

12 1.345/9.984(13,5)

1.708/10.022(17,0)

-159,8 576,6 25 (4)

Infartomiocardico acuto

15 1.007/9.658(10,4)

1.370/9.644(14,2)

-181,5 519,2 30 (4)

Pregresso ictus/TIA*

21 2.045/11.493(17,8)

2.464/11.527(21,4)

-152,1 625,8 22 (4)

Ictus acuto 7 1.670/20.418(8,2)

1.858/20.403(9,1)

-94,6 795,3 11 (3)

Altri tipidi rischio

140 1.638/20.359(8,0)

2.102/20.543(10,2)

-222,3 737,0 26 (3)

Subtotale: tuttieccetto ictusacuto

188 6.035/51.494(11,7)

7.644/51.736(14,8)

-715,7 2449,6 25 (2)

Tutti i trial

Eterogeneità di riduzione odds tra 5 categorie di trial: χ2=21,4, df=4; p=0,0003 - Ictus acuto vs altri: χ2=18,0, df=1; p=0,00002*Transient Ischemic Attack, attacco ischemico transitorio

195 7.705/71.912(10,7)

9.502/72.139(13,2)

-810,3 3.244,9 22 (2)

0 0,5 1,0

Effetto del trattamento p<0,0001

1,5

Migliore Peggiore

2,0

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menticato il ruolo cardine nella prevenzione in pazienti che han-no già avuto un evento (IMA, stroke, TIA) o soffrono di patologiaaterosclerotica manifesta. A tal proposito vanno ricordati i dati provenienti dalla presti-giosa meta-analisi dell’Antithrombotic Trialists’ CollaborativeGroup del 2002 (25) che ha confermato la riduzione significa-tiva dell’incidenza degli eventi fatali e non fatali in varie tipolo-gie di pazienti ad elevato rischio (Fig. 3) (25). Inoltre non va di-menticato l’effetto precoce nella riduzione degli stroke e TIA fa-tali e disabilitanti recentemente registrati dalla meta-analisi diRothwell nel 2016 che corrobora il ruolo di ASA a bassa dosenella prevenzione cerebrovascolare (26).Infine, come da logica, la forte raccomandazione provenientedalle Linee Guida SPREAD (Fig. 4).

Conclusioni

Alla luce dei recenti dati provenienti dal vasto studio sve-dese (oltre 600.000 soggetti) che dimostra come, nei sog-getti che interrompono ASA si registra un incremento deglieventi CV del 37%, dobbiamo evidenziare l’importanzadella prevenzione CV continuativa con questa centoven-tennale molecola (27). Possiamo dire che se da una parteè bene non dimenticare il ruolo rilevante in prevenzione se-condaria, dall’altra parte è partita la sfida per definire ilpossibile beneficio netto derivante dalla prescrizione

dell’ASA per individui senza precedenti cardio e/o cere-brovascolari.Questa sfida consiste, quindi, nell’avere a disposizione una sti-ma attendibile della probabilità di incorrere in eventi ischemicirispetto agli eventi emorragici. In questo dilemma il ruolo delmedico dovrebbe essere quello di incoraggiare l’assunzione diaspirina per gli individui a elevata probabilità di eventi cardio-e cerebrovascolari e bassa probabilità di emorragie e di sco-raggiarla in caso contrario. Bisogna tuttavia sottolineare che imodelli di analisi proposti finora circa il rapporto rischio/bene-ficio attribuiscono la stessa importanza agli eventi ischemicinon fatali e a quelli emorragici. Escludendo l’ictus emorragico,con le sue spesso drammatiche conseguenze in termini di di-sabilità e mortalità, che costituisce solo un quinto dei sangui-namenti maggiori e gli eventi emorragici maggiori del tratto di-gestivo che sono meno frequenti di quelli minori e comunquefacilmente gestibili in elezione, probabilmente molti pazientipotrebbero scegliere comunque di accettare un aumento mo-derato del rischio emorragico conseguente alla terapia conASA al fine di prevenire gli eventi ischemici cardio-, e cerebro-vascolari (28). È pertanto anche fondamentale tenere in con-siderazione l’opinione e le preferenze del paziente informato.La creazione di una carta o di un punteggio per il calcolo delrapporto rischio/beneficio cardio- e cerebrovascolare e altripotenziali benefici integrati sarebbe quindi fortemente auspi-cabile e potrebbe costituire uno strumento di fondamentale im-portanza a disposizione del clinico.

Augusto Zaninelli

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Figura 4. Raccomandazioni Linee Guida SPREAD.

Raccomandazione 11.1.b Forte a favore Grado A

Nei pazienti con TIA e ictus ischemico non cardioembolico è raccomandato il trattamento antiaggregante con ASA (100-325 mg/die) rispetto a nessuna terapia*.

*GPP=Per il trattamento prolungato, il gruppo ISO-SPREAD suggerisce 100 mg/die

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ASA nella prevenzione cerebrovascolare: indicazioni delle Linee Guida ISO-SPREAD

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COMITATO SCIENTIFICO EDITORIALE

Prof. CLAUDIO ALLEGRA Primario Divisione Angiologia, Ospedale S. Giovanni Addolorata, Roma

Prof. ALFREDO CARLO ALTAMURA Direttore Cattedra di Psichiatria, Università di Milano

Prof. ETTORE AMBROSIONI Direttore Divisione e Cattedra di Medicina Interna, Policlinico S. Orsola, Bologna

Dott. MATTEO BASSETTI Direttore Clinica Malattie Infettive, A.O.U. Santa Maria della Misericordia, Udine

Prof. VINCENZO BELLIA Titolare della Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio,

Università di Palermo

Prof. GABRIELE BIANCHI PORRO Direttore Cattedra di Gastroenterologia, Polo Universitario “L. Sacco”, Milano

Prof. FEDERICO CACCIAPUOTI Cattedra di Medicina Interna, Facoltà di Medicina e Chirurgia, II Università, Napoli

Prof. FRANCO CAMANNI Direttore Cattedra di Endocrinologia, Università, Torino

Prof. LUIGI CARRATÙ Direttore I Cattedra Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università “Federico II”, Napoli

Dott. PIETRO CARRUS Libero Professionista, Roma

Prof. ENZO CHIESARA Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica, Università di Milano

Prof. ERCOLE CONCIA Unità Operativa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera di Verona, Università degli Studi di Verona

Prof. LUCIO CRINÒ Dipartimento Oncologia, Primario Unità Operativa di Oncologia,

Ospedale Bellaria, Bologna

Prof. CESARE DAL PALÙ Dipartimento di Medicina e Clinica Sperimentale, Università di Padova

Prof. DOMENICO DE GRANDIS Primario Divisione Neurologica, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo

Prof. ANTONIO DI BIAGIO Clinica Malattie Infettive Ospedale San Martino, Genova

Prof. SILVANO ESPOSITO Dipartimento di Malattie Infettive, Seconda Università degli Studi di Napoli

Prof. PIETRO FERRARA Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università Cattolica del S. Cuore, Policlinico Universitario “A. Gemelli”, Roma e Università Campus Bio-Medico, Roma

Prof. FRANCO FRASCHINI Direttore Cattedra di Chemioterapia, Dipartimento di Tossicologia Medica, Università di Milano

Dott. MAURIZIO LUISETTI Clinica Malattie dell’Apparato Respiratorio, IRCCS, Policlinico San Matteo, Pavia

Dott. MARIO MALERBA Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università, Brescia

Prof. MARIO MANCINI Direttore Dipartimento di Medicina Clinica Sperimentale,

Università “Federico II”, Napoli

Prof. DARIO OLIVIERI Direttore Istituto di Clinica delle Malattie dell’Apparato Respiratorio,

Università di Parma

Prof. PAOLO PUDDU Cattedra e Divisione di Reumatologia, Università di Padova

Prof. FRANCESCO SCAGLIONE Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale,

Università degli Studi di Milano

Prof. CESARE SIRTORI Direttore di Cattedra di Farmacologia Clinica, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università di Milano.

Prof. EMILIO STERNIERI Professore Ordinario di Tossicologia, Università di Modena e Reggio Emilia

Prof. SILVANO TODESCO Cattedra e Divisione di Reumatologia, Università di Padova

Prof. DINO VAIRA Dipartimento di Medicina Clinica, Università di Bologna

Prof. CLAUDIO VISCOLI Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Università di Genova

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