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POLITECNICO DI MILANO – FACOLTA DEL DESIGN CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN DISEGNO INDUSTRIALE METODI DI RICERCA DEL PROGETTO Prof. Stefano Maffei – Elena Giunta _WebQuest Alberto Solazzi matr. 733284

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POLITECNICO DI MILANO – FACOLTA DEL DESIGN

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN DISEGNO INDUSTRIALE

METODI DI RICERCA DEL PROGETTO Prof. Stefano Maffei – Elena Giunta

_WebQuest

Alberto Solazzi matr. 733284

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Premessa

Questo breve scritto intende essere un sintetico lavoro di approfondimento rispetto alle lezioni svolte in aula, dal momento che la ricchezza e la quantità delle fonti bibliografiche e sitografiche prese in considerazione avrebbe richiesto un lavoro più accurato e con tempistiche dilungate. Rimane comunque l’obiettivo di aver prodotto un contributo, anche se probabilmente non pienamente esaustivo, quantomeno qualitativamente apprezzabile.

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1)Ricostruisci una mappa semantica del termine path dependence, indicando genealogia, autori di riferimenti, teorie e parole chiave connesse.

Path dependence: definizione e tipologie.

“Path dependence is the condition that same result is sensitive to the particular events that lead to that result...the final resting position of a system is itself related to the events leading up to that resting place.” S. J. Liebowitz Etimologicamente il termine “Path” fa riferimento ad un percorso, ad un entità che conduce ad un risultato. “Dependence” è una condizione di subordinazione rispetto ad una determinata entità, di varia natura. Nell’evoluzione dei sistemi complessi il concetto di Path Dependence rappresenta il sistema dinamico degli eventi non reversibili che condizionano ed influenzano il percorso evolutivo stesso ed i suoi esiti finali. Questo concetto nasce come riferimento dalle teorie sulla crescita economica (Nelson & Winter, 1982), sull’evoluzione industriale (Abernathy & Utterback, 1978) sul sistema delle istituzioni (Hodgson, 1988; Nelson, 2001; Peukert, 2001) sul cambiamento tecnologico da parte di Paul David nel 1985, e Arthur W. nel 1987, in contrapposizione ai modelli economici tradizionali (modello neoclassico da T.Veblein, 1900) che fino ad allora sostenevano la Rational Choice Theory (le situazioni sociali ed i comportamenti collettivi sono generati da una decisione individuale) ed il raggiungimento dell’equilibrio di un sistema come indipendente dalla sequenza di eventi. Con la path dependence, invece, si afferma la convergenza di molteplici fattori ed attori in maniera contingente, ammettendo l’idea che un percorso evolutivo sia inter

- Quando le azioni iniziali di un processo conducono ad un percorso evolutivo che non può essere lasciato senza dei costi, ma si rivela ottimale, allora si parla di sensibilità iniziale senza inefficienza, cioè path dependence di primo grado;

dipendente dai suoi accidenti. Il professore di economia dell’Università di Dallas Liebowitz propone una visione articolata tripartita del concetto:

- Quando l’efficienza delle decisioni si rivela parzialmente inefficace nei risultati, riconoscendo la possibilità mancata di un percorso alternativo più proficuo, si parla di path dependence di secondo grado;

- Quando la sensibilità delle decisioni iniziali conduce a risultati inefficienti ed anche irrimediabili, si parla di path dependence di terzo grado. Quest’ultima risulta essere la più forte concettualmente, poichè ammette

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che anche conoscendo a fondo condizioni iniziali, variabili ed alternative possibili si possa risultare inefficienti. Ciò quasi a sostenere come le influenze lungo il percorso hanno un peso notevole sugli effetti finali, difficilmente controllabile.

Genesi e teorie filogenetiche.

La visione più forte del concetto di path dependence si deve storicamente agli studi rispetto alla diffusione della rivoluzione industriale in Europa, in particolare del modello inglese agli altri Paesi. Rispetto alle teorie esistenti di Rostok (1960), secondo cui l’industrializzazione è il risultato di un’imitazione pedissequa del modello inglese, e Geschenkron (1962), che riconosce la presenza di fattori sostitutivi/migliorativi come vantaggio dell’arretratezza del follower, Pollard (1981), che propone una visione regionalista dello sviluppo, secondo aree omogenee di sviluppo e arretratezza, e North (1993) sull’evoluzione delle istituzioni, Paul David si inserisce proponendo una visione sistemica che riassume e non esclude tutti i fattori precedentemente descritti, ma si fa carico di una dimensione estremamente magmatica in cui convergono le spinte sociali, economiche, politiche, tecnoscientifiche, riconoscendo l’interdipendenza dei fattori dello sviluppo. Le critiche mosse a David riguardano soprattutto l’accusa di una sorta di attribuzione dello sviluppo tecnologico alla teoria del caos, o più affine al determinismo tecnologico. Se ciò fosse stato vero, saremmo stati di fronte alla situazione nella quale il sistema dinamico è talmente complesso ed ingovernabile che l’uomo viene sopraffatto da esso.

Brian Arthur e la logica lock-in.

Arthur è un economista e studioso che ha indagato i processi che governano l’adozione di una tecnologia in rapporto alla sua diffusione, sulla linea delle teorie di David. Secondo Arthur, nel momento in cui la società si trova ad affrontare la scelta dello sviluppo tra due tecnologie, per ognuna di esse, più elevato è il numero di coloro che la adottano, più saranno i risultati economici. Gli individui decidono secondo l’interesse privato e scelgono la tecnologia che consente risultati maggiori, tralasciando un’altra, la quale rimarrà arretrata rispetto alla prima. Una volta selezionato un percorso, la scelta rimane fissata secondo una logica lock-in, anche in presenza di alternative vantaggiose. È pur vero che la seconda tecnologia mantiene un suo potenziale e può emergere anche a lungo termine se le scelte di percorso mutano il suo orientamento.

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Liebowitz e Margolis: la vita breve dello standard inferiore.

La posizione dei due economisti si pone in antitesi rispetto alle teorie precedenti, in quanto emerge la convinzione che l'adesione ad un paradigma tecnologico inferiore in presenza di uno superiore rappresenti una perdita per lo sviluppo; dunque la necessità sta nell’incentivare soggetti imprenditoriali in grado di appropriarsi di parte di valore generato dal passaggio allo standard superiore. Maggiore è il gap nella performance tra i due standard, maggiori saranno le opportunità di profitto, e più probabile che si verifichi uno spostamento verso il nuovo standard. Di conseguenza, essi affermano che i casi osservabili nei quali prevale uno standard nettamente inferiore hanno probabilmente o sicuramente vita breve. Se il delta efficienza tra la scelta su cui il sistema è congelato e l’altra tecnologia non è elevato, allora può verificarsi il lock-in reversibile. La persistenza di uno standard apparentemente

Williamson: la supremazia delle economie di scala.

inferiore, molte volte non dipende dal fatto che in quella direzione si prospetta un fallimento di mercato. In certi casi infatti il rapporto di efficienza tra gli standard concorrenti è spesso ridotto ai minimi termini, per cui in condizioni di parità tecnologica risultano determinanti altri fattori, quali le scelte politiche e strategiche d’impresa, l’economia, il design(?).

Williamson propone una riflessione che muove direttamente dal terreno con la produzione industriale, nella quale le scelte imprenditoriali sono volte al contenimento dei costi produttivi, standardizzando prodotti e processi, sostenendo dunque una nuova logica di affermazione dell’innovazione. Anche il passaggio tra uno standard inferiore ad uno superiore, dunque, potrebbe rispondere alla logica lock-in di Arthur nel momento in cui si è “perso il treno”, e i costi per la transizione tecnologica sono proibitivi, controproduttivi e antieconomici. Ne è un esempio contemporaneo il settore automobilistico, nel quale i costi di transazione dal motore a scoppio a tecnologie ibride non consentono ancora sviluppi significativi; allo stesso modo, lo sviluppo del fotovoltaico se pensiamo a qualche anno fa, era castrato dai costi di produzione che si riversavano nella fattura all’utenza.

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Il concetto di standard.

Un corollario del sistema della path dependence è sicuramente il concetto di standard. Il termine standard tecnologico si riferisce ad un insieme di caratteri, funzioni, prestazioni, stabilite attarverso convenzioni sociali o legislative, con lo scopo di uniformare esattamente e rendere compatibili artefatti o sistemi relativi concepiti, ideati, prodotti e usufruiti da persone diverse, in luoghi e tempi diversi. (es. Universal Serial Bus USB) Uno standard ha il vantaggio di poter resistere oltre i cambiamenti, anche laddove le preferenze degli utenti convergano altrove o se gli users non hanno capacità e competenze di scegliere. Lo standard rappresenta dunque uno strumento di politica economica sostanziale e potente, che in qualche modo regola lo sviluppo di una tecnologia push, oppure va a rispondere ad un’esigenza condivisa e diffusa (demand pull).

Il concetto di compatibilità.

Un altro corollario della path dependence è il concetto di compatibilità, che ha un ruolo importante sulla scena dell’innovazione. Infatti la path dependence si manifesta in modo molto più concreto attraverso una spinta verso nuovi standard compatibili con quelli precedenti. Per compatibili si intendono quelle innovazioni che rispetto alle esistenti mantengono degli standard rispetto alle funzioni da svolgere, abilitando l’utente senza regressioni, riducendo i costi di transizione verso la nuova tecnologia e minimizzando gli effetti lock-in (contenere il rischio di bloccare l’evoluzione cristallizzando una tecnologia) È dunque evidente che l’innovazione possa ammettere sicuramente sistemi più efficienti, ma anche compatibili. In campo informatico, ad esempio, l'introduzione di un nuovo sistema operativo compatibile con uno preesistente permette alle applicazioni già sviluppate di continuare a funzionare senza modifiche sostanziali. (es. pacchetto MS Office)

Path Dependence e design.

Il design oggi ha assunto valori semantici che si legano ai sistemi complessi, ed è evidente il suo ruolo di regista dei processi socio-economici e scientifico-tecnologici. La teoria della path dependence è strettamente connessa con l’idea di innovazione degli artefatti e dei sistemi di artefatti, ancor più ora che si va eliminando la dicotomia tra prodotto con una dimensione materiale e una immateriale, o meglio prodotto e servizio. È necessario dunque risemantizzare il concetto di path dependence, come modello di evoluzione dei sistemi complessi, non necessariamente affrancati a pure logiche economiche o giuridiche (come

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inizialmente è nato), ma altresì sempre più vicino ad una visione socio-tecnica, nella quale il cambiamento tecnologico è plasmato dagli attori sociali.

Path Dependence e sviluppi: l’applicazione sul modello competitivo giapponese.

L’economia giapponese ha conosciuto alla fine degli anni 90 una crisi pluriennale, con l’avvento dei nuovi paesi produttori di tecnologie digitali come Corea del Sud, Cina e Taiwan e altre regioni dell’Indocina. L’analisi della crisi e le misure che ne sono seguite per il recupero economico riguardano concetti di path dependency multilivello: dal mercato del lavoro alla struttura finanziaria del Paese (istituti del credito), al posizionamento su scala mondiale rispetto alle nuove tecnologie ICT, e dunque rispetto alle scelte di orientamento industriale di nuovi standard. Due esempi sono, semplicemente citati, l’invenzione di un nuovo modello di Internet Shopping personalizzato B2C (business to consumer) e i nuovi concetti di New Media Industry (Network Economics). Le strategie e le tattiche che la Network Economics ha ampiamente osservato e discusso possono indirizzare l'innovazione nella direzione voluta dagli attori e dal mercato: politiche di prezzi, investimenti strategici, forme di protezione dei diritti intellettuali, politiche di diffusione. Senza entrare nel merito delle singole analisi, il quadro generale chiarifica come la convergenza di aspetti decisionali, l’apprendimento di nuovi metodi, le spinte di varia natura abbiano consentito uno sviluppo multisettore, orientato da vari attori con competenze multidisciplinari.

Soluzioni possibili: le architetture modulari.

Per risolvere la tensione tra mercato e path dependence oggi si ricorre ad architetture di prodotto modulari, in cui la logica del controllo e dell'innovazione di configurazione architetturale produce quello che viene chiamato “dominant design”, cioè la consacrazione di una nuova design technology a standard de-facto sul mercato. Approfondimenti (K.Frenken - Technological complexity,modularity, vertical disintegration, 2006).

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Study case: path dependence in DOS / Windows transition.

L'evoluzione di Microsoft Windows da ambiente grafico per il sistema operativo DOS a sistema operativo autonomo è stata notevolmente rallentata e resa problematica dalla necessità di garantire il funzionamento delle applicazioni preesistenti. L'esistenza di una ampia base installata di applicazioni DOS ha così forzosamente tracciato un percorso evolutivo per Windows che sarebbe altrimenti stato diverso. I progettisti del DOS non potevano sapere che alcune delle scelte di progetto da loro effettuate, come quella di permettere l'accesso diretto e non controllato da parte dei programmi alla memoria di sistema e alle routine del BIOS, avrebbero contribuito a determinare da una parte l'endemica instabilità delle applicazioni in ambiente Windows, dall'altra la necessità per i progettisti di microprocessori della Intel di continuare a prevedere una modalità di funzionamento (la modalità "reale") superata, primitiva e anche pericolosa. Nello stesso tempo però questa dipendenza di percorso, pur avendo costituito un fattore di debolezza (soffocando l'evoluzione tecnologica e compromettendo le prestazioni e l'affidabilità dei sistemi PC/Windows) ha anche sostanzialmente tagliato fuori dal mercato le architetture alternative (come Macintosh e Next) che non hanno seguito il "percorso" di compatibilità DOS. Una delle ragioni per cui l'architettura PC/Windows ha conquistato il predominio risiede proprio nella scelta di introdurre gradualmente l'uso del mouse e dell'interfaccia grafica mantenendo nello stesso tempo la compatibilità con la base installata DOS, sfruttando in tal modo gli effetti rete indiretti e minimizzando i costi di passaggio. Al contrario la Apple fece una scelta radicale e fortemente innovativa: nel passaggio dai primi sistemi ad interfaccia caratteri (il famoso Apple II) agli innovativi Macintosh, mise in atto un'innovazione molto anticipata rispetto alla concorrenza, ma non assicurò la compatibilità dei nuovi sistemi Macintosh con i precedenti Apple II. Inoltre il Macintosh, al contrario del PC, era un sistema "chiuso" (non espandibile né riproducibile dai concorrenti) e non riuscì mai a conquistare la massa critica necessaria per contrapporsi efficacemente al dilagare dei sistemi PC/Windows.

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2)Raccogli e confronta (specificandone fonti e autori) le principali definizioni di artefatto e confrontale con la definizioni di oggetto tecnico e individuo tecnico. Definizioni a confronto. L’etimologia di artefatto è il latino “ars – factus”, col significato di fatto ad arte, cioè un’entità in cui si riconosce un intervento umano del fare, del realizzare, con un accezione intrinsecamente e fortemente orientata alla progettualità, intesa nella sua categoria tradizionale che la lega alla dimensione del prodotto d’uso, fisico, quasi utensile. Questa visione come detto molto tradizionale, ed anche concettualmente radicata a mio avviso, in questa breve trattazione sarà convertita verso una nuova semantica. Effettivamente è altrettanto lampante l’idea che le nuove forme della progettualità che trattano di oggi più di prodotto immateriale (servizio) che di prodotto fisico, abbiamo sussunto su di esse nuove accezioni, definizioni, formulazioni, che sarà interessante confrontare. Successivamente si introdurranno i concetti di oggetto tecnico ed individuo tecnico. Inizierei però col precisare che ho notato una visione antitetica nella categorizzazione del concetto di artefatto con le categorie dell’oggettualità.

Mi spiego meglio, aiutandomi con lo schema grafico: la visione della cultura materiale mette in subordinazione l’oggetto tecnico rispetto all’artefatto, ma la visione della semiotica propone invece un mondo dell’oggettualità (fatto di oggetti ed eventi) che governa la tripartizione in oggetti naturali (spontanei), ARTEFATTI (finalizzati ad un’azione materiale o trasformativa delle cose, prodotti da usare o consumare e strumenti per produrre questi prodotti) e oggetti segnici (oggetti per comunicare o informare, comunicativi)(Peirce). Verrebbe da chiedersi in realtà chi è in subordinazione di chi, oppure se è sufficiente attribuire all’aggettivo “tecnico” la possibilità di trasgredire le categorie semiotiche. Perchè non chiamarlo allora “artefatto tecnico”? Lascio il dibattito aperto, magari se ne può parlare, se non ho commesso errori di valutazione.

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Ritornando alla cultura materiale, la definizione di G. Anceschi (Monogrammi e figure) si propone in questi termini: l’artefatto come unità minima definitoria dell’azione umana, indicante una formazione materiale e linguistico-comunicativa distinta da oggetti analoghi formatisi naturalmente. Questa definizione si propone in maniera molto più puntuale rispetto all’iniziale definizione; infatti si discute di entità (parametro astratto,senza “colore”) che definisce ed è forma dell’agire dell’uomo, con una qualità materiale ma anche portatrice di un contenuto comunicativo, espressivo, relazionale propriamente immateriale. Questo valore garantisce una differenziazione rispetto all’esistenza di oggetti analoghi naturali. Il cambiamento tecnologico ha reso più complessa la definizione di artefatto, dal momento che i cicli economici evolutivi (utensile, motore, automazione e digitale) hanno proposto nuove categorie di specificazione per il termine. L’artefatto cognitivo (D.Norman – Artefatti cognitivi) è un dispositivo artificiale che conserva, manifesta informazioni, svolgendo una funzione rappresentativa che influenza l’attività cognitiva umana. Norman introduce il concetto di artificiale: non si rimanda più a categorie para-naturali, ma si afferma la manipolazione, l’alterazione del naturale, con un maggior peso per quanto riguarda la percezione cognitiva dell’essere umano. (non naturale, più vicino alle capacità cognitive...direi più metafisico!) L’artefatto comunicativo (G. Anceschi - Monogrammi e figure) è quello la cui struttura è costituita da un sistema linguistico-motivazionale. In questa istanza abbiamo privato l’artefatto di ogni contenuto materiale, sottolienandone le proprietà espressive, relazionali, connettive. L’artefatto digitale (Simondon – Du mode d’existence des objects tecniques) è prodotto di un sistema di computazione elettronico digitale dotato di configurazione formale, strutturale, funzionale che integra la capacità dell’attore di interagire in un dominio modellato. È oggetto tecnico digitale. La digitalizzazione è un processo che trasferisce informazione attraverso numeri e leggi matematiche (es.sistema binario), ma per funzionare ha necessità di strutture di calcolo che si traducono anche in oggetti fisici (l’hardware), all’interno di un contesto progettato per l’interazione uomo-macchina. L’artefatto informatico è un’evoluzione ulteriore di artefatto digitale in quanto riguarda sistemi di Human Computer Interaction nel quale il rapporto tra utente e tecnologia è quello di non totale conoscenza dei meccanismi tecnologici stessi. Questo perchè si aggiunge il concetto di rete, del quale l’utente conosce solo il “front-office”. Il computer è mezzo di supporto al lavoro collaborativo, modo di apprendere, mezzo per comunicare, produrre, distribuire e ricevere informazioni, un mezzo per relazionarsi agli altri. L’utente ne fa semplice uso e ciò che riceve sono servizi, immagini, comunicazione,senza essere “padrone” o competente

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della tecnologia. Si dicono sistemi orientati secondo Computer Mediated Communication. La rete implica una trasformazione degli ambienti comunicativi, dei rapporti fra individui interagenti, dei ruoli assunti e delle norme culturali, con diversi concetti di “spazio” e “tempo”. Il computer, quando percepito e “assimilato” come mezzo di comunicazione, sembra scomparire nell’ambiente per lasciare posto all’interazione in sé. L’artefatto è diventato parte integrante della comunicazione. Artefatto immateriale (C. Goldfinger - L’utile e il futile): prodotto o servizio immateriale, oggetto di consumo da parte di attori umani. Rispetto alle definizioni precedenti, racchiude gli aspetti informativi, comunicativi in toto, eliminando qualsiasi riferimento (nella definizione) al materiale, ma propone comunque una visione del consumo dell’immateriale.

Oggetto tecnico/individuo tecnico.

Esplorando le categorie dell’artefatto, l’oggetto tecnico si propone, nella sfera contemporanea, come artefatto astratto in cui convergono i paradigmi dell’innovazione tecnologica. L’ oggetto tecnico (Maldonado- Disegno industriale - un riesame) è unità artefattuale astratta da cui procede filogeneticamente l’evoluzione degli individui tecnici. L’individuo tecnico, introdotto qui, è in una categoria di subordinazione e dipendenza rispetto all’oggetto tecnico, così come dirà Simondon, secondo cui l’individuo tecnico è forma della macchina, la quale è portatrice di un valore/potere strumentale. In questo contesto l’uomo non determina l’evoluzione, ma è semplice operatore del cambiamento. Questa visione è concorde con quella di Flichy, secondo cui “la macchina fa la storia dell’uomo”. In questo senso si apre il dibattito sull’evoluzione degli artefatti e degli oggetti tecnici: la concezione auto-propulsiva della tecnologia che scavalca l’uomo è supportata da Rosemberg (l’imperativo tecnologico) ma è più morbida in Nelson e Winter (la tecnologia segue traiettorie naturali). Ritornando invece a visioni sistemiche, emergono le valutazioni di Pinch e Bjiker, i quali sostengono la teoria della modellazione sociale della forma e dell’uso degli oggetti tecnici nel sistema tecnico, secondo un approccio multilineare per descrizione di fasi definibili e prevedibili: ogni artefatto è all’interno di un quadro tecnologico per fasi preordinate (costruzione per negoziazione sociale). La teoria evoluzionista di Simondon ritiene che vi possa essere un passaggio dall’individuo tecnico concreto a digitale, nel momento in cui ci sia convergenza di fini tra la cultura della macchina e la cultura dell’uomo. Una possibile interpretazione di questa commistione tra uomo e macchina è quella presentata da un altro filone concettuale.

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L’oggetto tecnico secondo Ugo Volli (Corpo, Protesi, Interfacce) ha due accezioni, una più forte come prolungamento funzionale di una capacità corporea, l’altra come semplice amplificazione di capacità dell’agire umano. Anche Maldonado introduce il concetto di protesi parlando dell’oggetto tecnico digitale: esso è struttura artificiale che sostituisce, completa o potenzia, in parte o totalmente, una determinata prestazione dell’organismo. Le chiama “protesi sincretiche”: sistemi meccanici altamente automatizzati in grado di intervenire in ambito lavorativo. Queste due ultime visioni caratterizzano l’oggetto tecnico come parte integrante, “prolungamento” delle funzionalità dell’uomo, con una logica convergente, integrativa, collaborativa tra uomo e macchina. L’uomo perfeziona la macchina che diviene più “naturale”, la macchina perfeziona l’uomo, che diviene più “artificiale”. Questa forma di ibridazione è stata riassunta nel concetto di oggetto tecnico come oggetto naturalizzato: l’artificializzazione del corpo umano è speculare all’acquisto degli oggetti di capacità che li rendono vicini alla natura, per analogie biologiche con i sistemi viventi (es. Bionica)

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3)Definisci lo user centered design e la user driven innovation: illustrale poi con due casi studio.

Metodo UCD: definizione, genesi, princìpi.

Il metodo User Centered Design o Human Centered Design si basa sull’apporto multidisciplinare degli human factors alla progettazione, attraverso il contributo fondamentale dell’ergonomia come strumento per analizzare, comprendere i bisogni e le esigenze dell’uomo, veicolarle all’interno dei processi progettuali e produrre soluzioni che generino benessere per l’utente. Il concetto di benessere ha un’accezione allargata non solo ai prodotti, ma anche ai sistemi di prodotti, ai servizi ed agli ambienti nei quali l’uomo quotidianamente vive e fa esperienza. Il benessere è generato sia dall’efficienza e dalla prestazione di prodotti e ambienti, ma anche dalla qualità percepita intrinseca. Si tratta di una tipologia di progettazione che ha un carattere interdisciplinare, poichè coinvolge molteplici profili professionali e scienze relative. L’obiettivo dello User Centered Design è di “realizzare prodotti che possano essere utilizzati dagli utenti per l’uso, le operazioni e i compiti richiesti con la massima efficienza e il minimo stress fisico e mentale”. La genesi storica risale alla seconda metà degli anni ’80, dalle pubblicazioni di Donald Norman, che ne ha teorizzato i princìpi, sintetizzabili in: -affordance, o invito all’uso -feedback, informazione retroattiva ad uno stimolo -visibility, la chiara visibilità delle parti funzionali di un’interfaccia prodotto -mapping, relazione tra la volontà e la potenzialità del fare -constraints, o vincoli d’uso fisici, logico-culturali, semantici -modelli concettuali

Tecniche e metodi.

I princìpi sopraelencati concorrono alla definizione dell’usabilità di un prodotto da parte di un utente. Pertanto la progettazione si basa sulla relazione stretta tra user e designer, attraverso tecniche e strumenti diversificati. Di seguito un breve excursus: -prove con utenti: valutazioni empiriche di usabilità svolte prevalentemente in laboratorio: il valutatore osserva il modo in cui gli utenti interagiscono con un prodotto o un prototipo svolgendo una serie di -compiti predefiniti; -questionari di usabilità: valutazione di interazioni uomo/computer, ma possono, in alcuni casi e con eventuali modifiche, essere impiegati per indagare il rapporto tra utenti e prodotti; -focus group: condotti da un osservatore ed un animatore come coordinatori di gruppi di discussione informali, con produzione e registazione di dati e utilizzo di tecniche dialettiche non conflittuali con i partecipanti;

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-osservazione: partecipata o non, in laboratorio o sul campo; -etnografia rapida come applicazione dell’etnografia tradizionale; -contextual enquiry: discussione videoregistrata tra utenti e valutatori in un ambiente di interazione; -cultural probes: testimonianze dirette degli utenti fornite ai ricercatori attraverso l’uso di vari media, quali immagini, diari, cartoline, mappe,etc. Gli utenti sono selezionati per rispondere a categorie fisiche, antropometriche e psico-grafiche diverse, in ragione della necessità di valutare tipologie di utenti rappresentativi, significativi di un’utenza più ampia, che è quella del consumatore finale reale. Lo User Centered Design è tipicamente impiegato, ad esempio, nella progettazione di sistemi medicali, degli ambienti di lavoro, degli ausili alla disabilità, delle nuove interfacce digitali e in tutti quei casi dove l’utente deve muoversi e relazionarsi all’interno di un sistema di prodotti e di altre persone.

Design for All: similitudini con lo UCD.

La dichiarazione di Stoccolma del 2004 ha sancito il concetto di Design for All come design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza.

“La pratica del Design for All fa uso cosciente dell’analisi dei bisogni e delle aspirazioni umane ed esige il coinvolgimento degli utenti finali in ogni fase del processo progettuale.” Si può dire che il Design for All sia l’evoluzione dello UCD in quanto allo stesso modo si basa su processi di coinvolgimento dell’utente lungo tutto l’iter progettuale (dal briefing, al metaprogetto, alla prototipazione e verifica), ma si fonda su una filosofia society-oriented profonda e strutturata, assunta la consapevolezza che il territorio del progetto del domani (ma anche dell’oggi) sarà l’uomo con un’età media crescente, con disabilità più o meno presente, infortuni, malattie, etc. In questo contesto si propone una sfida creativa per il progettista, ma anche per le istituzioni, per le economie, per il sistema socio-tecnico.

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User Driven Innovation: definizione.

“User-Driven Innovation is the process of tapping

User Driven Innovation: contesto.

users’ knowledge in order to develop new products, services and concepts. A user-driven innovation process is based on an understanding of true user needs and a more systematic involvement of users.” Si fonda sulla raccolta di informazioni mirate sul consumatore e la traduzione dei dati in parametri significativi per gli aspetti decisionali ed economici, intercettando le esigenze specifiche di cluster di utenza.

La metodologia User Driven Innovation rappresenta quella categoria dell’innovazione che ha come spinta i bisogni dell’utente o del consumatore, accanto ovviamente ai processi tecnologici, storici, economici, sociologici. In un contesto dove il mercato di riferimento subisce mutamenti rapidi in ragione di una globalizzazione sempre più estrema, si afferma la necessità di ripensare ai processi di innovazione. Le cause del fermento nel mercato sono da ricercare nelle nuove possibilità dell’Information Technology e dello sviluppo incontrastato del web con bassi costi e rapida diffusione,oltre che nella conseguente democratizzazione del sapere che produce un livello medio di conoscenza più elevato e pertanto dei consumatori sempre più sofisticati ed esigenti rispetto alle proposte del mercato. Pertanto le reti di consumatori rappresentano un potere da stakeholder sempre più forte sulle companies. Un altro fattore è sicuramente l’avvento delle nuove economie emergenti (Indocina, ma presto anche l’Africa), mentre gli impatti della globalizzazione costringono a ripensare agli orientamenti strategici delle imprese. Anche l’aspetto formativo ha risentito di queste indicazioni, con la riorganizzazione del metodo di insegnamento per le università di economia ma anche di architettura e design, dove il processo di design thinking è divenuto un sistema molto strutturato per lo sviluppo di design research. Si parla di design come innovazione, quasi vi fosse un equivalenza semantica: sappiamo dunque che anche in questo contesto il termine design oggi ha subito una risemantizzazione in quanto si occupa non più solo di prodotto e processo ma di sistemi complessi definiti come total business. Le fasi di sviluppo dell’innovazione tecnologica prevedono dunque la compresenza di fattori sociali accanto ai processi scientifico-tecnologici (Eric von Hippel - Innovazione democratizzante, 2005), nonchè alle scienze economiche e gestionali. Nella User Driven Innovation, dunque, convergono la teorie del Consumer Insight e l’apporto etnografico, le teorie dell’usabilità (come l’UCD) e i sistemi Human Computer Interface, gli approcci dello Strategic & Service design e il concetto di

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Open Innovation; quest’ultima rappresenta, secondo la visione di Henry Chesbrough (2003), la necessità di utilizzare idee interne ed esterne all’impresa, percorsi interni o esterni al mercato, con ricettività rispetto a soluzioni che possono determinare il vantaggio competitivo.

User Driven Innovation: tecniche di mappatura della struttura dei processi di innovazione.

Innovation Wheel Un modello che può essere utilizzato per descrivere il processo d’innovazione d’impresa e il coinvolgimento degli utenti nel processo stesso è la ruota dell’innovazione, sviluppata dal gruppo FORA design. Tutto si basa sulla domanda “WHAT?” Cosa fare e “HOW?” come fare?; la prima parte (il “cosa”) si sviluappa all’interno con le prime fasi del processo d’innovazione, come l’individuazione delle opportunità di business, la raccolta dei dati, il raggruppamento e la selezione degli stessi, la formulazione di concept. Il “come” è orientato con la concettualizzazione, la prototipazione, il testing e l’implementazione. Il coinvolgimento dei consumer avviene per poter esplicitare bisogni espliciti ma anche latenti o addirittura inconsci.

Solitamente si presenta un gap tra ciò che le persona dicono e ciò che fanno concretamente nella vita. A seconda del carattere dei bisogni che le aziende vogliono identificare, si possono utilizzare metodi e tecniche diversificati nelle diverse fasi del processo. È inoltre importante distinguere se gli utenti siano direttamente o indirettamente coinvolti nel processo d’innovazione, se sono parte del team d’innovazione e attivi

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nel creare innovazione, o il team semplicemente intervista ed osserva degli utenti? Infine, è di grande importanza distinguere se l’impresa sia nella fare WHAT o HOW, poichè le companies nella fase WHAT spesso possono impiegare altri metodi e strumenti della fase HOW. Il grafo può meglio rappresentare i gradi di collaborazione con l’utente e la presenza più o meno attiva nel processo d’innovazione, che coincide con una migliore o inferiore conoscenza dello user e dei suoi bisogni.

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Study case: applicazioni

User Centered Design Il processo user centered design di Nokia ha aiutato i suoi telefoni cellulari e i prodotti di comunicazione ad avere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Se da un lato la funzionalità dei telefoni cellulari è diverntata sempre più complessa e diversificata (paragonabile alla polifunzionalità del coltellino svizzero), la chiarezza e la concretezza dell’interfaccia utente di Nokia ha reso i suoi prodotti adatti all’acquisto da parte di nuovi utenti (in fase di apprendimento) e di mantenere i vecchi clienti. Nokia investe nella user research, accanto allo sviluppo tecnologico, per comprendere i futuri bisogni utente e per valutare e verificare i prodotti in fase di sviluppo. È dunque vero che anche in quest’impresa è presente la user driven innovation: i nuovi bisogni dell’utente legati all’interfaccia riguardano l’intergrazione con funzioni personalizzate e aspetti adattivi dei dispositivi per consentire la condivisione di dati attarverso internet e infrastrutture di back end (tutti quei servizi non necessariamente visibili dall’esterno).

Electrolux “Thinking of users”: un caso di User Driven Innovation. Electrolux è una company di alto livello che ha ridefinito progressivamente la propria posizione in un’industria di prodotti consumer matura, attraverso l’impiego sistematico del consumer insight. Ad oggi continua a trasformare le sue attività, allo scopo di contenere costi e produrre valore, come strategie in parallelo, con risultati molto interessanti. Il CEO di E., Stråberg, ha iniziato nel 2003 un processo di trasformazione da un’impresa di ingegneria tradizionale ad una società maggiormente focalizzata sul consumer, optando per la creazione di strutture come l’Electrolux Design Lab e, più in generale, team di designers, ingegneri, esperti marketing e venditori che lavorano insieme per progettare nuovi prodotti consuemr-friendly. Inoltre è stato istituito un programma denominato “Consumer Innovation Program”, coinvolgendo 500 manager in tutto il mondo, per rispondere ai problemi identificati:

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-i manager non conoscevano abbastanza i propri clienti, quindi non riuscivano a rappresentare nuovi sviluppi; -i prodotti erano ben ingegnerizzati, ma non rispondevano alle esigenze dell’utente; -il reparto R&D era in sincronia con il lancio di prodotti commerciali, ma non c’era un approccio all’innovazione sistematico e strategico; -i dirigenti avevano paura del rischio, e il clima d’innovazione risultava debole. Il Consumer Innovation Program è stato adottato globalmente dall’azienda, e dal 2002 sono raddoppiati i nuovi prodotti introdotti sul mercato, il brand si è reso più forte, i costi contenuti e maggiori vendite, con benefici economici relativi, e la possibilità di incrementare gli investimenti in R&D. Ma di cosa si è trattato concretamente? Un nuovo processo di concept innovation, con la definizione di un Global Consumer Insight Group, con la responsabilità di condurre indagini sul campo per imparare attraverso il contatto con i clienti nuovi metodi e strutture per innovare: questo “contatto” significa visite a domicilio per vedere come i clienti usano i prodotti nella vita quotidiana, workshop con l’utenza, interviste con esperti, filmati video, etc. uniti a ricerche etnografiche e culturali. Tutto questo è volto a determinare una mappatura e classificazione dei bisogni dei clienti e definire dei trend, per poi sviluppare nuovi concept, come il caso dell’aspirapolvere “Ergorapido”.

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Si può dire che la UCI abbia rispetto allo UCD una visione maggiormente orientata all’impresa, con maggiore interazione tra le componenti design, ingegneria, marketing, economia, etc. pertanto con un carattere fortemente “organizzativo”, strutturale. Pur utilizzando alcuni strumenti comuni, lo UCD ha un carattere più “scientifico” in quanto maggiormente correlato con le discipline che studiano l’uomo dal punto di vista psicofisico, cognitivo, antropometrico, etc. Eppure non esiste un antinomia tra i due metodi, in quanto nei processi di UCI, con livelli di dettaglio superiori, si può risalire allo UCD.

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4)Scegli e documenta con tre esempi realizzati (ricerche, processi, prodotti o servizi) l’applicazione di una metodologia progettuale creativa in ambito di design (illustrando anche la teoria da cui scaturisce).

Drivers of Change – Arup.

What will our world be like in 2050? This set of cards identifies some of the leading drivers of change that affect our future.

Each card depicts a single driver. A factoid and rhetorical question are on one face, backed up by a brief indication of the breadth and depth of the content on the other face. The set was devised by the Foresight & Innovation team at Arup, a group tasked with exploring emerging trends and how they impact upon business of Arup and its clients. The publication serves not only as a vibrant visual record of research, but also as a tool for discussion groups, personal prompts, for workshop events or as a ‘thought for the week’

L’iniziativa editoriale di Arup è il risultato di un programma di ricerca di esplorazione delle problematiche che hanno maggiore impatto sulla società, sul business di Arup e sui suoi clienti. Drivers of Change si suddivide in 6 categorie, quali il fabbisogno energetico, il cambiamento climatico, l’acqua, i rifiuti, l’urbanizzazione e la demografia. Contengono contenuti di tipo sociale, tecnologico, d’ambiente, economico e politico.

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La ricerca è stata condotta con un approccio in profondità utilizzando dati primari e secondari provenienti da strumenti quali sondaggi, interviste, workshops. L’assunto per il progettista è tener conto dei driver del cambiamento per una progettazione più responsabile e cosciente. La proposta delle carte su modello IDEO permette di riconoscere come questo tipo di strumenti di marketing e di comunicazione risultino efficaci sia per gli addetti ai lavori, ma anche per un pubblico più ampio. Contestualizzandole in un metodo creativo, ritengo che possa avere due interpretazioni. La metodologia analoga ad IDEO come strumento progettuale concreto in fase di Brainstorming è molto debole rispetto al riferimento più volte citato da parte di Arup rispetto alla ricerca di trend. In questo senso ritengo sia maggiormente assimilabile ad una ricerca Blue-Sky, come individuazione di un sistema di opportunità parallela alle altre ricerche più situate e puntuali rispetto al singolo progetto. Arup propone degli scenari, ponendo sempre una domanda tipo: “i grattacieli diverranno organici?” e proponendo una trattazione attraverso la didascalia.

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Il caso Make Tools.

Approaches to design research have come from a research-led perspective and from a design-led perspective. The research-led perspective has the longest history and has been driven by applied psychologists, anthropologists, sociologists and engineers. It aspires to being more like science and less like art. The design-led perspective has only recently come into view. It does not aspire to conform to scientific ways of assessing value or relevance.

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The map of design research is also characterized by an east/west dimension. The eastern and western parts of the landscape are vastly different cultures that are built upon radically different mindsets. In fact, many people are not able to cross from one culture to the other. The west side of the map describes a culture characterized by an expert mindset. Design researchers here are involved with designing FOR people. These design researchers consider themselves to be the experts and they see and refer to the people as “subjects”, users”, “consumers”, etc. The east side of the map describes a culture characterized by a participatory mindset. Design researchers on this side are designing WITH people. They see the people as the true experts in domains of experience such as living, learning, working, etc. Design researchers having a participatory mindset respect the expertise of the people and see them as co-creators in the design process. L’esempio di Make Tools propone una ricerca creativa in ambito delle nuove frontiere ed ambiti del progetto, visti come trend emergenti. La spiegazione della metodologia di ricerca, peraltro visibile dal grafico, si argomenta attraverso la matrice tra design perpective e reseach perspective. La prima è un campo relativamente giovane rispetto alla storia della ricerca e non vuole essere assolutamente un confronto tra le due, ma il design introduce una

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visione organica che si traduce in un grafico in cui la sinistra e la destra sono poste come traduzione delle diversità culturali in ambito design, come il punto di vista della competenza e quello della partecipazione più libera e creativa. EmergingTrends1.pdf EmergingTrends2.pdf per approfondimenti Anche in questo caso la creazione di questo trendbook sugli scenari possibili del progetto rappresenta una forma di ricerca Blu-Sky interessante.

Future Concept Lab.

Future Concept Lab è un Istituto di Ricerca e Consulenza strategica in ambito della ricerca di marketing e nella elaborazione di tendenze di consumo. È un progetto globale data la collaborazione con corrispondenti in 25 Paesi, resa più efficiente dalla piattaforma virtuale Genius Loci Lab. L’obiettivo è proporre a livello internazionale nuovi concept di prodotto, comunicazione e distribuzione per affrontare i mercati avanzati ed emergenti, lavorando sulle parole chiave del futuro. L’Istituto realizza interventi di ricerca integrati con metodologie specifiche che conducono alla definizione di scenari di settore; svolge attività di consulenza e formazione; realizza pubblicazioni che rappresentano il risultato del proprio lavoro di laboratorio e osservatorio internazionale. Tra le varie metodologie illustrate anche dal sito web, è curiosa la sezione “HITS & HOTS”, nella quale si individuano fenomeni culturali di nicchia, e Hot Spots intesi

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come luoghi del fermento del cambiamento, tutti quei segnali significativi che interpretano l'evoluzione socioculturale del contesto contemporaneo. Conoscenza del contesto, esperienza interpretativa, sensibilità antropologica, immaginazione sociologica sono i fattori che contribuiscono a questa ricerca dinamica (sempre aggiornata, ogni mese, da 15 anni) e disponibile al pubblico. In realtà è aggiornata con qualche mese di ritardo, forse per non dare vantaggio competitivo! Chissà! La teoria che sta alla base della ricerca Blu-SKy riguarda il processo tipico del pensiero laterale, come convergenza di pensiero razionale ed artistico. Il primo si occupa di favorire i processi logico analitici che producono valori di possibilità poi selezionati per una soluzione, mentre il secondo si occupa di aspetti probabilistici molto liberi ed incondizionati, con obiettivo il cambiamento. Per la produzione di idee –afferma De Bono – sono necessari entrambi, per poter elaborare modelli di pensiero dinamici in grado di concretizzarsi nella produzione del nuovo. È pur vero che, amio avviso, nella definizione degli scenari sia necessaria anche una comprensione del processo comportamentale, attraverso le categorie della situatività, della somiglianza e dell’analogia; soprattutto nel settore del fashion design i trend si rincorrono negando l’abitudine ma riproponendo l’esperienza passata (vintage style), riproponendo gusti e mode passati.

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5)Evidenzia le specificità (e la coerenza) di alcuni strumenti di ricerca tipici del design connessi al tema del design a scala territoriale. Proponi tre esempi a supporto della trattazione.

Inquadramento.

Il design per lo sviluppo locale rappresenta un filone del design strategico che propone il sistema dell’innovazione su scala territoriale, cioè non più solo applicata ai processi che fanno riferimento ad una logica di prodotto industriale, e distinguendosi anche dallo scenario del singolo prodotto/servizio. L’idea fondamentale nasce dalla necessità di valorizzare il capitale territoriale, inteso come relazione tra un percorso del territorio storico (passato-futuro) e relazionale (relazioni e scambi interni alla comunità locale ed esterni con reti esterne). Inoltre si afferma sempre maggiormente la tendenza a vedere nelle comunità locali la “giusta dimensione” per introdurre nuove forme della progettualità orientate alla sostenibilità o alla dimensione sociale. La Next Economy, secondo Ezio Manzini, è quella con le caratteristiche di essere verde, sociale e a rete, con la necessità, ancora una volta, di risemantizzare il design che si configura come promotore di visioni condivise e facilitatore e promotore di conversazione e dibattito sui temi quotidiani, che inevitabilmente sono più locali che altro. Il progettista è un attore che coordina l’attività progettuale, la quale è sostanzialmente condivisa, o meglio partecipata. Progettare nel piccolo, nella dimensione locale, ma con apertura e connessione con le altre comunità, grazie alle reti. Next economy è anche Next design dunque, ed anche next business o non business. La dimensione territoriale rappresenta dunque una nuova frontiera del progetto, per far emergere le specificità e le peculiarità del territorio stesso, di varia natura. Proponendo un discorso generalista, l’Italia per sua fortuna è un territorio ricco di produzioni locali agroalimentari, artigianali,artistiche che non ha rivali; spesso però la tendenza derivante dalla globalizzazione è stata quella di abbandonare alcune specificità del territorio a sè stesse, e la dimensione tradizionale, molto spesso legata al settore primario, ha risentito della forte urbanizzazione che produce le conurbazioni ed al ricorso all’industria (basti pensare ai distretti industriali o alle valli alpine con acciaierie e centrali idroelettriche). Nonostante ciò, si può dire che il recupero e la valorizzazione del territorio ha oggi un aumento crescente, in un epoca di crisi dove è necessario ridimensionare l’economia: nulla di meglio che partire dal piccolo, con innovazioni locali che costruiscano una più ampia prospettiva di innovazione con un’ottica di cambiamento volto a migliorare la qualità della vita secondo un’idea di benessere sociale e culturale.

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Azione progettuale e fasi.

L’Azione progettuale del design per il territorio si orienta verso tre livelli integrati, secondo un focus-in contingente: -un primo livello (macro) della relazione, nel quale vengono interessati i rapporti tra gli attori del sistema locale, quali istituzioni, cittadini, imprese, associazioni, costruendo una prima mappa della conversazione di partnership anche attraverso gli strumenti mediatici e culturali della contemporaneità, interessando le politiche dello sviluppo ed una prima programmazione socio-economica. -livello della strategia di progetto, operato con le competenze della pianificazione urbanistica e architettonica, con la pianificazione economica e la gestione delle risorse. -livello della progettazione dei sistemi integrati di artefatti, costruendo e realizzando i sistemi prodotto/servizio, le infrastrutture, valutando e verificando gli obiettivi di progetto. Il processo si fonda essenzialmente sull’iniziale analisi e interpretazione del capitale territoriale, supportata dalle discipline dell’analisi (scienze sociali), sulla formulazione strategica di progetto (discipline del progetto pure) ed infine sui percorsi valutativi nelle fasi di gestione dell’adozione e realizzazione del progetto. Una caratteristica emergente del design territoriale è dunque l’approccio interdisciplinare che costituisce la complessità sostanziale del sistema: fra interagire in maniera proficua figure e profili professionali con competenze diversificate all’interno dello stesso progetto. >>Immagine

Obiettivi.

-Attivazione dei meccanismi di comunità del progetto -Osservazione, analisi e visualizzazione del sistema territoriale -Utilizzo di sistemi di rappresentazione e comunicazione di dati quali scenari, mappe, diagrammi, workshop progettuali -Facilitare i processi di design collaborativo L’obiettivo che racchiude tutti questi è la valorizzazione del capitale territoriale, come convergenza di risorse umane e identità culturale, risorse fisiche, know-how e competenze, governance, sistema delle relazioni.

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Il modello “design community”: le comunità del progetto.

Design community è un’espressione che riassume quanto più o meno detto finora, cioè la necessità di compartecipazione al progetto da parte di molteplici attori interni, che possano portare il proprio contributo di competenze o che semplicemente portino alla luce le necessità peculiari rispetto alla comunità (tipicamente la politica dovrebbe fare questo). si tratta dunque di comunità progettanti, veri e propri team di lavoro costruiti per quello specifico progetto. Ecco dunque che va introdotto il concetto di situatività, intesa come specificità, singolarità spaziale (quel territorio e non un altro) e temporale (in quel momento e non un altro), dal momento che l’innovazione può conoscere mutamenti, modifiche secondo logiche path dependence ed è dunque necessaria una seria contestualizzaione spazio-temporale, per evitare di mal interpretare le esigenze delle comunità o fallire nella risposta a questi bisogni.

Non solo una visione sistemica fatta di scenari possibili, ma protesa verso la realtà più concreta.

Il progetto ha un carattere di profonda interconnessione con la quotidianità, e si deve immaginare che ciò che viene pensato sia di “immediata” realizzazione, poichè innesta processi diversificati e consequenziali che interessano attori molto diversi, che concorrono a facilitare una visione condivisa e, immediatamente, un’esperienza condivisa. Ecco dunque come risulti fondamentale la creazione di spazi in cui le persone possano: -discutere, riflettere, dibattere; -proporre suggerimenti; -costruire, realizzare; -valorizzare le spinte delle comunità creative; -sviluppare un’ottica di integrazione collaborativa con culture diverse che abitano la nostra stessa città; -considerare un approccio multidisciplinare proveniente dai diversi profili professionali e culturali che questo incontro può favorire; L’approccio della design community è un modello che si può attuare in molteplici scenari, come ad esempio, i seguenti casi studio.

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Study case.

Urban Farm Milano Urban Farm è un progetto di cohousing sostenibile e cooperativo a Milano, sviluppato a partire da un nuovo modello di insediamento abitativo, che prevede un importante spazio-servizio comune gestito dalle famiglie residenti nell’insediamento in cohousing: una serra di produzione verticale ad alta tecnologia - un orto in città - capace di garantire almeno il 50% del fabbisogno di frutta e verdura fresca degli abitanti. Si tratta di un progetto in cui criticamente non converge la valorizzazione delle specificità del territorio, o meglio il capitale territoriale non contiene tutti i fattori teorizzati; in questa istanza si punta alla abilitazione delle risorse umane attraverso programmi di apprendimento da parte di esperti, e la promozione di un modello urbano sostenibile in cui la relazione sociale sia pregnante e la collaborazione tra individui garantisca un benessere ed una qualità della vita comune. Insomma, tutti insieme per vivere meglio. La formazione degli aderenti al progetto riguarda la fase di affiancamento alla comunità nelle scelte di efficienza energetica (quali standard rispettare, che tipo di fonti, di impiantistica, di isolamenti, di materiali utilizzare al fine di raggiungere questi standard); inoltre una sessione dedicata alle “buone pratiche”, per insegnare agli abitanti di Urban Farm come gestire la loro esistenza in modo sostenibile, su come cambiare il proprio stile di vita nel rispetto dell’ambiente (ricevendo informazioni e suggerimenti teorici ma anche pratici, sicuramente interessanti e innovativi). Urban Farm Est, il progetto successivo, che nascerà a Lambrate, sarà un intervento a progettazione partecipata spinta (i cooperatori decideranno praticamente tutto dalle caratteristiche di eco-sostenibilità alle coltivazioni da avviare nella serra, dall’impresa costruttrice alla destinazione degli spazi comuni).

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Happyhoune – “Oxygen Room” cultural greenhouse - Helsinki Happyhoune è un progetto di valorizzazione del territorio a Helsinki in Finlandia, che si propone di integrare gli aspetti di benessere ambientali del vivere alcune ore della giornata nel verde che viene prodotto facendo gardening, con il piacere contemplativo dell’arte o la riflessione sul progetto, con una programmazione di eventi come mostre d’arte e design, workshop e lectures, o semplicemente rilassarsi con un drink. Nella greenhouse è dunque possibile vedere ed imparare ed anche acquistare piante e ortaggi, e contemporaneamente poter toccare con mano prodotti di design inedito. È possibile poter fornire il proprio contributo in gruppi di lavoro. Gli eco-designers e gli artisti usano questo spazio così come il fruttivendolo o il barman del caffè, o l’insegnante che tiene workshops, a testimonianza che un ambiente ben organizzato può essere frutto di una convivenza collaborativa e di interesse collettivo su vasta scala: economica, ma soprattutto etica, sociale ma anche politica. Non dimentichiamoci che questi esempi ci testimoniano come si può cambiare rotta verso uno stile di vita più responsabile e consapevole, lontano da logiche economiche tradizionali che vedono la risoluzione della crisi economnica nel mero aumento della produzione. Questo è una forma di educazione al progressivo cambiamento. DOC – Dergano Officina Creativa L’Officina dei Giovani è un laboratorio, come luogo dell’ascolto, del dibattito, della comunicazione, del progetto, ma anche e soprattutto del saper fare. È nata a Dergano, quartiere milanese. Con il recupero funzionale e architettonico dell’area delle ex Officine Guerzoni e la riorganizzazione del parco adiacente, su una superifcie di più di undicimila metri quadri tra aree verdi e fabbricati, l’Officina dei Giovani è uno scenario per attività ludico-sportive con un campo da calcetto e un campo polivalente per basket e pallavolo, insieme ad aree attrezzate per momenti di grande aggregazione. Accanto al corpo di fabbrica centrale con gli uffici, i servizi e parte dei laboratori (multimediale, musicale, teatrale, fotografico, video, di scrittura), sorgerà La Bottega del Fare, come spazio privilegiato perché i giovani possano misurarsi con forme artistiche tradizionali e non (pittura, scultura, graffiti, aerosol art, installazioni, ecc.) e per mostre di giovani artisti underground da offrire all’intera città. Il progetto è nato in stretta relazione con le esigenze del territorio dalla sua dimensione più vicina (il Consiglio di Zona, le componenti sociali del quartiere) alla dimensione più vasta della metropoli: luogo – spazio – laboratorio aperto al confronto, ai valori della convivenza e dell’integrazione tanto più significativi in un contesto ad alto tasso di immigrazione, rete per la condivisione dei bisogni e delle esperienze di cui i giovani sono protagonisti. L’apporto di questo progetto è ancora una volta educazivo e sociale, in quanto si configura come luogo nel quale i giovani possono dare vita alla propria creatività

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individuale, manifestare le proprie inclinazioni in laboratori di varia natura, guidati da esperti e da formatori che agevolino anche le relazioni interpersonali nella fase difficile della crescita per imparare a pensare e vivere globalmente, ma sempre con spirito critico. È evidente come il confine tra design per il territorio e design sociale sia molto labile; ogni territorio contiene persone, e le persone si aggregano secondo meccanismi sociali. Negli esempi riportati abbiamo visto modelli di sviluppo sostenibile virtuosi che possono incentivare progettisti e non a modellare nuovi sistemi territoriali i cui assetti rispondano a principi della responsabilità civile e della quietà convivenza, in una prospettiva di crescita della società globale.

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Bibliografia e sitografia generale.

www.foranet.dk Concept Design How to solve complex challenges of our time

www.driversofchange.com by Arup

www.norden Norden Nordic Innovation Centre Report 2008

Raimonda Riccini da Lezioni di “Storia e Teorie del Design” Venezia 2007

Anna Meroni - Creative communities | People inventing sustainable ways of living POLI.DESIGN 2007

Stefano Maffei - Oggetti tecnici digitali: la vita dei nuovi artefatti tra sistema socio-tecnico e linguaggio dissertazione di dottorato, Politecnico di Milano Ciclo IX (1997)

Beatrice Villari – Il design per lo sviluppo locale, dissertazione di dottorato, Politecnico di Milano XVII Ciclo (2005)

Johnson, P . - Human-computer interaction : psychology, task analysis and software engineering, McGrraw-Hill, London (1992)

G. Anceschi - Artefatti e saperi del design. Una mappa preliminare.

D.Norman – Artefatti cognitivi

G. Anceschi - Monogrammi e figure ed. La Casa Usher, 1988

Simondon – Du mode d’existence des objects techniques Méot, 1958

C. Goldfinger - L’utile e il futile Utet, Torino 1996

T. Maldonado - Disegno industriale, un riesame Feltrinelli 1976

Ugo Volli - Corpo, Protesi, Interfacce

Elizabeth B.-N. Sanders - Emerging Trends In Design Research

Stefano Borgo, Laure Vieu - Verso un’ontologia degli artefatti

Antonio Rizzo - La natura degli artefatti e la loro progettazione

Lorenzo Campese (Copyleft) - Esempi di artefatti rilevanti nel contesto di un'analisi culturale

Greenberg – Buxton Usability Evaluation Considered Harmful

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Nigel Cross - Creative Thinking by Expert Designers in The Journal of Design Research - 2004, Vol 4. Issue 2

Liebowitz & Margolis - The Fable Of The Keys

Scott E. Page – Path Dependence in Quarterly Journal of Political Science, 2006

Cornelia Storz - Path Dependence, Change , Creativity and Japan’s Competitiveness Working Paper No 7 2005

Paul A. David - Path dependence, its critics and the quest for ‘historical economics’

Koen Frenken - Technological complexity, modularity, and vertical disintegration 2001

Vittoria Ferrandino – Modelli per semantica path dependence in Corso di Storia dei Processi Economici 2006

Ken Friedman - Creating design knowledge: from research into practice

Design for Ageing Network - The Methods Lab | User Research for Design 1999

“La Human-Computer Interaction” in Tesi “Dalla Human Computer Interaction alla computer-mediated communication”

Path dependence Path dependence - Wikipedia, the free encyclopedia Path dependence and local innovation systems in city-regions. Path Dependence in the Innovation of Complex Technologies - Technology Analysis & Strategic Management Path dependence - Encyclotopia DESIGN RESEARCH RESOURCES » home Mappa semantica I percorsi semantici nella costruzione, rappresentazione e gestione della conoscenza con mappe concettuali utdallas econhist http://journals.cambridge.org/abstract_S0022050700000401 EconPapers: The Standardization of Track Gauge on North American Railways, 1830 1890 Knowledge and Competitive Advantage - Cambridge University Press

UCD & UDI

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UPA - The Usability Professionals' Association Bringing Usability to Life UserTestLab - User-Centred Design - Usabilità e Test di usabilità per siti web - T. 06 84 40 40 55 Nordisk InnovationsCenter - User driven innovation for patients and healthcare professionals Nordisk InnovationsCenter - U Drive IT - User-Driven-Innovation Transfer from the IT sector to traditional businesses Nordisk InnovationsCenter - Learning labs for User-Driven Innovation Open Innovation: Internet Home Page Welcome to MakeTools.com "Energia dalle idee" sbarca anche al Salone del Mobile 2008 | design.tv.it - notizie, approfondimenti ed interviste su industrial design, graphic design, web design, fashion Milano - +LCD -CO2 Officina dei Giovani |

Norway Says™ Strate Collège Designers Macef - Salone Internazionale della Casa Food Design Studio Alstom.com ideaMagazine.net ATYPYK Polidesign.net Assocompositi Isao Hosoe Design Razorfish agency.com thebigspace.com 20Five8.co.uk Designersblock.org.uk garden23 DianaEugeni.com Adrem - Architecture and design jobs bespoke careers ltd. thearchitectureroom.com DesignWeek.co.uk careersindesign.com Daniela-Jessica Paw New Italian Landscape.it - Design Research AIGA.org M I C R O R E A L I T I E S CIBIC&PARTNERS Kateigaho International Edition 2357® Robilant Associati Brand Advisors & Strategic Design Fachiro Strategic Design Mantova It's worth - L'unica attività part time che vale la pena provare. 40 Bond New York City - An Ian Schrager Company Luxury Residence. Dazed & Confused Magazine

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