welfare e modelli di welfare

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 Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 1 Welfare e modelli di welfare 1. Alle origini dello Stato sociale Il welfare state nasce, sul finire dell’ottocento, per dare delle risposte ad una serie di problemi posti dal rapido diffondersi dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione dell’economie, quando le antiche società contadine si trasformano in società industriali. Il progresso tecnico irrompe nell’organizzazione artigianale del lavoro e della produzione determinando nuovi processi produttivi, l’utilizzo di nuove materie prime, di nuo ve forme contrattuali non regolamen tate e prive di restrizioni ( con il lavoro dei minori, delle donne, nelle ore notturne, ecc); la formazione di nuovi e più ampi mercati, nuove vie di comunicazion e, lo spostamento di milioni di persone dai centri rurali verso le città industriali che iniziano ad espandersi a macchia d’olio. Questo processo di grande fervore e produzione di ricchezza presenta, come spesso accade, alcuni elementi di debolezza; si moltiplicano gli incidenti sul lavoro, legati all’utilizzo delle nuove macchine a fronte di una formazione inesistente, le malattie , per l’uso di materiali nocivi alla salute, il disagio economico nei momenti di stasi della produzione, il disagio abitativo per il confluire di una massa di popolazione in città non attrezzate ai nuovi flussi migratori con conseguenti effetti di sovraffollamento, carenze di servizi igenici e, quindi, rapida diffusione delle malattie; il disagio sociale  determinato dalla crisi del sistema assistenziale tradizionale basato sull’aiuto reciproco e presente nelle piccole comunità. La pre senza o ggettiva dei diversi problemi economici e soc iali - insieme a lla forma zione dei primi partiti operai e delle prime fo rme sindacali - fa sì che si determinino le con dizioni politiche per le  prime leggi  di intervento in campo socia le che nate per gruppi ristretti di lavora tori e in singoli paesi, si estendano, più o me no velocemen te, agli altri lavoratori e paesi p er limitare le tension i ed i conflitti e, quindi, per non ostacolare l o sviluppo della nuova organizzazione produttiva; per fronteggiare una classe operaia più forte ed organizza ta in partiti e sindacati, per un generale processo imita tivo. Il  primo modello di welfare si fa risalire, usualmente, alla Germania di Otto Von Bismark ( 1815 – 1898 ), il cancelliere “ di ferro” dell’impero di Guglielmo 1 di Prussia, che nell’arco di sei anni getta le fondamenta del welfare con le tre famose leggi : sull’assicurazione contro le malattie  ( 1883 ), sugli infortuni  sul lavoro ( 1884 ) e sull’assicurazione contro la vecchiaia e l’invalidità ( 1889 ) considerate, allora, come le principali cause di povertà  ed indigenza . Viene, invece , attribuito ad un Arcivescovo inglese (1941), William  Temple, il termine welfare state “, “Stato del benessere ”, per contrapporlo allo “Stato di guerra” “warfare state” dei nazisti ( 1  ). Ed è a partire da questi anni che il termine inizia a diffondersi nell’accezione oggi prevalente. 1 Stevenson J (1984), British Society 19 14-1945, Ed. J.H.Plumb, England, p. 453

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Descrizione dei modelli di welfare italiani

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  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 1

    Welfare e modelli di welfare

    1. Alle origini dello Stato sociale

    Il welfare state nasce, sul finire dellottocento, per dare delle risposte ad una serie di problemi posti

    dal rapido diffondersi dellindustrializzazione e dellurbanizzazione delleconomie, quando le antiche

    societ contadine si trasformano in societ industriali. Il progresso tecnico irrompe nellorganizzazione

    artigianale del lavoro e della produzione determinando nuovi processi produttivi, lutilizzo di nuove

    materie prime, di nuove forme contrattuali non regolamentate e prive di restrizioni ( con il lavoro dei

    minori, delle donne, nelle ore notturne, ecc); la formazione di nuovi e pi ampi mercati, nuove vie di

    comunicazione, lo spostamento di milioni di persone dai centri rurali verso le citt industriali che iniziano

    ad espandersi a macchia dolio.

    Questo processo di grande fervore e produzione di ricchezza presenta, come spesso accade,

    alcuni elementi di debolezza; si moltiplicano gli incidenti sul lavoro, legati allutilizzo delle nuove macchine a

    fronte di una formazione inesistente, le malattie, per luso di materiali nocivi alla salute, il disagio economico

    nei momenti di stasi della produzione, il disagio abitativo per il confluire di una massa di popolazione in

    citt non attrezzate ai nuovi flussi migratori con conseguenti effetti di sovraffollamento, carenze di

    servizi igenici e, quindi, rapida diffusione delle malattie; il disagio sociale determinato dalla crisi del sistema

    assistenziale tradizionale basato sullaiuto reciproco e presente nelle piccole comunit.

    La presenza oggettiva dei diversi problemi economici e sociali - insieme alla formazione dei

    primi partiti operai e delle prime forme sindacali - fa s che si determinino le condizioni politiche per le

    prime leggi di intervento in campo sociale che nate per gruppi ristretti di lavoratori e in singoli paesi, si

    estendano, pi o meno velocemente, agli altri lavoratori e paesi per limitare le tensioni ed i conflitti e,

    quindi, per non ostacolare lo sviluppo della nuova organizzazione produttiva; per fronteggiare una classe

    operaia pi forte ed organizzata in partiti e sindacati, per un generale processo imitativo.

    Il primo modello di welfare si fa risalire, usualmente, alla Germania di Otto Von Bismark ( 1815

    1898 ), il cancelliere di ferro dellimpero di Guglielmo 1 di Prussia, che nellarco di sei anni getta le

    fondamenta del welfare con le tre famose leggi : sullassicurazione contro le malattie ( 1883 ), sugli infortuni

    sul lavoro ( 1884 ) e sullassicurazione contro la vecchiaia e linvalidit ( 1889 ) considerate, allora, come le

    principali cause di povert ed indigenza. Viene, invece, attribuito ad un Arcivescovo inglese (1941), William

    Temple, il termine welfare state , Stato del benessere, per contrapporlo allo Stato di guerra

    warfare state dei nazisti ( 1 ). Ed a partire da questi anni che il termine inizia a diffondersi

    nellaccezione oggi prevalente.

    1Stevenson J (1984), British Society 1914-1945, Ed. J.H.Plumb, England, p. 453

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 2

    A Lord William Beveridge ( 1879 1963 ) (Regno Unito) viene fatta risalire laccettazione e la

    diffusione dellidea di uno Stato capace di farsi carico di tutti i problemi sociali dei suoi cittadini in ogni

    momento della loro esistenza ( dalla culla alla tomba , come si dir poi ).

    Nel suo Rapporto ( noto come Rapporto Beveridge, 1942 ), si delineano i caratteri essenziali di un

    moderno stato sociale che doveva essere gestito da ununica entit ( e, quindi, centralizzato per una maggiore

    efficienza ed economicit ); essere universale ( accessibile a tutte le classi sociali senza alcun limite di

    reddito e coprire tutte le evenienze ) e finalizzato alla sconfitta di cinque flagelli ( 2 ):

    Linsicurezza del reddito

    La malattia

    Lignoranza

    La miseria

    Lozio determinato dalla disoccupazione

    Scopo del Piano di interventi e provvidenze quello di assicurare un reddito minimo ma sufficiente ( nel

    senso che lammontare definito non dovrebbe aver bisogno di integrazioni se non volontarie ), nel

    momento in cui la capacit di guadagnare del singolo si interrompe per disoccupazione, malattia,

    incidente sul lavoro, per let del pensionamento e per venir incontro a spese eccezionali quali quelle

    legate alla nascita, alla morte, al matrimonio. Il reddito minimo , anche, a tempo indeterminato e, cio, fin

    tanto che permane lo stato di bisogno. Un soddisfacente schema di sicurezza sociale dovrebbe, sempre

    secondo Beveridge, prevedere anche assegni familiari per i figli sino a 15 anni ( e sino a 16 se inseriti in

    processi educativi ) perch le retribuzioni fanno riferimento allindividuo e non alla dimensione della

    famiglia ( anche allora erano le famiglie numerose ad avere, insieme agli anziani, la pi alta probabilit di

    cadere in povert ), servizi per la salute ( perch la malattia implicava perdita di retribuzione e, quindi,

    povert), per leducazione (come processo di mobilit sociale, un bambino che non messo nelle condizioni di

    sviluppare il proprio capitale umano ha molte probabilit di divenire povero una volta adulto) e,

    naturalmente, politiche per la piena occupazione perch nessun Piano sarebbe finanziariamente sostenibile

    in presenza di una disoccupazione di massa.

    Il Rapporto Beveridge viene, quindi, a rappresentare la base di importanti provvedimenti legislativi

    quali il Family Allowances Act del 1945 (assegni familiari), il National Insurance Act del 1946

    (assicurazioni obbligatorie ) e del National Health Service del 1948 (sistema sanitario).

    Per una definizione di welfare , largamente condivisa, si pu far riferimento allo storico inglese Asa

    Briggs (1961) ( 3 ) :

    2 Beveridge W.H. ( 1942 ) , Social Insurance and Allied Services, Her Majestys Office, London, p.6

    3 Briggs A. (1961 ), The Welfare State in Historical Perspective, in European Journal of Sociology II.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 3

    Lo Stato del benessere quello nel quale il potere organizzato viene impiegato al fine di modificare il

    funzionamento dei mercati in almeno tre direzioni :

    1. Garantire a individui e famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato delle

    loro risorse;

    2. Ridurre le condizioni di insicurezza, ponendo individui e famiglie in grado di fare fronte ad alcune

    evenienze sociali (ad esempio, la malattia, la vecchiaia e la disoccupazione), che altrimenti li

    condurrebbero verso situazioni critiche;

    3. Assicurare che tutti i cittadini, senza distinzione di classe o posizione sociale, abbiano a disposizione

    un certo insieme di servizi sociali, nella migliore qualit disponibile.

    In questo senso i servizi e le prestazioni di welfare non devono dipendere dalla bont del potere

    organizzato (governo, partiti, sindacati, fondazioni, ecc ) ma devono essere collettivi e, quindi, organizzati

    e finanziati dallo Stato ed erogati come diritti di cittadinanza e non come assistenza, carit.

    Lo Stato sociale ( stato del benessere welfare state ) pu quindi essere definito come lo Stato che si

    assume la responsabilit di coprire i grandi rischi sociali per la generalit della popolazione.

    Naturalmente i confini del welfare state, come insieme di obiettivi e strumenti, non sono rigidi

    ma si modificano nel tempo a seconda dello sviluppo delle forze che lo governano ( monarchie e

    democrazie parlamentari, composizione dei parlamenti e dei governi, sviluppo ed evoluzione dei partiti

    politici, dei sindacati, delle associazioni, dei valori culturali, delle fluttuazioni cicliche delleconomia, e

    cos via ) o per il verificarsi di eventi particolari come le guerre (tutela degli orfani e delle vedove, ad

    esempio, ricostruzione delle abitazioni, e cos via) o profonde crisi economiche (come la grande crisi del

    1929 in termini di disoccupazione, svalutazione dei patrimoni finanziari, ecc ); schematizzando le fasi di

    sviluppo e i beneficiari coinvolti , possibile leggere, indirettamente, anche le forze che ne determinano

    le tendenze.

    Nella sua evoluzione il welfare state sembra attraversare almeno due grandi fasi di sviluppo ed

    almeno una di inversione di marcia; dal 1870 e sino alla seconda guerra mondiale i benefici della

    protezione sociale in termini di copertura per infortuni, malattie, vecchiaia e disoccupazione coprono,

    essenzialmente, la classe operaia; la legislazione, definita in un determinato paese, si espande, poi, ai paesi

    a medesimo livello di sviluppo per imitazione o per la coincidenza dei nuovi problemi sociali determinati

    dal processo di industrializzazione ed urbanizzazione (4).

    4 Gli interventi legislativi diretti a coprire i rischi legati alla malattia, ad esempio, si espandono dalla Germania ( 1883 ) all

    Austria ( 1888 ), al Belgio ( 1894 ), alla Gran Bretagna ( 1911 ) e cos via; quelli relativi agli infortuni sul lavoro ancora una volta dalla Germania ( 1884 ), e, quindi all Austria ( 1887 ), alla Finlandia (1895), allItalia ( 1898), al Regno Unito (1906), ecc; quelli relativi alla vecchiaia dalla Germania ( 1889 ), alla Danimarca ( 1891 ), al Belgio ( 1900), alla Gran Bretagna ( 1908 ), all Italia ( 1919 ), ecc; quelli diretti alla disoccupazione partono dalla Francia ( 1905 ), si estendono alla Danimarca ( 1907 ), alla Gran Bretagna ( 1911), all Italia ( 1919 ), alla Germania ( 1927 ), e cos via.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 4

    Dalla fine della seconda guerra mondiale e sino alla fine degli anni sessanta, i programmi di

    protezione sociale si rafforzano e si estendono a settori crescenti della classe media ( impiegati, insegnanti,

    artigiani, commercianti, ecc ). Nella maggior parte dei paesi avanzati la spesa sociale si espande anche

    perch sono anni di sensibile crescita del Pil, di grande ottimismo in termini di sviluppo, di valori legati

    allequit, di rafforzamento del potere sindacale; questi elementi determinano sia una estensione delle

    provvidenze che lo sviluppo delle grandi infrastrutture sociali (scuole, ospedali, edilizia popolare, servizi

    sociali, ecc) quale garanzia di accesso alleducazione, alla salute, alla casa, il tutto attraverso un ruolo

    molto attivo dei sindacati e in presenza di un clima politico culturale aperto agli interventi dello Stato in

    campo sociale quale strumento di redistribuzione del reddito e della ricchezza (non a caso questo periodo viene

    unanimemente definito come lepoca doro dello stato sociale).

    2. Tendenze recenti

    Intorno alla met degli anni settanta il vento cambia e si assiste ad uninversione di marcia, ad

    analisi sempre pi critiche nei confronti dellintervento dello Stato nelleconomia e nel sociale; le ragioni

    sono diverse e tutte portano a sostenere la spesa pubblica e la spesa in campo sociale come la principale

    causa di tutti i mali delleconomia (riduzione del tasso di crescita del pil, degli investimenti, inflazione e

    disoccupazione elevata, debito pubblico, ecc ). Ma la spesa in campo sociale viene, anche, messa

    pesantemente in discussione partendo da alcune analisi che sostengono (a seconda dei diversi paesi ) :

    un utilizzo particolaristico categoriale della spesa sociale in cui i costi sono a carico dellintera collettivit

    mentre i benefici verrebbero distribuiti a singoli gruppi e categorie sociali; vedi, ad esempio, i diversi

    regimi previdenziali che avevano / hanno condizioni differenziate in termini di contribuzione, et di

    pensionamento, trattamento, cumulo pensione altri redditi, ecc, o forme di redistribuzione perversa : a

    trarre i maggiori vantaggi dal sistema sono le classi a reddito medio alto; per quanto riguarda, ad

    esempio, listruzione superiore si evidenzia la minore probabilit di accesso, alluniversit, per i figli della

    classe operaia rispetto ai figli delle classi a reddito medio-alto; analogo discorso per i servizi della salute

    ove le classi a reddito pi elevato hanno maggiori capacit nel comprendere lopportunit di effettuare

    visite specialistiche e medicina preventiva rispetto alle classi a minor reddito; o, infine, di essere in presenza di

    un diffuso fenomeno di burocratizzazione dei servizi : costi gestionali elevati ed offerta di servizi

    indifferenziati a fronte di una domanda sociale variegata e in continua evoluzione. Come dire che alti

    livelli di spesa sociale non realizzano necessariamente una migliore distribuzione del reddito, delle

    opportunit tra i diversi membri della collettivit.

    Si gettano, cos, le premesse per introdurre, negli schemi universali adottati, le prime misure selettive

    (assegni familiari erogati non pi a tutti i lavoratori ma solo a coloro che vengono a trovarsi al di sotto di

    determinate soglie reddituali, ad esempio, come accade in Italia a partire dagli anni ottanta); o per

    trasferire i costi dalla fiscalit generale ai diretti fruitori dei servizi (definizione, in Italia, di alcuni servizi sociali

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 5

    quali servizi a domanda individuale - asili nido, refezione scolastica, soggiorni estivi, ecc - e, quindi,

    predisposizione di tariffe sempre pi vicine ai costi del servizio stesso), e cos via.

    Negli anni novanta tale processo si rafforza e si assiste ad unapertura al mercato nelle diverse

    aree del sociale; nella sanit, ad esempio, si incentiva lo sviluppo delle assicurazioni private; nellistruzione

    si assiste ad un sistematico contenimento delle risorse destinate al settore pubblico mentre si amplia il

    sostegno finanziario all istruzione privata; in campo previdenziale lobiettivo diviene quello di un

    progressivo indebolimento del sistema pubblico per indurre la formazione di un secondo e terzo pilastro

    pensionistico (previdenza complementare); il contenimento delle risorse centrali da trasferire agli enti

    locali (decentramento) chiude la strategia andando a ridimensionare quellinsieme di servizi sociali che

    coprono i bisogni delle fasce pi deboli (assistenza domiciliare agli anziani, centri diurni, case di riposo,

    assistenza alloggiativa, ecc).

    In altri termini, si assiste ad un graduale processo di internalizzazione dei costi dello stato sociale

    allinterno dellunit familiare rispetto allesternalizzazione sul sistema sociale ed economico; la rivincita dei

    neo-liberisti che ritengono che ciascuno debba far fronte agli eventi della vita con le proprie forze e che

    uno stato sociale universale rappresenti solo un costo eccessivo per la collettivit (crisi fiscale), modesti

    sussidi (reddito minimo, ad esempio) potranno essere elargiti a coloro che non riusciranno, con le loro

    forze, a farsi carico degli eventi sgradevoli della vita (i perdenti). Si riapre, cos, lantico conflitto di classe

    tra chi ha le risorse per accedere ai servizi del mercato (una minoranza) e la maggioranza della

    popolazione che si ritrova nellimpossibilit di accedervi.

    3. Modelli di welfare

    Economisti e sociologi hanno cercato di classificare i diversi modelli di welfare presenti ai nostri

    giorni proponendo, essenzialmente, quattro modelli : modello universale (o socialdemocratico); modello

    residuale; modello corporativo e modello mediterraneo.

    Il modello universale, tipico dei paesi scandinavi e dellOlanda, si caratterizza per un approccio

    universalistico nel senso che la protezione sociale intesa come un vero e proprio diritto di cittadinanza, le

    provvidenze sono, quindi, dirette a tutte le componenti sociali, senza alcuna distinzione di classe, e si

    basano su una combinazione di trasferimenti monetari e di una ricca ed articolata struttura di servizi

    sociali (, in assoluto, il modello con la pi alta incidenza di spesa sociale sul pil). I diritti vengono

    attribuiti, prevalentemente, su base individuale nel senso che la famiglia gioca un ruolo marginale e

    lobiettivo quello di minimizzare la dipendenza dalla famiglia ed incoraggiare lindipendenza individuale.

    Il sistema si finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale.

    Il modello residuale ( o liberale ) presente negli USA , Australia e Nuova Zelanda; la politica

    sociale interviene solo ex-post quando i tradizionali canali ( mercato e solidariet familiare ) non sono in

    grado di far fronte a determinati bisogni. Le politiche sociali occupano, cos, un ruolo del tutto marginale

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 6

    riguardando esclusivamente gli strati pi poveri della collettivit ( politica assistenziale ) e gli interventi

    sono soggetti alla prova dei mezzi (means testing), al dimostrare dellessere in condizioni di bisogno,

    di povert. Per gli altri, per i non poveri, la sicurezza sociale va ricercata attraverso il mercato ,

    nella libert di scegliere il modo migliore per soddisfare le loro esigenze in termini di previdenza, sanit,

    istruzione, servizi sociali; lo Stato pu intervenire, al pi, con sgravi fiscali (detrazioni per gli oneri

    connessi alle polizze sanitarie, al sistema previdenziale, alle spese per interessi sui mutui per lacquisto

    della prima casa, per listruzione, ecc). Anche questo modello si finanzia, prevalentemente, con la

    fiscalit generale.

    Il modello corporativo o meritocratico (il bisogno si coniuga con il merito individuale conseguito nel

    mercato del lavoro), tipico dellEuropa continentale (Germania, Austria, Francia, Belgio e Lussemburgo),

    basato, essenzialmente, su principi di tipo assicurativo: protegge, in primo luogo, chi lavora e la sua famiglia

    (lo status rilevante quello del lavoro in corso o effettuato nel passato); in questo senso si pu essere in

    presenza di una pluralit di interventi ed istituti quanti sono i lavoratori dei diversi settori. A differenza

    degli altri modelli, si finanzia, prevalentemente, con contributi sociali versati dai datori di lavoro e dai

    lavoratori.

    Il modello mediterraneo, tipico dellItalia, della Spagna, del Portogallo e della Grecia, si presenta

    come un sotto-caso del modello corporativo in cui maggiore la frammentazione dei programmi di spesa

    e in cui prevalgono i trasferimenti monetari, ad opera dello Stato, rispetto ad unefficiente rete di servizi

    sociali. Si differenzia anche per attribuire alla famiglia uno spiccato ruolo di ammortizzatore sociale. Anche

    questo modello si finanzia, prevalentemente, con contributi sociali.

    Al di l di singole peculiarit, la partita vera sembra giocarsi tra il modello residuale e il modello

    universale; allo stato attuale, lEuropa sembra difendere il suo modello ma anche in corso un ampio

    dibattito per un nuovo modello sociale europeo che riduce le universalit ed amplia le selettivit.

    4. LEuropa e le sfide sociali

    Per un lungo periodo di tempo la Comunit ha adottato, in campo sociale, un atteggiamento

    fondamentalmente estraneo perch gli stati europei hanno sempre mostrato una certa riluttanza a rinunciare

    al loro potere in materia di politiche sociali sebbene uno degli obiettivi del Trattato di Roma (1957) fosse

    proprio larmonizzazione delle regolamentazioni sociali ( CEPR, 1998)5.

    Occorre praticamente arrivare agli anni novanta per cogliere, in una molteplicit di documenti ed

    analisi, unattenzione ed un impegno diverso sino ad arrivare al Trattato di Amsterdam6 (1997) quando si

    pone una nuova base giuridica per una strategia europea comune in campo sociale7.

    5 CEPR (Centre for Economic Policy Research)(1998), Le politiche sociali in Europa, il Mulino, Bologna

    6 Nel 1992 ci fu un tentativo di inserire nel Trattato di Maastricht un capitolo sociale teso ad armonizzare la politica sociale

    europea; il tentativo fall per lopposizione del Regno Unito ed al Trattato fu allegato solo un Protocollo sulle politiche sociali sottoscritto da 11 Paesi su 12. In occasione del Consiglio europeo di Amsterdam del 1997 il nuovo governo laburista di T.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 7

    Ma quali indicazioni si possono trarre da tale documentazione ed in particolare dalle

    raccomandazioni 8 inviate agli Stati membri ? Intanto un principio importante: la protezione sociale

    considerata quale componente fondamentale del modello europeo di societ poich garantisce stabilit

    politica, coesione sociale e progresso economico. La protezione sociale, infatti, non solo ridimensiona la quota di

    famiglie che verrebbero, in sua assenza, a collocarsi in situazioni di povert 9 ma rappresenta anche un

    investimento nelle risorse umane nel momento in cui contribuisce a migliorare la qualit della forza lavoro,

    ad aumentare la produttivit del sistema economico ed a sostenere i mutamenti strutturali. Per cui

    grazie alle sue politiche sociali sviluppate, lEuropa riuscita e riesce tuttora a competere con successo

    con il resto del mondo: sia con i paesi che possono vantare tecnologie estremamente avanzate che con

    paesi dai salari molto pi bassi (Commissione Europea 2000- 379)

    In secondo luogo si sostiene la difesa delle culture nazionali attraverso il principio della sussidiariet

    in base al quale ogni Stato membro rimane responsabile dellorganizzazione e del finanziamento del

    proprio sistema di protezione sociale, in un contesto globale (Patto di Stabilit e di Crescita) in cui lUE

    svolge un ruolo di sorveglianza politica (Commissione Europea 2000- 163)10.

    In terzo luogo, partendo dalla constatazione di essere in presenza non di un unico modello di

    welfare ma di una molteplicit di modelli, si punta ad una convergenza degli obiettivi e delle politiche per

    ridurre le disparit presenti, per evitare che differenze di livello di protezione sociale ostacolino la

    mobilit delle persone (che i lavoratori, in particolare, non siano penalizzati dal fatto di dover cambiare

    paese) ma anche per impedire che una competizione selvaggia determini un succedersi di forme di

    dumping sociale (meno regolamentazioni e meno tutela ) per incoraggiare afflussi di capitale nei singoli

    Stati membri.

    La necessit di predisporre strumenti di coordinamento, di armonizzazione e di convergenza

    viene giustificata anche dal fatto che tutti i sistemi europei di protezione sociale debbono confrontarsi

    con problematiche comuni che appartengono al mondo del lavoro, agli aspetti demografici, ai profondi

    mutamenti sociali.

    Blair pone fine allautoesclusione del Regno Unito e il Protocollo diviene parte integrante del Trattato. Sempre in tale occasione si decide si inserire nel Preambolo del Trattato un riferimento alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali del 1989. Cfr. Ferrera M. (1998), Le trappole del welfare, il Mulino, Bologna 7 The Treaty of Amsterdam, Art.2 states that the Community shall have as its task.to promote throughout the

    Community a high level of social protection. 8 Raccomandazione 92/442/CEE (Convergenza degli obiettivi e delle politiche); Commissione Europea (1995), The future of

    social protecion, a framework for a European debate, COM (95- 466), Bruxelles; Commissione Europea (1997), Modernising and Improving Social Protecion in the European Union, COM (97- 102), Bruxelles; Commissione Europea (1999), Agenda for modernising social protecion, COM (1999-347), Luxemburg 9 In una comunicazione del Consiglio del 1999 si legge, ad esempio, in mancanza di trasferimenti sociali circa il 40% delle

    famiglie vivrebbe in una situazione di povert relativa mentre tale percentuale scende al 17% grazie appunto ai regimi fiscali e ai sistemi di erogazione di prestazioni Commissione Europea (1999- 347). 10 Cfr.Social Protection in Europe(2000), COM (2000-163), Bruxelles

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 8

    Per quanto riguarda il mercato del lavoro, ad esempio, la diffusione delle nuove forme contrattuali

    pi flessibili ma, al tempo stesso, pi precarie (contratti atipici), se aiutano la competitivit dei singoli

    Paesi e dellEuropa nel suo insieme, introducono forti elementi di incertezza nei bilanci delle famiglie, in

    particolare in quelle che vanno a formarsi, giovani coppie, ove pi usuale la presenza delle nuove

    forme contrattuali. Se in passato il lavoro a tempo indeterminato del capofamiglia lasciava le famiglie

    fuori dalla povert, oggi questo non pi vero e le analisi correnti mostrano come il rischio di povert si

    sia sensibilmente spostato (almeno sino ad oggi) dagli anziani (per effetto di un sistema pensionistico

    retributivo ante riforma) alle giovani coppie, alle famiglie monoreddito, alle famiglie con pi figli a carico.

    Questo significa che lesigenza di maggiore flessibilit va coniugata con la sicurezza, con la solidariet,

    con politiche di sviluppo capaci di determinare non soltanto pi posti di lavoro, ma anche buoni posti

    (Commissione Europea 1999- 347) e con una buona rete di ammortizzatori sociali.

    Per quanto riguarda la popolazione, linvecchiamento demografico e laumento del tasso di crescita del

    numero degli anziani dal 2010 in poi, quando la generazione del baby boom raggiunger let del

    pensionamento, pone, in quasi tutti i Paesi europei, problemi di sostenibilit finanziaria dei sistemi

    pensionistici. Ma laumento della popolazione anziana e della vita media, si riflette, anche e naturalmente,

    in una domanda crescente di beni e servizi sanitari e di servizi sociali (assistenza domiciliare, case di

    riposo, ecc ) anche per laccresciuta partecipazione delle donne al mercato del lavoro che riduce la

    componente assistenziale non retribuita del lavoro di cura.

    La popolazione invecchia ma si struttura anche in un numero crescente di famiglie ; in tutta

    lUnione il numero delle famiglie sta aumentando pi velocemente della popolazione e questo si riflette

    in un graduale declino della dimensione media delle famiglie. Il declino della dimensione media dei nuclei

    implica, nuovamente, una domanda crescente di servizi sociali essendo le famiglie stesse meno capaci a

    fornire assistenza e sostegno anche e solo ai propri membri. Ma le famiglie divengono anche pi fragili;

    aumentano le separazioni, i divorzi, le famiglie monoparentali dove la partecipazione delle donne al

    mercato del lavoro prioritaria ma, nel contempo, si concilia con grande difficolt con la cura dei figli

    per la limitata disponibilit di adeguate reti di servizi sociali per linfanzia.

    Pi in generale, la stessa maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro ( nel 1970, ad

    esempio, meno del 40% delle donne di et compresa tra i 25 e i 54 anni aveva unoccupazione o la

    cercava attivamente, mentre si supera il 70 % sul finire degli anni novanta), elemento sicuramente

    positivo e fortemente auspicato, richiede crescenti e diversificati servizi sociali per conciliare le esigenze

    familiari con quelle professionali.

    La povert e lesclusione sociale sono diventati, ormai, fenomeni evidenti anche in Europa; i dati pi

    recenti disponibili in materia di reddito negli Stati membri mostrano che il tasso di povert relativa11,

    11 In Europa la povert viene misurata in termini relativi e la linea viene fissata ad un valore pari al 60% del reddito mediano

    nazionale reso equivalente

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 9

    al 16% circa della popolazione: si tratta di 80 milioni circa di persone (vedi secondo modulo). Le antiche

    forme di esclusione sociale (disoccupazione, malattia, handicap, dipendenze da alcol e droga) si stanno

    consolidando con lo sviluppo delle nuove forme: disoccupazione dei capifamiglia scarsamente qualificati

    e spiazzati dallinnovazione tecnologica, padri/madri separate/divorziate; disagio economico dei giovani

    assunti con le nuove forme contrattuali, delle famiglie con un solo reddito, delle famiglie con pi figli

    minori, e cos via.

    Per far fronte a queste sfide comuni, gli Stati membri si sono impegnati a sviluppare una crescita

    economica sostenibile e unoccupazione di qualit che possa ridurre i rischi di povert e di emarginazione

    sociale. Con quali strumenti? Intanto sostenendo la crescita, la competitivit e il dinamismo

    delleconomia senza i quali diviene pi complesso ricercare risorse da destinare alla coesione sociale. E

    poi adottando una strategia globale capace, attraverso opportuni dosaggi tra provvedimenti di politica

    sociale, politica per loccupazione e politica per la competitivit, di determinare un circolo virtuoso tra progresso

    economico e progresso sociale. Le politiche per loccupazione dovrebbero, cos, coordinarsi, pi che in

    passato, con le politiche sociali, per ridurre la dipendenza dalle politiche assistenziali; con le politiche

    dellistruzione e della formazione, per mantenere e migliorare le competenze della forza lavoro; con le

    politiche fiscali, per migliorare loccupabilit dei lavoratori a debole qualificazione (fiscalizzazione degli

    oneri sociali per i lavoratori a bassa produttivit), e cos via.

    Ma nel corso di questi ultimi anni, in un contesto di bassa crescita, perdita di competitivit e

    difficolt nellincrementare la buona occupazione, il modello sociale europeo12 inizia ad incrinarsi a favore

    di un nuovo modello sociale europeo in cui il welfare prevalentemente universale tende a divenire un

    welfare prevalentemente selettivo. Si parla cos, sempre pi sovente, di universalismo selettivo : le

    prestazioni rimangono universali ma laccesso effettivo condizionato alla disponibilit delle risorse

    pubbliche sempre pi scarse; nel contempo si innestano, su impianti universalistici schemi privatistici (

    pensione pubblica minima di base e schemi privatistici per pensioni integrative ); si espande la

    compartecipazione degli utenti ai costi dei servizi resi (istruzione e sanit, ad esempio); si ricercano

    strumenti dintervento che non fanno capo n al mercato n allo Stato ma alle organizzazioni del

    volontariato e del Terzo settore per ridurre i costi dei servizi e rendere pi flessibili i servizi stessi.

    12 Il modello sociale europeo viene definito, nei diversi documenti della Comunit, come quel modello in cui il progresso

    economico e il progresso sociale procedono di pari passo e si rafforzano a vicenda in quanto la protezione sociale non fornisce soltanto una rete di sicurezza per i poveri ma contribuisce anche a garantire la coesione sociale. Come dire che solo se le societ sono in grado di offrire adeguati livelli di protezione sociale, gli individui saranno pi disposti ad assumersi i rischi dei cambiamenti imposti dal progresso economico in termini di formazione continua, processi di riqualificazione, di mobilit, e cos via.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 10

    5. La spesa sociale in Europa

    Per meglio individuare il modello/ i modelli europei di welfare, si delineano i caratteri generali della spesa

    per la protezione sociale 13 attraverso i dati dellESSPROS (European System of integrated Social

    PROtection Statistics), per comprendere anche la direzione e le ragioni delle riforme portate avanti a

    partire dagli anni novanta e, in parte, ancora in corso. Ma, prima di entrare nellanalisi dei singoli dati e nei

    modelli nazionali di welfare, opportuno ricordare che la spesa sociale presa in considerazione dall

    ESSPROS al lordo del prelievo fiscale e, in quanto tale, rappresenta solo unapprossimazione delle differenze tra

    Paesi, essendo la tassazione sui trasferimenti abbastanza diversa da paese a paese. Se il confronto fosse

    effettuato pi correttamente al netto del prelievo, operazione ancora oggi estremamente complessa ed

    esclusa dalle elaborazioni ESSPROS, le differenze tra Paesi, secondo alcune stime realizzate dalla OCSE

    nel 1995 (Willem, 1999), sarebbero nettamente inferiori. La spesa sociale netta della Svezia, ad esempio, si

    avvicinerebbe molto a quella della Germania; quella della Danimarca e quella della Finlandia a quella del

    Regno Unito, e quella dellItalia e dellIrlanda a questi ultimi paesi ( Commissione Europea, 2000- 163 ).

    Partendo da questo studio OCSE, lEurostat14 ha condotto, nel 2008, uno studio pilota finalizzato

    alla stima della quota di tasse e/o contributi sociali pagati dai cittadini sui trasferimenti e per lassistenza

    ricevuta dal sistema di protezione sociale. Prendendo come punto di riferimento i dati relativi al 2005, si

    stima che, con riferimento ai Paesi dellUnione Europea, il 7 per cento del totale della spesa per la protezione

    sociale assorbito da tasse e contributi sociali pagati dai beneficiari delle prestazioni; per lItalia questo

    valore medio sale all11% circa collocando, il nostro Paese al sesto posto tra i paesi con pressione

    fiscale e contributiva pi elevata. Di conseguenza, la quota media di spesa per la protezione sociale sul

    Pil nellUnione Europea subisce una riduzione di 4 punti percentuali nel passaggio dal valore di spesa lorda a

    quella netta : dal 26 (come vedremo) al 22 per cento circa ( vedi Figura 4.6 Istat). Come per lo studio

    OCSE, le differenze tra Paesi rilevate a livello di spesa lorda si ridimensionano in un confronto a livello

    di spesa netta.

    In attesa di elaborazioni pi puntuali, si pu iniziare lanalisi considerando la spesa lorda per la

    protezione sociale nel suo aggregato e la sua evoluzione dal 1990 al 2008, anno pi recente di disponibilit

    di dati.

    Nellanno 2008 le risorse destinate, nellUnione Europea a 15-1615, alle spese per la protezione sociale

    rappresentano il 27,07% del Pil ; esistono, naturalmente, divergenze ancora significative tra i diversi Paesi

    variando la spesa dal 30,8% del Pil della Francia al 22,1% dellIrlanda. Nello specifico presentano valori

    superiori al valore medio europeo, la Danimarca (29,7%), la Svezia (29,4), i Paesi Bassi (28,4%), il Belgio

    13 Le spese considerate sono quelle incluse nella voce protezione sociale costituita dalle spese per la salute, per la previdenza, per

    il sostegno alla famiglia, per la disoccupazione, per il sostegno ai gruppi pi deboli e per la locazione .

    14 Cfr. Istat 2011, Rapporto sulla Situazione del Paese.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 11

    (28,3%), lAustria (28,2%), la Germania (27,8%), e lItalia (27,8%); hanno valori inferiori al valore medio

    sette paesi su quindici: la Finlandia (26,3%), la Grecia (26,0%), Portogallo (24,3%), il Regno Unito (23,7%)

    la Spagna (22,7%), lIrlanda (22,1%) e il Lussemburgo (20,1%), (vedi tabella n.1 e figura n.1 dellEurostat).

    15 LEuropa a 15 comprende il Belgio (BE), la Danimarca (DK), la Germania (DE), la Grecia (EL), la Spagna (ES), la Francia

    (FR), lIrlanda (IE), lItalia (IT), il Lussemburgo (LU), i Paesi Bassi (NL), lAustria (AT), il Portogallo (PT), la Finlandia (FI), la Svezia (SE) e il Regno Unito (UK)

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 12

    Tabella n.1 Spesa per protezione sociale in percentuale sul PIL per funzioni anno 2008

    Paesi Spesa totale

    Previd. Vecchiaia e supestiti

    Invalidit.

    Salute Famiglia Disoccupazione

    Abitazione ed esclus.

    Media Eu 15-16

    27,07 10,1 2,1 7,7 2,1 1,4 0,6

    BELGIO 28,3 10,8 1,9 7,6 2,1 3,3 1,0

    DANIMARCA 29,7 11,1 4,4 6,7 3,8 1,4 1,5

    GERMANIA 27,8 11,5 2,1 8,1 2,8 1,4 0,7

    GRECIA 26,0 12,8 1,2 7,3 1,6 1,3 1,1

    SPAGNA 22,7 8,8 1,6 6,8 1,5 3,0 0,5

    FRANCIA 30,8 13,4 1,7 8,7 2,5 1,7 1,2

    IRLANDA 22,1 5,5 1,1 8,5 3,1 1,8 0,9

    ITALIA 27,8 16,1 1,6 7,0 1,3 0,5 0,1

    Lussemburgo 20,1 7,1 2,3 5,0 3,9 0,9 0,6

    PAESI BASSI

    28,4 10,7 2,4 8,8 1,8 1,0 2,1

    AUSTRIA 28,2 13,4 2,1 7,1 2,8 1,4 0,4

    Portogallo 24,3 11,9 2,1 6,5 1,3 1,0 0,3

    FINLANDIA 26,3 9,7 3,2 6,8 3,0 1,8 1,0

    SVEZIA 29,4 12,0 4,3 7,5 3,0 0,9 1,1

    Regno Unito 23,7 9,0 2,5 7,6 1,7 0,6 1,4

    Fonte Eurostat, 2011, Statistics in focus, Population and Social Conditions

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 13

    Le differenze permangono anche quando si considera la spesa media pro-capite espressa in termini di parit

    di potere dacquisto (Purchasing Power Standards PPS) 16 dei singoli Paesi; rimanendo nellarea dellUE a 15-16

    la spesa varia dalle 9.557 PPS dei Paesi Bassi alle 4.791 del Portogallo; lItalia presenta un valore pari a 7.090

    , inferiore al valore medio UE a 15-16 ( 8108) (vedi figura n.2, Eurostat ).

    16 PPS : Purchasing Power Standards : unit indipendenti dalle monete nazionali e serve a rimuovere le distorsioni dovute ai

    diversi livelli dei prezzi. I valori in PPS si derivano dal PPPs (parit di potere dacquisto) che si ottiene dalla media ponderata dei prezzi in relazione ad un paniere omogeneo di merci e servizi comparabile e rappresentativo per ogni Stato Membro. Il confronto della spesa pro-capite per la protezione sociale potrebbe essere effettuato anche in euro ma il confronto stesso perderebbe di significativit nel momento in cui esistono ancora differenze di rilievo, in termini di potere dacquisto, tra i diversi paesi. Per la Danimarca, ad esempio, lEurostat stima un costo della vita del 39% in pi rispetto allItalia; esprimendo la spesa pro-capite in euro la Danimarca avrebbe una spessa dell 88% in pi rispetto allItalia; in termini di PPS il differenziale tra i due Paesi si riduce al 35% (188/139=1,35) in pi per la Danimarca (Eurostat, 2002).

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 14

    Se si considerano i diversi segmenti che compongono la spesa sociale e, quindi, le funzioni , le quote

    pi rilevanti vanno, in tutti i Paesi dellUnione, alla previdenza ( 10,1% del pil come valore medio) ed alla

    salute (7,7%). A seguire le spese per linvalidit (2,1%) e la famiglia (2,1%); la disoccupazione (1,4%) e

    labitazione-esclusione sociale (0,6%) (vedi tabella n.1).

    Se si considera la struttura della spesa, limmagine, naturalmente, non cambia nel senso che le spese

    per le pensioni e la salute rimangono le poste pi importanti rappresentando, da sole, i due terzi della spesa

    totale. E poich una gran parte della spesa per la salute riguarda le persone anziane, si pu sostenere che

    una parte significativa delle risorse destinate alla protezione sociale diretta ad un segmento della

    popolazione, quella anziana. Risorse relativamente contenute finanziano i trasferimenti alle famiglie (assegni

    familiari) ( 8,2%), la disabilit (7,0%), la disoccupazione (5,9%) e labitazione-esclusione sociale (3,0%) (

    vedi tabella n.2 ).

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 15

    Tabella n.2

    Composizione a 100 della Spesa per la protezione sociale, anno

    2008

    PAESI Pensioni e superstiti

    Salute Disabilit Famiglia Disoccup Abitaz e esclusione

    sociale

    Totale

    Media Eu 15-16 46,2 29,6 7,0 8,2 5,9 3,0 100,0

    BELGIO 40,7 28,4 7,1 7,8 12,5 3,6 100,0

    DANIMARCA 38,4 23,3 15,2 13,2 4,8 5,1 100,0

    GERMANIA 43,0 30,5 7,8 10,6 5,4 2,8 100,0

    GRECIA 50,8 29,0 4,7 6,3 5,1 4,2 100,0

    SPAGNA 39,6 30,8 7,2 6,8 13,6 2,1 100,0

    FRANCIA 45,8 29,8 6,0 8,4 5,8 4,2 100,0

    IRLANDA 26,2 40,9 5,5 14,8 8,7 4,1 100,0

    ITALIA 60,7 26,4 5,9 4,7 1,9 0,3 100,0

    Lussemburgo 36,0 25,2 11,5 19,8 4,6 2,9 100,0

    PAESI BASSI 39,9 32,8 8,8 6,6 3,8 8,0 100,0

    AUSTRIA 49,2 26,1 7,8 10,3 5,0 1,6 100,0

    PORTOGALLO 51,5 28,0 9,3 5,5 4,5 1,2 100,0

    FINLANDIA 38,0 26,8 12,6 11,6 7,1 3,9 100,0

    SVEZIA 41,8 26,0 15,1 10,4 3,0 3,7 100,0

    Regno Unito 39,7 33,3 11,0 7,3 2,5 6,1 100,0

    Fonte : idem

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 16

    Se si d uno sguardo agli anni che vanno dal 1990 al 2008 , il sistema sociale europeo sembra

    tenere17 e convergere nel senso che la quota di spesa sul pil continua a crescere (anche se con intensit

    diversa nel lungo periodo) in quasi tutti i paesi dellUnione passando dal 25,5% del 1990 al 27,5%, con

    un decennio 2000 in cui lincidenza sembra stabilizzarsi intorno al 27% del Pil (vedi tabella n.3).

    Elementi di convergenza si possono rilevare notando come la spesa aumenti pi nei Paesi che

    avevano una quota sul Pil nettamente inferiore al valore medio ( in Portogallo, ad esempio, si passa dal

    15,2% del 1990 al 24,3% del 2008) rispetto ai Paesi che si collocavano su valori superiori al valore medio (

    in Svezia, ad esempio, si passa dal 33,1% del 1990 al 29,4% del 2008).

    Secondo stime Eurostat la spesa pro-capite, espressa in valore costante, cresce , nel periodo

    2001-2008, ad un tasso medio annuo del 2% ; e poich la crescita abbastanza differenziata tra i diversi Stati

    membri e maggiore nei paesi a pi basso livello di spesa, anche la spesa pro-capite tende a convergere;

    crescono con tassi inferiori al valore medio la Germania, ad esempio, (0,1%), lAustria (1,3%), l Italia

    (1,5%), la Francia (1,7); crescono ad un tasso superiore al valore media la Grecia (4,2%), la Spagna

    (3,7%), lIrlanda (5,0%) (vedi tabella n.3).

    .

    17 E bene ricordare che la quota di spesa sociale sul pil un rapporto tra la spesa stessa e il pil; se il pil cresce pi lentamente

    della spesa, la quota aumenta anche a parit di risorse destinate alla protezione sociale.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 17

    Tabella n. 3 Spesa per la protezione sociale come quota sul Pil 1990 2008

    Paesi Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Tasso annuo spesa sociale pro-capite a

    prezzi costanti

    1990 1995 1997 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2001-2008

    Europa a 15-16

    25,5 28,3 27,5 27,0 27,1 27,4 27,8 27,7 27,7 27,3 26,8 27,5 2,0%

    BELGIO 26,4 28,1 27,4 26,5 27,3 28,0 29,1 29,3 29,6 30,2 26,8 28,3 1,7%

    Danimarca 28,7 32,2 30,1 28,9 29,2 29,7 30,9 30,9 30,2 29,2 28,8 29,7 1,8%

    Germania 25,4 28,9 28,9 29,3 29,4 30,0 30,3 29,6 29,7 28,7 27,7 27,8 0,1

    GRECIA 22,9 22,3 20,8 23,5 24,1 23,8 23,6 23,6 24,6 24,6 24,5 26 4,2%

    SPAGNA 19,9 22,1 20,8 20,3 20,0 20,3 20,4 20,6 20,9 20,9 21,0 22,7 3,7%

    FRANCIA 27,9 30,7 30,4 29,5 29,6 30,4 30,9 31,3 31,4 30,7 30,5 30,8 1,7%

    Irlanda 18,4 18,9 16,7 14,1 14,9 17,2 17,8 18,0 18,1 18,4 18,9 22,1 5,0%

    ITALIA 24,7 24,8 24,9 24,7 24,9 25,3 25,8 26,0 26,4 26,6 26,7 27,8 1,5%

    Lussemburgo 22,1 23,7 21,5 19,6 20,9 21,6 22,2 22,3 21,7 20,4 19,3 20,1 4,1%

    Paesi Bassi 32,5 30,9 28,7 26,4 26,5 27,6 28,3 28,3 27,9 28,8 28,3 28,4 2,9%

    AUSTRIA 26,7 29,6 28,6 28,1 28,4 29,0 29,3 29,0 28,9 28,4 27,9 28,2 1,3%

    Portogallo 15,2 22,1 20,3 21,7 22,7 23,7 24,1 24,7 24,6 24,6 24,0 24,3 1,8%

    Finlandia 25,1 31,8 29,1 25,1 24,9 25,6 26,5 26,6 26,7 26,4 25,4 26,3 3,1%

    SVEZIA 33,1 35,5 32,7 30,7 30,5 31,3 32,2 31,6 31,1 30,3 29,1 29,4 2,0%

    Regno Unito 23,0 28,2 27,3 26,9 26,8 25,7 25,7 25,9 26,3 26,0 23,3 23,7 1,9%

    Fonte : idem

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 18

    Unultima annotazione riguarda il sistema di finanziamento delle politiche sociali. Dal confronto

    internazionale emergono, essenzialmente, due fonti importanti di finanziamento : la tassazione generale e i

    contributi sociali sulle retribuzioni corrisposti sia dai lavoratori che dai datori di lavoro. A livello europeo il

    61,1 % del finanziamento totale della spesa deriva dai contributi sociali ma esistono sensibili differenze tra

    Paesi : superano tale valore medio i Paesi Bassi (66,6%), la Francia (64,6%), la Germania (63,1%), e la

    Spagna (62%), ad esempio ; si collocano al di sotto del valore medio lItalia (56,2 %), il Lussemburgo

    (50%); la Finlandia (49,6%), il Portogallo (46,1%), il Regno Unito (43,8%), e la Danimarca (43,6%) (vedi

    tabella 4 ).

    Le differenze nella tipologia di finanziamento riflettono, essenzialmente, il modo in cui

    storicamente si sono formati i sistemi di protezione sociale; quando la quota di finanziamento da

    contributi sociali relativamente elevata significa che stato privilegiato un approccio di tipo assicurativo

    con uno stretto legame tra posizione lavorativa e diritto di accesso ai benefici; quando la quota relativamente bassa

    significa che si in presenza di un sistema fortemente basato su una copertura universalistica dei cittadini

    (tutti hanno accesso alle prestazioni indipendentemente dallessere o meno lavoratori ) e il sistema si

    finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale (contributi governativi).

    Nel periodo considerato (1990-2008), il sistema di finanziamento si modifica in tutti i paesi

    considerati per far fronte allintensificarsi della concorrenza e guadagnare gradi di competitivit; si cerca,

    cos, di ridurre il costo del lavoro trasferendo il finanziamento della protezione sociale dai contributi al prelievo

    fiscale generale servendosi, in alcuni casi, anche di tasse specifiche come la tassa di solidariet in Francia introdotta

    nel 1991 e limposta regionale sulle attivit produttive (IRAP) introdotta in Italia nel 1998 per compensare i minori

    introiti derivanti dalla soppressione dei contributi sociali diretti al finanziamento del sistema sanitario

    nazionale.

    Come media europea i contributi sociali passano, cos, dal 67,1 % del finanziamento al 61,1%, e la

    riduzione coinvolge sia la quota a carico dei datori di lavoro che passa dal 42,5 % del finanziamento totale

    al 38,7% sia quella dei lavoratori che scende dal 24,6% al 22,4 %. Il ridimensionamento particolarmente

    sensibile per lItalia ove la quota complessiva dei contributi sociali passa dal 70,4 al 56,02% ( per la quota a

    carico dei datori di lavoro si passa dal 54,9 al 40,2 % mentre per i lavoratori si rileva un leggero aumento

    :dal 15,5 al 16,0 %).

    Alla riduzione della quota relativa dei contributi sociali fa riscontro un aumento dei contributi

    governativi che passano, in media, dal 28,8 al 35,4 % (dal 27,2 al 42,2 % per lItalia ) (vedi tabella n.4 ).

    Con riferimento alle modifiche introdotte nel sistema di finanziamento della spesa sociale, viene da

    chiedersi se tale compensazione rappresenti una strategia di breve periodo per evitare un opposizione da

    parte dei sindacati, ad esempio, o una diversa modalit strutturale di finanziamento dello Stato sociale. Le

    riforme del sistema fiscale portate avanti nei diversi Paesi e tese a ridurre limposizione, avranno come

    conseguenza, almeno nel breve periodo, una riduzione delle entrate e, quindi, inducono a ritenere la

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 19

    compensazione pi che una diversa modalit di finanziamento, un graduale ritiro dello Stato dallattivit di

    redistribuzione.

    Tabella n. 4 Entrate della protezione sociale : composizione a 100, anni 1990 2001 - 2008

    Contributi

    governativi

    Datori di lavoro Lavoratori Altre entrate

    Paesi 1990 2001 2008 1990 2001 2008 1990 2001 2008 1990 2001 2008

    Media Eu 15-16 28,8 32,1 35,4 42,5 41,5 38,7 24,6 22,7 22,4 4,1 3,7 3,5

    BELGIO 23,8 25,8 39,8 41,5 49,7 36,6 25,5 22,5 21,2 9,2 2,0 2,4

    DANIMARCA 80,1 62,8 61,8 7,8 30,4 32,2 5,3 9,3 11,4 6,8 7,0 6,1

    GERMANIA 25,2 32,4 35,0 43,7 37,8 34,9 28,4 27,6 28,2 2,7 2,2 1,9

    GRECIA 33,0 27,8 34,6 39,4 38,5 32,7 19,6 23,5 21,1 8,0 10,2 11,5

    SPAGNA 26,2 29,0 36,2 54,4 52,3 47,0 16,9 16,2 15,0 2,5 2,5 1,8

    FRANCIA 17,0 30,3 32,0 51,0 45,7 43,8 28,5 20,3 20,8 3,5 3,7 3,4

    IRLANDA 58,9 60,6 54,1 24,5 24,9 25,8 15,6 14,1 15,7 1,0 0,4 4,4

    ITALIA 27,2 40,9 42,2 54,9 42,7 40,2 15,5 14,7 16,0 2,5 1,8 1,6

    Lussemburgo 41,5 42,8 46,3 29,5 27,2 25,9 21,0 25,1 24,1 8,1 4,9 3,7

    PAESI BASSI 25,0 16,1 21,3 20,0 32,4 32,4 39,1 35,6 34,2 15,9 15,8 12,2

    AUSTRIA 35,9 32,3 33,2 38,1 38,9 38,0 25,1 27,1 27,2 0,9 1,8 1,5

    PORTOGALLO 33,8 37,8 44,9 36,9 36,4 30,8 20,1 18,0 15,3 9,2 7,8 9,0

    FINLANDIA 40,6 42,4 43,7 44,1 39,1 38,4 8,0 11,5 11,2 7,3 6,9 6,7

    SVEZIA .... 45,8 49,6 .... 42,7 37,7 .... 9,2 9,8 .... 2,3 2,9

    Regno Unito 42,6 48,5 49,4 28,1 30,2 32,4 26,9 19,5 11,4 2,4 1,8 6,7

    Fonte : idem

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 20

    6. La spesa sociale in Italia

    Per quanto riguarda LItalia e facendo sempre riferimento alle elaborazioni ESSPROS, il primo

    dato che emerge, in un confronto europeo, che lItalia presenta, in termini di spesa sociale in rapporto al

    pil valori inferiori al valore medio e questo da quando sono pubblicati dati armonizzati e, cio, dal 1981

    (supera di poco il valore medio solo nel 2008 : 27,8 contro 27,07). Per le considerazioni svolte in precedenza

    e se si considerasse la spesa sociale netta anzich lorda, la nostra quota sarebbe ancora pi lontana dal valore

    medio europeo.

    Anche in termini di spesa media pro capite lItalia presenta un valore inferiore al valore medio:

    7.090 PPS contro una media europea pari a 8.108.

    Il secondo dato di interesse, e che rappresenta anche il punto su cui si incentrato il dibattito

    interno ed internazionale, riguarda il peso che la spesa per la previdenza assume sia come quota sul pil che

    allinterno della spesa per la protezione sociale. Se in media la Comunit destina alla spesa per la previdenza

    il 10,1 per cento del pil, sempre con riferimento allanno 2008, in Italia tale valore sale al 16, 1 %, sei punti

    percentuali in pi, e questo aspetto viene usualmente indicato come la grande anomalia del sistema sociale

    italiano essendo la quota non solo superiore al valore medio ma anche pi alta di quella presente nella

    stessa Svezia (12,0%), ad esempio, considerata come il paese che dispone del sistema a pi alta protezione

    sociale.

    Esistono, in realt, diverse ragioni che possono spiegare tale differenza; intanto sembra opportuno

    ricordare che nel calcolo della spesa pensionistica italiana vengono incluse le erogazioni relative al

    cosiddetto Trattamento di Fine Rapporto (TFR)18, un istituto non presente negli altri Paesi e che se la

    relativa spesa fosse esclusa, la spesa previdenziale sul pil perderebbe, secondo alcune stime, due punti

    percentuali circa in termini di peso sul pil. In una pubblicazione del Ministero del Lavoro19 possibile, ad

    esempio, leggere Il dato italiano in realt fortemente viziato dalla considerazione del TFR nella spesa per

    vecchiaia. Listituto, affatto peculiare nel panorama europeo, appare uno schema di risparmio obbligatorio

    legato al particolare contratto in essere del lavoratore dipendente e quindi solo occasionalmente associabile

    al rischio vecchiaia. E infatti erogato a ogni cambio di datore di lavoro e quando il lavoratore va in

    quiescenza tipicamente ne ha gi usufruito in maniera consistente nel corso della vita lavorativa. In realt,

    appare discutibile la stessa natura di prestazione sociale del TFR. Se si escludesse il TFR, la propensione

    pensionistica della spesa sociale italiana permarrebbe, ma sarebbe molto meno accentuata.

    C anche da tenere presente che lItalia ha la pi alta quota, in Europa, di persone con unet

    superiore ai 65 anni (20,1 % contro il 16,1% del Regno Unito e della Francia, l10,9% dellIrlanda, ad

    esempio ) (vedi tabella n.5) e che spesso la spesa previdenziale stata utilizzata, pi che negli altri paesi, per

    fini assistenziali o come ammortizzatori sociali (integrazioni al minimo e pensioni sociali come forme

    18 Il Tfr pari al 6,9% della retribuzione lorda e viene accantonato presso le aziende in cui si lavora.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 21

    assistenziali, pensioni di invalidit come indennit di disoccupazione ). Questultimo elemento spiega anche

    perch lItalia il paese europeo che destina ai trattamenti di disoccupazione la quota pi piccola: 0,5 per

    cento del pil contro un valore medio europeo dell1,4, vedi tabella n.1 ). Probabilmente, se si riuscisse a

    separare la componente assistenziale dalla spesa per pensioni, a tenere conto della diversa struttura della

    popolazione, del TFR e del prelievo fiscale, la spesa previdenziale italiana cesserebbe dallessere considerata

    come la grande incongruenza del welfare italiano.

    Per quanto riguarda, invece, la salute anche per lItalia rappresenta, come per gli altri paesi europei,

    la seconda posta in termini di peso sul pil (7,0% contro il 7,7% come valore medio europeo). Se lItalia

    destina in media e per linsieme delle prestazioni sociali una quantit di risorse inferiore al valore medio e

    contemporaneamente presenta un valore superiore per la spesa previdenziale, significa che alcune aree del

    sociale hanno ricevuto e ricevono minori risorse rispetto a quanto sarebbe stato, probabilmente, necessario.

    Senza tenere conto del gap presente nella spesa per la disoccupazione e che si pu, in parte, giustificare con

    lutilizzo improprio delle pensioni di invalidit come indennit di disoccupazione, carenze si rilevano per gli

    aiuti alle famiglie (assegni familiari), con una quota dell 1,3% sul pil contro un valore medio del 2,1 e per il

    sostegno alle spese per affitto ed esclusione sociale pressoch irrilevante ( 01 contro 0,6 ) per un paese che

    presenta, tra laltro, un tasso di povert relativa superiore al valore medio europeo .

    Il diverso peso sul pil si riflette, naturalmente, sulla struttura della spesa sociale; ponendo pari a

    cento la spesa per la protezione sociale, la spesa pensionistica copre, in Italia, il 60,7 per cento del totale

    contro una media europea del 46,2 per cento e valori pari al 41,8 per la Svezia, al 45,8 per la Francia; al 43

    per la Germania, e cos via (vedi tabella 2 ). Carenze si rilevano per gli aiuti alle famiglie (assegni familiari,

    spese per gli asili nido, le strutture residenziali, lassistenza domiciliare a minori ed anziani) a cui si destina

    solo il 4,7% del totale della spesa contro un valore medio dell8,2% e per il sostegno alle spese per affitto ed

    esclusione sociale: 0,3% contro il 3,0% come valore medio europeo ( per quanto riguarda il finanziamento

    vedi quanto detto in precedenza).

    Il confronto tra il sistema di welfare italiano e quello degli altri paesi europei, pur nei limiti della

    non completa omogeneit dei dati e nel ridimensionamento della anomalia riferita alleccessivo peso

    della spesa pensionistica, evidenzia, comunque, delle specificit che appartengono al modo stesso con cui

    si sono costruiti, nel tempo, i welfare nazionali, allevolversi delle componenti socio economiche della

    popolazione (invecchiamento, partecipazione al mercato del lavoro, peso dei lavoratori autonomi, e cos

    via), e da motivazioni socio culturali. Per un lungo periodo di tempo in Italia, ad esempio, la famiglia ha

    giocato attraverso una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro un significativo ruolo

    di supplenza in una molteplicit di lavori di cura ( nei confronti degli anziani, minori, invalidi, portatori

    di handicap, ecc.), e di redistribuzione del reddito al suo interno ( per i giovani in cerca di occupazione,

    19 Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Quaderni della Ricerca Sociale n.3 , Povert ed Esclusione Sociale,

    LItalia nel contesto comunitario, Anno 2010

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 22

    per le donne separate/divorziate, per le ragazze madri, e cos via); compiti affidati, negli altri Paesi,

    allintervento pubblico. Tale atteggiamento spiega, tra laltro, non solo la relativa bassa partecipazione

    delle donne italiane al mercato del lavoro (ad oggi permangono, ancora, quasi 12 punti di differenziale

    negativo in termini di tasso di occupazione rispetto alla media europea), ma anche la particolare tutela

    riservata ai disoccupati adulti ( in termini di fruizione della Cassa Integrazione Guadagni,

    prepensionamenti, pensioni di invalidit), rispetto ai giovani in cerca di prima occupazione, esclusi da

    ogni forma di sostegno. In questo senso e rispetto alla situazione media dellEuropa, la struttura della

    spesa sociale italiana risulta, come si visto, fortemente sbilanciata a favore della spesa previdenziale con

    alcuni settori palesemente sottosviluppati quali quelli costituiti dal trattamento di disoccupazione e

    dallassistenza sociale.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 23

    Tabella n. 5 Alcuni indicatori demografici ed occupazionali riferiti allanno 2010

    Alcuni indicatori demografici ed occupazionali

    Paesi

    Popolazione 2009 (.000)

    % popolazione 65 anni e pi

    (anno 2008)

    % occupati su popolazione 15-

    64 (2010)

    Tasso di disoccupazione

    ( 2010)

    BELGIO (BE) 10.796 17,1% 62,0 8,3 DANIMARCA (DK) 5.517 15,6% 73,4 7,4 GERMANIA (DE) 80.967 19,9% 71,1 7,1 GRECIA (EL) 10.839 18,7% 59,6 12,6 SPAGNA (ES) 45.671 16,6% 58,6 20,1 FRANCIA ( FR) 61.059 16,4% 64,0 9,8 IRLANDA (IE) 4.468 10,9% 60,0 13,7 ITALIA (IT) 59.752 20,1% 56,9 8,4 Lussemburgo (LU) 481 14% 65,2 4,5 PAESI BASSI (NL) 16.223 14,8% 74,7 4,5 AUSTRIA (AT) 8.238 17,2% 71,7 4,4 PORTOGALLO (PT) 10.638 15,7% 65,6 12,0 FINLANDIA (FI) 5.317 16,5% 68,1 8,4 SVEZIA (SE) 9.297 17,5% 72,7 8,4 Regno Unito (UK) 60.734 16,1% 69,5 7,8 EU a 15 389.998

    EU a 17 64,2 10,1

    Fonte : European Commission 2010, Employment in Europe, Luxembourg

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 24

    7. Le innovazioni degli ultimi anni

    Come visto nel prs.2, a partire dagli anni novanta e sino ad oggi, in un quadro fortemente

    evolutivo a seconda della forma di governo presente nei diversi Paesi e della sua evoluzione (destra,

    centro-destra, sinistra, centro-sinistra, democratici, repubblicani, socialdemocratici, e combinazioni

    diverse), si possono cogliere alcune tendenze comuni alla generalit degli Stati membri, e che sembrano

    muoversi verso uno stato sociale pi residuale che universale, al di l delle affermazioni di principio presenti

    nei diversi documenti comunitari.

    Una prima tendenza quella di indebolire la protezione derivante dalle culture universalistiche

    spostando, pi o meno gradualmente, la copertura dei rischi sociali (vecchiaia, malattia, disoccupazione,

    povert, ecc) dalla sfera delle decisioni pubbliche a quella delle decisioni individuali. In questa direzione

    sembrano muoversi, ad esempio, le riforme del sistema previdenziale, del sistema sanitario, delle indennit per

    disoccupazione (dal welfare al workfare20), dei sussidi per listruzione, per ledilizia pubblica, ecc .

    Con le riforme pensionistiche, in corso nella generalit dei paesi europei, ad esempio, si innalza

    let pensionabile, si riduce la copertura per gli aumenti dei prezzi e/o rispetto alla dinamica retributiva, si

    trasforma il sistema da retributivo (pensione pari ad una certa quota dellultima retribuzione o della media

    delle retribuzioni di un determinato periodo di tempo) a contributivo, con un collegamento stretto fra

    contributi e prestazioni, in una logica assicurativa (pensione contributiva ). E poich il nuovo sistema

    determiner, mediamente, una pensione nettamente inferiore a quella prevista dal sistema retributivo

    (indebolimento del sistema pubblico), si incentiva la costituzione di un secondo pilastro pensionistico

    (previdenza integrativa)(vedi prs. successivi). Ma poich sembra probabile che anche questo secondo pilastro

    possa non essere in grado di ristabilire un adeguato rapporto tra risorse disponibili nellet del lavoro e

    del non lavoro, si ricercano ulteriori incentivi per la formazione di un terzo pilastro (previdenza

    completamente privata). In una situazione di questo genere non difficile ipotizzare, a regime, pensionati

    che, forti sul mercato del lavoro, saranno in grado di assicurarsi adeguati livelli pensionistici (con un mix

    di pensione obbligatoria contrattuale volontaria) a differenza dei lavoratori pi deboli (in particolare

    gli atipici e quelli inseriti nelle piccole imprese) che potranno contare, prevalentemente, sul primo

    pilastro, con un generale processo di aumento della disuguaglianza nella distribuzione personale del

    reddito. Di fatto, si stanno creando le premesse per riportare ai margini della distribuzione del reddito un

    gruppo importante della popolazione che, con difficolt, aveva contribuito a determinare un sistema di

    norme per far s che il tenore di vita dellet del non lavoro non fosse drammaticamente diverso da quello

    dellet del lavoro.

    20 Per rendere i sistemi di protezione sociale pi incentivanti sotto il profilo del lavoro, le indennit per la disoccupazione si riducono nel loro ammontare e nei tempi di erogazione sino ad annullarsi se la persona disoccupata non segue appositi programmi di formazione o riqualificazione o se non accetta opportunit di lavoro offerte dai centri per loccupazione, indipendentemente dalle proprie aspirazioni professionali o vincoli familiari.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 25

    In un medesima direzione si muovono, anche, le misure dirette a contenere la dinamica delle

    spese per la salute; limporre, ad esempio, agli ospedali budget da rispettare e contenendo, in ogni caso, i

    trasferimenti alle strutture stesse, come sta accadendo in Italia, determina lunghe code di attesa per analisi,

    visite specialistiche, piccoli e grandi interventi con il risultato di indurre i pazienti, pi o meno benestanti,

    verso le strutture private21 e/o a dotarsi di polizze assicurative (in molti rinnovi contrattuali stanno

    entrando polizze assicurative sanitarie con costi condivisi tra aziende e lavoratori). Anche in questo caso

    non difficile prevedere un aumento della disuguaglianza nellaccesso al diritto alla tutela della salute cos

    come non difficile prevedere un indebolimento della struttura pubblica nel momento in cui si perde la

    fruizione dei servizi da parte dei pazienti appartenenti alla classe media e medio-alta che svolgono una

    importante funzione di controllo nella qualit e nella tipologia delle prestazioni sanitarie.

    Una seconda tendenza quella di ridurre la tassazione basata sulla capacit contributiva (sono in

    corso in tutti i paesi europei processi di riforma della tassazione personale tesi ad abbassare i livelli di

    imposizione) ed aumentare il peso della tassazione in base al principio del beneficio, rafforzando la

    partecipazione degli utenti al costo dei servizi ( ed anche questo sembra essere un tentativo di risposta

    alla mobilit del fattore capitale, resa pi agevole dal completamento del Mercato Comune Unico). Il

    processo, iniziato negli anni ottanta, si sta espandendo coinvolgendo, almeno in Italia, le prestazioni

    sanitarie, listruzione, la generalit dei servizi sociali. La contribuzione viene, a sua volta, modulata in

    funzione della capacit contributiva dei soggetti (Indicatore Situazione Economica Equivalente - ISEE)

    determinando non pochi problemi nella gestione burocratica delle procedure e nei necessari controlli,

    soprattutto in un paese come lItalia in cui ancora elevato il grado di evasione fiscale e il reddito

    prodotto nelleconomia sommersa.

    Una terza tendenza quella di trasferire a livello locale (regioni, province e comuni) la gestione e il

    finanziamento di quote crescenti di prestazioni e servizi sociali. La tendenza, di per s positiva, presenta, in

    assenza di una definizione a livello nazionale dei diritti e dei doveri minimi e di un trasferimento di

    risorse dallo Stato alle Regioni sempre pi ridimensionato, il grave rischio che, a parit di bisogni, ci

    siano, a livello locale, risposte fortemente differenziate in funzione delle preferenze politiche locali e/o

    delle risorse che possono essere messe a disposizione in campo sociale. Sembra facile prevedere, anche in

    questo caso, che le regioni economicamente pi forti e/o pi attente alla dimensione sociale portino

    avanti unarticolata politica sociale a differenza di quelle pi deboli, determinando, cos, una chiara

    discriminazione tra soggetti che presentano parit di bisogni.

    C da dire, infine, che queste tendenze trovano un marginale aggiustamento nella tenuta o

    nellampliamento ( a seconda del Paese considerato) della spesa prettamente assistenziale e, quindi, molto

    selettiva (sostegno alle spese daffitto, di acquisto di libri scolastici, di mantenimento dei minori inseriti in

    21 Nel 1997 la spesa privata per lassistenza sanitaria rappresentava, gi, in Italia, il 30% della spesa sanitaria totale contro il

    15% in Svezia, Regno Unito, Belgio, Danimarca e solo l8% in Lussemburgo

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 26

    nuclei numerosi, di reddito minimo, quando previsto,ecc) . Piccoli interventi che sembrano molto lontani

    da un modello sociale in cui tutti dovrebbero poter condurre una esistenza dignitosa cos come usuale

    leggere nei documenti della Comunit ed in quelli governativi dei singoli Paesi.

    8. I sistemi pensionistici

    Il sistema pensionistico22 italiano inizia a formarsi nel 1898 con listituzione della prima Cassa di

    previdenza per linvalidit e la vecchiaia la cui iscrizione era facoltativa per la maggior parte dei lavoratori

    ed obbligatoria solo per alcune categorie (dipendenti dello Stato, operai dei cantieri navali e delle zolfatare

    siciliane)23. Nel 1919, partendo dalle conseguenze devastanti del primo conflitto mondiale in termini di

    vedove, orfani ed invalidi, la Cassa di previdenza per linvalidit e la vecchiaia si trasforma in Cassa

    nazionale delle assicurazioni sociali e il sistema da volontario si trasforma in obbligatorio per i lavoratori

    dipendenti con una triplice contribuzione : degli operai, degli imprenditori e dello Stato. Durante il ventennio

    fascista la Cassa nazionale delle assicurazioni sociali si trasforma in ente pubblico (1933) ed assume la

    denominazione di Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale ( I.N.F.P.S. e, poi, I.N.P.S) .

    Allorigine, il sistema si finanzia assumendo la forma della capitalizzazione ( le pensioni pagate nel corso di

    ogni anno vengono finanziate attraverso i fondi accumulati dai lavoratori durante gli anni precedenti) e

    limporto della pensione riflette lammontare dei contributi versati e capitalizzati.

    Nel 1961 l'assicurazione obbligatoria viene estesa anche agli artigiani e nel 1967 ai commercianti; nel

    1969 viene introdotta la pensione sociale (denominata, oggi, assegno sociale) per i cittadini anziani privi di

    reddito o con redditi inferiori a determinati livelli fissati anno per anno.

    Nel 1969, come era accaduto nella maggior parte dei paesi europei, si passa dal sistema a capitalizzazione al

    sistema a ripartizione : i contributi versati in un anno da tutti i lavoratori attivi finanziano le pensioni

    pagate nel corso dello stesso anno. Il sistema a ripartizione, a differenza di quello a capitalizzazione, pu

    essere retributivo quando le pensioni erogate sono collegate alla retribuzione percepita dal lavoratore

    durante la sua attivit lavorativa (solitamente le pensioni sono calcolate come percentuale della

    retribuzione media di n anni lavorativi o dellintera vita lavorativa, sistema vigente sino alla riforma Dini

    del 1995), oppure pu essere contributivo quando le pensioni sono collegate all'ammontare dei contributi

    versati durante il periodo lavorativo ( situazione attuale per coloro che hanno iniziato a lavorare a partire

    dal primo gennaio 1996).

    Labbandono del sistema a capitalizzazione a favore di quello a ripartizione derivava dalla necessit di tener

    conto del fatto che gli alti tassi di inflazione del secondo dopoguerra avevano eroso le riserve detenute dagli

    22 Il sistema pensionistico di un paese determinato dalla combinazione di caratteri diversi che riguardano lobbligatoriet

    della partecipazione; il carattere pubblico o privato dellistituzione che lo gestisce; il metodo di finanziamento della spesa (a ripartizione o a capitalizzazione); il metodo di calcolo delle prestazioni : retributivo e/o contributivo. 23 Cfr., Sepe Stefano 1999, Le Amministrazioni della Sicurezza Sociale nellItalia Unita, Ed Giuffr, Milano

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 27

    istituti previdenziali ed eroso il potere dacquisto delle pensioni stesse, nel contempo si era in presenza di

    un'economia in rapida crescita, di buon equilibrio finanziario del bilancio dello Stato, di strutture demografiche in

    equilibrio, di un aumento del monte salariale e delloccupazione24, tutti elementi rassicuranti in termini di

    equilibrio finanziario tra prestazioni e contributi. Ma a partire dalla met degli anni settanta, il modello

    pensionistico pubblico inizia ad essere messo in discussione:

    - per la caduta del tasso medio annuo di crescita del pil, dei salari e delle entrate contributive che avevano

    garantito gli impegni di spesa assunti con gli assicurati;

    - per la continua diminuzione del tasso di natalit e il parallelo aumento della vita media : lallungamento

    della vita media si riflette, naturalmente, sugli oneri previdenziali nel senso che le prestazioni

    pensionistiche devono essere erogate per un periodo medio pi lungo nel tempo;

    - per laumento dellet scolare : si entra pi tardi nel mercato del lavoro e si versano, quindi,

    contributi per un tempo inferiore;

    - per la crescita del tasso di disoccupazione e il diffondersi dei casi di prepensionamento che

    determinano una progressiva diminuzione del rapporto lavoratori e pensionati, incidendo

    profondamente su quella relazione numerica tra contribuenti e percettori di pensioni che alla

    base dei sistemi a ripartizione.

    I problemi provocati da questa evoluzione economica, demografica e sociale si riflettono in un crescente

    deficit del sistema pensionistico pubblico e nel peso sempre maggiore della spesa pubblica per pensioni

    rispetto al Pil: due indici che concorrono a spianare la strada alle riforme degli anni novanta e che

    cercano di rendere compatibile la spesa previdenziale con il bilancio dello Stato.

    Di fronte all'invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite, si risponde con

    l'innalzamento dell'et pensionabile per accedere alle pensioni di vecchiaia e di anzianit; con la revisione dei

    meccanismi automatici di indicizzazione delle pensioni, con la modifica della formula di computo della

    pensione stessa e con laumento della contribuzione si cerca di rallentare la dinamica della spesa e la sua

    incidenza sul pil.

    Nello specifico si ha una prima riforma, nel 1992, con il governo di G. Amato (D.Lgs. 503 del 30

    dicembre 1992, interventi diretti al contenimento della spesa pubblica) che ridisegna il metodo di calcolo

    della pensione in base ad un criterio di determinazione della pensione che prevede due quote: la prima, per

    i contributi versati fino al dicembre 1992, calcolata sulla base della retribuzione annua media degli ultimi

    cinque anni; la seconda, per i contributi versati dal gennaio 1993 in poi, calcolata sulla base degli ultimi dieci

    anni di retribuzione (la base pensionabile viene determinata facendo una media delle retribuzioni

    percepite nel tempo e rivalutate) (per i nuovi assunti il riferimento varr per lintera vita lavorativa); si

    24 In generale, si sostiene che il sistema a capitalizzazione evita i rischi legati a trend demografici sfavorevoli (incremento delle persone non attive rispetto a quelle attive) e consente un controllo finanziario tra contribuzione/prestazione; non c' solidariet intergenerazionale e il rischio di maturare pensioni insufficienti ad uno standard medio di vita grava interamente sull'assicurato.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 28

    prevede, inoltre, un innalzamento graduale dell'et pensionabile (da 60 a 65 per gli uomini e da 55 a 60

    per le donne), la revisione del meccanismo automatico di adeguamento delle pensioni al costo della vita

    (viene sospeso e non pi riattivato quello relativo alla dinamica dei salari e reso pi morbido quello relativo

    alla dinamica dei prezzi25); si aumentano le aliquote contributive. Il diritto allintegrazione per una

    pensione minima viene legato non pi al reddito personale del richiedente ma a quello familiare. Si

    armonizzano le normative tra pubblico e privato; si introduce, infine, un divieto parziale di cumulo tra

    pensione e lavoro autonomo.

    Con la riforma di Lamberto Dini (lallora Presidente del Consiglio) (L. 335 dell8 Agosto 1995), il

    sistema pensionistico subisce una seconda e pi radicale riforma attraverso lintroduzione del sistema a

    capitalizzazione per il calcolo delle pensioni. La pensione non sar pi pari ad una quota della retribuzione ma

    il risultato di un complesso intreccio tra anni di lavoro, contributi versati, tasso di capitalizzazione,

    coefficiente di trasformazione. In pratica i contributi versati26 nel corso dellintera vita lavorativa vengono

    rivalutati ad un tasso di rendimento pari alla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo

    (PIL) nominale (con riferimento al quinquennio precedente lanno da rivalutare) formando il montante

    contributivo individuale. Alla fine della carriera lavorativa, lentit delle prestazione pensionistica sar

    determinata moltiplicando il montante contributivo per un coefficiente di trasformazione che rapporta il

    trattamento allet del pensionato premiando chi arriva sempre pi vicino alla soglia dei 65 anni di et27, e

    trasformato in una rendita vitalizia che rappresenta la pensione che verr pagata fin quando il pensionato

    o i suoi superstiti sono in vita. Correttivi migliorativi vengono previsti per chi effettua lavori usuranti.

    Landata a regime del nuovo sistema prevista in modo graduale nel senso che il nuovo metodo di

    calcolo viene applicato immediatamente ai nuovi assunti (a partire dal 1 gennaio 1996) e a coloro che non

    avevano maturato almeno 18 anni di contribuzione28; vengono, quindi, esclusi tutti i lavoratori che avevano

    maturato pi di 18 anni di contribuzione per i quali la pensione rimane calcolata con il metodo retributivo29

    Il nuovo sistema, partendo dalla considerazione che l' ingresso nel mondo del lavoro avviene

    sempre pi tardi e in modo precario, per cui le prestazioni pensionistiche future sono destinate a

    25 Ladeguamento delle pensioni alla variazione dei prezzi stimata dallIstat sar diverso a seconda dellimporto della pensione

    stessa; con riferimento allanno 2011, ad esempio, a fronte di un aumento dei prezzi relativo allanno 2010 pari all1,4%, avranno un aumento del valore della loro pensione pari allaumento dei prezzi solo i pensionati con pensioni sino a 1.382,91 euro (valore pari al triplo del minimo di pensione al dicembre 2010); per coloro che hanno una pensione compresa tra 1.382,91 e 2.304,85 euro, laumento sar pari solo al 90% dellaumento del costo della vita e, cio, pari all1,26%; per coloro che hanno una pensione eccedente 2.304,85 euro (cinque volte il minimo 2010), laumento sar pari solo al 75% dellaumento del costo della vita e, cio, pari all1,05%. 26

    I lavoratori dipendenti versano il 32,07% della retribuzione : 8,89 a carico del lavoratore e 23,81 a carico del datore di lavoro. 27 Il montante contributivo individuale viene moltiplicato per 5,163%, ad esempio, se il lavoratore va in pensione a 60 anni di et e per 6,136% se va in pensione a 65 anni di et. La riforma prevede anche di rivedere, ogni dieci anni, i coefficienti di trasformazione in funzione dellandamento della speranza media di vita. 28 In questo caso il lavoratore avr una pensione calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianit maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianit maturata dal 1 gennaio 1996 29

    E probabile che il nuovo governo di Mario Monti modifichi questa norma estendendo anche a questo gruppo di lavoratori il metodo contributivo a partire dal 2012.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 29

    ridimensionarsi rispetto al passato, incoraggia, attraverso la destinazione del Tfr trattamento di fine

    rapporto a fondi pensione (di categoria, aziendali o territoriali), la formazione di una pensione

    aggiuntiva attraverso la previdenza complementare quale secondo pilastro del sistema pensionistico, per avere,

    quindi, livelli di copertura previdenziale pi adeguati rispetto a quelli assicurati dal solo primo pilastro.

    Schema n.1

    Dal sistema retributivo al contributivo riforma Dini del 1995

    Lavoratori con Sistema di calcolo della pensione

    meno di 18 anni di contributi

    Al 31.12.1995

    Contributivo a partire dal 1.1.1996 e

    retributivo per gli anni precedenti

    almeno 18 anni di contributi

    al 31.12.1995

    retributivo

    lavoratori assunti a partire dall1.1.1996 Solo contributivo

    Schema n.2

    Esempio di metodo di calcolo della pensione per un lavoratore che inizia la sua attivit il primo

    gennaio 2006 con una base retributiva annua imponibile pari a 15.000 euro.

    Al 31 dicembre 2006 si definisce la prima quota di contribuzione da considerare ai fini del calcolo della pensione e tale prima quota sar pari al 33% della retribuzione imponibile (15.000 euro) e, quindi, 4.950 euro su base annuale e versati mensilmente dal lavoratore e dal datore di lavoro. Alla fine del secondo anno di lavoro, 31 dicembre 2007, la quota maturata nellanno precedente, 4.950 euro, viene rivalutata in relazione al tasso medio annuo nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media del pil pari al 3%, la quota del primo anno rivalutata risulter pari a 5.098,5 : 4.950 pi 148,5 pari al 3% di 4.950; i 5.098,5 euro rappresentano, quindi, la prima quota di quella sommatoria di quote che andranno a costituire il montante contributivo. Nel corso del secondo anno il lavoratore e il datore di lavoro continueranno a versare, complessivamente, il 33% della retribuzione e, quindi, 4.950 euro. Alla fine del terzo anno di lavoro, 31 dicembre 2008, la quota versata nel 2007, 4.950 euro, viene rivalutata sempre in relazione al tasso medio annuo nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media del pil pari al 3,5%, la quota del secondo anno rivalutata risulter pari a 5.127,25 : 4.950 pi 173,25 pari al 3,5% di 4.950; i 5.127,25 euro rappresentano, quindi, la seconda quota del montante contributivo. E cos via nel tempo; naturalmente nel momento in cui la retribuzione dovesse aumentare per scatti di anzianit, rinnovi contrattuali, passaggi di carriera, ecc, si modificherebbe anche la base imponibile e, quindi, lammontare di contributi versati e, quindi, anche la quota che andr a costituire il montante contributivo. Alla fine della carriera lavorativa si determiner il montante contributivo individuale inteso come somma dei contributi via via accreditati e rivalutati. Per determinare limporto annuo della pensione bisogner compiere unulteriore operazione; occorrer, infatti, moltiplicare il montante contributivo per dei coefficienti di trasformazione che consentono di trasformare il capitale accumulato (montante) in una rendita vitalizia. I coefficienti di trasformazione partono da 0,04720, per un lavoratore che decide di andare in pensione a 57 anni, ed arrivano a 0,06136 per un lavoratore che decide di andare in pensione a 65 anni; in tal modo si incoraggia la permanenza nel mercato del lavoro.

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 30

    La riforma prevede anche una graduale abolizione delle pensioni di anzianit (pensione che matura

    indipendentemente dallet e che legata agli anni di contribuzione 39 anni di contribuzione nel privato

    e 40 se un lavoratore autonomo) entro il 2008 ed introduzione della flessibilit dellet pensionabile ( 57-

    67 per maschi e donne). Le pensioni di invalidit e reversibilit si riducono in presenza di altri redditi; si

    istituisce un fondo pensione per le casalinghe.

    Dal retributivo al contributivo

    La riforma Dini ha segnato il passaggio da un sistema a ripartizione di tipo retributivo ad un sistema a

    ripartizione di tipo contributivo. Quello retributivo era un sistema che presentava poche incertezze: tutto si

    basava sugli anni di lavoro e sulla media delle retribuzioni percepite nel tempo. Il sistema contributivo, da

    una parte, ha il vantaggio della trasparenza che garantita dal fatto che ciascuno deve contribuire

    personalmente a finanziare le prestazioni future, dallaltra, per ha lo svantaggio di esporre il lavoratore

    ad una serie di incertezze circa la reale consistenza della pensione poich l'importo effettivo della stessa

    dipender almeno da tre variabili:

    a) la propria storia contributiva, vale a dire quanti contributi riuscir a versare nel tempo;

    b) la rivalutazione del montante contributivo, collegata al tasso di crescita del pil;

    c) i coefficienti di conversione in rendita che saranno in vigore al momento della pensione, collegati alla

    speranza di vita media.

    Per quanto riguarda la rivalutazione del montante contributivo, molto dipender dallandamento

    delleconomia; se leconomia stagna come nel decennio 2000 la rivalutazione del montante contributivo

    sar molto scarna. I coefficienti di trasformazione del montante in rendita sono, invece, collegati alla

    speranza di vita media rilevata dall'Istat. Se al momento della pensione la speranza di vita media sar pi

    lunga, con lo stesso montante contributivo si potrebbe percepire una pensione sensibilmente inferiore.

    Nel sistema contributivo, quindi, si ha lo svantaggio di avere una pensione molto incerta rispetto al sistema

    retributivo perch molto pi difficile la sua stima.

    Inoltre la pensione percepita dai giovani viene stimata intorno al 50- 60% dellultima retribuzione, mentre i

    lavoratori che beneficiavano del vecchio calcolo retributivo potevano arrivare fino all80% dellultima

    busta paga e ricevevano il TFR. I giovani, quindi, avranno bisogno, pi degli anziani, di integrare la futura

    rendita (primo pilastro pensionistico) con la pensione complementare (secondo pilastro).

  • Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 31

    Una fase ulteriore di riforma generale del sistema pensionistico si ha con il primo governo di R.

    Prodi ( legge 27 dicembre 1997 n.449 finanziaria 1998) che accelera l'inasprimento dei requisiti minimi

    per il pensionamento di anzianit previsto da Dini per i lavoratori dipendenti del settore privato (tranne

    operai e lavoratori precoci), che prevede lequiparazione dei requisiti di accesso alla pensione di anzianit

    del pubblico impiego a quelli previsti per i lavoratori del privato e l equiparazione dei pensionati ex

    dipendenti a quelli ex autonomi in materia di cumulo fra pensione e redditi da lavoro autonomo. Eleva le

    aliquote contributive di artigiani e commercianti.

    Con la legge delega in materia previdenziale 23 agosto 2004 n.243 (governo Berlusconi ministro R.

    Maroni), si innalza let di pensionamento (per le donne si fissa una fascia da 60 a 65 anni mentre per gli

    uomini il pensionamento consentito solo al raggiungimento dei 65 anni), si prevedono incentivi a

    rimanere al lavoro per il periodo 2004-200730; si elimina, in modo progressivo, il divieto di cumulo tra

    pensioni e redditi da lavoro, si innalza da 57 a 60 anni ( pi tre anni di lavoro) let per poter andare in

    pensione di anzianit con 35 anni di contribuzione 31a partire dall1.1.2008 (il famoso scalone Maroni

    modificato, poi, nel 2007 dal governo Prodi); ed infine si rilancia la previdenza complemen