wireless society, mobile learning

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Wireless society, mobile learning Anno Accademico 2012-2013 Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata Corso di Laurea Magistrale in Teorie e Metodologie dell’e-Learning e della Media Education Relatore Prof.ssa Paula De Waal Laureando Gaetano Lopez

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Analisi del mobile learning, inserito in un quadro più ampio che considera il legame sistemico tra l’innovazione tecnologica e le forme sociali ed economiche emergenti.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Wireless society, mobile learning

Anno Accademico 2012-2013

Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata

Corso di Laurea Magistrale in Teorie e Metodologie dell’e-Learning e della Media Education

Relatore Prof.ssa Paula De Waal

Laureando Gaetano Lopez

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Indice

Introduzione 3 PARTE PRIMA L’APPRENDIMENTO NELL’ERA DELLA MOBILITÀ 1. Wireless society 9

1.1 Gli utenti mobile nel mondo 1.2 I dispositivi e la tecnologia 1.3 Ubiquitous e pervasive computing 1.4 Reti sociali mobili 1.5 Accesso e conoscenza 2. Mobile learning 35

2.1 Cos’è il mobile learning 2.2 Una teoria per il mobile learning 2.3 Self paced learning 2.4 I contenuti 2.5 Quale valutazione 2.6 Ricerche e progetti nel mobile learning

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PARTE SECONDA MOBILE DESIGN 3 Usabilità e mobile learning 67

3.1 Usabilità ed emozioni 3.2 Mobile usability 3.3 Usabilità e apprendimento 4. Responsive design 87

4.1 Cos’è il responsive design 4.2 Creare layout flessibili 4.3 Media queries 4.4 Progettare responsive 4.5 Un sito responsive Conclusioni 131 Riferimenti bibliografici e sitografici 135

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Introduzione

Il resoconto delle vendite di personal computer nel corso del primo trimestre del 2013, da parte di importanti società di ricerca e consulenza dell’information technology come IDC e Gartner, evidenzia, rispetto allo stesso periodo del 2012, un calo superiore al 10%. Il calo, che ha colpito soprattutto le soluzioni netbook, ovvero quei pc di dimen-sioni, prestazioni e costi ridotti, solo parzialmente è riconducibile alla crisi economica planetaria, essendo ascrivibile soprattutto alla crescita esponenziale di smartphone e ta-blet, che stanno diventando i dispositivi privilegiati nel consumo tecnologico dell’intera popolazione. Circa un quarto del traffico web passa da dispositivi mobili, le vendite di tablet nel 2013 sono stimate in più di 100 milioni. Una ricerca dell’International Telecommunication Union indica che entro il 2014 il nu-mero di dispositivi mobili nel mondo supererà la popolazione dell’intero pianeta con un tasso di penetrazione del 96% a livello mondiale. I dispositivi mobili, dunque, si stanno diffondendo in modo sempre più capillare, coin-volgendo tutte le fasce di età e di ceto, in tutti i paesi del mondo. Una frase ricorrente nella letteratura sul mobile learning, indicativa dell’uso intensivo dei cellulari da parte delle nuove generazioni, ormai esteso a tutti, è quella di uno stu-dente giapponese, riportata da Marc Prensky [2004]: “Quando perdi il tuo telefonino perdi una parte del tuo cervello”. Diverse le ragioni della grande diffusione dei dispositivi mobili: la loro semplicità di utilizzo, il fatto di essere un oggetto di uso quotidiano, percepito come personale e fami-liare da chiunque, il progressivo abbassamento dei prezzi, la possibilità di accedere alle reti wireless, la crescente esigenza di comunicazione digitale, il fatto di poter utilizzare in modo convergente le diverse funzionalità che stanno caratterizzando i dispositivi di ultima generazione. I nuovi smarphphone, infatti, consentono di affiancare alla funzionalità telefonica, un insieme crescente di funzioni: realizzare video e foto, collegarsi in rete, sfruttare l’enor-me massa di app disponibili; diventando utili sia nella comunicazione interpersonale classica, sia in ambito aziendale e professionale. Funzioni implementate con tecnologie sempre più raffinate e in grado di assicurare risultati inimmaginabili sino a poco tempo

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fa. In luglio 2013 Nokia ha annunciato il rilascio del nuovo Lumia 1020, dotato di una fotocamera di 41 megapixel, definendolo un “photophone”. Si tratta quindi di una combinazione di fattori sociali, economici e tecnologici che pos-sono contribuire alla crescita e alla diffusione del mobile learning, non solo tra i digital natives ma anche all’interno dei contesti aziendali e per la platea di soggetti impegnati nell’apprendimento continuo. Si parla sempre più spesso di mobile society, ovvero di una società sempre connessa, attraverso dispositivi di tipo diverso, indipendentemente dal luogo e dall’attività svolta in un determinato momento. Si va compiendo il paradigma dell'ubiquitous computing, preconizzato da Weiser al termine degli anni ’80, secondo cui saremmo stati sempre connessi attraverso mezzi di calcolo diversi, diffusi nell'ambiente, nascosti dai designer negli oggetti di uso comune. Sono in crisi tutti gli assunti e i paradigmi che hanno regolato e assicurato continuità e sostenibilità alla società industriale, ivi compresi quelli della formazione e dell’istru-zione. Le diverse attività quotidiane non sono più scandite in maniera rigorosa: l’ap-prendimento - che è interconnesso al gioco, alle relazioni, al lavoro - dura tutta la vita e non ha più un’unica sede e un unico momento. Nuovi modelli interattivi prendono forma e cercano di qualificare l’esperienza d’uso con i diversi dispositivi attraverso le interfacce e la loro usabilità. Il mobile learning incrociando questo scenario deve far propri i paradigmi emergenti, comprendendo a fondo le affordance e i vincoli, cercando di intuire i modelli d’uso che si affermeranno. L’evoluzione della società, i crescenti bisogni individuali, i cambiamenti economici e del mercato del lavoro da un lato; il nuovo ruolo giocato dalla comunicazione tra tutti gli attori sociali per la diffusione e lo sviluppo di nuove tecnologie dall’altro; pongono il problema di attualizzare e ridefinire, alla luce di un nuovo sentire, il concetto di appren-dimento. Si tratta di comprendere in che modo le tecnologie in generale e quelle mobili e wireless stanno trasformando il mondo della scuola, della formazione e le forme dell’apprendimento. Il quadro di interdipendenza esistente tra dimensione sociale, evoluzione tecnologica, mondo economico e apprendimento induce a valutare gli aspetti sistemici, evitando un discorso centrato sul solo apprendimento. Il focus è allora da un lato sull’apprendimento nel terzo millennio, considerando l’apprendimento un mattone che si inserisce in un più ampio comportamento sociale dell’individuo; dall’altro, sulle interfacce e la loro usabilità, e sulle condizioni d’uso dei dispositivi, aspetti centrali nella fruizione e nella progettazione di qualunque artefatto tecnologico.

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Tenendo in mente che l’uso dei nuovi dispositivi, indipendentemente dagli obiettivi che in un determinato momento l’utente intende raggiungere, debba essere sempre accom-pagnato da aspetti di joyability, in quanto la dimensione ludica e di piacevolezza del-l’interazione non è separabile dall’artefatto, ma ne è parte integrante, caratterizzando l’intera esperienza, sia essa di svago, lavorativa o di apprendimento. Soprattutto in con-siderazione del fatto che i confini tra le varie attività diventano sempre più labili, e ognuna di esse si inserisce nel flusso continuo della quotidianità mediata dai dispositivi mobili connessi attraverso internet, sempre più in modalità wireless. Questo lavoro si propone dunque di delineare lo scenario sociale, economico, tecnolo-gico che ha portato alla diffusione dei dispositivi mobili e allo sviluppo del mobile learning. L’idea è quella di individuare i tratti distintivi che caratterizzano la socialità nel terzo millennio, nell’epoca della connessione perenne, in cui l’apprendimento dura per tutta la vita, e i dispositivi mobili consentono agli studenti di gestire in modo nuovo la propria formazione, assecondando una modalità nomadica che incarna un nuovo mo-do di vivere il quotidiano e la propria vita, non più preordinata, in divenire, giorno per giorno, dipendentemente dai cambiamenti, che rappresentano l’unico dato certo. Il lavoro è stato strutturato in quattro capitoli suddivisi in due parti. Nel primo capitolo si analizza lo scenario socio-economico e lo sviluppo della tecnolo-gia mobile. Il secondo capitolo analizza le caratteristiche del mobile learning, in modo da compren-derne le specificità uniche in vista di una teoria. Il terzo affronta le problematiche relative all’usabilità dei dispositivi mobili e specifica-tamente nell’utilizzo per la didattica. Il quarto si addentra nella problematica specifica del responsive web design, ovvero del-la filosofia progettuale che si è andata affermando nello sviluppo di siti web destinati a una fruizione su tutti i dispositivi. Questa sezione è stata peraltro concepita e adeguata per una fruizione mobile, utilizzando iTunes U come sistema per la gestione del corso. È possibile iscriversi al corso, con un dispositivo mobile Apple, all’indirizzo web: https://itunesu.itunes.apple.com/enroll/KLX-X2P-CF5.

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PARTE PRIMA L’APPRENDIMENTO NELL’ERA DELLA MOBILITÀ

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1. Wireless society

1.1 Gli utenti mobile nel mondo

La comunicazione wireless è la tecnologia che si è diffusa più velocemente di qualun-que altra nella storia [Catsells et al., 2008]. I dati della diffusione di dispositivi di tele-fonia mobile, aggiornati alla fine del 2012, sono riepilogati nel report “The mobile con-sumer”, rilasciato da Nielsen nel febbraio 2013. Il documento aggrega i dati raccolti, con metodologie diverse a seconda del paese, da un’indagine condotta in 9 paesi e 4 continenti. In tutti i paesi il campione raggiunto, se-lezionato casualmente, ha un’età compresa tra i 16 e i 64 anni. Le interviste sono state condotte nel primo semestre del 2012, in un lasso di tempo mediamente di uno/due mesi, su tutto il territorio nazionale, in modalità online, a possessori sia di smartphone, in nu-mero maggiore, sia di altri tipi di mobile phone. Caratteristiche degli utenti, penetrazione dei dispositivi Dal report emerge che i dispositivi mobili hanno raggiunto la massa critica e il numero di coloro che possiedono un telefono cellulare non cresce più dalla prima metà del 2012, tanto nei paesi sviluppati che in quelli in forte crescita. Diversa è invece la distribuzione del tipo di dispositivo posseduto; mentre in Cina due terzi dei possessori di cellulari ha uno smartphone, in India lo ha solo il 10% e ben l’80% ha uno feature phone. In Corea, patria della Samsung - quindi uno dei maggiori paesi produttori, il 99% della popolazione possiede un cellulare, di cui il 67% è uno smarphone. Tra i paesi avanzati, gli Stati Uniti hanno la minor diffusione di smartpho-ne; infatti sia pure in crescita, solo il 61% della popolazione ne possiede uno. In Turchia e Brasile sono molto diffusi i multimedia phone, telefoni con capacità simili agli smart-phone, ma senza sistemi operativi avanzati quali, iOS, Android, Windows Phone. La diffusione degli smartphone presenta differenze di genere in tutti i paesi, con divari più marcati in Cina, Brasile e Russia (il 17%, 16% e 13% rispettivamente). In generale gli smartphone sono più diffusi tra gli uomini, eccetto l’Australia; e i feature phone so-no più diffusi tra le donne.

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I più giovani possiedono soprattutto smartphone, i più vecchi i feature phone. A questa tendenza ci sono tuttavia alcune eccezioni: in Italia la fascia di età che ha più smarphone è 35-64, mentre l’India ha una maggior penetrazione dei feature phone in tutte le fasce di età; un trend generalizzato suggerisce che l’adozione di smartphone continuerà a cre-scere tra i consumatori più giovani. Alcuni consumatori, per la crescente importanza che la tecnologia mobile riveste sia in ambito professionale che in quello personale, possiedono più di un cellulare; in Russia più di un utente su due (51%) possiede due o più dispositivi, in Brasile il 48%, in Italia il 35%. Il costo dei piani tariffari incide profondamente sulla scelta dell’operatore e dello stesso dispositivo, dato che gli smarphone con più funzionalità richiedono spesso maggior traf-fico dati. In alcuni paesi come India e Russia, dove la spesa media mensile con gli smartphone è significativamente più alta di quella con qualunque dispositivo mobile, e dove i feature phone sono più diffusi, i consumatori scelgono opzioni flessibili e meno costose, come le tariffe a consumo o sfruttando la connessione wifi. Per quanto riguarda il tipo di uso che si fa con gli smartphone, spicca in tutto il mondo l’invio di sms, anche con dispositivi dotati di sistemi operativi evoluti e di caratteristi-che multimediali. Anche l’uso di e-mail, instant messaging, social network e app sono molto comuni in tutto il mondo con un’eccezione degli ultimi due in India. E-commerce, video e pubblicità Gli acquisti su smartphone sono ancora molto poco diffusi in gran parte del mondo. I sud coreani sono i più attivi nell’uso della multimedialità e dell’e-commerce, mentre i brasiliani sono gli utenti che maggiormente utilizzano i social media sui loro smartpho-ne. Quando si tratta invece dell’uso di app, gli Stati Uniti sono i maggiori utilizzatori dei social network (85%), seguiti da Brasile (67%), Cina (60%), Uk (58%). Gli smartphone hanno maggior impatto nello shopping negli Usa dove i dispositivi sono ampiamente utilizzati per la comparazione dei prezzi e per l’acquisto di prodotti. Diffusa modalità d’uso, nonostante le dimensioni ridotte del monitor, è anche quella della visione di video, prevalente nei paesi emergenti, soprattutto in Cina, e meno fre-quente nei paesi sviluppati con l’eccezione degli Usa. La visione di video in mobilità non è tuttavia utilizzata in maniera sostitutiva di quella in televisione, ma consente di accedere a contenuti video indipendentemente dalla posi-zione: la maggioranza dei possessori di smartphone ha infatti dichiarato che i video in

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mobilità non hanno modificato le loro abitudini e il tempo dedicato alla visione della televisione tradizionale. L’impatto degli smartphone sulla visione della tv tradizionale si è rivelato più evidente nei paesi con economie ad alta crescita: il 23% in Cina e il 28% in India ha dichiarato che la fruizione della televisione è diminuita. Con l’aumento dell’uso degli smartphone, non sorprende l’uso del mobile advertising: eccetto l’India, in tutti i paesi oltre il 50% di utenti riceve annunci almeno una volta al giorno. L’efficacia di questi annunci varia per paese. In quelli avanzati è meno probabile che la gente mostri interesse e interagisca, di quanto accada nei paesi emergenti: in India, per esempio, dove è meno probabile ricevere annunci, gli utenti sono maggiormente pro-pensi a farsi coinvolgere dalla pubblicità o a fornire informazioni personali agli inser-zionisti.

1.2 I dispositivi e le tecnologie

Il prorompente aumento delle vendite di dispositivi mobili si è accompagnato a una vor-ticosa evoluzione delle caratteristiche hardware e software, che procede senza soluzione di continuità. Non solo nuove generazioni di smartphone, ma anche l’ingresso nell’arena competitiva del mercato di dispositivi diversi dal telefono, di diverse dimensioni e caratteristiche: si tratta di una competizione tra categorie di dispositivi che probabilmente vedrà la scom-parsa di alcuni e l’affermazione di altri. Perché se è vero che ognuno di noi potrebbe avvantaggiarsi dal possesso di tipologie diverse di dispositivi, è altrettanto vero che la tendenza, per ragione di costi ma soprat-tutto di comodità, è verso la riduzione al minimo del numero di dispositivi: idealmente uno, da affiancare magari a una postazione fissa. È fuori di dubbio che la selezione è personale e viene fatta sulla base delle proprie esi-genze e della disponibilità economica: tuttavia emergeranno scelte comuni, decretando la selezione della specie. Si tratta di una competizione che avviene sulla base delle caratteristiche e delle affor-dance consentite nei diversi contesti d’uso. Va da sé che il dispositivo ineludibile, posseduto ormai da chiunque, è in buona parte del mondo il cellulare, sempre più spesso uno smartphone, ovvero un computer a porta-ta di mano per circa sei miliardi di utenti nel mondo.

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I dispositivi mobili Di seguito un elenco delle principali categorie di dispositivi mobili, ritenendo tali solo quelli che possono essere tenuti in una mano. Non sono quindi presi in considerazione dispositivi portatili come notebook e netbook; questi ultimi stanno scomparendo in quanto hanno perso di significato, non andando a soddisfare più alcuna specifica esigenza d’uso, non consentendo la trasportabilità di un tablet e al contempo non assicurando la potenza di calcolo e l’ergonomia di un notebook o di un desktop. Palmari (PDA) Sono computer portatili di dimensioni ridotte che si tengono nel palmo di una mano; l’interazione avviene attraverso apposite penne con le quali è possibile scrivere. Integra-no le funzioni di un telefono cellulare, di posizionamento geografico (GPS) e di collega-mento internet wireless a cui, installando programmi appositamente sviluppati, si posso-no aggiungere funzionalità. Sono stati i primi dispositivi di piccole dimensioni sul mercato, molto utilizzati nelle esperienze di mobile learning (in particolare il PocketPC, palmare Microsoft molto adatto alla multimedialità), che tendono però a scomparire. Grazie ai costi contenuti, hanno un loro mercato ormai solo in ambito aziendale, dove sono dati ai dipendenti per svolgere le loro mansioni, ad esempio nei locali pubblici per prendere le ordinazioni. Smartphone Gli smartphone rappresentano l’archetipo del dispositivo mobile per la società del terzo millennio. Sono telefoni cellulari che, integrando le caratteristiche di un PDA, risultano il dispositivo più versatile, in grado di soddisfare una ampissima gamma di esigenze. Integrano fotocamere, videocamere e altoparlanti e sono dotati di connettività wireless; le funzionalità possono essere estese con l’installazione di App sviluppate da chiunque, distribuite dagli store gratuitamente o a pagamento. I telefoni mobili possono essere considerati una vera e propria estensione della mano - in Finlandia sono descritti dal termine Kanny, diminuitivo della parola mano - immedia-tamente disponibili per la consultazione degli aggiornamenti (e-mail, social network, news) e per l'invio di comandi; strumenti di esplorazione della realtà, che non sono né fuori, né dentro il nostro sistema cognitivo [Mantovani 1998, op cit. in Riva], che con-tribuiscono ad esprimere un’identità; Foucault ha parlato di tecnologie del sé, dispositivi che rendono possibile la costruzione sociale dell’identità individuale.

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Tablet I tablet, evoluzione dei tablet Pc, condividono con gli smartphone molte caratteristiche, il sistema operativo e l’uso di App. Sono dispositivi con interazione touch, di dimensio-ne variabile dai 7” ai 10.1”, dotati di connettività 3G e wireless, che utilizzano una tastiera virtuale su schermo e in alcuni casi sono provvisti di tastiera removibile. E-book reader Si tratta di un dispositivo portatile, dedicato esclusivamente alla lettura degli e-book, con un display di dimensioni variabili dai 5” ai 9.7” di diagonale, non retroilluminato, che utilizza una tecnologia a inchiostro elettronico chiamata e-Ink. Grazie a queste caratteristiche gli e-book reader cercano di riprodurre l’esperienza di lettura della carta risolvendo le problematiche della portabilità e dell’affaticamento visi-vo dovuto alla retroilluminazione dei comuni monitor LCD di un personale computer o di un tablet. I più evoluti permettono di connettersi alla rete WiFi o 3G e quindi di scari-care nuovi titoli. La lettura è consentita da appositi software che prendono il nome dallo stesso dispositivo. Sono considerati dispositivi mobili anche le console giochi e i lettori mp3. I formati Lo sviluppo del mercato sia dei dispositivi, caratterizzato da un altissimo grado di inno-vazione, che delle piattaforme, nonché dei servizi per la distribuzione di app e prodotti editoriali, porta a una eterogeneità di formati e versioni software, con relative problema-tiche di compatibilità e trasportabilità. La progettazione e la distribuzione dei contenuti richiede quindi l’analisi del mercato e una scelta circa le tecnologie da adottare e i fornitori disponibili, considerando vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni. Le app Le app native sono programmi progettati per uno specifico sistema operativo, nel lin-guaggio e nell’ambiente di sviluppo supportato da quel sistema; sono installate in locale sui rispettivi dispositivi. Il loro vantaggio è che possono sfruttare a pieno le funzionalità offerte dal sistema ope-rativo, potendo accedere agli altoparlanti, alla macchina fotografica, al sensore GPS. Inoltre, le app native possono essere disponibili offline, possono salvare localmente i dati o i documenti richiesti e ricavare la posizione corrente dell’utente.

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Altri benefici sono l’usabilità e la grafica progettata appositamente. Infine, non hanno bisogno di essere aperte attraverso un browser poiché l’accesso avviene direttamente dal sistema operativo. Lo svantaggio risiede invece nel fatto che ogni sistema operativo richiede uno sviluppo ad hoc e gli aggiornamenti dell’applicazione sono complessi, il che comporta tempi e costi molto elevati. Per rendere le applicazioni disponibili è anche necessario caricarle sullo store di un for-nitore. C'è da dire che in alcuni casi i tempi necessari per la distribuzione sono molto lunghi. Tuttavia, il sistema dello store può essere usato in modo vantaggioso per vende-re il contenuto: il provider ha una gestione centralizzata per il pagamento e consente di raggiungere facilmente un ampio pubblico e il target desiderato. Siti web mobile In alternativa alle app è possibile rendere disponibile il contenuto attraverso i siti web. Essendo basati su tecnologie standard come HTML5, CSS3 e JavaScript, non è necessa-ria alcuna installazione e sono fruibili attraverso un browser da qualunque sistema ope-rativo e dispositivo. Un altro grande vantaggio di un sito web è la capacità di adattarsi alle peculiarità dei diversi dispositivi, anche attraverso diverse rappresentazioni dei contenuti, sfruttando il paradigma del responsive design discusso più avanti, nel capitolo quattro. Infine i siti web possono essere pubblicati e aggiornati in tempo reale senza le proble-matiche legate al processo di licenza sui marketplace. A differenza delle app native, le applicazioni web presentano lo svantaggio di non poter accedere alle funzioni hardware dei dispositivi e di avere il graphic design limitato da alcune problematiche legate ai browser. E-book Gli e-book sono versioni digitali di libri stampati che possono essere fruiti non solo da-gli e-book reader, ma anche da tablet e smarthphone grazie a software dedicati. Per quanto vi sia un numero elevato di formati, la maggioranza degli e-book sono rea-lizzati in tre formati: PDF, Mobi ed ePUB. Quest’ultimo si sta affermando come standard, in quanto è un formato aperto, supportato da tutti i dispositivi in commercio, e reflowable, ovvero l’impaginazione si adatta in base al dispositivo di visualizzazione, all’orientamento della pagina e alle scelte dell’utente. Il mercato degli e-book è in continua crescita e dall’anno scolastico 2014-15 in Italia vi sarà obbligo dell’adozione del libro misto, ovvero tutti i libri di testo dovranno avere una versione in formato e-book.

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Oltre a consentire operazioni che facilitano la fruizione tipiche dei documenti digitali, quali sottolineature, impostazione di segnalibri, ricerche testuali, gli e-book possono integrare link ipertestuali, animazioni, audio e video. Se opportunamente progettate, queste caratteristiche potrebbero suggerire nuovi percorsi di fruizione che ne estendano le potenzialità e conducano a un ripensamento del libro. L’idea di un libro acquistabile esclusivamente nella sua interezza è ormai molto lontana dalle esigenze del lettore, il quale chiede la libertà di poter selezionare la porzione di contenuto di suo interesse, secondo il modello già affermatosi nella musica con iTunes della Apple, che consente l'acquisto di un singolo brano invece dell’intero CD, e la crea-zione di una propria playlist. La prospettiva è dunque quella del libro aperto, che possa essere utilizzato, modificato e distribuito liberamente, e sia adattabile ai diversi dispositivi. I sistemi operativi Considerato che dal giugno del 2013, data in cui Nokia ha ufficialmente comunicato che non avrebbe più prodotto dispositivi dotati di Symbian OS, il sistema operativo (nato nel 1998 e utilizzato prevalentemente dal produttore finlandese) non è più supportato da nessun hardware; i sistemi che attualmente si dividono il mercato degli smartphone sono quattro. La Figura 1 offre una schematizzazione della loro penetrazione nel mercato. Android È il sistema operativo di Google. Dall’ottobre 2008, data di lancio del primo dispositivo equipaggiato Android, ha conquistato quote crescenti di mercato, diventando il più dif-fuso al mondo, anche perché scelto da molti grandi produttori di smartphone, Samsung in primis: è perciò supportato da una ampissima gamma di dispositivi, di varie fasce di prezzo. Basato su Kernel Linux, si caratterizza per l’architettura open source, che permette di modificare e distribuire liberamente il codice sorgente. Le app, scritte da un’ampia co-munità di sviluppatori con una versione modificata del linguaggio di programmazione Java, sono distribuite attraverso Google Play, lo store di Google. L’apertura del sistema è causa di alcuni limiti di sicurezza. La versione più recente è la 4.3 “Jelly Bean”. iOS Di Apple, è considerato il primo sistema operativo per telefoni touch (in realtà nel 1992 l’IBM aveva prodotto Simon, con un’interfaccia completamente touch) e comunque

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quello che ha sicuramente rivoluzionato il mondo mobile, grazie all’intuitività dell’in-terfaccia. È utilizzato per iPhone, iPod touch e iPad. Nato nel gennaio 2007, è attesa la versione 7 per l’autunno 2013. Derivazione di Unix, si tratta di un sistema proprietario e chiuso che non consente livelli di personalizzazione. Le app, che per andare in esecuzione hanno bisogno di iOS, sono distribuite dall’Apple Store, che conta il maggior numero di applicazioni. L’ampia offerta di app e l’ecosiste-ma creato grazie a servizi gratuiti come iCloud, iMessage e iTunes per la sincroniz-zazione con gli altri prodotti Apple, oltre alla qualità costruttiva e alla forte componente di design, caratterizzante da sempre i prodotti della casa di Cupertino, ne rappresentano i punti di forza. Windows Phone È il sistema operativo per smartphone di Microsoft basato su Kernel Windows NT. Nato nel febbraio del 2010, in discontinuità con il suo predecessore Windows Mobile con il quale è incompatibile, è giunto alla versione 8. Supporta il multitouch, offre un’inte-grazione con i social network e contiene un'edizione mobile di Office 2013. Utilizza la nuova interfaccia Microsoft, caratterizzata da un design flat, la cui schermata principale (chiamata Start), è composta da “Live tiles”, collegamenti ad applicazioni, funzioni o oggetti individuali che si aggiornano in tempo reale: per esempio, il tile di un account e-mail mostra il numero di messaggi non letti. La sincronizzazione avviene con il software Zune, anche in wireless. Il marketplace è Windows Phone Store, con un’offerta ancora limitata. È supportato da dispositivi HTC, Samsung, Huawei, e soprattutto Nokia, che ha abbandonato definitivamente Symbian. BlackBerry OS È il sistema operativo per la linea di smartphone BlackBerry. È un sistema proprietario basato su Kernel QNX, che solo da gennaio 2013, con l’ultima versione 10 ha adottato un’interazione touch, sostituendo i vecchi trackball e trackpad. Da sempre rivolto a una utenza business, ha perso importanti quote di mercato, perden-do il terzo posto a discapito di Windows Phone. Non molte le app a disposizione nello store BlackBerry World.

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Figura 1. Smartphone OS Market Share, 2013 Q3 [Worldwide Quarterly Mobile Tracker. IDC, 2013].

1.3 Ubiquitous e pervasive computing

L’odierna disponibilità di dispositivi diversi per ogni individuo - smartphone, tablet, lettori mp3, e-book reader, computer desktop - definisce un modello “molti per uno”, e rappresenta lo stadio attuale nell’evoluzione del rapporto numerico tra uomo e computer. Infatti, agli inizi il paradigma era “uno per tutti", un solo computer per molti utenti: era-no gli anni del mainframe, un calcolatore costoso e ingombrante, usato esclusivamente da specialisti e tecnici informatici, all’interno di contesti specifici come università, cen-tri di ricerca e di elaborazione dati nelle grandi aziende. Agli inizi degli anni 80, l’arrivo del personal computer e soprattutto delle interfacce gra-fiche a manipolazione diretta, ha segnato un passaggio importante, una rivoluzione che ha diffuso progressivamente il computer in tutte le fasce di utenza, secondo il paradig-ma “uno per persona”. Nel modello “molti per uno”, l’utente accede ai diversi dispositivi a seconda del mo-mento, delle condizioni e delle esigenze, a volte utilizzandone contemporaneamente più di uno. I dispositivi interagiscono tra loro solo raramente e sempre per iniziativa dell’utente. La tendenza tuttavia è quella di creare un ambiente intelligente che avvolga l’uomo, in cui i dispositivi diffusi in modo invisibile interagiscono tra loro autonomamente. Le te-cnologie dell’informazione e della comunicazione si innestano nel mondo fisico dotan-dolo di intelligenza, pervadendo la vita delle persone nelle diverse attività e nei diffe-renti momenti della giornata. Oggetti quotidiani come penne, abiti, edifici, incorporano

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capacità di calcolo. Il confine tra mondo naturale e mondo artificiale diventa impalpabi-le. Queste tecnologie, definite sensibili, in quanto in grado di scambiare informazioni, possono integrare un sistema di posizionamento globale (Gps), permettendo l’individua-zione di tutti gli spostamenti e la storia di un oggetto: dalla fabbrica dov’è stato prodotto, ai materiali usati, ai mezzi che lo hanno trasportato. Le ricerche su questo progressivo avanzamento della tecnologia nel mondo fisico sono partite negli anni Ottanta in California, allo Xerox Parc di Palo Alto - il centro di ricerca a cui si devono importanti innovazioni quali le interfacce grafiche a icone e finestre, ba-sate su un sistema di interazione a manipolazione diretta attraverso il mouse, i collega-menti ethernet, le stampanti laser - quando Marc Weiser, esattamente nell’88, parlò di ubiquitous computing, termine usato in modo parzialmente intercambiabile con perva-sive computing, intelligence ambient, internet of things. Diversi i filoni che stanno portando all’ubiquitous computing: l’information in places, i media sono inseriti nell’ambiente; smart rooms, ambienti che reagiscono alla presenza di chi li occupa; smart cities, spazi urbani in grado di elaborare informazioni per miglio-rare la qualità della vita dei cittadini; sentient object, oggetti fisici in grado di comu-nicare e di compiere elaborazioni; tangible bits, la possibilità di interagire con il mondo virtuale manipolando oggetti fisici; wearable computer, strumenti di calcolo da indossa-re o integrati negli abiti e negli accessori [Rheingold, 2003]. Un’altra direzione di questa tendenza alla diffusione dell'intelligenza digitale nell’am-biente circostante è quella che dà vita alla realtà aumentata, nella quale un livello ulte-riore integra la realtà, fornendo informazioni su ciò che si sta vedendo in un dato mo-mento nel mondo fisico circostante. Per riassumere l’insieme di queste ricerche e descrivere gli scenari che si prospettano, Rheingold [2002] riprende quanto detto in un intervento del 2000 dal presidente dei Bell Labs: “Quando i vostri figli avranno pressappoco la vostra età […], una megarete di reti ricoprirà tutta la terra come una pelle. Mentre le comunicazioni diventeranno più veloci, più agili, meno costose e più intelligenti nel prossimo millennio, questa pelle, nutrita da un flusso costante di informazioni […], comprenderà milioni di strumenti elettronici di misurazione che controlleranno le città, le strade e l’ambiente.” Con questo ambiente sono in grado di comunicare gli attuali smartphone, sempre più telecomando per gestire il mondo fisico, strumento di navigazione e interazione con la realtà intessuta di chip.

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La geolocalizzazione La possibilità di conoscere la propria posizione è una forma di informazione legata al contesto che offre uno spettro infinito di possibili servizi, anche sul web. Wikipedia nel maggio del 2103 ha lanciato Nearby (in italiano “nelle vicinanze”), una nuova pagina che fornisce in tempo reale informazioni geolocalizzate. L'utente in mobilità, visitando la nuova pagina, accessibile sia da mobile che da Pc, ottiene informazioni e suggerimenti sui punti di interesse presenti nelle vicinanze del luogo da cui si connette. L'estrazione di contenuti georeferenziati è resa possibile da Geodata, un'estensione di MediaWiki che permette l'inserimento delle coordinate geo-grafiche in allegato agli articoli. Questo nuovo servizio è stato annunciato dalla Wikimedia Foundation sul blog ufficiale in un post del 29 maggio in cui Jon Robson ha spiegato che Nearby fornisce un servizio utile all'utente che, al contempo, arricchisce la piattaforma di contenuti soprattutto foto-grafici sempre attuali. L’identificazione della posizione di un feature phone è possibile attraverso la triangola-zione delle antenne, mentre quella di uno smartphone può sfruttare anche il segnale WiFi e il GPS. Per quanto molto più lento all’avvio e consumi batteria supplementare, il posizionamen-to più accurato si ottiene attraverso l’uso di chip dotati di segnale GPS: in ogni modo, i browser web sono in grado di determinare l’informazione più corretta in un determinato momento. Il GPS, Global Positioning System, fornisce gratuitamente all’utente, fermo o in movi-mento, ininterrottamente e indipendentemente dalle condizioni meteorologiche, infor-mazioni di estrema precisione sulla sua posizione, sulla velocità e sul tempo, ovunque sulla terra. Il calcolo della posizione avviene da parte di un dispositivo ricevente che triangola i segnali radio proveniente da 31 satelliti in orbita Il GPS è stato sviluppato nel 1973 per scopi militari dal governo americano che ne de-tiene tuttora il controllo. Il servizio è stato aperto al mondo nel 1991, con un segnale intenzionalmente degradato, con una precisione di 100-150 m. Nel maggio 2000, tale degradazione è stata disabilitata, mettendo così a disposizione per gli usi civili la preci-sione attuale di circa 10-20 metri. Attualmente, dunque, i sistemi GPS sono utilizzati da varie tipologie di utenti e per di-versi scopi. Sono utilizzati nelle rotte aree e nautiche, per i soccorsi, per il controllo del territorio, come antifurto, ma anche come oggetto personale per la navigazione in auto e nelle attività sportive all'aperto. Oltre ai dispositivi dedicati, i chip GPS sono stati integrati negli smartphone, rendendo possibile un nuovo mercato dei servizi basati sul posizionamento.

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Il governo americano ha stabilito che entro il 2005 tutti i telefoni cellulari dovessero essere dotati di sistemi per il rilevamento della posizione in modo da migliorare i servizi di emergenza. In Giappone sono stati progettati e prodotti cellulari con un GPS in grado di rilevare anche la direzione in cui viene orientato il telefono. La presenza massiccia di GPS, di dispositivi vari, di servizi di diversa natura, sul territo-rio, fa sì che le aree urbane siano attraversate da reti informative capillari all’interno delle quali l’informazione scorre massicciamente. Quest’insieme di strumenti di comu-nicazione potrebbe essere usato per disegnare città che facilitino la convivialità e assicu-rino sicurezza. La realtà aumentata Negli anni novanta un filone di studi ha indagato sul concetto di realtà virtuale, ovvero la possibilità di esplorare una realtà fittizia, ricostruita in grafica tridimensionale. Si trat-tava di un’esperienza immersiva in una realtà ricostruita, che poteva essere esplorata, e con la quale era possibile interagire, attraverso un guanto e un casco collegati a un com-puter. Gli sforzi successivi della ricerca si sono concentrati sulla possibilità di mischiare il mondo virtuale con quello fisico, dando luogo a un importante filone denominato “aug-mented reality” (A.R., realtà aumentata). La realtà aumentata nasce dall’idea di poter utilizzare un dispositivo da indossare per ampliare la capacità sensoriale umana, invece che per l’immersione in un ambiente virtuale. La finalità è di associare, a livello planetario, le informazioni ai luoghi, in modo che possano essere percepite come se si fosse effettivamente in quel luogo: quindi vedere l’informazione nel suo contesto, sovrapposta agli oggetti fisici, arricchendo il mondo reale. Un siffatto sistema dovrebbe essere costituito da: una infrastruttura di codificazione del mondo [Rheingold, 2003], ovvero un server in grado di immagazzinare le informazioni collegate a tutta la superficie del globo; dispositivi mobili o indossabili dall’utente dota-ti di sistema di localizzazione geografica; accesso wifi per contattare il server; un soft-ware per creare, leggere e modificare l’informazione associata ai diversi luoghi. Infine un paio di occhiali consentirebbe di percepire l’informazione associata all’ambiente fisico come se fosse sovrapposta. La pervasività della tecnologia genera tuttavia la problematica legata alla privacy e al controllo delle informazioni.

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HP suggerisce che l’uso del web quale infrastruttura per collegare le tecnologie mobili a quelle pervasive possa consentire di avere un accesso aperto, evitando che il controllo sia nelle mani di aziende private. Nell’ambito di CoolTown, l’esperimento di informatica pervasiva di HP, i ricercatori della multinazionale hanno inventato Websigns [2001, op. cit.], segnali virtuali combi-nazione di informazioni e coordinate geografiche, che l’utente scarica (per la parte rela-tiva a una determinata località) sul proprio dispositivo, cosicché nessuno conosca la sua posizione quando interroga il database. Se l’accesso alle informazioni che aumentano la realtà avviene attraverso dispositivi indossabili dedicati si ha un’esperienza immersiva, viceversa con i dispositivi mobili attualmente in commercio la ricerca si indirizza verso l’ambito dei cellulari sensibili al contesto. A seconda delle modalità con cui avviene l’accesso alle informazioni che aumentano la realtà, la ricerca procede lungo due direzioni: quella degli smartphone sensibili al conte-sto, e quella volta ad assicurare un’esperienza immersiva attraverso dispositivi indos-sabili quali gli occhiali. Realtà aumentata su dispositivi mobili e desktop La realtà aumentata su smartphone consiste essenzialmente nella possibilità di avere informazioni contestuali, che dipendono dal luogo in cui ci si trova. Cosicché con uno smartphone dotato di GPS per il posizionamento, di magnetometro (bussola) e di colle-gamento internet WiFi, è possibile conoscere i siti di interesse storico-culturale o gli al-berghi e i ristoranti vicini, oppure entrare in un museo o in una biblioteca per ottenere informazioni sui pezzi presenti. Applicazioni di AR, generalmente sviluppate con tecnologia Adobe Flash, fruibili da browser, sono possibili anche su desktop computer, attraverso l’uso di QR (codici simili a quelli a barre) letti dalla webcam. Negli ultimi anni, noti brand hanno esplorato l’integrazione della realtà aumentata nelle loro attività di advertising. Un esempio molto affascinate di augmented advertising è quello progettato e realizzato dall’agenzia digitale Appshaker [2013] di Londra per il lancio del canale televisivo di National Geographic. Cinque scene tridimensionali con qualità broadcast di delfini, leopardi, astronauti, tempeste e dinosauri, hanno riempito gli spazi di un centro commerciale guadagnando l'attenzione dei presenti, che si sono potuti immergere nel fantastico mondo di National Geographic (Figura 2).

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Figura 2. La campagna National Geographic che usa un’applicazione di realtà aumentata [Appshaker, 2011].

Google Glass Project Glass [Google, 2013] è il progetto di realtà aumentata di Google che utilizza un paio di occhiali (Figura 3) per visualizzare lo strato di informazioni associate all’am-biente circostante. Gli occhiali, dotati di una piccola lente-display sull'occhio e di una videocamera, con-sentono di scattare foto, registrare video, leggere e inviare e-mail, avere indicazioni stra-dali, effettuare videochiamate, tradurre testi. Le specifiche tecniche, rilasciate nell’aprile del 2013, sono: display ad alta risoluzione, fotocamera da 5MP e video a 720px, WiFi 802.11b/g e Bluetooth, 12 GB di memoria utilizzabile, sincronizzato con Google Cloud Storage. Dopo una prima fase di sperimentazione partita alla I/O conference del 2012 e rivolta ad alcuni sviluppatori, nel febbraio del 2013 Google ha lanciato il concorso #ifihadglass, riservato ai residenti negli Stati Uniti, ai quali è stato chiesto di descrivere, attraverso Google+ e Twitter, cosa avrebbero fatto se avessero avuto gli occhiali: in palio la possi-bilità di acquistarli. Fra i partecipanti ne sono stati selezionati 8.000 ai quali, a partire dallo scorso maggio, è stata spedita una prima versione del dispositivo al costo di 1500$. Al momento Google non sta più acquisendo richieste. Una versione per tutti i consuma-tori a un prezzo più basso è prevista nel 2014.

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Nel giugno del 2013 i Google Glass sono stati sperimentati in sala operatoria, durante un intervento chirurgico di gastrostomia, dal Dr. Rafael Grossman il quale ha voluto così mostrare come il dispositivo e la sua piattaforma hanno un grande potenziale nel settore sanitario dove potrebbero consentire, in maniera molto semplice, una migliore consultazione intra-operatoria, il tutoraggio chirurgico, e l'educazione medica a distanza.

Figura 3. Google Glass: il dispositivo e una visualizzazione di informazioni sovrapposte [Google, 2013].

Wearable computing per l’intelligenza umana Il termine cyborg, coniato da Manfred Clynes e Nathan Kline dalla fusione dei termini cybernetic e organism, indica l’unione di parti umane con parti sintetiche. Il primo e forse più noto cyborg è il canadese Steve Mann, ricercatore al MIT e docente alla University of Toronto, il quale ha parlato del concetto di “gente intelligente”, con il quale sottolinea la necessità di puntare sull’intelligenza umana nello sviluppo dell’infra-struttura tecnologica [Mann, 2001].

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La humanistic intelligence punta alla dignità umana, che si può ottenere, metaforica-mente e concretamente, trasformando il corpo attraverso l’impiego di protesi che con-sentano di controllare l’ambiente circostante. Obiettivo del wearable computing e della humanistic intelligence è quello di consentire un nuovo modo di essere e non solo di fare. Il wearable computing per Mann è un mez-zo di potenziamento personale, che consente di muoversi in libertà, strumento per un’in-telligenza umanistica condivisa. Da giovanissimo Mann realizza il suo primo prototipo Wear Comp 0, esperimento che perfeziona negli anni e che dura da oltre 30 anni. Wear Comp è un casco con integrati una video camera e un computer per l’elaborazione e la selezione delle riprese video. Grazie a WearComp Mann seleziona ed elabora immagini, testi, dati e, attraverso un sistema WiFi realizzato nel 1994, riesce anche a inviare e-mail e navigare sul web in modalità always on. Mann contesta la direzione intrapresa nella ricerca dal MIT e sostiene che WearComp è antitetico rispetto al concetto di smart rooms e di ubiquitous computing che utilizzano il calcolo distribuito, l’uso di videocamere e microfoni diffusi nell’ambiente, privilegian-do la struttura all’individuo, le cose alle persone. Il wearable computing per Mann permette agli individui di dotarsi di strumenti per la propria protezione in modo individuale, indipendente e privato. Inoltre il potenziamento personale dovuto ai mezzi di calcolo indossati è anche nella possibilità di filtrare la rap-presentazione visiva della “società dello spettacolo”, che passa attraverso gli stimoli della pubblicità, dei messaggi commerciali e delle vetrine degli spazi urbani della con-temporaneità. La possibilità di accendere e spegnere questi stimoli visivi, selezionan-done alcuni, offre importanti opportunità, sia di personalizzazione dello spazio vitale sociale, che di difesa dal bombardamento visivo e sonoro proveniente dall’esterno.

1.4 Reti sociali mobili

Una rete sociale è costituita da un insieme di soggetti, i nodi della rete, nonché dalle relazioni tra i soggetti della rete. La rete sociale è dunque la struttura di relazioni le cui caratteristiche possono essere usate per spiegare il comportamento delle persone che costituiscono la rete. Le reti sociali come rappresentazione dei rapporti sociali e il suo metodo di studio, l’analisi delle reti sociali, sono stati adottati come strumenti teorici per lo studio di nu-merosi fenomeni e processi.

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Lo studio delle reti sociali, che ha come focus l’intreccio complesso di relazioni sociali che definisce la società, ha origine molto prima che fossero inventati le reti di computer e i dispositivi mobili. Wellman, esponente dell’analisi strutturale americana - il filone di studi sviluppatosi ad Harvard a partire dagli anni ’70, che attribuisce importanza alla forma delle reti più che al loro contenuto - sostiene che le reti di computer sono reti sociali e che l’analisi delle reti sociali tradizionali possa essere applicata ai cyberspazi sociali. Quest’ultima idea viene estesa da Rheingold secondo cui può essere applicata anche agli spazi mobili. Diversi studiosi sottolineano come le reti di computer, nel momento in cui mettono in contatto le persone, soprattutto grazie a uno dei servizi della grande rete internet quale la posta elettronica, diventano reti sociali connesse attraverso i dispositivi tecnologici. Gli appartenenti a tali reti, distribuiti sull'intero territorio, possono dar luogo a delle vere e proprie comunità caratterizzate da un senso di appartenenza e identità sociale che non è legato alla contiguità fisica. Sono le persone, indipendentemente dal luogo dove vivo-no e lavorano, a rappresentare i nodi di comunicazione delle reti di relazioni e di inte-ressi comuni, di tutte le epoche, e soprattutto di quelle della net-society. La domanda che si pone Rheingold [2003] è: cosa succede alle comunità virtuali quan-do passano dai computer ai telefono cellulari? A quali forme sociali daranno vita le masse in movimento che si scambiano messaggi con i cellulari? Il valore delle reti Il legame tra le caratteristiche tecniche delle reti telematiche e le potenzialità comunica-tive delle reti sociali può essere spiegato da tre leggi che definiscono il valore di una re-te in riferimento al numero di connessioni, e che spiegano il modo in cui il valore viene modificato dall’influsso della tecnologia. La legge di Sarnoff, legata alle reti televisive radiofoniche - le quali trasmettono pro-grammi da poche stazioni a molti fruitori - afferma che il valore di una rete di broad-casting è proporzionale al numero degli utenti: più persone sono collegate, maggiore è il valore della rete. Da questa legge deriva il criterio di attribuzione di valore alla pubblici-tà. Ne deriva che il valore di una rete è lineare e la comunicazione è di tipo one to many. Secondo la legge di Metcalfe invece il valore di una rete, in cui ogni nodo può raggiun-gere tutti gli altri, cresce con il quadrato del numero di nodi. Il fax ne è un esempio: una sola macchina fax è inutile ma il suo valore cresce in funzione delle persone che se ne servono per inviare e ricevere. Ne deriva che la connessione di reti tra loro indipendenti crea un valore più elevato della somma dei valori delle singole reti. La diffusione di In-ternet è dovuta in parte a questo principio.

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A sua volta David Reed, ricercatore del MIT, ha osservato che il valore di una rete, In-ternet in particolare, non cresce proporzionalmente, ma in modo esponenziale quando consente di formare gruppi con interessi comuni che condividono idee, obiettivi e con un senso di appartenenza. Questa legge dunque lega le reti di computer alle reti sociali. Quindi quando una rete è in grado di diffondere qualcosa, come nel caso della televisio-ne, il valore è lineare; quando permette scambi tra tutti i nodi, il valore cresce al quadrato; quando la rete offre la possibilità di formare gruppi, il valore è esponenziale. Inoltre, ciò che è importante in una rete è legato alla scala di una rete. Nelle reti che hanno una crescita lineare, domina il contenuto; poche fonti in competizione si conten-dono il pubblico sulla base della qualità dei contenuti. Nelle reti che crescono in modo quadratico, diventa centrale quello che viene scambiato: e-mail, denaro, servizi. Quando invece una rete è regolata dalla legge di Reed, allora assume rilievo ciò che è costruito di comune accordo, gruppi di discussione, di acquisto, di lavoro. Fukuyama [1996, op. cit.] ritiene che esista una stretta correlazione tra la prosperità di un’economia e il capitale sociale, definito come la facilità con cui le persone possono formare nuove associazioni; allora, se i beni in comune saranno accessibili a molti, “la cornucopia dei beni condivisi” potrà portare benefici diffusi [Rheingold, 2003]. Le Smart Mobs La caduta del presidente delle Filippine Estrada nel gennaio del 2001, a opera di quella che è stata definita la generazione Txt, e la vittoria nella battaglia di Seattle per protesta-re contro il World Trade Center nel 1999, sono i due episodi più eclatanti di mobilita-zione di massa organizzati e coordinati con l’invio di sms, l’impiego di dispositivi mobili, e l’uso delle reti sociali mobili. Due episodi che hanno dimostrato la forza delle Smart Mobs. Smart Mobs è il termine con il quale Rheingold indica i gruppi di persone che utilizzano nuove tecnologie mobili e wireless per organizzarsi e coordinarsi, istantaneamente e con modalità inedite, in azioni collettive pur senza conoscersi tra loro. Le tecnologie della comunicazione wireless offrono quindi alla gente un nuovo modo di unire le loro forze, dando luogo a comportamenti basati sul coordinamento istantaneo, permettendo azioni collettive non realizzabili altrimenti. I dispositivi mobili collegati a internet in modalità wireless rappresentano un medium del tutto nuovo che consentirà di fare cose che non potevano essere fatte prima; e non semplicemente un modo per fare in movimento quello che prima si faceva da fermi.

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Il termine Mob è utilizzato dall’autore per significare sia mobile che folla, quindi smart mobs indica cellulari intelligenti e folle intelligenti, che grazie all’uso di terminali mo-bili possono dar luogo a eventi di vario tipo sfruttando l’intelligenza collettiva. Le smart mobs possono considerarsi reti sociali mobili ad hoc, in quanto entrambe com-binano l’elaborazione, la comunicazione, la reputazione e la conoscenza della posizione, messe a disposizione dalla tecnologia mobile, per dar vita a una nuova forma sociale. Reti sociali perché ogni individuo delle smart mobs è un nodo che ha collegamenti con gli altri; mobili perché i nodi possono spostarsi ed entrare nella rete in qualunque mo-mento; ad hoc perché l’organizzazione della rete avviene in modo estemporaneo, infor-male e istantaneo sulla base di un obiettivo preciso, evolvendo a volte, ma non necessa-riamente, in forme più stabili assimilabili a quelle delle comunità. L’idea di reti mobili ad hoc, perché possano funzionare in pratica, deve risolvere alcune problematiche legate alla privacy e alla reputazione. La reputazione Un progetto di reti di strumenti mobili ad hoc, per sostenere le reti sociali delle persone che li indossano, è stato realizzato dal Wearable Computing Group utilizzando il peer to peer e le tecnologie wireless. Le reti mobili ad hoc rappresentano una modalità per generare dinamicamente nubi tem-poranee di potenza di calcolo distribuito ed elaborazione ubiqua, che può essere usata negli incontri faccia a faccia per facilitare e promuovere le interazioni sociali umane. In tempi brevi le modalità di unirsi agli altri - per aumentare le conoscenze, scambiare beni, incontrare partner - potrebbero cambiare in modo radicale avendo la possibilità di sape-re le caratteristiche e le esigenze di chi è nelle vicinanze. Cosicchè un nuovo digital divide separerà chi saprà sfruttare le tecnologie mobili per riunirsi in gruppi da chi non sarà in grado di farlo. Tuttavia, affinchè comunità mobili ad hoc si organizzino in modo cooperativo, facendo emergere un’intelligenza collettiva e producendo ricchezza per sé e l’intera collettività, occorre superare i problemi legati alla fiducia e alla privacy che nascono quando i com-puter mobili si scambiano informazioni. Assume quindi rilievo il concetto di reputazione, che può essere considerato il punto di convergenza tra tecnologia e collaborazione. Sistemi di controllo della reputazione efficaci hanno contribuito al successo di siti come eBay e Amazon, fornendo agli utenti un contesto attendibile per poter operare le loro scelte di acquisto. La creazione di criteri di controllo della reputazione diventa allora il punto chiave perché si creino smart mobs efficaci, sia per scopi democratici che teppi-

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stici, in grado di sfruttare il potenziale dei “superorganismi”, denominazione assegnata da Wheeler alle colonie di formiche, capaci di svolgere in gruppo compiti che nessun singolo potrebbe eseguire da solo.

1.5 Accesso e competenze

Il progresso tecnologico si accompagna alla nascita di una nuova era economico-sociale, in cui i mercati cedono il passo alle reti e la proprietà è progressivamente sostituita dal-l’accesso. Questo cambiamento produce effetti di grandissima entità sulla società, ridi-segnandone gli assetti in tutti gli ambiti. È l’era dell’accesso descritta da Rifkin [1999] nella quale la proprietà privata continua a esistere ma cessa di essere scambiata. Chi detiene la proprietà di un bene lo affitta, lo cede in uso temporaneo, a fronte di un corrispettivo, eventualmente sotto forma di abbo-namento. Lo scambio non riguarda più la proprietà ma l’accesso; la proprietà del ca-pitale fisico, fondamentale nella civiltà industriale, diventa meno rilevante: quello che assume rilievo è il capitale intellettuale. Nella nuova economia acquistano importanza le idee e i concetti, assume valore la componente immateriale, che non può essere scam-biata, rimanendo patrimonio di chi la detiene: può solo essere affittata. Il possesso è diventato quindi obsoleto, quasi un limite, inadatto a un’economia in vorticosa trasfor-mazione, in cui la rapidità dell’innovazione tecnologica ha accorciato il ciclo di vita dei prodotti. Nell’era dell’accesso gli assunti economici dell’era del mercato sono del tutto nuovi: le reti sostituiscono i mercati, i fornitori si sostituiscono ai venditori, si può godere di un qualunque bene attraverso l’accesso. Il passaggio dal regime di proprietà a quello di accesso cambia in modo radicale il con-cetto di potere economico e comporterà cambiamenti nel modo di governare. L’uomo che vivrà nell’era dell’accesso sarà verosimilmente profondamente diverso da quello che ha considerato la proprietà un’estensione dell’essere. I cambiamenti economici sono parte di una trasformazione più profonda dell’intero si-stema capitalistico, che vedrà uno spostamento dalla produzione industriale a quella cul-turale, in cui gli scambi di beni e servizi lasceranno il campo a scambi di esperienze culturali. Di “Economia delle esperienze” parlano Pine e Gilmoure nella loro analisi della nuova economia, in cui alle due condizioni di scarsità della domanda/sovrabbondanza dell’of-ferta e di pervasività della tecnologia, aggiungono quella dell’evoluzione dei contenuti della domanda. Dopo le commodity ci sono stati prima i beni, quindi i servizi, a cui, an-

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che a causa di internet, “la più grande forza di massificazione nota all’uomo”, si stanno sostituendo le esperienze, “eventi che coinvolgono gli individui sul piano personale” in quattro ambiti: intrattenimento, educazione, evasione, esperienza estetica. Nell’era dell’accesso si passa dall’etica del lavoro all’etica del gioco, dalla mercifica-zione del lavoro a quella del divertimento e delle risorse culturali. La mercificazione della cultura implica un cambiamento epocale nella natura dell’occu-pazione. L’innovazione tecnologica rende inutile il lavoro umano nella produzione di beni e servizi, non solo con riferimento a quello strettamente manuale. Le nuove oppor-tunità di occupazione saranno nelle attività culturali a pagamento. I confini tra comunicazione, condivisione e commercio saranno sempre più labili, il tempo libero scomparirà, diventando integralmente tempo commerciale. Il capitalismo, dopo aver mercificato spazio e materia, passerà alla mercificazione del tempo e della vita. Ma la vita come esperienza a pagamento porta alla morte della cultura, definendo i tratti della crisi della postmodernità. Nella new-economy, in cui l’esperienza umana è acquistata attraverso l’accesso alle reti telematiche, il già profondo divario tra chi ha e chi non ha sarà ancora più grande tra chi è connesso e chi non lo è. Web 2.0 e partecipazione La rivoluzione digitale innescata dalla crescita e dalla diffusione della rete internet a tutta la popolazione ha un momento topico nella nascita del cosiddetto web 2.0, termine coniato da O’Reilly durante una conferenza presso O’Really Media per identificare il profondo rinnovamento e la crescita che stava interessando la rete. Conviene ricordare che il web 2.0 rappresenta uno stadio evolutivo del web non legato a cambiamenti tecnologici, che si caratterizza per la partecipazione attiva degli utenti, i quali trasformando dati (remixability) e creando contenuti (user generated content), con-tribuiscono alla formazione di un’intelligenza collettiva. Questo cambio di prospettiva che trasforma gli utenti da semplici fruitori a produttori di contenuti - progettati, modificati o semplicemente condivisi - ha delle ripercussioni sul-le relazioni comunicative tra aziende, politica, istituzioni e il consumatore/utente/cittadi-no, il quale improvvisamente ha la possibilità di interloquire utilizzando uno strumento di comunicazione in grado di raggiungere un pubblico sempre più esteso. Il nuovo paradigma mette peraltro in crisi l’intera industria editoriale e le regole sul di-ritto d’autore, accelerando un processo che il web aveva già innescato e delineando un nuovo contesto culturale. Si tratta di un contesto caratterizzato da una partecipazione estesa alla produzione e distribuzione di media che ha fatto parlare Jenkins di “culture

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partecipative”. Una partecipazione che può aiutare i giovani, futuri cittadini, a costruire la propria identità e ad acquisire le capacità per decodificare il sistema simbolico nel quale sono immersi. Infatti, le culture partecipative rappresentano ambienti di apprendimento informale idea-li che Jenkins [2010] chiama spazi di affinità, in quanto consentono un coinvolgimento spontaneo, libero, diversificato; sono sostenuti da uno sforzo comune che travalica le differenze sociali, demografiche e culturali; motivano all’acquisizione di nuove cono-scenze, sfruttando l’esperienza degli altri. A differenza dei sistemi formali di istruzione, l’apprendimento informale degli spazi di affinità è sperimentale, creativo, specifico, innovativo; inoltre dalle comunità, che evol-vono e mutano continuamente, si può decidere di uscire in qualunque momento. In questo nuovo scenario le preoccupazioni delle famiglie - legate al tempo trascorso sugli schermi a discapito di altre attività ludiche nel mondo reale, peraltro già espresse per il consumo televisivo - per quanto comprensibili, dovrebbero ora valutare adeguata-mente le competenze che è possibile acquisire con i nuovi media. Le competenze per la partecipazione L’idea che la formazione possa essere un processo limitato e circoscritto a una parte della vita, non è più perseguibile in una società in continuo mutamento, in cui il ciclo di vita della validità delle conoscenze e delle competenze si è accorciato. Per fronteggiare l’altissima obsolescenza delle competenze è necessaria la capacità di intraprendere un percorso di formazione ininterrotto. La formazione e l’aggiornamento delle competenze non può più essere limitato nei tempi, nei modi e nella forma, richie-dendo invece di poter essere innestati e integrati nello svolgersi della vita, senza solu-zione di continuità. Cosicché diventa fondamentale la capacità di imparare a imparare, di dotarsi degli stru-menti per gestire autonomamente questo nuovo processo di formazione e apprendimen-to, accedendo in modo consapevole alla conoscenza condivisa che innerva gli scambi comunicativi nelle reti telematiche, attraverso le piattaforme del web 2.0. I giovani in età scolare partecipano ormai attivamente a tali scambi, in veste di creatori di media, con i blog o le pagine web personali, in cui realizzano in prima persona im-magini, video, suoni, testi, o manipolano contenuti prodotti da altri, per condividerli con le proprie reti di conoscenze all’interno dei social media, delle chat e dei forum, produ-cendo conoscenza in determinati ambiti di interesse personale. In questo scenario, di-venta fondamentale la scuola.

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Jenkins [2010] sostiene da una parte l’importanza di accrescere nelle scuole la cosiddet-ta media literacy; dall’altra che la scuola abbia un ruolo nell’insegnarla, promuovendo la media education; è necessario infatti evitare che si formi autonomamente, per tre ra-gioni di fondo: • il divario di partecipazione: non è sufficiente estendere a tutti il solo accesso al web,

essendo altrettanto necessario insegnare a usarlo e a comprenderne le logiche di fondo;

• il problema della trasparenza: l’uso dello strumento non garantisce né la capacità di valutare criticamente l’attendibilità delle fonti di informazione nè di individuare e separare le forme di pubblicità, sempre più pervasive e intelligenti, innestate nei con-tenuti;

• la sfida etica: il ruolo di produttori di contenuti richiede una valutazione etica delle azioni intraprese sul web.

È quindi importante che la scuola ripensi al processo di costruzione delle competenze per affrontare queste problematiche, in modo da garantire a tutti i giovani l’accesso con-sapevole alla cultura partecipativa. Peraltro, nell'arena competitiva del terzo millennio, nella società delle reti, in un mondo immateriale, le competenze rappresentano il fattore discriminante per il successo indivi-duale. La riduzione dei posti di lavoro, dovuta alle ristrutturazioni determinate dall'innovazio-ne tecnologica, prima ancora che alla crisi economica in atto - e che Rifkin [2002] par-lando di “fine del lavoro” considera endemica - penalizzerà sempre più coloro che non possiedono le competenze per operare in un mondo ad altissima complessità. Il rischio di estromissione dai cicli produttivi è molto elevato e lo sarà in modo crescen-te per larga parte della popolazione: la crisi di lavoro risparmierà solo quelli che Rifkin [2002] definisce “gli analisti dei simboli”, ovvero coloro in grado di decodificare il mondo simbolico nel quale viviamo. Anzi, sostiene lo studioso americano, le opportuni-tà di lavoro e di reddito per costoro saranno crescenti. Quali dunque le competenze per poter entrare a far parte della elite descritta da Rifkin? L'Institute for the Future (IFTF) - un gruppo di ricerca strategica no-profit con sede a Palo Alto, che opera da 40 anni all'identificazione dei trend emergenti che trasforme-ranno il mercato e la società nell'era della globalizzazione - ha realizzato per lo Univer-sity of Phoenix Research Institute uno studio volto a individuare gli skill del prossimo futuro. Il rapporto “Future Work Skills 2020” analizza i fattori chiave che ridisegneranno lo scenario del mondo del lavoro; anziché definire quale sarà il lavoro del futuro, impredi-

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cibile per la velocità dei cambiamenti in atto, si focalizza su skill e capacità necessari nei prossimi 10 anni. Tali skill sono: • Comprensione dei significati. Saper determinare e approfondire il significato di ciò

che accade; • Intelligenza sociale. Saper comunicare velocemente con gli altri e di favorire le inte-

razioni desiderate; • Pensiero creativo. Trovare soluzioni e risposte al di là di regole e schemi imposti; • Competenza multiculturale. Operare in contesti culturali diversi; • Pensiero elaborativo. Saper tradurre i dati in concetti e viceversa, nonché saper estra-

polare dati dai ragionamenti; • Conoscenza new media. Saper valutare criticamente e sviluppare contenuti utiliz-

zando nuove forme di media, sfruttandoli per una comunicazione persuasiva; • Multidisciplinarietà. Comprendere concetti interdisciplinari; • Organizzazione mentale. Saper rappresentare e sviluppare attività e processi di lavo-

ro per ottenere gli obiettivi desiderati; • Gestione delle informazioni. Saper selezionare le informazioni per importanza e

massimizzare le funzioni cognitive attraverso l'uso di strumenti e tecniche; • Collaborazione virtuale. Lavorare collaborativamente in maniera produttiva, moti-

vando il proprio operato, all'interno di team virtuali. Si tratta dunque di abilità sociali, cooperative, di comprensione e gestione dell’inces-sante flusso comunicativo nel quale siamo immersi, che passa in primo luogo attraverso la media literacy, la conoscenza dei codici linguistici dei media digitali. Le competenze digitali che le istituzioni formative sono chiamate a includere tra gli obiettivi delle attività curriculari, non sono dunque limitate all’utilizzo della tecnologia informatica o all’integrazione della didattica frontale con le attività laboratoriali. La formazione scolastica deve fornire gli strumenti culturali per cercare, selezionare, filtra-re, valutare criticamente, rielaborare e condividere l’enorme mole di informazione che avvolge e caratterizza gli ambienti di rete. Gli stessi risultati dei motori di ricerca inclu-dono e privilegiano contenuti pubblicizzati, secondo modalità di rappresentazione visiva che non sono conosciute ai più, risultando quindi non riconoscibili come tali. La capacità dello studente di saper selezionare autonomamente la conoscenza utile, all’interno dello sterminato patrimonio informativo presente in rete, creando connessio-ni al suo interno, è centrale nella teoria del connettivismo di Siemens [2005]. Tutto questo, peraltro, non deve far ignorare o passare in subordine l’importanza della dimensione tecnica. I giovani studenti, di tutte le età, hanno infatti anche bisogno di co-

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noscere i paradigmi e i frame operativi che caratterizzano i diversi software; di com-prendere come si elaborano immagini, video e suoni; di saper utilizzare i browser per la navigazione e i client di posta elettronica per gestire la comunicazione; di avere consa-pevolezza delle opportunità offerte dal formato digitale, per non incappare in modi d’uso che ripropongono l’approccio con oggetti non digitali; consci che tra le dimensio-ni tecnica e culturale vi è un forte relazione di reciprocità, un legame a doppio filo di cui è importante riconoscere l’esistenza.

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2. Mobile Learning

Nello scenario descritto, in cui i dispositivi mobili sono entrati in modo prorompente nella vita quotidiana degli individui, modificandola profondamente in tutti i suoi aspetti, trovano spazio nuovi modi di insegnare e di apprendere. L’obiettivo è quello di trarre vantaggio nel processo di insegnamento/apprendimento dal diffuso utilizzo di tecnologia mobile. Pda, computer tablet, telefoni cellulari, utilizzati come strumenti di formazione, possono essere i nuovi mezzi, attraverso cui è possibile costruire percorsi di apprendimento. Il filone di studi che si è occupato di indagare l’uso delle tecnologie mobili e wireless in ambito educativo è il mobile learning. Parallelamente alla forte diffusione di dispositivi mobili presso tutta la popolazione e allo sviluppo di dispositivi sempre più performanti, utilizzati in processi di apprendi-mento ubiqui, le esperienze, gli studi e le ricerche nel mobile learning diventano sempre più numerose, cresce il numero di conferenze e la letteratura propone contributi che ri-portano e analizzano il risultato dei più importanti progetti sull’impiego di dispositivi mobili nell’apprendimento. L’interesse crescente del mondo della ricerca al mobile learning è giustificato da alme-no tre ragioni: i cellulari sono diffusi in modo capillare consentendo di comunicare con chiunque; i cellulari accompagnano sempre gli studenti che possono così essere rag-giunti in qualunque momento e ovunque si trovino; i cellulari non veicolano solo voce, messaggi e oggetti multimediali, ma sono soprattutto un mezzo per intrattenere relazioni sociali [Arrigo et al., 2008]. Ci sono differenti modalità e numerosi processi che la gente usa per apprendere, tra cui i più efficaci sono ascoltare, osservare, imitare, domandare, riflettere, provare, stimare, predire, meditare, far pratica [Prensky, 2007]. Tutti questi processi possono essere sup-portati dai cellulari. Inoltre, i cellulari ben si legano allo stile veloce, casuale e multi-tasking dei “Digital natives”. In quest’ottica può essere utile riflettere sul concetto di mobilità, che rappresenta intui-tivamente l’elemento caratterizzante del mobile learning, ovvero sulle relazioni tra le variabili dispositivo - utente - contenuti, e la mobilità, valutando come ognuna di esse genera modalità di apprendimento differenti, caratterizzate da specifiche peculiarità.

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2.1 Cos’è il mobile learning

Il mobile learning è una modalità di apprendimento e di distribuzione di contenuti for-mativi di qualunque tipologia, che sfrutta dispositivi portatili, smartphone, pda, palmari, computer tablet, netbook con accesso alla rete internet in modalità wireless. Questi strumenti tecnologici consentono una modalità di studio in mobilità, di tipo no-madica, con possibilità di accedere alle informazioni offerte da internet, anche di tipo contestuale al luogo in cui si è, rimanendo in contatto con la propria rete di conoscenze, che evidentemente non è più limitata a cerchie definite in base alla contiguità geografica. In questo modo l’apprendimento non è più vincolato a un determinato luogo fisico o a determinati orari prestabiliti; è possibile apprendere ovunque e in qualunque momento, cosicché i tempi morti e quelli di spostamento possono diventare momenti di apprendi-mento e di formazione. L'attesa di un autobus o un treno o i tempi di viaggio possono essere sfruttati per acce-dere a risorse formative, che evidentemente, devono essere adeguatamente progettate per poter essere utilmente fruite in tali contesti. Utile soprattutto a studenti adulti e già impegnati con il lavoro, si tratta di una modalità che ben si integra con altre attività, non richiedendo una netta separazione e un’allocazione predeterminata di tempo. L’appren-dimento diventa quindi ubiquo e onnipresente. Questa nuova relazione con l'apprendimento dell’individuo del terzo millennio è legata sia alla perenne connessione con i dispositivi, le proprie cerchie, e le reti telematiche - definita always on; sia al concetto che si va affermando di lifelong learning, ovvero la necessità di apprendere continuamente durante tutto l’arco della vita. Questa nuova doppia condizione prende forma con la diffusione di internet e le conse-guenti profonde modificazioni della vita, sociale e lavorativa; e si compie assumendo nuovi connotati, con la diffusione dei nuovi dispositivi mobili. L’acquisizione delle competenze necessarie per competere nella società della conoscen-za avviene in modo continuo durante tutto l’arco della vita accedendo a risorse infor-mative e contenuti formativi sempre disponibili attraverso dispositivi tecnologici colle-gati alla rete internet; quando i dispositivi diventano portatili, l’accesso è consentito anche in mobilità, in ogni contesto, durante tutta la giornata, sfruttando i momenti liberi. Mobilità e apprendimento Un possibile approccio alla comprensione del mobile learning e alla sua definizione può passare attraverso l’individuazione e il riconoscimento delle differenze con altre moda-

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lità di apprendimento. Solo cosi è possibile tracciare le caratteristiche, immaginare un format, definire una struttura. La prima evidente differenza tra il mobile learning e le altre metodologie formative è data dal fatto che i soggetti coinvolti nel processo di apprendimento (discenti e/o docen-ti) possono essere in movimento, ossia l’apprendimento avviene attraverso lo spazio e il tempo. A questo scopo risulta interessante una classificazione [Naismith et al., 2004, op. cit.] che segmenta i diversi dispositivi mobili, utilizzando due delle caratteristiche peculiari delle tecnologie mobili: l’essere portatili e personali. Lo schema che la rappresenta utilizza così i due assi personale/condiviso e portati-le/statico (Figura 4).

Figura 4. Classificazione dei dispositivi mobili. [Naismith et al., 2004].

Quadrante 1 - Dispositivi portabili/personali dispositivi a cui generalmente si fa riferimento quando la gente comune pensa alle tec-nologie mobili: telefonini, PDA, tablet, computer portatili. Quadrante 2 - Dispositivi statici/personali dispositivi utilizzati come supporto all’attività didattica svolta in classe, ad esempio i si-stemi di risposta automatica. La componente personale è dovuta all’utilizzo individuale, per quanto non siano di proprietà e quindi non hanno le caratteristiche che ne derivano. Sono statiche, perché utilizzate in classe o nel luogo fisico dove è erogata la didattica.

Mobile phoneGameconsole

PDA

Classroomresponse system

VideoconferencingLim

Kiosk

Tablet PcLaptop

Personal

Shared

Portable

1 2

3 4

Static

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Quadrante 3 - Dispositivi portabili/condivisi tecnologie che forniscono esperienza educativa in movimento, quali i chioschi multi-mediali, nei luoghi di interesse culturale e nei musei per fornire informazioni storiche o su ciò che è possibile vedere; nelle aree urbane per fornire informazioni di pubblica uti-lità come gli orari dei mezzi di trasporto o le mappe delle città. In questo caso la porta-bilità è riferita all’utente che si muove per fruire dei contenuti e non al dispositivo. Inol-tre, queste tecnologie, essendo condivise tra molti utenti, non hanno nulla di personale. Quadrante 4 - Dispositivi statici/condivisi tecnologie di grosse dimensioni, poco portabili, pensate per condividere interazioni tra utenti. Ad esempio le Lim e i sistemi di videoconferenza. Da notare come in questa classificazione, i dispositivi mobili, al momento dell'utilizzo in classe, perdono la proprietà di mobilità; al contrario, dispositivi ingombranti e statici come i chioschi multimediali possano consentire un apprendimento mobile, in quanto favoriscono la conoscenza dell’utente in mobilità. Il concetto di apprendimento mobile non è quindi limitato all’impiego di dispositivi mobili, ma può essere esteso in una prospettiva più ampia, che considera la modalità di apprendimento emergente dallo sviluppo tecnologico e dalle pratiche sociali innestate e intrecciate a tale sviluppo. Peraltro, un’attività di apprendimento che si connota per l’uso di dispositivi mobili non necessariamente è fruibile solo attraverso essi, anzi generalmente lo studente integra modalità e device diversi per accedere ai contenuti a seconda del momento, della situa-zione e soprattutto delle diverse affordance offerte. Cosicché l’uso di postazioni fisse integra quello di dispositivi mobili, a volta diversi, come ad esempio uno smartphone e un tablet. E le offerte formative spesso sono di tipo blended, contemplando quindi an-che momenti di formazione in presenza. Con mobile learning quindi si intende sia l’uso dei dispositivi mobili in classe, come supporto alle attività di apprendimento formali, sia l’uso di tecnologia mobile personale per l’apprendimento in movimento nei diversi contesti, in una visione più ampia del concetto di apprendimento nella mobile society [Sharples, Kukuluska-Hulme, 2010]. Queste due prospettive possono essere considerate i due poli estremi di un asse (Figura 5) che va dal miglioramento dell’apprendimento in classe attraverso dispositivi quali i sistemi di risposta portatili, all’apprendimento come parte della vita di ogni giorno per mezzo della comunicazione informale e la condivisione di conoscenza con i cellulari.

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Haldeld

response

systems

Fixed setting, curriculum led Mobile, informal

PDAs in

classrooms

Mobile

technology

IRU�¿HOG�WULSVHandheld

tourist guides

Social networ-

king and media

creation on

smartphones

Informal

collaboration

with mobile

phones

Figura 5. Alcuni tipi di mobile learning attraverso la dimensione che va dal curriculum in classe a quello informale estremamente mobile [Sharples, 2010].

La rappresentazione grafica proposta da Sharples riassume alcune forme di apprendi-mento che fanno uso di dispositivi mobili e, per certi versi, rappresenta l’evoluzione della ricerca e lo sviluppo delle prospettive teoriche e pedagogiche sul mobile learning. A un’iniziale visione tecnocentrica, si è sostituito un approccio più articolato centrato sullo studente e il contesto in cui egli si muove, per arrivare a porre le basi di una teoria per il mobile learning. Di seguito le prospettive più ricorrenti e ritenute maggiormente significative. La visione tecnocentrica I primi progetti hanno essenzialmente esplorato l’utilizzo delle nuove tecnologie mobili all’interno della classe per supportare l’insegnamento e l’apprendimento. Questa visione tecnocentrica considera il mobile learning come apprendimento basato sull’uso di tecnologie mobili come i PDA, gli smartphone, i tablet, le console. Il focus è sulla tecnologia e le sue caratteristiche, la mobilità è riferita al dispositivo, considerato veicolo di contenuti. Ne deriva una visione dell’insegnamento come processo di tipo trasmissivo, in cui il ruolo centrale è assunto dai contenuti, ai quali si può accedere senza limiti spazio-tem-porali, attraverso un dispositivo mobile. Questa interpretazione, si riflette sulle prime definizioni del mobile learning: “è un ap-prendimento che avviene attraverso elaboratori mobili: palmari, dispositivi basati su Windows CE, anche il vostro telefono cellulare” [Quinn, 2000, op. cit.]. Il mobile learning come evoluzione dell’e-learning Rilievo alla componente tecnologica è dato anche dalla prospettiva, ampiamente adotta-ta dagli studi sul mobile learning, che lo definisce in termini dell’e-learning. Più esat-tamente questo approccio considera il mobile learning un’evoluzione dell’e-learning, un sottoinsieme dell’e-learning che si caratterizza per l’integrazione con il mobile compu-

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ting: il mobile learning rappresenta uno stadio successivo dell’istruzione supportata dal mezzo elettronico. Per Shepherd [2001], “Mobile learning is not just electronic, it’s mobile”. Per Harris [2001], “m-learning is the point at which mobile computing and e-learning intersect to produce an anytime, anywhere learning experience”; quindi il mobile learn-ing si compie quando l’esperienza di apprendimento mediato dalla tecnologia, grazie alle tecnologie mobile, diventa fruibile in qualunque momento e in qualunque posto, estendendo la libertà dei tempi dell’e-learning anche a quella dei luoghi. Tuttavia, questo legame con l’e-learning non deve portare a far considerare il mobile learning come una versione in miniatura, facilmente trasportabile, delle attività erogate per la fruizione su una postazione fissa. La possibilità della fruizione dei contenuti in mobilità, va oltre le caratteristiche intrin-seche del dispositivo: trasportabilità e personalizzazione, aggiungendo nuove dimensio-ni alle attività di formazione e di supporto al discente, che sono in relazione soprattutto con i diversi tipi di interazione che si possono sviluppare tra gli studenti e il contesto educativo e alla conseguente ridefinizione dell’attività e del contenuto, generata dal contesto [Bianco et al., 2009]. Il mobile learning centrato sullo studente Una definizione in grado di abbracciare le due prospettive dell’asse - dell’apprendimen-to con dispositivi mobili e dello studente che apprende in mobilità - è quella di O’Mal-ley [2003, op. cit.]: “Qualsiasi tipo di apprendimento che avviene quando lo studente non è in un luogo fisso e predeterminato, oppure quando lo studente si avvantaggia del-le opportunità di apprendimento offerte dalla tecnologia mobile”. Questa definizione sposta il focus dalla mobilità del dispositivo a quella dello studente, considerando il mobile learning dalla prospettiva di chi apprende.

2.2 Una teoria per il mobile learning

Dunque il mobile learning deve far propri i comportamenti degli individui per allestire ambienti di apprendimento che si innestino nelle vite individuali quotidiane, fronteg-giando il continuo mutamento e adattamento di tali comportamenti e le modificazioni nelle modalità d’uso dei dispositivi. Questa caratteristica di mutevolezza rappresenta un’ulteriore difficoltà nella definizione di una teoria del mobile learning, anch’essa destinata a evolvere continuamente e con-

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correntemente ai comportamenti individuali, alle modalità con cui vengono impiegati gli spazi e i tempi della quotidianità e delle attività formative e di apprendimento. Quindi per quanto nella post-modernità, fagocitata da un continuo cambiamento, il ruo-lo di una teoria come costrutto in grado di fornire informazioni predittive presenta molte criticità [Traxler, 2009], la comunità scientifica ha operato diversi tentativi di concettua-lizzare il mobile learning inquadrandolo all’interno di un frame teorico in grado di pro-durre generalizzazioni. Una parte di questi studi ha condiviso la Teoria dell’Attività di Engeström [1987], che ha origine nella “Scuola storico-culturale russa”, sviluppata da Vygotsky e Leont’ev agli inizi del novecento. In questa prospettiva l’apprendimento è analizzato nella dimen-sione storico-culturale e si caratterizza come processo situato, socialmente mediato e distribuito tra un individuo, le altre persone della comunità e gli artefatti, in accordo con la divisione del lavoro e le regole dell’intero sistema di attività. La relazione dialettica tra apprendimento e tecnologia Sulla Teoria dell’Attività è imperniato il framework teorico proposto da Sharple et al. [2005], per elaborare il quale gli autori definiscono in primo luogo alcuni criteri che una teoria sul mobile learning dovrebbe soddisfare. Prendere in considerazione la mobilità degli studenti; coprire sia l’apprendimento for-male che quello informale; e per essere efficace, in linea con l’US National Research Council, centrare l’apprendimento su: - studenti: l’apprendimento si costruisce partendo dalle capacità e dalle conoscenze

degli studenti, allo scopo di porli nelle condizioni migliori per riflettere e ragionare sulla propria esperienza;

- conoscenze: la formazione si basa su conoscenze solide e scientificamente valide trasmesse in modo efficace, con un uso originale di concetti e metodi;

- valutazione: la valutazione deve fornire supporto, incoraggiamento e suggerimenti utili allo studente per fargli raggiungere gli obiettivi prefissati;

- comunità: il contributo degli studenti più esperti e competenti nel gruppo aiuta i pari in difficoltà e promuove il senso di comunità.

Sharples et al. [2005] caratterizzano il mobile learning come un processo di “coming to know” attraverso le conversazioni, rese possibili dalle interazioni in un contesto in pe-renne ridefinizione, tra chi apprende e la tecnologia; e analizzano il sistema di attività del mobile learning, descrivendo la relazione dialettica tra tecnologia e apprendimento attraverso una versione adattata del modello di attività di Engeström (Figura 6).

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Figura 6. A Framework for analysing mobile learning [Sharple et al., 2007].

In linea con la teoria dell’attività, l’apprendimento viene considerato come un sistema di attività storico-culturale, mediato da artefatti che consentono agli studenti l’acquisi-zione di conoscenze e competenze. Questa analisi individua due livelli di attività media-te dagli artefatti. Il livello semiotico descrive l’apprendimento come un sistema di segni nel quale le azioni del soggetto per il raggiungimento degli obiettivi sono mediate da artefatti cultu-rali. Il livello tecnologico rappresenta l’apprendimento strettamente collegato con la tecnolo-gia; mentre gli artefatti, come computer e cellulari, fungono da agenti nel processo di apprendimento, creando un sistema per mediare la collaborazione tra gli studenti e per favorire la riflessione. La distinzione tra i due livelli di analisi può essere utile per fornire: con il piano semio-tico un framework teorico per analizzare l’apprendimento nell’era della mobilità, e con il piano tecnologico un framework per la definizione dei requisiti dei sistemi di mobile learning. I due livelli tuttavia possono essere sovrapposti per consentire una visione oli-stica complessiva del sistema di apprendimento. Nel loro framework, gli autori rinominano i fattori culturali con i termini: controllo, contesto e comunicazione. Il controllo può essere centralizzato nella figura del docente, distribuito tra gli studenti, o passare alle tecnologie. Da un punto di vista tecnologico questo consente agli studenti di scegliere i tempi, l’accesso alle risorse, il ritmo e lo stile di interazione.

Communication

Technological(communication channels and protocols)

Semiotic(conversation and division of labour)

Context

Technological(physical context)

Semiotic(community)

Mediating artifacts

Tools(mobile learning technology)

Signs(learning resources)

Control

Technological(human computer interaction)

Semiotic(social rules)

Subject

Technological(technology user)

Semiotic(learner)

Object

Technological(access to information)

Semiotic(knowledge and skills)

Changed object

(revised knowledge and skills)

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L’interazione con la tecnologia avviene tuttavia all’interno di un sistema sociale con proprie regole e convenzioni; ma le persone e i gruppi possono costruire norme infor-mali relative al modo in cui vogliono lavorare e apprendere. Il contesto è un costrutto fondamentale dell’apprendimento che include le molteplici co-munità di attori e le tecnologie, che interagiscono intorno a un obiettivo condiviso. Per quanto riguarda la comunicazione è evidente la relazione tra l’emergere di forme linguistiche e di interazione, con la conseguente nascita di una comunità con proprie re-gole, e le modalità di comunicazione permesse dalla tecnologia. Si pensi alle e-mail e agli sms. Con il loro framework gli autori forniscono uno strumento per la progettazione e l’ana-lisi di nuovi ambienti per l’apprendimento e propongono una teoria integrata del mobile learning nella quale apprendimento e tecnologia sono in una profonda e continua rela-zione di co-evoluzione, attraverso la mediazione degli artefatti. Questa relazione dialettica, infine, conduce a un processo di appropriazione della tecno-logia da parte dello studente, il quale utilizza i dispositivi per la costruzione della pro-pria conoscenza e il miglioramento del proprio apprendimento, entrando però a volte in conflitto con le pratiche esistenti. Il modello FRAME Sulla teoria dell’attività e su un approccio socio-costruttivista si basa il modello FRA-ME (Framework for the Rational Analysis of Mobile Education) proposto da Koole [2006], che intende fornire un supporto alla progettazione di materiali e di attività, effi-caci sia nell’apprendimento formale sia in quello informale, che consentano agli stude-nti di avvantaggiarsi al meglio dell’esperienza mobile. Con l’ausilio di una checklist (omessa) si può rappresentare una guida allo sviluppo e alla valutazione degli ambienti di mobile learning. Il modello descrive il mobile learning come un processo risultante dalla convergenza della tecnologia mobile, le capacità umane di apprendimento e l’interazione sociale. Il processo si svolge all’interno di un contesto di informazione in cui gli studenti, collet-tivamente e individualmente, interagiscono attraverso la mediazione della tecnologia con l’informazione, creandola e utilizzandola. Il modello è rappresentato da un diagramma di Venn (Figura 7) in cui i dispositivi, gli studenti, e gli aspetti sociali, si intersecano a coppie, e in un’intersezione primaria (DLS) che definisce la situazione ideale di mobile learning. Valutando il grado in cui le tre aree sono utilizzate nell’ambito di un’attivita, i progettisti possono utilizzare il mo-dello per migliorare l’efficacia della mobile learning experience.

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Device Aspect (D) Descrive le caratteristiche fisiche, tecniche e funzionali di un dispositivo mobile che de-rivano dal design dell’hardware e del software, e hanno un impatto sul livello di confort dell’utente. I dispositivi forniscono l’interfaccia tra lo studente in mobilità e i task di ap-prendimento, le loro caratteristiche hanno un significativo impatto sull’usabilità. Un di-spositivo ben progettato consente di focalizzarsi sugli aspetti cognitivi, descritti negli aspetti dell’utente (L), invece che sul dispositivo stesso. Learner Aspect (L) Prende in considerazione le abilità cognitive degli individui, la memoria, le conoscenze pregresse, e le possibili emozioni. Questi aspetti descrivono il modo in cui gli studenti usano quello che già sanno, e come codificano, immagazzinano e trasferiscono informa-zione. Basandosi sulle diverse teorie dell’apprendimento, spiega come il mobile learn-ing offra un ambiente esteso dove gli studenti possono interagire all’interno dei loro ambienti fisici e sociali, accedere a contenuti in formati diversi, e comprendere i conte-sti e gli usi dell’informazione.

Figura 7. Il modello FRAME.

(D)DeviceAspect

(L)LearnerAspect

(DL)Device Usability

Intersection

(S)SocialAspect

(DLS)Mobile

Learning

(LS)InteractionLearning

(DS)Social

TechnologyInformation

Context

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Social Aspect (S) In linea con il costruttivismo, considera i processi di cooperazione e interazione sociale. Gli individui grazie alle regole di cooperazione sono in grado di scambiare informazioni, acquisire conoscenze e sostenere pratiche culturali. Le regole di cooperazione sono determinate dalla cultura dello studente o dell’ambiente in cui l’interazione ha luogo. Nel mobile learning questa cultura può essere fisica o vir-tuale. Device Usability Intersection (DS) Mette in relazione le caratteristiche del dispositivo mobile con i compiti di apprendi-mento legati alla manipolazione e alla memorizzazione delle informazioni. Questi pro-cessi possono influenzare la soddisfazione e il senso di confort psicologico dell’utente, il carico cognitivo, la capacità di accedere alle informazioni e di muoversi attraverso differenti luoghi fisici e virtuali. Social Technology Intersection (ST) Descrive come i dispositivi mobili permettono agli utenti di comunicare e collaborare con gli altri ottenendo accesso ai diversi sistemi in rete. Quando le persone sono in gra-do di scambiare informazioni rilevanti in un preciso momento possono partecipare in situazioni collaborative che sono normalmente difficoltose a distanza. I dispositivi hardware e software forniscono i diversi mezzi di connettività: invio di Sms, telefonia, accesso wireless a internet. Quello che in questo caso è importante, tuttavia, sono i significati dello scambio di in-formazioni e della collaborazione tra persone con diversi obiettivi e intenti. Interaction Learning Intersection (BC) Si focalizza sull’interazione sociale. La partecipazione alle comunità di apprendimento e di pratica possono fornire ambienti sociali di apprendimento in cui gli studenti posso-no acquisire informazioni e negoziare significati, sia confrontando la loro interpretazio-ne con quella degli autori, sia interagendo con gli altri individui direttamente. Considera i bisogni degli studenti a distanza come se fossero situati all’interno di un unico ambiente e cultura. Tale setting impatta sulla capacità dello studente di capire, ne-goziare, integrare, interpretare e usare nuove idee, come richiedono l’istruzione formale e l’apprendimento informale.

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Mobile Learning Process (DLS) Le tre intersezioni si sovrappongono e convergono nell’intersezione primaria (DLS), che definisce il processo del mobile learning. Il mobile learning per le sue caratteristi-che consente agli studenti l’accesso a una varietà di risorse umane, sistemi e dati, e li assiste nel valutare e selezionare informazioni rilevanti, ridefinendo i loro obiettivi. Il mobile learning è, tuttavia, anche limitato dalle configurazioni hardware e software dei dispositivi mobili, e dipendente dagli adattamenti nelle strategie di insegnamento e ap-prendimento.

2.3 Self paced learning

“I benefici sono evidenti, specialmente per gli insegnanti che vivono lunghe vacanze estive”, con questa affermazione provocatoria, Anderson [2010] conclude la sua oculata e attenta argomentazione sull’inadeguatezza di un modello formativo che impone tempi e scadenze. Per l’autore le ragioni della scansione in cui sono articolati anni scolastici e semestri universitari sono un’eredità dell’era industriale, in cui la regolarità e la gestione a bloc-chi consentiva una standardizzazione dell’intero sistema di istruzione. La gestione degli studenti in gruppi, oltre a facilitare l’interazione tra pari, è derivata come risposta ai tempi liberi dall’agricoltura nei mesi invernali e ha consentito un’eco-nomia di scala per cui un singolo insegnante è impiegato per insegnare contemporanea-mente a molti studenti. Nella mobile society del ventunesimo secolo, nell’era delle reti, la vita è caratterizzata dalla frammentarietà, dalle opportunità che derivano dalle scelte individuali, e dalla per-sonalizzazione degli stili di vita e dei propri percorsi formativi e professionali. Questo assetto sociale risulta evidentemente in linea con le caratteristiche di flessibilità del modello del self paced learning, strutturato in contenuti progettati per poter essere fruiti in autonomia da ogni studente, massimizzandone la libertà. L’idea è quella di rifiutare l’assunto, evidentemente scorretto, che tutti gli studenti im-parino alla stessa velocità, che possano adeguare la loro vita per seguire il gruppo di stu-denti di una classe, che possano cominciare e terminare i loro studi lo stesso giorno, a dispetto delle diverse circostanze di vita. [Anderson 2010]. Avere l’opportunità di studiare al proprio ritmo consente agli studenti di avere il con-trollo del proprio apprendimento e di conciliare lo studio all’insieme di altre attività il cui margine di variabilità è ormai alto nella scansione quotidiana.

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A differenza del concetto di mera istruzione a distanza, che evidentemente annulla la problematica della distanza geografica, il self paced dà anche l’opportunità di ulteriori libertà, consentendo agli individui di decidere quando iniziare, che tipo di relazioni ave-re con pari e docenti e, ancora più importante, il proprio ritmo di studio. Il modello del self paced è in crescita nei contesti formativi di tutto il mondo: sempre più istituzioni lo adottano, anche in considerazione dei limiti di fattibilità organizzativa dei modelli collaborativi - costi, compresenza, durata delle attività - che spesso ne im-pediscono la loro adozione. Il self paced ricompare, quindi, nello scenario delle discussioni teoriche, anche se con un formato tecnico e organizzativo modificato dai concetti di mobilità e di ubiquità. Il problema che si pone tuttavia è quello di verificare se la libertà di avere il controllo e di decidere arbitrariamente i propri tempi, aiuti o pregiudichi l’efficacia dell'apprendi-mento; se gli studenti, anche quelli con esperienze pregresse e competenze specifiche, sono in grado di gestire autonomamente questo tipo di esperienza. Come testimoniato da alcuni studi [Anderson, 2010], questa libertà spesso si accompa-gna a tempi più lunghi, risultati inferiori, e un tasso superiore di abbandono. Il tasso di abbandono più alto è presumibilmente dovuto all’impreparazione da parte di molti studenti alla gestione dei ritmi di studio, anche in considerazione del fatto che non gli è mai stata data possibilità di sperimentarlo. D’altro canto nei periodi successivi alla scuola e all’università tutti saranno chiamati a gestire il ritmo del loro apprendimento formale e non formale, peraltro da conciliare con le altre attività quotidiane. Per poter gestire in piena autonomia un’attività di apprendimento, gli studenti devono possedere la capacità di autoregolazione, che si sviluppa nel tempo e non è limitata alle azioni di responsabilizzazione dell'individuo. Si tratta di una competenza organizzativa estremamente soggetta agli effetti delle crisi motivazionali. La formazione a distanza, per questa ragione, tende a essere un modello organizzativo strutturato, fortemente im-pregnata di consigli per lo studio e programmata in modo che i compiti siano propor-zionali, in termini di difficoltà, alle tipologie di contenuto e di esercitazione formativa. Un’attenta analisi del self paced learning richiede quindi che si valutino al contempo vantaggi e problematiche a esso legati, allo scopo di poter predisporre ambienti di ap-prendimento efficaci. Un’altra preoccupazione del mondo scientifico è che il self paced neghi agli studenti l’opportunità di partecipare a confronti e discussioni tra pari, portando così a un appren-dimento superficiale. Anderson [2010] sostiene che il coinvolgimento non è legato al formato del corso, ri-chiamando l'evidenza che molti studenti, sia in corsi online che in classe, sono poco coinvolti, e che non necessariamente il self paced debba implicare l’annullamento di

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ogni forma di interazione. Si tratta di progettare attività di apprendimento interessanti, ma non obbligatorie, che consentano agli studenti di entrare in contatto con gli altri all’interno di contesti di self paced learning. La chiave perché ci siano questi scambi è quello di sfruttare gli ambienti sociali in rete che consentono agli studenti di conoscersi, studiare e interagire tra loro e con i collabo-ratori del progetto, predisponendo spazi per porre domande e per la valutazione reci-proca degli artefatti creati, anche da studenti che hanno fatto lo stesso corso preceden-temente. Self paced learning, quindi, non significa affidare l'intera concettualizzazione del per-corso allo studente - concetto descritto come self directed learning - ma predisporre per-corsi ben strutturati e organizzati in modo tale da coinvolgere lo studente, con giuste dosi di flessibilità. Nel mobile learning la flessibilità è un aspetto inderogabile e coincide con la gestione dei tempi di fruizione. Nel caso di contenuti e percorsi mobile pensati per corsi blended, però, le scadenze devono evidentemente avere alcuni limiti, mentre la flessibilità del-l’impegno di studio nell'arco della giornata o della settimana dovrebbe essere favorita dalla modularità e dalla autoconsistenza degli oggetti multimediali. La proposizione di percorsi integrati, in cui una parte dei contenuti venga studiata con modalità self paced e una parte dell'impegno sia collaborativo, è probabilmente la soluzione da cercare. Del problema legato ai tempi dell'apprendimento e alla personalizzazione attraverso curricu-lum molto flessibili, se ne occupa da sempre la teoria dell'Open learning. Grazie alle sue caratteristiche di flessibilità e di adattabilità, il self paced learning si pro-pone come modello per la formazione adatto a tutte le tipologie di studenti, e in parti-colar modo per gli studenti lavoratori adulti, il cui numero è in costante crescita. Tali caratteristiche inoltre esprimono e incarnano le esigenze e gli stili di vita della contemporanietà, contraddistinti da mobilità, provvisorietà delle agende personali, adat-tabilità alle continue evoluzioni delle situazioni, modalità relazionali mediate dalla tecnologia. Queste considerazioni portano a prevedere e ad auspicare che il self paced si diffonda sempre più e diventi un’importante parte di tutte le attività di apprendimento formale. Le piattaforme online La crescita del mobile learning non solo non è più limitato ad alcuni progetti pilota, es-senzialmente in ambito accademico, ma si manifesta anche attraverso alcune iniziative, proposte anche da grandi università mondiali che consentono gratuitamente a un pubbli-

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co esteso e distribuito in tutto il mondo di accedere all’istruzione superiore e speciali-stica, secondo il modello self paced. Si tratta di piattaforme che erogano corsi specifici, utilizzando una didattica che fa pro-pri i paradigmi del mobile learning e del self paced learning, permettendo agli studenti una gestione autonoma dell’apprendimento, con il supporto degli strumenti di com-munity. Tra le più conosciute, tutte gratuite, vi sono: • Coursera (http://www.coursera.org), fondata da alcuni docenti di informatica della

Stanford University, vanta la partnership di alcune grandi università internazionali, tra le quali la Sapienza di Roma; offre corsi MOOC in discipline umanistiche, medicina, biologia, scienze sociali, matematica, business, informatica.

• Kahn Academy (http://www.khanacademy.org), organizzazione senza scopo di lucro finanziata con donazioni volontarie, creata dall’ingegnere statunitense Salman Khan; offre una raccolta di video-lezioni della durata di circa 10 minuti caricati con YouTube, su molte discipline: matematica, storia, finanza, fisica, chimica, biologia, astronomia, economia.

• Udacity (http://www.udacity.com), nata da un esperimento della Stanford University, offre corsi in informatica, programmazione, matematica, scienze, e imprenditoria.

• Oil Project (http://www.oilproject.org), progetto sviluppato in Italia da un gruppo di studenti; non solo docenti, ma chiunque può proporre contenuti.

Online sono disponibili anche piattaforme gratuite per la gestione dei corsi: • Google sta sperimentando, al momento ancora in fase beta, una propria piattaforma

denominata OpenClass (http://www.openclass.com) che implementa tutte le funzio-nalità di un LMS necessarie per la gestione dei corsi. OpenClass è un ambiente di apprendimento gratuito che, nelle intenzioni della multinazionale, nasce per consentire a insegnanti e istituzioni in tutto il mondo di utilizzare efficacemente le tecnologie mobili e sociali per favorire la collaborazione e la comunicazione, dif-fondendo esperienze di apprendimento efficaci e interattive a studenti di tutte le età.

Nel quadro del "Progetto 10100", Google ha donato 2 milioni di dollari per la crea-zione di nuovi corsi e per consentire la traduzione delle lezioni nelle principali lingue del mondo.

• Infine, di Apple è iTunes U (http://www.apple.com/it/education/itunes-u) una propria app per iPad e iPhone, che consente ai docenti di caricare corsi e agli utenti di po-terne fruire. La gestione del corso e dei contenuti, ospitati su server Apple, avviene attraverso Course Manager, strumento accessibile da browser. I corsi possono inte-grare video, audio, testi in diversi formati pdf, test di valutazione.

I corsi delle istituzioni culturali che hanno un sito iTunes U pubblico, popolano un catalogo online di contenuti didattici gratuiti, che è possibile scaricare e aggiungere

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ad iBooks. I docenti di istituti non iscritti al programma possono distribuire i corsi privatamente, iscrivendosi ad iTunes U.

Su iTunes U si trovano Stanford, Yale, Oxford, UC Berkeley, il Moma e la New York Public Library. Poche ancora le università italiane: tra queste la Bocconi, l’Uni-versità di Pisa e quella di Padova. Eccetto quelli dell’Università di Padova, i conte-nuti di queste istituzioni risultano ancora non strutturati per la piattaforma, in grado di sfruttare le caratteristiche della fruizione mobile. Si tratta di semplici video di le-zioni erogate in presenza; ciò che viene offerto è quindi la sola possibilità di accedere successivamente alle lezioni tenute in presenza.

2.4 I contenuti per il mobile learning

Nella mobile society, gli individui e in particolar modo i giovani, si spostano da soli o in gruppo e si incontrano modificando i luoghi e gli orari degli appuntamenti attraverso l’invio di sms. Sms e social network consentono di mantenere aperta una finestra sul mondo, con le proprie relazioni e le proprie cerchie di amici, qualunque sia l’attività svolta e il luogo in cui si è. L’apprendimento mobile si inserisce in questo tempo in di-venire, negli interstizi che si creano in modo non preventivabile nello svolgersi quoti-diano. Questa modalità di fruizione del mobile learning viene descritta in letteratura da termini quali: personale, spontaneo, opportunistico, informale, pervasivo, situato, privato, con-text-aware, bite-sized, portabile [Sharple, Kukulska-Hulme, 2010]. Questo implica una concettualizzazione del mobile learning nei termini dell’esperienza dell’utente con un’enfasi sulle proprietà del dispositivo - informalità, spostamento e contesto, inaccessibili all’e-learning convenzionale. [Kukulska-Hulme, Traxler, 2007). La progettazione per l’apprendimento mobile allora deve partire da questa concettualiz-zazione, proponendo attività di apprendimento legate a essa, che quindi intersechino comportamento dell’utente e proprietà del dispositivo. Si tratta di strutturare percorsi di apprendimento che non siano la semplice miniaturizza-zione di altri sistemi esistenti - quali quelli per il PLE (personal learning environment) o i sistemi di distribuzione connessi agli LMS (learning management systems) - operando un ripensamento dei contenuti e definendo opportunamente sequenze, attività, tipologie di controlli e promemoria automatici.

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I comportamenti su mobile Il mobile si caratterizza per alcuni comportamenti ed esigenze peculiari che si differen-ziano da quelle tenute su un computer desktop, caratterizzando in maniera unica il come e il perché vengono usati i dispositivi mobili. È importante tenerle presenti nell'attività di design e nella definizione dell'organizzazione dei contenuti e dei compiti. Etichettate in modo diverso da autori diversi, queste interazioni tipo sono micro-task, legati al luogo, urgenti e da ripetere, per trascorrere del tempo: • Esplorare/Giocare (annoiarsi): l’utente occupa il tempo libero o i tempi di attesa con

qualcosa di poco impegnativo; • Modificare/Creare (ripetere/micro-tasking): l’utente controlla ripetutamente alcune

informazioni: l’e-mail, i social network, la borsa; • Cercare/Trovare (informazioni urgenti, locali): l’utente ha bisogno di una risposta a

qualcosa subito, spesso legata all’ubicazione in un determinato momento: l’orario di un mezzo o di apertura di un ufficio;

• Check In/ Status (urgente/micro-tasking): l’utente ha bisogno di portare a termine un’attività in tempi brevi qualcosa che reputa importante: il check di un volo, una prenotazione di un viaggio o di un albergo [Wroblewski 2011].

Uno studio di Google dell’agosto 2012 [Platt Retail Institute, 2013] ha rilevato che il 90% degli utenti mostra un comportamento secondo cui si sposta da un dispositivo all’altro per completare un task e raggiungere un obiettivo. Il report delinea due modalità di attività multi-screen: • uso simultaneo: gli utenti usano contemporaneamente i loro smartphone, tablet e pc

desktop - per attività legate, come guardare uno show alla Tv e utilizzare un’app per comunicarlo ad amici o altri fan; oppure in attività non collegate, come guardare un evento sportivo alla tv e giocare sul dispositivo mobile nelle fasi meno interessanti;

• uso sequenziale: gli utenti sfruttano il dispositivo a portata di mano, che solitamente è lo smartphone, nel momento in cui vogliono effettuare un task; una volta che il bisogno immediato di informazione è stato soddisfatto, si spostano su un dispositivo dal monitor più grande (tablet o desktop) per avere un’esperienza migliore e per completare l’attività.

Questi comportamenti evidenziano le modalità di uso dei dispositivi e come l’appren-dimento in mobilità sia caratterizzato da brevi fasi, per un verso essendo brevi i tempi disponibili quando ci si sposta, dall’altro perché spesso l'obiettivo è quello di cercare qualcosa o di ricevere immediatamente risposte a delle domande.

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Microcontents e microlearning Le caratteristiche del comportamento utente su mobile suggeriscono un approccio basa-to sul microlearning. Il microlearning è un modello orientato all’autoformazione che attraverso piccole por-zioni didattiche - notifiche, sequenze video, test, immagini, screenshot - motiva i sog-getti in apprendimento coinvolti in altre attività, rompendo le barriere all’apprendi-mento [Bruschi, 2006]. L’idea è che la conoscenza in piccole quantità è più facilmente assimilabile. Gli studenti possono così facilmente richiamare un contenuto di apprendimento quando emerge una specifica questione. Il contenuto di apprendimento può essere ristretto sia in termini di tempo (brevi sessioni di apprendimento), che di contenuto (argomenti limitati e semplici moduli di apprendi-mento o test di valutazione) [Meiers, 2012]. In questa direzione Steinberger [2002, op. cit.] nonché Figg e colleghi [2002, op. cit.] hanno individuato alcune linee guida per la realizzazione di moduli in mobile learning: devono essere semplici, divertenti e brevi, non devono durare più di 5-10 minuti. Lo studente deve poter utilizzare, ad esempio, i suoi tempi d’attesa dei mezzi di trasporto o di pausa dal lavoro per apprendere leggendo brevi documenti, facendo test, o utilizzan-do forum o chat. Semplicità e brevità sono due delle caratteristiche qualificanti la comunicazione con-temporanea, che incarnano lo spirito del tempo e che nascono in parte per l’esigenza di disporre di informazioni facilmente decodificabili, soprattutto per la gran quantità di messaggi ai quali siamo sottoposti, in parte per le caratteristiche fisiche dei dispositivi con cui vengono formulati e articolati i testi, e le specificità degli ambienti sociali del web 2.0. Si pensi alle chat, ai forum e ancora più agli aggiornamenti di stato dei social network che impongono dei limiti al numero di caratteri, il cui limite inferiore è nei 142 caratteri di Twitter. La brevità non è solo dei testi alfabetici, ma anche di quelli che utilizzano altri media. Nel 2013 sono nati nuovi servizi per la realizzazione di microvideo da condividere sul web: 6 secondi per l’applicazione Vine, acquisita in gennaio da Twitter; 15 secondi per la nuova funzionalità di Instagram, l’applicazione inizialmente nata per lo scatto e la condivisione di foto.

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Brevità dunque, necessaria per assecondare il comportamento saltibeccante dell’utente nel web, sia quando è in mobilità, sia quando è comodamente seduto in casa o in classe, indipendentemente dalla tipologia di dispositivo usato. Anche l’essere divertenti è una delle componenti legate alle caratteristiche dell’espe-rienza d’uso di artefatti tecnologici, con la quale si deve confrontare l’interaction design. Devono essere piacevoli da usare, utili, capaci di sostenere le motivazioni delle persone, esteticamente gradevoli, gratificanti, in grado di soddisfare bisogni legati alla sfera delle emozioni [Preece, Rogers, Sharp, 2004]. Moduli semplici, brevi e divertenti, ma anche autoconsistenti, pensati per una fruizione secondo un ordine non prestabilito e personalizzabile, in modo da garantire la massima flessibilità, che rappresenta il requisito ineludibile di un percorso mobile. È necessario quindi che i contenuti siano fortemente strutturati e possano essere fruiti secondo sequenze decise dall’utente, nelle modalità e nei tempi a lui congeniali. Individuare le peculiarità del mobile non significa comunque rigettare le caratteristiche comuni all’e-learning. I contenuti possono prevedere media e formati diversi, audio, video, tutorial per asse-condare i diversi stili cognitivi ma anche le diverse condizioni d’uso in cui l’utente potrebbe trovarsi. Ad esempio l’audio e il video potrebbero prestarsi meglio in contesti in cui i rumori ambientali non ne inficiano la fruizione; un tutorial potrebbe essere fruito da una postazione desktop o da un notebook, magari sfruttando il mouse. Per quanto riguarda gli aspetti di design e quelli strettamente tecnici, a cui è dedicata la seconda parte del presente lavoro, i contenuti andrebbero privilegiati rispetto alla navi-gazione. Dovrebbero essere cross-browsing e cross-platform, pensati con le tecniche suggerite dal responsive design, sfruttare le componenti hardware quali il magnetometro, l’accelerometro, la doppia fotocamera frontale e posteriore, le funzioni Gps. Inoltre do-vrebbero essere immediatamente disponibili per la fruizione, sulla base della conside-razione che il comportamento su mobile è spesso legato all’immediatezza, ottimizzando file immagine e video per evitare i problemi legati alla lentezza della connessione inter-net, oppure offrendo l’opzione di qualità diverse. In breve, in un percorso mobile la tecnologia deve essere adeguatamente predisposta per supportare una pedagogia che renda piacevole la fruizione dei contenuti e garantisca la massima flessibilità in termini di modalità fruitive, sequenze, formati impiegati e tempi, integrando media diversi, strutturando i contenuti in moduli brevi, semplici e autoconsi-stenti, fruibili al meglio su ogni dispositivo grazie alle tecniche del responsive design. L’obiettivo è di offrire sequenze di apprendimento che danno allo studente una breve introduzione di un argomento, lasciando l’approfondimento a momenti e contesti diver-si a seconda delle esigenze personali.

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2.5 Quale valutazione

Qualunque forma o attività di apprendimento deve prevedere dei metodi che ne consen-tano la valutazione, il cui scopo è quello di fornire indicazioni allo studente per raggiun-gere l’obiettivo prefissato [Us National Research Council, 1999]. Secondo la definizione di Ruggeri, Ballor e Boca [2002, op. cit.]: “la valutazione è quel processo in cui attraverso la rivelazione di parametri relativi alle funzioni di apprendi-mento e di insegnamento, diventa possibile stabilire quanto e in che direzione ha inciso l'intervento posto in essere”. La valutazione è una delle attività più importanti nella gestione di un ambiente di ap-prendimento, e prove ben progettate possono fornire preziose informazioni ed essere uno strumento importante anche per gli studenti per valutare le proprie attività [De Waal et al., 2012]. Dunque, qualunque intervento didattico deve prevedere una valutazione per consentire non solo di valutare le conoscenze acquisite ma anche l’efficacia delle attività, aspetti entrambi ineludibili e da progettare attentamente. I tratti sopra analizzati caratterizzanti il mobile learning, quali tempi e luoghi diversi e non preventivabili; moltitudine di tecnologie, contesti di vita, persone coinvolte; curri-culum non sempre stabiliti; difficoltà nel collocare un osservatore in punti fissi; a cui aggiungere gli interrogativi circa l'eticità del monitoraggio delle attività fuori della clas-se; rendono problematica la valutazione delle attività di apprendimento mobile [Sharp-les 2010]. Il mobile learning avviene in un ambiente volubile, solitamente diverso dal tradizionale contesto scolastico, le cui condizioni sono in continuo e rapido cambiamento, non con-sentendo di stabilire in anticipo la differenza tra variabili indipendenti e dipendenti [Seta et al. 2008]. Inoltre, è in atto anche un profondo cambiamento degli studenti, sempre meno passivi, più indipendenti, più sicuri e quindi più impredicibili da un punto di vista della valuta-zione [Taylor et al. 2006]. Quest’insieme di fattori, peculiari all’apprendimento mobile, a differenza dall’appren-dimento tradizionale e formale, richiedono quindi nuove tecniche di valutazione, in gra-do di coglierne la complessità. Traxler [2008] riconosce questo quadro di difficoltà legate all’instabilità del contesto, peraltro in evoluzione, e propone alcuni attributi per la valutazione: • rigorosa, nel senso che le conclusioni devono essere affidabili e trasferibili; • efficiente, in termini di costi, sforzo, tempo, o di altre risorse; • etica, soprattutto in relazione all’evoluzione delle disposizioni;

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• proporzionata, che non sia più onerosa o che richieda più tempo dell’esperienza di apprendimento o dell’implementazione delle attività;

• appropriata a specifiche tecnologie dell’apprendimento e agli studenti, idealmente integrata, non aggiunta successivamente;

• consistente con la filosofia e con le concezioni di insegnamento di tutti i partecipanti; • autentica, nell’accedere a quello che gli studenti (e forse anche gli insegnanti e gli

altri stackeholder) realmente sentono, sensibile alle personalità degli studenti all’in-terno di quei media;

• allineata al medium e alla tecnologia di apprendimento scelta. Consistente:

- ai diversi gruppi di studenti, per fornire generalità, - nel tempo, sia cioè ripetibile in modo affidabile, - a qualunque dispositivo e tecnologia usati.

In un workshop condotto da Taylor [2006] è emerso che valutazione e design sono intrecciati e sovrapposti, in quanto un concetto chiave per la valutazione nell’età mobile è il forte bisogno di coinvolgimento degli utenti nel processo di design. E questo può essere facilitato da un processo di design che integri la valutazione sin dall’inizio. La crescente personalizzazione dei dispositivi e delle attività di apprendimento deve prevedere che lo studente possa essere incoraggiato ad autovalutarsi, in linea con quanto caldeggiato dal design centrato sull’utente, e che i meccanismi di feedback possano essere inseriti all’interno del processo di design per facilitarlo. Tradizionalmente, i valutatori potrebbero legare il successo di un design al successo con cui gli studenti riescono a raggiungere tali obiettivi formativi. Tuttavia la natura dei risultati dell’apprendimento nella mobile age rende necessario che siano adattivi, met-tendoli in relazione a conoscenze sviluppate con l’esperienza, oppure misurando in che modo e in quale misura vengano usati i dispositivi mobili: cercando nuove funzionalità, modificando la natura delle relazioni [Taylor 2006]. Altri approcci alternativi usati con successo sono stati: • analisi dei contributi degli studenti su alcuni costrutti, in questi casi non c’è bisogno

di test post; • analisi degli artefatti, ad esempio la qualità di un report di testo; • analisi dei log con le informazioni sull’interazione; • predisposizione di mezzi utili agli insegnanti per raccogliere i dati. I casi di valutazione di successo hanno utilizzato metodi di analisi quali registrazioni e interviste e analisi degli aspetti critici nell’uso di tecnologia mobile. Sulla base dei me-todi di analisi e valutazione impiegati nel mobile learning e nell’ottica di individuare

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nuovi orientamenti di ricerca, Kukulska-Hulme [2010] propone quattro principi per la ricerca futura, che dovrebbe: • essere in sintonia con le nuove riflessioni sull’apprendimento; • considerare l’impatto del contesto; • considerare diversi tipi di dati e analisi; • coinvolgere gli studenti come co-designer e co-ricercatori. In sintesi, la valutazione del mobile learning incorpora le difficoltà di un ambiente diffi-cilmente contestualizzabile e in continua evoluzione, che possono essere meglio gestite intrecciando valutazione e design, coinvolgendo gli utenti nel design, tenendo conto de-gli aspetti etici, cercando di essere consistente con le tecnologie e i dispositivi utilizzati. Che sia ovviamente rigorosa e affidabile, considerato che la credibilità del mobile learn-ing come forma sostenibile e affidabile di istruzione dipende dal rigore e dalla efficacia della sua valutazione [Norman, 1988, op. cit.]. E che persegua soprattutto l’efficacia in termini di tempo e risorse, nell’ottica di poter essere adattiva ai diversi contesti e alle modificazioni. Valutare i dispositivi Considerata la grande varietà di dispositivi presenti sul mercato, con le rispettive carat-teristiche hardware e software, Economides e Nikolaou [2005] hanno sviluppato un fra-mework (Figura 8) che riunisce i criteri di valutazione dei diversi dispositivi mobili, in modo da comprenderne la loro capacità di soddisfare i requisiti tecnologico-funzionali, utili al mobile learning. Si tratta quindi di uno studio che consente di valutare i dispo-sitivi da un punto di vista tecnico e non pedagogico. Tre le aree di valutazione definite: Usability, Technical, Functional. Per ognuna delle quali sono definiti specifici criteri, che vengono valutati per determinare il modo in cui essi soddisfano i criteri di valutazione. In breve le tre aree di valutazione: Usability È legata alla facilità di comprensione, apprendimento, ricordo e uso del dispositivo e dei suoi tool. Dovrebbe essere facile trasportare il dispositivo, usare la sua interfaccia, scri-vere e leggere testo, comunicare con gli altri, registrare audio e video, organizzare mail, messaggi, brani musicali, foto e orientarsi nei contenuti.

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Figura 8. Caratteristiche dei dispositivi mobili [Economides e Nikolaou, 2005].

Technical È legata alle performance del dispositivo, connettività, compatibilità, sicurezza e affida-bilità. Il dispositivo dovrebbe avere un processore potente, disponibilità di memoria, compatibilità con vari formati software. Dovrebbe supportare vari protocolli di comuni-cazione e di rete senza grandi restrizioni di distanza e di banda; e garantire la sicurezza dei contenuti e delle comunicazioni da attacchi esterni. Inoltre, la batteria dovrebbe ave-re lunga autonomia, ed essere ricaricabile facilmente e velocemente. Functional È legata alla quantità e qualità delle caratteristiche, funzioni e strumenti disponibili sul device. Il dispositivo dovrebbe supportare strumenti per la comunicazione sincrona e asincrona, così come per l’accesso all’informazione, la memorizzazione, l’organizzazio-ne e il gioco.

2.6 Ricerche e progetti nel mobile learning

Trifonova e Ronchetti [2003, op. cit.] hanno individuato tre macro aree della ricerca sul mobile learning: infrastructural research, accessing content e communicating and inte-racting with people. Nella prima area rientrano gli studi che trattano le problematiche legate alla fruizione di contenuti su dispositivi di dimensioni ridotte. Si tratta quindi degli studi delle tecniche

Device Characteristics

TechnicalUsability

User Interface Performance

Presentation

& Media

Sensory

Systems

Navigation Compatibility

Physical Security

Availability

& Reliability

Functional

Communica-

tion

Information

& Knowledge

Organization

& Management

Entertainment

& Amusement

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di adattamento dei contenuti e della loro organizzazione e rappresentazione su dispositi-vi con monitor e caratteristiche diverse. Al responsive design, ovvero a quella che sembra essere la filosofia emergente per la gestione di questa problematica, è dedicato il quarto capitolo del presente lavoro. Il responsive design affronta anche gli aspetti che ricadono nella seconda area, stretta-mente legata alla prima, ovvero quelli relativi all’adattamento di corsi erogati via e-learning al mobile learning, alla creazione ex novo di corsi per il mobile learning, non-ché tutti gli studi relativi alla costruzione di portali WAP. La terza e ultima area, il communicating and interacting with people, racchiude tutti gli studi incentrati sulle modalità di comunicazione e di interazione, la quale può diventare molto complessa e strutturata per raggiungere obiettivi di apprendimento collaborativo o di problem solving. Nelle interazioni molto strutturate assumono una certa importanza anche i diversi modelli pedagogici alla base di molte sperimentazioni di mobile learning. Nella sua ancora breve storia il mobile learning di fatto è stato utilizzato negli ambiti e nei contesti più disparati, per differenti target group e per le popolazioni più diverse in molti paesi del mondo. Tra i principali ambiti di applicazione Kukulska-Hulme et al. [2009] hanno individuato: • scuola, ad esempio il progetto ENLACE [Verdejo et al., 2007] • università, ad esempio il progetto myPad [Whittlestone et al., 2008] • musei e ambienti di apprendimento informale, ad esempio il progetto MyArtSpace

[Vavoula et al., 2007] • sviluppo professionale e ambienti di lavoro, ad esempio il progetto Flex-Learn

[Gjedde, 2008]. Il progetto MOBIlearn MOBIlearn è stato il più importante progetto di ricerca e sviluppo europeo, nato con l’obiettivo di esplorare l’utilizzo della tecnologia mobile per supportare l’apprendimen-to dipendente dal contesto fuori dall’aula scolastica, in ambienti informali. Ha avuto una durata di 30 mesi, a partire da luglio 2002; ha coinvolto 24 partner dal mondo dell’università e dell’industria ICT, provenienti da nove paesi dell’Unione Euro-pea e non, tra cui Usa e Australia [www.mobilearn.org]. L’idea era quella di studiare nuovi modelli concettuali e metodologie, focalizzandosi su un target di individui inte-ressati ad accedere alla conoscenza on demand e sul campo per favorire il loro appren-dimento durante la vita e migliorare la loro esperinza lavorativa. L’obiettivo finale era quello di migliorare il livello di conoscenza individuale attraverso l’ottimizzazione di costi e tempi del processo di apprendimento.

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Il sistema MOBIlearn è stato realizzato e testato con tre diversi scenari applicativi svi-luppati attraverso una serie di sessioni di progettazione con ricercatori e stakeholder: • executive MBA: facilitare la conoscenza dell’organizzazione con un breve corso di

orientamento, e supportare un progetto in team basato sul lavoro attuale; • visite al Museo: migliorare l’esperienza di visita, attraverso l’accesso a informazioni

sensibili al contesto ; • corso di Pronto soccorso: rivolto a persone interessate all’acquisizione delle proce-

dure mediche di base negli interventi d’emergenza nel pronto soccorso. Dall’analisi dei requisiti e dalla definizione delle specifiche, per le quali è stato appli-cato un approccio user centered, è emersa la necessità di un elevato numero di compo-nenti software in grado di interagire tra loro; di qui la necessità di garantire un elevato grado di interoperabilità del sistema. Il progetto MOBIlearn ha così optato per lo sviluppo di un’architettura aperta per ser-vizi interoperabili, la “Open Mobile Access Abstract Framework” (OMAF), in grado di consentire il riuso di ogni servizio in applicazioni mobili differenti nonché alle terze parti, di sviluppare e integrare nuovi servizi, consentendo una ricombinazione dei ser-vizi disponibili in nuove configurazioni dotate dei requisiti applicativi emergenti [Da Bormida et al., 2003]. L’architettura forniva servizi e relative funzionalità all’utente e alle applicazioni, per la gestione dei contenuti, la collaborazione, la comunicazione, la determinazione del con-testo. L’accesso ai servizi avveniva attraverso un portale in grado di adattarsi ai dispo-sitivi mobili. Questa ricerca ha prodotto anche una documentazione utile a orientare lo sviluppo del mobile learning [Bo, 2005] quali: - linee guida per l’apprendimento e l’insegnamento in un contesto mobile; - linee guida per lo sviluppo di contenuti educativi per fruizione in mobilità; - uno studio su pratiche e modelli sperimentati per il mobile learning; - un piano di sviluppo per ricerche sugli aspetti pedagogici del mobile learning. Ancora, MOBIlearn ha portato alla definizione di un task model adatto al mobile learn-ing che ha consentito di trarre delle conclusioni sistematiche dai test effettuati con utenti reali, consentendo la trasferibilità dell’esperienza in altri domini e scenari. In particolare, le sessioni di test hanno consentito di concludere che l’ambiente imple-mentato da MOBIlearn è in grado di fornire esperienze di apprendimento innovative, utili, divertenti e motivanti; inoltre hanno verificato empiricamente che l’aggregazione di tecnologie esistenti non garantisce la continuità di servizio dimostrata con i modelli e le tecnologie svilupati in MOBIlearn [Bo, 2005].

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A un livello più ampio il progetto ha contribuito a indirizzare la ricerca verso uno spo-stamento del focus dall’apprendimento con dispositivi mobili all’apprendimento per l’individuo in mobilità. Questa nuova prospettiva ha rappresentato una base sulla quale Sharples et al. [2007] hanno elaborato il loro framework teorico presentato nel dettaglio in questo capitolo. Progetti nelle scuole e università I progetti nelle scuole e università hanno esplorato l’utilizzo di dispositivi mobili come supporto per potenziare sia l’insegnamento in classe che fuori dalle classi, per collegare l’apprendimento formale a quello informale mostrando come l’apprendimento possa essere supportato attraverso contesti diversi. All’interno delle classi o delle aule universitarie sono spesso stati sperimentati i sistemi di risposta automatica nelle diverse modalità. Nella sua indagine in questa direzione Rochelle [2003, op. cit.] ha rilevato che i sistemi più semplici, quelli che consentono di rispondere con un telecomando a una domanda a risposta multipla, sono un valido supporto alla valutazione, perchè permettono contem-poraneamente la valutazione individuale e quella generale dell’intera classe. Grazie ad alcune applicazioni è possibile anche avere la rappresentazione grafica sotto forma di istogrammi delle tipologie di risposte. Inoltre, grazie all'anonimato delle risposte si evita l’imbarazzo, e gli studenti hanno la possibilità di vedere quando gli errori sono condivisi dagli altri compagni. Positivi anche i riscontri su sistemi che consentono agli studenti di porre domande ano-nime, e agli insegnanti di rispondere utilizzando gli SMS [Ng’ambi, 2005], [Markett et al., 2006]. I messaggi erano disponibili successivamente su un sito web per essere con-sultati e commentati da tutti. In questo caso è stato riscontrato un aumento della volontà tra gli studenti di porre domande, grazie all’opportunità di non interrompere il docente e all’anonimato. MyArtSpace [Sharples et al., 2007] è un progetto per le scuole che si è rivelato efficace nel supportare l’apprendimento in contesti diversi, collegando il lavoro in classe con quello all’interno dei luoghi d’arte durante le visite guidate. I bambini, riuniti in gruppo, dovevano effettuare una ricerca per rispondere a una domanda posta in classe dall’insegnante prima della visita. Durante la visita al museo, utilizzando un cellulare, annotavano riflessioni personali, facevano foto, video e regi-strazioni audio, che erano inviate automaticamente a un sito web da un’applicazione dedicata. I risultati del lavoro di ricerca di tutti i partecipanti, potevano così essere con-divisi e discussi in gruppo.

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I progetti di mobile learning a livello universitario hanno dato meno importanza alla connessione tra aula ed esterno, fornendo supporto all’apprendimento ubiquo degli stu-denti, piuttosto che dislocandoli in posti dove apprendere [Kukulska-Hulme et al., 2008]. Questo approccio è rintracciabile nel progetto MANOLO [2006] che ha impiegato con successo il PDA per il lavoro sul campo in domini come l’archeologia e le scienze ambientali. I vantaggi evidenziati in questo progetto sono legati soprattutto all’uso del GPS per tracciare i movimenti delle persone, a un miglior uso del tempo, a una maggi-ore accuratezza dei dati, e a un miglioramento della comunicazione. I casi di studio e i prodotti del progetto rappresentano un grande contributo di consigli pratici per gli inse-gnanti che intendono usare i dispositivi mobili per ricerche sul campo. Vantaggi e criticità del mobile learning Il mobile learning, per quanto le primissime esperienze risalgono ormai a circa trent’an-ni fa, è ancora agli inizi e molte saranno le novità e le evoluzioni che lo interesseranno. L’evoluzione del mobile learning è strettamente legato all’evoluzione dell’apprendi-mento, in un momento in cui le agenzie formative concordano che il modello tradizio-nale non sarà più perseguibile in futuro. Il sentimento che va maturando da questa prima fase dell’impiego di dispositivi mobili nell’apprendimento è generalmente positivo, tuttavia vi sono elementi di criticità, sui quali è importante porre l’attenzione, per attribuirne il giusto peso in fase di design e di definizione delle modalità di strutturazione e di presentazione dei contenuti. Alcune peculiarità, ad esempio le dimensioni ridotte, rappresentano al contempo fattori di successo e limiti del mobile. I principali vantaggi del mobile learning sono legati alla possibilità di poter fruire di contenuti di apprendimento multimediali, che integrano testo, immagini, video, audio, attraverso un dispositivo di dimensioni ridotte facile da portare con sé, che consente di effettuare telefonate, di essere sempre connessi alla rete internet e di essere utilizzato come strumento di comunicazione personale, sfruttando le potenzialità del web 2.0. Il dispositivo necessario allo studente per l’accesso all’attività didattica è sempre più spesso di sua proprietà, quindi non viene richiesto un acquisto ad hoc, l’apprendimento mobile diventa un’ulteriore funzione che lo studente è in grado di svolgere con il suo dispositivo. La proprietà del dispositivo da parte dello studente potrebbe consentire alle scuole di evitare investimenti per l’acquisto, la manutenzione, e la gestione di tecnologie che diventano presto obsolete e soggette all’usura derivante dall’utilizzo da parte di persone diverse.

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I dispositivi mobili rappresentano quindi uno straordinario strumento per l’apprendi-mento, sia formale che informale, estremamente flessibile, sganciato da orari prestabiliti, utilizzabile nei diversi contesti e nei diversi momenti della vita quotidiana, alternandolo ad altre attività, per diverse tipi di utenze, a scuola come all’università, in un museo come in ambito professionale e aziendale. Per quanto riguarda gli aspetti di criticità, essenzialmente legati all’usabilità, riguardano le caratteristiche fisiche dei dispositivi: i monitor di dimensioni ridotte, rendendo difficile la lettura, l’interazione e l’esposizione prolungata, determinano la modalità di rappresentazione, strutturazione, forma e fruizione del contenuto. I dispositivi, quando utilizzati in classe come modalità di supporto alla lezione frontale e ai contributi del docente possono causare, e inevitabilmente lo fanno, una diminuzione dell’attenzione dello studente e di tutti coloro che partecipano alla lezione, incluso il docente. La crescente e articolata offerta commerciale, che propone una ampissima varietà di modelli per ognuna delle categorie - smartphone, tablet, lettori multimediali - porta con sé la problematica legata sia alla compatibilità hardware e software che all’apprendi-mento delle interfacce e delle funzionalità - tra strumenti, modelli, sistemi operativi e produttori diversi. Anche la durata delle batterie può rappresentare un fattore critico, che può limitare e condizionare l’uso del dispositivo e la qualità della comunicazione. I ricercatori della University of Washington [2013] stanno mettendo a punto un nuovo sistema di comuni-cazione wireless, chiamato “ambient backscatter”, che permette ai dispositivi di intera-gire tra loro e riutilizzare i segnali wireless che già esistono intorno a noi, trasforman-doli in fonte di energia, in modo da non aver bisogno di batteria. La rete telefonica, spesso troppo lenta e non affidabile, non consente di poter fruire con un sufficiente livello di confort contenuti che occupano una certa quantità di banda. Anche i costi di accesso alla rete 3G, quando non è disponibile una wireless gratuita, e quelli per l’invio di sms e mms, possono limitare l’interazione e condizionare il com-portamento dello studente nell’accesso alle attività di apprendimento. Inoltre vi sono tutte le problematiche etiche connesse alle normative sulla privacy e alla gestione dei dati personali: numero di cellulare, immagini, informazioni sullo studente. Si riportano infine, cinque fattori critici per progetti di mobile learning di successo, identificati sulla base di una revisione dei contributi della serie di conferenze internazio-nali mLearn 2002-5, da Naismith & Corlett [2006, op. cit.]: • disponibilità di tecnologia: è fondamentale che la tecnologia sia disponibile - di

proprietà dello studente o ad esso fornita;

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• supporto istituzionale: è essenziale un ampio supporto di risorse, inclusa la forma-zione dello staff e la manutenzione dei dispositivi e del software;

• connettività: deve esserci accesso alla rete, sia wireless che telefonica; • integrazione: i progetti di successo sono integrati con uno o più dei seguenti fattori: il

curriculum, le esperienze dello studente, la vita reale; • proprietà della tecnologia: è importante che lo studente abbia i propri dispositivi o

almeno che li percepisca e li usi come se lo fossero, in modo da poterli usare quando lo desidera, sentirsi libero di personalizzarli, di aggiornarli, di usarli in modo versa-tile.

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PARTE SECONDA MOBILE DESIGN

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3. Usabilità e mobile learning

Così come ormai si è compreso ed è testimoniato da diversi studi e indagini, dai siti del-la pubblica amministrazione a quelli di e-commerce; dai chioschi multimediali agli sportelli bancomat; dagli smartphone ai sistemi desktop; a tutti gli oggetti quotidiani con i quali si interagisce attraverso un’interfaccia grafica, il successo di qualsiasi arte-fatto tecnologico è strettamente legato ai fattori umani e all’usabilità. Non può sottrarsi a questa evidenza anche tutto il software che in contesti diversi viene utilizzato in generale in ambito mobile, e in particolare nella didattica, e quindi tutta la frontiere del mobile learning, soprattutto in considerazione del fatto che la gran parte delle attività di mobile learning continua a svolgersi su dispositivi non progettati per fini educativi, e problemi di usabilità sono spesso riportati [Kukulska-Hulme, 2007]. Si tratta di istanziare i principi dell’usabilità per il software e i dispositivi mobili, e par-ticolareggiare ulteriormente gli aspetti di usabilità mobile quando si progettano ed ero-gano corsi per la mobilità.

3.1 Usabilità ed emozioni

Prima di analizzare come il concetto di usabilità possa essere applicato alla tecnologie mobili e wireless e come possa essere caratterizzato quando con tali tecnologie si eroga e/o si fruisce un’attività di apprendimento, è utile riprendere definizioni, concetti chiave ed evoluzione. Cos’è l’usabilità In letteratura esistono diverse definizioni di usabilità delle interfacce. La definizione che ne dà lo standard ISO 9241 [1993] afferma che l’usabilità misura il grado di efficacia, efficienza e soddisfazione con cui specifici utenti perseguono i propri obiettivi in un determinato contesto d’uso (Figura 9). L’efficacia rappresenta l’accuratezza e la completezza con cui gli utenti possono rag-giungere specifici obiettivi. L’efficienza è l’accuratezza e la completezza degli obiettivi

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ottenuti in relazione alle risorse impiegate. La soddisfazione è il confort e l’accettabilità nell’uso del sistema.

Figura 9. Gli aspetti rilevanti dello standard ISO 9241 [1993].

Nielsen fornisce una descrizione dettagliata degli attributi dell’usabilità definendola come la misura della qualità dell’esperienza di un utente nell’interazione con un arte-fatto; collocandola in una prospettiva più ampia di accettabilità del sistema per la quale propone un modello gerarchico, in cui vengono esplicitati i concetti di apprendibilità e di memorabilità: accettabilità del sistema accettabilità sociale accettabilità pratica utilità utilità (funzionalità) usabilità facilità di apprendimento efficienza d’uso facilità di memorizzazione evitamento degli errori soddisfacimento soggettivo costo compatibilità affidabilità

Usabilità

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8WHQWL Obiettivi

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In questo modello Nielsen considera l’usabilità una proprietà multidimensionale di un sistema, caratterizzata da cinque attributi: • Facilità di appendimento: la facilità di apprendere le funzionalità e il comportamento

del sistema consente all’utente di comprenderlo e di iniziare ad adoperarlo. • Efficienza: terminata la fase di apprendimento, il sistema dovrebbe essere stato

progettato per consentire alti livelli di produttività. • Facilità di memorizzazione: la facilità di ricordare le funzionalità permette all’utente

casuale di riutilizzare il sistema senza il bisogno di impararlo nuovamente. La cate-goria degli utenti casuali, persone che utilizzano un sistema in modo incostante, è la terza in ordine di grandezza dopo quella dei novizi e degli esperti.

• Basso livello di errori: la capacità intrinseca del sistema di aiutare gli utenti a non commettere errori durante l’interazione e, nel caso questi si verificassero, di dare la possibilità di risolverli agevolmente.

• Soddisfazione: il sistema dovrebbe essere piacevole da usare, aiutando l’utente a svolgere il proprio compito con facilità e appagamento. È un attributo di notevole spessore in quanto un sistema gradevole aumenta la produttività degli utenti.

L’usabilità risulta quindi legata ad aspetti funzionali e a variabili misurabili e valutabili attraverso alcuni metodi che possono essere classificati, essenzialmente, in due diversi approcci: i metodi analitici o ispettivi, in cui un esperto valuta l’applicazione (inspec-tion method o export review), e i metodi sperimentali o empirici (user-based method o user-testing method). Uso e artefatti Dal punto di vista concettuale, l’usabilità misura la distanza tra il “designer model”, cioè il modello del sistema posseduto dal progettista, e lo “user model”, ovvero il mo-dello mentale che si costruisce chi usa il sistema. Nell’approccio con un qualunque sistema, l’utente si costruisce un modello delle fun-zionalità che un determinato sistema è in grado di compiere, e delle modalità con le quali tali funzionalità possono essere svolte. Quanto minore è la distanza tra questi due modelli, tanto maggiore potrà essere conside-rata l’usabilità del sistema. Il ruolo del designer in quest’ambito è quindi volto a fornire un buon modello concet-tuale, in modo da minimizzare la distanza tra i due modelli, mettendo al centro l’utente. Nella comprensione del funzionamento di un artefatto assume rilievo il concetto di affordance, introdotto dallo psicologo Gibson [1966] e ripreso da Norman [1987], Man-

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tovani [1995] e Riva [2004]. L’affordance rappresenta l’invito che un determinato og-getto, materiale, dispositivo esprime nei confronti di un soggetto, ovvero la proprietà di un oggetto di suggerire il modo in cui può essere utilizzato attraverso la sua apparenza visiva. Una sedia è fatta per sedersi, le superfici lisce consentono di camminarci. Una superfi-cie di vetro può invitare alla frantumazione, quelle di legno a scriverci sopra. Un oggetto attraverso il suo design può peraltro costringere l’utente a compiere deter-minate azioni. Uno straordinario esempio da questo punto di vista è rappresentato dalla chiave di Berlino (Figura 10). Una chiave simmetrica che dopo aver aperto il portone, per poter essere estratta richiede che la si faccia passare dall’altra parte della porta e la si giri, costringendo così a chiudere.

Figura 10. La chiave di Berlino.

È possibile distinguere tra affordance reale, l’insieme delle operazioni che è possibile compiere con un oggetto; e affordance percepita, le operazioni che sono percepite da un utente come consentite. Un’interfaccia ben progettata deve mirare a minimizzare la for-bice tra affordance reale e percepita fornendo all’utente in modo univoco l’insieme delle funzionalità espresse. Nell’ottica di rendere comprensibile un sistema, Norman [1997] ritiene importante ren-dere visibili le azioni: cosa l’utente può fare e come farlo; e i risultati delle azioni. Per raggiungere questi obiettivi sono importanti i princìpi del mapping e del feedback. Il termine mapping indica la relazione esistente tra due cose, utilizzare al meglio le rela-zioni tra le cose consente di convogliare informazioni sul funzionamento di un dispo-

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sitivo all’utente. Ad esempio, per sollevare un oggetto, muovere il comando verso l’alto, appare la scelta naturale per ottenere il risultato desiderato. Un mapping di questo tipo, che Norman chiama mapping naturale, che sfrutti analogie fisiche e modelli culturali, conduce alla comprensione immediata e al ricordo nel tempo, e minimizza l’utilizzo di etichette e indicazioni, il che riduce la complessità visiva, va incontro a esigenze di tipo estetico, e risponde a uno dei princìpi del design che prevede l’utilizzo di tutti e soli gli elementi necessari. Il feedback è la risposta del sistema alle azioni dell’utente, consente di valutare gli effet-ti delle azioni intraprese e l’eventuale successo delle stesse. L’informazione di ritorno può essere esibita in modi differenti - attraverso messaggi sonori, in linguaggio naturale oppure visuale; quello che conta è il comunicare in modo chiaro il nuovo stato raggiun-to dal sistema e il compimento di una determinata azione, in un tempo sufficientemente breve in modo da essere ricondotto all’azione intrapresa. In ambito web costituisce la modalità con la quale fornire meccanismi di orientamento nell’ambito del processo di navigazione attraverso titoli, elementi grafici e url. Ancora più importante è il ruolo che assume nell’espletamento di operazioni rischiose quali le transazioni economiche, da esso discende la credibilità e l’affidabilità del sito. Lo User Centered Design Creare prodotti usabili, comprensibili e facili da usare, significa promuovere un design centrato sull’utente. Negli stessi anni in cui si sviluppa l’usabilità, con l’introduzione delle interfacce a manipolazione diretta, allorché si comprende la centralità dell’utente, si afferma una filosofia progettuale denominata “User Centered Design” (UCD), che dà importanza alla soggettività dell’esperienza, rilevando la diversità delle esperienze indi-viduali, nonostante il comune patrimonio cognitivo [Bagnara ed., 2004]. L’UCD considera la progettazione dell’interfaccia un processo iterativo che parte da un’analisi dell’utenza attuale, potenziale o futura, dei compiti che questi utenti svolgono, degli oggetti implicati nello svolgimento di questi compiti, e delle relazioni esistenti fra utenti, compiti e oggetti. Analisi, progettazione e verifica si succedono, spesso con il coinvolgimento diretto del-l’utente, fino a quando non si ottiene un risultato accettabile per gli standard definiti all’inizio. L’applicazione delle metodologie HCI (Human Computer Interaction) ha lo scopo di ottimizzare il processo di sviluppo riducendo il numero di iterazioni.

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L’evoluzione dell’usabilità Il concetto di usabilità, nato negli anni ’60 nell'ambito dell'ergonomia in relazione a qualunque interazione uomo-artefatto, si sviluppa a partire dagli anni ’80, diventando uno dei fattori di qualità dei sistemi software. Con la nascita del personal computer la fascia degli utenti, prima limitata agli stessi progettisti, si allarga ai non addetti ai lavori, ed emerge l’esigenza di rendere l’uso del software alla portata di persone con nessuna competenza informatica. La facilità d’uso diventa così un importante requisito dei sistemi informatici. La progressiva estensione del digitale a tutti le attività umane ha collocato l’usabilità in un orizzonte più ampio che considera gli aspetti psicologici, organizzativi e sociali che determinano come la gente opera, facendo emergere il concetto di user experience che attribuisce importanza alla piacevolezza, all’estetica e alla sfera emozionale degli utenti. Questa nuova connotazione si è consolidata con la nascita e l’avvento del web per la multidimensionalità di artefatto comunicativo e di servizio che caratterizza i siti web. Gli aspetti funzionali dell’usabilità - determinanti per il successo economico di un sito, soprattutto nell’e-commerce per la conversione della visita in acquisto - devono essere considerati in un’ottica più ampia che integri quelli legati all’immagine e al design per il ruolo fondamentale che la presenza sul web riveste nella comunicazione dell’indentità aziendale. Il ruolo dell’estetica Spesso, la ancora breve storia della human computer interaction ha posto in antitesi l'usabilità, ovvero la funzionalità di un artefatto, con la sua dimensione estetica e il visual design. Tuttavia un filone di studi che si è sviluppato a partire dagli anni ’90 ha cercato di me-glio comprendere quale sia il ruolo di queste dimensioni progettuali nella costruzione di un'interfaccia sottolineando la loro reciprocità e lasciando intravedere una loro dipen-denza. Suggerendo che, così come avviene in altri ambiti, anche nella progettazione di un artefatto tecnologico tali componenti possono essere considerate in modo unitario e solo la loro integrazione può far nascere un prodotto percepito favorevolmente da un utente, che sempre più ha un elevato livello socio-culturale. L’usabilità è quindi stata considerata in una prospettiva più ampia, che considera gli artefatti non solo sulla base del loro utilizzo ma anche di significato e di “presenza” nel-la vita di ognuno di noi. Significativo, da questo punto di vista, è il contributo di Kurosu e Kashimura [1995] che hanno effettuato un’analisi sperimentale delle cause determinanti l’usabilità apparente,

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ovvero dell’usabilità percepita dall’utente prima dell’utilizzo di un sistema, allo scopo di mostrare un’eventuale relazione tra l’estetica e l’atteggiamento degli utenti nei con-fronti di artefatti tecnologici. Confrontando diverse versioni di uno stesso sistema bancomat in cui variavano solo la posizione dei tasti sull’interfaccia (Figura 11), lo studio si articolò in due fasi, la prima mostrò che l’usabilità apparente è legata all’aspetto estetico del layout, quindi un’inter-faccia giudicata bella era considerata usabile e facile da usare; la seconda che l’usabilità apparente dipende più dalla bellezza, che dall’usabilità effettiva (valutabile secondo parametri di efficienza operativa e cognitiva) che gli autori chiamano usabilità inerente. Gli utenti, quindi, sono fortemente influenzati dagli aspetti estetici dell’interfaccia an-che quando provano a valutare gli aspetti funzionali. Alla luce di questi risultati un miglioramento dell’usabilità inerente potrebbe essere inutile, quindi lo sforzo degli in-terface designer dovrebbe essere indirizzato non solo nel migliorare l’usabilità inerente ma anche nel rivedere l’usabilità apparente e gli aspetti estetici dell’interfaccia. Sulla base di queste considerazione gli autori della sperimentazione conclusero che i prodotti dovrebbero essere apparentemente usabili almeno nella misura in cui lo sono inerente-mente.

Figura 11. Due esempi di layout, a sinistra quello considerato meno bello e meno usabile,

a destra il più usabile e il più bello [Kurosu e Kashimura, 1995].

I risultati sono stati successivamente confermati da Tractinsky [1997] in un diverso con-testo culturale; e da Parizotto-Ribeiro [2004] in ambienti d’apprendimento virtuali, mo-strando come la dimensione estetica dei layout giochi un ruolo chiave, influendo sulle motivazioni degli studenti all’apprendimento. In quest’ultimo studio, la ricercatrice bra-siliana dopo aver verificato la relazione tra usabilità apparente ed estetica in un ambien-te di apprendimento virtuale, ha ritenuto opportuno replicare lo studio dopo l’effettivo utilizzo del sistema da parte del campione, valutando estetica e usabilità dopo l’effettua-zione di due task in quattro diverse condizioni ottenute incrociando estetica e usabilità

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alte e basse. Gli alti coefficienti di correlazione confermarono la relazione tra estetica e usabilità, questa volta esperita. Gli studi riportati mostrano dunque chiaramente l’importanza dell’estetica nella pro-gettazione di artefatti, sottolineando in particolare la relazione esistente tra estetica e usabilità percepita. D’altro canto l’estetica non rappresenta la soluzione per l’accettabilità di un sistema e la costruzione della corretta user-experience. Bisogna infatti sottolineare come, in realtà, la qualità dell’esperienza sia determinata dall’apporto di un numero elevato di dimensioni in relazione tra di loro. Ad esempio nel web, metafora, modello mentale, architettura delle informazioni, ingegneria dell’usabilità, ricchezza dell’interazione, sono tutti ele-menti utili per un prodotto centrato sull’utente. Un approccio all’usabilità che quindi non si limiti alla valutazione della velocità con cui si porta a termine un determinato task, può essere meglio in grado di intercettare le esi-genze degli tutenti, soprattutto nell’uso di dispositivi mobili nell’apprendimento, perce-piti dall’utente come un oggetto personale, usato per un’attività da svolgere in modo flessibile, con il maggior grado di coinvolgimento e piacevolezza possibili. La scomparsa del computer Lo scenario dell’ubiquitous computing (cap. 1) attribuisce centralità al ruolo dell’inter-faccia, che ha il compito di consentire all’utente di sfruttare tutte le opportunità, sce-gliendo di volta in volta la tecnologia che gli permette di raggiungere i propri obiettivi. Interfacce diverse potrebbero consentire di utilizzare, a seconda del contesto, una ca-pacità di calcolo invisibile e distribuita nell’ambiente. Aumentando drasticamente la quantità di informazione disponibile, è l’interfaccia a determinare la capacità di analisi dell’utente consentendogli di trovare l’informazione che gli interessa. Negli studi effettuati con l’intento di disegnare nuovi scenari è significativo il concetto di “calm technology” [Weiser e Seely Brown, 1996], vale a dire di una tecnologia che presenti continuamente informazioni nello stesso modo non intrusivo in cui, per esem-pio, una finestra offre informazioni su ciò che avviene all’esterno. L’idea centrale è quella di un’interfaccia che muova tra il primo piano e lo sfondo della nostra attenzione. Questa è stata anche una delle idee principali nel progetto di ambienti per la visualizza-zione delle informazioni, esperimenti che non hanno esplorato nuove funzionalità ma nuove forme di apparenza dei computer. Si può dire che l’intento di questi esperimenti è stato quello di far “scomparire” il computer.

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“Il computer invisibile” è il titolo di un saggio di Norman del 1998 in cui l’autore au-spica la “scomparsa della tecnologia”, in quanto la tecnologia migliore è quella che non si vede. Gli oggetti devono essere così semplici da usare, da rendere la tecnologia tra-sparente. Per poter raggiungere questo obiettivo Norman riprende il concetto di info-domestici [Raskin, 1988]. L’infodomestico è un elettrodomestico specializzato, in grado di compiere elaborazioni, con la caratteristica di riuscire a condividere le informazioni. Un oggetto di questo tipo, adatto a compiti specifici, potrebbe abbattere la complessità intrinseca dei computer. Il computer per sua natura risulta essere complesso e difficile da usare, la sua caratteristica di strumento multifunzione ne impedisce la semplicità. Inoltre il modello di business proposto dall’industria informatica impone una continua evoluzione della complessità. Qualunque dispositivo che deve compiere compiti diversi deve raggiungere dei com-promessi per quanto riguarda la gestione dei singoli compiti. Gli infodomestici, invece, progettati per assolvere uno specifico compito potrebbero rappresentare un’inversione di tendenza e un modello che prevede un determinato apparecchio tagliato su misura per un determinato lavoro. L’inserimento del computer all’interno dello strumento non co-stringe l’utente a essere cosciente della sua presenza. In questo modo l’apprendimento dell’utilizzo dello strumento diventa inscindibile dall’apprendimento dell’attività. L’at-tuale sviluppo dell’industria informatica rende possibile pensare a infodomestici in gra-do di offrire prestazioni e affidabilità a un prezzo ragionevole. Sebbene rendere il computer invisibile potrebbe essere un passo nella giusta direzione dal punto di vista letterale, dal punto di vista fenomenologico è più complesso. Gli og-getti invisibili sono quelli accettati come tali, quando usiamo un martello oppure cam-miniamo non pensiamo a come farlo, ma lo facciamo. Il martello non è invisibile, ma scompare in quanto noi lo utilizziamo in modo naturale senza riflettere. In realtà, molti oggetti sono considerati parti naturali nella nostra vita. Quando qualcosa di nuovo com-pare nella nostra vita sarà accettata gradualmente come parte naturale della nostra vita. Quindi, gli oggetti appaiono e scompaiono come parti del nostro quotidiano. La mag-gior parte del tempo gli oggetti presenti nella nostra vita non richiederanno la nostra attenzione per la loro presenza. Per costruire un solido approccio alla progettazione, serve comprendere questi atti di accettazione, rispetto alla piena comprensione di cosa sono gli artefatti tecnologici di ogni giorno. Oggetti personali ed emozioni L’evoluzione dei sistemi di calcolo impone dunque una ridefinizione delle caratteristi-che da progettare e delle variabili da valutare. Infatti, il progetto e la valutazione di un

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artefatto sono spesso fatti in relazione ad alcuni intenti d’uso. La valutazione dell’usa-bilità è fatta in relazione a criteri quali, efficienza, semplicità d’uso e facilità d’appren-dimento. Una descrizione delle cose secondo questi criteri, è una “descrizione funzio-nale” basata sulla nozione generale di uso. Nelle analisi delle prospettive con le quali considerare gli artefatti, nello scenario dell’ubiquitous computing, è interessante la differenza introdotta da Hallnäs e Redström [2002] del concetto di “uso” (qualcosa che deve essere usato per qualcosa) e “presenza” (qualcosa che deve essere presente nella vita di qualcuno) di un oggetto. Uso e presenza, quindi, rappresentano due diverse prospettive di cosa è un oggetto. Mentre il concetto di uso fa riferimento a una descrizione di un oggetto nei termini degli scopi per cui è usato; il concetto di presenza fa riferimento alle “espressioni delle cose”, basata sul modo in cui le accettiamo come parte della nostra vita. A differenza di una descrizione basata sulla generica nozione di uso, una descrizione in termini di presenza è legata a un particolare significato dato a uno specifico oggetto. Quando gli artefatti cambiano da essere strumenti per uno specifico uso a oggetti pre-senti nella nostra vita, bisogna spostare il focus dal progettare per l’efficienza d’uso al progettare per la significatività della presenza. Questo spostamento di prospettiva pone l’estetica al centro del processo di design cambiando il significato di usabilità. L’esteti-ca, in quest’ottica, non ha a che vedere con la dimensione creativa degli artefatti, ma con la modalità con cui la loro espressione definisce un’identità che può renderli signi-ficativi nella vita di qualcuno. Quindi l’estetica, come logica dell’espressione, fornisce un contesto metodologico per la definizione dell’espressione degli artefatti tecnologici. Molti artefatti, definiti per mezzo del loro uso, in realtà sono parte della vita personale in modo più profondo, sono presenti nella vita come parte di quello che siamo, di come viviamo, e di come esprimiamo la nostra personalità. La descrizione della presenza di un artefatto nei termini di come esprime se stesso allor-ché veniamo a contatto nella vita di tutti i giorni, consente di pensare agli artefatti come portatori di espressioni piuttosto che di funzioni. I due modi di descrivere e definire un artefatto, in termini di uso e presenza, sono pro-spettive complementari. Quando si valuta un qualsiasi oggetto quale un abito, un telefo-nino, un mobile, si considerano sia la sua funzionalità che le sue epressioni. Hallnäs e Redström concludono che pensare in termini di presenza apre nuove prospettive per il design in vista della “scomparsa” del computer. La prospettiva di oggetti descritti attraverso la loro presenza nella vita di qualcuno indu-ce a una riflessione sulle modalità con la quale si scelgono e si attribuisce valore agli oggetti.

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La scelta di un oggetto dipende da diverse componenti quali il contesto, l’occasione, lo stato d’animo. Un oggetto va al di là della sua funzione pratica, può avere, ad esempio, un significato e una componente personale che nessun designer o produttore può fornire. Spesso le persone attribuiscono un valore simbolico a un oggetto per essere legati a momenti che hanno un’importanza nel proprio vissuto. In quest’ottica Norman [2004] individua nel design di un prodotto diverse componenti: l’usabilità, l’estetica, la sua praticità, e riconosce una forte componente emozionale nel modo in cui i prodotti vengono progettati e utilizzati. Chiama queste componenti design viscerale, design comportamentale, design riflessivo: • il design viscerale è il primo livello, è quello che fa la natura. Legato all’apparenza,

non dipende da aspetti culturali; • il design comportamentale è legato ai processi cerebrali che controllano il compor-

tamento quotidiano, è quindi basato sull’utilizzo e riguarda il piacere e l’efficacia d’uso;

• il design riflessivo è il livello più alto. Considera il significato del prodotto e concer-ne con l’immagine che abbiamo di noi stessi. È culturalmente dipendente.

Norman afferma inoltre che queste dimensioni, ancorché profondamente diverse tra loro vanno intrecciandosi in ogni design. L’aspetto importante di questa relazione tra le componenti del design risiede nel fatto che le emozioni e il processo cognitivo sono inscindibili. Le emozioni accompagnano ogni momento della nostra vita, delle nostre azioni e delle nostre relazioni. La componente emozionale ci condiziona e a volte ci guida nei comportamenti. Questa stretta interconnessione tra emozioni e processi cogni-tivi, peraltro oggetto di nuovi sviluppi scientifici nella comprensione del cervello, pone il problema dell’inadeguatezza di un approccio al design che si occupi solo di utilità e usabilità. L’ulteriore fattore che va considerato accanto alle emozioni è quello dell’estetica, del-l’attrazione, della bellezza. “Se dovessimo seguire la ricetta di Norman, tutti i nostri oggetti sarebbero usabili - ma risulterebbero anche brutti”, è la critica rivolta dai desi-gner a Norman all’indomani dell’uscita de “La caffettiera del masochista”, considerato a ragione uno dei testi fondamentali sul design. Lo stesso Norman considera legittima questa critica, sottolinea che un oggetto usabile non è necessariamente piacevole da usa-re e un design attraente non è necessariamente facile da usare, e conclude che funzio-nalità, estetica e usabilità devono poter coesistere in un prodotto. Gli studi delle scienze cognitive riconoscono l’emozione quale componente essenziale della vita, in grado di influenzare il modo di pensare, di sentire, di comportarsi degli esseri umani. “L’emozione ci rende più intelligenti”: è il risultato delle attuali ricerche

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di Norman, le emozioni attraverso i mediatori chimici, modificano la percezione, la ca-pacità di prendere decisioni e il comportamento. Vi è, dunque, la prova che gli oggetti piacevoli consentono di lavorare meglio e ottenere risultati migliori con prodotti che fanno stare bene e con i quali ci sentiamo a nostro agio. Un oggetto esteticamente pia-cevole può migliorare le prestazioni.

3.2 Mobile usability

I concetti discussi sull’usabilità vanno istanziati in ambito mobile, ovvero quando l’utente potrebbe essere in movimento, in contesti in cui l’attenzione è divisa con tutti gli altri elementi dell’ambiente circostante, utilizzando un dispositivo con un monitor di piccole dimensioni, e l’interazione è di tipo touch. L’insieme di queste condizioni ri-chiede che i controlli dell’interfaccia siano semplici, chiari, intuitivi e sufficientemente grandi per poter essere facilmente interpretati anche in condizioni critiche di illumina-zione e possano essere facilmente selezionati con le dita della mano. Progettare per il mobile, significa progettare per un utente che è impegnato in altre atti-vità e deve dividere la sua attenzione e il suo potenziale cognitivo con altre attività. È evidente che le considerazioni fatte sull’usabilità dei primi cellulari con accesso a in-ternet, definiti feature phone, sono da considerarsi obsolete e comunque non applicabili agli smartphone e ai tablet di ultima generazione. Un discorso sulla mobile usability deve prendere in considerazione tutto quello che è successivo all’uscita dell’iPhone, momento sicuramente importante nell’evoluzione dei dispositivi mobili, in quanto segna il passaggio all’interazione touch, su monitor di di-mensioni di gran lunga superiori per la scomparsa delle tastiera fisica. Sulla pochezza dell’esperienza dei dispositivi ante iPhone è categorico Nielsen, il quale afferma che gli ultimi dispositivi mobili mancano ancora dei requisiti chiave di usabilità necessari per un loro uso generalizzato [2003]. Un nuovo paradigma Uno studio effettuato da Monetate [2013] analizzando oltre 500 mila sessioni utente su siti di e-commerce mostra una sensibile differenza nei tassi di conversione (ovvero la percentuale di visitatori che perfezionano un acquisto nel caso di un sito di e-commerce, di una qualunque azione in altri casi) tra i diversi dispositivi (Figura 12).

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In particolar modo gli utenti si dimostrano poco disponibili ad acquistare da uno smart-phone, sebbene aumentino; mentre le percentuali da tablet sono addirittura più alte per la prima volta di quelle da un sistema tradizionale, desktop o notebook.

Dispositivo Tasso Q1 2012 Tasso Q1 2013

Tradizionale 2.25% 2.51%

Tablet 1.87% 2.60%

Smartphone 0.49% 0.79%

Figura 12. I tassi di conversione di siti e-commerce per diversi dispositivi [Monetate, 2013].

Vi è dunque una netta crescita dei dispositivi mobili, tuttavia permane una forte diffe-renza tra gli smartphone e gli altri dispositivi, tablet incluso, peraltro confermato dallo studio presentato nel Capitolo 2, che ha evidenziato che l’utente si sposta da un disposi-tivo all’altro per completare un task. È ragionevole pensare che l’usabilità degli smart-phone sia ancora non adeguata, e in particolar modo per le transazioni economiche. D’altro canto è rilevante l’utilità di poter acquistare un biglietto ed effetturare una pre-notazione in mobilità con il proprio smartphone. Le aree di intervento per migliorare l’esperienza utente da parte dei produttori sono le-gate a diversi livelli. A livello hardware intervengono la maneggevolezza del dispositivo - dovuta alla forma e alla dimensione, la durata della batteria, il tipo di connettività offerta, la memoria di massa, la velocità del processore, la risoluzione del monitor, la sensibilità del touch-screen. A livello software, vi sono i diversi sistemi operativi, le ridotte funzionalità dei browser, il supporto di alcune tecnologie quali javascript e flash, la possibilità per le applicazioni di girare in background sul sistema. Per quanto riguarda la fruizione di un contenuto web - oltre ai fattori connessi alle diffi-coltà dell’ambiente in cui può avvenire l’interazione - sono essenzialmete due gli aspetti che determinano una certa riluttanza da parte dell’utente nel portare a termine determi-nati task: la velocità della rete e le dimensioni del monitor. La velocità della rete È una delle limitazioni percepita come tale immediatamente dagli utenti. La rete wire-less non è ancora dappertutto, ed è limitata dalla limitata potenza dei processori; e so-prattutto in mobilità l’utente utilizza quella 3G, ancora lontana dalle performance offer-te dall’ADSL, utilizzata dalle postazioni desktop. Inoltre, l’affollamento della rete in

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determinati momenti, la copertura non perfetta in alcune zone, le difficoltà legate agli spostamenti quando si è su mezzi di trasporto, causa un ulteriore scadimento delle pre-stazioni, determinando una generale inaffidabilità della connessione internet. La velocità risulta un aspetto determinante, in quanto l’utente mostra una soglia limitata a qualche secondo di attesa e vorrebbe avere un’esperienza simile a quella a cui è abi-tuato. Questo elemento di criticità deve essere tenuto presente in fase di design. È importante: • evitare l’utilizzo di immagini pesanti o in numero eccessivo che occupano banda; • non chiedere all’utente la registrazione prima ancora di consentirgli l’utilizzo e la

valutazione del sito o dell’app; • ridurre il numero di click che causano un download per il raggiungimento di un

determinato obiettivo. Si noti che non tutti i click determinano un download, ad esempio se il il contenuto risiede sul telefono, un click in un’app non comporta alcun download. Significativo da questo punto di vista l’esempio dell’impostazione dei filtri di ricerca nel sito Zappos [Nielsen, Budiu, 2012]. L’aggiunta di ogni filtro alla query comporta un tempo di download, l’utente non può selezionare più di un filtro contemporanea-mente (Figura 13).

Figura 13. L’aggiunta di ogni filtro comporta un caricamento della pagina [Nielsen, Budie, 2012].

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Le dimensioni del monitor Rappesenta la causa principale dei problemi di usabilità nella fruizione di siti non appositamente pensati per il mobile. Infatti una riduzione in proporzione della pagina, permessa dagli attuali browser, rende gli elementi dell’interfaccia illeggibili e l’intera-zione non possibile, costringendo l’utente a ingrandire le singole parti, a continui scrol-ling, facendo perdere il contesto della pagina. Queste problematiche sono risolte, almeno in parte dalle tecniche del responsive design discusse nel capitolo quattro, o dallo sviluppo di applicazioni native appositamente pro-gettate. È proprio da modelli di interazione e di organizzazione dei contenuti progettati specificatamente per il mobile che possono arrivare i risultati attesi dagli utenti. Gli sforzi del design devono quindi andare nella comprensione delle specificità offerte dall’interazione touch, e non dal mouse, su un dispositivo che si tiene in una mano, ab-bracciando un paradigma di intertaccia del tutto nuovo. Per esempio lo scroll orizzon-tale, inaccettabile su sistemi desktop con il mouse, ben si presta a una fruizione su mobile. Infatti in genere gli utenti mobile si aspettano di poter scorrere i contenuti in orizzontale, assecondando un movimento naturale, peraltro mutuato dallo sfogliare le pagine di un libro, già ereditato dagli e-book e dai sistemi operativi mobile. È importan-te che i comandi gestuali utilizzino una metafora strettamente legata al mondo fisico, in modo da poter essere facilmente ricordate, quelli arbitrari da dover imparare risultano problematici e l’utente tende a dimenticarli. Inoltre è utile sfruttare quei gesti che sono entrati a far parte del patrimonio cognitivo dell’utente, tra questi vi è lo zoom attraverso il pizzico. Alcune applicazioni non lo implementano, lasciando interdetto l’utente. La gestualità può essere utilizzata anche in modo divertente: la social app WeChat consente, agitando il telefono, di selezionare casualmente un profilo di un utente, eventualmente da contattare. Allo spazio limitato è vincolata anche la tastiera virtuale presente sulla gran parte degli smartphone touch screen. Le dimensioni dei tasti rendono difficile l’inserimento del testo e richiedono un controllo costante del tasto digitato. Questa problematica ha un impatto maggiore quando si inseriscono i dati per effettuare delle transazioni e in genere quando si riempiono dei form, in questi casi non si possono utilizzare le abbreviazioni che sono entrate nella forma linguistica che è emersa nella comunicazione mediata da computer, e l’uso dei suggerimenti di testo può essere pericoloso. L’eliminazione della tastiera fisica a favore di quella virtuale consente di avere a dispo-sizione un monitor di dimensioni di gran lunga superiori, la dimensione dei tasti si adat-ta a seconda dell’orientamento del dispositivo e quindi dello spazio a disposizione, e soprattutto può modificarsi mostrando i tasti utili in determinati contesti.

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Per l’invio di mail viene inserito il simbolo @; e per immettere gli Url scompare la bar-ra spaziatrice, dato che un indirizzo web non può ospitare spazi, e compaiono i tasti / e .com (Figura 14). Per poter sfruttare queste opzioni messe a disposizione del mobile, è sufficiente impostare l’attributo type del tag input, nel seguente modo: <input type=“email”> e <input type=“url”>.

Figura 14. Le diverse versioni della tastiera mobile di Google+.

Allora, progettare un sito web mobile o un’app in grado di assicurare un’esperienza utente di qualità, significa progettare “in piccolo”, in linea con la filosofia “mobile first” (cap. 4), il che significa selezionare le informazioni da mostrare, definendo una rappre-sentazione visiva che sia adeguata a un’interazione in cui il sistema di puntamento è vincolato alle dimensione delle dita, sfruttando le funzionalità messe a disposizione dal dispositivo [Budiu, Nielsen, 2012]. Contesto e modo d’uso In questo lavoro in più di un’occasione si fa riferimento alla difficoltà di analizzare e valutare esperienze e progetti in ambito mobile per il continuo e repentino cambiamento che caratterizza da un lato i dispositivi - nelle loro caratteristiche hardware e funzionali; dall’altra, concorrentemente, degli usi e delle pratiche sociali che emergono. La definizione di usabilità, d’altro canto, individua il contesto d’uso quale componente centrale nello studio e nella valutazione di un determinato artefatto. Ne risulta che parla-re di usabilità mobile implica un livello di complessità ulteriore dovuta al fatto che il contesto d’uso e il modo d’uso sono rispettivamente non facilmente identificabile e in continua evoluzione.

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Turel sostiene [2006, op. cit.] che l’introduzione di numerosi nuovi contesti d’uso, lega-ta all’incremento di servizi a valore aggiunto per il mobile, richieda una ridefinizione del modello concettuale di usabilità per il mobile. Per quanto riguarda il mobile learning, la fase di design oltre alla definizione di obiettivi formativi e azioni, dovrebbe esplicita-re i diversi contesti d’uso. [Pehkonen e Turunen, 2003, op. cit.]. L’importanza di considerare il contesto d’uso nella progettazione delle applicazioni così come nella produzione di contenuti per il mobile è confermata anche dalle linee guida sull’usabilità del progetto MOBIlearn, che suggeriscono di “fornire allo studente infor-mazioni personalizzate utili in un determinato contesto” [O’Malley et al., 2003, op. cit.]. Anche i modi d’uso risultano difficilmente prevedibili, infatti coloro che sono coinvolti nella progettazione di dispositivi mobili evidenziano che questi “vengono utilizzati in modi del tutto inaspettati anche ai loro progettisti” [Keinonen, 2003, op. cit.]. L’uso che gli utenti faranno di una determinata tecnologia e artefatto tecnologico non è mai preventivabile e si rivela nel tempo, tuttavia questo fenomeno risulta più marcato nei dispositivi mobili, e questo è legato alle loro caratteristiche di essere personali e por-tatili. Spesso gli utenti non sono nemmeno a conoscenza delle possibilità, peraltro in continua evoluzione, offerte dal dispositivo; l’acquisto avviene per le funzionalità di comunicazione di base e probabilmente per il fascino esercitato da un oggetto che è an-dato rivestendo un ruolo importante nell’autorappresentazione, soprattutto dei più gio-vani. L’esplorazione avviene per fasi successive e l’uso evolve in modo soggettivo, se-condo gusti, esigenze e propensioni personali. Con il passare del tempo infatti si assiste allo sviluppo di usi più elaborati: Gilbert e col-leghi [2005] nell’analizzare un servizio mobile hanno richiamato l’attenzione sul perio-do che segue quello di utilizzo iniziale, un periodo “durante il quale il campo di utilizzo si espande per soddisfare bisogni emergenti”. Peraltro - così come accade con qualunque oggetto tecnologico, si pensi ai telefoni con funzionalità di segreteria e centralino usati negli uffici e ai videoregistratori ricordati da Norman - gli utenti usano solo un ridotto set di funzionalità tra quelle messe a disposi-zione dal dispositivo, perché non ne sono a conoscenza, perché il design non ne facilita l’individuazione, e per il ciclo di vita sempre più breve dei prodotti che induce il cliente al riacquisto in tempi brevi. Quello che è poco studiato e sarebbe interessante comprendere sono le modalità con le quali gli utenti estendono le conoscenze delle caratteristiche dei propri dispositivi: oltre all’iniziativa personale, potrebbe giocare un ruolo importante la condivisione di tali co-noscenze all’interno della propria rete sociale, fisica e virtuale [Kukulska-Hulme, 2008].

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3.3 Usabilità e apprendimento

Gli studi sull’usabilità, estendibili anche agli ambienti di apprendimento, si sono foca-lizzati sulla comprensione di come si apprende l’uso del computer, e solo marginalmen-te di come si apprende con il computer. Si analizza dunque se ci sono e quali possono essere le specificità che caratterizzano l’usabilità quando le attività svolte sono di tipo didattico, e in particolar modo quando si tratta di didattica su dispositivi mobili. Ovvero in che modo le persone apprendono at-traverso l’e-learning e il mobile learning e se l’usabilità di piattaforme per la didattica presentano problemi di usabilità diversi. Nielsen [2001] ad esempio ritiene che, sebbene i criteri generali di usabilità possono es-sere applicati anche per l’e-learning, vi sia la necessità di mantenere i concetti vivi nella mente dei discenti, così che essi non li dimentichino pur cercando di apprenderne di nuovi; Laudrillard [2002, op. cit.] si focalizza su tre aspetti: interfaccia utente, progetta-zione di attività di apprendimento, e valutazione del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento; Hall [2001, op. cit.] sottolinea l’importanza dell’organizzazione del sito, e suggerisce di sfruttare le caratteristiche dell’ambiente ipermediale per fornire flessibi-lità e controllo allo studente, di usare le risorse disponibili sul web, e di integrare attività collaborative. La pedagogical usability In una ricerca che ha inteso riunire le diverse professionalità per affrontare al meglio le problematiche di usabilità, condotta tra il 2001 e il 2003 alla Open University nel Regno Unito, Kukulska-Hulme et al. (2004) propongono il loro concetto di usabilità pedagogi-ca, un insieme di aspetti da considerare per il miglioramento dell’esperienza di appren-dimento su piattaforme web. Il gruppo di ricerca individua quattro diversi livelli di usabilità: • usabilità specifica relativa al contesto (Context specific usability), legata agli aspetti

e alle esigenze di particolari discipline e corsi • usabilità accademica (Academic usability), che riguarda le problematiche e le strate-

gie pedagogiche e didattiche • usabilità generale (General usability), che si occupa degli aspetti di usabilità comuni

a tutti i siti internet • usabilità tecnica (Technical usability), che affronta i problemi tecnici, quali link non

funzionanti e l’affidabilità del server.

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I quattro livelli sono interdipendenti, inevitabilmente si sovrappongono e influenzano reciprocamente, e sono tutti necessari per il buon funzionamento di una piattaforma di apprendimento. L’usabilità tecnica assicura le prestazioni di base per il funzionamento del sito; quella generale, soddisfacendo i requisiti per una fruizione ottimale, si innesta in quella acca-demica; che specificando gli aspetti didattici come l’integrazione delle risorse di ap-prendimento e il soddisfacimento dei bisogni degli studenti, raccoglie la gran parte dei princìpi di un sito di apprendimento. Sebbene il livello della academic usability può essere descritto alternativamente come pedagogical usability, di quest’ultima viene data un’interpretazione, come il punto focale che attrae altri aspetti. Infine, da quella acca-demica dipende quella del contesto, che esplora gli aspetti specifici di una determinata disciplina, ad esempio nell’apprendimento della lingua l’accesso a siti di culture diverse richiede competenze interculturali. I ricercatori hanno concluso sottolineando l’importanza del lavoro sinergico tra tecnici, designer ed esperti disciplinari, ma soprattutto - “per andare al cuore dell’usabilità pe-dagogica” - la necessità dell’integrazione nella web usability della specificità delle co-munità, dei contesti e delle discipline. Verso la teachability Il framework della pedagogical usability proposto da Kukulska-Hulme, e in particolare i livelli della academic usability e della context specific usability, e il concetto di “ada-ptability” [Ruokamo et al., 2005, op. cit.] che sposta il focus dall’interfaccia ai contenuti, vengono ripresi da Karevaara [2005] in uno studio volto a indagare il concetto della “teachability”, che può essere considerata un sottoinsieme della adaptability (in Figura 15 le relazioni della pedagogical usability). La ricercatrice ritiene che la ricerca sulla pedagogical usability - troppo connessa con quella sull’usabilità, focalizzata fortemente sull’interfaccia e sull’apprendimento - possa essere completata considerando l’intero processo insegnamento-studio-apprendimento, che nel caso del mobile learning combina la didattica in presenza a quella online. Propone dunque l’analisi della teachability di specifici contesti in setting multimodali. Mentre la “studiability” delle materie descrive il punto di vista degli studenti ed è più legata alla pedagogical usability, la teachability è legata all’efficienza dei contenuti dei materiali didattici digitali e degli argomenti dal punto di vista didattico e degli inse-gnanti. In senso ampio la teachability può essere descritta come l’uso creativo e perti-nente dei contenuti di insegnamento, e non è limitata agli ambienti di apprendimento online perché il focus sono i contenuti.

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In definitiva, un approccio che consideri la specificità delle discipline, delle strategie didattiche, dei contesti di apprendimento, e dei contenuti, consente di allargare la prospettiva della pedagogical usability estendendola all’intero processo insegnamento-studio-apprendimento.

Figura 15. Relationship of pedagogical usability [Karevaara, 2005].

Relationship of pedagogical usability

Adaptability• takes the form externalization of

usability• general approach for improving

the usability of the materials• IRFXV�RQ�HQKDQFLQJ�WKH�HI¿FLHQF\�

of subject matters• a means of facilitating teaching-

studying-learning process

Studiability /pedagogical usability• focus on learning• focus on enhancing interface,

tools, content, and the tasks• focus on e-learning environments

Usability• optimising user experience with

an interactive system• focus on e.g. consistency and

error prevention

Teachability• HI¿FLHQF\�RI�WKH�FRQWHQWV• FRQWH[W�VSHFL¿F�DSSURDFK• FRQWHQW�VSHFL¿F�DSSURDFK• ÀH[L�PRGH�DSSURDFK

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4. Responsive design

Viviamo in un mondo mobile. Sempre più spesso possiamo leggere questa affermazione in articoli, pubblicazioni, ricerche scientifiche. Con il passare degli anni, così come te-stimoniato dai report periodici, gli utenti di cellulari e tablet aumentano e l’accesso ai contenuti avviene sempre più frequentemente da tali dispositivi, invece che da notebook e computer desktop, i primi report di quest’anno parlano di un quarto di tutto il traffico web. Dagli scambi comunicativi sui social network, alla consultazione della posta elet-tronica, alla lettura di quotidiani online, alla ricerca di locali, alberghi e orari, sino alle più complesse transazioni economiche per effettuare acquisti di servizi e prodotti sono effettuate anche da smartphone. Ne deriva che l’esperienza web sui diversi dispositivi che affollano la nostra vita, in primis il cellulare, il più diffuso e quello con le dimensioni più compatte, non può esse-re più considerata secondaria, né delegata agli adattamenti resi disponibili dai sistemi operativi dei dispositivi. Questo scenario induce a pensare alla progettazione di siti, partendo dalla fruizione mo-bile in primo luogo, il web design deve essere pensato in termini di “Mobile First”. Nuove tecniche emergono tentando di fornire un approccio all’attività di design che effettivamente faccia proprie le caretteristiche del medium web.

4.1 Cos’è il responsive design

Il “responsive design” è un insieme di tecniche e princìpi per adattare design ed elemen-ti interattivi di un sito web alle dimensioni e orientamento del monitor, alla piattaforma, e ad altre variabili che influiscono sulla visualizzazione perché l’esperienza di visualiz-zazione sia ottimale su qualunque dispositivo e dimensione del monitor. Il termine responsive design è stato coniato da Ethan Marcotte [2011], il quale ha inteso riunire in un’unica etichetta l’insieme di tecniche esistenti - quali griglie fluide, imma-gini flessibili, media queries - utili a rendere flessibile un layout.

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Il significato di responsive design, va oltre la singola tecnica o il semplice stratagemma, e rappresenta un nuovo approccio all’attività di design, che viene ripensata in un’ottica completamente nuova. Si tratta di pensare al modo migliore in cui gli elementi di contenuto e di interazione possano essere visualizzati per la migliore user-experience per monitor di dimensioni diverse. Ormai non si sa più se un determinato libro, sito web, artefatto comunicativo, porzione di contenuto, verrà letto su una pagina stampata o su un dispositivo elettronico e in quest’ultimo caso, non si sa in che tipo di dispositivo, quale tecnologia utilizza, che di-mensione ha, se è a colori o meno. Non si sa nulla sulle modalità di fruizione, che pos-sono essere diverse anche da parte dello stesso utente, che potrebbe leggere o studiare un libro decidendo di utilizzare tecnologie diverse a seconda delle occasioni d’uso che gli si presentano nell’arco della giornata. Non è escluso che si possa decidere di acqui-stare un libro sia nella versione cartacea, sia in quella elettronica, in formato e-book. La flessibilità del web, coinvolge ormai tutta l’editoria, e il significato associato a quel-lo che da sempre è stato chiamato libro è diventato incerto. La flessibilità ha da sempre caratterizzato il web, sin dalla sua nascita, ed è una sua peculiarità distintiva. Tuttavia, per lungo tempo, il web ha ereditato il vocabolario del suo progenitore cartaceo, e tutta l’attività di design ha fortemente risentito dell’approccio e della storia del design della pagina a stampa. D’altro canto questo influsso è abbastanza naturale, la storia secolare del graphic design inevitabilmente contribuisce a forgiare il nuovo medium web, del quale non si conosco-no le sue specificità comunicative e linguistiche. La storia dei media ha abituato ad ana-loghe transizioni, ogni qualvolta un media nuovo si è affacciato nell’arena del sistema mediale, è stato analizzato e utilizzato con lo stesso approccio di quello precedente; si pensi alla televisione dopo la radio, al cinema dopo il teatro. Il passaggio dalla stampa al web, come ricorda Marcotte [2011], non solo propaga un linguaggio, ma soprattutto un concetto ineludibile per il lavoro di qualunque artista, ov-vero quello di pagina, tela, di spazio con un limite fisico al lavoro. La scelta del formato, rappresenta il punto di partenza obbligato per qualunque forma creativa. La prima scelta, fondamentale nell’approccio a qualunque lavoro, è quella di stabilire una dimensione e una forma, un’altezza e una larghezza che delimitano. Analogamente, nell’attività di web design, i designer iniziano il loro lavoro scegliendo la dimensione del loro layout, ma questa scelta deve scontrarsi con le tante variabili che caratterizzano la fruizione di quella pagina, di quelle dimensioni, da parte di un utente che utilizzerà un determinato browser con proprie caratteristiche, un insieme di caratteri

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tipografici, un monitor con colori e dimensioni diverse. La pagina non è più quindi quella che è stata impostata in fase di design, ma quella del browser. Certo, questa idea di flessibilità e di incertezza della forma pone delle questioni che vanno ben al di là delle esigenza di controllo da parte dei designer, mettendo in discus-sione l’idea condivisibile che esista una correlazione tra il testo e la sua rappresenta-zione tipografica [Anichini, 2010]. Un contributo senza dubbio interessante, e che riassume quanto sin qui detto, è quello fornito da John Allsopp [2000] nell’articolo “A Dao of Web Design”, scritto sul web magazine “A list Apart”, considerato da molti il punto di partenza del responsive design. Allsopp ritiene che si possa comprendere molto del web dalla filosofia del Tao, che ha origine da un testo antico, il Tao Te Ching, strutturato in 81 capitoli che analiz-zano l’esperienza umana attraverso il tema dell’armonia. Controllo, flessibilità, acqua, forme, sono le metafore utilizzate in alcuni passaggi del Dao, attraverso le quali Allsopp motiva la bontà della filosofia orientale quale strumen-to di analisi del web, e che mutua per descrivere le caratteristiche di fluidità, flessibilità e incoltrollabilità del web. L’autore pensa che sia importante comprendere la relazione che esiste tra un medium esistente, la carta stampata, e quello che chiama suo figlio, il web, lasciando quest’ulti-mo libero di muoversi a proprio modo nel mondo. I possibili approcci Di fronte allo scenario descritto, dominato da dispositivi e condizioni d’uso diverse, in continua evoluzione, caratterizzato dall’incertezza, vi sono tre possibili approcci al design. 1. Prima opzione: non fare niente Assunti alcuni limiti, li si accetta, scegliendo una dimensione fissa uguale a quella dei monitor più piccoli che hanno una fascia di utenza non irrilevante. Progettando quindi per quella che potrebbe essere definita la dimensione media. Questo approccio ha il vantaggio di progettare e sviluppare una volta, ma evidentemen-te rende fragili i progetti, completamente in balìa di scelte, preferenze, gusti, che sono quelli dell’utente e quindi incontrollabili. La user experience in molte occasioni risulterà compromessa, i layout spesso saranno sbilanciati, con irragionevoli spazi bianchi; ricorrenti indesiderabili scroll in orizzontale, difficoltà da parte dell’utente di poter fruire dei contenuti e soprattutto di compiere dei task, non completamento quindi delle azioni intraprese, soprattutto quelle rischiose.

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2. Seconda opzione: progettare per ogni dispositivo Si tratta di un’opzione che prevede un progetto ad hoc per ogni dispositivo. Ovviamente scegliendo questa strada si ha un controllo totale del design, del layout e dei risultati; e flessibilità nei contenuti e nella gestione dei dati. Gli svantaggi sono l’elevato costo in termini di tempo di progettazione e implementazione; ridondanze nello sviluppo, possi-bili inconsistenze tra dispositivi. 3. Terza opzione: progettare una volta, progettare per tutti La terza opzione, quella che emerge, si diffonde e sta diventando lo standard. Assicura consistenza tra i dispositivi, l’accorpamento delle dimensioni dei monitor in categorie riduce il numero di design, il tempo di sviluppo rispetto al design per ogni dispositivo è ridotto. Richiede però un tempo di apprendimento delle tecniche di sviluppo, un extra time di sviluppo rispetto alla prima opzione, e la gestione dei dati può fallire se non ge-stita correttamente. È possibile perseguire quest’ultima opzione sposando l’approccio del responsive design. Gli elementi del responsive design Il responsive design richiede quindi un approccio completamente diverso alla progetta-zione del layout. La progettazione di layout è sempre stata un’attività complessa, anche quando gli ele-menti erano fissi e il loro posizionamento era definito da misure assolute, ora con l’esi-genza di renderli adattivi, tale complessità cresce in modo considerevole. Quindi elevata complessità, e al contempo sfida impegnativa e affascinante per la co-munità di designer, chiamata a dare risposte nuove a esigenze del tutto nuove e peraltro in continuo mutamento. Lavorare in ottica responsive, per quanto riguarda gli aspetti visuali di front-end signifi-ca essenzialmente gestire 3 aspetti [Marcotte, 2011]: - un layout basato su una griglia flessibile - immagini e media flessibili - media queries, possibilità offerta dalla versione CSS3. Gestendo questi aspetti si possono ottenere layout flessibili in grado di adattarsi ai biso-gni e alle preferenze dell’utente e dei dispositivi e browser su cui sono visualizzati.

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4.2 Creare layout flessibili

Uno dei concetti base del graphic design è quello di griglia o gabbia, ovvero un sistema di suddivisione dello spazio della pagina in righe e colonne - volto a ospitare gli ele-menti di testo e le immagini, e di definizione di margini e rientri. Una gabbia di impa-ginazione è dunque uno schema compositivo che definisce le regole di messa in pagina. Tale schema consente al fruitore di poter avvantaggiarsi di composizioni tipografiche regolari e bilanciate che facilitano la leggibilità, e al produttore di avere un riferimento costante che suggerisce un insieme di soluzioni, tutte accomunate da un analogo sistema di regole. Questo concetto basilare per la stampa, che si fonda sulla presenza di uno spazio delimi-tato e misurabile, quello della pagina, deve scontrarsi con l’evenienza dell’assenza della pagina nel web. La pagina così come è conosciuta, con una base e un’altezza, non c’è più. Al suo posto c’è la finestra del browser, che può assumere dimensioni non prevedibili e che può an-che essere ridimensionata dall’utente durante la fruizione. Lo spazio in cui gli elementi di rappresentazione grafica trovano posto non ha una proporzione data e anche l’orientamento, verticale o orizzontale, non è conosciuto. Layout con dimensioni fisse possono allora portare a problemi di accessibilità. C’è bi-sogno di ripensare il design, in modo che i contenuti possano fluire in qualunque dimen-sione, orientamento e proporzione. Un modo per poter creare pagine flessibili è quello di progettare il layout usando le per-centuali; larghezza della pagina, margini, dimensioni dei font, anziché essere espressi in valori assoluti possono essere specificati in termini di percentuali delle dimensioni degli elementi che li contengono. Usando percentuali e valori relativi per specificare il layout della pagina consente di avere pagine adattive, che si adattano alle diverse evenienze. Tipologie di layout Si possono distinguere quattro tipologie diverse di layout che discendono da altrettanti modi con cui posizionare e impostare le dimensioni degli elementi. Layout fisso Significa adottare il paradigma della stampa. Le misure dei contenitori e degli elementi all’interno di essi sono definite e fisse (Figura 16).

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Vantaggi - è più facile operare delle personalizzazioni - non vi è nulla da apprendere - i risultati sono preventivabili e predicibili. Vi è pieno controllo di dimensioni e posizione degli elementi. Svantaggi - tutte le misure e le posizioni devono essere variate e adeguate ai diversi monitor - il processo di adattamento richiede un’opportuna gestione, per evitare inconsistenze,

spazi bianchi indesiderati ed eccessivi, configurazioni sbilanciate, non più all’altezza del design originario

- comparsa di inutili scroll, scadimento dell’usabilità.

Figura 16. Layout fisso, le misure degli elementi sono definite e fisse.

Layout Fluido Generalmente il contenitore occupa l’intera larghezza del monitor e le misure dei contenuti è definita in termini percentuali del contenitore (Figura 17). Vantaggi - i contenuti si adeguano ai monitor facilmente e in ogni occasione - lo spazio bianco è sempre relativo alle dimensioni dei monitor - è assicurata l’assenza di scroll orizzontali. Svantaggi - monitor molto larghi possono portare a un eccessivo dilatamento delle righe di testo.

Al contrario su quelli piccoli i contenuti potrebbero essere troppo compressi in co-lonne molto strette. Entrambe le evenienze impattano sul testo pregiudicandone la leggibilità

- non vi è più controllo sull’aspetto degli elementi presenti nel layout - foto, video e altri componenti di dimensione fissa possono risultare compressi, non

più adeguatamente proporzionati al contesto e richiedono un trattamento adeguato per aggirare le problematiche.

px px

px px

px pxpx px

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Figura 17. Layout fluido, le misure degli elementi sono espresse in termini percentuali.

Layout elastico In un layout elastico le dimensioni di tutti gli elementi sono impostate in em (e non in pixel), che è una misura relativa. Un em è uguale alla dimensione corrente del docu-mento, se per esempio la dimensione dei caratteri di un documento è 11 punti, allora 1em è uguale a 11 punti. Quindi un layout elastico si ridimensiona in base alla dimen-sione del testo dell’utente. Vantaggi - gli elementi cambiano dimensioni relativamente alla dimensione base dei caratteri,

che è basata sulle preferenze dell’utente Svantaggi - difficile da gestire correttamente, nessun pixel è perfetto, il che rende difficile creare

design precisi.

Layout ibrido È un approccio che evidentemente mutua caratteristiche di tutti i precedenti, coniugando elementi fluidi (navigazione, banner), ad altri fissi (articoli, immagini) ed elastici (carat-teri). Inoltre è possibile intervenire sul codice per selezionare misure fisse per deter-minate dimensioni del monitor. Caratteri e margini flessibili Con i CSS è possibile specificare la dimensione del font come una percentuale di un elemento genitore. Per esempio, i titoli sono all’interno del body della pagina. Se non si imposta una dimensione per il testo nel body, allora il testo del body sarà nella dimen-sione che il lettore ha scelto come dimensione di default. In questo modo si migliora l’adattabilità di una pagina semplicemente non facendo niente, infatti così i lettori han-no la possibilità di renderlo più piccolo o più grande sul loro browser, a seconda dei loro gusti e dei loro bisogni.

% %

% %

% % % %

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Per evidenziare titoli e altri elementi si può specificare che i titoli di primo livello siano 30% più grandi del corpo del testo, quelli di secondo livello potrebbero essere più gran-di del 25% e così via. In questo modo, indipendentemente dalle dimensioni che l’utente sceglie per il testo principale, i titoli saranno scalati in proporzione al testo principale. Il testo può anche essere scalato per essere più piccolo del corpo del testo, tuttavia, questo può portare a situazioni in cui risulta illeggibile. È quindi sufficiente evitare misure assolute per i font e usare dimensioni proporzionali per i titoli, per rendere le pagine molto più adattabili e accessibili. I semplici esempi che seguono mostrano come è possibile utilizzare percentuali e misu-re relative per ottenere margini, pagine e font flessibili, usando i CSS. Larghezza della pagina Espressa in termini assoluti, la larghezza pagina, potrebbe essere definita con le se-guenti regole CSS, peraltro ampiamente utilizzate da diversi designer in molti progetti #contenitore {

width: 1000px;

margin: 0 auto;

}

Questo codice imposta la larghezza della pagina a 1000px, centrandola all’interno della pagina del browser attraverso il settaggio dei margini destro e sinistro ad auto. Si potrebbe però impostare la larghezza della pagina in modo che si modifichi adatti-vamente, rimanendo una proporzione costante pari al 90% della larghezza della finestra del browser. Il relativo CSS è il seguente: # contenitore {

width: 90%;

margin: 0 auto;

}

Margini Margini, rientri e altri aspetti del layout possono anche essere specificati in relazione alla dimensione del testo che le contengono, usando l’unità relativa <em>. Per quanto riguarda i margini, specificando:

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p { margin: 0 1em;

}

si dice che i margini sinistro e destro dei paragrafi è pari all’altezza del font utilizzato in quel paragrafo. Cosicché, se un utente modifica la dimensione del font, i margini auto-maticamente vengono adeguati crescendo o diminuendo proporzionalmente. Font Per impostare la dimensione base del testo a quella di default del browser, che è soli-tamente 16 pixel, si specifica: body {

font: normal 100% Arial, Helvetica, Sans Serif;

}

In questo modo si possono usare gli em per impostare i font in termini relativi a questa dimensione base. Quindi, per ottenere una dimensione del carattere all’interno del paragrafo di 20px, si deve impostare il selettore p nel seguente modo: p {

font-size 1.25em;

}

In generale, le misure relative possono essere calcolate attraverso la semplice formula: obiettivo ÷ contesto = valore da impostare Nell’esempio che si sta sviluppando, si avrebbe 20 ÷ 16 = 1.25

Questo significa che se l’impostazione nel body del carattere base fosse stata di 20px, espressa con il seguente CSS: body {

font: normal 125% Arial, Helvetica, Sans Serif;

}

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per ottenere lo stesso risultato, il carattere nel paragrafo dovrebbe essere così impostato: p {

font-size 1em;

}

in quanto 20 ÷ 20 = 1 Quando si utilizzano misure relative è importante comprendere che tali misure fanno riferimento al contesto in cui vengono utilizzate. Si supponga, così come nella prima parte dell’esempio, di aver impostato il valore base al 100% e di aver attribuito al paragrafo il valore del 125%. E di voler inserire all’interno del paragrafo un collegamento ipertestuale che sia 20px, ovvero uguale al resto del paragrafo. L’HTML è il seguente: <p>Paragrafo <a href="#">Con collegamento >></a></p>

Attribuendo alla dimensione della font per il selettore a (collegamento ipertestuale) il valore di 1.25em, non si ottiene il valore desiderato, ma un valore maggiore, in quanto il contesto attuale è il paragrafo che ha una dimensione di 1.25em. C’è quindi bisogno di considerare il contesto di riferimento, applicando la regola obiettivo ÷ contesto = valore da impostare

ottenendo quindi 20 ÷ 20 = 1. Impostando il font-size a tale valore, si ottiene una dimensione di 20 pixel per il col-legamento, raggiungendo l’obiettivo, attraverso l’utilizzo di misure relative e scalabili quali gli em. I CSS e il risultato nel browser (Figura 18). body { body {

font-size:100%; font-size:100%;

} }

p { p {

font-size:1.25em; font-size:1.25em;

} }

a { a {

font-size:1.25em; font-size:1em;

} }

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Figura 18. Misure relative e contesto.

Griglie flessibili Lo stesso approccio utilizzato per i font può essere impiegato per ottenere griglie fles-sibili, evitando di usare misure fisse in pixel per la pagina, le righe e le colonne. Per farlo bisogna tradurre i valori in pixel del layout in termini percentuali, questo con-sente di ottenere una gabbia che si adatterà, mantenendo il design originale. Si supponga di dover tradurre in HTML lo schema in Figura 19, basato su una griglia di 13 colonne di 75 pixel ciascuna, con uno spazio tra l’una e l’altra di 15 pixel, per un totale di 1155 pixel. Cosicché, header e footer sono larghi 1155 pixel, mentre nav misura 180 pixel, content 690 pixel, side 255 pixel.

Figura 19. Layout basato su una griglia strutturata in 13 colonne di 75 pixel e spazi di 15 pixel.

Header

Nav

Footer

Content Side

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Il markup sarà: <div id=”container”>

<div id=”header”> … </div>

<div id="nav"> … </div>

<div id="content"> … </div>

<div id="side"> … </div>

<div id="footer"> … </div>

</div>

Il CSS (solo per la parte relativa alle larghezzze dei blocchi) che produce una gabbia fluida lo si ottiene traducendo i valori con la formula: obiettivo ÷ contesto = valore da impostare

Si ha così: #container { #container {

width: 1155px; max-width: 1200px;

margin: 0 auto; margin: 0 auto;

} }

.nav { .nav {

width: 180px; width: 0,15584416%; /* 180px/1155px */

} }

.content { .content {

width: 690px; width: 0,5974026%; /* 690px/1155px */

} }

.side { .side {

width: 255px; width: 0,22077922%; /* 255px/1155px */

} }

L’utilizzo dei commenti consente di ricordare facilmente i valori originali da cui è scaturito il termine proporzionale.

Page 100: Wireless society, mobile learning

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Il layout che si ottiene con i valori fissi, espressi in pixel rispecchia fedelmente il moc-kup, ma è evidentemente un layout fisso che non si adatta alle diverse situazioni di visualizzazione, quindi non in grado di interpretare adeguatamente le caratteristiche di flessibilità del web, ampiamente illustrate in precedenza. Esso risulterà adatto ad essere visualizzato su monitor con una larghezza massima di 1200 pixel. Viceversa, adottando le misure percentuali ricavate con semplici divisioni, si ottiene un layout ridimensionabile, in grado di mantenere le caratteristiche del progetto originale. Al contenitore è stata attribuita la larghezza massima di 1200 pixel, la scelta è stata arbi-traria, si sarebbe potuto lasciare il valore 1155, oppure scegliere un valore percentuale, ad esempio 90%, indicando che il contenitore ha sempre una larghezza pari al 90% della finestra del browser, quello che conta è che la larghezza della pagina non è espressa in termini fissi, e la pagina sarà sempre visibile nella sua interezza, centrata all’interno dell’area di visualizzazione. Non sono stati inseriti header e footer, in quanto occupando sempre la larghezza del contenitore, non servono modifiche, perché anche in un layout fisso possono essere espresse in termini percentuali. Le impostazioni vanno tuttavia rifinite estendendo, in modo analogo, i valori relativi anche ai margini. È importante ricordare che quando si applica la formula per ottenere i valori percentuali, bisogna prendere in considerazione il contesto, quindi quando si impostano i margini, il contesto è l’elemento contenitore, quando si imposta il padding invece il contesto è rap-presentato dall’elemento stesso. È stato così realizzato un layout flessibile con alcune semplici divisioni che hanno con-sentito di esprimere i valori in termini proporzionali sulla base del contesto in cui un determinato elemento trova posto. Si ripartirà, più avanti nel testo, da questo layout fluido per sviluppare l’intero layout responsive, impostando opportunamente i breakpoint. Immagini e media flessibili In una griglia flessibile come quella appena costruita il testo fluisce agevolmente, biso-gna creare le condizioni perché anche le immagini possano essere adeguatamente gestite per essere flessibili. Si supponga di aver voler inserire un’immagine nel testo e si imposti il seguente mar-kup:

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<div class=”foto">

<p>

<img src="foto.jpg" alt="" />

<span class="didascalia">Didascalia </span>

</p>

</div>

Dunque un elemento img seguito da una didascalia per la quale si è definita una classe didascalia che consente di ottenere un markup solido dal punto di vista semantico. Il relativo CSS potrebbe essere .foto {

float: right;

margin-bottom: 0.5em;

margin-left: 2.5%;

width: 48 %;

} Utilizzando un’immagine più grande dello spazio a disposizione nel contenitore è pos-sibile verificare subito che il layout è conservato integralmente, ma l’immagine deborda il contenitore. Il problema tuttavia è facilmente risolvibile con una semplice regola che riesce a co-stringere l’immagine nello spazio a disposizione. È sufficiente attribuire il valore 100% alla proprietà max-width, in questo modo: img {

max-width: 100%;

}

Questa regola ridimensionerà sempre l’immagine alla larghezza del contenitore, laddo-ve la sua larghezza sia in eccesso, mantenendola inalterata quando è inferiore a quella del contenitore. Inoltre, i browser recenti sono in grado di ridimensionare l’immagine proporzionalmen-te alle diverse misure che il contenitore flessibile assume, conservando la proporzione. La proprietà max-width può peraltro essere applicata anche a elementi come video e altri rich-media.

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Perché max-width funzioni correttamente nelle versioni precedenti a IE7 servono degli accorgimenti. Ci sono diversi approcci, generalmente basati su javascript; queste tecni-che non saranno affrontate, lasciando l’approfondimento al lettore che lo desideri. In alternativa e più semplicemente è possibile costruire in un foglio stile separato per le versioni minori o uguali a IE6 in cui si usa la proprietà width al posto della max-width.

img {

width: 100%;

}

Questo cambiamento però avrà gli stessi risultati per la max-width, costringendo l’immagine alle dimensioni del contenitore, ogni qual volta lo eccede, con la controin-dicazione di avere effetto anche nei casi in cui l’immagine è più piccola, ingrandendola fino a riempire tutto lo spazio a disposizione. Per evitare questo comportamento che potrebbe essere non sempre desiderato, gene-rando in alcuni casi immagini a bassa risoluzione, è possibile limitare l’applicazione di width: 100% ad alcuni casi, utilizzando una lista di selettori, o a certe aree del docu-mento.

img.full,

object.full,

.main img {

width:100%;

}

In alternativa alla proprietà max-width, che costringe la larghezza di un’immagine a quella del suo contenitore, è possibile tagliare semplicemente la parte eccedente con la regola overflow: hidden. Quindi la regola può essere riscritta così: .foto {

overflow: hidden;

}

.foto img {

display: block;

}

Page 103: Wireless society, mobile learning

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Questi due metodi rappresentano due modalità diverse per assicurare che un’immagine venga ricompresa in una larghezza che non ecceda lo spazio a disposizione: la prima adeguandone la larghezza, la seconda tagliando l’immagine. Queste soluzioni non tengono conto del tipo di contenuto, e potrebbero risultare en-trambe non soddisfacenti, soprattutto nei casi in cui vi sono dati da leggere, ad esempio nelle infografiche. Perché potrebbero essere troppo piccoli o perché potrebbero essere tagliati. In questi casi potrebbe essere preferibile avere diverse versioni della stessa im-magine a risoluzioni diverse.

Immagini di background Per avere immagini di background flessibili che si ridimensionano con il layout è possi-bile utilizzare la proprietà CSS3 chiamata background-size, che però non è ancora pienamente supportata dai browser. La limitazione può essere aggirata con soluzioni basate su jQuery (http://bkaprt.com/rwd/21). Il CSS che imposta un’immagine di background per un determinato blocco è:

#container {

width: 220px;

background: url(immagine.jpg) no-repeat center center;

}

Per far sì che l’immagine si adegui alle dimensioni del blocco, nel CSS è sufficiente aggiungere una riga: background-size: 100% 100%.

Tale proprietà può essere utilizzata anche con valori assoluti in pixel, e se i valori dei due parametri sono uguali, se ne può utilizzare solo uno. Quindi per dire che l’immagi-ne è un quadrato di 50 pixel, si ha: background-size: 50px;

ma in tal caso, evidentemente, l’immagine non si adeguerà in modo flessibile alle di-mensioni del contenitore.

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4.3 Media queries

L’impiego di misure relative e di valori percentuali, come si è visto, consente di avere una certa flessibilità nei layout, che così riescono ad adattarsi alle dimensioni dei diversi monitor. Per provare velocemente come il layout si adatta è sufficiente ridimensionare la finestra del browser, simulando monitor e dispositivi diversi. Così facendo ci si può rendere conto di come gli adattamenti automatici dei contenuti nella finestra del browser non sono sufficienti a mantenere una consistenza visiva con il progetto originale. Lo spazio visivo viene ridefinito in modo non sempre coerente, le gerarchie visive vengono meno, l’effetto percettivo che se ne trae può essere pesantemente diverso da quello progettato, il senso può essere compromesso. Infatti, la decodifica di uno spazio visivo è frutto del-la relazione tra i vari elementi e nella definizione di questa relazione la gerarchizzazione gioca un ruolo centrale. Il semplice rifluire del testo, e gli adattamenti delle immagini, non sono sufficienti ad assicurare adattamenti che conservino le caratteristiche di un determinato layout, e quin-di a generare analoghe risposte dell’utente e ad assicurare un’esperienza assimilabile. È evidente che quanto più le dimensioni del monitor diminuiscono, tanto più le inconsi-stenze e le problematiche emergono: elementi che diventano illeggibili perché troppo piccoli, testi che vanno a capo continuamente perché costretti in colonne molto strette, immagini tagliate in modo incomprensibile, spazio visivo sbilanciato e senza equilibrio. Sebbene con monitor piccoli le problematiche assumono maggior rilievo, risultati non soddisfacenti si possono avere anche con monitor estremamente grandi. Immagini trop-po grandi potrebbero non rispondere al loro ruolo nella configurazione visiva; colonne di testo estremamente ampie rendono difficile la fruizione, si ricorda a questo proposito che l’intervallo accettabile per una leggibilità ottimale va da 45 a 75 caratteri per riga [Bringhurst, 2002]. Tuttavia le indicazioni sul numero ottimale di caratteri per riga, non possono essere considerate rigidamente (come peraltro qualunque linea guida nel de-sign) nel caso di dipositivi mobili con monitor piccoli: è presumibile infatti che siano accettabili un numero inferiore di caratteri. In breve un layout fluido, così come uno a dimensioni fisse, nel ridimensionamento non conserva le caratteristiche della dimensione a cui è stato progettato. Il responsive design non lo si ottiene con la mera impostazione di misure relative e pro-porzionali.

Page 105: Wireless society, mobile learning

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La soluzione a queste problematiche, legate a layout fluidi, è rappresentata dalle Media Queries, una modalità che consente di caricare in modo condizionale un foglio di stile o semplicemente una regola CSS. Il primo passo verso il responsive design sono stati i Media Types, parte delle specifi-che CSS2. L’idea alla base dei media types è quella di categorizzare i diversi media per caricare condizionalmente i diversi CSS, corrispondenti a diversi design, a seconda del media utilizzato dall’utente. Nella categoria all e nel foglio di stile corrispondente, risiedono le regole comuni a tutti i media. Il caricamento condizionale avviene attraver-so la personalizzazione dell’attributo media di un link. Il browser riconosce il tipo di media e seleziona il CSS corrispondente. Ad esempio: <link rel="stylesheet" href="global.css" media="all"/>

<link rel="stylesheet" href="screen.css" media="screen"/>

<link rel="stylesheet" href="print.css" media="print"/>

L’idea sottesa dai media types, che teoricamente rappresenta una soluzione ottima e funzionale al problema della progettazione per i diversi dispositivi, mostra i suoi punti di debolezza con l’ingresso sul mercato di una miriade di dispositivi mobili, cellulari di tipo diverso e tablet, che sono stati tutti quanti categorizzati con il media type handheld. Un CSS progettato per il media type handheld non è in grado evidentemente di andar bene per i primi feature phone, per un iPhone 3 e per tutti i nuovi smartphone che con ritmo vorticoso fanno il loro ingresso sul mercato; problematica replicata dalle caratteri-stiche del mercato dei tablet. Di fronte a questi punti di debolezza, il W3C ha migliorato il meccanismo dei media types, proponendo nei CSS3 quello delle media queries, strumento solido e potente, in grado non solo di riconoscere il tipo di dispositivo, ma anche le caratteristiche fisiche degli stessi e dei browser che renderizzano i contenuti. La struttura di una media query Una media query è strutturata in due parti: • inizia con un media type in accordo con l’elenco dei media type approvate dalle spe-

cifiche CSS 2.1; • a cui segue la query, la quale va inserita tra parentesi tonde. Ad esempio:

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@media screen and (min-width: 768px) {

body {

font-size: 100%;

}

}

La query specifica il nome di una caratteristica (min-width) e il valore corrispondente (768px). Il browser, quando renderizza il CSS, dunque verifica l’accadere di due condizioni: nel nostro esempio che il media type appartenga allo screen; e che la larghezza del lato cor-to non sia inferiore a 768px. Se entrambe le condizioni sono soddisfatte, allora il browser renderizza gli stili, altrimenti li ignora. Una media query è dunque un’espressione logica che può essere vera o falsa. Si posso-no usare anche altri operatori logici come or, not e only. Ad esempio, si applicherà il colore rosso ai caratteri per i dispositivi che non hanno un monitor monocromatico, scivendo: @media screen and (not mono-chrome) {

body {

font-color: red;

}

}

La parola chiave only nasconde invece il foglio di stile ai browser più datati. Scrivendo @media screen and (min-width: 768px)

il CSS si applica al media type screen. Invece con @media="only screen and (min-width: 768px)

i vecchi browser ignoreranno la dichiarazione. Le query possono essere anche più complesse e combinare più espressioni. La query che segue è vera se la pagina viene visualizzata su un monitor con una larghezza mimi-ma di 768px e un aspect ratio di 16/9. @media screen and (min-width: 768px) and (device-aspect-ratio:

16/9)

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Inoltre è possibile raggruppate più query in una lista separandole con una virgola: @media screen and (min-width: 768px), tv and (color)

Una media query può essere dichiarata in tre diversi modi. Inserendo la query: • direttamente all’interno del foglio stile come parte di una dichiarazione di tipo

@media • nell’attributo media di un elemento link <link rel="stylesheet" href="wide.css" media="screen and

(min-width: 768px)" /> • in un’istruzione @import: @import url("wide.css") screen and (min-width: 1024px);

L’utilizzo dell’approccio @media è probabilmente da preferire in quanto consente di inserire in un unico file tutti gli stili. I tipi di media I diversi media sono riportati in Figura 20.

all il CSS viene applicato a tutti i media. È il valore di default

screen monitor di computer

print pagina stampata

projection presentazioni e proiezioni

speech dispositivi a sintesi vocale

braille supporti basati sull’uso del braille

embossed stampanti braille

handheld dispositivi mobili con schermo piccolo

tty dispositivi a carattere fisso come i terminali

tv visualizzazione su schermi televisivi

Figura 20. Elenco dei tipi di media.

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Le caratteristiche da testare Le query possono testare un insieme di caratteristiche per selezionare un foglio stile. La Figura 21 le riepiloga.

width (min-, max-)

la larghezza dell’area di visualizzazione (display area) del documento. Su un browser web è rappresentata dal viewport e non ha nulla a che vedere con le dimensioni dello schermo del dispositivo @media screen and (min-width: 400px) and (max-width: 1024px)

height (min-, max-)

l’altezza dell’area di visualizzazione del documento

device-width (min-, max-)

la larghezza dell’intera area di rendering di un dispositivo. Si intende la larghezza dell’intero schermo del dispositivo, e non dell’area di visualizzazione del documento @media all and (max-device-width: 480px)

device-height (min-, max-)

l’altezza dell’intera area di rendering del dispositivo

orientation

l’orientamento del dispositivo. Accetta i valori landscape (orizzontale) e portrait (verticale). Per selezionare un iPad con orientamento portrait: @media all and (min-device-width: 481px) and (max-device-width: 1024px) and (orientation:portrait)

aspect-ratio (min-, max-)

il rapporto dell’area di visualizzazione. I valori si esprimono utilizzando i simboli ‘/’ e ‘:’. Quindi 3/4, 16:9

device-aspect-ratio (min-, max-)

il rapporto dell’area di rendering di un dispositivo, quindi tra la larghezza e l’altezza. La query che segue applicherà le regole CSS se lo schermo ha un rapporto di 16/9. @media screen and (device-aspect-ratio: 16/9)

color (min-, max-)

il numero di bit per componente colore del dispositivo. Assume valori interi tra ‘0’: un dispositivo che non supporta il colore, e ‘8’: un dispositivo a milioni di colori. Per selezionare dispositivi che non supportano il colore: @media all and (color:0)

color-index (min-, max-)

numero di colori presenti nella tavolozza supportata dal dispositivo. Per selezionare dispositivi che supportano come minimo una tavolozza di 256 colori: @media all and (min-color-index: 256)

mono-chrome

simile a color, indica il numero di bit per pixel su un dispositivo monocromatico @media screen and (mono-chrome: 8)

resolution (min-, max-)

testa la risoluzione del dispositivo. Due esempi sono @media screen and (max-resolution: 72dpi) @media print and (min-resolution: 300dpi)

scan per il tipo mediatv, testa se il tipo di scansione è progressive o interlace

grid valuta se il dispositivo è di tipo ‘a griglia’, come i feature phones con un solo font a larghezza fissa

Figura 21. Elenco delle caratteristiche che si possono testare con le media query. Quando possono essere precedute dai prefissi min- e max- è indicato tra parentesi.

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Dimensioni e orientamenti dei monitor Esistono una moltitudine di monitor di diverse dimensioni, il cui numero tende peraltro a crescere senza soluzione di continuità. L’attività di design deve allora analizzare e scegliere i dispositivi da supportare, anche in considerazione di alcuni comportamenti dell’utente, per esempio molti utenti non massimizzano la finestra del browser. I dispo-sitivi mobili inoltre possono essere utilizzati in entrambi gli orientamenti, ai quali si fa riferimento con i termini “portrait” e “landscape”. I monitor delle postazioni fisse e quelli dei notebook hanno solo l’orientamento landscape, alcuni cellulari di vecchia ge-nerazione e smartphone di fascia bassa solo quella portrait (Figura 22).

Figura 22. Gli orientamenti dei dispositivi.

All’interno di questa variabilità è possibile operare dei raggrupamenti facendo emergere delle categorie. Queste categorie consentono di identificare le caratteristiche dei disposi-tivi più usati e di poter impostare l’attività di responsive design al meglio. I punti di passaggio tra una categoria e l’altra vengono definiti “breakpoint”. In questi punti si può decidere di impostare variazioni al layout della pagina atttraverso l’uso di media queries inserite nei CSS. Un elenco di breakpoint è riassunto nella Figura 23:

Mobile Mobile Tablet Standard Widescreen

Portrait Landscape Portrait / Landscape

Landscape Landscape

Fino a 480 481 / 767 768 / 1023 1024/1280 Da 1280 in poi

Figura 23. I breakpoint più diffusi.

Portrait Landscape

Notebook/DesktopSmart TVFeature phone Smartphone/Tablet

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Ovviamente queste categorie non possono tener conto dello sterminato numero di di-mensioni diverse. Tuttavia i breakpoint indicati rappresentano le principali tipologie: - Smartphone (con orientamento portrait o landscape) - Tablet (con orientamento portrait o landscape) - Notebook - Desktop con monitor ad alta risoluzione. Le corrispondenti media query potrebbero assumere la forma seguente:

@media screen and (max-width: 480px)

@media screen and (max-width: 768px)

@media screen and (max-width: 1024px)

@media screen and (max-width: 1280px)

Quando la visualizzazione avviene su un monitor di dimensioni maggiori a 1280px, saranno applicate le impostazioni presenti nel CSS, al di fuori delle media queries mostrate.

4.4 Progettare responsive

È opinione condivisa che l’approccio al responsive design debba prevedere in primo luogo l’individuazione e la definizione dei contenuti nell’ottica della riduzione della complessità. Ridurre la complessità Uno degli aspetti che caratterizza il design di interfacce grafiche e di interazione è la definizione della complessità visiva, ovvero del numero di elementi che compaiono, quindi il numero di elementi che l’utente deve decodificare per poter valutare le possibi-lità che ha. Risulta evidente che una riduzione della complessità visiva, minimizza il carico cogniti-vo, facilitando l’interazione. Tuttavia esiste un trade-off tra complessità visiva e com-plessità funzionale, dove quest’ultima è funzione del numero di passi che bisogna com-piere per completare un determinato compito. Quindi, al diminuire della complessità visiva, vi è un aumento di quella funzionale. La definizione della relazione tra queste due variabili rappresenta un’importante scelta di design.

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Istanziando queste considerazioni all’ambito mobile, ne risulta che probabilmente, in genere sia preferibile, più di quanto possa esserlo in applicazioni desktop, privilegiare la riduzione della complessità visiva. Ragionando in termini di raggiungimento di questo obiettivo è possibile individuare alcuni passi nell’approccio al design per un monitor dalle dimensioni ridotte: • semplificare i contenuti analizzare i contenuti e selezionare quelli che per un determinato sito si ritiene

possano essere quelli più utili e che l’utente si presume cerchi per primi. L’idea è di focalizzarsi sull’essenziale, tagliando tutto ciò che non ha un’effettiva utilità:

• raggruppare le informazioni individuare raggruppamenti dell’informazione che consentano di ridurre al massimo

le categorie • focalizzarsi sulle funzionalità mettere al centro le funzionalità, focalizzandosi sull’esperienza utente, tralasciando

aspetti meramente estetici. Progettare per il mobile estremizza allora quello che significa progettare: individuare, attraverso un processo iterativo, gli elementi essenziali dell’artefatto, allo scopo di offri-re un’esperienza d’uso che incontri le esigenze del visitatore. Si tratta di far propria un'ottica più ampia, i designer devono guardare oltre il layout che hanno di fronte, immaginando come rifluirà e apparirà alle diverse dimensioni mante-nendo forma e gerarchia [Walton 2011]. Progettare per uno smartphone non è semplice e gli adattamenti alle diverse dimensioni, conservando la consistenza delle diverse funzionalità, assicurando la stessa user-expe-rience serba delle difficoltà non irrilevanti. Si tratta di una sfida impegnativa che può essere vinta con il responsive design. Mobile first “Mobile first” è la filosofia emergente che ritiene che il design debba partire assumen-do che l’utente abbia a diposizione i pochi pixel di uno smartphone. Navigazione, contenuti e azioni e compiti devono essere pensati per sfruttare al meglio monitor di piccolo formato e per semplificare l’impegno dell’utente. Partendo da questo obiettivo e da questo punto di vista, è possibile migliorare progressi-vamente il sito o l’app, aumentando la visibilità e l’interattività man mano che la super-ficie a disposizione dei monitor diventa più grande [Wroblewski, 2011].

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Partendo dalla sfida più complessa, quella di progettare per il piccolo, è possibile più facilmente adattare al grande sfruttando lo spazio in eccesso e la facilità di interazione offerta dall’uso di personal computer in ambienti al chiuso e seduti comodamente su una sedia. Al contrario, un approccio al design che parta dai monitor grandi, potrebbe non assicurare un adattamento adeguato e di successo per il mobile. Quando non visualizzare su mobile Uno dei problemi che ci si è posti - oggetto di un dibattito nella comunità di sviluppatori e designer, che tentano di dare una risposta quanto più possibile adeguata - è quello se il markup debba essere lo stesso, indipendentemente dalle condizioni. La questione in gioco è comprendere la relazione che esiste tra contenuto e contesto d’uso, considerendo quest’ultimo non solo come la sommatoria di dimensioni del moni-tor e finestra del browser, ma nel suo significato più profondo, ovvero come insieme di caratteristiche legate anche alle affordance consentite, frutto del luogo fisico di intera-zione, dei momenti dell’interazione, delle posture in cui si effettua l’interazione; quindi dell’insieme di fattori ambientali e personali in cui si colloca la fruizione di un determi-nato artefatto. Infatti è accettabile l’idea, che da sempre gli studi sull’usabilità integrano nelle loro ri-cerche, che la fruizione cambia a seconda che l’utente è da solo o attorniato da altre persone, se avviene in piedi, da seduti, con una o entrambe le mani a disposizione, cam-minando, quando si è impegnati in altre attività, per strada. Inoltre tutte queste variabili, determinano anche quelli che sono gli obiettivi e gli interessi dell’utente momento per momento. È abbastanza intuitivo che se si sta cercando un albergo, assonnati, in un luogo che non si conosce, si è interessati esclusivamente ad alcune informazioni e non ad altre. Proba-bilmente la distanza, se c’è disponibilità, il modo di contattarlo ed eventualmente la categoria di prezzo. Di certo non si è interessati alla storia dell’imprenditore e dello sta-bile, ammesso che questo sia di interesse anche in altre condizioni. Ci sono due aspetti che supportano queste argomentazioni. Primo, il dispositivo implica un contesto, se l’utente è fermo o in mobilità, da cui si può derivare una classe di utenti e un insieme di obiettivi. In altre parole l’utente in mobilità vorrà accedere velocemente a compiti e contenuti diversi da quelli che vorrebbe se fosse seduto comodamente al proprio portatile, con più tempo e maggiore banda. Secondo, se le priorità e gli obiettivi dell’utente sono davvero differenti da un contesto all’altro, allora lo stesso HTML non sarà evidentemente la giusta risposta. Un visitatore mobile sarà costretto a imbattersi in una quantità di contenuti non di interesse, che ritar-

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dano l’individuazione di quelli cercati, perché dal punto di vista cognitivo bisogna compiere una selezione; perché la pagina potrebbe impiegare più tempo per essere cari-cata, soprattutto nel caso di immagini fotografiche; e perché le informazioni di interesse potrebbero essere relegate in fondo alla pagina, che negli smartphone è molto profonda per l’impaginazione a una colonna, constringendo a un lungo scroll l’utente. Tuttavia rileva Marcotte, che per quanto queste due argomentazioni siano pienamente condivisibili, bisogna ricordare che, così come dimostrato da molte ricerche, gran parte dell’impiego di dispositivi mobili non avviene realmente in mobilità, ma in casa, utiliz-zando una rete wifi. Questa considerazione ci fa quindi riflettere sul fatto che una definizione del contesto d’uso non può essere limitata alla categoria di dispositivo. Per arrivare a una corretta individuazione dei modi in cui un determinato sito viene usato, non è sufficiente capire se l’accesso avviene da dispositivo mobile o desktop e con quale browser, ma dove, come e quando viene usato. Ma soprattutto, responsive web design non deve essere inteso come modo per imple-mentare una modalità sostituiva per il mobile di un sito web. Responsive design è costitutito da due componenti, l’una di filosofia di design, l’altra di strategia di sviluppo. E come strategia di sviluppo, significa che deve essere valutata per verificare se soddisfa i bisogni del progetto su cui si lavora [Marcotte, 2011]. O c’è una buona ragione per separare le esperienze dei siti desktop e mobile, o i conte-nuti dovrebbero essere erogati da un approccio responsive. Quindi, se in alcuni casi, per gli utenti di alcuni siti, può essere opportuno erogare contenuti diversi; in altri, lo stesso contenuto può essere adattato per i diversi contesti e dispositivi. Bisogna ricordare che è possibile decidere se un determinato contenuto deve essere visualizzato attraverso l’uso della regola CSS display:none. Tale regola combinata alle media queries consente consente di selezionare contenuti a seconda del dispositivo. Tuttavia questa impostazione costringe l’utente a fare il download comunque anche di parti non visualizzate, con conseguente spreco di banda. Risulta evidente che un tale approccio in alcuni casi può non essere quello ideale: si pensi a una galleria di molte immagini per un hotel. In alcuni casi si può comunque decidere di utilizzare l’approccio del nascondere alcuni contenuti: quando le parti da nascondere sono marginali rispetto al tutto; oppure quando il passaggio al mobile avviene in modo graduale da un sito preesistente, senza un ade-guato investimento e lavoro di design per una corretta implementazione, e il nascondere alcuni contenuti migliora l’esperienza utente. Infatti, non potendo implementare ex no-

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vo un sito mobile, risulta preferibile nascondere parti del sito, che andrebbero comun-que scaricate, costringendo a inutili e fastidiosi scroll, risultando solo peggiorative. Quindi, sebbene l’approccio ideale sarebbe quello di non far scaricare inutilmente con-tenuti nascosti all’utente, non vi è una risposta univoca e vi possono essere delle con-dizioni e dei casi che possono contemplarne comunque l’utilizzo, sia per necessità, sia perché un’analisi di costi e benefici lo giustifica. L’interfaccia iOS Con l’introduzione dell’iPhone, Apple ha segnato il passaggio dai feature phone, agli smartphone. Questo passaggio ha rappresentato un vero punto di svolta perché ha de-terminato alcuni cambiamenti sostanziali dell’esperienza di interazione con un cellulare. Si è passati dall’interazione con tastiera a quella touch screen, questo ha comportato un notevole aumento della superficie a disposizione per visualizzare le informazioni, ren-dendo di fatto, accettabile la navigazione su internet da cellulare. Successivamente i paradigmi introdotti dalla Apple sono stati recepiti da tutti i grandi produttori mondiali, sono nati altri sistemi operativi, quali Android e Windows phone. Un’analisi dell’interfaccia dei sistemi iOS può consentire di individuare alcune caratte-ristiche degli elementi grafici utilizzati, quali pulsanti, icone e testi. Si riprendono gli esempi utilizzati da Layon [2012], dai quali emerge che il numero 44 pixel ricorre nelle nelle interfacce Apple, e può essere considerato una dimensione di riferimento accetta-bile per le aree cliccabili. L’app Calcolatrice (Figura 24) usa tasti con la dimensione esatta di 44 pixel; nel Tele-fono i tasti sfruttano tutta la larghezza del monitor - che misura 320x480 pixel, sono quindi più grandi, con una dimensione di 104x66 pixel. Dei 320 pixel a disposizione, 312 vengono utilizzati per i tre pulsanti, i restanti otto sono distribuiti ai lati degli stessi pulsanti per dividerli oppportunamente. Nell’app Musica (Figura 24), in cui le informazioni da rappresentare aumentano, è stata utilizzata una vista a tabella, in cui però, ogni riga è un pulsante, molto facile da selezio-nare in quanto riempie l’intera larghezza del monitor, sebbene l’altezza sia di 42 pixel, dunque poco meno di 44.

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Figura 24. Le app Calcolatrice e Telefono nell’iPhone.

Responsive web design pattern Sebbene l’approccio del responsive design ha una storia brevissima e un futuro tutto da scoprire, con il crescente interesse che la tecnica è andata assumendo e le modalità in cui i designer hanno iniziato a proporla, è possibile cercare di individuare alcuni modelli che sono stati implementati e che si vanno affermando. In questa direzione vanno i la-vori di Luke Wroblewski e Joshua Johnson. In due post entrambi del 2012, i due desi-gner propongono una categorizzazione di alcuni pattern di responsive web design che stanno emergendo. Segue una sintesi che rielabora il loro lavoro. Fluido Il modo più semplice di implementare il responsive design, e quello che è stato utilizza-to per primo dai designer per sperimentarlo, è quello di impostare le colonne di conte-nuto di una pagina con una larghezza fluida. In questo modo le colonne si stringono al diminuire della larghezza della pagina fin quando si passa a un layout per il mobile a singola colonna (Figura 25). In questo pattern il layout presenta un’unica trasformazione importante, prima della quale la sua struttura non cambia. I cambiamenti consistono solamente in un restringimento del layout iniziale. È un ottimo punto di partenza perché richiede molto meno tempo e sforzi di più grandi e maggiori trasformazioni, offrendo il beneficio di fornire una pagina web che si visualiz-za bene in qualsiasi dimensione di visualizzazione.

Page 116: Wireless society, mobile learning

  115

Rappresenta una modalità soft e immediata di approcciare la filosofia responsive, che però non riesce forse a esplorarla sino in fondo, per le possibilità che è in grado di offrire. Vi sono delle differenze tra i layout ai quali si può applicare, così come mostrato dagli esempi che seguono, tuttavia il criterio prevede un progressivo restringimento delle co-lonne, fin quando si posizionano l’una sotto l’altra.

Figura 25. Il pattern Fluido.

Esempi http://www.antarcticstation.org http://nanoc.ws https://sifterapp.com http://choiceresponse.com http://137pillarshouse.com Gallery Questo pattern può essere convenientemente utilizzato per le gallerie immagini che spesso utilizzano le miniature per il preview. Il suo funzionamento è semplice, le colon-ne diminuiscono progressivamente al ridimensionarsi del monitor (Figura 26). Lo schema può essere adottato per qualunque layout strutturato in colonne. Può essere considerato una variante del patten precedente, anziché collassare in un’unica colonna, la soluzione passa per step intermedi. La costruzione di una galleria di miniature responsive è presentata nel dettaglio in un tutorial all’indirizzo: http://designshack.net/articles/css/how-to-build-a-responsive-thumbnail-gallery

Page 117: Wireless society, mobile learning

 116

Figura 26. Il pattern Gallery.

Esempi http://www.bradsawicki.com http://www.madebysplendid.com Capovolgimento delle colonne In questo pattern, man mano che il monitor si restringe, le colonne vengono capovolte e spostate nella parte bassa o alta del layout, facendole diventare delle righe. Nella dimen-sione più stretta le colonne saranno posizionate l’una sotto l’altra (Figura 27). A differenza del pattern Fluido, la dimensione degli elementi tende a rimanere invariata, e per adattarsi alle varie dimensioni del monitor inpila le colonne. Si può ottenere con una media query che fa fluttuare gli elementi della colonna sulla sinistra, facendo successivamente un clear del float in modo che le altre due colonne ri-mangano intatte.

Figura 27. Il pattern Capovolgimento delle colonne.

Esempi http://modernizr.com http://weenudge.com http://www.internetfestival.it

Page 118: Wireless society, mobile learning

  117

Cambio layout Si tratta del pattern più complesso, che consente innovazione nel design e dal quale ver-ranno generate nuove soluzioni all’adattabilità dei layout. Infatti, non si limita ad adattare il layout alle diverse dimensioni del monitor, ma i lay-out cambiano sui monitor grandi, medi, piccoli, adottando talora nei diversi breakpoint tra una dimensione e l’altra una combinazione dei pattern precedenti, omettendo talora alcuni contenuti. Non è quindi possibile stabilire un modo per includere tutto quello che rientra in questo pattern. Più che di un pattern si tratta di una risposta ad hoc per rendere adattabile ogni sito web. Un possibile esempio è rappresentato in Figura 28.

Figura 28. Il pattern Cambio layout.

Esempi http://foodsense.is http://forefathersgroup.com http://www.bostonglobe.com http://www.anderssonwise.com Fuori quadro Meno ovvio è che non ci si affidi esclusivamente sullo spazio a disposizione per operare le modifiche al layout. Perché limitare le opzioni a quello che è visibile? Si potrebbe dire che c’è molto più spazio fuori dal monitor per le modifiche di layout di quanto ce ne sia sul monitor. Il pattern Fuori quadro (Figura 29) utilizza lo spazio fuori dal monitor per tenere conte-nuti o navigazione nascosti fintanto che un monitor più grande consenta di visualizzarli senza alcuna azione dell’utente. Molte applicazioni native (Figura 30) usano lo spazio a sinistra o su entrambi i lati per nascondere le opzioni di navigazioni alle quali è possibile accedere con un tocco.

Page 119: Wireless society, mobile learning

 118

Ci sono pochi siti responsive che utilizzano un approccio simile, tra i quali funziona be-ne Kaemingk.com, alcuni invece mostrano dei problemi nell'accesso con i diversi dispo-sitivi. L'idea alla base del pattern Fuori quadro è che sui monitor piccoli, gli elementi addizio-nali sono a un click, e quando il monitor diventa più grande, diventano visibili e acces-sibili senza alcun click. Questa modalità potrebbe essere convenientemente utilizzata anche su monitor più grandi. Non è detto che l’esibizione di tutti gli elementi da subito, sia sempre la miglio-re soluzione, anche quando c’è lo spazio necessario e quando l’interazione avviene con il mouse. Lo spazio è peraltro un concetto relativo. Si può offrire la migliore esperienza possibile anche con alcuni click in più.

Figura 29. Il pattern Fuori quadro.

Figura 30. La soluzione fuori quadro adottata dall’app di Google+.

In sintesi questa categorizzazione consente di pensare più velocemente in termini di layout responsive e di concentrarsi esclusivamente sugli aspetti di design e non sugli aspetti tecnici per implementare un CSS responsive attraverso le media queries.

Page 120: Wireless society, mobile learning

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Il tratto comune tra essi è la prevedibile tendenza a ridursi a un layout a singola colonna, in cui i diversi contenuti vengono impilati. Tuttavia nuovi scenari sono prospettati dal pattern Fuori quadro, che propone di pensare anche in termini di spazio non visibile, dove nascondere alcuni elementi, ai quali si ac-cede con un tocco.

4.5 Un sito responsive

Sono stati visti tutti gli elementi e le variabili che consentono di costruire layout respon-sive. Misure relative e proporzionali; layout fissi, fluidi, elastici e ibridi, che nascono combinando opportunamente le altre tipologie; e media query, potente strumento intro-dotto con i CSS3, che consente di selezionare regole CSS in corrispondenza di diverse categorie di monitor. In questo paragrafo si utilizzerà quanto visto per implementare un sito responsive, in grado di fornire ai visitatori consistenza e continuità nei diversi contesti di fruizione. Si riprende il layout fluido creato precedentemente, inserendo i contenuti e rendendolo responsive. Nel CSS, per non appesantire la trattazione, vengono arrotondati i valori ottenuti dalla traduzione delle dimensioni fisse del mockup, eliminando le cifre decimali. Si possono comunque utilizzare tutte le cifre, delegandone al browser la gestione. Contenuti • Header

Logo + Payoff • Nav

Blog Video About

Contatti • Content

Articolo • Side

Articoli recenti • Footer

Licenza d’uso, social link

Page 121: Wireless society, mobile learning

 120

Il markup

<!DOCTYPE html>

<html>

<head>

<title>Responsive Layout</title>

<link rel="stylesheet" href="responsive.css" />

</head>

<body>

<div id="container">

<div id="header">

<h1>Logo e payoff blog</h1>

</div>

<div id="nav">

<ul>

<li><a href="#">Blog</a></li>

<li><a href="#">Video</a></li>

<li><a href="#">About</a></li>

<li><a href="#">Contatti</a></li>

</ul>

</div>

<div id="content">

<div class="inner">

<div class="foto">

<img src="foto.jpg">

</div>

<h1>Titolo post</h1>

<p>Testo… p>

</div>

</div>

Page 122: Wireless society, mobile learning

  121

<div id="side">

<h2>Articoli recenti</h2>

<h3>Primo articolo</h3>

<p> Testo… >> </p>

<h3>Secondo articolo</h3>

<p> Testo… >> </p>

</div>

<div id="footer">

<h3>Footer</h3>

</div>

</div>

</body>

</html>

Il CSS

/* Box model naturale */

{

-moz-box-sizing: border-box;

-webkit-box-sizing: border-box;

box-sizing: border-box;

}

body {

margin: 15px;

padding: 0;

font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;

line-height: 140%;

color: #000;

}

Page 123: Wireless society, mobile learning

 122

#container

{

max-width: 1200px;

margin: 0 auto;

}

#header

{

width: 100%;

margin: 0 0 15px 0;

padding: 15px;

color: #fff;

background: #9d9d9c;

height:150px;

}

#header h1 {

font-size: 3em;

}

h1 {

line-height: 100%;

}

#content {

float: left;

width: 60%;

margin: 0 0 15px 0;

padding: 0;

}

#content .inner {

margin: 0 15px;

padding: 15px;

color: #333;

background: #ededed;

}

Page 124: Wireless society, mobile learning

  123

.foto {

float:right;

margin: 0 0 0.5em 0.5em;

width:40%;

}

img {

width:100%;

}

#side {

float: right;

width: 25%;

padding: 15px;

color: #fff;

background: #c6c6c6;

font-size: 85%;

}

#side h3 {

margin: 1em 0 0 0;

}

#side p {

border-bottom: 1px solid rgba(255,255,255,.5);

margin:0 ;

}

#nav {

float: left;

width: 15%;

margin: 0;

padding: 0;

}

Page 125: Wireless society, mobile learning

 124

#nav ul {

margin: 0;

padding: 15px;

list-style: none;

color: #333;

background: #706f6f;

overflow: hidden;

}

#nav li {

border-bottom: 1px solid rgba(255,255,255,.5);

}

#nav li:last-child {

border-bottom: none;

}

#nav a {

display: block;

color: #fff;

text-decoration: none;

padding: 10px 0 10px 10px;

font-weight: bold;

}

#nav a:hover {

background: #ededed;

}

#footer {

clear: both;

width: 100%;

margin: 0;

padding: 5px 15px;

color: #fff;

background: #9d9d9c;

}

Page 126: Wireless society, mobile learning

  125

Il layout è molto semplice, gli elementi strutturali sono: • un elemento #container al quale è stata attribuita una larghezza massima di 1200

pixel per evitare che si allarghi troppo su monitor extrawide; • un’area superiore #header che occupa tutta la larghezza della pagina; • un’area di contenuto principale #content che occupa il 60% della larghezza; • una colonna per gli articoli recenti larga il 25%, fatta fluttuare a destra; • un menu di navigazione #nav, fatto fluttuare invece a sinistra, che occupa il 15%

della larghezza; • un #footer che, come l’header, occupa il 100% del’area di visualizzazione. Si tratta di un layout fluido, adattivo, che però man mano che l’area di visualizzazione si riduce, perde armonia, per diventare illeggibile intorno ai 600 pixel (Figura 31).

Figura 31. Il layout (fluido) diventa illeggibile intorno ai 600 pixel.

Page 127: Wireless society, mobile learning

 126

Evidentemente il layout fluido consente alcuni adattamenti sulle dimensioni più grandi ma non riesce ad adeguarsi al meglio sui dispositivi più piccoli. Questa problematica è risolta dalle media queries, le quali consentono di avere un layout responsive. Si procede dunque con l’inserimento nel CSS di alcuni breakpoint, in cui intervengono delle modifiche sul layout, per adeguarlo nel migliore dei modi. I breakpoint Larghezza fino a 1024 Il primo breakpoint è inserito a 1024 pixel. La query, nel momento in cui rileva che il monitor ha una larghezza non superiore a 1024, applica ulteriori regole CSS, spostando la colonna destra sotto il menu di navigazione. La query è la seguente: @media screen and (max-width: 1024px) {

/* Allarga la largezza dei contenuti al 75% e fa flottuare

l’area sulla destra spingendo side in basso */

#content {

width: 75%;

float: right;

}

/* Inserisce il margine destro a #content */

#content .inner {

margin: 0 0 0 15px;

}

/* Attribuisce la stessa larghezza a # nav e #side */

#nav, #side {

width: 25%;

}

Page 128: Wireless society, mobile learning

  127

/* Inserisce il margine superiore a side in modo che non si

attacchi a #nav */

#side {

margin-right: 0;

margin-top: 15px;

}

}

Il risultato è mostrato nella Figura 32

Figura 32. Il layout con il primo breakpoint a 1024 pixel.

Page 129: Wireless society, mobile learning

 128

Larghezza fino a 768 Anche l’attuale layout presenta delle problematiche nello stringersi e intorno ai 600 pi-xel è nuovamente illeggibile. Un’altra query ridefinisce il layout portandolo a una sola colonna, quando la larghezza del monitor tocca i 768 pixel (Figura 33): @media screen and (max-width: 768px) {

/* Rende la larghezza del contenuto uguale a quella del

monitor */

#content {

width: 100%;

}

/* Elimina il margine destro dai contenuti */

#content .inner {

margin: 0;

}

/* Sposta il menu di navigazione sopra i contenuti */

#nav {

float: none;

width: 100%;

margin-bottom: 15px;

}

/* Dispone le voci del menu l'una accanto all'altra */

#nav li {

float: left;

width: 24%;

border-bottom: none;

border-right: 1px solid rgb(255,255,255);

}

#nav li:last-child {

width: 27%;

border-right: none;

}

Page 130: Wireless society, mobile learning

  129

#nav a {

text-align: center;

padding-left: 0;

}

/* Sposta gli articolo recenti sotto la navigazione */

#side {

float: none;

clear: both;

width: 100%;

margin: 15px 0;

}

/* Rimpicciolisce il logo */

#header h1 {

font-size: 2.2em;

}

}

Figura 33. Il layout con il secondo breakpoint a 768 pixel.

Page 131: Wireless society, mobile learning

 130

Larghezza fino a 480 Un ultimo breakpoint a 480 pixel consente di migliorare la fruibilità eliminando i mar-gini intorno alla pagina e riducendo lo spazio tra le varie aree (Figura 34). @media screen and (max-width: 480px) {

body { margin: 0; } #header { padding: 5px 0; } #header, #content, #nav, #side { margin-bottom: 5px; } #nav ul { padding: 5px 7px; } #footer { margin: 0; }

}

Figura 34. Il layout con il terzo breakpoint a 480 pixel.

Page 132: Wireless society, mobile learning

  131

Conclusioni

Questo lavoro cerca di fornire elementi di comprensione del mobile learning inserendo-lo in un quadro più ampio che considera il legame sistemico tra l’innovazione tecnolo-gica e le nuove forme sociali ed economiche. L’arrivo e la diffusione dei cellulari imprime un’accelerazione alla rivoluzione che ha modificato in modo profondo gli equilibri socio-economici dell’intero pianeta, avviata con la nascita del web e proseguita con l’evoluzione nel web 2.0, che ha esteso la pro-duzione di conoscenza, informazione e cultura all’intera popolazione, ora in possesso di un media personale e personalizzabile con il quale partecipare alle conversazioni e ai discorsi che attraversano le comunità. Viviamo in una società mobile, sempre connessa, che comunica, socializza, si informa, si diverte, e apprende, attraverso le piattaforme web e i dispositivi mobili, protesi del corpo con la quale esplorare la realtà. Smartphone, tablet, lettori di mp3, console di vi-deogiochi sono entrati nella vita di tutti, senza distinzione di età, sesso e status; insepa-rabili compagni, parte delle identità personali. È questo il contesto, descritto nel primo capitolo, nel quale nasce e si sviluppa il mobile learning. Ma cos’è il mobile learning? Quali sono i caratteri caratterizzanti l’apprendi-mento con i dispositivi che ci accompagnano nella quotidianità? Sono le domande essenziali alle quali cerca di dare una risposta il secondo capitolo, attraverso un’analisi della letteratura esistente e del contributo offerto dalla ricerca allo sviluppo di una base teorica. Quello che emerge dalla diffusione dei progetti e delle sperimentazioni tuttavia è la dif-ficoltà nell’imbrigliare in una definizione un fenomeno che individua nella mutevolezza e nella multidimensionalità i suoi tratti distintivi. I primi approcci centrati sulla tecnologia e su una visione del mobile learning in termini dell’e-learning si sono rivelati inadeguati per cogliere le caratteristiche e per descrivere le forme di apprendimento possibili con i dispositivi mobili, e hanno lasciato spazio a nuovi orientamenti centrati sullo studente e sulle pratiche sociali permesse dalla tecno-logia. I dispositivi mobili consentono una modalità di studio di tipo nomadica che consente di apprendere ovunque e in qualunque momento, sfruttando i tempi morti, tra le diverse

Page 133: Wireless society, mobile learning

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attività quotidiane. Il concetto centrale di mobilità non è tuttavia limitato ai dispositivi, ed è articolabile in apprendimento mediato da dispositivi mobili, mobilità degli studenti, mobilità di contenuti e risorse; inducendo a preferire al termine più restrittivo di mobile learning, il più ampio concetto di apprendimento nell’era della mobilità [Taylor, 2006]. Il mobile learning è allora parte di una società mobile che grazie a dispositivi diversi, attraversando tempo, spazio e contesti diversi [Sharples, 2007] sperimenta l’accesso alla conoscenza prodotta dalle interazioni sociali, senza soluzione di continuità. La continua ridefinizione del contesto rende il mobile learning un fenomeno rumoroso [Traxler, 2007], difficile da teorizzare. Una teoria, basata su una versione adattata del modello di attività di Engeström, la propongono Sharple et al. [2005] che caratterizzano il mobile learning come un processo di acquisizione della conoscenza attraverso le con-versazioni tra chi apprende, rese possibili dalle interazioni con la tecnologia, in un con-testo mutevole. Il contesto è dunque un costrutto centrale al mobile learning [Kukulska-Hulme], ed è un aspetto fondamentale per lo sviluppo di interfacce usabili che facilitino le attività dello studente. Un design in grado di sfruttare appieno le funzionalità e le peculiarità dei di-spositivi mobili può effettivamente supportare al meglio l’approccio alla conoscenza e alla comunicazione. In uno scenario in cui l’intelligenza è diffusa nell’ambiente, gli oggetti sono capaci di elaborazione, la connessione è continua e ubiqua; assume rilievo il ruolo dell’interfaccia a cui è delegata la modalità attraverso la quale poter accedere all’informazione di inte-resse, nei diversi contesti, momento per momento, attraverso i dispositivi – e quindi alla figura del designer nel suo “ruolo di mediatore fra i reali bisogni dell’utente e l’offerta tecnologica” [Rojbas, 2002]. Il concetto di usabilità e di esperienza utente, esporato nel capitolo tre, nella didattica si articola ulteriormente, e gli aspetti legati all’interfaccia vanno integrati con quelli legati alle strategie didattiche, e con le esigenze delle specifiche discipline; verso il concetto di teachability, ovvero dell’efficienza dei contenuti digitali dal punto di vista didattico e degli insegnanti, allargando la prospettiva della pedagogical usability all’intero processo insegnamento-studio-apprendimento. Sul fronte del design, la nuova filosofia progettuale del responsive design, presentata nel capitolo quattro, propone una modalità per produrre interfacce che si adattano ai di-versi dispositivi, preservando coerenza e consistenza. La diffusione del mobile learning, il crescente numero di progetti realizzati in contesti di apprendimento formali e informali, nonché una letteratura più ampia, hanno consenti-

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to di delineare alcune concettualizzazioni del mobile learning e le principali difficoltà legate a esso. Tuttavia c’è ancora molto da fare, incominciando dalla diffusione massiccia nelle scuo-le, dove occorre ancora superare il divieto normativo dell'uso dei cellulari. E molto accadrà in un futuro prossimo, peraltro in modo non facilmente prevedibile, visto il repentino cambiamento dello scenario tecnologico e dell’uso sociale di cellulari e tablet. È facile prevedere che si dovrà utilizzare per l’ennesima volta il termine rivo-luzione per descrivere i cambiamenti che si verificheranno a un ritmo sempre più incal-zante; mettendo in profonda crisi il ruolo dell’insegnante come lo si è conosciuto da sempre; da questo punto di vista risulterà fondamentale la disponibilità ad accettare il cambiamento e una ridefinizione del loro ruolo, che passa attraverso l’ampliamento del proprio orizzonte culturale e l’integrazione delle tecnologie mobili nelle attività didat-tiche all’interno e fuori delle classi. Un nuovo concetto di conoscenza e di competenza emergerà, e nuovi modi per costruir-la, al di fuori degli attuali percorsi formali, si affermeranno. La tecnologia mobile dotata di connessione continua, consentendo di apprendere in qualunque momento e luogo, sfruttando gli interstizi del flusso quotidiano, priviligerà sempre più l’apprendimento in-formale, oltre i limiti delle aule scolastiche e universitarie, assecondando la nuova carat-teristica dell’apprendimento in generale e di quello mobile in particolare, sempre più legato alla possibilità di trovare l’informazione più che a conoscerla [Traxler, 2009]. Questo non significa che scompariranno gli spazi canonici dell’istruzione, al contrario è presumibile che si assisterà a un’integrazione di contesti, metodologie e tecnologie che consentiranno un’articolazione variegata di percorsi di apprendimento personalizzabili. Lo sviluppo del wifi rappresenta un nodo importante per ampliare le possibilità del mo-bile learning e per rimuovere i limiti a un uso effettivamente ubiquo dei dispositivi mo-bili. E grazie al wifi potrebbe essere eliminato il problema dell’efficienza delle batterie [University of Washington, 2013], uno dei punti deboli dei telefonini, maggiormente sentito dagli utenti. Infine processori più veloci si susseguono rendendo sempre più la tecnologia mobile affidabile e performante, riducendo il gap con i sistemi desktop. Il progressivo evolvere dei dispositivi, sempre più piccoli, potenti e personalizzabili con-sente di assecondare sempre più e sempre meglio una società mobile. In definitiva, il mobile learning asseconda la caratteristica liquida della società postmo-derna, rimuovendo i limiti fisici e concettuali che hanno caratterizzato l’apprendimento formale, permettendo agli individui di costruire e ampliare le proprie conoscenze in modo autonomo, in linea con la recente teoria del connettivismo [Siemens, 2005], se-condo cui lo studente sempre connesso deve saper scovare le informazioni nel caos

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della rete, valutandone la bontà; capacità propedeutica all’apprendimento e all’aggiorn-amento continuo delle proprie conoscenze, richiesto dall’attuale configurazione sociale. In conclusione, in una società che presenta nell’instabilità il suo unico dato certo, voler rispondere a cos’è il mobile learning, prima ancora che difficoltoso, risulta inutile; la domanda andrebbe quindi riformulata in cos’è l’apprendimento nell’era della mobilità [Traxler, 2006]. Società e tecnologia coevolvono continuamente, e il significato e il va-lore che gli individui e la comunità attibuiscono all’apprendimento evolve di conse-guenza. Allora è proprio la consapevolezza di questa mutevolezza che probabilmente rappresen-ta il miglior requisito per gestirla, coglierne la direzione, percepirne la tendenza; e chi-unque si occupa di formazione dovrebbe cercare di maturarla.

Page 136: Wireless society, mobile learning

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Riferimenti bibliografici e sitografici

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Tutti i riferimenti web risultano attivi al 31/08/2013.