vôs de mont · bocca in bocca e di paese in paese, venivano modificate a seconda del gusto...

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‘l è ben vêr vilotis furlanis - villotte friulane

in copertina: mosaico di PASQUALINO ZATTIdal dipinto “Sera d’inverno” di Marco Davanzo

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Da alcuni anni Marco Màiero accarezzava l’idea di prendere in mano le villotte friulane, soffiarvia quel leggero velo di polvere depositato dal tempo e sceglierne quante bastavano per riproporreun repertorio antico dalle armonie semplici: una voce che inizia il canto, l’altra che la segue suintervalli di terza, un’altra ancora che ricama alla dominante o all’ottava inferiore. La villotta è tuttaqui, quattro versi appena: breve come un respiro, ma capace di evocare lunghe stagioni di passionie di ricordi.Villotta (canto villereccio) era un termine veneto usato durante il XV secolo per definire, in ambitocolto, una forma polifonica a quattro voci su testi di vario metro, da non confondersi con la villottapopolare veneta (certamente una continuazione della prima) che era composta in quartine di endeca-sillabi, o più raramente di ottonari: queste ultime erano chiamate vilote alla furlana o anche furlane.In Friuli invece il canto popolare era indicato con i termini cjançon, cjançonete, ricete, e, in Carnia,anche danze e raganiza (filastrocca), perché talvolta accompagnava il ballo; e non era solo in friu-lano ma spesso in veneto e in italiano e, nelle zone di confine nord-orientale, anche in tedesco e neidiversi dialetti sloveni. Il termine vilote, mutuato dalla tradizione veneta, apparve in stampa nel1821, probabilmente per la prima volta, all’interno del periodico Il strolic furlan; dalla finedell’Ottocento entrò nell’uso comune per indicare i canti in friulano su metro ottonario e poi, perestensione, anche quelli d’autore e su metro diverso, purché avessero contenuti attinenti alla sferadella tradizione.Le parole dei canti popolari erano il frutto della fantasia di qualche improvvisatore e, passando dibocca in bocca e di paese in paese, venivano modificate a seconda del gusto personale finché delloro autore originario si perdeva il ricordo. Il contenuto poetico in genere si esauriva nel giro diquattro versi di otto sillabe e talvolta anche di cinque, sette, dieci o addirittura undici sillabe, manon erano rari i casi di contrasti o catene, in cui due gruppi di cantori alternavano le strofe, cercan-do di mantenere vivo il canto il più a lungo possibile, perfino inventando le parole sul momento.Accadeva così che quartine diverse fossero abbinate alla stessa melodia e che una stessa quartinavenisse cantata con musica e ritmo diversi in diverse zone geografiche del Friuli.L’origine delle melodie è un tema ancora molto dibattuto ed è al centro di diverse ipotesi: quellaaquileiese, che le vede svilupparsi come imitazione delle sequenze ecclesiastiche della monodialiturgica patriarchina, evolutasi in una forma propria e personale; quella celtica, che ne individua la

P erché le villotte? Forse una sfida? Oppure una provocazione?

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provenienza basandosi sulla forma del canto, simile a quello a due voci (gymel) in uso nelle isolebritanniche dal IX al X secolo; quella pre-romantica, che le considera come prodotto prevalente-mente ottocentesco (anche nei versi), con apporti importanti e significativi dalle zone montane diAustria e Slovenia e di altre terre oltre confine.Sia che accompagnassero il lavoro in casa o nei campi, sia che manifestassero i più profondi senti-menti per una persona cara, oppure, con tono canzonatorio, deridessero i giovani di questo o di quelpaese, le villotte erano il riflesso dell’anima popolare e divennero uno dei simboli della friulanità,favorite in questo anche da una certa strumentalizzazione ideologica, iniziata nel periodo tra le dueGuerre Mondiali, che creò lo stereotipo del Friulano che non si lascia facilmente sopraffare dai sen-timenti, ma cerca di dominarli, e usa il canto per superare il dolore e lo sconforto in modo sobrio,pur se con un pizzico di mestizia e di rassegnazione.Il soggetto prediletto delle villotte è l’amore in tutte le sue forme: dal pudore dei primi approcci allapassione, dalla gelosia al risentimento, non tralasciando la malizia, il doppio senso e perfino la vol-garità. Anche la descrizione della natura, così presente nella vita e nella cultura di quel tempo, èsubordinata al sentimento amoroso e diventa uno spunto o un pretesto per esprimersi con pensieri egesti nei riguardi della persona amata. In molti casi (inviti sessuali, sarcasmi, atteggiamenti dirivendicazione) la villotta è l’unico modo “socialmente” consentito per esprimere certi contenutiche nella forma parlata sarebbero ritenuti sconvenienti. Altri temi ricorrenti sono la guerra e levicende legate al fenomeno dell’emigrazione, che, per fare un esempio, hanno dato origine ai cantiI fantats son lâts in vuere o a ‘L è ben vêr, che dà il titolo al nostro lavoro. Quest’ultimo canto ci èparticolarmente caro perché è la prima villotta eseguita all’inizio della nostra attività musicale, masoprattutto perché, in quattro stupendi versi, riassume tutta un’etica e una filosofia di vita che vor-remmo non fossero dimenticate.Sappiamo che la villotta non nasce “corale”, nonostante la sua natura armonica e polivocale: i cantori,infatti, seguendo una sensibilità musicale tipica degli abitanti delle regioni alpine, sentivano la neces-sità di ampliare la melodia e cantavano in piccoli gruppi spontanei, ma spessissimo anche a due voci.Prediligevano una vocalità aperta, perfino stridula nelle voci femminili, e amavano cantare lentamen-te, “trascinando” le note e arricchendole talvolta di fioriture; noi, però, non potevamo certo esimercidal cantare intonati e con voce ferma. Il risultato, quindi, non è né un’opera filologica né un lavoro diricerca etno-musicologica, ma semplicemente una raccolta di brani brevi, talvolta brevissimi, ognunocon le sue caratteristiche e la sua forte personalità.

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Confessiamo che ci ha intrigato molto cantare, con spirito tutto femminile, una lirica d’amore comeMieli, oppure calarci nel ruolo della mamma che cerca di far addormentare la sua bambina inSdrindulaile, e subito dopo in quello di chi, Biel vignint da l’Ongjarie, è preso dalle smanie d’amo-re non appena vede la sua bella dopo anni di lontananza. Ci è piaciuto cantare le arie di danza diÇurçuvint e Vegnin jù e alla fine siamo riusciti a ricreare anche le atmosfere musicali dei piccoligruppi, cantando alcune villotte in quartetto.In conclusione, vogliamo rendere il giusto merito a tutti coloro, studiosi o semplici appassionati,che hanno pazientemente raccolto e conservato nell’arco di centocinquanta anni la memoria musi-cale di un popolo; e vogliamo ringraziare Marco Màiero per la sua voglia di mettersi in gioco e perla tenacia con cui ha voluto realizzare questo interessante progetto. Senza il loro lavoro questodisco non sarebbe mai nato.

BIBLIOGRAFIAMolto è stato detto e scritto sul canto friulano e sugli altri argomenti che in questa sede sono stati solo in parte accenna-ti, e una bibliografia completa è quasi impossibile da realizzare. Qui di seguito forniamo un breve elenco delle fontiche ci hanno fornito il materiale utile alla realizzazione di questo disco.Angelo Arboit, VILLOTTE FRIULANE RACCOLTE E PUBBLICATE DA ANGELO ARBOIT, Del Maino, Piacenza, 1876(ristampa anastatica Forni, Bologna, 1987).Bindo Chiurlo, ANTOLOGIA DELLA LETTERATURA FRIULANA, Del Bianco, Udine, 1927.VILLOTTE E CANTI POPOLARI DEL FRIULI (a cura di Luigi Ciceri), Società Filologica Friulana, Udine, 1966(ristampa anastatica Società Filologica Friulana, Udine, 1986).Adelgiso Fior, VILLOTTE E CANTI DEL FRIULI, Piva, Milano, 1954 (ristampa anastatica Fûrclap, Udine, 2003).Gian Paolo Gri, Conservazione e innovazione nel canto popolare in Friuli, in Atti 1° Convegno internazionalesu “IL CANTO POPOLARE IN FRIULI”, Comune di Tavagnacco (Ud), 1979.Mario Macchi, ETNOFONIA FRIULANA. BREVE STORIA DELLA VILLOTTA, Arti Grafiche Friulane, Udine, 1988.Mario Macchi, MÊ AGNE JACUME. Canti di tradizione orale raccolti in Friuli (a cura di Roberto Frisano), USCIFriuli-Venezia Giulia, Pizzicato Edizioni Musicali, Udine, 2000.Mario Macchi, RITMICA E METRICA NEL CANTO POPOLARE FRIULANO, in “Ce fastu?”, LXI, 2, 1985.Claudio Noliani, ANIMA DELLA CARNIA. Canti popolari, Società Filologica Friulana, Udine, 1980.Valentino Ostermann, VILLOTTE FRIULANE, Del Bianco, Udine, 1892 (ristampa anastatica Del Bianco, Udine,1986).Giovanni Trinko, A PROPOSITO DEL CANTO POPOLARE, in “Ce fastu?”, VIII, 5-6, 1932.Si ringrazia il m.o Roberto Frisano per il prezioso materiale fornito.

Umberto Modottipresidente del “Vôs de mont”

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Il coro “Vôs de mont” nasce nel 1979 ed è diretto fin dall’inizio da Marco Màiero. Il suorepertorio, in origine popolare, si orienta poi verso i canti d’autore e ora canta esclusiva-

mente le nuove canzoni del maestro Màiero.Proponendo solo canti nuovi ed originali, il “Vôs de mont” è così diventato un raro esem-pio di “coro d’autore” e la sua musica è diventata fonte di ispirata emozione per moltepersone.Ha partecipato a più di 500 concerti e rassegne corali in tutta Italia ed all’estero.Pur avendo partecipato a pochi concorsi corali può vantare due primi premi internazionaliprestigiosi quali:- il Festival Europeo della musica di montagna, ad Oberstaufen (1996);- il premio Seghizzi per la musica popolare, a Gorizia (1999).Ha al suo attivo diverse incisioni:- Anìn insieme (1987);- Lidrîs (1992);- Albadis (1997), realizzato con il contributo della Provincia di Udine

e dell’Unione Europea;- Mateçs (2001/02), realizzato con il contributo della Provincia di Udine (LR15/96).Nel mese di maggio 2003, con il sostegno della legge regionale 15/96, il coro ha pubblica-to il volume “Mateçs, gnovis cjantis di Marco Màiero” che contiene le partiture di tutti icanti composti dal maestro Màiero fino al 2002.I CD e la pubblicazione sono molto richiesti e la loro capillare divulgazione è una confer-ma dell’elevata qualità della proposta del “Vôs de mont”.Notevole il risultato di una collaborazione corale-teatrale intrapresa nel 2003 con l’attoreMassimo Somaglino e che ha portato alla realizzazione di un affascinante spettacolo daltitolo “Gnot di nêf”, andato in scena per la prima volta a Tricesimo il 23 gennaio 2004.È presente dal 1998 su Internet con il sito www.vosdemont.it, sempre aggiornato.

Aldisio Andrea Bepi

Luciano M

arco M

auro M

ichele

Paolo

Renato

Renzo B. Renzo D. P. Roberto B.

Roberto P. R

affaele

Sandro Stefano M. Stefano S. Stefano T. Umberto

Beppino Claudio David Dino Fabio C. Fabio S. Gianni Gianpaolo Giordano Lorenzo

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Su la plui alte cimeSu la plui alte cime al jeve il soreli a binore,ma cheste no je l’ore di bandonâ l’amôr.Sulla cima più alta il sole giunge a buon’ora,ma questa non è l’ora di abbandonare l’amore.Al cjante il gjalAl cjante il gjal, al criche il dì;mandi ninine, mi tocje partî.Il gallo canta, spunta il giorno;ciao cara, devo partire.Gjovanin colôr di roseGjovanin colôr di rose,‘l è passât par chi cumò;lui mi à dit: “Mandi morôse!”jo i ai dit: “Ma lafè no!”Giovannino color di rosaè passato di qui adesso;lui mi ha detto: “Mandi morosa!”e io gli ho detto: “Questo poi no!”Il cjant di MerêtA Merêt no son fantatis, nome chês dai marangons;ancje chês son rusinidis come i clostris dai puartons.I fantats dal borc disôrea si vantin di sei biei;ma semein râfs di brovade

lâts di mâl par chei brantiei.Là sul Cuar ‘l è un trop di zovins,no savìn ce fâ di lôr;cjolarìn une barele,po al marcjât larìn cun lôr.Cuant ch’o sin in mieç de place,tacarìn a contratâ;al plui zovin doi centesins,al plui vecjo un carantan.A Mereto non sono rimasteche le figlie dei falegnamie anche quelle sono arrugginitecome i chiavistelli dei portoni.I ragazzi del borgo di soprasi vantano di essere belli,ma sembrano rape da brovadaandate a male nei tini.Là sul Corno ci sono dei giovani,non sappiamo cosa farcene;prenderemo un carrettinoe andremo al mercato con loro.Quando saremo in mezzo alla piazza,cominceremo a contrattare:al più giovane daremo un centesimo,al più vecchio un quattrino.n.b. Mereto è un paese della Bassa Friulana

Lait a rosis in montagneLait a rosis in montagne, a garofui ca di me!

I TESTIELETRA

DUZIONI

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Domandait ai miei di cjase, che a son lôr parons di me!Cogliete i fiori in montagna,ma le rose cercatele a casa mia!Chiedete ai miei genitori,perché sono loro i miei padroni!Je chê stele alte, alteJe chê stele alte altech’e palese il gno destin.Là daûr di chê montagne, ‘l è il gno ben, tant puarin.È quella stella alta altache mostra il mio destino.Là, dietro quella montagna, c’è il mio bene, poveretto.I fantats son lâts in vuere (A quattro voci sole)I fantats son lâts in vuere,prin di ducj il gno morôs: vuei preâ matine e serepar che tornin vitoriôs.I ragazzi sono andati in guerra,primo fra tutti il mio moroso:voglio pregare mattina e seraperché ritornino vittoriosi.

Da pe da clevoCuant ch’o fui da pe da clevoScomençai a domandâ:“Dulà ese la mê puemo

che incuintro no mi ven?”La rispuesto mi fui dadodal gno grant e cjâr amî:“La tô puemo è maridadocuntun atro dal paîs”.Joi, ce dûl di chês curdelosdai colaçs che j’ai paiâte des scarpos ch’j ai fruiadospar vignîcji a cjatâ.Quando fui ai piedi della chinacominciai a domandare:“Dov’è la mia ragazzache non mi viene incontro?”La risposta mi fu datadal mio grande e caro amico:“La tua ragazza è andata sposacon un altro del paese”.Oh, che dolore per quelle fettucceper le ciambelle che ho pagatoe per le scarpe che ho consumatoper venirti a trovare.Isal chest il troi de braide?Isal chest il troi de braide che nus mene a fâ l’amôr?Sêso vô chê bambinuteche plasês a tancj di lôr?È questo il sentieroche porta a far l’amore?Siete voi quella ragazzache piace a tanti?

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Le ai domandade di sabideLe ai domandade di sabidese ûl fâ l’amôr cun me,e à vût cûr di rispuindimi:“No, lafè!”Ma pûr in fonts da l’animesperi une dì ancjemòche vedi di rispuindimi:“Sì, o soi tô”Le ho chiesto sabatose vuol far l’amore con me,e ha avuto il coraggio di rispondermi:“No, proprio no!”.Ma dal fondo del cuorespero ancora che un giornomi risponderà:”Sì, sono tua!”E Tunin al è un biel zovinE Tunin al è un biel zovinch’al sa ben puartâ il cjapiel.E ‘l si merte Taresine,se nol fos dome par chel.Tonino è un bel ragazzoche sa portar bene il cappello.Si merita la Teresinase non altro per questo.Al è gnot e scûr di ploeAl è gnot e scûr di ploee jo torni jù in paîs

par lâ a viodi dal gno zovin s’al è muart o s’al è vîf.S’al è vîf vuei lâ a cjatâlu,s’al è muart vuei lâj daûr.S’al è za te sepolturevuei tornâlu a sgarfâ fûr.È notte, il cielo è scuro di pioggiaed io ritorno giù in paeseper vedere se il mio amatoè morto o è vivo.Se è vivo andrò a trovarlo,se è morto seguirò il suo funerale;se è già nella tombaandrò a tirarlo fuori.Ce bielis maninisCe bielis maninis d’amôrche lis à fatis la mame tô.Va jù, va planc, sta fer cu lis mans.Oh, bambinute d’amôr!Che belle manine, manine d’amore;le ha fatte la tua mamma.Va’ giù, va’ piano, stai fermo con le mani.Oh, bambina d’amore!Nina nana, bambinutaNina nana, bambinuta,siara i vôi e duar in pâs.Nina nana, biela fruta,la tô mari a ti à in braç.

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Ninna nanna, bambina,chiudi gli occhi e dormi in pace.Ninna nanna bella bambina,la tua mamma ti tiene in braccio.Il canto è scritto nella variante goriziana del friulano.

La ligrieE la ligrie e je dai zovinse no dai vecjos maridâts.E l’àn piardude biel lant a messee in chê dì che a son sposâts.L’ allegria è dei giovanie non dei vecchi maritati.L’hanno persa andando alla messail giorno in cui si sono sposati.ÇurçuvintE Çurçuvint Disoree Çurçuvint Disot,disore a dan la nolasdisot a dan ju lops.Cercivento di Sopra,Cercivento di Sotto.Di sopra offrono le nocidi sotto le mele selvatiche.Cercivento è un paese della Carnia, all’imbocco dellaValcalda, tra Sutrio e Ravascletto.

E mê mari m’al à dite (A quattro voci sole)E mê mari m’al à dite - tal zeim’al à fate professâ - in tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!Che s’o cjol marît in Cjargne - tal zeio ai la cosse di puartâ - in tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!E mê mari maridade - tal zeie à cjolet cui che à vulût - in tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!e cussì farâ sô fie - tal zeicjolarâ un a so mût - in tal cosoi la le le - in tal zei - oi la la!‘Tal zei’ e ‘in tal cos’, che significano rispettivamen-te ‘nel cesto’ e ‘nella gerla’, hanno qui una funzionedi abbellimento/riempimento, analogamente a ‘oi lale le’ e ‘oi la la’ (le cosiddette ‘falilele’ o ‘lilolele’).Mia madre me l’ha detto – tal zeimi ha avvertita – in tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!che se prendo marito in Carnia – tal zeidovrò portare la gerla – in tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!E mia madre, quando si è sposata – tal zeiha preso chi ha voluto – tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!E così farà sua figlia – tal zeine prenderà uno a modo suo – tal cosoi la le le – in tal zei - oi la la!

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‘L è ben vêr‘L è ben vêr ch’jo mi slontanidal paîs ma no dal cûr.Sta pûr salde tu ninineche jo torni se no mûr.È vero, sì che mi allontanodal paese, ma non dal cuore.Sta’ pur certa tu, ninina,che io ritorno se non muoio.E à sunât une di gjespuiE à sunât une di gjespui,al à dât il ultim bot.Jo us doi la buine sere,jo us doi la buine gnot.È suonata l’ora di vespero,è suonato l’ultimo tocco.Vi do la buona sera,vi do la buona notte.In chê dì da las mês gnoçosIn chê dì da las mês gnoçosjoi, ce fiesto ch’a si farâ.E mê mari puarino‘tun cjanton e vaiarâ.E gno pari la confuartoche in chest mont no vin da stâ.Cuant che jo voi vie di chentifin las pieras a vajaran.

Nel giorno delle mie nozzeoh, che festa si farà.E mia madre poverinain un angolo piangerà.E mio padre la conforteràperché in questo mondo non dobbiamo restare.Quando andrò via da quianche le pietre piangeranno.A planc cale il soreliA planc cale il sorelidaûr di un’alte mont;‘ne grande pâs e regneche pâr un sium profont.E lis piorutis mangjinjarbutis che son là;il to pinsîr oh bielecui sa là ch’al sarà?Il sole tramonta pianodietro un alto monte;regna una grande pace,e tutto sembra profondamente addormentato.

Le pecorelle mangianole erbette che sono lì;il tuo pensiero, oh bella,chissà dove sarà?Chel garoful sence mani (A quattro voci sole)Chel garoful sence mani,indorât, su par chel mûr,

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cuant ch’al passe il gno cjâr zovin,disarês ch’al è il gno cûr.Quella rosa senza gambo,dorata, sopra quel muro,quando passa il mio benedirete che è il mio cuore.Cheste viole paliduteCheste viole palidute,cjolte sù dal vâs cumò,vuei donâle a mê Mariuteal gno ben che al è dut gnô.Questa viola pallida,colta adesso dal vaso,voglio donarla alla mia Maria,al mio bene che è tutto mio.No ti vessio mai viodudeNo ti vessio mai viodudecun chei voi cussì tant biei!Fossio muart bambin di scuneche par me sarès stât miei!Non ti avessi mai vistacon quegli occhi così belli!Se fossi morto da bambinosarebbe stato meglio! MontagnutisMontagnutis ribassaisifait un fregul di splendôr,

tant ch’o viodi ancje une voltelà co levi a fâ l’amôr.E vô stele tramontane,se savessis fevelâ,un salût a di chê frutejo par vô vorès mandâ.Oh, montagnole, abbassatevi,fate un po’ di luce,perché possa vedere ancora una voltadove andavo a far l’amore.E voi, stella tramontana,se sapeste parlare!Per voi vorrei mandareun saluto a quella giovane.Se savessis, fantacinisSe savessis, fantacinisce che son suspîrs d’amôr.E si mûr si va sot tieree ancjemò si sint dolôr!Se sapeste ragazzinecosa sono i sospiri d’amore.Si muore, si va sottoterrae si sente ancora dolore.Oh, ninineOh ninine, oh mê ninine,oh ce tant ben che o vuei a ti.Oh, mia cara,oh, quanto bene ti voglio.

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Soi passât cheste matine (A quattro voci sole)Soi passât cheste matinee il balcon ‘l ere siarât.Jo i ai dit: “mandi ninine”e il balcon si è spalancât!Sono venuto stamattinae la finestra era chiusa.Le ho detto: “ciao, bella”e la finestra si è spalancata!Vegnin jù i CjargneiE vegnin jù i Cjargnei de Cjargnevegnin jù batint il tac;e cu la pipe in te sachetecence un fregul di tabac.E s’al è vecjo al tabachee s’al è zovin al va sù;lui al va sù pe luminariee nol dîs mai di tornâ jù.Scendono i carnici dalla Carniascendono battendo il tacco;con la pipa in tascasenza un filo di tabacco.Se è vecchio “tabacca”se è giovane va suva su per il lucernaioe non dice mai di scendere.Cjolmi meCjolmi me, cjolmi ninine,ch’o soi bon di lavorâ.

Jo o soi bon di rompi citis,e tornâlis a justâ.Sposami, sposami cara,perché io so lavorare.So rompere tegami e tornarli a riparare.Vati a fâ lavâ la museVati a fâ lavâ la musese tu crôts di cjoli me;cuant che il fûc al bruse l’agheancje jo ti sposi te!Vai a farti lavare la facciase credi di sposarmi;quando il fuoco brucia l’acquaallora anch’io ti sposo!O durmîso opûr veglaiso?O durmîso opûr veglaiso?Ce mai faiso su chel jet?O pensaiso ‘es baronadische olês fâmi a mi puaret?Dormite o vegliate?Che fate mai su quel letto?State pensando a qualche mascalzonatache volete fare a me, poveretto?Il soreli al fâs la volte (A quattro voci sole)Il soreli al fâs la voltee la lune e fâs splendôr.Il sole tramontae la luna splende.

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Biel vignint da l’OngjarieBiel vignint da l’Ongjarie,la cjatai sul lavadôr;bandonai la companiemi metei a fâ l’amôr.Ritornando dall’Ungheria,la trovai al lavatoio;abbandonai la compagniae mi misi a fare l’amore.Volìn gjoldi la ligrieVolìn gjoldi la ligriefra nô zovins che nô sin;sunarà l’Ave Mariedopo muarts che nô sarìn.Vogliamo godere l’allegriatra noi che siamo giovani;suonerà l’Ave Mariadopo che saremo morti.Une volte tant amâsi (A quattro voci sole)Une volte tant amâsi,propi amâsi di biel cûr:e cumò nancje cjalâsi,se si sclope, se si mûr!Una volta amarsi tanto,ma amarsi di cuoree adesso nemmeno guardarsineanche se si scoppia o si muore!

MieliMieli, Mieli simpri Mieli!Mieli, Mieli, i torni a dî.Cuant ch’jo passi dongjo Mielimi ven voio di vaî!Mieli Mieli tal soreli,Mieli, Mieli co ‘l è scûr.Ai vedio lu gno cjâr zovincuntun ato a fâ l’amôr!Mieli, Mieli sempre Mieli!Mieli, Mieli, torno a dire.Quando passo vicino a Mielimi vien voglia di piangere.Mieli, Mieli quando c’è il sole,Mieli, Mieli quando è buio.Ho visto il mio caro giovanefar l’amore con un’altra!Le parole della villotta sono in carnico del Canaledi Gorto, la valle in cui è situato il paese di Mieli.

SdrindulaileJe jevade la biele stele,son trê oris devant dì.Sdrindulaile chê bambinuteche si torni a indurmidî.Si è alzata la bella stella,mancano tre ore all’alba.Cullàtela quella bambina,perché si riaddormenti.

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Discografia:

1987 – Anì n insieme1992 – Lidrî s1997 – Albadis2001 – Mateçs

Coro “Vôs de mont”Casella Postale 29 - 33019 Tricesimo (Ud)

[email protected]

Il coro è associato all’ Unione Società Corali Friulane

Registrato nel 2004 nella Chiesa di San Martino a Leonacco Basso di Tricesimo

Registrazione in digitale di Marco ModottiMiscelazione, Editing e Mastering digitale a cura di Marco Màiero

Consulenza tecnica di Roberto Barbieri

La registrazione è stata effettuata con una postazione mobile composta da:Computer Apple® iBook G4 con software ProTools® LE

Dispostivo Audio Digidesign® Mbox™DesktopMicrofoni professionali Neumann