welfare e modelli di welfare
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Descrizione dei modelli di welfare italianiTRANSCRIPT
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 1
Welfare e modelli di welfare
1. Alle origini dello Stato sociale
Il welfare state nasce, sul finire dellottocento, per dare delle risposte ad una serie di problemi posti
dal rapido diffondersi dellindustrializzazione e dellurbanizzazione delleconomie, quando le antiche
societ contadine si trasformano in societ industriali. Il progresso tecnico irrompe nellorganizzazione
artigianale del lavoro e della produzione determinando nuovi processi produttivi, lutilizzo di nuove
materie prime, di nuove forme contrattuali non regolamentate e prive di restrizioni ( con il lavoro dei
minori, delle donne, nelle ore notturne, ecc); la formazione di nuovi e pi ampi mercati, nuove vie di
comunicazione, lo spostamento di milioni di persone dai centri rurali verso le citt industriali che iniziano
ad espandersi a macchia dolio.
Questo processo di grande fervore e produzione di ricchezza presenta, come spesso accade,
alcuni elementi di debolezza; si moltiplicano gli incidenti sul lavoro, legati allutilizzo delle nuove macchine a
fronte di una formazione inesistente, le malattie, per luso di materiali nocivi alla salute, il disagio economico
nei momenti di stasi della produzione, il disagio abitativo per il confluire di una massa di popolazione in
citt non attrezzate ai nuovi flussi migratori con conseguenti effetti di sovraffollamento, carenze di
servizi igenici e, quindi, rapida diffusione delle malattie; il disagio sociale determinato dalla crisi del sistema
assistenziale tradizionale basato sullaiuto reciproco e presente nelle piccole comunit.
La presenza oggettiva dei diversi problemi economici e sociali - insieme alla formazione dei
primi partiti operai e delle prime forme sindacali - fa s che si determinino le condizioni politiche per le
prime leggi di intervento in campo sociale che nate per gruppi ristretti di lavoratori e in singoli paesi, si
estendano, pi o meno velocemente, agli altri lavoratori e paesi per limitare le tensioni ed i conflitti e,
quindi, per non ostacolare lo sviluppo della nuova organizzazione produttiva; per fronteggiare una classe
operaia pi forte ed organizzata in partiti e sindacati, per un generale processo imitativo.
Il primo modello di welfare si fa risalire, usualmente, alla Germania di Otto Von Bismark ( 1815
1898 ), il cancelliere di ferro dellimpero di Guglielmo 1 di Prussia, che nellarco di sei anni getta le
fondamenta del welfare con le tre famose leggi : sullassicurazione contro le malattie ( 1883 ), sugli infortuni
sul lavoro ( 1884 ) e sullassicurazione contro la vecchiaia e linvalidit ( 1889 ) considerate, allora, come le
principali cause di povert ed indigenza. Viene, invece, attribuito ad un Arcivescovo inglese (1941), William
Temple, il termine welfare state , Stato del benessere, per contrapporlo allo Stato di guerra
warfare state dei nazisti ( 1 ). Ed a partire da questi anni che il termine inizia a diffondersi
nellaccezione oggi prevalente.
1Stevenson J (1984), British Society 1914-1945, Ed. J.H.Plumb, England, p. 453
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A Lord William Beveridge ( 1879 1963 ) (Regno Unito) viene fatta risalire laccettazione e la
diffusione dellidea di uno Stato capace di farsi carico di tutti i problemi sociali dei suoi cittadini in ogni
momento della loro esistenza ( dalla culla alla tomba , come si dir poi ).
Nel suo Rapporto ( noto come Rapporto Beveridge, 1942 ), si delineano i caratteri essenziali di un
moderno stato sociale che doveva essere gestito da ununica entit ( e, quindi, centralizzato per una maggiore
efficienza ed economicit ); essere universale ( accessibile a tutte le classi sociali senza alcun limite di
reddito e coprire tutte le evenienze ) e finalizzato alla sconfitta di cinque flagelli ( 2 ):
Linsicurezza del reddito
La malattia
Lignoranza
La miseria
Lozio determinato dalla disoccupazione
Scopo del Piano di interventi e provvidenze quello di assicurare un reddito minimo ma sufficiente ( nel
senso che lammontare definito non dovrebbe aver bisogno di integrazioni se non volontarie ), nel
momento in cui la capacit di guadagnare del singolo si interrompe per disoccupazione, malattia,
incidente sul lavoro, per let del pensionamento e per venir incontro a spese eccezionali quali quelle
legate alla nascita, alla morte, al matrimonio. Il reddito minimo , anche, a tempo indeterminato e, cio, fin
tanto che permane lo stato di bisogno. Un soddisfacente schema di sicurezza sociale dovrebbe, sempre
secondo Beveridge, prevedere anche assegni familiari per i figli sino a 15 anni ( e sino a 16 se inseriti in
processi educativi ) perch le retribuzioni fanno riferimento allindividuo e non alla dimensione della
famiglia ( anche allora erano le famiglie numerose ad avere, insieme agli anziani, la pi alta probabilit di
cadere in povert ), servizi per la salute ( perch la malattia implicava perdita di retribuzione e, quindi,
povert), per leducazione (come processo di mobilit sociale, un bambino che non messo nelle condizioni di
sviluppare il proprio capitale umano ha molte probabilit di divenire povero una volta adulto) e,
naturalmente, politiche per la piena occupazione perch nessun Piano sarebbe finanziariamente sostenibile
in presenza di una disoccupazione di massa.
Il Rapporto Beveridge viene, quindi, a rappresentare la base di importanti provvedimenti legislativi
quali il Family Allowances Act del 1945 (assegni familiari), il National Insurance Act del 1946
(assicurazioni obbligatorie ) e del National Health Service del 1948 (sistema sanitario).
Per una definizione di welfare , largamente condivisa, si pu far riferimento allo storico inglese Asa
Briggs (1961) ( 3 ) :
2 Beveridge W.H. ( 1942 ) , Social Insurance and Allied Services, Her Majestys Office, London, p.6
3 Briggs A. (1961 ), The Welfare State in Historical Perspective, in European Journal of Sociology II.
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Lo Stato del benessere quello nel quale il potere organizzato viene impiegato al fine di modificare il
funzionamento dei mercati in almeno tre direzioni :
1. Garantire a individui e famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato delle
loro risorse;
2. Ridurre le condizioni di insicurezza, ponendo individui e famiglie in grado di fare fronte ad alcune
evenienze sociali (ad esempio, la malattia, la vecchiaia e la disoccupazione), che altrimenti li
condurrebbero verso situazioni critiche;
3. Assicurare che tutti i cittadini, senza distinzione di classe o posizione sociale, abbiano a disposizione
un certo insieme di servizi sociali, nella migliore qualit disponibile.
In questo senso i servizi e le prestazioni di welfare non devono dipendere dalla bont del potere
organizzato (governo, partiti, sindacati, fondazioni, ecc ) ma devono essere collettivi e, quindi, organizzati
e finanziati dallo Stato ed erogati come diritti di cittadinanza e non come assistenza, carit.
Lo Stato sociale ( stato del benessere welfare state ) pu quindi essere definito come lo Stato che si
assume la responsabilit di coprire i grandi rischi sociali per la generalit della popolazione.
Naturalmente i confini del welfare state, come insieme di obiettivi e strumenti, non sono rigidi
ma si modificano nel tempo a seconda dello sviluppo delle forze che lo governano ( monarchie e
democrazie parlamentari, composizione dei parlamenti e dei governi, sviluppo ed evoluzione dei partiti
politici, dei sindacati, delle associazioni, dei valori culturali, delle fluttuazioni cicliche delleconomia, e
cos via ) o per il verificarsi di eventi particolari come le guerre (tutela degli orfani e delle vedove, ad
esempio, ricostruzione delle abitazioni, e cos via) o profonde crisi economiche (come la grande crisi del
1929 in termini di disoccupazione, svalutazione dei patrimoni finanziari, ecc ); schematizzando le fasi di
sviluppo e i beneficiari coinvolti , possibile leggere, indirettamente, anche le forze che ne determinano
le tendenze.
Nella sua evoluzione il welfare state sembra attraversare almeno due grandi fasi di sviluppo ed
almeno una di inversione di marcia; dal 1870 e sino alla seconda guerra mondiale i benefici della
protezione sociale in termini di copertura per infortuni, malattie, vecchiaia e disoccupazione coprono,
essenzialmente, la classe operaia; la legislazione, definita in un determinato paese, si espande, poi, ai paesi
a medesimo livello di sviluppo per imitazione o per la coincidenza dei nuovi problemi sociali determinati
dal processo di industrializzazione ed urbanizzazione (4).
4 Gli interventi legislativi diretti a coprire i rischi legati alla malattia, ad esempio, si espandono dalla Germania ( 1883 ) all
Austria ( 1888 ), al Belgio ( 1894 ), alla Gran Bretagna ( 1911 ) e cos via; quelli relativi agli infortuni sul lavoro ancora una volta dalla Germania ( 1884 ), e, quindi all Austria ( 1887 ), alla Finlandia (1895), allItalia ( 1898), al Regno Unito (1906), ecc; quelli relativi alla vecchiaia dalla Germania ( 1889 ), alla Danimarca ( 1891 ), al Belgio ( 1900), alla Gran Bretagna ( 1908 ), all Italia ( 1919 ), ecc; quelli diretti alla disoccupazione partono dalla Francia ( 1905 ), si estendono alla Danimarca ( 1907 ), alla Gran Bretagna ( 1911), all Italia ( 1919 ), alla Germania ( 1927 ), e cos via.
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Dalla fine della seconda guerra mondiale e sino alla fine degli anni sessanta, i programmi di
protezione sociale si rafforzano e si estendono a settori crescenti della classe media ( impiegati, insegnanti,
artigiani, commercianti, ecc ). Nella maggior parte dei paesi avanzati la spesa sociale si espande anche
perch sono anni di sensibile crescita del Pil, di grande ottimismo in termini di sviluppo, di valori legati
allequit, di rafforzamento del potere sindacale; questi elementi determinano sia una estensione delle
provvidenze che lo sviluppo delle grandi infrastrutture sociali (scuole, ospedali, edilizia popolare, servizi
sociali, ecc) quale garanzia di accesso alleducazione, alla salute, alla casa, il tutto attraverso un ruolo
molto attivo dei sindacati e in presenza di un clima politico culturale aperto agli interventi dello Stato in
campo sociale quale strumento di redistribuzione del reddito e della ricchezza (non a caso questo periodo viene
unanimemente definito come lepoca doro dello stato sociale).
2. Tendenze recenti
Intorno alla met degli anni settanta il vento cambia e si assiste ad uninversione di marcia, ad
analisi sempre pi critiche nei confronti dellintervento dello Stato nelleconomia e nel sociale; le ragioni
sono diverse e tutte portano a sostenere la spesa pubblica e la spesa in campo sociale come la principale
causa di tutti i mali delleconomia (riduzione del tasso di crescita del pil, degli investimenti, inflazione e
disoccupazione elevata, debito pubblico, ecc ). Ma la spesa in campo sociale viene, anche, messa
pesantemente in discussione partendo da alcune analisi che sostengono (a seconda dei diversi paesi ) :
un utilizzo particolaristico categoriale della spesa sociale in cui i costi sono a carico dellintera collettivit
mentre i benefici verrebbero distribuiti a singoli gruppi e categorie sociali; vedi, ad esempio, i diversi
regimi previdenziali che avevano / hanno condizioni differenziate in termini di contribuzione, et di
pensionamento, trattamento, cumulo pensione altri redditi, ecc, o forme di redistribuzione perversa : a
trarre i maggiori vantaggi dal sistema sono le classi a reddito medio alto; per quanto riguarda, ad
esempio, listruzione superiore si evidenzia la minore probabilit di accesso, alluniversit, per i figli della
classe operaia rispetto ai figli delle classi a reddito medio-alto; analogo discorso per i servizi della salute
ove le classi a reddito pi elevato hanno maggiori capacit nel comprendere lopportunit di effettuare
visite specialistiche e medicina preventiva rispetto alle classi a minor reddito; o, infine, di essere in presenza di
un diffuso fenomeno di burocratizzazione dei servizi : costi gestionali elevati ed offerta di servizi
indifferenziati a fronte di una domanda sociale variegata e in continua evoluzione. Come dire che alti
livelli di spesa sociale non realizzano necessariamente una migliore distribuzione del reddito, delle
opportunit tra i diversi membri della collettivit.
Si gettano, cos, le premesse per introdurre, negli schemi universali adottati, le prime misure selettive
(assegni familiari erogati non pi a tutti i lavoratori ma solo a coloro che vengono a trovarsi al di sotto di
determinate soglie reddituali, ad esempio, come accade in Italia a partire dagli anni ottanta); o per
trasferire i costi dalla fiscalit generale ai diretti fruitori dei servizi (definizione, in Italia, di alcuni servizi sociali
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quali servizi a domanda individuale - asili nido, refezione scolastica, soggiorni estivi, ecc - e, quindi,
predisposizione di tariffe sempre pi vicine ai costi del servizio stesso), e cos via.
Negli anni novanta tale processo si rafforza e si assiste ad unapertura al mercato nelle diverse
aree del sociale; nella sanit, ad esempio, si incentiva lo sviluppo delle assicurazioni private; nellistruzione
si assiste ad un sistematico contenimento delle risorse destinate al settore pubblico mentre si amplia il
sostegno finanziario all istruzione privata; in campo previdenziale lobiettivo diviene quello di un
progressivo indebolimento del sistema pubblico per indurre la formazione di un secondo e terzo pilastro
pensionistico (previdenza complementare); il contenimento delle risorse centrali da trasferire agli enti
locali (decentramento) chiude la strategia andando a ridimensionare quellinsieme di servizi sociali che
coprono i bisogni delle fasce pi deboli (assistenza domiciliare agli anziani, centri diurni, case di riposo,
assistenza alloggiativa, ecc).
In altri termini, si assiste ad un graduale processo di internalizzazione dei costi dello stato sociale
allinterno dellunit familiare rispetto allesternalizzazione sul sistema sociale ed economico; la rivincita dei
neo-liberisti che ritengono che ciascuno debba far fronte agli eventi della vita con le proprie forze e che
uno stato sociale universale rappresenti solo un costo eccessivo per la collettivit (crisi fiscale), modesti
sussidi (reddito minimo, ad esempio) potranno essere elargiti a coloro che non riusciranno, con le loro
forze, a farsi carico degli eventi sgradevoli della vita (i perdenti). Si riapre, cos, lantico conflitto di classe
tra chi ha le risorse per accedere ai servizi del mercato (una minoranza) e la maggioranza della
popolazione che si ritrova nellimpossibilit di accedervi.
3. Modelli di welfare
Economisti e sociologi hanno cercato di classificare i diversi modelli di welfare presenti ai nostri
giorni proponendo, essenzialmente, quattro modelli : modello universale (o socialdemocratico); modello
residuale; modello corporativo e modello mediterraneo.
Il modello universale, tipico dei paesi scandinavi e dellOlanda, si caratterizza per un approccio
universalistico nel senso che la protezione sociale intesa come un vero e proprio diritto di cittadinanza, le
provvidenze sono, quindi, dirette a tutte le componenti sociali, senza alcuna distinzione di classe, e si
basano su una combinazione di trasferimenti monetari e di una ricca ed articolata struttura di servizi
sociali (, in assoluto, il modello con la pi alta incidenza di spesa sociale sul pil). I diritti vengono
attribuiti, prevalentemente, su base individuale nel senso che la famiglia gioca un ruolo marginale e
lobiettivo quello di minimizzare la dipendenza dalla famiglia ed incoraggiare lindipendenza individuale.
Il sistema si finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale.
Il modello residuale ( o liberale ) presente negli USA , Australia e Nuova Zelanda; la politica
sociale interviene solo ex-post quando i tradizionali canali ( mercato e solidariet familiare ) non sono in
grado di far fronte a determinati bisogni. Le politiche sociali occupano, cos, un ruolo del tutto marginale
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riguardando esclusivamente gli strati pi poveri della collettivit ( politica assistenziale ) e gli interventi
sono soggetti alla prova dei mezzi (means testing), al dimostrare dellessere in condizioni di bisogno,
di povert. Per gli altri, per i non poveri, la sicurezza sociale va ricercata attraverso il mercato ,
nella libert di scegliere il modo migliore per soddisfare le loro esigenze in termini di previdenza, sanit,
istruzione, servizi sociali; lo Stato pu intervenire, al pi, con sgravi fiscali (detrazioni per gli oneri
connessi alle polizze sanitarie, al sistema previdenziale, alle spese per interessi sui mutui per lacquisto
della prima casa, per listruzione, ecc). Anche questo modello si finanzia, prevalentemente, con la
fiscalit generale.
Il modello corporativo o meritocratico (il bisogno si coniuga con il merito individuale conseguito nel
mercato del lavoro), tipico dellEuropa continentale (Germania, Austria, Francia, Belgio e Lussemburgo),
basato, essenzialmente, su principi di tipo assicurativo: protegge, in primo luogo, chi lavora e la sua famiglia
(lo status rilevante quello del lavoro in corso o effettuato nel passato); in questo senso si pu essere in
presenza di una pluralit di interventi ed istituti quanti sono i lavoratori dei diversi settori. A differenza
degli altri modelli, si finanzia, prevalentemente, con contributi sociali versati dai datori di lavoro e dai
lavoratori.
Il modello mediterraneo, tipico dellItalia, della Spagna, del Portogallo e della Grecia, si presenta
come un sotto-caso del modello corporativo in cui maggiore la frammentazione dei programmi di spesa
e in cui prevalgono i trasferimenti monetari, ad opera dello Stato, rispetto ad unefficiente rete di servizi
sociali. Si differenzia anche per attribuire alla famiglia uno spiccato ruolo di ammortizzatore sociale. Anche
questo modello si finanzia, prevalentemente, con contributi sociali.
Al di l di singole peculiarit, la partita vera sembra giocarsi tra il modello residuale e il modello
universale; allo stato attuale, lEuropa sembra difendere il suo modello ma anche in corso un ampio
dibattito per un nuovo modello sociale europeo che riduce le universalit ed amplia le selettivit.
4. LEuropa e le sfide sociali
Per un lungo periodo di tempo la Comunit ha adottato, in campo sociale, un atteggiamento
fondamentalmente estraneo perch gli stati europei hanno sempre mostrato una certa riluttanza a rinunciare
al loro potere in materia di politiche sociali sebbene uno degli obiettivi del Trattato di Roma (1957) fosse
proprio larmonizzazione delle regolamentazioni sociali ( CEPR, 1998)5.
Occorre praticamente arrivare agli anni novanta per cogliere, in una molteplicit di documenti ed
analisi, unattenzione ed un impegno diverso sino ad arrivare al Trattato di Amsterdam6 (1997) quando si
pone una nuova base giuridica per una strategia europea comune in campo sociale7.
5 CEPR (Centre for Economic Policy Research)(1998), Le politiche sociali in Europa, il Mulino, Bologna
6 Nel 1992 ci fu un tentativo di inserire nel Trattato di Maastricht un capitolo sociale teso ad armonizzare la politica sociale
europea; il tentativo fall per lopposizione del Regno Unito ed al Trattato fu allegato solo un Protocollo sulle politiche sociali sottoscritto da 11 Paesi su 12. In occasione del Consiglio europeo di Amsterdam del 1997 il nuovo governo laburista di T.
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Ma quali indicazioni si possono trarre da tale documentazione ed in particolare dalle
raccomandazioni 8 inviate agli Stati membri ? Intanto un principio importante: la protezione sociale
considerata quale componente fondamentale del modello europeo di societ poich garantisce stabilit
politica, coesione sociale e progresso economico. La protezione sociale, infatti, non solo ridimensiona la quota di
famiglie che verrebbero, in sua assenza, a collocarsi in situazioni di povert 9 ma rappresenta anche un
investimento nelle risorse umane nel momento in cui contribuisce a migliorare la qualit della forza lavoro,
ad aumentare la produttivit del sistema economico ed a sostenere i mutamenti strutturali. Per cui
grazie alle sue politiche sociali sviluppate, lEuropa riuscita e riesce tuttora a competere con successo
con il resto del mondo: sia con i paesi che possono vantare tecnologie estremamente avanzate che con
paesi dai salari molto pi bassi (Commissione Europea 2000- 379)
In secondo luogo si sostiene la difesa delle culture nazionali attraverso il principio della sussidiariet
in base al quale ogni Stato membro rimane responsabile dellorganizzazione e del finanziamento del
proprio sistema di protezione sociale, in un contesto globale (Patto di Stabilit e di Crescita) in cui lUE
svolge un ruolo di sorveglianza politica (Commissione Europea 2000- 163)10.
In terzo luogo, partendo dalla constatazione di essere in presenza non di un unico modello di
welfare ma di una molteplicit di modelli, si punta ad una convergenza degli obiettivi e delle politiche per
ridurre le disparit presenti, per evitare che differenze di livello di protezione sociale ostacolino la
mobilit delle persone (che i lavoratori, in particolare, non siano penalizzati dal fatto di dover cambiare
paese) ma anche per impedire che una competizione selvaggia determini un succedersi di forme di
dumping sociale (meno regolamentazioni e meno tutela ) per incoraggiare afflussi di capitale nei singoli
Stati membri.
La necessit di predisporre strumenti di coordinamento, di armonizzazione e di convergenza
viene giustificata anche dal fatto che tutti i sistemi europei di protezione sociale debbono confrontarsi
con problematiche comuni che appartengono al mondo del lavoro, agli aspetti demografici, ai profondi
mutamenti sociali.
Blair pone fine allautoesclusione del Regno Unito e il Protocollo diviene parte integrante del Trattato. Sempre in tale occasione si decide si inserire nel Preambolo del Trattato un riferimento alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali del 1989. Cfr. Ferrera M. (1998), Le trappole del welfare, il Mulino, Bologna 7 The Treaty of Amsterdam, Art.2 states that the Community shall have as its task.to promote throughout the
Community a high level of social protection. 8 Raccomandazione 92/442/CEE (Convergenza degli obiettivi e delle politiche); Commissione Europea (1995), The future of
social protecion, a framework for a European debate, COM (95- 466), Bruxelles; Commissione Europea (1997), Modernising and Improving Social Protecion in the European Union, COM (97- 102), Bruxelles; Commissione Europea (1999), Agenda for modernising social protecion, COM (1999-347), Luxemburg 9 In una comunicazione del Consiglio del 1999 si legge, ad esempio, in mancanza di trasferimenti sociali circa il 40% delle
famiglie vivrebbe in una situazione di povert relativa mentre tale percentuale scende al 17% grazie appunto ai regimi fiscali e ai sistemi di erogazione di prestazioni Commissione Europea (1999- 347). 10 Cfr.Social Protection in Europe(2000), COM (2000-163), Bruxelles
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Per quanto riguarda il mercato del lavoro, ad esempio, la diffusione delle nuove forme contrattuali
pi flessibili ma, al tempo stesso, pi precarie (contratti atipici), se aiutano la competitivit dei singoli
Paesi e dellEuropa nel suo insieme, introducono forti elementi di incertezza nei bilanci delle famiglie, in
particolare in quelle che vanno a formarsi, giovani coppie, ove pi usuale la presenza delle nuove
forme contrattuali. Se in passato il lavoro a tempo indeterminato del capofamiglia lasciava le famiglie
fuori dalla povert, oggi questo non pi vero e le analisi correnti mostrano come il rischio di povert si
sia sensibilmente spostato (almeno sino ad oggi) dagli anziani (per effetto di un sistema pensionistico
retributivo ante riforma) alle giovani coppie, alle famiglie monoreddito, alle famiglie con pi figli a carico.
Questo significa che lesigenza di maggiore flessibilit va coniugata con la sicurezza, con la solidariet,
con politiche di sviluppo capaci di determinare non soltanto pi posti di lavoro, ma anche buoni posti
(Commissione Europea 1999- 347) e con una buona rete di ammortizzatori sociali.
Per quanto riguarda la popolazione, linvecchiamento demografico e laumento del tasso di crescita del
numero degli anziani dal 2010 in poi, quando la generazione del baby boom raggiunger let del
pensionamento, pone, in quasi tutti i Paesi europei, problemi di sostenibilit finanziaria dei sistemi
pensionistici. Ma laumento della popolazione anziana e della vita media, si riflette, anche e naturalmente,
in una domanda crescente di beni e servizi sanitari e di servizi sociali (assistenza domiciliare, case di
riposo, ecc ) anche per laccresciuta partecipazione delle donne al mercato del lavoro che riduce la
componente assistenziale non retribuita del lavoro di cura.
La popolazione invecchia ma si struttura anche in un numero crescente di famiglie ; in tutta
lUnione il numero delle famiglie sta aumentando pi velocemente della popolazione e questo si riflette
in un graduale declino della dimensione media delle famiglie. Il declino della dimensione media dei nuclei
implica, nuovamente, una domanda crescente di servizi sociali essendo le famiglie stesse meno capaci a
fornire assistenza e sostegno anche e solo ai propri membri. Ma le famiglie divengono anche pi fragili;
aumentano le separazioni, i divorzi, le famiglie monoparentali dove la partecipazione delle donne al
mercato del lavoro prioritaria ma, nel contempo, si concilia con grande difficolt con la cura dei figli
per la limitata disponibilit di adeguate reti di servizi sociali per linfanzia.
Pi in generale, la stessa maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro ( nel 1970, ad
esempio, meno del 40% delle donne di et compresa tra i 25 e i 54 anni aveva unoccupazione o la
cercava attivamente, mentre si supera il 70 % sul finire degli anni novanta), elemento sicuramente
positivo e fortemente auspicato, richiede crescenti e diversificati servizi sociali per conciliare le esigenze
familiari con quelle professionali.
La povert e lesclusione sociale sono diventati, ormai, fenomeni evidenti anche in Europa; i dati pi
recenti disponibili in materia di reddito negli Stati membri mostrano che il tasso di povert relativa11,
11 In Europa la povert viene misurata in termini relativi e la linea viene fissata ad un valore pari al 60% del reddito mediano
nazionale reso equivalente
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al 16% circa della popolazione: si tratta di 80 milioni circa di persone (vedi secondo modulo). Le antiche
forme di esclusione sociale (disoccupazione, malattia, handicap, dipendenze da alcol e droga) si stanno
consolidando con lo sviluppo delle nuove forme: disoccupazione dei capifamiglia scarsamente qualificati
e spiazzati dallinnovazione tecnologica, padri/madri separate/divorziate; disagio economico dei giovani
assunti con le nuove forme contrattuali, delle famiglie con un solo reddito, delle famiglie con pi figli
minori, e cos via.
Per far fronte a queste sfide comuni, gli Stati membri si sono impegnati a sviluppare una crescita
economica sostenibile e unoccupazione di qualit che possa ridurre i rischi di povert e di emarginazione
sociale. Con quali strumenti? Intanto sostenendo la crescita, la competitivit e il dinamismo
delleconomia senza i quali diviene pi complesso ricercare risorse da destinare alla coesione sociale. E
poi adottando una strategia globale capace, attraverso opportuni dosaggi tra provvedimenti di politica
sociale, politica per loccupazione e politica per la competitivit, di determinare un circolo virtuoso tra progresso
economico e progresso sociale. Le politiche per loccupazione dovrebbero, cos, coordinarsi, pi che in
passato, con le politiche sociali, per ridurre la dipendenza dalle politiche assistenziali; con le politiche
dellistruzione e della formazione, per mantenere e migliorare le competenze della forza lavoro; con le
politiche fiscali, per migliorare loccupabilit dei lavoratori a debole qualificazione (fiscalizzazione degli
oneri sociali per i lavoratori a bassa produttivit), e cos via.
Ma nel corso di questi ultimi anni, in un contesto di bassa crescita, perdita di competitivit e
difficolt nellincrementare la buona occupazione, il modello sociale europeo12 inizia ad incrinarsi a favore
di un nuovo modello sociale europeo in cui il welfare prevalentemente universale tende a divenire un
welfare prevalentemente selettivo. Si parla cos, sempre pi sovente, di universalismo selettivo : le
prestazioni rimangono universali ma laccesso effettivo condizionato alla disponibilit delle risorse
pubbliche sempre pi scarse; nel contempo si innestano, su impianti universalistici schemi privatistici (
pensione pubblica minima di base e schemi privatistici per pensioni integrative ); si espande la
compartecipazione degli utenti ai costi dei servizi resi (istruzione e sanit, ad esempio); si ricercano
strumenti dintervento che non fanno capo n al mercato n allo Stato ma alle organizzazioni del
volontariato e del Terzo settore per ridurre i costi dei servizi e rendere pi flessibili i servizi stessi.
12 Il modello sociale europeo viene definito, nei diversi documenti della Comunit, come quel modello in cui il progresso
economico e il progresso sociale procedono di pari passo e si rafforzano a vicenda in quanto la protezione sociale non fornisce soltanto una rete di sicurezza per i poveri ma contribuisce anche a garantire la coesione sociale. Come dire che solo se le societ sono in grado di offrire adeguati livelli di protezione sociale, gli individui saranno pi disposti ad assumersi i rischi dei cambiamenti imposti dal progresso economico in termini di formazione continua, processi di riqualificazione, di mobilit, e cos via.
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5. La spesa sociale in Europa
Per meglio individuare il modello/ i modelli europei di welfare, si delineano i caratteri generali della spesa
per la protezione sociale 13 attraverso i dati dellESSPROS (European System of integrated Social
PROtection Statistics), per comprendere anche la direzione e le ragioni delle riforme portate avanti a
partire dagli anni novanta e, in parte, ancora in corso. Ma, prima di entrare nellanalisi dei singoli dati e nei
modelli nazionali di welfare, opportuno ricordare che la spesa sociale presa in considerazione dall
ESSPROS al lordo del prelievo fiscale e, in quanto tale, rappresenta solo unapprossimazione delle differenze tra
Paesi, essendo la tassazione sui trasferimenti abbastanza diversa da paese a paese. Se il confronto fosse
effettuato pi correttamente al netto del prelievo, operazione ancora oggi estremamente complessa ed
esclusa dalle elaborazioni ESSPROS, le differenze tra Paesi, secondo alcune stime realizzate dalla OCSE
nel 1995 (Willem, 1999), sarebbero nettamente inferiori. La spesa sociale netta della Svezia, ad esempio, si
avvicinerebbe molto a quella della Germania; quella della Danimarca e quella della Finlandia a quella del
Regno Unito, e quella dellItalia e dellIrlanda a questi ultimi paesi ( Commissione Europea, 2000- 163 ).
Partendo da questo studio OCSE, lEurostat14 ha condotto, nel 2008, uno studio pilota finalizzato
alla stima della quota di tasse e/o contributi sociali pagati dai cittadini sui trasferimenti e per lassistenza
ricevuta dal sistema di protezione sociale. Prendendo come punto di riferimento i dati relativi al 2005, si
stima che, con riferimento ai Paesi dellUnione Europea, il 7 per cento del totale della spesa per la protezione
sociale assorbito da tasse e contributi sociali pagati dai beneficiari delle prestazioni; per lItalia questo
valore medio sale all11% circa collocando, il nostro Paese al sesto posto tra i paesi con pressione
fiscale e contributiva pi elevata. Di conseguenza, la quota media di spesa per la protezione sociale sul
Pil nellUnione Europea subisce una riduzione di 4 punti percentuali nel passaggio dal valore di spesa lorda a
quella netta : dal 26 (come vedremo) al 22 per cento circa ( vedi Figura 4.6 Istat). Come per lo studio
OCSE, le differenze tra Paesi rilevate a livello di spesa lorda si ridimensionano in un confronto a livello
di spesa netta.
In attesa di elaborazioni pi puntuali, si pu iniziare lanalisi considerando la spesa lorda per la
protezione sociale nel suo aggregato e la sua evoluzione dal 1990 al 2008, anno pi recente di disponibilit
di dati.
Nellanno 2008 le risorse destinate, nellUnione Europea a 15-1615, alle spese per la protezione sociale
rappresentano il 27,07% del Pil ; esistono, naturalmente, divergenze ancora significative tra i diversi Paesi
variando la spesa dal 30,8% del Pil della Francia al 22,1% dellIrlanda. Nello specifico presentano valori
superiori al valore medio europeo, la Danimarca (29,7%), la Svezia (29,4), i Paesi Bassi (28,4%), il Belgio
13 Le spese considerate sono quelle incluse nella voce protezione sociale costituita dalle spese per la salute, per la previdenza, per
il sostegno alla famiglia, per la disoccupazione, per il sostegno ai gruppi pi deboli e per la locazione .
14 Cfr. Istat 2011, Rapporto sulla Situazione del Paese.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 11
(28,3%), lAustria (28,2%), la Germania (27,8%), e lItalia (27,8%); hanno valori inferiori al valore medio
sette paesi su quindici: la Finlandia (26,3%), la Grecia (26,0%), Portogallo (24,3%), il Regno Unito (23,7%)
la Spagna (22,7%), lIrlanda (22,1%) e il Lussemburgo (20,1%), (vedi tabella n.1 e figura n.1 dellEurostat).
15 LEuropa a 15 comprende il Belgio (BE), la Danimarca (DK), la Germania (DE), la Grecia (EL), la Spagna (ES), la Francia
(FR), lIrlanda (IE), lItalia (IT), il Lussemburgo (LU), i Paesi Bassi (NL), lAustria (AT), il Portogallo (PT), la Finlandia (FI), la Svezia (SE) e il Regno Unito (UK)
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 12
Tabella n.1 Spesa per protezione sociale in percentuale sul PIL per funzioni anno 2008
Paesi Spesa totale
Previd. Vecchiaia e supestiti
Invalidit.
Salute Famiglia Disoccupazione
Abitazione ed esclus.
Media Eu 15-16
27,07 10,1 2,1 7,7 2,1 1,4 0,6
BELGIO 28,3 10,8 1,9 7,6 2,1 3,3 1,0
DANIMARCA 29,7 11,1 4,4 6,7 3,8 1,4 1,5
GERMANIA 27,8 11,5 2,1 8,1 2,8 1,4 0,7
GRECIA 26,0 12,8 1,2 7,3 1,6 1,3 1,1
SPAGNA 22,7 8,8 1,6 6,8 1,5 3,0 0,5
FRANCIA 30,8 13,4 1,7 8,7 2,5 1,7 1,2
IRLANDA 22,1 5,5 1,1 8,5 3,1 1,8 0,9
ITALIA 27,8 16,1 1,6 7,0 1,3 0,5 0,1
Lussemburgo 20,1 7,1 2,3 5,0 3,9 0,9 0,6
PAESI BASSI
28,4 10,7 2,4 8,8 1,8 1,0 2,1
AUSTRIA 28,2 13,4 2,1 7,1 2,8 1,4 0,4
Portogallo 24,3 11,9 2,1 6,5 1,3 1,0 0,3
FINLANDIA 26,3 9,7 3,2 6,8 3,0 1,8 1,0
SVEZIA 29,4 12,0 4,3 7,5 3,0 0,9 1,1
Regno Unito 23,7 9,0 2,5 7,6 1,7 0,6 1,4
Fonte Eurostat, 2011, Statistics in focus, Population and Social Conditions
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 13
Le differenze permangono anche quando si considera la spesa media pro-capite espressa in termini di parit
di potere dacquisto (Purchasing Power Standards PPS) 16 dei singoli Paesi; rimanendo nellarea dellUE a 15-16
la spesa varia dalle 9.557 PPS dei Paesi Bassi alle 4.791 del Portogallo; lItalia presenta un valore pari a 7.090
, inferiore al valore medio UE a 15-16 ( 8108) (vedi figura n.2, Eurostat ).
16 PPS : Purchasing Power Standards : unit indipendenti dalle monete nazionali e serve a rimuovere le distorsioni dovute ai
diversi livelli dei prezzi. I valori in PPS si derivano dal PPPs (parit di potere dacquisto) che si ottiene dalla media ponderata dei prezzi in relazione ad un paniere omogeneo di merci e servizi comparabile e rappresentativo per ogni Stato Membro. Il confronto della spesa pro-capite per la protezione sociale potrebbe essere effettuato anche in euro ma il confronto stesso perderebbe di significativit nel momento in cui esistono ancora differenze di rilievo, in termini di potere dacquisto, tra i diversi paesi. Per la Danimarca, ad esempio, lEurostat stima un costo della vita del 39% in pi rispetto allItalia; esprimendo la spesa pro-capite in euro la Danimarca avrebbe una spessa dell 88% in pi rispetto allItalia; in termini di PPS il differenziale tra i due Paesi si riduce al 35% (188/139=1,35) in pi per la Danimarca (Eurostat, 2002).
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Se si considerano i diversi segmenti che compongono la spesa sociale e, quindi, le funzioni , le quote
pi rilevanti vanno, in tutti i Paesi dellUnione, alla previdenza ( 10,1% del pil come valore medio) ed alla
salute (7,7%). A seguire le spese per linvalidit (2,1%) e la famiglia (2,1%); la disoccupazione (1,4%) e
labitazione-esclusione sociale (0,6%) (vedi tabella n.1).
Se si considera la struttura della spesa, limmagine, naturalmente, non cambia nel senso che le spese
per le pensioni e la salute rimangono le poste pi importanti rappresentando, da sole, i due terzi della spesa
totale. E poich una gran parte della spesa per la salute riguarda le persone anziane, si pu sostenere che
una parte significativa delle risorse destinate alla protezione sociale diretta ad un segmento della
popolazione, quella anziana. Risorse relativamente contenute finanziano i trasferimenti alle famiglie (assegni
familiari) ( 8,2%), la disabilit (7,0%), la disoccupazione (5,9%) e labitazione-esclusione sociale (3,0%) (
vedi tabella n.2 ).
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Tabella n.2
Composizione a 100 della Spesa per la protezione sociale, anno
2008
PAESI Pensioni e superstiti
Salute Disabilit Famiglia Disoccup Abitaz e esclusione
sociale
Totale
Media Eu 15-16 46,2 29,6 7,0 8,2 5,9 3,0 100,0
BELGIO 40,7 28,4 7,1 7,8 12,5 3,6 100,0
DANIMARCA 38,4 23,3 15,2 13,2 4,8 5,1 100,0
GERMANIA 43,0 30,5 7,8 10,6 5,4 2,8 100,0
GRECIA 50,8 29,0 4,7 6,3 5,1 4,2 100,0
SPAGNA 39,6 30,8 7,2 6,8 13,6 2,1 100,0
FRANCIA 45,8 29,8 6,0 8,4 5,8 4,2 100,0
IRLANDA 26,2 40,9 5,5 14,8 8,7 4,1 100,0
ITALIA 60,7 26,4 5,9 4,7 1,9 0,3 100,0
Lussemburgo 36,0 25,2 11,5 19,8 4,6 2,9 100,0
PAESI BASSI 39,9 32,8 8,8 6,6 3,8 8,0 100,0
AUSTRIA 49,2 26,1 7,8 10,3 5,0 1,6 100,0
PORTOGALLO 51,5 28,0 9,3 5,5 4,5 1,2 100,0
FINLANDIA 38,0 26,8 12,6 11,6 7,1 3,9 100,0
SVEZIA 41,8 26,0 15,1 10,4 3,0 3,7 100,0
Regno Unito 39,7 33,3 11,0 7,3 2,5 6,1 100,0
Fonte : idem
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Se si d uno sguardo agli anni che vanno dal 1990 al 2008 , il sistema sociale europeo sembra
tenere17 e convergere nel senso che la quota di spesa sul pil continua a crescere (anche se con intensit
diversa nel lungo periodo) in quasi tutti i paesi dellUnione passando dal 25,5% del 1990 al 27,5%, con
un decennio 2000 in cui lincidenza sembra stabilizzarsi intorno al 27% del Pil (vedi tabella n.3).
Elementi di convergenza si possono rilevare notando come la spesa aumenti pi nei Paesi che
avevano una quota sul Pil nettamente inferiore al valore medio ( in Portogallo, ad esempio, si passa dal
15,2% del 1990 al 24,3% del 2008) rispetto ai Paesi che si collocavano su valori superiori al valore medio (
in Svezia, ad esempio, si passa dal 33,1% del 1990 al 29,4% del 2008).
Secondo stime Eurostat la spesa pro-capite, espressa in valore costante, cresce , nel periodo
2001-2008, ad un tasso medio annuo del 2% ; e poich la crescita abbastanza differenziata tra i diversi Stati
membri e maggiore nei paesi a pi basso livello di spesa, anche la spesa pro-capite tende a convergere;
crescono con tassi inferiori al valore medio la Germania, ad esempio, (0,1%), lAustria (1,3%), l Italia
(1,5%), la Francia (1,7); crescono ad un tasso superiore al valore media la Grecia (4,2%), la Spagna
(3,7%), lIrlanda (5,0%) (vedi tabella n.3).
.
17 E bene ricordare che la quota di spesa sociale sul pil un rapporto tra la spesa stessa e il pil; se il pil cresce pi lentamente
della spesa, la quota aumenta anche a parit di risorse destinate alla protezione sociale.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 17
Tabella n. 3 Spesa per la protezione sociale come quota sul Pil 1990 2008
Paesi Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Tasso annuo spesa sociale pro-capite a
prezzi costanti
1990 1995 1997 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2001-2008
Europa a 15-16
25,5 28,3 27,5 27,0 27,1 27,4 27,8 27,7 27,7 27,3 26,8 27,5 2,0%
BELGIO 26,4 28,1 27,4 26,5 27,3 28,0 29,1 29,3 29,6 30,2 26,8 28,3 1,7%
Danimarca 28,7 32,2 30,1 28,9 29,2 29,7 30,9 30,9 30,2 29,2 28,8 29,7 1,8%
Germania 25,4 28,9 28,9 29,3 29,4 30,0 30,3 29,6 29,7 28,7 27,7 27,8 0,1
GRECIA 22,9 22,3 20,8 23,5 24,1 23,8 23,6 23,6 24,6 24,6 24,5 26 4,2%
SPAGNA 19,9 22,1 20,8 20,3 20,0 20,3 20,4 20,6 20,9 20,9 21,0 22,7 3,7%
FRANCIA 27,9 30,7 30,4 29,5 29,6 30,4 30,9 31,3 31,4 30,7 30,5 30,8 1,7%
Irlanda 18,4 18,9 16,7 14,1 14,9 17,2 17,8 18,0 18,1 18,4 18,9 22,1 5,0%
ITALIA 24,7 24,8 24,9 24,7 24,9 25,3 25,8 26,0 26,4 26,6 26,7 27,8 1,5%
Lussemburgo 22,1 23,7 21,5 19,6 20,9 21,6 22,2 22,3 21,7 20,4 19,3 20,1 4,1%
Paesi Bassi 32,5 30,9 28,7 26,4 26,5 27,6 28,3 28,3 27,9 28,8 28,3 28,4 2,9%
AUSTRIA 26,7 29,6 28,6 28,1 28,4 29,0 29,3 29,0 28,9 28,4 27,9 28,2 1,3%
Portogallo 15,2 22,1 20,3 21,7 22,7 23,7 24,1 24,7 24,6 24,6 24,0 24,3 1,8%
Finlandia 25,1 31,8 29,1 25,1 24,9 25,6 26,5 26,6 26,7 26,4 25,4 26,3 3,1%
SVEZIA 33,1 35,5 32,7 30,7 30,5 31,3 32,2 31,6 31,1 30,3 29,1 29,4 2,0%
Regno Unito 23,0 28,2 27,3 26,9 26,8 25,7 25,7 25,9 26,3 26,0 23,3 23,7 1,9%
Fonte : idem
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Unultima annotazione riguarda il sistema di finanziamento delle politiche sociali. Dal confronto
internazionale emergono, essenzialmente, due fonti importanti di finanziamento : la tassazione generale e i
contributi sociali sulle retribuzioni corrisposti sia dai lavoratori che dai datori di lavoro. A livello europeo il
61,1 % del finanziamento totale della spesa deriva dai contributi sociali ma esistono sensibili differenze tra
Paesi : superano tale valore medio i Paesi Bassi (66,6%), la Francia (64,6%), la Germania (63,1%), e la
Spagna (62%), ad esempio ; si collocano al di sotto del valore medio lItalia (56,2 %), il Lussemburgo
(50%); la Finlandia (49,6%), il Portogallo (46,1%), il Regno Unito (43,8%), e la Danimarca (43,6%) (vedi
tabella 4 ).
Le differenze nella tipologia di finanziamento riflettono, essenzialmente, il modo in cui
storicamente si sono formati i sistemi di protezione sociale; quando la quota di finanziamento da
contributi sociali relativamente elevata significa che stato privilegiato un approccio di tipo assicurativo
con uno stretto legame tra posizione lavorativa e diritto di accesso ai benefici; quando la quota relativamente bassa
significa che si in presenza di un sistema fortemente basato su una copertura universalistica dei cittadini
(tutti hanno accesso alle prestazioni indipendentemente dallessere o meno lavoratori ) e il sistema si
finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale (contributi governativi).
Nel periodo considerato (1990-2008), il sistema di finanziamento si modifica in tutti i paesi
considerati per far fronte allintensificarsi della concorrenza e guadagnare gradi di competitivit; si cerca,
cos, di ridurre il costo del lavoro trasferendo il finanziamento della protezione sociale dai contributi al prelievo
fiscale generale servendosi, in alcuni casi, anche di tasse specifiche come la tassa di solidariet in Francia introdotta
nel 1991 e limposta regionale sulle attivit produttive (IRAP) introdotta in Italia nel 1998 per compensare i minori
introiti derivanti dalla soppressione dei contributi sociali diretti al finanziamento del sistema sanitario
nazionale.
Come media europea i contributi sociali passano, cos, dal 67,1 % del finanziamento al 61,1%, e la
riduzione coinvolge sia la quota a carico dei datori di lavoro che passa dal 42,5 % del finanziamento totale
al 38,7% sia quella dei lavoratori che scende dal 24,6% al 22,4 %. Il ridimensionamento particolarmente
sensibile per lItalia ove la quota complessiva dei contributi sociali passa dal 70,4 al 56,02% ( per la quota a
carico dei datori di lavoro si passa dal 54,9 al 40,2 % mentre per i lavoratori si rileva un leggero aumento
:dal 15,5 al 16,0 %).
Alla riduzione della quota relativa dei contributi sociali fa riscontro un aumento dei contributi
governativi che passano, in media, dal 28,8 al 35,4 % (dal 27,2 al 42,2 % per lItalia ) (vedi tabella n.4 ).
Con riferimento alle modifiche introdotte nel sistema di finanziamento della spesa sociale, viene da
chiedersi se tale compensazione rappresenti una strategia di breve periodo per evitare un opposizione da
parte dei sindacati, ad esempio, o una diversa modalit strutturale di finanziamento dello Stato sociale. Le
riforme del sistema fiscale portate avanti nei diversi Paesi e tese a ridurre limposizione, avranno come
conseguenza, almeno nel breve periodo, una riduzione delle entrate e, quindi, inducono a ritenere la
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 19
compensazione pi che una diversa modalit di finanziamento, un graduale ritiro dello Stato dallattivit di
redistribuzione.
Tabella n. 4 Entrate della protezione sociale : composizione a 100, anni 1990 2001 - 2008
Contributi
governativi
Datori di lavoro Lavoratori Altre entrate
Paesi 1990 2001 2008 1990 2001 2008 1990 2001 2008 1990 2001 2008
Media Eu 15-16 28,8 32,1 35,4 42,5 41,5 38,7 24,6 22,7 22,4 4,1 3,7 3,5
BELGIO 23,8 25,8 39,8 41,5 49,7 36,6 25,5 22,5 21,2 9,2 2,0 2,4
DANIMARCA 80,1 62,8 61,8 7,8 30,4 32,2 5,3 9,3 11,4 6,8 7,0 6,1
GERMANIA 25,2 32,4 35,0 43,7 37,8 34,9 28,4 27,6 28,2 2,7 2,2 1,9
GRECIA 33,0 27,8 34,6 39,4 38,5 32,7 19,6 23,5 21,1 8,0 10,2 11,5
SPAGNA 26,2 29,0 36,2 54,4 52,3 47,0 16,9 16,2 15,0 2,5 2,5 1,8
FRANCIA 17,0 30,3 32,0 51,0 45,7 43,8 28,5 20,3 20,8 3,5 3,7 3,4
IRLANDA 58,9 60,6 54,1 24,5 24,9 25,8 15,6 14,1 15,7 1,0 0,4 4,4
ITALIA 27,2 40,9 42,2 54,9 42,7 40,2 15,5 14,7 16,0 2,5 1,8 1,6
Lussemburgo 41,5 42,8 46,3 29,5 27,2 25,9 21,0 25,1 24,1 8,1 4,9 3,7
PAESI BASSI 25,0 16,1 21,3 20,0 32,4 32,4 39,1 35,6 34,2 15,9 15,8 12,2
AUSTRIA 35,9 32,3 33,2 38,1 38,9 38,0 25,1 27,1 27,2 0,9 1,8 1,5
PORTOGALLO 33,8 37,8 44,9 36,9 36,4 30,8 20,1 18,0 15,3 9,2 7,8 9,0
FINLANDIA 40,6 42,4 43,7 44,1 39,1 38,4 8,0 11,5 11,2 7,3 6,9 6,7
SVEZIA .... 45,8 49,6 .... 42,7 37,7 .... 9,2 9,8 .... 2,3 2,9
Regno Unito 42,6 48,5 49,4 28,1 30,2 32,4 26,9 19,5 11,4 2,4 1,8 6,7
Fonte : idem
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 20
6. La spesa sociale in Italia
Per quanto riguarda LItalia e facendo sempre riferimento alle elaborazioni ESSPROS, il primo
dato che emerge, in un confronto europeo, che lItalia presenta, in termini di spesa sociale in rapporto al
pil valori inferiori al valore medio e questo da quando sono pubblicati dati armonizzati e, cio, dal 1981
(supera di poco il valore medio solo nel 2008 : 27,8 contro 27,07). Per le considerazioni svolte in precedenza
e se si considerasse la spesa sociale netta anzich lorda, la nostra quota sarebbe ancora pi lontana dal valore
medio europeo.
Anche in termini di spesa media pro capite lItalia presenta un valore inferiore al valore medio:
7.090 PPS contro una media europea pari a 8.108.
Il secondo dato di interesse, e che rappresenta anche il punto su cui si incentrato il dibattito
interno ed internazionale, riguarda il peso che la spesa per la previdenza assume sia come quota sul pil che
allinterno della spesa per la protezione sociale. Se in media la Comunit destina alla spesa per la previdenza
il 10,1 per cento del pil, sempre con riferimento allanno 2008, in Italia tale valore sale al 16, 1 %, sei punti
percentuali in pi, e questo aspetto viene usualmente indicato come la grande anomalia del sistema sociale
italiano essendo la quota non solo superiore al valore medio ma anche pi alta di quella presente nella
stessa Svezia (12,0%), ad esempio, considerata come il paese che dispone del sistema a pi alta protezione
sociale.
Esistono, in realt, diverse ragioni che possono spiegare tale differenza; intanto sembra opportuno
ricordare che nel calcolo della spesa pensionistica italiana vengono incluse le erogazioni relative al
cosiddetto Trattamento di Fine Rapporto (TFR)18, un istituto non presente negli altri Paesi e che se la
relativa spesa fosse esclusa, la spesa previdenziale sul pil perderebbe, secondo alcune stime, due punti
percentuali circa in termini di peso sul pil. In una pubblicazione del Ministero del Lavoro19 possibile, ad
esempio, leggere Il dato italiano in realt fortemente viziato dalla considerazione del TFR nella spesa per
vecchiaia. Listituto, affatto peculiare nel panorama europeo, appare uno schema di risparmio obbligatorio
legato al particolare contratto in essere del lavoratore dipendente e quindi solo occasionalmente associabile
al rischio vecchiaia. E infatti erogato a ogni cambio di datore di lavoro e quando il lavoratore va in
quiescenza tipicamente ne ha gi usufruito in maniera consistente nel corso della vita lavorativa. In realt,
appare discutibile la stessa natura di prestazione sociale del TFR. Se si escludesse il TFR, la propensione
pensionistica della spesa sociale italiana permarrebbe, ma sarebbe molto meno accentuata.
C anche da tenere presente che lItalia ha la pi alta quota, in Europa, di persone con unet
superiore ai 65 anni (20,1 % contro il 16,1% del Regno Unito e della Francia, l10,9% dellIrlanda, ad
esempio ) (vedi tabella n.5) e che spesso la spesa previdenziale stata utilizzata, pi che negli altri paesi, per
fini assistenziali o come ammortizzatori sociali (integrazioni al minimo e pensioni sociali come forme
18 Il Tfr pari al 6,9% della retribuzione lorda e viene accantonato presso le aziende in cui si lavora.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 21
assistenziali, pensioni di invalidit come indennit di disoccupazione ). Questultimo elemento spiega anche
perch lItalia il paese europeo che destina ai trattamenti di disoccupazione la quota pi piccola: 0,5 per
cento del pil contro un valore medio europeo dell1,4, vedi tabella n.1 ). Probabilmente, se si riuscisse a
separare la componente assistenziale dalla spesa per pensioni, a tenere conto della diversa struttura della
popolazione, del TFR e del prelievo fiscale, la spesa previdenziale italiana cesserebbe dallessere considerata
come la grande incongruenza del welfare italiano.
Per quanto riguarda, invece, la salute anche per lItalia rappresenta, come per gli altri paesi europei,
la seconda posta in termini di peso sul pil (7,0% contro il 7,7% come valore medio europeo). Se lItalia
destina in media e per linsieme delle prestazioni sociali una quantit di risorse inferiore al valore medio e
contemporaneamente presenta un valore superiore per la spesa previdenziale, significa che alcune aree del
sociale hanno ricevuto e ricevono minori risorse rispetto a quanto sarebbe stato, probabilmente, necessario.
Senza tenere conto del gap presente nella spesa per la disoccupazione e che si pu, in parte, giustificare con
lutilizzo improprio delle pensioni di invalidit come indennit di disoccupazione, carenze si rilevano per gli
aiuti alle famiglie (assegni familiari), con una quota dell 1,3% sul pil contro un valore medio del 2,1 e per il
sostegno alle spese per affitto ed esclusione sociale pressoch irrilevante ( 01 contro 0,6 ) per un paese che
presenta, tra laltro, un tasso di povert relativa superiore al valore medio europeo .
Il diverso peso sul pil si riflette, naturalmente, sulla struttura della spesa sociale; ponendo pari a
cento la spesa per la protezione sociale, la spesa pensionistica copre, in Italia, il 60,7 per cento del totale
contro una media europea del 46,2 per cento e valori pari al 41,8 per la Svezia, al 45,8 per la Francia; al 43
per la Germania, e cos via (vedi tabella 2 ). Carenze si rilevano per gli aiuti alle famiglie (assegni familiari,
spese per gli asili nido, le strutture residenziali, lassistenza domiciliare a minori ed anziani) a cui si destina
solo il 4,7% del totale della spesa contro un valore medio dell8,2% e per il sostegno alle spese per affitto ed
esclusione sociale: 0,3% contro il 3,0% come valore medio europeo ( per quanto riguarda il finanziamento
vedi quanto detto in precedenza).
Il confronto tra il sistema di welfare italiano e quello degli altri paesi europei, pur nei limiti della
non completa omogeneit dei dati e nel ridimensionamento della anomalia riferita alleccessivo peso
della spesa pensionistica, evidenzia, comunque, delle specificit che appartengono al modo stesso con cui
si sono costruiti, nel tempo, i welfare nazionali, allevolversi delle componenti socio economiche della
popolazione (invecchiamento, partecipazione al mercato del lavoro, peso dei lavoratori autonomi, e cos
via), e da motivazioni socio culturali. Per un lungo periodo di tempo in Italia, ad esempio, la famiglia ha
giocato attraverso una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro un significativo ruolo
di supplenza in una molteplicit di lavori di cura ( nei confronti degli anziani, minori, invalidi, portatori
di handicap, ecc.), e di redistribuzione del reddito al suo interno ( per i giovani in cerca di occupazione,
19 Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Quaderni della Ricerca Sociale n.3 , Povert ed Esclusione Sociale,
LItalia nel contesto comunitario, Anno 2010
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 22
per le donne separate/divorziate, per le ragazze madri, e cos via); compiti affidati, negli altri Paesi,
allintervento pubblico. Tale atteggiamento spiega, tra laltro, non solo la relativa bassa partecipazione
delle donne italiane al mercato del lavoro (ad oggi permangono, ancora, quasi 12 punti di differenziale
negativo in termini di tasso di occupazione rispetto alla media europea), ma anche la particolare tutela
riservata ai disoccupati adulti ( in termini di fruizione della Cassa Integrazione Guadagni,
prepensionamenti, pensioni di invalidit), rispetto ai giovani in cerca di prima occupazione, esclusi da
ogni forma di sostegno. In questo senso e rispetto alla situazione media dellEuropa, la struttura della
spesa sociale italiana risulta, come si visto, fortemente sbilanciata a favore della spesa previdenziale con
alcuni settori palesemente sottosviluppati quali quelli costituiti dal trattamento di disoccupazione e
dallassistenza sociale.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 23
Tabella n. 5 Alcuni indicatori demografici ed occupazionali riferiti allanno 2010
Alcuni indicatori demografici ed occupazionali
Paesi
Popolazione 2009 (.000)
% popolazione 65 anni e pi
(anno 2008)
% occupati su popolazione 15-
64 (2010)
Tasso di disoccupazione
( 2010)
BELGIO (BE) 10.796 17,1% 62,0 8,3 DANIMARCA (DK) 5.517 15,6% 73,4 7,4 GERMANIA (DE) 80.967 19,9% 71,1 7,1 GRECIA (EL) 10.839 18,7% 59,6 12,6 SPAGNA (ES) 45.671 16,6% 58,6 20,1 FRANCIA ( FR) 61.059 16,4% 64,0 9,8 IRLANDA (IE) 4.468 10,9% 60,0 13,7 ITALIA (IT) 59.752 20,1% 56,9 8,4 Lussemburgo (LU) 481 14% 65,2 4,5 PAESI BASSI (NL) 16.223 14,8% 74,7 4,5 AUSTRIA (AT) 8.238 17,2% 71,7 4,4 PORTOGALLO (PT) 10.638 15,7% 65,6 12,0 FINLANDIA (FI) 5.317 16,5% 68,1 8,4 SVEZIA (SE) 9.297 17,5% 72,7 8,4 Regno Unito (UK) 60.734 16,1% 69,5 7,8 EU a 15 389.998
EU a 17 64,2 10,1
Fonte : European Commission 2010, Employment in Europe, Luxembourg
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 24
7. Le innovazioni degli ultimi anni
Come visto nel prs.2, a partire dagli anni novanta e sino ad oggi, in un quadro fortemente
evolutivo a seconda della forma di governo presente nei diversi Paesi e della sua evoluzione (destra,
centro-destra, sinistra, centro-sinistra, democratici, repubblicani, socialdemocratici, e combinazioni
diverse), si possono cogliere alcune tendenze comuni alla generalit degli Stati membri, e che sembrano
muoversi verso uno stato sociale pi residuale che universale, al di l delle affermazioni di principio presenti
nei diversi documenti comunitari.
Una prima tendenza quella di indebolire la protezione derivante dalle culture universalistiche
spostando, pi o meno gradualmente, la copertura dei rischi sociali (vecchiaia, malattia, disoccupazione,
povert, ecc) dalla sfera delle decisioni pubbliche a quella delle decisioni individuali. In questa direzione
sembrano muoversi, ad esempio, le riforme del sistema previdenziale, del sistema sanitario, delle indennit per
disoccupazione (dal welfare al workfare20), dei sussidi per listruzione, per ledilizia pubblica, ecc .
Con le riforme pensionistiche, in corso nella generalit dei paesi europei, ad esempio, si innalza
let pensionabile, si riduce la copertura per gli aumenti dei prezzi e/o rispetto alla dinamica retributiva, si
trasforma il sistema da retributivo (pensione pari ad una certa quota dellultima retribuzione o della media
delle retribuzioni di un determinato periodo di tempo) a contributivo, con un collegamento stretto fra
contributi e prestazioni, in una logica assicurativa (pensione contributiva ). E poich il nuovo sistema
determiner, mediamente, una pensione nettamente inferiore a quella prevista dal sistema retributivo
(indebolimento del sistema pubblico), si incentiva la costituzione di un secondo pilastro pensionistico
(previdenza integrativa)(vedi prs. successivi). Ma poich sembra probabile che anche questo secondo pilastro
possa non essere in grado di ristabilire un adeguato rapporto tra risorse disponibili nellet del lavoro e
del non lavoro, si ricercano ulteriori incentivi per la formazione di un terzo pilastro (previdenza
completamente privata). In una situazione di questo genere non difficile ipotizzare, a regime, pensionati
che, forti sul mercato del lavoro, saranno in grado di assicurarsi adeguati livelli pensionistici (con un mix
di pensione obbligatoria contrattuale volontaria) a differenza dei lavoratori pi deboli (in particolare
gli atipici e quelli inseriti nelle piccole imprese) che potranno contare, prevalentemente, sul primo
pilastro, con un generale processo di aumento della disuguaglianza nella distribuzione personale del
reddito. Di fatto, si stanno creando le premesse per riportare ai margini della distribuzione del reddito un
gruppo importante della popolazione che, con difficolt, aveva contribuito a determinare un sistema di
norme per far s che il tenore di vita dellet del non lavoro non fosse drammaticamente diverso da quello
dellet del lavoro.
20 Per rendere i sistemi di protezione sociale pi incentivanti sotto il profilo del lavoro, le indennit per la disoccupazione si riducono nel loro ammontare e nei tempi di erogazione sino ad annullarsi se la persona disoccupata non segue appositi programmi di formazione o riqualificazione o se non accetta opportunit di lavoro offerte dai centri per loccupazione, indipendentemente dalle proprie aspirazioni professionali o vincoli familiari.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 25
In un medesima direzione si muovono, anche, le misure dirette a contenere la dinamica delle
spese per la salute; limporre, ad esempio, agli ospedali budget da rispettare e contenendo, in ogni caso, i
trasferimenti alle strutture stesse, come sta accadendo in Italia, determina lunghe code di attesa per analisi,
visite specialistiche, piccoli e grandi interventi con il risultato di indurre i pazienti, pi o meno benestanti,
verso le strutture private21 e/o a dotarsi di polizze assicurative (in molti rinnovi contrattuali stanno
entrando polizze assicurative sanitarie con costi condivisi tra aziende e lavoratori). Anche in questo caso
non difficile prevedere un aumento della disuguaglianza nellaccesso al diritto alla tutela della salute cos
come non difficile prevedere un indebolimento della struttura pubblica nel momento in cui si perde la
fruizione dei servizi da parte dei pazienti appartenenti alla classe media e medio-alta che svolgono una
importante funzione di controllo nella qualit e nella tipologia delle prestazioni sanitarie.
Una seconda tendenza quella di ridurre la tassazione basata sulla capacit contributiva (sono in
corso in tutti i paesi europei processi di riforma della tassazione personale tesi ad abbassare i livelli di
imposizione) ed aumentare il peso della tassazione in base al principio del beneficio, rafforzando la
partecipazione degli utenti al costo dei servizi ( ed anche questo sembra essere un tentativo di risposta
alla mobilit del fattore capitale, resa pi agevole dal completamento del Mercato Comune Unico). Il
processo, iniziato negli anni ottanta, si sta espandendo coinvolgendo, almeno in Italia, le prestazioni
sanitarie, listruzione, la generalit dei servizi sociali. La contribuzione viene, a sua volta, modulata in
funzione della capacit contributiva dei soggetti (Indicatore Situazione Economica Equivalente - ISEE)
determinando non pochi problemi nella gestione burocratica delle procedure e nei necessari controlli,
soprattutto in un paese come lItalia in cui ancora elevato il grado di evasione fiscale e il reddito
prodotto nelleconomia sommersa.
Una terza tendenza quella di trasferire a livello locale (regioni, province e comuni) la gestione e il
finanziamento di quote crescenti di prestazioni e servizi sociali. La tendenza, di per s positiva, presenta, in
assenza di una definizione a livello nazionale dei diritti e dei doveri minimi e di un trasferimento di
risorse dallo Stato alle Regioni sempre pi ridimensionato, il grave rischio che, a parit di bisogni, ci
siano, a livello locale, risposte fortemente differenziate in funzione delle preferenze politiche locali e/o
delle risorse che possono essere messe a disposizione in campo sociale. Sembra facile prevedere, anche in
questo caso, che le regioni economicamente pi forti e/o pi attente alla dimensione sociale portino
avanti unarticolata politica sociale a differenza di quelle pi deboli, determinando, cos, una chiara
discriminazione tra soggetti che presentano parit di bisogni.
C da dire, infine, che queste tendenze trovano un marginale aggiustamento nella tenuta o
nellampliamento ( a seconda del Paese considerato) della spesa prettamente assistenziale e, quindi, molto
selettiva (sostegno alle spese daffitto, di acquisto di libri scolastici, di mantenimento dei minori inseriti in
21 Nel 1997 la spesa privata per lassistenza sanitaria rappresentava, gi, in Italia, il 30% della spesa sanitaria totale contro il
15% in Svezia, Regno Unito, Belgio, Danimarca e solo l8% in Lussemburgo
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 26
nuclei numerosi, di reddito minimo, quando previsto,ecc) . Piccoli interventi che sembrano molto lontani
da un modello sociale in cui tutti dovrebbero poter condurre una esistenza dignitosa cos come usuale
leggere nei documenti della Comunit ed in quelli governativi dei singoli Paesi.
8. I sistemi pensionistici
Il sistema pensionistico22 italiano inizia a formarsi nel 1898 con listituzione della prima Cassa di
previdenza per linvalidit e la vecchiaia la cui iscrizione era facoltativa per la maggior parte dei lavoratori
ed obbligatoria solo per alcune categorie (dipendenti dello Stato, operai dei cantieri navali e delle zolfatare
siciliane)23. Nel 1919, partendo dalle conseguenze devastanti del primo conflitto mondiale in termini di
vedove, orfani ed invalidi, la Cassa di previdenza per linvalidit e la vecchiaia si trasforma in Cassa
nazionale delle assicurazioni sociali e il sistema da volontario si trasforma in obbligatorio per i lavoratori
dipendenti con una triplice contribuzione : degli operai, degli imprenditori e dello Stato. Durante il ventennio
fascista la Cassa nazionale delle assicurazioni sociali si trasforma in ente pubblico (1933) ed assume la
denominazione di Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale ( I.N.F.P.S. e, poi, I.N.P.S) .
Allorigine, il sistema si finanzia assumendo la forma della capitalizzazione ( le pensioni pagate nel corso di
ogni anno vengono finanziate attraverso i fondi accumulati dai lavoratori durante gli anni precedenti) e
limporto della pensione riflette lammontare dei contributi versati e capitalizzati.
Nel 1961 l'assicurazione obbligatoria viene estesa anche agli artigiani e nel 1967 ai commercianti; nel
1969 viene introdotta la pensione sociale (denominata, oggi, assegno sociale) per i cittadini anziani privi di
reddito o con redditi inferiori a determinati livelli fissati anno per anno.
Nel 1969, come era accaduto nella maggior parte dei paesi europei, si passa dal sistema a capitalizzazione al
sistema a ripartizione : i contributi versati in un anno da tutti i lavoratori attivi finanziano le pensioni
pagate nel corso dello stesso anno. Il sistema a ripartizione, a differenza di quello a capitalizzazione, pu
essere retributivo quando le pensioni erogate sono collegate alla retribuzione percepita dal lavoratore
durante la sua attivit lavorativa (solitamente le pensioni sono calcolate come percentuale della
retribuzione media di n anni lavorativi o dellintera vita lavorativa, sistema vigente sino alla riforma Dini
del 1995), oppure pu essere contributivo quando le pensioni sono collegate all'ammontare dei contributi
versati durante il periodo lavorativo ( situazione attuale per coloro che hanno iniziato a lavorare a partire
dal primo gennaio 1996).
Labbandono del sistema a capitalizzazione a favore di quello a ripartizione derivava dalla necessit di tener
conto del fatto che gli alti tassi di inflazione del secondo dopoguerra avevano eroso le riserve detenute dagli
22 Il sistema pensionistico di un paese determinato dalla combinazione di caratteri diversi che riguardano lobbligatoriet
della partecipazione; il carattere pubblico o privato dellistituzione che lo gestisce; il metodo di finanziamento della spesa (a ripartizione o a capitalizzazione); il metodo di calcolo delle prestazioni : retributivo e/o contributivo. 23 Cfr., Sepe Stefano 1999, Le Amministrazioni della Sicurezza Sociale nellItalia Unita, Ed Giuffr, Milano
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 27
istituti previdenziali ed eroso il potere dacquisto delle pensioni stesse, nel contempo si era in presenza di
un'economia in rapida crescita, di buon equilibrio finanziario del bilancio dello Stato, di strutture demografiche in
equilibrio, di un aumento del monte salariale e delloccupazione24, tutti elementi rassicuranti in termini di
equilibrio finanziario tra prestazioni e contributi. Ma a partire dalla met degli anni settanta, il modello
pensionistico pubblico inizia ad essere messo in discussione:
- per la caduta del tasso medio annuo di crescita del pil, dei salari e delle entrate contributive che avevano
garantito gli impegni di spesa assunti con gli assicurati;
- per la continua diminuzione del tasso di natalit e il parallelo aumento della vita media : lallungamento
della vita media si riflette, naturalmente, sugli oneri previdenziali nel senso che le prestazioni
pensionistiche devono essere erogate per un periodo medio pi lungo nel tempo;
- per laumento dellet scolare : si entra pi tardi nel mercato del lavoro e si versano, quindi,
contributi per un tempo inferiore;
- per la crescita del tasso di disoccupazione e il diffondersi dei casi di prepensionamento che
determinano una progressiva diminuzione del rapporto lavoratori e pensionati, incidendo
profondamente su quella relazione numerica tra contribuenti e percettori di pensioni che alla
base dei sistemi a ripartizione.
I problemi provocati da questa evoluzione economica, demografica e sociale si riflettono in un crescente
deficit del sistema pensionistico pubblico e nel peso sempre maggiore della spesa pubblica per pensioni
rispetto al Pil: due indici che concorrono a spianare la strada alle riforme degli anni novanta e che
cercano di rendere compatibile la spesa previdenziale con il bilancio dello Stato.
Di fronte all'invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite, si risponde con
l'innalzamento dell'et pensionabile per accedere alle pensioni di vecchiaia e di anzianit; con la revisione dei
meccanismi automatici di indicizzazione delle pensioni, con la modifica della formula di computo della
pensione stessa e con laumento della contribuzione si cerca di rallentare la dinamica della spesa e la sua
incidenza sul pil.
Nello specifico si ha una prima riforma, nel 1992, con il governo di G. Amato (D.Lgs. 503 del 30
dicembre 1992, interventi diretti al contenimento della spesa pubblica) che ridisegna il metodo di calcolo
della pensione in base ad un criterio di determinazione della pensione che prevede due quote: la prima, per
i contributi versati fino al dicembre 1992, calcolata sulla base della retribuzione annua media degli ultimi
cinque anni; la seconda, per i contributi versati dal gennaio 1993 in poi, calcolata sulla base degli ultimi dieci
anni di retribuzione (la base pensionabile viene determinata facendo una media delle retribuzioni
percepite nel tempo e rivalutate) (per i nuovi assunti il riferimento varr per lintera vita lavorativa); si
24 In generale, si sostiene che il sistema a capitalizzazione evita i rischi legati a trend demografici sfavorevoli (incremento delle persone non attive rispetto a quelle attive) e consente un controllo finanziario tra contribuzione/prestazione; non c' solidariet intergenerazionale e il rischio di maturare pensioni insufficienti ad uno standard medio di vita grava interamente sull'assicurato.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 28
prevede, inoltre, un innalzamento graduale dell'et pensionabile (da 60 a 65 per gli uomini e da 55 a 60
per le donne), la revisione del meccanismo automatico di adeguamento delle pensioni al costo della vita
(viene sospeso e non pi riattivato quello relativo alla dinamica dei salari e reso pi morbido quello relativo
alla dinamica dei prezzi25); si aumentano le aliquote contributive. Il diritto allintegrazione per una
pensione minima viene legato non pi al reddito personale del richiedente ma a quello familiare. Si
armonizzano le normative tra pubblico e privato; si introduce, infine, un divieto parziale di cumulo tra
pensione e lavoro autonomo.
Con la riforma di Lamberto Dini (lallora Presidente del Consiglio) (L. 335 dell8 Agosto 1995), il
sistema pensionistico subisce una seconda e pi radicale riforma attraverso lintroduzione del sistema a
capitalizzazione per il calcolo delle pensioni. La pensione non sar pi pari ad una quota della retribuzione ma
il risultato di un complesso intreccio tra anni di lavoro, contributi versati, tasso di capitalizzazione,
coefficiente di trasformazione. In pratica i contributi versati26 nel corso dellintera vita lavorativa vengono
rivalutati ad un tasso di rendimento pari alla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo
(PIL) nominale (con riferimento al quinquennio precedente lanno da rivalutare) formando il montante
contributivo individuale. Alla fine della carriera lavorativa, lentit delle prestazione pensionistica sar
determinata moltiplicando il montante contributivo per un coefficiente di trasformazione che rapporta il
trattamento allet del pensionato premiando chi arriva sempre pi vicino alla soglia dei 65 anni di et27, e
trasformato in una rendita vitalizia che rappresenta la pensione che verr pagata fin quando il pensionato
o i suoi superstiti sono in vita. Correttivi migliorativi vengono previsti per chi effettua lavori usuranti.
Landata a regime del nuovo sistema prevista in modo graduale nel senso che il nuovo metodo di
calcolo viene applicato immediatamente ai nuovi assunti (a partire dal 1 gennaio 1996) e a coloro che non
avevano maturato almeno 18 anni di contribuzione28; vengono, quindi, esclusi tutti i lavoratori che avevano
maturato pi di 18 anni di contribuzione per i quali la pensione rimane calcolata con il metodo retributivo29
Il nuovo sistema, partendo dalla considerazione che l' ingresso nel mondo del lavoro avviene
sempre pi tardi e in modo precario, per cui le prestazioni pensionistiche future sono destinate a
25 Ladeguamento delle pensioni alla variazione dei prezzi stimata dallIstat sar diverso a seconda dellimporto della pensione
stessa; con riferimento allanno 2011, ad esempio, a fronte di un aumento dei prezzi relativo allanno 2010 pari all1,4%, avranno un aumento del valore della loro pensione pari allaumento dei prezzi solo i pensionati con pensioni sino a 1.382,91 euro (valore pari al triplo del minimo di pensione al dicembre 2010); per coloro che hanno una pensione compresa tra 1.382,91 e 2.304,85 euro, laumento sar pari solo al 90% dellaumento del costo della vita e, cio, pari all1,26%; per coloro che hanno una pensione eccedente 2.304,85 euro (cinque volte il minimo 2010), laumento sar pari solo al 75% dellaumento del costo della vita e, cio, pari all1,05%. 26
I lavoratori dipendenti versano il 32,07% della retribuzione : 8,89 a carico del lavoratore e 23,81 a carico del datore di lavoro. 27 Il montante contributivo individuale viene moltiplicato per 5,163%, ad esempio, se il lavoratore va in pensione a 60 anni di et e per 6,136% se va in pensione a 65 anni di et. La riforma prevede anche di rivedere, ogni dieci anni, i coefficienti di trasformazione in funzione dellandamento della speranza media di vita. 28 In questo caso il lavoratore avr una pensione calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianit maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianit maturata dal 1 gennaio 1996 29
E probabile che il nuovo governo di Mario Monti modifichi questa norma estendendo anche a questo gruppo di lavoratori il metodo contributivo a partire dal 2012.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 29
ridimensionarsi rispetto al passato, incoraggia, attraverso la destinazione del Tfr trattamento di fine
rapporto a fondi pensione (di categoria, aziendali o territoriali), la formazione di una pensione
aggiuntiva attraverso la previdenza complementare quale secondo pilastro del sistema pensionistico, per avere,
quindi, livelli di copertura previdenziale pi adeguati rispetto a quelli assicurati dal solo primo pilastro.
Schema n.1
Dal sistema retributivo al contributivo riforma Dini del 1995
Lavoratori con Sistema di calcolo della pensione
meno di 18 anni di contributi
Al 31.12.1995
Contributivo a partire dal 1.1.1996 e
retributivo per gli anni precedenti
almeno 18 anni di contributi
al 31.12.1995
retributivo
lavoratori assunti a partire dall1.1.1996 Solo contributivo
Schema n.2
Esempio di metodo di calcolo della pensione per un lavoratore che inizia la sua attivit il primo
gennaio 2006 con una base retributiva annua imponibile pari a 15.000 euro.
Al 31 dicembre 2006 si definisce la prima quota di contribuzione da considerare ai fini del calcolo della pensione e tale prima quota sar pari al 33% della retribuzione imponibile (15.000 euro) e, quindi, 4.950 euro su base annuale e versati mensilmente dal lavoratore e dal datore di lavoro. Alla fine del secondo anno di lavoro, 31 dicembre 2007, la quota maturata nellanno precedente, 4.950 euro, viene rivalutata in relazione al tasso medio annuo nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media del pil pari al 3%, la quota del primo anno rivalutata risulter pari a 5.098,5 : 4.950 pi 148,5 pari al 3% di 4.950; i 5.098,5 euro rappresentano, quindi, la prima quota di quella sommatoria di quote che andranno a costituire il montante contributivo. Nel corso del secondo anno il lavoratore e il datore di lavoro continueranno a versare, complessivamente, il 33% della retribuzione e, quindi, 4.950 euro. Alla fine del terzo anno di lavoro, 31 dicembre 2008, la quota versata nel 2007, 4.950 euro, viene rivalutata sempre in relazione al tasso medio annuo nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media del pil pari al 3,5%, la quota del secondo anno rivalutata risulter pari a 5.127,25 : 4.950 pi 173,25 pari al 3,5% di 4.950; i 5.127,25 euro rappresentano, quindi, la seconda quota del montante contributivo. E cos via nel tempo; naturalmente nel momento in cui la retribuzione dovesse aumentare per scatti di anzianit, rinnovi contrattuali, passaggi di carriera, ecc, si modificherebbe anche la base imponibile e, quindi, lammontare di contributi versati e, quindi, anche la quota che andr a costituire il montante contributivo. Alla fine della carriera lavorativa si determiner il montante contributivo individuale inteso come somma dei contributi via via accreditati e rivalutati. Per determinare limporto annuo della pensione bisogner compiere unulteriore operazione; occorrer, infatti, moltiplicare il montante contributivo per dei coefficienti di trasformazione che consentono di trasformare il capitale accumulato (montante) in una rendita vitalizia. I coefficienti di trasformazione partono da 0,04720, per un lavoratore che decide di andare in pensione a 57 anni, ed arrivano a 0,06136 per un lavoratore che decide di andare in pensione a 65 anni; in tal modo si incoraggia la permanenza nel mercato del lavoro.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 30
La riforma prevede anche una graduale abolizione delle pensioni di anzianit (pensione che matura
indipendentemente dallet e che legata agli anni di contribuzione 39 anni di contribuzione nel privato
e 40 se un lavoratore autonomo) entro il 2008 ed introduzione della flessibilit dellet pensionabile ( 57-
67 per maschi e donne). Le pensioni di invalidit e reversibilit si riducono in presenza di altri redditi; si
istituisce un fondo pensione per le casalinghe.
Dal retributivo al contributivo
La riforma Dini ha segnato il passaggio da un sistema a ripartizione di tipo retributivo ad un sistema a
ripartizione di tipo contributivo. Quello retributivo era un sistema che presentava poche incertezze: tutto si
basava sugli anni di lavoro e sulla media delle retribuzioni percepite nel tempo. Il sistema contributivo, da
una parte, ha il vantaggio della trasparenza che garantita dal fatto che ciascuno deve contribuire
personalmente a finanziare le prestazioni future, dallaltra, per ha lo svantaggio di esporre il lavoratore
ad una serie di incertezze circa la reale consistenza della pensione poich l'importo effettivo della stessa
dipender almeno da tre variabili:
a) la propria storia contributiva, vale a dire quanti contributi riuscir a versare nel tempo;
b) la rivalutazione del montante contributivo, collegata al tasso di crescita del pil;
c) i coefficienti di conversione in rendita che saranno in vigore al momento della pensione, collegati alla
speranza di vita media.
Per quanto riguarda la rivalutazione del montante contributivo, molto dipender dallandamento
delleconomia; se leconomia stagna come nel decennio 2000 la rivalutazione del montante contributivo
sar molto scarna. I coefficienti di trasformazione del montante in rendita sono, invece, collegati alla
speranza di vita media rilevata dall'Istat. Se al momento della pensione la speranza di vita media sar pi
lunga, con lo stesso montante contributivo si potrebbe percepire una pensione sensibilmente inferiore.
Nel sistema contributivo, quindi, si ha lo svantaggio di avere una pensione molto incerta rispetto al sistema
retributivo perch molto pi difficile la sua stima.
Inoltre la pensione percepita dai giovani viene stimata intorno al 50- 60% dellultima retribuzione, mentre i
lavoratori che beneficiavano del vecchio calcolo retributivo potevano arrivare fino all80% dellultima
busta paga e ricevevano il TFR. I giovani, quindi, avranno bisogno, pi degli anziani, di integrare la futura
rendita (primo pilastro pensionistico) con la pensione complementare (secondo pilastro).
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice 31
Una fase ulteriore di riforma generale del sistema pensionistico si ha con il primo governo di R.
Prodi ( legge 27 dicembre 1997 n.449 finanziaria 1998) che accelera l'inasprimento dei requisiti minimi
per il pensionamento di anzianit previsto da Dini per i lavoratori dipendenti del settore privato (tranne
operai e lavoratori precoci), che prevede lequiparazione dei requisiti di accesso alla pensione di anzianit
del pubblico impiego a quelli previsti per i lavoratori del privato e l equiparazione dei pensionati ex
dipendenti a quelli ex autonomi in materia di cumulo fra pensione e redditi da lavoro autonomo. Eleva le
aliquote contributive di artigiani e commercianti.
Con la legge delega in materia previdenziale 23 agosto 2004 n.243 (governo Berlusconi ministro R.
Maroni), si innalza let di pensionamento (per le donne si fissa una fascia da 60 a 65 anni mentre per gli
uomini il pensionamento consentito solo al raggiungimento dei 65 anni), si prevedono incentivi a
rimanere al lavoro per il periodo 2004-200730; si elimina, in modo progressivo, il divieto di cumulo tra
pensioni e redditi da lavoro, si innalza da 57 a 60 anni ( pi tre anni di lavoro) let per poter andare in
pensione di anzianit con 35 anni di contribuzione 31a partire dall1.1.2008 (il famoso scalone Maroni
modificato, poi, nel 2007 dal governo Prodi); ed infine si rilancia la previdenza complemen