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II parte - La nozione di campo: prima formulazione in “Gruppo” ed apporti successivi. Il Commuting come funzione del rapporto tra individui e campo del gruppo. Lezione ad opera del Professor Paolo Cruciani. Interviene il Dottor Danilo Simoni. Paolo Cruciani è docente presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università “La Sapienza”, dove insegna Fondamenti di Dinamica di Gruppo e Tecniche di Valutazione e Counselling, presso il Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche della Valutazione e della Consulenza Clinica, e presso il Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche per l’Intervento Clinico per la Persona, il Gruppo e le Istituzioni. Insegna altresì Psicologia Dinamica dei Gruppi nella Scuola, presso il Corso di Laurea in Valutazione e Intervento nella Psicopatologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e Teoria e Tecniche nella Dinamica di Gruppo, presso il Corso di Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità dello stesso Ateneo. È docente presso la Seconda Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università “La Sapienza”. È membro della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalitical Association. Danilo Simoni è psicologo con formazione psicoanalitica, specializzato nelle dinamiche di gruppo e delle organizzazioni, lavora come consulente per importanti aziende e istituzioni pubbliche e private. 1

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II parte - La nozione di campo: prima formulazione in “Gruppo” ed apporti successivi. Il Commuting come funzione del rapporto tra individui e campo del gruppo. Lezione ad opera del Professor Paolo Cruciani.

Interviene il Dottor Danilo Simoni.

Paolo Cruciani è docente presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università “La Sapienza”, dove insegna Fondamenti di Dinamica di Gruppo e Tecniche di Valutazione e Counselling, presso il Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche della Valutazione e della Consulenza Clinica, e presso il Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche per l’Intervento Clinico per la Persona, il Gruppo e le Istituzioni. Insegna altresì Psicologia Dinamica dei Gruppi nella Scuola, presso il Corso di Laurea in Valutazione e Intervento nella Psicopatologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e Teoria e Tecniche nella Dinamica di Gruppo, presso il Corso di Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità dello stesso Ateneo. È docente presso la Seconda Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università “La Sapienza”. È membro della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalitical Association.

Danilo Simoni è psicologo con formazione psicoanalitica, specializzato nelle dinamiche di gruppo e delle organizzazioni, lavora come consulente per importanti aziende e istituzioni pubbliche e private. Conduce gruppi esperienziali e terapeutici con adulti e adolescenti. È fondatore di Officine Creative, associazione scientifica per lo sviluppo del potenziale umano.

Il Professor Cruciani introduce la lezione odierna facendo riferimento alla seconda del presente modulo, in cui ha trattato il tema del commuting e la nozione di campo. Si prosegue ora con la descrizione della nascita del gruppo, che evolve dallo stato gruppale nascente alla comunità dei fratelli, fino a raggiungere una forma definita.

Come funziona il gruppo una volta definitosi?

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La vita che si svolge all’interno del gruppo si articola attraverso due livelli:

- Socialità sincretica- Socialità evoluta

La nozione di “socialità sincretica” elaborata da José Bleger (Ceres, Santa Fe 1922 – 1972) nel 1967, valorizza i vissuti sensoriali, propriocettivi e cenestesici del gruppo. Questi vissuti, basati sulla condivisione di ritmi fisiologici, sulla comune percezione dello spazio e sulla regolazione collettiva del tono dell’umore, sono un fondamento essenziale dell’esperienza di appartenenza. Confermano l’esperienza del gruppo come qualcosa di conosciuto, stabile e affidabile. La socialità sincretica rappresenta il livello non verbale della vita di gruppo.

La “socialità evoluta”, al contrario, è identificabile come il livello verbale della vita del gruppo, avente a che fare con il pensiero e gli aspetti più evoluti della vita mentale.

Il livello sincretico, non verbale, e il livello evoluto della relazione gruppale non sono separabili e sono, anzi, strettamente interdipendenti. Secondo Bleger, socialità sincretica e socialità evoluta non sono in contrapposizione tra loro, bensì interdipendenti.

La prima è la base per lo sviluppo delle funzioni della seconda in quanto mantiene in vita gli “aspetti che non cambiano” dell’identità. Questi, a loro volta, sono fondamentali per l’espressione dell’identità che cambia e si trasforma.

La socialità evoluta, invece, impedisce che la socialità sincretica si appiattisca.

Il Professor Cruciani fa riferimento al testo “Gruppo” del Professor Claudio Neri, nel quale l’autore si riferisce al gruppo come ad un organismo, una struttura dotata di sue modalità di funzionamento, che si articolano attraverso caratteristiche che non sono deducibili dai singoli individui, ma che si manifestano nel gruppo nel suo insieme.

Secondo gli studiosi della Psicoterapia Psicoanalitica in gruppo (che hanno applicato alcuni concetti psicoanalitici al gruppo), il gruppo stesso è utilizzato come luogo in cui si attivano, nella relazione del qui ed ora, quelle modalità di relazione della persona, già oggetto di studio della psicoterapia psicoanalitica individuale.

Viene introdotto, quindi, il tema del transfert nel gruppo.2

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Con il transfert (che può essere di molteplici tipologie: bilaterale e multilaterale) si manifestano fenomeni come la proiezione e la relazione che si instaura con il terapeuta.

Attraverso situazioni che ripropongono i modi di funzionare propri della vita quotidiana e che si ripresentano nel gruppo, si rende possibile l’intervento dell’analista.

Questo modello riproduce nel piccolo gruppo le caratteristiche proprie della psicologia delle masse, secondo la quale si poteva leggere il gruppo attraverso le caratteristiche dei suoi componenti.

La prima eccezione a questo modello è stata operata da Kurt Lewin. (Mogilno, 9 settembre 1890 – Newtonville, 12 febbraio 1947) che considera il gruppo come un tutto: “Ciò che conta non sono le caratteristiche psicologiche dei componenti del gruppo, ma la configurazione che il gruppo assume”.

Anche Wilfred Bion (Muttra, 1897 – Oxford, 1979) guarda al funzionamento della mente del gruppo come un tutto e individua nel movimento complessivo del gruppo stesso delle caratteristiche che non è agevole, dal punto di vista della comprensione, riferire ai singoli individui che ne fanno parte. Si può osservare la specificità di questi fenomeni osservando il gruppo nel suo insieme.

Bion osserva che un gruppo si riunisce con uno scopo che consiste nella definizione di una attività che il gruppo svolge come necessariamente comunitaria. (Ad esempio gestire un istituzione, affrontare un disturbo psicologico, ecc.)

Il gruppo si configura quindi come équipe, all’interno della quale, come in una squadra, l’importante è che ciascuno agisca di per sé e che, nello stesso tempo, la squadra funzioni come insieme. Bion pone particolare attenzione a cosa accade quando il gruppo deve raggiungere uno scopo.

Il concetto di scopo da lui illustrato è simile a ciò che afferma William McDougall (Chadderton, 28 novembre 1871 – Durham, 28 novembre 1938) in riferimento a ciò che considera il gruppo: il gruppo si definisce perché tutti hanno un’idea di ciò che devono fare.

Bion osserva che il modo in cui il gruppo affronta un problema si differenzia secondo due polarità:

- entrare in contatto con la realtà e utilizzare tutti gli elementi che il 3

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gruppo possiede per raggiungere il suo scopo;

- sfuggire alla realtà attraverso attribuzioni magiche, inconsapevolezza, aspetti inconsci depositati nel contenitore del gruppo, arrivando alla costruzione di difese arcaiche.

La prima modalità può incontrare delle deviazioni, qualora il gruppo nel suo insieme non lavori con gli strumenti che ha e nella direzione che la conoscenza realistica gli propone. Se il gruppo devia da questa tendenza, lo farà secondo modalità caratteristiche, in particolare sfuggendo ad un contatto col mondo reale, trovando soluzioni che non soddisferanno tutti i membri del gruppo.

Bion a questo proposito ipotizza che le persone abbiano un modo diverso di organizzare la propria azione, che definisce “mentalità di gruppo”. Tale mentalità è qualcosa che rende il comportamento umano omogeneo nel profondo. Questo qualcosa che non si osserva, rende possibile spiegare il comportamento del gruppo. Ad esempio il gruppo non tenderà a confrontarsi con la realtà da dominare, ma a vedere in qualcuno dei suoi componenti l’elemento in grado di risolvere tutti i problemi. Il gruppo si organizzerà, quindi, secondo un modello dipendente da qualcuno. Bion spiega questo fenomeno diversamente da Freud, che vede in questa tendenza l’identificazione con l’ideale dell’Io.

Bion osserva che è possibile ipotizzare sia l’esistenza di una mentalità di gruppo, sia che questa mentalità venga attuata, realizzata e resa manifesta da ciascuna persona che compone il gruppo. La manifestazione visibile della mentalità di gruppo è ciò che Bion chiama “cultura del gruppo” (termine utilizzato secondo l’accezione propria dell’antropologia). Bion presuppone, quindi, l’esistenza di una mentalità di gruppo inconscia (principio organizzatore inconscio), la cui manifestazione è ciò che egli definisce “cultura del gruppo”.

Nel volume “Esperienze nei gruppi e altri saggi” di Wilfred Bion, edito per la prima volta in Italia nel 1971 da Feltrinelli, l’autore formula le tre modalità fondamentali secondo le quali si presenta la mentalità di gruppo. Tali modalità vengono definite: assunto di base.

L’assunto di base è un punto di vista essenziale che caratterizza e organizza una serie di azioni poste in essere dal gruppo. Per esempio,

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l’assunto di base delle lezioni del Professor Cruciani è quello di fare lezione sul gruppo.

I francesi traducono il termine assunto di base con “présupposé de base”, ovvero presupposto di base.

I presupposti secondo i quali si possono risolvere i problemi del gruppo sono:

1. qualcuno nel gruppo è il depositario della soluzione e si ha quindi un atteggiamento di dipendenza nei confronti di questa persona;

2. il problema del gruppo è il nemico che va fuggito o attaccato;

3. nel gruppo si deve configurare un’unione produttrice di qualcosa; il gruppo, cioè, si organizza in base all’attesa messianica di qualcosa che arriverà se resterà unito. Il gruppo stesso, quindi, funziona come una coppia generatrice.

Questi 3 assunti di base vanno a costituire il fondamento della mentalità di gruppo, che cerca delle soluzioni immediate qualora la capacità di funzionare in relazione alla realtà non si sia stabilita. Si sta descrivendo il funzionamento di una sorta di mente unica, rispetto alla quale non vengono abolite le differenze individuali, ma le stesse vengono inserite all’interno della polarizzazione dell’organizzazione del gruppo.

Anche se Bion non ne parla mai, si introduce così il concetto di “campo”: un’organizzazione complessiva e pervasiva che non nega le esistenze individuali, ma le condiziona fortemente.

Interviene il Dott. Danilo Simoni, affermando che può essere utile

richiamare alla mente i concetti elaborati dalla teoria psicoanalitica classica, quali inconscio, meccanismi di difesa, nonché processo primario (principio di piacere) e processo secondario (principio di realtà), anche se questi concetti non vengono ripresi esplicitamente da Bion. Quando il gruppo smette di essere un gruppo di lavoro, cioè smette di funzionare come potrebbe, per raggiungere determinati obiettivi, entrano in campo dei meccanismi diversi, che sono meccanismi inconsci, i quali non hanno niente a che fare con il dato di realtà e non aiutano il gruppo a raggiungere i propri obiettivi.

La mentalità di gruppo è sconosciuta ai suoi membri; è un aspetto5

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inconscio che viene depositato nel gruppo. Ci troviamo di fronte ad un assunto di base, qualora degli aspetti inconsci predominino sugli aspetti reali. Il gruppo che trova delle difficoltà nel raggiungere i propri obiettivi attiverà delle difese arcaiche, che vengono rappresentate da quegli assunti di base.

Secondo il Dott. Simoni, c’è un dibattito in corso riguardo all’interrogativo se gli assunti di base siano dei meccanismi di difesa.

Cita quindi Bion, secondo il quale ci sono due problemi che riguardano la mente umana: funzionare costruendo pensieri che avvicinano alla realtà, oppure sfuggire alla realtà attraverso meccanismi arcaici. L’importante è che si crei un pensiero e come questo pensiero si attivi rispetto alla realtà. Il Dott. Simoni si domanda se sia pensabile che un intero paese condivida un assunto di base. Ciò è in parte possibile e in parte no, Ciò che conta è la direzione del pensiero. La vita del gruppo è un’oscillazione continua tra le due polarità di pensiero sopra descritte.

Secondo Lui, al di là dei gruppi terapeutici, questo tipo di fenomeni tocca

tutte le tipologie di gruppo. Anche nei team tecnici in ambito di gruppi di lavoro, ad esempio, si può scivolare in assunti di base che ne condizionano il funzionamento. L’assunto di base è in parte una difesa. Il grosso problema è la questione del cambiamento e come si fa fronte alla necessità di cambiare per affrontare la realtà. Non a caso questi modelli vengono definiti dinamici. La mente umana è un gioco di forze che possono, di volta in volta, trovare delle disarmonie e delle armonie. Così come per le neuroscienze esistono livelli corticali che funzionano per mezzo di livelli sottostanti. Non si possono eliminare le emozioni, perché è da esse che scaturisce tutto.

Il Professor Cruciani riporta un aneddoto avvenuto durante un seminario a cui partecipava lo psicoanalista britannico Wilfred Bion.

Un analista presente al seminario pose allo psicoanalista una domanda riguardo la griglia e Bion rispose: “Per quanto mi riguarda io non so neanche se la griglia esista, è uno schema che ho fatto io, a me funziona, vedete se funziona anche a voi”.

In fondo la parte più importante della funzione analitica è l’entrare in contatto con le emozioni e tutto il resto è secondario.

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Il Professore inizia poi a trattare i due processi noti come: trasformazione in K ed evoluzione in O.

All’interno del gruppo sono presenti due modalità di funzionamento: una comporta un’espressione di emozioni vivaci ed il funzionamento del gruppo in risposta a queste emozioni; l’altra è rappresentata dal fatto che il gruppo di lavoro è impegnato con la conoscenza della realtà. Quando diciamo che il nostro pensiero è orientato verso la realtà, ciò ha a che fare con la realtà delle cose (cosa è vero, cosa sta accadendo, cosa ha a che fare con me e con gli altri).

Per rendere meglio comprensibile quello di cui si sta parlando, attraverso un esempio pratico, si può immaginare una persona che descriva un’immersione subacquea. L’insieme delle descrizioni che vengono riportate da questa esperienza, sarebbero state chiamate da Bion K e rappresentano, quindi, l’insieme delle conoscenze che vengono comunicate e contengono tutto eccetto l’esperienza di fare l’immersione.

Questa è la differenza tra la conoscenza intorno alle cose (K) e l’esperienza stessa. Quando descriviamo i fenomeni psicologici questi fenomeni sono K. Quando vogliamo promuovere il lavoro analitico, desideriamo che le persone diventino qualcosa che superi il semplice fatto di conoscere qualcosa. Il contatto con la verità, che il gruppo di lavoro o la funzione analitica chiedono, è questo: io divento un’altra cosa.

Il Professore ci chiede, poi, di immaginare una persona che affermi che, quando deve affrontare un compito, inizia a studiare il problema, ma poi non sentendosi adeguata, pensa di non riuscirci.

Il lavoro dell’analisi segue una via che attraversa una serie di ricordi.Il loro riaffiorare permette alla persona di trovare l’origine della propria

convinzione: i genitori che le continuamente le dicono che è ancora troppo piccola e che deve ascoltare solo i loro consigli e non si può fidare delle proprie forze (perché è intrinsecamente piccola).

Anche se la persona si rende conto del perché è così adesso e quanto tutto ciò sia dovuto al modo di farla ragionare dei suoi genitori, quello che le manca è diventare una persona finalmente consapevole della esperienza, della propria capacità di agire e che la paura che prova adesso le è stata tramandata dai genitori. L’esperienza è la cosa più difficile da vivere.

Non basta conoscere la paura dei genitori, ma bisogna diventare un’altra cosa. Bisogna iniziare a pensare: “Mamma e papà hanno paura; io no.

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Io sono capace di fare le cose”. Ciò che fonda la realtà è uscire dal pensiero primitivo, dall’assunto di base.

Un conto è avere un effetto meditativo: “Questo sono in grado di capirlo, questo no”. Tale distinzione è fondamentale per farci capire la differenza tra un tipo di pensiero che ci permette di diventare qualcosa di diverso e seguire il pensiero che permette di diventare un’altra cosa.

Rispondendo ad una domanda riguardante la trasformazione in K e l’ evoluzione in O, il Professor Cruciani afferma che Bion utilizza un modo coerente per descrivere i processi che avvengono nella mente. Freud sosterrebbe che c’è una barriera tra conscio ed inconscio. Però riguardo al sogno, Freud afferma che esso è un pensiero che non rimane rimosso, ma viene elaborato, cosicché alcuni elementi vengono rimossi ed altri trasformati, diventando sogno. Molti processi psichici per Bion assomigliano a ciò che descrive Freud. Ci sono degli elementi che rimangono invariati ed altri che vengono cambiati: questo processo lo chiamò trasformazione.

Riprendendo l’esempio della ragazza insicura, profondamente influenzata dal pensiero dei genitori, il Professore sostiene che questa insicurezza viene prima trasformata in K e rimane l’invariante della mancanza di fiducia in sé stesso ed il pensiero viene trasformato nella mancanza di fiducia in sé stesso: per questo motivo è così arduo restare in contatto con O, perché l’avvicinamento è difficile.

La trasformazione in K si può esplicitare tramite il concetto che sostiene l’incapacità di fare qualcosa, a causa della presenza del pensiero “I miei genitori mi dicono che non sono capace”.

K per Bion è knowledge, ovvero, un pensiero primitivo che tiene la mente prigioniera.

La trasformazione in O è la più importante di tutte, perché comporta la sensazione di non potersi allontanare da ciò che dicono i genitori, poiché ciò comporta un pericolo e, trasformare direttamente questo timore, porta a contatto diretto con l'esperienza profonda, vera: “I divieti dei miei genitori mi trasformano in una persona che non può pensare”.

Tuttavia solo trasformando K in O è possibile giungere a quella rappresentazione liberatoria in cui gli elementi di “me” e ciò che i miei genitori dicono di me sono distinti.

Bion concepisce la mente come un apparato che ci permette di entrare in contatto con O, ma questa evoluzione in O è un’operazione complicata, che avviene attraverso processi in cui sono presenti diverse funzioni ( la

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griglia, come processualità in cui la mente cerca di entrare in contatto con questa idea ultima ).

Essere O, evolversi in O, vale anche per i gruppi. Il gruppo come mente collettiva ha questo obiettivo. E’ una realtà emotiva, affettiva fatta di contenuti e conoscenze che a volte possono risultare troppo forti: l'esperienza in O è un qualcosa che libera la mente, è la realizzazione che questo è veramente successo. La realizzazione non è solo cognitiva, ma è totale, è la fine della fobia, si scioglie l’organizzazione difensiva, limitante della mente. Bion descrive aspetti dell’analisi che Freud e altri autori hanno considerato, dandone una descrizione più attenta agli aspetti intellettuali.

Il Professore espone poi un caso clinico trattato da Freud senza l’uso dell’ipnosi. Il caso è quello di Elisabeth Von R. , pseudonimo dato a Ilona Weiss, una ragazza di origini ungheresi, riportato nell’opera “Studi sull’isteria” (1892-1895). La ragazza soffriva di alcuni disturbi psicosomatici da quando le era morta la sorella. Improvvisamente questa ragazza comincia a ricostruire in analisi gli eventi che avevano costellato la sua vita, l’ultimo dei quali era, appunto, la morte della sorella. Racconta che, quando era tornata a casa, nell’istante in cui vide la sorella morta, il pensiero che le esplose in testa fu: “Finalmente mia sorella è morta e io potrò sposare mio cognato”. Rimase sconvolta da questo pensiero, ma lo rimosse. In analisi poi ne divenne consapevole, riappropriandosi così di tutta la terribile gravità implicita in quel pensiero.

Un concetto vicino alla trasformazione in O è quello della Mimesi, poiché in tutti e due i casi possiamo fare un’operazione analoga a quella del togliere una rimozione. Togliamo qualcosa al rimosso, lo portiamo alla coscienza e lo trasformiamo in esperienza. Il concetto di mimesi deriva dalla filosofia di Platone e significa che esiste una verità ultima raggiungibile solo con un certo sforzo, poiché nell’organizzazione del mondo questa verità viene nascosta. L’apparenza delle cose nasconde una realtà ultima. All’origine della storia del pensiero occidentale, Platone disse che noi vediamo il mondo degli accadimenti, che in parte è bello ed in parte brutto, immaginando che, al di là del mondo dei fenomeni, ci sia un mondo delle verità perfette, come il mondo della matematica.

Si può sopportare l’idea che il mondo sia pieno di ingiustizia solo pensando che c’è un’altra realtà, fatta di idee perfette, corrispondenti alla realtà vera e che l’uomo saggio deve cogliere.

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Il Fedone è un dialogo giovanile di Platone (Atene, 428 a.C./427 a.C. – Atene, 348 a.C./347 a.C.) in cui si affronta la ricerca della vera causa: Platone si rende conto che i sofisti e Anassagora avevano torto e si imbatte così nella dottrina delle idee. E' un'opera che si può in qualche misura affiancare al Menone perché Platone, anche qui, si sofferma a lungo sull'anamnesis, la reminescenza.

Il dialogo è ambientato nel periodo tra la condanna e la morte di Socrate, quando egli parla con due Pitagorici (Fedone e Echecrate) riguardo la preesistenza dell'anima.

Egli li porta a capire la questione, servendosi di esempi come la scienza dell'uomo e quella della lira, che sono evidentemente diverse tra loro. Socrate afferma che agli innamorati, nel momento in cui vedono una lira o un vestito che il loro amato è solito usare, succede che riconoscano la lira e nel pensiero colgano l'idea del ragazzo a cui la lira appartiene. La reminescenza consiste proprio in questo: riuscire a ricordarsi cose tramite vari "agganci"; aspetti che stimolano il ricordo. Nel Menone, Socrate parla con uno schiavo privo di cultura e gli pone una serie di domande circa il teorema di Pitagora. Chiaramente lo schiavo non lo conosce, ma Socrate, ponendogli solo domande specifiche, lo porta alla soluzione: è un tipico caso di maieutica. L'unica spiegazione possibile è che lo schiavo si ricordi di un qualcosa che già conosceva, ma che aveva dimenticato, non avendolo vissuto nell'attuale vita e ciò significa che l'ha conosciuto in un'altra dimensione (l'Altopiano dell'Iperuranio). Tale dimenticanza è legata al momento dell'incarnazione: nella sua vita terrena l'uomo può avere momenti in cui ricorda la sua vita passata.

L'apprendimento è, quindi, interpretato come il recupero di conoscenze acquisite dall'anima prima di incarnarsi in un corpo, ma dimenticate al momento della nascita e rimaste latenti in essa. A tale proposito Platone si definisce un’innatista, poiché sostiene che, quando nasciamo, in noi sono già presenti alcuni elementi di conoscenza. Lo schiavo aveva già nella sua mente il teorema, si trattava solo di ricordarglielo. Quali sono dunque le vie per ricordare?

Un modo, come nel Menone, è avere qualcuno che ci aiuti, come ha fatto Socrate; un altro, più impegnativo, è usare bene la propria esperienza, come nel caso di Pitagora che, per primo, si ricordò, con la sua esperienza, del teorema che gli viene attribuito: in realtà lui non l'ha inventato, lo ha solo ricordato per primo. Oltre a sostenere la preesistenza dell'anima, Platone era anche convinto della sua immortalità e della sua eternità:

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l'anima è viva per definizione e un corpo è vivo o morto a seconda che abbia o meno un'anima: l'anima, quindi, dà e toglie la vita.

E' un qualcosa che partecipa all'idea di vita e che, di conseguenza, non può partecipare a quella di morte, come il numero 3 può partecipare all'idea di dispari, ma non a quella di pari. Per Platone ciò che può corrompere l'anima è l'ingiustizia: essa però non può distruggerla; se l'ingiustizia, che è il suo male peggiore, non è in grado di annientarla, è chiaro che neanche i mali minori ce la faranno. L'anima, essendo increata, è anche eterna ed immutabile.

Per Platone vivere significa prepararsi alla morte, perché il distacco dell'anima dal corpo va preparato moralmente: bisogna liberarsi dalle passioni legate al corpo superandole, un po’ come era per i Pitagorici e per gli Orfici: occorreva purificarsi.

Dal punto di vista gnosologico, l'anima disincarnata coglie facilmente le idee nell'Iperuranio, perché, in fin dei conti, per Platone é solo in assenza del corpo che essa é veramente libera e da sola corrisponde all' essere intellegibile (é costituita dallo stesso materiale di cui son fatte le idee). Il corpo, invece, corrisponde all'essere sensibile, tant'é che é corruttibile ed impedisce all'anima di cogliere il vero essere che non é il nostro mondo, bensì quello delle idee, di cui il nostro é solo una pallida copia. Il concetto di Imitazione, da mimesis, espone come le cose reali agiscono nei confronti delle idee: tutto il mondo che vediamo con le sue imperfezioni è l’imitazione del mondo perfetto delle idee. Galileo dirà che il mondo della natura è scritto in termini matematici.

La mimesi è qualcosa che altera la purezza della verità ultima, ma è essa stessa trasformazione che ne determina lo sviluppo. Il concetto di mimesi e di trasformazione in O rimandano a verità ultime nascoste che possiamo raggiungere attraversando l’opacità dei processi mentali.

I punti chiave

Due modalità di funzionamento del gruppo

Socialità sincretica: basata sulla condivisione di emozione e percezione. Socialità evoluta: basata sulla condivisione di parole e immagini.

Psicoterapia psicoanalitica di gruppo

Possibilità di applicare nel gruppo le modalità psicoanalitiche tradizionali.

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Analisi delle molteplici relazioni transferali nel contesto protetto della psicoterapia di gruppo.

Bion: importanza del funzionamento mentale del gruppo

Considerazione della mente del gruppo come un “tutto”, con caratteristiche che non si possono cogliere nel singolo.

Bion: importanza dello scopo

Lo scopo rappresenta l'attività da svolgere insieme e rispetto ad esso il gruppo presenta due diverse polarità:

Polarità 1 - entrare in contatto con la realtà e usare tutti gli strumenti che il gruppo possiede per raggiungere il suo scopo.

Polarità 2 - sfuggire alla realtà attraverso attribuzioni magiche, inconsapevolezza, aspetti inconsci depositati nel contenitore del gruppo, arrivando alla costruzione di difese arcaiche (assunti di base: difese che non rimuovono contenuti ma che allontanano dalla realtà).

La vita del gruppo oscilla fra questi due movimenti (modelli dinamici).

Mentalità di gruppo

Rappresenta ciò che rende omogeneo il comportamento del gruppo, modellandolo. Tendenza ad aspettarsi che la soluzione venga trovata da uno dei membri del gruppo sviluppando nei

suoi confronti un rapporto di dipendenza. Non è osservabile. La manifestazione della mentalità di gruppo prende il nome di cultura di gruppo (concetto derivante

dall'antropologia).

Assunti di base

Bion formula tre assunti di base che caratterizzano il gruppo e che si fondano sull'idea che la sua salvezza risieda in un certo stato di cose: nel gruppo possono essere svolte diverse attività ma tutte orientate secondo la stessa tendenza.

Assunto 1 - qualcuno nel gruppo è il depositario della soluzione (assunto della dipendenza). Assunto 2 - il "problema" nel gruppo rappresenta un nemico da cui fuggire o da attaccare (assunto

di attacco/fuga). Assunto 3 - gruppo come coppia generatrice di qualcosa; idea che arriverà una soluzione solo per il

fatto che il gruppo rimane unito (assunto di accoppiamento).

Lewin: importanza del concetto di campoLe concezioni individuali non vengono abolite ma sono comprese all'interno del gruppo, portando alla formazione del campo (organizzazione complessiva che direziona le diverse individualità).

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Trasformazione in K ed evoluzione in O: modelli dinamici della mente

Trasformazione in K: conoscenza, informazione che la persona comunica e di cui chi ascolta non ha esperienza (pensiero primitivo).

Evoluzione in O: rappresenta l'esperienza stessa, non solo la conoscenza delle cose ma il provarle realmente (pensiero ordinato).

La distinzione tra K ed O è fondamentale per comprendere la differenza tra la via che porta verso la realtà e quella che allontana da essa, conducendo ad un pensiero primitivo.

Mimesi Termine di origine greca che significa “imitazione”: secondo la visione di Platone la realtà non è

nient’altro che l’imitazione del Mondo delle idee. Altera la purezza della verità ma può esserne anche uno sviluppo ed una trasformazione. La verità delle cose può essere raggiunta solo attraverso un certo sforzo in quanto viene nascosta.

(l'apparenza delle cose nasconde una realtà ultima che ne è alla base). L'esperienza di O è paragonabile allo smontaggio della mimesi, ossia della realtà apparente.

DOMANDE:Studentessa: <<Il processo per cui il gruppo vede in qualcuno dei componenti colui che deve trovare la soluzione, diventando dipendenti da esso, può essere paragonato all'attesa messianica?>>Prof. Cruciani: <<Questa non è l'attesa messianica perché in essa si aspetta qualcuno che non è venuto, invece, quello che sto descrivendo io, è qualcuno depositario della salvezza e, naturalmente, il modo in cui questo fenomeno si manifesta è differente a seconda delle situazioni.>>

Studentessa: <<Gli assunti di base sono anche delle difese?>>Prof. Cruciani: <<Finché in un gruppo identifico i singoli comportamenti mi sembra di capirli; per esempio in un gruppo arriva un ragazzo, Giovanni, che fa un gran macello, fa litigare il gruppo, poi improvvisamente agli altri viene in mente un piccolo particolare, fin'ora sfuggito: “Giovanni è uno, noi siamo nove”, basterebbe dire "Giovanni sta zitto!", invece no, non servirebbe, perché non è Giovanni che fa confusione, ma egli attiva un modo di funzionare che accomuna tutti. La difficoltà di spiegare i fenomeni collettivi, la loro imprevedibilità, sta proprio nel fatto che si attivano modi di funzionare che sono molto diversi.>>Dott. Simoni <<In base alla mia esperienza posso dire di si, un po’ sono delle difese; questi team, per esempio, che a un certo punto debordano dall'obiettivo del loro lavoro dentro una situazione di assunto di base, lo fanno perché mantenersi costantemente in contatto con la realtà è qualcosa di estremamente faticoso, che a volte richiede alle persone un continuo riassetto dell'equilibrio di sé stessi. Insomma non sempre ci va di farlo o non sempre siamo attrezzati a farlo. Almeno nella mia idea, il problema più grosso è quello del cambiamento, cioè di come si affronta costantemente la necessità di cambiare, di modificarsi, di ristrutturarsi, per rispondere ad una esigenza della realtà.

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Allora può essere più "facile" debordare in una situazione di mentalità primitiva piuttosto che affrontare la fatica, la responsabilità del cambiamento, che mette in contatto con la realtà, anche nel piccolo gruppo tecnico dove tutti sono perfettamente funzionanti, competenti e attrezzati, anzi probabilmente ancora di più in queste condizioni, l'oscillazione è possibile.>>

Studentessa <<Questa oscillazione è naturale in termini di mantenimento dell'omeostasi del gruppo?>>Prof. Cruciani <<Sicuramente è naturale, perché è indispensabile l'eliminazione di uno dei due livelli di funzionamento e questo assomiglia molto all'idea dei processi primari e secondari: esistono tutti e due, non possono mai esaurirsi, infatti non è un caso che questi modelli siano definiti dinamici, in quanto il termine dinamico presuppone che la mente sia un gioco di forze, sempre presenti tutte insieme, che possono trovare di volta in volta delle composizioni, dei modi di funzionare, dei punti di equilibrio, delle armonie o disarmonie, però in quanto tali sono tutte eliminabili. Ad esempio, come è evidente dalle neuroscienze, esistono dei livelli sovraordinati di funzionamento del cervello e per far posto ad essi non è che vengono tolti quelli di sotto: i livelli corticali funzionano solamente se ci sono tutti gli altri che li mettono in movimento; noi infatti, non siamo un computer che taglia tutta la dimensione di autodeterminazione dei fini per fare quello che gli dici tu, ma abbiamo delle funzioni vitali che mettono in movimento un sistema. Queste funzioni vitali premono in modo tale da permettere ad altre funzioni di filtrare il contatto con la realtà, ma loro premono così come sono, così come le passioni, l'odio, l'amore, la sessualità, la rabbia, l'estasi, la disperazione ed i sentimenti che non si possono eliminare ma sono proprio essi che mettono in movimento tutto il resto, e tutto il resto è nato in un discorso evolutivo che noi non troviamo in Bion in quanto tale, poiché egli procede mettendo a fuoco un aspetto della vita mentale e parlando di quello, senza preoccuparsi del fondamento precedente, come invece fa Freud, che parla di biologia, di antropologia ecc ecc... Bion è un uomo del suo tempo, che forse ha rinunciato a queste visioni d’ insieme, a questa fiducia di colmare ogni angolo del sapere delle conoscenze definite e si contenta di un pensiero insaturo, più vicino all'esperienza vivace dell'analisi: per questo i pensieri di Bion appaiono così sfumati e quelli di Freud appaiono più definiti.>>

Studentessa <<Che cosa si intende per trasformazione in K e evoluzione in O?>>Prof. Cruciani <<Freud potrebbe dire che c'è una barriera fra conscio e inconscio, c'è un pensiero che suscita troppa sofferenza, entra in conflitto troppo forte con i modelli del Super-Io, allora viene tolta la qualità della coscienza, però, a proposito del sogno, Freud dice che quel pensiero non rimane rimosso, può entrare nella coscienza e viene lavorato in un certo modo, in maniera tale che alcuni suoi aspetti rimangono e altri vengono trasformati e diventano un sogno. Bion parte da questo concetto e cerca di sottolineare che molti processi psichici assomigliano a questo, cioè c'è un contenuto psichico che ha degli elementi che rimangono come invarianti, per esempio, certi elementi, che nel lavoro onirico sono trasformati, rimangono invarianti, ed altri elementi vengono cambiati: Bion mette in evidenza questo processo e lo chiama trasformazione. Poniamo l'esperienza di una ragazza che pensa di non riuscire a risolvere un compito perché si crede incapace di farlo (idea che le è stata trasmessa dai genitori che le hanno fatto credere che fosse corretto solo quello che le dicevano loro). Questa esperienza dell'incapacità di essere sicura di sé viene trasformata in K: la sensazione di essere incapace di svolgere il compito viene trasformata nel ricordo delle cose che i genitori le dicevano "Io non so fare questa cosa", ma rimane l'invariante della mancanza di fiducia in sé stessa. Quindi il non essere capace diventa "I miei genitori dicono

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che non sono capace": si tratta della trasformazione in K, cioè trasformazione di un'esperienza in un'altra in cui sono privilegiati gli elementi conoscitivi.>>

Studentessa <<E' possibile che in certe situazioni cerchiamo di allontanarci dall'evoluzione in O perché è troppo dolorosa?>>Prof. Cruciani <<Certo.>>Dott. Simoni <<Nel caso della ragazza, esposto precedentemente dal Prof. Cruciani, è l'assunzione di consapevolezza che questo le è realmente successo, a rappresentare l'avvicinamento ad O, però questa realizzazione, che non è solo cognitiva ma totale, necessita di un lavoro affinchè sia possibile.>>Prof. Cruciani <<Rappresenta la fine di una fobia, per esempio "Io ho la fobia del sangue", "Io ho la fobia della sessualità", "Io ho la fobia dell'HIV e se do la mano ad una persona mi viene l'HIV", con l'evoluzione in O tutto questo non c'è più, si scioglie l'organizzazione difensiva della mente parziale, limitante, indebolente, bloccante. Qui Bion cerca di descrivere quegli aspetti dell'analisi dei quali Freud e altri autori hanno dato una descrizione a livello intellettuale. In Freud, infatti, non c'è questa insistenza dell'aspetto del vissuto, anche se è chiarissimo che è quello che proponeva nei sui pazienti, mentre Bion cerca di dare la parola ad aspetti dell'analisi che in altri autori sono stati descritti con meno attenzione a questo aspetto conclusivo, all'effetto liberatorio. Facciamo un salto nel tempo, quando in uno dei primi casi clinici di Freud, il caso di E. F., questa ragazza, molto legata al padre e alla sorella morta da poco tempo, aveva disturbi psicosomatici gravissimi e, attraverso l'analisi, ricostruisce degli eventi che avevano determinato, costellato la sua vita. L'ultimo, il più grave, è stato quello della morte della sorella. La paziente fu avvertita del fatto che la sorella stava male mentre era in viaggio, e cercò di tornare a casa il più velocemente possibile. Appena arrivata si precipitò nella stanza della sorella dove la vide morta: questo pensiero, questa sequenza che lei riportò in seduta è uno degli elementi fondamentali dell'esplosione di emozioni che la portò a guarire dai suoi disturbi della deambulazione. In quell'istante, riferì a Freud, un pensiero le attraversò la mente "Finalmente mia sorella è morta ed io potrò sposare mio cognato". Questo pensiero le esplose nella mente e ritrovandolo, rivivendolo, ne divenne consapevole. La presa di coscienza di questo pensiero e dei sentimenti di odio ad esso associati, rappresentò il punto di partenza della trasformazione di questa malattia. Freud concluse questo caso clinico in maniera insolita: ci fu una festa a Vienna, alla quale Freud, sapendo che la sua paziente era stata invitata e non resistendo alla tentazione di vederla, si recò a sua volta. Ebbe così la possibilità di osservarla ballare leggera il walzer completamente guarita. Anche Freud ci racconta una trasformazione in O, la sua, non meno importante di quella della paziente, che avvenne a causa del fatto di vedere che quello che lui stava scoprendo era vero: egli stesso, in quel momento, stava diventando la psicoanalisi.>>

Studentessa: <<L'evoluzione in O è associabile al cambiamento terapeutico o è qualcosa che lo procede?>>Prof. Cruciani <<Sì, certo.>>Dott. Simoni <<Non è come l'idea del trauma,ma c'è proprio l'idea di microtrasformazioni che permettono alla mente di acquisire la funzione di entrare in contatto con O, che non è mai data una volta per tutte ma che deve essere continuamente ri-alimentata e riconquistata. All'interno del dispositivo terapeutico - psicoanalitico c'è la possibilità di avere questo tipo di microtrasformazioni che attivano o riattivano questa funzione. E' proprio il dispositivo psicoanalitico che permette a

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queste funzioni di attivarsi.>>

Studentessa <<Quindi è la relazione che si crea in psicoanalisi che porta alla trasformazione?>>Dott. Simoni <<Si, questo però è riferito al concetto di campo di cui parleremo più avanti.>>

Studente <<I legami "love" ed "hate" rappresentano qualcosa di diverso dall'evoluzione in O?>>Prof. Cruciani <<Si, anche per loro vale il fatto che sono dei legami che possono connettere le nostre esperienze mentali, però non corrispondono all' immedesimazione profonda.>>

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