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01. La tastiera QWERTY

Ricostruisci una mappa semantica del termine path dependence, indicando genealogia, autori di riferimento, teorie e parole chiave connesse.

Il concetto di “Path Dependence” deriva per alcuni autori direttamente dall’osservazione dell’evoluzione della storia naturale, così come teorizzata da Darwin, e per analogia osservata anche nella storia sociale come cambiamento e sviluppo delle istituzioni.Sta ad indicare che ogni processo di cambiamento, e quindi di evoluzione, è fortemente influenzato

dalle condizioni di partenza ed il cambiamento non avviene mai per totale sovvertimento dell’esistente ma come adattamento alle nuove sollecitazioni poste dall’ambiente apportando piccole e graduali modifiche ai precedenti comportamenti.Soprattutto nel campo della conoscenza come processo psicologico autori come Hayek, hanno

messo in evidenza come tutto il processo si basi sulle esperienze passate e sulla struttura neuro biolo-gica di ciascun individuo che determinano il suo comportamento nelle scelte consapevoli di adatta-mento all’ambiente circostante.In campo istituzionale la “Path Dependence” si può riassumere in una semplice definizione: le istitu-

zioni esistenti influenzano in maniera significativa le possibilità di cambiamento e privilegiano un tipo di trasformazione incrementale e marginale rispetto alla “matrice istituzionale” esistente. Per questo motivo, la realizzazione di mutamenti radicali è rara e ciò che si osserva più facilmente

nella realtà empirica è la continuità.È importante distinguere la “Path Dependence” dalla “Past Dependence”: nel primo caso la risposta

dell’individuo pur essendo fortemente influenzata dalle esperienze precedenti porta a soluzioni libere ed innovative ed imprevedibili mentre la seconda sta ad indicare un’azione ripetitiva, prevedibile ed immodificabile perché il sistema che la origina è fortemente vincolato.Il concetto di “Path Dependence” è alla base delle teorie di molti autori che si sono occupati di studia-

re il modo come avvengono i cambiamenti in campo sociologico, economico e istituzionale.

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Autori di riferimento

Brian Arthur: premio Nobel in Economia nel 1990, autore di importanti testi tra cui: 1994. “Increasing Returns and Path Dependence in

the Economy”. University of Michigan Press, Ann Arbor. 1997. “The Economy as an Evolving Complex System

II”, edited with Steven Durlauf and David Lane, Addison-Wesley, Reading, MA, Series in the Sciences of Complexity. 2008. “The Nature of Technology: What it Is and How

it Evolves”. The Free Press and Penguin Books.

Kenneth Arrow: premio Nobel in Economia nel 1972, tra i suoi testi ricordiamo:1962. “The Economic Implications of Learning by

Doing”. Review of Economic Studies1987, “Rationality of self and others in an economic

system”, in R. M. Hogarth and M. W. Reder, Rational Choice. Chicago: The University of Chicago Press.

Paul A. David: Professore alla Harvard University, Dottore Honoris Causa all’università di Torino, che nei suoi studi ha affrontato il problema del cambiamento in campo economico, tecnologico, istituzionale, demo-grafico.Tra i suoi testi segnaliamo:“Path dependence and the quest for historical econo-

mics: one more chorus of the ballad of QWERTY”

2007. “Path dependence: a foundational concept for historical social science”, in "Cliometrica".

Douglass North (Cambridge, 5 novembre 1920) è un economista statunitense.È uno dei massimi esponenti della corrente istituzio-

nalista. Fu insignito del premio Nobel per l'economia nel 1993. È un rappresentate della recente tendenza di leggere

la storia economica attraverso la cosiddetta cliometria che applica le tecniche dell'analisi statistica ed econo-metrica alla storia. Insegna Economia e Storia nella Washington Universi-

ty a St.Louis.

George Polya: (1887-1985) matematico unghere-se che introduce il sistema delle urne (urne di Polya) per descrivere il concetto di path dependence.Tale modello prevede che un’ individuo ha a disposi-

zione un’urna contenente due palline: una rossa e una bianca. Se al primo sorteggio egli estrarrà, ad esempio, la

pallina rossa, la rimetterà nell’urna con un’altra dello stesso colore; in tal modo aumenterà la probabilità di estrarre nei sorteggi successivi palline rosse. Le prime scelte casuali rinforzano la probabilità che si

diano medesimi risultati successivi.

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Teorie e parole chiave connesse

Marginalismo: corrente di pensiero della scuola neo-classica sviluppatasi in ambito economico tra il 1870 e il 1890 secondo la quale il valore di un bene è determinato dalla sua utilità marginale.Essi svilupparono il pensiero economico classico

cercando di studiare il comportamento dell’uomo, in quanto essere razionale atomizzato, nei confronti del problema della rarità dei beni escludendodall’analisi ogni elemento extra-economico (es. quello

sociologico). Come i liberisti classici, continuarono a credere che

se le forze produttive sono lasciate libere di agire in concorrenza perseguendo il proprio interesse, il merca-to è in grado di assicurare, mediante il meccanismo dei prezzi, l’adeguamento dell’offerta alla domanda. Ma a differenza dell’impostazione classica e marxista

secondo la quale è la quantità di lavoro che definisce il valore di un prodotto, i marginalisti affermano che è il valore del prodotto che definisce il valore dei fattori produttivi, tra cui il lavoro.A Marshall in particolare va attribuito il merito di aver

cercato di conciliare la teoria ricardiana del valore basata sul costo di produzione con la teoria dell’utilità osservata in termini cardinali. Successivamente Menger, Pareto e Walras analizzarono il concetto di utilità marginale in termini ordinali.

Istituzionalismo: corrente di pensiero economi-co sviluppatasi negli anni ’40-’60 in particolare negliStati Uniti e di cui Veblen è ritenuto il fondatore.Gli istituzionalisti, in reazione al marginalismo, consi-

derano oggetto della scienza economica lo studio sia delle idee in base alle quali l’individuo agisce sia del comportamento delle organizzazioni politiche e sociali, in quanto influiscono sugli eventi economici.La struttura organizzativa viene considerata

un’organismo adattivo alle caratteristiche delle perso-ne e alle influenze dell’ambiente esterno: oltre agli aspetti formali rilevano le strutture informali, le ideolo-gie, la cooptazione (cioè l’assorbimento di nuovi elementi nella struttura dell’organizzazione per preve-nire minacce alla stabilità e all’esistenza).Autori: Selznick, Mayo, Parsons, Gouldner.

Neo-istituzionalismo: a partire dagli anni ’70 oggetto primario di attenzione diventano le cornici istituzionali in cui operano le organizzazioni, mentre i comportamenti, le vicende e le strategie di queste ultime vengono esaminate come imputabili in larga parte ai condizionamenti esercitati da quelle cornici.In questa prospettiva teorica le istituzioni in senso

ampio vengono analizzate come strutture cognitive, normative e di regolazione che fanno si che il compor-tamento individuale risulti più come riflesso di pressio-ni esterne che lo definiscono e lo condizionano che come il riflesso di scelte intenzionali.

Si è interessati soprattutto a mettere in evidenza come determinate strutture istituzionali modellano le interazioni politiche, influenzano le strategie degli attori e gli esiti del processo decisionale.Autori: Meyer, Rowan, Powell, Di Maggio, Scott,

North, Coase, Williamson.Elemento comune al “vecchio” e al “nuovo” istituzio-

nalismo è il fatto che le organizzazioni dipendono e sono modellate dalle pressioni provenienti dall’ambiente.Il neo-istituzionalismo si differenzia

dall’istituzionalismo puro in quanto sostiene che le organizzazioni, pur dipendendo in maniera decisiva dalle risorse che l’ambiente (la società) può fornirle o negarle sulla base del suo conformismo, sono capaci di risposte strategiche differenziate, e diverse organiz-zazioni gestiscono il rapporto in maniera significativa-mente diversa.Tra le differenze:- l’ambiente preso in considerazione dal “vecchio”

istituzionalismo ha caratteristiche fortemente locali (si tratta della comunità di appartenenza dell’organizzazione), mentre l’ambiente del neoistitu-zionalismo è un “campo organizzativo”;- nel vecchio istituzionalismo l’organizzazione istitu-

zionalizzata è “infusa di valori”, mentre nelnuovo istituzionalismo l’istituzione fornisce mappe

cognitive date per scontate.Si passa dalla logica strumentale dell’istituzionalismo

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Teorie e parole chiave connesse | Linkografia

alla logica dell’appropriatezza.

Determinismo: dottrina filosofica secondo la quale ogni cosa che esiste ed accade, è determinata in modo causale da una catena ininterrotta di eventi avve-nuti in precedenza (il termine causalitàdefinisce il vincolo concettuale tra fenomeni che

seguono uno all'altro in quanto uno è evidente causa dell'altro).Secondo tale dottrina il libero arbitrio è una illusione.Nelle medesime condizioni, le medesime cause

producono gli stessi effetti.Il concetto di determinismo ha origine nella filosofia

antica e precisamente nel pensiero di Democrito.Gli scienziati del ‘700 e dell'inizio dell'800 giunsero

alla conclusione che, dato un sistema di molti corpi interagenti, a partire dalla conoscenza delle condizioni iniziali fosse sempre possibile determinare matemati-camente non soltanto lo sviluppo futuro del sistema, ma anche tutto il suo passato.

Ridondanza: in genere è definita come un qual-cosa di superfluo, di inefficiente.In riferimento alla teoria della “Path Dependence”

invece è considerata una risorsa, uno strumentoulteriore utile all’attore che cerca di svincolarsi dal

percorso di sviluppo intrapreso per imboccarneun’altro maggiormente efficiente.

Effetto lock-in / Dominant design: feno-meno che si verifica quando, individualmente o colletti-vamente, si è "catturati" da una scelta potenzialmente inferiore rispetto ad altre disponibili.Questo effetto è stato ben evidenziato da B. Arthur nei

suoi studi e riporta l’esempio della tastiera QWERTY che essendosi largamente diffusa, pur non essendo la migliore soluzione, è difficile che se ne affermi in segui-to una nuova e diversa. Gli utenti rimangono ingabbiati, "chiusi dentro" nella

scelta precedente anche se si offrono loro delle alter-native potenzialmente superiori.

Serendipity: neologismo usato per descrivere lo scoprire di una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra. Ma il termine non indica solo fortuna: per cogliere

l’indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperien-ze che non corrispondono alle originarie aspettative.

Cross-over: processo di avanzamento nello sviluppo.

Bootstrapping: processo di miglioramento delle condizioni insite in un territorio usando solo le proprie risorse disponibili.

Costi di cambiamento: Costi che un utente deve supportare nel caso decidesse di cambiare prodotto/servizio (costi di ricerca, costi di apprendi-mento, costi di transazione, costo opportunità…).

Linkografia

-http://en.wikipedia.org/wiki/Path_dependence-http://poopthebook.com/blog/2007/06/15/sewers-path-dependence/-http://www.santafe.edu/~wbarthur/-http://en.wikipedia.org/wiki/W._Brian_Arthur-http://www-econ.stanford.edu/faculty/david.html-http://en.wikipedia.org/wiki/Philip_Warren_Anderson-http://en.wikipedia.org/wiki/Kenneth_Arrow-http://www.ea2000.it/paper/mellaint/cst_int2b.htm-http://en.wikipedia.org/wiki/Dominant_Design-http://economics.about.com/library/glossary/bldef-dominant-design.htm-http://www.unibs.it/online/dss/Home/Inevidenza/PaperdelDipartimento/documento1204.html-http://www.econ.stanford.edu/faculty/workp/swp00011.pdf-http://www.woa2008.sistemacongressi.com/paper/track03/Cio%20che%20resta%20della%20path%20dependence_Virili.pdf-http://www.centrostudilogos.com/news_ita/upload/uploads/Hayek%20la%20conoscenza%20come%20processo%20path.pdf

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02. Evoluzione del martello

Raccogli e confronta (specificandone fonti e autori) le principali definizioni di artefatto e confrontale con la definizioni di oggetto tecnico e individuo tecnico.

Nella lingua italiana il termine “artefatto” viene inteso in due accezioni grammaticali: come agget-tivo e come sostantivo.Nel primo caso viene adoperato come un giudizio di valore estetico essenzialmente negativo con il

significato di non genuino, esagerato, di scarso valore riferito sia ai comportamenti sia ai prodotti umani.Come sostantivo al contrario valorizza pienamente il significato semantico dei due termini che etimo-

logicamente lo compongono: fatto, indica il risultato dell’azione umana, arte indica la tecnica, cioè l’abilità unita alla conoscenza, con la quale l’azione umana ha fatto, ha creato un prodotto.Artefatto quindi indica un prodotto che prima in natura non era dato ed è stato creato dall’uomo come

risposta ad una sollecitazione posta dall’ambiente (un problema da risolvere ad esempio la ruota per trasportare pesi) o come soddisfacimento di un proprio bisogno interno (ad esempio la scrittura o la pittura come bisogno di comunicare). In campo antropologico quindi l’artefatto è il risultato dell’evoluzione dell’ “Homo Habilis”, cioè

potenzialmente dotato di capacità, nell’ “Homo Faber” che adopera intenzionalmente le sue capacità per sperimentare e quindi, applicando le conoscenze, derivate ed accumulate dalle esperienze, alle innate capacità dà origine ai prodotti, crea gli artefatti. Un artefatto è un oggetto la cui forma è giustificata dalla prestazione a cui è destinato, ancora prima

della sua effettiva realizzazione. Cioè materializza l'intenzione preesistente da cui ha tratto origine. Gli artefatti presuppongono un progetto, uno scopo e di conseguenza un'intelligenza capace di attivi-

tà creativa. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, gli artefatti sono oggetti prima cognitivi, poi realizzati

concretamente.In un martello, ad esempio, è evidente la ragione per la quale esiste una estremità pesante. Una pietra al contrario deve la sua forma a cause naturali, quali terremoti, rotolamenti, frane, onde

ecc.Dal punto di vista evolutivo, l' “Homo Habilis”, ad esempio, possedeva questa capacità solo a livello

embrionale: la costruzione di utensili complessi (come asce, falcette e raschiatoi), oltre al possesso

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della motricità fine, presuppone una capacità immagi-nativa, ossia un'idea del prodotto che è anteriore alla sua esecuzione. Reperti di questo tipo, trovati in grandi quantità nei siti

archeologici, sono riconosciuti come prodotto di un'at-tività di tipo creativo perché rispetto a tutti gli altri sassi sono il risultato di un'arte.Un grado di intelligenza creativa che, seppur basso,

dà un vantaggio competitivo rispetto alle altre specie con cui condivide l'ambiente. L'accrescersi in “Homo Erectus” e “Homo Sapiens” di

abilità cognitive immaginativo/creative porterà alla costruzione di artefatti sempre più complessi.L’artefatto è un oggetto, nella sua accezione più

ampia possibile, fisico o non fisico, che presuppone una intenzionalità nell’usare l’oggetto stesso, sia essa individuale o sociale, declinata in “utilizzazioni possibi-li”, che lo porta a divenire attrezzo, quindi oggetto effettivamente impiegato in attività umane che, nel momento dell’utilizzo stesso, produce un cambiamen-to delle capacità umane stesse del o degli utilizzatori, e che attraverso l’interazione (finalizzata alla costruzione di un senso comune) porta ad una nuova costruzione, inizialmente contestualizzata e soggettiva, del mondo che ci circonda, costruzione che altrimenti non sarebbe esistita senza l’artefatto che, attraverso il processo di mediazione (qui definibile come interazione modificata da un utensile), porta alla costruzione di nuova cono-scenza, quindi non più soggettiva e contestualizzata,

ma collettivamente condivisa e distribuita, influenzan-do così la realtà che ci circonda grazie all’innovazione apportata.Le caratteristiche fisiche che distinguono gli artefatti

dagli oggetti naturali sono regolarità e ripetitività.

1. La regolarità è l'insieme di proprietà possedute dagli oggetti artificiali, quali la simmetria perfetta e la forma ricca di figure geometriche semplici (superfici piane, spigoli rettilinei, angoli retti). Dal punto di vista cognitivo queste caratteristiche

assumono un significato preciso e possono essere riferite a certi tipi di organizzazione percettiva, come i criteri di raggruppamento secondo fattori di prossimi-tà, somiglianza, continuità, simmetria. 2. La ripetitività è la caratteristica più importante,

intesa come riproduzione di oggetti che mostrano le intenzioni sempre uguali del loro creatore. Psicologicamente, questa proprietà degli artefatti

potrebbe essere ancor meglio definita come "ridon-danza". Una ciotola può avere differenti misure, essere

costruita con molti materiali, ma alcuni elementi sono sempre presenti e si rifanno al prototipo che ne identifi-ca la specie.

I criteri definiti, inquadrati all'interno delle concezioni psicologiche del funzionamento mentale, aiutano a comprendere come si formano i programmi motori

destinati ad utilizzare gli artefatti di una stessa specie, quand'anche si presentino con fogge differenti come le penne o le caffettiere o come sia possibile riconoscere gli oggetti da particolari prospettive o in contesti inusuali.Il concetto di riconoscimento e/o l'usabilità di un

artefatto può essere ulteriormente affinato col termine affordance che indica le proprietà reali o percepite che le cose possiedono o sembrano possedere.

Nel secolo scorso questo concetto è entrato come oggetto di studio all’interno di varie scienze come la Semiologia, l’Antropologia, la Sociologia, la Psicologia e ciò che a noi interessa, il Design, e le ricerche e gli apporti degli autori sono entrati a far parte di un filone di studi che va sotto il nome di “Science and Technolo-gy Studies”.L’artefatto inteso come “oggetto tecnico” (OT) è

al centro di questi studi.L’oggetto tecnico è un prodotto di un sistema di

produzione dotato di una propria configurazione formale, strutturale, funzionale e operativa (Simondon G., Dumode d’existecedes objets techniques, Aubier, Parigi, 1958).- Formale: il prodotto ha una forma riconoscibile,

indica qual è il suo aspetto e la sua fisionomia;- Funzionale: ci dice come l’oggetto funziona, qual è la

sua prestazione tecnica, operativa e interattiva;- Strutturale: ci dice come l’oggetto è costruito, qual è

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il processo di ingegnerizzazione e costruzione;- Operativa: ci dice come il prodotto viene usato;

l’oggetto incorpora elementi formali legati alla cultura e all’uso che ne viene fatto.

Come messo in evidenza dai “science and tecnology studies”, (Bijker e Law, 1992; Callon 1987; Law, 1987; Latour, 1992) un oggetto tecnico è il risultato di un network eterogeneo di diversi attori, portatori dei loro interessi, di conoscenze, di differenti interpretazioni e visioni del mondo. Come tale l’oggetto tecnico è considerato come “fatto

sociale” (Latour).Le macchine in questo senso prescrivono i comporta-

menti umani forzandoli ad utlizzarli in una certa manie-ra e se si decide di non avvalersi dell’OT l’utente è costretto a elaborare percorsi alternativi per raggiun-gere i propri scopi.La progettazione stessa di un nuovo prodotto non è il

risultato del “genio individuale” del progettista (ingegnere, scienziato o designer che sia), bensì è il frutto di, ed incorpora, elementi sociali ed istituzionali quali norme, interessi economici, nozioni diffuse su cosa è bello o non lo è, teorie sulla forza dei materiali, preferenze relative a comunità professionali, pregiudizi e capacità, strumenti di progettazione, etc. (Bijker e Law, 1993).Secondo questi studiosi l’innovazione, che si concre-

tizza nella produzione finale dell’OT, è un’impresa

collettiva fatta di negoziazioni e conflitti e ciò vale anche nella creazione di oggetti di design.Il prodotto artigianale o industriale, in questo conte-

sto, è molto diverso dal progetto iniziale proposto dal designer.Lo studio delle dinamiche di interazione tra gli attori e

gli ambienti fisici e culturali sono stati sviluppati da autori (Gherardi S., Bruni A., Conein B., Jacopin E.) che hanno dato origine ad una corrente di studi denomina-ta “practice based studies” che analizza il “lavoro situato”, cioè il lavoro come emerge da un particolare setting lavorativo, abitato da soggetti, oggetti, relazio-ni, conoscenze specifiche e interessi, in una parola un “network” di specifiche conoscenze.In questo ambito di ricerca vengono analizzati non

solo le relazioni tra umani ma anche tra questi e gli OT presenti nel contesto lavorativo (Conein, Heath) e la metodologia adottata è l’Etnografia del lavoro, cioè la descrizione dei gesti e delle interazioni intercorrenti tra gli operatori e gli OT (Dodier).Si collocano in questo ambito anche gli studi di autori

come Deni, Mattozzi A., che assumono il punto di vista focalizzato sugli operatori, sulla loro gestualità e sulla prasseologia.

L’individuo tecnico è ben definito da Simondon G. nella sua analisi sull’OT.Nell'opera “Du mode d'existence des objets techni-

ques”, egli distingue tre tempi in una storia della tecni-

ca: l’elemento, l’individuo e l’insieme.Lo stadio di elemento tecnico corrisponde allo stadio

dell’attrezzo o dello strumento.Quando l’artigiano usa i suoi strumenti per scalpellare

un pezzo di legno, egli domina perfettamente l’attrezzo al punto che a volte lo si può considerare come un prolungamento del corpo.Lo stadio dell’individuo tecnico è lo stadio della mac-

china, che corrisponde all’articolazione finalizzata di diversi elementi.L’archetipo dell’individuo tecnico è la macchina a

vapore che può sviluppare forze gigantesche rispetto alle capacità dell’essere umano.A partire da questo stadio, appare un’ambivalenza: il

ruolo della tecnica è problematico perché, se la mac-china decuplica la potenza dell’uomo, quest’ultimo percepisce nella macchina una rivale vittoriosa di cui tende a diventare l’aiutante.Nel passaggio dallo stadio elemento, in cui l’artigiano

domina perfettamente lo strumento, allo stadio mac-china, i vincoli indotti dalla macchina stessa sul com-portamento umano sono notevoli.Nello stadio di insieme tecnico, quel senso di espro-

priazione è ulteriormente rafforzato poiché la macchina stessa si colloca entro una rete di individui tecnici fittamente interrelati, dove queste relazioni sono indispensabili alla realizzazione dei compiti fissati.In tale contesto, l’essere umano si trova relegato al

rango di servitore di una rete di cui non percepisce né

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controlla l’organizzazione.In Simondon, l’evoluzione della tecnica è dunque

caratterizzata dalla progressiva installazione di sistemi sempre più complessi che sfuggono al controllo dell’essere umano in quanto individuo.

Linkografia

-http://it.wikipedia.org/wiki/Artefatto-http://it.wikipedia.org/wiki/Gilbert_Simondon-http://www.designfest.it/prouve.html-http://books.google.it/books?id=aZQjNOlRtsoC&pg=PA58&lpg=PA58&dq=oggetto+tecnico&source=web&ots=tTuU_Kkt_E&sig=eIoKuTUDcIkdJbvvdrdr9GbU69s&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=7&ct=result#PPA4,M1-http://books.google.it/books?id=WYAKJBD82jQC&pg=PA73&lpg=PA73&dq=latour+individuo+tecnico&source=bl&ots=i0ahJZng4G&sig=zdLfKjNAjZ3U_Jmzv4TRbm_JDcI&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=5&ct=result#PPA5,M1-http://www.noemalab.org/sections/specials/tetcm/2001-02/webdesign_usability/interfaccia_definizione.html

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03. “Animali in libertà”, W.B. Park

Definisci lo User Centered Design e la User Driven Innovation: illustrale poi con due casi studio.

Lo User Centered Design è un modo di progettare tenendo conto del punto di vista e delle esigenze dell’utente. Il metodo migliore per soddisfare sia requisiti di preferenza che di prestazioni consiste nell’osservare

gli utenti mentre interagiscono con il design in un contesto reale.Lo UCD è un processo composto di più attività. Si basa sull’iterazione di diversi strumenti di analisi od osservazione, progettazione e verifica. Il processo è stato definito e descritto da diversi autori e persino da norme ISO, come la 13407,

Human-centered design process. Diverse fonti descrivono processi leggermente diversi, ma guidati dalla stessa filosofia: fondare il

progetto sulle esigenze degli utenti.Il processo User Centered Design può essere posto alla base dell'usabilità. L'essenza di questo processo, che prevede il coinvolgimento dell'utente finale del prodotto in tutto il

ciclo di ideazione, progettazione e sviluppo, può essere definita come "la pratica di disegnare i prodot-ti in modo da permettere all'utente di assolvere i propri compiti con il minimo stress e la massima efficienza".

I quattro principi dell'UCD che ne riassumono le caratteristiche, sono:

1. focalizzazione sugli utenti e i loro compiti: è necessario un approccio sistematico e strutturato agli utenti, che permetta di registrare tutte le informazioni relative ai loro compiti e che li coinvolga in tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto; 2. misure quantitative e qualitative circa le caratteristiche d'utilizzo del prodotto; 3. design iterativo, basato sulla struttura "primo design > test > secondo design", da applicarsi fin

dalle prime fasi di ideazione in maniera ciclica lungo tutto l'arco di sviluppo del prodotto; 4. approccio multidisciplinare del team di usabilità, che sia in grado di avere una conoscenza trasver-

sale di campi anche molto diversi come marketing, formazione, fattori umani, multimedia.

“Maledetti zoccoli! Ho toccato un’altra volta l’interruttore sbagliato! Ma chi li progetta questi

cruscotti, un procione?”

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Alla base del ciclo di produzione di un sistema interat-tivo vi sono tre elementi: il modello del progettista, l'immagine del prodotto e il modello dell'utente.Per una buona progettazione sono quindi necessarie

due condizioni:

1. fornire un buon modello concettuale che permetta facilmente all'utente di prevedere i risultati delle proprie azioni; 2. rendere visibili le cose e creare delle corrisponden-

ze tra strumenti, azioni e reazioni. Fondamentale diventa quindi il principio del “map-

ping”.A facilitare questo processo interviene il feedback.

I problemi di usabilità e le difficoltà di interazione esistono quando non vengono rispettati questi principi: i comandi diventano arbitrari e non giustificati, costrin-gendo l'utente a un inutile sforzo di memoria. Con il modello UCD, che inizia ad affermarsi su larga

scala alla fine degli anni '80, si riconosce l'importanza non solo delle capacità e dei vincoli fisici e cognitivi dei singoli utenti, ma anche delle relazioni culturali, sociali e organizzative, nonché degli artefatti cognitivi distri-buiti nell'ambiente che influenzano il modo di lavorare dell'uomo.Fanno parte del processo UCD:- Conoscenza degli utenti;- Analisi comparativa;

- Definizione dei requisiti di usabilità. Si devono definire quali sono le priorità dei vari aspetti

dell'usabilità del prodotto. Questa gerarchia dovrà guidare nella scelta fra solu-

zioni diverse: ad esempio, se il prodotto prevede un utilizzo saltuario, l'accento dovrà essere posto più sulla facilità di apprendimento e utilizzo, piuttosto che sulla personalizzazione. Per ciascuna caratteristica vanno individuate delle

misure di riferimento (se possibile sfruttando l'analisi comparativa) e i limiti di accettabilità.

La ISO 13407

Questa norma ISO stabilisce quattro attività principali per il processo di UCD:

1. Specificare il contesto d’uso; 2. Specificare i requisiti;3. Creare delle soluzioni progettuali;4. Valutare il design.

Solo quando le soluzioni progettuali rispecchiano i requisiti, allora il prodotto può essere rilasciato e pienamente realizzato.Appare evidente l’importanza che viene data a ben

due fasi di analisi prima della creazione effettiva di soluzioni progettuali. Il contesto d’uso è necessario per identificare quali

persone useranno il prodotto, cosa ci faranno e in quali condizioni lo useranno.I requisiti si concentrano a questo punto sia sui com-

piti che gli utenti dovranno portare a termine che sugli eventuali obiettivi di business.Solo a questo punto il prodotto può iniziare a essere

pensato e progettato, in forma di prospetto, schema, prototipo, fino ad un modello completo.Ma il passo davvero fondamentale è l’ultimo, ovvero la

verifica del prodotto, in particolare con utenti reali attraverso i test di usabilità, anche se non solo: intervi-ste, questionari, analisi ispettive e secondo linee guida possono altresì essere utili.

Gli strumenti

Nelle diverse fasi del ciclo di progetto vengono porta-te avanti diverse attività con diversi strumenti.Nella fase di analisi (1 e 2) tipicamente si compiono le

seguenti attività:

1. Incontri con gli stakeholder (portatori di interessi) per capire vincoli e aspettative; 2. Analizzare i prodotti esistenti;3. Conduzione di osservazioni sul campo;4. Conduzione di interviste con potenziali utenti;5. Conduzione di workshop con potenziali utenti;6. Questionari;7. Creazione di profili di utente;

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8. Creazione di elenchi di compiti;9. Creazione di scenari: definire contesti, scopi, e

modi di interazione.

È sulla base di questi scenari che il prodotto viene immaginato, progettato, valutato e continuamente aggiornato e migliorato.

Definizione di team multidisciplinari

E’ bene fin dall’inizio creare dei modi agili per comuni-care fra i diversi componenti dello staff, e non rigidi e immodificabili. In un lavoro di UCD non dovrebbero esistere membri

del gruppo di lavoro che decidono indipendentemente dalle opinioni altrui.Nella fase in cui si lavora alla creazione di soluzioni

progettuali si usano i seguenti strumenti:

1. Brainstorming, riunioni e discussioni libere;2. Creazione di modelli e schemi di navigazione;3. Creazione di bozzetti, anche carta e matita;4. Conduzione di analisi e simulazioni cognitive sui

bozzetti;5. Creazione di prototipi a bassa o alta fedeltà.

Si può notare che accanto ad attività più propriamente progettuali (che comprendono il disegno dell’interfaccia con vari strumenti) si inizia già a

condurre delle valutazioni e delle analisi sulla base dei documenti predisposti nella prima fase (scenari, com-piti).La valutazione avviene prima e durante

l’implementazione vera e propria del sistema, attraver-so:

1. Test con utenti;2. Questionari;3. Analisi euristiche e ispettive;4. Simulazioni cognitive.

Alla fine il prodotto viene corretto e implementato con:

1. La modifica del sistema;2. La realizzazione definitiva.

La fase di valutazione idealmente non finisce qui, perché si possono mettere a punto fasi di monitoraggio grazie a:

1. Meccanismi di segnalazione di problemi; 2. Questionari;3. Studi sul campo; 4. Ulteriori test di usabilità per controllare gli obiettivi.

In definitiva, lo UCD è sia una filosofia che un proces-so che adottano una serie variabile e sufficientemente flessibile di strumenti.

Giova ricordare che tutti i prodotti vengono realizzati secondo un qualche processo. Questo può essere casuale o molto formalizzato. Attività di UCD possono essere inserite sia nell’uno

che nell’altro caso, ma molto spesso non lo sono.

“Una tecnologia al servizio dell’utente, un contesto in cui questa risulti appropriata all’attività da svolgere e la complessità pre-sente sia quella insita nell’attività stessa e non nello strumento” (Norman, 1998).

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04. User Driven Innovation

Per User Driven Innovation si intende il processo che sfrutta le conoscenze degli utenti per sviluppare nuovi prodotti, servizi e concept. Un processo di innovazione user-driven si basa sulla comprensione dei reali bisogni dell’utente grazie

ad un loro sistematico coinvolgimento; implica che le aziende siano costantemente sotto sforzo per fornire prodotti che soddisfino i clienti offrendo loro qualcosa in più o un’esperienza migliore rispetto alla concorrenza. La conoscenza può sorgere dal caso così come dai bisogni riconosciuti quando si presentano situa-

zioni problematiche.Tali bisogni possono essere consci o inconsci e possono essere raccolti per mezzo di indagini e test. In questo caso, il processo di innovazione può essere considerato user-driven.L’approccio scientifico e sistematico è un fenomeno abbastanza nuovo: l’aumentata prosperità

nell’occidente ha aumentato la richiesta dei consumatori di prodotti di valore e che creino esperienza, facendo così nascere l’interesse verso la User Driven innovation.L’UDI quindi è caratterizzata da tre dimensioni:

1. Attenzione ai clienti;2. Abilità nell’analizzare e valutare i bisogni degli utenti;3. Metodologie applicate per fare indagini sugli utenti.

Il primo passo del processo è una mappa sistematica dei bisogni insoddisfatti degli utenti. Le Idee sono sviluppate in possibili soluzioni, e sono valutate le opportunità di produzione e mercato. Questa è una base per abbozzare una strategia di innovazione.Per una buona progettazione sono quindi necessarie due condizioni:

1. fornire un buon modello concettuale che permetta facilmente all'utente di prevedere i risultati delle proprie azioni; 2. rendere visibili le cose e creare delle corrispondenze tra strumenti, azioni e reazioni. Fondamentale diventa quindi il principio del “mapping”.

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04. User Driven Innovation: grafico del suo andamento

Osservazione degli utenti

Un fondamentale pre-requisito per la User Driven innovation è una forte attenzione verso gli utenti. Di conseguenza le aziende sono chiamate a lavorare con la “customer experiences”, con i bisogni

degli utenti, l’andamento del mercato etc. nel processo di sviluppo del loro prodotto.Tutte le aziende devono prestare molta attenzione ai consumatori, senza dare importanza al fatto che

l’utente finale sia quello attuale o un’altra azienda. Se il cliente è anche l’utente finale ci sono varie modalità per riconoscere e analizzare i bisogni. A questo punto bisogna distinguere tra bisogni consci ed inconsci. Spesso quelli consci sono semplici da riconoscere.I metodi più comuni comprendono indagini, interviste e focus group. La scoperta dei bisogni consci può dare l’ispirazione per interessanti innovazioni, ma in normali circo-

stanze l’innovazione corregge prodotti o servizi già esistenti, poiché le persone non sono preoccupate dei bisogni futuri.Scoprire i bisogni inconsci degli utenti è molto più difficile e necessita di sofisticati strumenti per

mapparli, analizzarli e capirli. Spesso comporta il coinvolgimento di specialisti di antropologia, etnografia, sociologia o psicologia.In ogni caso le osservazioni sui bisogni inconsci sono combinate con osservazioni sulle azioni e il

comportamento degli utenti. Spesso la percezione dei bisogni degli utenti è in conflitto con il loro normale comportamento.Per valutare le spesso conflittuali informazioni con i bisogni consci e le vere osservazioni del consu-

matore è necessario includere informazioni sulle condizioni sociali, i trend culturali, gli stili di vita ecc.Questo processo darà luogo a una quantità di bisogni inconsci che verranno testati con prototipi.

Sviluppare e disegnare nuove soluzioni e concept

Seguendo l’identificazione di un nuovo bisogno inconscio, il passo successivo è disegnare una possibile soluzione che possa soddisfarlo.

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La soluzione può coprire nuovi prodotti, servizi o concept che include vari elementi. È possibile che la soluzione possa radicalmente cam-

biare la situazione competitiva sul mercato.Disegnare soluzioni originali e sostenibili è una sfida

competitiva che richiede ampie tipologie di capacità. È fondamentale che l’innovazione e la soluzione

proposta sia difficile da copiare per i competitors.

Produzione

Il potenziale commerciale di un nuovo prodotto sarà tradotto in un prezzo che i consumatori saranno dispo-sti a pagare.Questo richiede una profonda analisi riguardo lo stato

tecnologico, la produzione e i costi.In alcuni casi il prodotto non può essere realizzato con

le esistenti tecnologie: qui la User-Driven e la Technology-Driven innovation si combinano per produrre interessanti ed innovative opportunità.

Opportunità di mercato

La maggior parte delle aziende ha una gamma di prodotti per soddisfare i propri clienti.Prima di spendere una gran quantità di risorse per

identificare i bisogni dei consumatori, trovare soluzioni e analizzare le capacità produttive, l’azienda deve valu-tare se la soluzione può rientrare nella sua gamma.

Se il prodotto può essere venduto ad un prezzo ragio-nevole, deve analizzare il possibile potenziale commer-ciale del prodotto, così come immaginare le possibili azioni dei competitors.

Strategia innovativa

Se le indagini e le valutazioni mostrano una base solida per procedere, viene scelta una strategia di innovazione.Se la soluzione richiede semplicemente un piccolo

aggiustamento di un prodotto esistente, o se è simile ad un prodotto esistente, allora c’è la possibilità che non ci sia la necessità di pensare ad una particolare strategia; d’altra parte se la soluzione è totalmente innovativa, il potenziale della strategia innovativa avrà conseguenze significative per il successo del prodotto.

Implementazione

Il passo finale nel processo di innovazione è l’implementazione: mettere il prodotto sul mercato.Può sembrare banale, ma in una situazione come

quella attuale dove un’azienda mette sul mercato diversi prodotti e il fattore tempo è fondamentale rispetto ai competitors, l’azienda deve assicurarsi che la strategia scelta sia quella giusta e studiata nei minimi dettagli.

Altre parole chiave connesse alla UDI

- Persone: consiste nel creare profili di persone per capire le future richieste e bisogni dei consumatori.Grazie alla combinazione di interviste e ricerche di

mercato le aziende sano questo approccio cercando di capire come i prodotti o le tecnologie possano integrarsi nel contesto del futuro. - Etnografia: L’idea di base è osservare i consuma-

tori quando stanno utilizzando il prodotto o servizio.Questo metodo indiretto ha alcuni benefici perché

non sempre i consumatori sono in grado di esprimere a parole che tipo di prodotto stanno cercando o che servizio sarebbe migliore per loro.- Fan Bases: questo approccio cerca di identificare

e far leva sui cosiddetti “lead users” per promuovere i nuovi prodotti e le innovazioni.Questi clienti sono di solito molto partecipativi e desi-

derosi di impegnarsi nello sviluppo delle comunità. La partecipazione può essere generata attraverso

focus group, piattaforme online, peer review, e così via.- Participatory design: con questo metodo i

consumatori sono invitati a partecipare direttamente allo sviluppo del prodotto o del servizio.Le aziende possono mettere assieme designer, inge-

gneri, project managers e consumatori per formare un team di sviluppo.

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Utilizzo riuscito di un approccio User-Centered Design durante lo sviluppo di una applicazione interattiva televisiva.

Case Study: Designing the Microsoft TV Interactive Program Guide.The Microsoft TV Interactive Program Guide (IPG) is

an embedded interactive television application that resides natively on a low-end set-top box. This simple guide allows users to scan television

shows listed in a grid format, search for television programs by categories or keyword, set TV reminders so they are informed when their favorite television program is on, and set parental controls for rated content. A recent report from [Datamonitor, 2002] identifies the

following key attributes as central to the development of advanced IPGs: simplicity (leveraging a low level of input and providing users with a simple and familiar interface), usability (the environment should reflect the likely nature of usage, for instance with the initial options relevant to the context the user has entered the IPG from), accuracy (program listings are up to date at all times to ensure the trust of the end user) and objec-tivity (one type of content is not prioritized over another). When we created the Microsoft TV IPG, the entire

team’s primary focus was on simplicity and usability (identified as the key consumer needs left unfulfilled by

IPGs already on the market). One of the main business goals was to build a product

that is faster, easier-to-use, more attractive and more fun than competitive products. In order to achieve this, the usability team proposed

that a UCD approach be adopted by the product team and tightly integrated with the development process of this product. Due to the fact that the business goals aligned with

usability’s goals for the product, this was easy to achie-ve. Additionally, the development team for this product

was small, approximately 25-30 people, which made it a good environment to adopt a UCD approach. The user interface (UI) design specifications were

written and owned by a single person in the role of program manager (spec writer) and UI designer, thus influence did not need to be directed at a group of people. With everything in place, usability embarked on a

challenging and very exciting process to create a best of breed user experience for an IPG application. The following section walks through each step of our

approach to implementing UCD for this project and what specific methodologies were used.

Have a Business Goal Related to Ease of Use

Many usability professionals feel that in order for good

UCD awareness to take place, the attitudes and philo-sophies of usability (and design for that matter) must be internalized by those who make decisions that affect the final design of a product. The shift to internalizing usability can be accelerated

by thinking about usability from a strategic (proactive and integrated) instead of tactical (responsive and isolated) perspective [Rosenbaum et al., 2000]. By having some of the main business goals for the IPG

product specify ease of use and simplicity, a good user experience became a strategic initiative. The end result was that the entire team, from senior

management down to the individual contributor level fostered and promoted the need to ship a best of breed user experience for our product.

Fix What Was Broken

Due to the fact that the entire team for creating the Microsoft TV IPG product was very small, that meant the usability resources were limited as well. In order for the UCD approach to be successful, the

first thing that was done by usability was reflect upon what worked well for the product teams and what didn’t work well in the past. One major issue that surfaced was a lack of usability’s

awareness of what milestone the team was at in the development process and how each milestone was defined.

Caso studio: UCD

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From here, usability began meeting with the product team members to ensure the following:

1. Usability understood the various milestones in the development process. 2. Usability worked with the team to come up with

usability exit criteria for each milestone (i.e., there must be no severity 1 usability issues in order for the team to declare code complete). 3. Usability proposed a specific milestone for UI by

establishing a formal UI freeze date. 4. During the development of the product, the team

understood when usability would need to run evalua-tions on the product, and what support (i.e., such as builds on set-top boxes) usability would need from them.

The other major issue that surfaced was the product team’s inability to see how effective this “usability support” really was. To address this issue, usability brainstormed with the

members of the product team and came up with usabi-lity projects that the team was excited about and which also facilitated easy tracking of progress during the development cycle. These included benchmarking lab studies and com-

petitive evaluations.

Benchmark Using Consistent Tasks for Each Study

To prepare for the benchmarking lab studies, usability identified and wrote a set of 13 core tasks we thought most users would complete with the product. Data from previous Microsoft site visits to WebTV customers and satellite subscribers were used to help narrow down the task list. Some of the 13 tasks included:

1. Changing channels/channel surfing;2. Finding out the name of the TV program currently

being watched and what it was about;3. Searching for a specific TV program;4. Setting a list of favorite channels;5. Finding child-appropriate cartoons;6. Setting parental controls.

These 13 core tasks were given to participants to complete each time a lab study was conducted so that the task performance could be used to benchmark and measure the team’s progress over time. This benchmarking approach enabled usability to

track the improvements the team made during each stage of the development process, over a period of about one year. In total, three benchmark studies were conducted

during that one year period.

Track the Changes to the User Experience

As mentioned above, benchmarking enabled usability to track progress towards the UI goals throughout the year. To ensure that the benchmarking results were visible

to the team and easily interpreted, we created a special report format that allowed the product team to compa-re and contrast the success of tasks from study to study. Due to the report format, each finding and recommen-

dation from the previous study could be compared to the current finding so that it was easy to verify whether the last UI fix fully alleviated the usability issue.If the fix had not alleviated the issue, additional usabi-

lity findings were reported and further recommenda-tions were presented in the report. If the issue was fully addressed, no further recommen-

dations were listed in the row for that particular issue. In addition to making it easy to compare and contrast

the success of tasks from study to study, the report format also highlighted how the iterations improved the overall experience. There were some instances where usability issues

surfaced that were not identified in the previous baseli-ne study. If this occurred, these issues were listed in a New

Issues section of the usability study and the text “Not a usability issue” was placed in the previous study

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findings column. Finally, to help the product team understand how

serious an issue really was, usability prioritized each issue using a system of asterisks and check marks. Three asterisks indicated that the issue was the most

severe, while a check mark indicated that the issue had been solved or that the task was a success. After each benchmark study was completed, we

quantified the team’s progress by tallying up the number of usability issues found, and compared that number against the number of usability issues that were addressed. Furthermore, we found it useful to compare the

number of usability issues discovered from one study to the next so the team could see that the overall disco-very of usability issues was on a down trend. Quantitatively reporting the usability findings really

emphasized the team’s progress, and highlighted the merits of the UCD approach.

Deliver on Your Promise

One of the most important things that usability can do to build a sense of trust and commitment is to deliver on promises made to the team. This not only includes delivering usability reports on

time (as determined by usability and the product team) but within an appropriate amount of time after the study has been completed.

Too often, usability studies are run and it takes another 2-3 weeks for the usability report to be com-pleted. In our case, for each study that was run for the IPG

product, usability agreed that the full report would be completed and ready for reading 4 days after the last participant came through the lab. During the development cycle when the team was

working hard towards a specific milestone and basical-ly had a deadline for which UI changes could not be accepted beyond a certain point, usability worked with the team to provide quick findings so that a high level summary of the results could be shared with the team the day after the study sessions finished. This facilitated faster tracking of issues and allowed

the product team to make the necessary changes to the UI in time for critical deadlines.

Make it Easy for the Product Team

Once product specifications are created and signed off, the product team typically lives and breaths throu-gh their bug tracking system. In other words, changes don’t get done unless they

are filed as a bug. This was no different for our situation. In order to

make it easy for the product team to track the usability and design recommendations from the benchmark studies, we followed suit and filed all usability

issues/recommendations for improving the user expe-rience as (UI) bugs in the bug tracking system. Each bug contained steps on how to reproduce the

issue, a detailed list of the usability findings and the recommendations for how to fix the usability issue. Usability assigned the bug to the person who owned

that particular area in the product, and then when it was fixed and the new code was checked in, usability received a notification of the fix.Because usability had filed a bug on the UI change,

that also meant closing the usability bugs following the same bug filing procedure as the product team, the person who opened the bug was responsible for verifying that the change indeed fixed the problem, and then they were responsible for assigning the bug to a Test team member for closing. In essence, we had final say on the bug! To further

enhance tracking, we filed the UI bugs before distribu-ting the report so that the bug ID number could be written alongside each issue listed in the usability report.

Conduct Competitive Evaluations

As previously mentioned, it was agreed that a compe-titive usability evaluation would be conducted against the incumbent guide product near the end of the deve-lopment cycle.For this study, we used as many of the benchmarking

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tasks as possible, since those tasks were common tasks that users could perform with either product. Next, 10 participants were recruited for the study by

an outside agency and these participants were asked to come into the labs touse both products (in a living room setting of course). The order in which users interacted with the products

was counterbalanced to control for order effects. Feedback from the participants was obtained through

the verbal protocol method, and metrics such as task success, number of errors, and ability to complete tasks within the time limit were recorded.Participants completed post-task and post-test

questionnaires to gather subjective feedback as well.Due to the fact that the results turned out in favor of

the IPG 1.0 product, usability wanted to evangelize the success of the UCD process throughout the organiza-tion. A division-wide usability presentation was held. Once the data collection was complete, usability

analyzed the results and presented the findings in a side-by-side comparison slide presentation. Video highlights were used to help illustrate the

findings and make the presentation a little more intere-sting for the audience.

Results and Discussion

Overall, usability ran three benchmark studies on the

IPG product and one competitive study during the year of development. Over 40 major UI/usability bugs were filed in the bug

tracking system. In the end, the development team had made three full

iterations on the design and had addressed over 90% of all usability issues identified through the research. Ultimately, we found that almost 90% of users who

evaluated our product in the labs found the IPG product to be easier to use, required fewer steps to complete tasks, completed tasks more easily, and found our user experience more visually pleasing than the incumbent guide.

Looking Back – What Could We Have Done Better?

It is always important to reflect on your work to see where there is room for improvement for future projects. We have identified a few key learnings based on our

experience that include:

1. Try to run the competitive study before the product ships so that any feedback you get can be used for improving the user experience in the current version.In our case, we had to use what we learned from the

competitive study in future versions of our product because the competitive study was conducted after

IPG 1.0 had shipped. 2. Find an informal usability review methodology that

evaluates the user experience before conducting the benchmark studies. Since shipping IPG 1.0, the usability group has

worked really hard to find an informal technique that works well with the product team. We now use an adapted methodology from Wharton

et al., which is called the Streamlined Cognitive Walkthrough (SCW) (Spencer, 2000). Usability has found this methodology to be highly

successful for identifying usability issues that can be easily fixed before putting the product in front of users. The other benefit the SCW offered was increased trust

between the usability engineer, the program manager, and the UI designer. Due to the SCW methodology’s success, usability now

requires running a SCW on each user experience before it is put in front of real users in a costly lab setting. 3. Conduct more field research. During the creation of IPG 1.0, we had to rely on our

previous experience from related site visit work on satellite and cable because we had to forego doing site visits specific to IPG in lieu of spending time with the development team in the planning/scheduling mee-tings defining the milestones. Now that the relationships have been forged, we

recommend conducting more user research and site

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visits during the planning stage of the development process. Fortunately, because the UCD approach was so

successful, it helped the usability group justify more money for these types of projects for the future so we will have enough resources to continue spending time in the planning meetings and conduct the up-front user research. 4. Increase your involvement with the

planning/scheduling meetings by writing a formal usability plan for the release so that members of the product team have a document to which they can refer. Since shipping IPG 1.0, we have written a formal

usability plan for our other major shipping product and have worked with the product team to re-order deve-lopment tasks so more chunks of the user experience are implemented at one time (as opposed to the tasks being spread out during the implementation phase). Since the feature set for this new project was much

larger than IPG 1.0, this has helped us get some of the features in front of users even earlier in the develop-ment process.

Conclusions

The UCD philosophy incorporates user concerns and advocacy from the beginning of the design process and dictates that the needs of the user should be foremost in any design decision.

The results as presented in this case study showed that a UCD approach was successfully adopted in a development cycle and provided evidence that it posi-tively impacted the overall user experience of the IPG product. This case study also reinforces that if usability engine-

ers want a team to adopt a UCD approach during the development cycle of a product, they must be willing to work at it with the team. Understanding the develop-ment team’s processes and the constraints in which they develop user experiences will go a long way to ensure that the tactics you take to influence the user experience will be positively received.

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05. Ergorapido by Electrolux

The Case of Ergorapido

The transformation of Electrolux’s innovation process started with the Floor Care Group, where the Consumer Innovation Program originated. The process was rolled out to Core Appliances and other business groups in 2006. Today all business groups should follow the product management flow; however the implementation

remains a work in progress and will continue to be a pivotal focus for all groups in the years to come (Sofia Rudbeck, April 2008).In order to understand in more detail how Electrolux works with consumer insight, a specific example

of their innovation process will be described step-by-step. The description will be structured using the project’s eight-step “innovation process model”.The Ergorapido vacuum cleaner, which was the first product developed through the consumer inno-

vation process, is an example of concept innovation, based on a number of factors:

1. new ‘instant cleaning’ product category, a hand-held “duo” vacuum cleaner that was powerful, as well as easy to use and clean, so that users could clean a little every day;2. new design, attractive enough to leave in view, rather than storing it in a closet (making it more

“usable” on a daily basis);3. new product positioning at a premium price point, as users placed higher value on a product that

truly met their needs.

The innovation process began in May 2002 and resulted in a product launch in 28 markets 2004.

Caso studio: UDI

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Concept Identification (WHAT?)

The first phases of Electrolux’s innovation process (opportunity identification through concept develop-ment) typically last 3-8 months.

Opportunity Identification

Each year, Electrolux conducts a process to identify strategic opportunities for the company.There are three components of this process:

1. Macro trend analysis, including both traditional market research and “less traditional” ethnographic research on user needs and behaviours;2. Consumer segmentation analysis, where consumer

needs and behaviours are analyzed together with the company’s target segments (personified by four archetypes);3. Industrial analysis, identifying opportunities areas in

the industry (e.g. which markets are growing/shrinking, which product categories are growing/shrinking, etc.).

In this case, comprehensive surveys and ethnogra-phic research showed a change in consumer behaviour (cleaning a little every day instead of cleaning the entire home once a week). In addition consumers were proven to be willing to

pay a premium price for quality and design, however

the perception of the category was suffering from poor product performances. The industrial analysis found that that there was a

large market in Europe, although the products were relatively low-priced, and the majority were hand held cleaners. These insights, combined with the other analyses,

resulted in the identification of instant cleaning products as an opportunity for Electrolux.

UDI Methods/Tools used in the process: - Ethnographic research.

Data Collection

Once the opportunity was identified, and before proceeding too far with product development, Electro-lux needed additional insights in consumers´ behaviour and attitudes regarding this type of commodity. The overall purpose of the study was to understand:

1. the consumers attitudes to instant vacuum clea-ners; advantages and disadvantages (based on existing products);2. when, where and for what an instant vacuum clea-

ner preferably can be used;3. how the ideal instant vacuum cleaner should

perform and be designed (based on consumer respon-ses to four Electrolux Instant Vacuum Cleaner

concepts).

Six focus groups were created in France (Paris) and Germany (Munich).The target groups were medium/upper income levels

who were involved in the cleaning of their home but lacked the time for household cleaning, in spite of feeling that it was important to have a clean and tidy home. The participants were also owners of an instant batte-

ry vacuum cleaner or intended to buy one in the near future (NFO). In addition, experts were consulted in order to deter-

mine if existing products were meeting user needs.In addition to employing professional ethnographers,

Electrolux personnel (designers, engineers and others in the product development team) are also required to conduct home observations. The purpose of this is to develop both insight of and

empathy with the consumer. This helps Electrolux personnel to move their point of

departure from the company’s shop floor to the consumer’s perspective.

UDI Methods/Tools used in the process:- Home observations;- Brainstorming sessions with users;- Interviews with experts.

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Pattern Recognition

The results from the data collection phase served as input to internal brainstorming sessions (within the consumer insight team) and a one-day workshop invol-ving many competency groups throughout Electrolux: consumer insight and strategy, designers, engineers and marketing. The internal brainstorming sessions and workshop

concluded that existing handheld vacuum cleaners were underpowered, too noisy, broke down frequently and had filters that were difficult to clean. In addition, existing products did not fulfil an identified

user value of pride in their home environment. (Users wanted their home to look good, as it was a

reflection of them).

UDI Methods/Tools used in the process:- Internal one-day workshop.

Concept Ideas

Based on conclusions from the pattern recognition phase, Electrolux developed a number of concept ideas. These concepts were pre-screened with users

(through focus groups, tests of packaging and design and pricing studies) and adjusted based on input from the users.

As an example, user input in this phase highlighted the need for a different method for emptying the dust collector and a stick with telescopic features. After a number of iterations (working from many ideas

to a few, making adjustments along the way), this step resulted in one concept that then moved into product development.

UDI Methods/Tools used in the process: - Detailed text and a simple sketch;- Six focus groups (with core users);- Concept Implementation (HOW?).

Conceptualization

At this step in the process, functions, features, color and form are defined more concretely, at the same time as the product’s business model (how best to produce and distribute) is determined. Product development is aligned around certain key

themes (responding to user needs and behaviours) throughout the process.The hand-over from the concept to commercialization

phases (from the consumer insight program manager to the market research team) takes place during a 2-day workshop to ensure that the market research team truly understands what the consumer insight team has learned.

This is followed by a 2-3 day workshop where all members of the market research team work intensively with a number of activities (segmentation exercises, de-briefing from external market research companies, and conceptualization exercises) focused on making the research meaningful. Conceptual solutions are developed and

discussed/debated during this workshop.

UDI Methods/Tools used in the process:- Market research;- Business research (business case);- Technology research.

Prototype

Protoypes of the product are developed internally (except in the case of professional products, which involve lead users).

Test

The prototypes are testing with users through focus groups and detailed interviews.

UDI Methods/Tools used in the process: - Focus groups.

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Implementation

The Ergorapido hand-held vacuum cleaner was laun-ched in 2004. Production took place in China, whereas the brand

management process was led from Stockholm. The commercial launch strategy had the objective of

initially creating category awareness and change perception. By building preferences through product benefits,

these preferences would then attract customers who would proclaim a demand for the product in retail stores. The media plan increased awareness through repeti-

tion with an inter-linked PR program.In general at Electrolux, the “spark” in most product

development processes occurs during theconcept idea phase, when Electrolux’s team has

worked together with users for a period, and product ideas have become more concrete. New technological developments are not an important

part of most product development at Electrolux. Rather, existing technologies are combined in new

ways in order to solve currently un-solved problems and better meet user needs.It is difficult to assess the impact of a particular inno-

vation. In the case of the Ergorapido, however, there are a

number of reasons that motivate Electrolux’s perspec-

tive that that the product has had a high impact for Electrolux:

1. After the launch of the Ergorapido, the market for hand-held vacuum cleaners in Europe Doubled; Ergo-rapido captured 60% of this market;2. Ergorapido was launched at a 40% price premium

(over existing products in the category), with success, proving that users place a high value on the product;3. Ergorapido has maintained its high market share

and premium positioning over the last three years.

Overall, with the Ergorapido, Electrolux succeeded in:

1. changing the perception of a category by initiating awareness and creating consumer confidence;2. show-casing what and how a consumer-centric

innovation process can contribute with (with regards to design, launching, concept development etc.);3. encouraging multidisciplinary collaboration proces-

ses;4. upgrading the positioning of the Electrolux brand

through the creation of superior value, and5. offering the company a best practice case, from

which essential eruditions can be drawn and utilized in future product development.

Key Lessons

After nearly five years of global roll-out and recogni-zed success of Electrolux’s Consumer Innovation Program, senior management feels that they have come quite a long way in transforming the company from a traditional product development focus, to a consumerinsight focused company.There are still a number of ongoing challenges, inclu-

ding: the adaptation from focusing on the customer/channel to focussing on the consumer; the need to adjust one’s way of thinking, starting the process with user problems and needs, rather than with solutions; and the continued scepticism about the change from “the regular way” of producing and selling things to a process that is driven by consumer insight. These will surely be addressed with the same level of

ambition and success as the challenges that faced the company when Stråberg took the helm more than five years ago. Some of the lessons learned from Electrolux’s expe-

rience so far include:

1. Innovation does not have a single home. Rather, innovation is about thinking about things in a

new way and developing an innovation culture throu-ghout the company. This requires top management (CEO) leadership, and

concrete activities implemented in a very systematic

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way in order to achieve results. At Electrolux, this way of thinking was promoted by

the highest management levels, right from the start. The consumer innovation program was addressed in

regular intranet communications. In addition, the company implemented an intensive

(3½ day, 8:00-21:00) training programme throughout the company.2. Market leaders have a responsibility to lead the

market. If companies fail to find ways to increase the value-

added of the whole industry, then commoditization will eventually happen. Electrolux has chosen to pursue consumer insight-

driven innovation as the way to bring increased value to consumers (and thus to the industry as a whole).3. In the end, to deliver profit for the company, the

company must deliver value for the consumer. It may be difficult to measure if investments in

innovation/product development processes are delive-ring results. At Electrolux, however, a few measures have been

developed and used with success, proving to employe-es and shareholders that the increased investment and transformation was worth it.4. Product developers and designers at Electrolux do

not typically have a deep understanding of user needs. In order to develop products that deliver value to the

user, it is necessary to provide these people with

deeper consumer insight and a better understanding of the problems that they should solve.5. Investments in consumer insight research do not

necessarily lead to high impact. For consumer insight to have a high impact, it must

become integrated into the company’s own innovation and branding strategy.6. The hardest part is not understanding user needs,

or involving users in developing products. Rather, the hardest part is bridging the gap in understanding within an organization, and transforming the mindset of ever-yone within an organization.7. There are a number of general challenges that need

to be addressed: - There is a lack of people who are educated/skilled in

ethnography for design and product generation.- Access to appropriate market data is limited. Broad consumer insight research, on a global scale, is

a strategic tool which is in high demand. Now, many companies (e.g. Electrolux, Intel, Shell, Nokia) are pursuing this individually.

In summary, the Electrolux case provides an excellent example of the systematic use of consumer insight and strategic design in the innovation processes of a global leader in a mature industry. New innovation methods were combined with traditional operational efficiency and cost-savings measures in order to produce Electrolux’s successful repositioning.

Linkografia

-http://en.wikipedia.org/wiki/User-centered_design-http://www.usabile.it/302007.htm-http://www.urp.it/cpusabile/index8cd3.html-http://accessites.org/site/2008/06/user-centered-design-and-usability-its-role-in-a-project/-http://www.upassoc.org/usability_resources/about_usability/what_is_ucd.html-http://www.webcredible.co.uk/user-friendly-resources/web-usability/user-centered-design.shtml-http://innovationzen.com/blog/2006/10/07/user-driven-innovation/-http://www.forskningsradet.no/en/Userdriven+innovation+project/1195592882772-http://www.norden.org/pub/velfaerd/naering/sk/TN2006522.pdf-http://foranet.dk/upload/hovedrapport_engelsk.pdf

Casi Studio

-http://www.brighton.ac.uk/cmis/courses/postgraduate/pgpit/euroitv/euroitv03/Papers/Paper2.pdf-http://www.nordicinnovation.net/prosjekt.cfm?id=1-4415-246

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06. “6 thinking hats”, Edward De Bono

Scegli e documenta con tre esempi realizzati (ricerche, processi, prodotti o servizi) l’applicazione di una metodologia progettuale creativa in ambito di design (illustrando anche la teoria da cui scaturisce).

Tecnica creativa dei SEI CAPPELLI

La tecnica dovrebbe essere applicata in gruppo. Quest'ultimo può essere eterogeneo e dovrebbe includere alcuni esperti dell'argomento di cui si sta

trattando. Tuttavia la tecnica può essere anche utilizzata per strutturare il pensiero delle persone.PRO: La tecnica è utilizzata per prendere delle decisioni da un importante numero di prospettive. Ciò

forza a muoversi al di fuori degli abituali schemi di pensiero e aiuta ad avere una completa visione delle situazioni. CONTRO: Il processo dovrebbe essere guidato da un facilitatore esperto dell'argomento e del

gruppo. La formazione è necessaria per realizzare un corretto utilizzo dei cappelli.Il metodo dei sei cappelli per pensare è stato inventato da Edward de Bono nel 1980. I cappelli rappresentano sei modi diversi di pensare e servono per guidare la scelta della modalità di

riflessione, piuttosto che per definire cosa deve pensare chi li indossa. I cappelli vanno usati in modo proattivo invece che reattivo, e incoraggiano un tipo di pensiero paral-

lelo, solidale e non antagonistico. La tecnica è anche utile per evitare che i risultati siano influenzati dalla personalità dei partecipanti,

nel senso che quello che conta è il risultato piuttosto che difendere la propria opinione.Inoltre permette di avvalersi del pensiero di ogni partecipante che è unico, e questo garantisce che la

soluzione scelta alla fine sia valida, condivisa e ponderata.Ciascuno dei sei cappelli è di un colore diverso ed è il simbolo di un modo di pensare: quando si

indossa uno dei questi cappelli, si decide di pensare esclusivamente nel modo corrispondente al colore. Ovviamente tutti i partecipanti hanno la possibilità di mettersi un cappello e poi di cambiarlo e, se fra

colleghi ci si scambia il cappello, bisogna pure scambiarsi la modalità di pensiero. Ogni partecipante deve poter indossare ciascuno dei sei cappelli e riflettere.

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I vantaggi di questa tecnica sono:

1. consente di risparmiare tempo offrendo un conte-sto per le riunioni di “riflessione comune” che condu-cono ai risultati richiesti, minimizzando i conflitti di personalità, mettendo da parte quei tratti della perso-nalità che si frappongono ai risultati, separando i fatti dalle emozioni, e consentendo di concentrarsi meglio e di non uscire dal seminato durante le discussioni;2. migliora le prestazioni off rendo un contesto che

consente di prendere decisioni migliori, di prepararsi meglio ad attuare il cambiamento, di vedere tutti gli aspetti di una situazione, di avere un tipo di comunica-zione chiara e concisa, di gestire un’ampia serie di dati, di riflettere a fondo e di progettare piani d’azione che sono sostenuti dal gruppo e che possono davvero essere realizzati;3. accresce i risultati creativi e innovativi off rendo un

contesto per generare idee valide e originali, per cogliere le opportunità giuste, per considerare un’ampia gamma di questioni, per sviluppare piani d’azione volti a minimizzare il rischio, e per promuovere delle proposte presso il management e i clienti con maggior sicurezza.

Utilizzando questa tecnica, si impara ad andare oltre ciò che è scontato, ad individuare nuove opportunità, a tenere a bada i tratti di personalità e a conseguire risul-tati dinamici.

Secondo Laura Donahue, che lavora alla Nestlé: “I sei cappelli sono un metodo semplice ma portentoso, facile da imparare e da applicare, per conseguire dei risultati duraturi nel tempo.Ha aiutato il nostro gruppo responsabile dello svilup-

po prodotti a produrre idee velocemente, a valutarle efficientemente, e ad attuare dei piani d’azione in modo efficace”.Edward de Bono ha inventato la tecnica dei sei

cappelli per chiarire le diverse modalità di pensiero utilizzate dalle persone nel contesto della risoluzione dei problemi. Ciascun cappello rappresenta un approccio comune-

mente usato per il problem solving, e ha l’obiettivo di far riconoscere ai partecipanti, grazie al suo simboli-smo, le modalità di riflessione che utilizzano, e quindi a capire meglio i loro processi mentali. Un altro obiettivo della tecnica è di aiutare a compren-

dere anche come ragionano gli altri, per poi essere in grado di incorporare alcuni di questi elementi nel proprio pensiero.Il metodo può essere applicato da un gruppo ed è

adatto a dipendenti, team leader, responsabili di progetto, divisione risorse umane, responsabili di busi-ness unit, tecnici, avvocati, R&S, e numerosi altri settori come: sviluppo prodotto, commerciale, pubblicità, marketing, informatica, finanza, servizio clienti, e per i professionisti. In generale è utile per quei gruppi che vogliono svilup-

pare idee innovative o risolvere un problema.Il metodo dei sei cappelli per pensare si basa sulla

differenza che esiste nel rilascio e nell’utilizzo delle sostanze chimiche cerebrali a seconda dell’atteggiamento che si assume, ad esempio positivo o sulla difensiva. Questa pre-sensibilizzazione chimica è una parte

essenziale della funzione cerebrale, ma dato che non può riguardare simultaneamente tutte le aree del cervello, è necessario distinguere le diverse modalità di pensiero.Il metodo dei sei cappelli consente di superare il

problema della personalità che è molto comune nelle modalità di pensiero tradizionali: infatti cerca di andare oltre il dualismo per il quale si tende a difendere o attaccare un’idea.

Ogni "cappello per pensare" è un differente stile di pensiero; i significati sono spiegati di seguito:

Cappello bianco

Con questo cappello ci si focalizza sui dati disponibili. Bisogna ricercare le informazioni che si possiedono

riguardo il problema e bisogna cercare di ottenere delle informazioni utili. Con questo cappello si cerca di analizzare gli anda-

menti passati e si cerca di estrapolare informazioni dai dati storici.

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Cappello rosso

"Indossare" il cappello rosso significa guardare il problema usando intuizioni, reazioni ed emozioni. Anche provando a pensare come altre persone reagi-ranno emozionalmente. Provare a comprendere le risposte delle persone che

non conoscono completamente i ragionamenti.

Cappello nero

Usando il cappello nero per pensare, si guarda a tutti i punti negativi delle decisioni. Si guarda in modo cauto e difensivo. Provare a vedere perché la soluzione potrebbe non

funzionare. Questo è importante perché evidenzia i punti deboli

del piano.Il cappello nero aiuta a rafforzare e rendere più

resilienti i piani. Può anche aiutare a individuare debolezze critiche e

gli eventuali rischi. Il cappello nero è uno dei reali benefici della tecnica in

quanto molte persone utilizzano un pensiero positivo che spesso non permettono di vedere i problemi in avanzamento. Questo permette di prepararsi alle difficoltà.

Cappello giallo

Il cappello giallo aiuta a pensare positivamente. È il punto di vista ottimistico che aiuta a vedere tutti i

benefici della decisione e del valore. Il cappello giallo aiuta a continuare la discussione

quando tutte le cose sono viste con difficoltà.

Cappello verde

Il cappello verde sta ad indicare la creatività. Viene indossato per sviluppare soluzioni creative a dei

problemi che emergono durante la discussione delle idee. Con questo cappello si possono anche utilizzare altre

tecniche per far emergere delle nuove idee, che permettano di continuare la discussione.

Cappello blu

Il cappello blu serve a controllare la discussione. È il cappello utilizzato dal moderatore dell'incontro. Quando si incontrano delle difficoltà con questo

cappello si cerca di riassumere, di sintetizzare i conte-nuti del discorso e cercare di far ripartire la valutazione dell'idea.Una variante di questa tecnica è di vedere il problema

sotto diversi punti di vista, per questo il gruppo di discussione dovrebbe essere composto da persone

che ricoprono diversi ruoli professionali (es. architetti, dottori, direttori vendite, ecc.,) o anche clienti dell'azienda.

Il segreto del successo di questo metodo sta nell’ordine dei cappelli.Talvolta è possibile programmare una sequenza

specifica dei cappelli per riflettere in modo produttivo su alcuni aspetti. L’ordine può variare a seconda della situazione;

quando ad esempio si affronta un tema nuovo, l’ordine può essere:

- bianco: per raccogliere le informazioni;- verde: per far emergere idee e proposte;- giallo seguito dal nero: su ciascuna alternativa (per

valutare le alternative);- rosso: per sondare le emozioni in questa fase;- blu: per decidere come procedere.

Se invece si deve discutere una proposta che è già nota ai partecipanti, la sequenza può essere: rosso, giallo, nero, verde (per superare gli aspetti negativi), bianco e blu.

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07. Logo HP

Problema

Hewlett-Packard, one of the world’s largest organizations, is a leading global provider of products, technologies, solutions and services to consumers and business.The May 2002 merger of Hewlett-Packard and Compaq Computer Corporation created a powerfulteam of more than 140.000 employees in 160 countries. Along with the tremendous opportunity created by this merger came a lot of chaos.The enormous task of merging the two giants together without losing sight of the customer came

down to the capability of individual teams working together to create plans in line with HP’s corporate goals… Fitting the pieces together. No easy task when performed in the midst of clashing corporate cultures and crushing morale

problems.Jon Albregts, a Process and Quality Management Network Storage Solutions team member,was given the task to organize the strategic planning meetings for his team-meetings whereevery team member was asked to present their business plan. This team had expressed concern that poor group dynamics were really holding them back-a lot of

power plays were interfering with performance.How then was Jon to get this group to work together to generate useful ideas to meet their goals and

all within two days?

La soluzione inspirata dal metodo dei sei cappelli di De Bono

Just prior to being given the task to organize the strategic planning meeting, Jon had completed three days of Creative Thinking training. Having been through many fruitless training sessions, Jon admitted, “I was really dreading spending three days in a classroom. But less than an hour into the class I was hooked.”After the training session, Jon emailed the facilitator, Mike Sproul, to tell him how pleased he was with

the training.

Caso studio: HP

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He had recognized the opportunity to apply the skills he just learned to the task at hand. So he decided to elicit some advice from the expert.

Expert helpMike Sproul, one of 18 de Bono Master Trainers in the

world, helped pioneer the use ofcross-functional engineering in product management

teams. His extensive work in this area led him to realize the

critical need for focused, simple, and effective team-based collaborative and creative thinking methods. Mike holds seven U.S. patents and five foreign

patents.As tangible evidence of his belief in the team environ-

ment, each of those patents has atleast one other person listed as co-inventor.Jon emailed Mike his plan for applying the de Bono’s

Six Thinking Hats he’d learned during the creative thinking training. Jon had mapped out a solid foundation for the event. Mike helped Jon tweak the outline and coached him

through baseline expectations. Here’s what the two of them came up with:

Pre-work:An email request was sent out to each member of the

team. The request included an outline of the overall goals of

the group. Each member was asked to come prepared to present

the neutral details, facts, information and facts needed (white hat) for their plan.

Day of the Event:Each member presented their business plan and then

Jon facilitated a Six Hats thinking session with the group around each team member’s #1 initiative. Here’s the thinking sequence that was used:

1. White Hat (Any questions on the details presented? Anyone have the missing facts?);2. Yellow Hat (What are the benefits of this initiative?);3. Black Hat (What are the cautions, problems, chal-

lenges?);4. Green Hat (What are some ways to overcome the

Black Hat concerns?);5. Lateral Thinking: Alternatives (What are some alter-

native solutions / ideas?);6. Red Hat (What’s your gut feeling about the plan?);7. Blue Hat (Identify next steps. Are we ready to imple-

ment?).

Each presentation took approximately 25 minutes. Participants were surprised to find that the normal

argument and debate that had typically frustrated them and hampered results was very significantly reduced. Not that their meeting was a love fest, but no one

could argue with the results… They had accomplished far more as a team than ever before.

Il risultato

Using the creativity tools (Six Thinking Hats & Lateral Thinking) had a HUGE positive effect.All initiatives were prioritized and evaluated based on

“do-ability vs. impact.” The thinking session provided the insight needed to

move initiatives toward high impact / low cost.After meeting for two days, in meetings that usually

leave people drained, uneasy and frustrated, not only did the team improve and prioritize business plans, but they came out of it saying, “This was the best team building activity we have ever gone through!” Several participants were so impressed with the Six

Hats as a tool that they asked to have the HPintranet-training link sent to them. They want to learn more about the process that

helped create the success they had just experienced.At Compaq Computer, the de Bono programs, Six

Thinking Hats and Lateral Thinking, have been used as part of the quality initiative for several years. The success of the de Bono tools in the quality

program has spread to numerous divisions and segments of the new Hewlett-Packard/Compaq conglomerate.

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07. Logo Indesit Company

The whole application lasted 6 days and was grouped in 3 two-days workshops, to be held at Indesit Company’s headquarters in Fabriano (AN, Italy).

Description of the participants

All the participants worked for the Business Unit Costumer Care.The composition of the group attending this session was made of 18 employees in charge of thefollowing roles:

1. “Team managers”: they coordinate and control the call center operators;2. “District Managers”: they are the interface between BUCC/Indesit and the network of assistance

technicians in a specific Italian region;3. “Costumer Service Managers”: they control the procedures of product/compenent substitutions

and of assistance.

Description of the session

The description of the session will follow this structure:

1. Predisposition phase;2. Idea Generation phase (use of Provocation&Movement technique);3. Description of the Evaluation of the first generated idea (use of Six Thinking Hats technique);4. Description of the Evaluation of the second generated idea (use of Six Thinking Hats technique);

PREDISPOSITION PHASEThe first three presentations (“Beyond Efficiency toward Discontinuity”, “Through the Lens of Creati-

vity”, “Organizational Creativity”) had the purpose of raising the awareness of the team about the importance and usefulness of creativity and of predisposing them to the use of creative techniques for

Caso studio: INDESIT COMPANY

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the following phases. The people in the team were really enticed and

amused especially by the first presentation, so that a lively open discussion followed about whether their business unit was a chaotic or ordered organization and which elements of chaos and order could be singled out. In this phase several people talked freely about their

difficulties at work and this contributed to focus their mind on possible topics to cope with in this creative session. After the other two presentations, the general feed-

back was that the team was eager to make use of the techniques to be presented in the following presenta-tions.

IDEA GENERATION PHASE

- Step 1: Setting up Provocations.

After the presentation of the technique “Provocation & Movement”, the facilitators asked the team to set up a few provocations by using the Provocation methods. The people in the team were uninhibited so they

started to throw provocations freely without the inter-vention of the facilitators.These provocations were noted in a paper board. Here is the result:

c. The customer is our technician;d. The product is customized;e. Technical assistance is free forever;f. The customer is happy when he phones to the call

center for a failure;g. There is an automatic shipment of spares.

Then the team was asked which provocation they wanted to start working with. Therefore each provocation was voted openly by

everyone. More than one choice could be made. The most voted provocation was then selected: “The

customer is happy when he phones the call center for a Failure.”From this point on, the description of the session will

focus on how a particular idea has been developed (Registration of product and customer).

- Step 2: Movement.

For the selected provocation, one of the Movement methods (in this case, “Extracting a principle”) was chosen to direct the provocation into one feasible idea. This step and the following discussion was carried out

openly with all people participating, but the facilitators were needed to remind the participants about the Movement methods.

PROVOCATION: The customer is happy when he phones the call center for a failure.MOVEMENT: The customer should gain a certain

benefit phoning to the call center.IDEA:1. The customer when he calls for a failure earn points

on a fidelity card to buy new household appliance or to win other prizes;2. The points can be accumulated even with purcha-

ses of other Merloni products and/or services.

The Movement step consisted in extracting a principle from the provocation “The customer is happy when he phones the call center for a failure”. That is, the team tried to answer to the questions:

“Why is this customer happy when he calls? Is there any general reason that makes a customer happy when he calls the service number?”.The common answer was that customers are happy to

call when they expect to gain a certain benefit. The following discussion concerned about some

possible tangible benefits for a calling customer: the group agreed that customers could possibly earn some kind of “points” each time they call.These points could be accumulated in a card that may

be used later to have discounts on new products or win other prizes. Moreover, this card could hold points also coming

from purchases of other products/services from Indesit

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Company.The original provocation anyway proved very fruitful,

since during the Movement step another principle was extracted. An analogy between the service operator and the

family’s doctor emerged from the discussion: both characters interact with “customers” who are initially unhappy, but who feel confident about finding a solu-tion to their problem. This consideration struck the participant’s imagina-

tion and another idea emerged from the group:

PROVOCATION: The customer is happy when he phones to the call center for a failure.MOVEMENT: The customer refers to the call center

operator as family’s doctor, confident about finding a solution to the problem.IDEA:1. The customer to be able to choose the trusted

operator must already know the resources of the call center;2. In order to know the resources of the call center the

customer is provided with an audio/video information tool when he buys a new product.

Thus, from the same provocation, two different ideas were drawn through different movements.Hereafter we are going to start with the description of

the Evaluation phase for the first idea, which will be

followed by the second one.

EVALUATION PHASE (1st IDEA): "Smile, you have a failure!”From ignored customers To 'cuddled' customers

The definition of new ideas from the original provoca-tion ended the Idea Generation phase. The next phase aimed to fully discuss this ideas by

using the Six Thinking Hats technique. The purpose of the Evaluation phase would be to

assess if the idea emerged is feasible and, at least, if a few initial implementation steps can be defined. Otherwise, if the evaluation is negative, this idea

would be rejected before taking into consideration a possible implementation plan.The Six Thinking Hats technique was then presented. The Six Thinking Hats session therefore started on the

fidelity card idea. While the application of Provocation & Movement

lasted less than 1 hour overall, the Evaluation phase took more than 2 hours of discussion in order to be fully completed.Hereafter we provide indications on how the session

was run with a few considerations from the facilitators’ point of view:

1. after the training presentations, each participant was given a set of 6 coloured cards, each one repre-

senting one different hat; coloured cards were prefer-red over hats because hats may be considered “ridicu-lous” to wear by someone, while cards are as funny as hats but more “neutral”; moreover, hats may be difficult to transport while coloured cards may be easily obtai-ned with simple materials (paper, scissors, marking pens, etc.) usually present in most offices. Coloured cards proved effective anyway;2. the session began with the White Hat, for two main

reasons:

a. it is useful to collect all objective data (costs, norms, restrictions, etc. etc.) before evaluating positive and negative aspects of an idea;b. participants are more easily involved in the discus-

sion if they start by explaining “neutral” information.

During this session, many people soon afterwards started using the other hats correctly without support from facilitators;3. the author’s recommendations about the use of the

Six Thinking Hats state that each hat must be worn simultaneously by all participants in order to force people to assume the hat’s point of view; in our expe-rience, we let the participants use the cards freely: for instance, someone could state a Yellow Hat considera-tion while immediately after another one could inter-rupt with a Green Hat suggestion. The only restraint was that each people had to hold

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the relevant coloured card in front of him while stating his consideration (e.g., he had to hold the yellow card if he was going to state a “yellow hat” sentence). This allowed people to freely express their thoughts

without having to wait for the hat’s turn, while at the same time they were shielded by other people’s opinion because they were “wearing a hat” anyway. On the other side, this method may lead to chaotic

discussion if facilitators are not strict in enforcing the use of the cards and limiting people who tend to inter-rupt frequently (mainly with a Black Hat attitude);4. the facilitators paid attention if the same participant

held the same card every time he intervened; in this case, the person was invited to ‘wear a different hat’ and make a relevant statement; this approach was fruitful for both the participants and the overall discus-sion;5. the session was managed with the support of a

notebook and a projector; six different PowerPoint slides were prepared with different background colours, one for each hat; as statements were thrown, one facilitator reported them in the relevant slide;6. at several points during the discussion, the facilita-

tors or one of the participants held the blue card (representing control) and overviewed the collected sentences, by cycling through the different slides. If some slides were too empty in comparison with

others, the facilitators invited the participants to wear the hat in question and throw a few more considera-

tions;7. during the intermediate overviews, pending issues

were noted (usually Black Hat negative remarks or Yellow Hat possible exploitations); therefore facilitators invited people to wear a given hat (usually the “green hat”) and try and solve the issues;8. while using the Green Hat, participants usually

generated new ideas and solutions by sheer intuition and common brainstorming; if the group was stuck with some problem that could not be solved, the facili-tators recalled the Provocation methods: they proved helpful also in these cases;9. at the end of the sessions, all the participants and

facilitators wore the Blue Hat and summarized the conclusions in the final Blue Hat slide.

Here follows a summary of the evalutation of the fideli-ty card idea with the use of the Six Thinking Hats:

The WHITE HAT: all the analytical data1. The idea of a fidelity card has been already propo-

sed in the past;2. The card must be desirable and worthwhile to

strongly attract the customer;3. Costs for the creation and the management of the

card must be checked;4. Who pays for the prizes? A possible “gift pack ”,

oven cleaner, etc., costs about 20 euros;5. In the past there have already been similar experi-

ments: despite the available prizes, the customer did not use to phone the call center to sign up and give his data;6. In the past even the offer for a free check-up had

little success.

The RED HAT: emotions1. If points are given only in case of failures and repai-

ring, the possible implicit message for thecustomer would be that the household appliance

“should” anyhow break down;2. The customer would feel “privileged”.

The YELLOW HAT: positive aspects1. The system for point acquisition could improve the

request of accessories or other products/services (e.g.: warranty extension);2. Customers willing to gain new points would call for

the repairing only the authorized technicalassistance center;3. Through the card it would be possible to register

and “trace” new products and monitor new customers;

The BLACK HAT: what’s wrong whit it?

1. A specific ministerial authorization could be neces-sary;2. Managing the cards and the scorings would be too

complicated for the company;

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3. It could be difficult to find the sponsors;4. The card wouldn’t be appealing since the acquisi-

tion of new points wouldn’t be frequent;5. Too many cards exists!

The GREEN HAT: new further ideas

1. The card could be attached to the instructions booklet;2. The card could be activated by:a. Phoning to the call center orb. Going to the selling point/authorized technical

assistance center.3. The customer could earn points if he recommends

the purchase of the product to other customers(multimarketing);4. There could be an annual prize draw 5. The card could contain the registration number and

the model of the machine;6. According to the earned points, the kind of prize

could be chosen.

The BLUE HAT: final overview

1. The idea of the fidelity card is not considered gene-rally sound since:a. Past similar experiences were not successful;b. It would imply too many management burdens for

the company.

2. The real benefit related to the system of the fidelity card is related to the possibility of acquiring the data about customer and product;3. In synthesis, the first evaluation round let to:a. Basically reject the idea of the fidelity card; b. Clearly raise the relevance for Merloni of acquiring

data about the customer and the purchased product.

As can be noted from the summary, at the end of the evaluation phase the idea of the fidelity card to let users accumulate points when they call the service numbers was abandoned. Anyway the discussion proved useful and successful

for two main reasons:

1. since the working group agreed that this idea was to be abandoned, no further effort was going to be wasted in development;2. the Six Thinking Hats technique generated an

extended overview about many aspects and topics related to the fidelity card idea: during the discussion, a few of them were singled out as very important key-factors for the mission of the business-unit; the group, while discarding the initial idea, decided to focus on these instead (“spill-over” effect).

Thus the group noticed that the most important key-factor that could be enabled by the employment of a fidelity card was the possibility to acquire data about

the customer and the purchased product.In fact, while Indesit Group sold more than 2 millions

products in 2003, only a very small part of them has been registered, since only a small part of products is faulty and needs the contact with the call center. Therefore, since customers’ and products’ data are

considered one of the most valuable assets for marketing/service actions, the group wanted to investi-gate how to induce the customers to registrate their products.Therefore, the group autonomously decided to use Six

Thinking Hats immediately after the conclusion of the initial assessment in order to fully explore the new problem of the registration of customers and products. In the following table we provide a summary of the

most important points of the session:

Evaluation of the REGISTRATION OF CU-STOMERS AND PRODUCTS idea with the Six Thinking Hats

The WHITE HAT: all the analytical data1. The serial number necessary for the record is

visible only after the removal of the packaging: therefo-re the registration cannot be done at the moment of purchase;2. Only 5% of the machines are affected by failures,

therefore the Call Center now registers only a limited part of whole production;

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3. In 2003 Merloni sold about 2 millions of machines;4. It is estimated that a request of 20.000

products/year can be stimulated through the registra-tion if at least 10% of all the customers provide their data;5. The Call Center has about 1,5 million contacts/year:

in order to be able to manage further 200.000 contacts/year the Call Center would need at least other 7 people.

The RED HAT: emotions1. The customer could feel 'cuddled' by the cares of

Merloni;2. The customer could feel 'annoyed' by an excessive

sending of invitations/promotions/ communications;

The YELLOW HAT: positive aspects1. By the registration of customer and product it

would be easier to understand the market trends;2. Even the selling points could be interested in acqui-

ring and sharing these data;3. The registered customer could be contacted after 5

years to propose him the replacement of his old appliance.

The BLACK HAT: what’s wrong with it? 1. The sellers wouldn’t be interested to support this

initiative since they could feel supplanted;2. There would be problems between the Sales

Department and the Technical Centers for the manage-ment of replacements (i.e.: exchanging an old house-hold appliance with a new one).

The GREEN HAT: new further ideas1. In order to induce the customer to register, we can

suggest:a. Discount at the moment of purchase;b. Discount for the next Merloni product that will be

purchased;c. Immediate gift of consumers’ goods (e.g.: Tupper-

ware, Zucchi, etc.);d. Recharge (5 or 10 euros) for the mobile phone;e. The registration of the product could be made

directly by the customer via internet to lighten the effort of the call center;f. The customer could check on-line the situation of

his own appliances (es.: warranties, check ups, etc.).

The BLUE HAT: final overview (I)1. For the registration of the customer and of the

product two scenarios can be foreseen according to the level of reliability of the seller:

LARGE DISTRIBUTION- The customer can immediately register himself

obtaining a direct discount on the product;- The customer registers the product at home by

phoning the Call Center or via Internet receiving a

mobile phone recharge.SMALL RETAILERS- The customer registers both himself and the product

at home by phoning the Call Center or via Internet receiving a mobile phone recharge.

The BLUE HAT: final overview (II)1. With the registration of customers and products an

increase of contacts for the call center is foreseen;2. This increase will probably imply a strengthening of

the resources of the Call Center;3. The expected increase of the replacements could

have a twofold effect:- Diminution of the reparations, therefore potentially

less incomes for the technical assistance centers;- An erosion of sale volumes through traditional chan-

nels, therefore potentially less incomes for the selling points.

The Six Thinking Hats proved very helpful. The direct use of the Green Hat was very common

throughout this session: many possible solutions for the registration of products were spontaneously gene-rated by most participants and each one was quickly assessed with its pros and cons. The group finally converged into the depiction of two

possible scenarios, whose features were summarized with the final Blue Hats. There was a general agreement and satisfaction about

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the results of this session.

GENERAL ISSUES AND COMMENTS FOR INDESIT COMPANY CASE STUDY

The most relevant distinction between the three groups of sessions was the participation of different people at different hierarchical level. In particular, the composition of the groups was as

follows:1. Sessions 1&2 (18 people): employees in charge of

the following roles:- “Team managers”: they coordinate and control the

call center operators;- “District Managers”: they are the interface between

BUCC/Merloni and the network of assistance techni-cians in a specific Italian region;- “Costumer Service Managers”: they control the

procedures of product/compenentsubstitutions and of assistance.

The participants were chosen according to the following criteria:

1. they work for the Business Unit Consumer Care: this let to focus the activities in a specific field;2. each group was formed by people who have diffe-

rent roles within the unit: this let to have different views and contributions for a single problem/topic;

3. each group was formed by people who knew each other before the sessions: this helped to create imme-diately a favorable and friendly climate;4. the group that attended the first set of sessions was

formed by employees, the second group by cadres, the third one by executives (of different nationalities: Italian, Portuguese, Spanish, Dutch, etc,): this settle-ment allowed also to draw some “qualitative” conclu-sions about the possible relation between the efficacy of the proposed framework and the hierarchic level of the participants.The contents of the sessions were refined according

to the feedback collected before. This refinement consisted mainly in:

a. inserting two new introductive presentations that actually aroused the attention of the participants provi-ding them at the same time with concepts about creati-vity and innovation, enriched by many examples, useful to contextualize the topic;b. reducing the theoretical part and synthesizing the

description of the techniques;c. making the presentations of the techniques be

followed by practical examples and by an interaction with the participants that should be able to apply the techniques immediately.

This means that, for instance, after the description of the technique of Provocation & Movement, the people

who attended the session were asked to launch new provocations related to their work.Once collected and voted by the participants all the

provocations, the best one was developed and the emerging idea evaluated in a second stage with the Six Thinking Hats.5. favoring the emergence of real problems that could

be faced using the proposed framework and dedica-ting most part of the sessions for analyzing the problems, generating new ideas and assessing them, acting as facilitators.As general observations, it can be asserted that this

more interactive approach helps the facilitators both to create a “good” atmosphere and to have an idea of the company’s situation and of the group main dynamics.Another initiative that was highly appreciated by the

second and third group was the presentation of the results produced during the session with the previous group: this mean that we presented to the cadres the results developed by the employees, and to the execu-tives the ideas elaborated by the cadres. Actually, this “bottom-up” approach obtained much

success and interest, since a crossfertilization of ideas among different organizational levels is not so common. These presentations also helped to remove the last

inhibitions. However, the groups preferred to explore their own

provocations and ideas and not to resume the previous

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ones, because the latter ones had already been fully examined by the preceding groups.Moreover, we noticed that the age of the participants

does not influence the efficacy of the proposed framework: in fact, there were young people, suppose-dly more minded to adopt new approaches, that found difficulties to use properly the techniques and remai-ned tied down to the traditional and consolidated way of thinking. On the other side, many elderly participants, usually

more “conservative” according to the common sense, demonstrated an unexpected ability to refuse the conventional way of tackling problems and to use the so-called “lateral thinking”.A further element of reflection is related to the hierar-

chic level of the participants: each of the three groups was composed by people of the same level. We observed that the higher the hierarchic level, the

lower the capacity (availability) of reasoning out of the conventional schemes. This means that the first group launched very disrupti-

ve new ideas and use properly the techniques, while the third group proposed quite weak goals, remaining sometimes too “anchored” to the current procedures and roles.As said before, we tested the framework with groups

that were different also for the number of the partici-pants: the first was composed by about 18 people, the second one by 12, while the third one by 8.

We did not observe major differences concerning the internal dynamics: likely the fact that the participants knew each other before the sessions helped to genera-te immediately a good and collaborative environment and to easily overtake inhibitions.We found very useful to define, at the end of the

sessions, a funny and captivating slogan that in one sentence could sum up the results achieved during the meetings: this trick helped the participants to remem-ber the work done. Moreover, at the end of the sessions the participants were provided with the training mate-rial and the results developed during the sessions and with a little gift: a book on creativity (usually “Six Thin-king Hats” by E. De Bono) “customized” with the slogan chosen for the sessions. This was really appreciated by the attendants and

favored also an internal dissemination.Compressing the sessions in two days, obviously,

limited the possibility of testing all the techniques and of collecting a relevant amount of data (e.g.: internal and external mapping) usable for the idea generation and evaluation phases, but at the same time did not reduce the efficacy of the framework that demonstra-ted to be quite flexible and adaptive.During these sessions, we used a lot the technique of

Provocation & Movement, as it is very easy and quick. Moreover, the people showed to appreciate the fact of

launching provocations and then to vote them in order to choose the most interesting or popular one.

Launching provocations generated many new ideas and helps to form an outstretched climate, that is necessary for a good creative session. It was also useful, after choosing the provocation to

be analyzed, to support the “movement” phase by using the White Hat immediately after, that is to collect information in order to contextualize better the topic.Beside this, it was possible to notice a sort of “spill

over” effect as concerns idea generation: in fact, starting the evaluation of a new idea, this was explored and finally rejected, but the considerations made about the rejected idea allowed to find out a new idea that was then developed and successfully assessed.Particular attention must be paid by the facilitator

when applying the technique of “Six Thinking Hats” in order to control the use of the Black Hat that is com-monly the easiest to use: an abuse of this hat could limit the efficacy of the discussion and inhibit the crea-tion of new ideas and new alternatives.Finally, it was very useful to support the discussion by

projecting in real time on a screen all the ideas and information raising from the interaction, specifying also the person who proposed it, in order to have a clear and complete picture of all the related issues.

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Conclusions

The sessions in Indesit Company let to point out some possible considerations:1. The hierarchic level, differently from the age, seems

to influence the capacity/availability of accepting the use of unconventional approaches such as “lateral thinking”;2. The discussion of even a “bad” idea can produce a

“spill-over” effect that generates new good ideas;3. The mutual knowledge of the participants helps the

settlement of a good climate and therefore the success of a creative session;4. The participants appreciated to receive a “souve-

nir” (i.e.: book on creativity) personalized with the slogan (i.e.: a funny and captivating sentence) of the sessions: this helps also the internal dissemination;5. “Provocation & Movement” combined with “Six

Thinking Hats” is very effective: the facilitator should in case only limit the use of the Black Hat and enforce the rotation of hats for single-minded participants.Short sessions (2 days) limit the possibility of using all

the techniques, but however give good results as concerns idea generation and assessment.

L’intero caso studio è visionabile al link: http://www.diegm.uniud.it/create/Handbook/casestu

dies/Indesit.pdf

Linkografia

- http://www.gustocreativo.org/Bruno-Munari-e-la-ricerca-creativa-di-un-metodo-educativo.html- http://www.cecilvortex.com/swath/conversations_about_creativity/- http://simonepiperno.blogspot.com/2006/11/6-cappelli-e-tote-due-tecniche-per-il.html- http://en.wikipedia.org/wiki/Creativity_techniques- http://www.diegm.uniud.it/create/it/Handbook/ techniques/List/SixHats.php- http://www.train4creativity.eu/dat/8654D924/file.pdf? 633678300619788750

Casi Studio

- http://www.innovatraining.com/uploads/pdf/innova_ case_study_hp_web.pdf- http://www.diegm.uniud.it/create/Handbook/ casestudies/Indesit.pdf- http://www.diegm.uniud.it/create/Handbook/ casestudies/Derbi.pdf

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09. Schizzi di progetto DERBI

Idea

Nascondere alla vista la marmitta dello scooter inserendo lo scarico nel codone.

Valutazione dell’idea mediante il metodo dei sei cappelli

CAPPELLO BIANCO: L’idea consiste nell’integrare lo scarico nel codone sulla falsa riga delle moto da competizione;CAPPELLO GIALLO: miglioramento estetico, maggior sicurezza in quanto si elimina la possibilità discottature per contatto accidentale;CAPPELLO NERO: Difficoltà di manutenzione dello scarico, minor spazio nel bauletto sottosella,

necessità di un buon isolamento rispetto alle plastiche;CAPPELLO VERDE: Progettare uno scarico più compatto;CAPPELLO ROSSO: Potenza, aggressività, protagonismo, desiderio di possesso;CAPPELLO BLU: Complessivamente l’idea pare buona perché: non sembrano esserci grossi proble-

mi tecnici, suscita prevalentemente le emozioni positive, i problemi sollevati dal cappello nero non sono insormontabili.

L’intero caso studio è visionabile al link: http://www.diegm.uniud.it/create/Handbook/casestudies/Derbi.pdf

Caso studio: DERBI

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10. Progettazione del territorio

Il Design, soprattutto per realizzare la sua vocazione all’innovazione, si avvale nella ricerca di strumenti tipici mutuati da altre discipline e adattati alla propria specificità, oltre a strumenti derivanti da nuovi filoni di ricerca che si impongono nell’attuale contesto culturale e industriale.L’Etnografia, ossia la riproduzione e la descrizione delle dinamiche che intercorrono tra gli operatori

e gli artefatti operanti in uno stesso contesto, il Benchmarking, ossia il confronto tra risultati ottenuti da produzioni simili in contesti differenti, l’analisi dei bisogni, suddivisi tra bisogni del committente, dell’utente e del contesto, che potrebbe essere definita anche come mapping dei bisogni ecc., il “Qua-listic Diagram”, che è lo strumento principale della nuova scienza denominata “Qualistica”, che si occupa della gestione di prodotti e di immagini, sono tutti strumenti utilizzati di volta in volta dal Design per realizzare le proprie ricerche in specifici ambiti.In questo contesto presento tre casi riferibili al tema del design realizzato su scala territoriale il cui

strumento principale adoperato è sostanzialmente quello dell’ “action research”.Si tratta di un metodo elaborato dallo psicologo tedesco Kurt Lewin per realizzare le sue indagini in

campo psicologico sui gruppi di persone coinvolti in processi di cambiamento.È un metodo che ha avuto successo e che dal campo delle scienze sociali è stata applicata anche in

campo organizzativo come strumento per studiare le dinamiche tra individui e il contesto lavorativo.Applicata al Design l’ “action research” è lo strumento di lavoro più adatto per progetti legati ad un

territorio.Si tratta quindi di uno strumento di ricerca che parte dal basso (“bottom up”) ed è rivolto ad analizzare

il sistema di risorse specifico di un territorio, sia in termini di condizioni umane, sociali, economiche e culturali.Agisce in relazione e in collaborazione con altre figure professionali e con una molteplicità di compe-

tenze ed il progetto finale è il risultato di un’azione collettiva.Infine l’azione progettuale agisce contemporaneamente su differenti scale e livelli di progetto parten-

do dal singolo individuo al contesto più allargato, fino al rapporto con il contesto globale.L’ “action research” è uno strumento di ricerca che permette di sperimentare e misurare i progetti

direttamente sul campo attraverso un approccio dinamico multidisciplinare e multiscala.A differenza della ricerca applicata che mira a fornire dati generali ed astratti da applicare in altre

Evidenzia le specificità (e la coerenza) di alcuni strumenti di ricerca tipici del design connessi al tema del design a scala territoriale. Proponi tre esempi a supporto della trattazione.

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situazioni, l’ “action research” è una ricerca sul campo che produce casi specifici difficilmente riproducibili e che formano dei casi a sé.Gli elementi significativi di questo strumento di ricerca

sono:

1. il legame stretto tra teoria e pratica: vale a dire che gli strumenti teorici sono verificati attraverso l’azione pratica. Di conseguenza se la base teorica è condizione per la

l’azione pratica, questa conferma e rafforza le premes-se teoriche;2. la collaborazione e partecipazione: il metodo infatti

è fortemente indirizzato sulla valorizzazione della multi-disciplinarietà e interdisciplinarietà delle azioni coinvol-gendo soggetti differenti di interessi diversi rispetto al problema in analisi ed esponenti di diverse categorie interessate alla soluzione del problema;3. apprendimento continuo: il rapporto dialettico che

si instaura tra le attività di ricerca e di sperimentazione sul campo, e il confronto con le competenze ed i vari bisogni, costringe il processo ad un continuo apprendi-mento sia individuale che collettivo attraverso una continua riflessione sul progetto in via di realizzazione.Si ottiene così un patrimonio di conoscenza accumu-

lato che è base di partenza per ricerche successive.

L’ “action research” pertanto per il Design è un “metodo che favorisce la complementarietà tra la

teoria e la pratica, esplorando la realtà nella quale si opera, analizzando il metodo di lavoro e al contempo introducendo cambiamenti per creare innovazione facendo leva sulle competenze del Design.Il progetto dunque si caratterizza per il continuo

passaggio tra fasi di ricerca, verifica e sperimentazio-ne… Alternarsi tra apprendimento e azione, l’elaborazione dei risultati e la realizzazione di artefatti e strategie di progetto” (Beatrice Villari).Le fasi in cui si attua il metodo sono quelle classiche

della spirale di ricerca che si compone di 4 fasi:

1. indagine: volta ad esplorare conoscitivamente il contesto nel quale si è chiamati ad adoperare;2. analisi: partendo dai dati raccolti nella fase prece-

dente elabora un piano d’azione definendo le attività da svolgere, gli strumenti da utilizzare, le competenze da coinvolegere;3. il concept: prima definizione dell’idea progettuale

da sperimentare successivamente sul campo;4. il progetto: la fase cioè in cui le idee elaborate finora

si concretizzano e si trasformano in artefatti o in solu-zioni organizzative.

I casi che presento a mio parere sono stati realizzati utilizzando metodi e strumenti di ricerca che ben si inseriscono nell’ “action research”.

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11. M_Blikom

Problema: Quando le persone cambiano casa, spesso non possono utilizzare i loro vecchi mobili, ma possono risultare perfetti e utili per altre persone.L’obbiettivo del progetto è di stimolare la coscienza ecologica delle persone, inducendo una riflessio-

ne più approfondita sullo stile di vita.Comprendendo infatti che restaurare una vecchia sedia non solo ha lo stesso costo di comprarne una

nuova, ma in più consente di risparmiare materiale e di salvaguardare l’ambiente.Soluzione: Mööblikom è un negozio dove le persone portano i loro vecchi mobili per dargli una

seconda vita o trovare un nuovo proprietario.Il negozio vende sia oggetti ready-made, tutti fatti da pezzi di mobili buttati via, sia mobili riparati.I pezzi sono per la maggior parte degli anni ’60 o prima.La motivazione che ha spinto i fondatori è stata principalmente l’ambientalismo, ma riescono anche

a trarne un piccolo profitto. Attuale stato di sviluppo: Mööblikom è nato nel mese di Dicembre del 2002 ed è unico al mondo.Gli piacerebbe espandersi, avvantaggiandosi per il sempre più diffuso senso dell’ambientalismo, così

come per chi cerca qualcosa di diverso dal solito.Il profitto deriva unicamente dal prezzo di vendita, meno il tempo, i servizi ed i materiali utilizzati.Mööblikom ha da 50 a 100 clienti al mese, più d’estate che d’inverno.I benefici: per la società il servizio promuove il ri-utilizzo dei beni, e allo stesso tempo sviluppa e

mantiene le abilità degli artigiani; per l’ambiente il riciclo di vecchi mobili riduce il consumo di nuovi, e aumenta il ciclo di vita del prodotto; per l’economia il costo per restaurare un vecchio mobile o com-prarne uno restaurato è pressoché uguale al costo necessario per comprarne uno nuovo.L’esperienza per il cliente è alta, poiché da la possibilità di trovare pezzi di mobilio unici e addirittura

personalizzati.Autori: Estonian Academy of Arts, Estonia; Kärt Ojavee.Juta è un’avvocatessa di 25 anni, che ha inventato questo servizio per caso; aveva bisogno di un

nuovo letto di dimensioni e colori particolari, ad un buon prezzo: Mööblikom è stato capace di creare per lei il letto su misura. Ha trovato Mööblikom una brillante soluzione perchè ha ottenuto un artefatto perfetto per la sua situazione e senza dubbio unico.

Caso studio: M__blikom - Furniture re-designing studio

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12. Milano car-sharing

Problema: Il servizio mira ad una mobilità sostenibile.Il car sharing è un sistema di trasporto innovativo che consiste nell'utilizzare auto in condivisione,

sempre a disposizione, a tariffe privilegiate, senza costi di manutenzione, assicurazione e di riforni-mento. E' un sistema di noleggio self service di autovetture a disposizione in autorimesse distribuite capillar-

mente in città in ogni ora del giorno e della notte e in ogni giorno dell'anno. Con il car sharing si acquista l'uso effettivo dell'auto, cioè la mobilità e non il mezzo stesso. Il car sharing è il più nuovo approccio alle quattro ruote, è una scelta semplice, utile e conveniente per

ridurre i problemi di traffico, inquinamento e parcheggio, senza rinunciare ai vantaggi dell'uso dell'au-to.; una soluzione efficace per l’utente, per l'ambiente, per la città, per il futuro.Attore protagonista, nonché promoter del servizio, è Legambiente Lombardia, che organizza e coor-

dina le attività, gli accordi economici, le convenzioni e gli abbonamenti personalizzati.Gli altri partecipanti dell’iniziativa sono gli utenti, che una volta tesserati prenotano l’auto mediante

sito internet o telefonando ad un call center, i garage convenzionati, che custodiscono le auto e le consegnano all’utente, VAI, società autorizzata al soccorso stradale e al servizio di call center, che da una centrale operativa riceve le prenotazioni.I primi servizi di Car Sharing nascono in Svizzera, Germania ed Olanda circa 20 anni fa. Solo da qualche anno sono approdati in Italia, per la crescente esigenza di ridurre l’impatto ambienta-

le della mobilità in città: MilanoCarSharing è stato il primo operativo in italia; attualmente si parla di 620 abbonati con 2 nuovi iscritti al giorno. Le auto disponibili sono 25, distribuite in 13 parcheggi convenzionati dislocati in tutta la città e serviti

da mezzi pubblici; le tariffe, pari a 1.80 € l’ora e 0.32 € al chilometro, sono comprensive di tutto: assicu-razione, manutenzione ordinaria e straordinaria, soccorso stradale, carburante, più le agevolazioni su abbonamenti ATM, Europcar, FS.

Caso studio: Milano car-sharing

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Benefici: Il car sharing è un uso alternativo, più “intelli-gente” e più economico dell'auto. Infatti ti permette di:

- eliminare i costi fissi (acquisto, assicurazione, bollo) dell'auto di proprietà;- eliminare i costi di manutenzione, eliminando i disagi

correlati (perdita di tempo, necessità dell'auto sostitu-tiva);- avere a disposizione un veicolo sempre pulito ed in

efficienza;- scegliere il veicolo più adatto alle tue esigenze di

modalità e di trasporto (una city car per spostarti in città, una famigliare per la spesa);- avere sempre un parcheggio gratuito disponibile

nelle aree a pagamento; - eliminare la necessità di un posto auto o di un

garage;- eliminare i costi di rifornimento - è un modo innovativo di risolvere il problema dei

costi dell'auto perché chi percorre fino a 8000 km all'anno con un uso saltuario può risparmiare almeno il 30%.

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13. Bovisa by Light

Questo caso studio è stato realizzato durante il corso “Comunicare la città” del terzo anno della laurea triennale in Disegno Industriale, al quale ho partecipato attivamente.

Dopo un primo sguardo d’insieme sul quartiere Bovisa, è apparso evidente che si tratta di un territorio in cui convivono realtà molto differenti.Accanto a quello che potremmo definire il quartiere “residuo”, la vecchia Bovisa industriale, coesiste

una realtà nuova, fervente, riqualificata, incarnata dal polo universitario, dagli eventi culturali e dalle attività legate alla Triennale Bovisa e a Base B, centro creativo di Zona Bovisa.L’antitesi tra il grigio delle stutture industriali e il colore acceso, proprio della street art, tra i ritmi lenti

che scandiscono la vita degli anziani residenti e quelli frenetici di coloro i quali vivono il quartiere come luogo di lavoro o di studio, tra la vitalità del giorno e la desolazione della notte, è ciòche abbiamo ritenuto rappresentasse l’elemento maggiormente caratterizzante di questo luogo.Abbiamo quindi scelto “il contrasto” come concetto chiave rappresentativo della Bovisa, e ne abbia-

mo fatto uno strumento progettuale utilizzandolo come valido metro di misura.Il risultato è stato quello di aver scoperto nella Bovisa un grande potenziale che aspetta solo di essere

svelato.

Dati socio-economiciDa un’indagine del Corriere della Sera del 30 Novembre 2005, appare come la zona Niguarda-Bovisa

sia quella con il reddito medio più basso di Milano (20.136 euro contro un massimo in centro a Milano di 55.000 e una media di tutta la città di circa 24.000).Il quartiere Bovisa: 9 mila abitanti in tutto e tra questi centinaia di pensionati che si sentono «isolati e

abbandonati», costretti a dover vivere in mezzo a zingari e immigrati; che cercano con fatica di tirare alla fine mese, con i dolori dell'euro e dell'età, tagliati fuori anche dalla modernità che sta penetrando nel quartiere.Tra le cause di questo bilancio così basso rispetto alla media milanese non si può certamente esclu-

dere, infatti, che il quartiere sia fondamentalmente multietnico e fortemente disomogeneo.

Caso studio: Bovisa by Light

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DesignNel 1994 nasce al Politecnico di Milano il Corso di

Laurea in Disegno Industriale, primo in Italia, caratteriz-zato dalla volontà di sperimentare linee di sviluppo innovative che rispondano alle reali necessità del mercato e della società contemporanea.Bovisa, in quanto sede della Facoltà del Design,

rappresenta un luogo di interazione con la città cele-brata come capitale mondiale del design, vissuta e animata da personaggi che hanno fatto la storia del design, scenario ideale per formare giovani progettisti, in cui scambiare idee e mostrare i propri progetti e prodotti durante i grandi eventi che animano il quartie-re.La qualità e l’impatto delle ricerche svolte dal Politec-

nico trovano conferma, in questi ultimi anni, nella crescita dei rapporti con la comunità scientifica inter-nazionale.

PersoneLa Bovisa si distingue per la sua popolazione variega-

ta: da un lato i residenti, per lo più anziani ed extraco-munitari, dall’altro gli studenti e i lavoratori pendolari.Quartiere multietnico, racchiude in sé differenti culture

e, come ogni zona di periferia, è afflitta da un pregiudi-zio di tipo razziale.

P.za Bausan / L’ovaleRappresentano i centri sinergici, simbolo delle due

diverse vite che coesistono nel quartiere: Piazza Bausan rappresenta il fulcro della vita di quartiere, punto di ritrovo in particolare di anziani ed extracomu-nitari residenti nella zona.L’ovale è invece il punto focale del campus Durando,

dedicato al relax, ad attività ricreative degli studenti ed eventi accademici.Due centri, due vite, Bovisa ha due cuori pulsanti: da

un lato la vita tranquilla di quartiere, fatta di abitudini quotidiane; dall’altro una realtà giovanile, dinamica, creativa, direttamente legata alle attività del Politecni-co.

Comodo / ScomodoLa stazione Bovisa rappresenta uno snodo ferroviario

di collegamento tra il centro di Milano e l’hinterland.Alla comodità del trasporto con mezzi pubblici, anche

se a volte soggetti a ritardi, si contrappone da difficoltà di accedere alla zona con mezzi propri, per via del traffico che, soprattutto in alcune fasi della giornata, è particolarmente intenso.Lo spazio dedicato al parcheggio, tra l’altro, non è

adeguato all’afflusso di persone che ogni giorno arriva-no in loco.Inoltre, lo scarso numero di appartamenti riservati agli

studenti (che spesso preferiscono abitare altrove) risul-ta un fattore che aggrava la mobilità.

Giorno / NotteIl quartiere ha una duplice identità; questa diversità

coinvolge diversi aspetti ed è possibile identificarla nel passaggio da giorno a notte: di giorno è frequentato da un gran numero di persone che vi si recano per studio, lavoro ed altre attività in genere; di notte invece non c’è niente che trattenga le persone a restare se non si è residenti. Il quartiere si svuota, rimane deserto o popolato da

pochi, per lo più extracomunitari.La Bovisa non solo si trasforma in un luogo differente

dal punto di vista sociale, ma appare mutato anche nella forma: perfino gli spazi più conosciuti, che frequentiamo ogni giorno, con il buio el’assenza di illuminazione appaiono sinistri e paurosi,

oltre che capaci di celare attività illecite.

Paura / SicurezzaDi giorno l’afflusso continuo di persone, tra studenti

universitari, lavoratori e abitanti del luogo, trasmette un senso di sicurezza che non si avverte, invece, di notte.Infatti, appena fa buio le strade si svuotano; i locali

che sorgono intorno al campus chiudono molto presto. Per di più, la maggior parte restano chiusi anche

durante tutto il week end, in quanto l’intera zona ruota intorno alla vita del polo universitario.Il senso di sicurezza diminuisce in maniera proporzio-

nale man mano che ci si allontana dalla zona universi-taria.

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La criminalità, inoltre, è un fattore palpabile, tuttavia la presenza delle forze dell’ordine è costante e questo contribuisce, seppur in lieve misura, a mitigare il senso di insicurezza.

Vecchio / NuovoSono molti i segni visibili dell’ opera di riqualificazione

in atto in Bovisa: il crescente sviluppo del quartiere come distretto del design milanese, secondo solo a zona Tortona, la presenza della Facoltà del Design e di Base B, l’inaugurazione della nuova Triennale, sono solo alcuni esempi di novità ai quali “il vecchio” sta lasciando spazio.Il quartiere, un tempo famosa zona industriale, da

qualche anno ospita anche gli studi televisivi e gli uffici dell'emittente locale Telelombardia.La Bovisa è abitata da persone molto anziane oppure

da studenti. Il salto generazione è molto forte e si percepisce sem-

plicemente girando per il quartiere.Gli anziani abitano qui praticamente da sempre e per

loro Bovisa significa casa, vita quotidiana; per gli studenti, invece, è sinonimo di università, di studio.

Innovazione / TradizioneUn tempo il quartiere Bovisa era sinonimo di industrie

e produzione pesante, oggi Bovisa significa Politecnico e quindi un tipo produzione pensante.Un investimento per il futuro di Bovisa è quello di

trasformare il quartiere nella “città della ricerca e dell’innovazione tecnologica”, un importante polo tecnologico che sia da traino per l’intero Paese, uno snodo europeo per chiunque voglia fare innovazione.Tuttavia, il degrado che ancora caratterizza il quartiere

è un metro di valutazione di quanto si è ancora lontani dalla realizzazione di tale progetto.

Sviluppo / DegradoLa Bovisa, da zona industriale che era, oggi è stata

profondamente ammodernata,convertita, riqualificata.La costruzione del Politecnico e la conseguente

fioritura di tutta una serie di strutture e attività che ruotano intorno ad esso, l’inaugurazione della Triennale Bvs e di Base B, il progetto di costruzione di nuove abitazioni destinate agli studenti, sono solo alcuni tra gli esempi più evidenti che evidenzino il fenomeno.Questi segni di sviluppo si sono inseriti prepotente-

mente nel contesto del territorio, creando uno stacco netto tra “nuovo” e “vecchio”. Il risultato è ben leggibile nella morfologia dell’attuale

Bovisa: poli culturali di grande fama, come il Politecni-co e la Triennale, devono convivere insieme a realtà degradanti, sporche e piene di rifiuti, problemi irrisolti, strutture incompiute; alla frequentazione giornaliera da parte di studenti e intellettuali, si affianca quella degli extracomunitari la notte; abitazioni di recentissima costruzione vengono edificate accanto a strutture in

declino.

Lento / VeloceIl quartiere Bovisa non è estraneo alla frenesia tipica

di Milano, trasmessa dall’afflusso di studenti e lavora-tori soggetti a ritmi molto intensi.Durante la pausa pranzo questo aspetto è ancora più

evidente, in quanto i tempi ridotti implicano un consu-mo molto veloce del cibo.La presenza di posti dove rifornirsi ad asporto è sicu-

ramente maggiore rispetto ai ristoranti, dove per altro il prezzo è superiore.Contrapposta alla realtà universitaria, permeata da

questo clima stressante, ne esiste un’altra, quella vissuta dagli abitanti del quartiere, che sono per lo più anziani.

Grigio / ColoratoLa Bovisa eredita dal passato il grigiore tipico delle

zone industriali della periferia milanese.Il degrado e la successiva opera di riqualificazione

delle strutture dismesse ha portato note di colore che contrastano col paesaggio circostante.Il colore in Bovisa è spesso sinonimo di vitalità e di

aggregazione.Esso è utilizzato per identificare i luoghi di innovazio-

ne, creatività e cultura, o per comunicare attraverso vie non convenzionali.

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Presente / FuturoLa Bovisa è un quartiere in continuo mutamento.Alcuni progetti sono stati già realizzati, come nel caso

del nuovo istituto di ricerca Mario Negri; altri sono in fase di costruzione o riqualifica con l’intento di dar vita a nuove zone residenziali e appartamenti destinati agli studenti.Progetti futuri riguardano l’ampliamento del campus

universitario, edifici destinati a spazi commerciali e uffici, progettati dall’atelier di Mendini, e il Museo del Presente, che verrà allocato nei due gasometri gemelli ormai dismessi.

ConclusioniCiò che emerge dalla nostra indagine è l’immagine di

una Bovisa che “vive” unicamente di giorno, motivata dalle attività universitarie e lavorative, dalle mostre, dagli eventi, e che di notte ritorna l’”addormentata” di un tempo.Al calar del sole, infatti, le strade, i locali e le strutture

si svuotano, il quartiere si tramuta in uno spazio deso-lato ed insicuro. Tale effetto è in gran parte attribuibile alla sempre

maggior presenza di immigrati e di attività illecite, che solo in parte sono censurate dalle forze dell’ordine.Una lettura inversa del fenomeno, tuttavia, sarebbe

altrettanto veritiera: è proprio il carattere della Bovisa notturna, deserta e poco illuminata, a far si che essa divenga teatro di quanto detto.

Se è vero allora, che la Bovisa vive con le persone che la frequentano, e si spegne quando tutto chiude e la gente se ne va, ci sentiamo di proporre una vision in cui la parola d’ordine sia “accendi Bovisa”, un progetto che deve trovare la sua concretizzazione in un’ opera di conversione della vita notturna e di riqualificazione del territorio in luogo adibito alla mondanità e alla convivia-lità, non solo durante eventi annuali come il Fuori Salone, ma quotidinamente.

Soluzione proposta:

Dall’analisi effettuata è emerso il carattere ambivalen-te della Bovisa, fatto di contrasti forti e realtà molto differenti.L’antitesi più significativa è risultata essere quella tra

la luce del giorno e il buoi della notte: l’immagine che ne scaturisce è quella di una Bovisa che vive unica-mente di giorno, motivata dalle attività universitarie e lavorative, dalle mostre, dagli eventi, e che di notte torna l’ “addormentata” di un tempo.Al calar del sole, infatti, le strade, i locali e le strutture

si svuotano, il quartiere si tramuta in uno spazio deso-lato e insicuro.Tale effetto è in gran parte attribuibile alla sempre

maggior presenza di immigrati e attività illecite, che solo in parte sono censurate dalle forze dell’ordine.Una lettura inversa del fenomeno, tuttavia, sarebbe

altrettanto veritiera: è proprio il carattere della Bovisa

notturna, deserta e poco illuminata, a far si che essa divenga teatro di quanto detto.Obbiettivo quindi che ci siamo posti è progettare

l’identità di Bovisa, riconvertendone l’immagine a luogo culto del Design, tramite interventi sul paesaggio urbano, attraverso l’installazione di lampade di Design reinterpretate nel contesto cittadino.Non secondario, l’intento di conferire alla Bovisa un

carattere unico, che possa trasformarla in meta di interesse turistico-culturale.Conseguenza indotta, l’incremento dell’illuminazione

del quartiere, così da infondere sensazioni di sicurezza e protezione anche di notte.La strategia consiste in una serie di eventi concatena-

ti:

1. l’estensione dell’orario di apertura dei locali sareb-be un incentivo alla frequentazione del quartiere anche di notte;2. una maggior affluenza di persone aumenterebbe

poi il senso di sicurezza non solo durante eventi annuali come il Fuori Salone, ma quotidianamente.

Il target di riferimento comprende i giovani tra i 18 e i 35 anni, ma in generale anche ai sensibili all’arte, alla creatività, al design e infine ai curiosi in generale.Il progetto prevede una partnership con tre delle

aziende leader nel settore dell’illuminotecnica: Luce-plan, Flos, Artemide.

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Ognuna di queste contribuisce al progetto mettendo a disposizione i propri prodotti, che sono soggetti a successive selezioni in base al tipo di lampada, al contesto e all’utilizzo.Il carattere permanente dell’installazione vale come

continua pubblicità per le aziende coinvolte, che proprio per questo motivo finanziano l’intero progetto nella produzione e nella successiva fase di installazio-ne dell’arredo urbano.Nella prima fase il progetto coinvolge la facoltà del

Design del Politecnico di Milano.Gli studenti di Disegno Industriale si occuperanno del

re-design delle lampade selezionate, per adattarle ad un utilizzo esterno; agli studenti di Design della Comu-nicazione spetterà, invece, lo sviluppo dell’intero siste-ma di comunicazione: dal sito web, alla cartellonistica, al merchandising.Partecipa al progetto anche ATM che contribuirà alla

promozione dell’iniziativa, mettendo a disposizione degli spazi pubblicitari, sia all’interno che all’esterno dei mezzi pubblici.Si tratta di una comunicazione itinerante, utile per la

sponsorizzazione dell’iniziativa in diverse zone di Milano.Al progetto infine partecipa anche la Triennale di

Milano, con le sue sedi, nelle quali saranno ospitati degli stand permanenti di Bovisa by Light, dove poter reperire informazioni sull’iniziativa.

La struttura del progetto prevede l’impiego di tre diverse tipologie di illuminazione: da marciapiede, da sospensione e da piazza.Per il primo impiego sono state selezionate le lampa-

de Arco e Nestore, prodotte rispettivamente da Flos e Artemide.Le loro caratteristiche strutturali, in particolare l’arco e

il braccio protesi, alla cui estremità è posto l’elemento illuminante, rispondono all’esigenza di un’illuminazione intensa e diffusa.Come lampade da sospensione, invece, sono state

scelte la Castore di Artemide, e la Supergiu di Luce-plan.Vengono posizionate sospese al centro della carreg-

giata, con l’intento di illuminare la strada.Infine, come lampade da piazza, laddove serviva un

cono di luce diffusa, abbiamo optato per la Costanza di Luceplan e la Pipistrello di Flos.Al profillo delle lampade vengono applicati led di

colori diversi che, oltre ad evidenziarne la silhoutte di notte, identificano un percorso colorato.Esso consiste in una scala cromatica che ha come

epicentro il Politecnico e si dirama verso la Triennale Bovisa.La concentrazione di lampade è più fitta lungo questo

percorso, mentre si dirada man mano che ci si allonta-na.

Linkografia

-http://www.sustainable-everyday.net/EMUDE/-http://www.sistemadesignitalia.it/sdi/sdimagazine/Articolo.php?id=52&IDIndex=19

Casi Studio

-http://sustainable-everyday.net/cases/?p=34-http://sustainable-everyday.net/cases/?p=90#more-90-http://www.guidami.net/