xxiii convegno nazionale della società italiana di scienza ... · scopo di sviluppare una serie di...

25
1 XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza Politica (Sisp) Università degli studi LUISS Guido Carli Roma 17 – 19 settembre 2009-09-08 ------------------------------------------------------- Partiti e offerta di elezioni primarie per la scelta dei candidati alle cariche pubbliche: tra democratizzazione, plebiscitarismo e partecipazione di Antonino Anastasi ([email protected]) 1. Organizzazioni partitiche e processi di democratizzazione interna: ipotesi interpretative a confronto Premessa In questo paper mi propongo di rivisitare, dopo un primo lavoro (Anastasi 2009), il tema delle primarie dell’Unione di centrosinistra 2005-2007, svoltesi a Palermo e in altre due città italiane, allo scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza le iniziative individuate dalle élites politiche per democratizzare la vita interna dei partiti; tali iniziative riguardano ora il processo di selezione dei candidati alle cariche pubbliche ora altre iniziative di attivazione della partecipazione di iscritti ed elettori. Sotto questo profilo, alla luce di studi e ricerche sullo stesso tema, cercherò di enucleare in questo paper due ordini di riflessioni. Mi chiederò innanzitutto quali tipi di dinamiche interattive nei partiti e tra i partiti alleati, si sono potuti riscontrare e lo farò analizzando le fasi di messa in opera delle procedure per la selezione dei candidati. In secondo luogo cercherò di sviluppare delle osservazioni sulle forme e gli obiettivi di partecipazione riscontrabili ogniqualvolta le élites promuovono la mobilitazione della base nel corso delle medesime operazioni di realizzazione di policies istituzionali; in particolare, nei casi da noi analizzati si è trattato rispettivamente delle primarie di Palermo e Aversa – e della la scelta operata dai dei partiti di candidati da presentare direttamente alle elezioni amministrative, a Venezia; ma avrebbe potuto essere anche l’elezione diretta della leadership di partito, o altro ancora). Il paper è diviso in due parti. La prima mira a enunciare delle linee teoriche generali su entrambi gli aspetti dell’argomento che intendo approfondire in questo lavoro, traendo spunto dalla grande quantità di contributi messi a disposizione dalla letteratura politologica. Lo scopo di questa prima parte del lavoro è di costituire una cornice teorica, di tracciare, in un certo senso, le ipotesi a cui fare riferimento nella descrizione e interpretazione delle esperienze empiriche analizzate che saranno presentate successivamente. Nella seconda parte del paper, di conseguenza, mi dedicherò alla descrizione di tre esempi di selezione delle candidature alla carica di sindaco effettuata da partiti riuniti nella Unione di centrosinistra e finalizzata a cercare di vincere le elezioni e governare le città. In particolare, proverò a mettere in rilievo sia alcune delle dinamiche intrapartitiche e interpartitiche indotte dall’ingresso nell’arena negoziale e competitiva di personaggi politici carismatici, sia il significato e il ruolo percepibile attribuito alla partecipazione popolare dai processi di selezione delle candidature. Il materiale empirico che utilizzerò in questa seconda parte è tratto dalla rassegna stampa da me svolta in occasione delle primarie comunali di Palermo del

Upload: truongtruc

Post on 21-Feb-2019

219 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

1

XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza Politica (Sisp)

Università degli studi LUISS Guido Carli Roma 17 – 19 settembre 2009-09-08

-------------------------------------------------------

Partiti e offerta di elezioni primarie per la scelta dei candidati alle cariche pubbliche: tra democratizzazione, plebiscitarismo e partecipazione di Antonino Anastasi ([email protected]) 1. Organizzazioni partitiche e processi di democratizzazione interna: ipotesi interpretative a confronto

Premessa In questo paper mi propongo di rivisitare, dopo un primo lavoro (Anastasi 2009), il tema delle

primarie dell’Unione di centrosinistra 2005-2007, svoltesi a Palermo e in altre due città italiane, allo scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza le iniziative individuate dalle élites politiche per democratizzare la vita interna dei partiti; tali iniziative riguardano ora il processo di selezione dei candidati alle cariche pubbliche ora altre iniziative di attivazione della partecipazione di iscritti ed elettori. Sotto questo profilo, alla luce di studi e ricerche sullo stesso tema, cercherò di enucleare in questo paper due ordini di riflessioni. Mi chiederò innanzitutto quali tipi di dinamiche interattive nei partiti e tra i partiti alleati, si sono potuti riscontrare e lo farò analizzando le fasi di messa in opera delle procedure per la selezione dei candidati. In secondo luogo cercherò di sviluppare delle osservazioni sulle forme e gli obiettivi di partecipazione riscontrabili ogniqualvolta le élites promuovono la mobilitazione della base nel corso delle medesime operazioni di realizzazione di policies istituzionali; in particolare, nei casi da noi analizzati si è trattato rispettivamente delle primarie di Palermo e Aversa – e della la scelta operata dai dei partiti di candidati da presentare direttamente alle elezioni amministrative, a Venezia; ma avrebbe potuto essere anche l’elezione diretta della leadership di partito, o altro ancora).

Il paper è diviso in due parti. La prima mira a enunciare delle linee teoriche generali su entrambi gli aspetti dell’argomento che intendo approfondire in questo lavoro, traendo spunto dalla grande quantità di contributi messi a disposizione dalla letteratura politologica. Lo scopo di questa prima parte del lavoro è di costituire una cornice teorica, di tracciare, in un certo senso, le ipotesi a cui fare riferimento nella descrizione e interpretazione delle esperienze empiriche analizzate che saranno presentate successivamente. Nella seconda parte del paper, di conseguenza, mi dedicherò alla descrizione di tre esempi di selezione delle candidature alla carica di sindaco effettuata da partiti riuniti nella Unione di centrosinistra e finalizzata a cercare di vincere le elezioni e governare le città. In particolare, proverò a mettere in rilievo sia alcune delle dinamiche intrapartitiche e interpartitiche indotte dall’ingresso nell’arena negoziale e competitiva di personaggi politici carismatici, sia il significato e il ruolo percepibile attribuito alla partecipazione popolare dai processi di selezione delle candidature. Il materiale empirico che utilizzerò in questa seconda parte è tratto dalla rassegna stampa da me svolta in occasione delle primarie comunali di Palermo del

Page 2: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

2

2007, da un’ampia documentazione empirica raccolta da Giuseppe Gangemi (2006) nel seguire seguendo la vicenda relativa alla candidatura e alla elezione (per la terza volta) del filosofo Massimo Cacciari a sindaco del centrosinistra di Venezia nel 2005 e dalla descrizione molto dettagliata del processo di selezione del candidato sindaco del centrosinistra, mediante elezioni primarie tenute ad Aversa il 5 novembre 2006, effettuata da Silvia Bolgherini e Fortunato Musella (2007).

1.1 Modelli di partito e selezione dei candidati alle cariche interne e istituzionali

Il focus del dibattito italiano sul ruolo delle elezioni primarie ruota essenzialmente, a mio avviso, intorno alla esigenza, avvertita da molti studiosi, di rendere più efficiente e funzionante la democrazia rappresentativa e, al contempo, di democratizzare i partiti riducendo il tasso di egemonia e “padronanza” dei meccanismi della rappresentanza e del governo della società.

Se infatti diamo un’occhiata alla letteratura italiana sulle primarie, possiamo notare che da parte di alcuni giuspubblicisti (Gambino 1995; Moschella 1995; D’Ignazio 1995) e politologi (Pasquino 2002; 2006; Massari 2004), si tenda ad enfatizzare il fatto che le primarie si prestino a fare da antidoto ai difetti dei partiti espressi in termini di autoreferenzialità, nello svolgimento delle proprie funzioni e di opacità, nell’attività di selezione dei candidati alle cariche pubbliche. L’approccio teorico complessivo in discussione sostiene una duplice tesi: la prima è che nelle democrazie moderne sono gli elettori che scelgono e – periodicamente – fanno circolare (facendole entrare e uscire dalle stanze del potere) le élites governanti; la seconda stabilisce che, piaccia o meno, la teoria della democrazia competitiva di Schumpeter riflette le migliori esperienze delle democrazie reali (ossia delle democrazie rappresentatitive in cui sono presenti i partiti). Ciò stabilito, occorre necessariamente riconoscere che, almeno da Michels in avanti, è possibile affermare che i partiti non possono o non vogliono compiere con modalità sufficientemente democratiche (magari perché impigliati in pratiche di funzionamento interno di tipo oligarchico) le procedure di selezione dei candidati; questo stato di cose rende quindi necessaria la scelta di nuove vie per giungere a una selezione democraticamente accettabile delle candidature (Pasquino 2006, 24-25).

D’altra parte, l’esigenza di democratizzare la vita interna dei partiti, con particolare riguardo all’attività di selezione delle candidature, è resa urgente dai processi di trasformazione della politica nelle società contemporanee, in direzione della personalizzazione dei ruoli di rappresentanza e di leadership governativa. I partiti tradizionali sono, infatti, testimoni e vittime di questi processi, in conseguenza dei quali subiscono la perdita di iscritti e la volatilità del consenso elettorale; questi fenomeni sono poi aggravati dagli scandali di cui spesso gli stessi partiti si rendono protagonisti, nonché dalla loro incapacità di assorbire e governare nuove domande e nuovi conflitti nella società postmoderna. La domanda di rinnovamento della prassi democratica nella vita politica e nei partiti è, in sostanza, un dato di realtà oggi difficilmente eludibile. “Rinnovare l’organizzazione, ampliare la partecipazione, immettere aria fresca nei circuiti arrugginiti, ritualizzati, a volte imbalsamati, comunque ristretti e inadeguati della struttura, diventa un imperativo, pena il rischio di emarginazione e della insignificanza. Le primarie sono uno strumento e un percorso di questo rinnovamento (Massari 2004, 141). Del resto, fa notare Massari, le primarie in America per quanto abbiano concorso a modificare le funzioni dei partiti non ne hanno cancellato il ruolo. “La politica incentrata sui candidati [è] come un rapporto di franchising, in cui cioè contano le risorse personali dell’imprenditore ma contano anche perché quest’ultimo sfrutta un marchio consolidato” (Massari 2004, 139-140), quello del partito politico di riferimento.

Mi sembra che il riferimento al partito modello franchising che, a dire il vero, Massari inserisce nel contesto della sua analisi delle primarie quasi en passant (quasi distrattamente), può costituire invece, la traccia di un percorso e di una strategia analitica; ciò nel senso che un tratto comune agli studiosi prima citati sembra essere l’attribuzione di una significatività teorica ed empirica

Page 3: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

3

trascurabile all’impatto (positivo o negativo) prodotto dalle misure di consultazione diretta della membership e degli elettori (mediante elezioni primarie, ma non soltanto) sulle strutture organizzative e sui canali di comunicazione e di scambio interni ai partiti e tra partiti (in caso di esistenza di coalizioni). Mi sembra, inoltre, che gli stessi studiosi non tengano in gran conto l’analisi della trasformazione dei partiti (italiani o europei) da partiti di membership in partiti di cartello o in partiti in franchising, per verificarne la possibile incidenza rispetto al funzionamento delle istituzioni della democrazia rappresentativa e, soprattutto, rispetto alle modalità e al grado di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali nelle democrazie rappresentative, oggi in crisi di legittimazione e di crescita qualitativa. Se – come io ritengo - che questi dubbi hanno qualche fondamento, si può provare ad abbozzare una spiegazione circa il percorso teorico e politico seguito dai protagonisti di questa scuola di pensiero sulle primarie e sulle riforme istituzionali e costituzionali di riferimento.

E’ noto che una importante corrente di pensiero politico-costituzionale in Italia attribuisce ai partiti natura e funzioni di tipo giuspubblicistico, richiamandosi al dettato dell’art. 49 della Costituzione. Fin dal 1946, in seno all’Assemblea costituente, una scuola costituzionalistica (di cui Costantino Mortati era un autorevole rappresentante) operò per l’introduzione di norme di disciplina costituzionale circa i compiti e la vita interna dei partiti politici. Questa ipotesi è stata respinta dall’Assemblea Costituente e non di essa non resta traccia nell’art. 49 della Costituzione italiana repubblicana del 1948. Tuttavia, all’inizio degli anni ottanta un gruppo di politologi e costituzionalisti eletti in parlamento come esponenti della Sinistra Indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, tra i quali il costituzionalista Augusto Barbera e il politologo Gianfranco Pasquino, si fece promotore nell’ambito della Commissione bicamerale Bozzi di un doppio tentativo di riforma, uno elettorale in senso maggioritario con collegi uninominali e l’altro costituzionale mediante modifica e riformulazione dell’art. 49 della Costituzione e l’introduzione di elezioni primarie regolate per legge (Moschella 1995, 36)1.

Questa iniziativa parlamentare non riuscì a portare a compimento il suo obiettivo di riforma, tuttavia l’idea di ridimensionare il potere rappresentativo e di controllo sulla società dei partiti, in modo da “restituire lo scettro al principe” (Pasquino 1985), riprende vigore nel nostro Paese con il successo dei referendum di inizio anni ‘90 e l’adozione delle legge elettorale maggioritaria/proporzionale del 1993. Pasquino, infatti, nel 1997, rispondeva all’obiezione che le primarie avrebbero ridimensionato in modo sostanziale i compiti e l’attività dei partiti, con la seguente affermazione: “Sicuramente, negli Stati Uniti le primarie hanno prodotto anche questo esito, per quanto non da sole, ma congiuntamente con altre trasformazioni della politica. Tuttavia, potrebbe essere giunto il momento per costringere [per legge?] i partiti a tornare ai loro compiti precipui che sono quelli di diffondere informazioni politiche, di produrre mobilitazione, di raccogliere il consenso elettorale, compiti che possono essere perfettamente svolti nei collegi uninominali avendo di mira l’elezione di specifici rappresentanti parlamentari”(Pasquino 1997, 277). L’attuale movimento pro primarie continua a richiamare l’attenzione circa i danni della deriva oligarchica delle organizzazioni partitiche (Pasquino 2002; Valbruzzi 2005; Massari 2004) e ad evocare i contenuti di un’antica battaglia politico-costituzionale di cui una leva non secondaria è costituita dalle primarie. “Dell’opportunità di introdurre nel sistema italiano le elezioni primarie come strumento per ridurre il controllo dei partiti politici sull’accesso delle istanze della società civile alle istituzioni si parla in effetti da tempo, cioè da quando all’inizio degli anni novanta si è verificata una trasformazione delle dinamiche di governo in senso maggioritario (…) e una crisi dei partiti tradizionali (Allegri 2007)”. Il percorso verso una forma di democrazia maggioritaria con primarie istituzionalizzate può essere idealmente ricostruito nei seguenti termini: a)

1 Moschella (1995, 36) riporta la loro proposta di riformulazione dell’art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere con strutture e metodi democratici, a determinare la politica nazionale. La legge disciplina il finanziamento dei partiti (….) La legge detta altresì disposizioni dirette a garantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà politica dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni, il rispetto delle norme statutarie, la tutela delle minoranze”.

Page 4: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

4

bipolarizzazione della competizione politico-parlamentare (mediante una legge elettorale maggioritaria); b) il passo successivo può essere l’investitura popolare del vertice dell’esecutivo; c) formazione di coalizioni di partiti intorno a una unica leadership; d) trovare delle soluzioni alla conseguente conflittualità che si ingenera tra logiche di razionalità e di identità partitiche, in direzione di un ripensamento del ruolo dei partiti e del tradizionale rapporto partiti-elettori mediante l’istituzione di primarie (regolate legislativamente).

Volendo riassume in poche battute il punto di vista fin qui tratteggiato, si potrebbe dire che, la necessità di creare un diverso rapporto tra cittadini e istituzioni rappresentative e di governo – imposta dalla crisi di legittimazione e di sfiducia in atto – viene interpretata come domanda di riforme istituzionali e costituzionali, tese a rendere i processi decisionali più rapidi e le consultazioni popolari più frequenti e istituzionalizzate. Senonché, un tale approccio, mentre tenta di risolvere un problema politico reale, a nostro avviso, ne suscita un altro non meno importante per la crescita e lo sviluppo della qualità dei regimi democratici. Mentre, infatti, per un verso l’introduzione di “forme di investitura diretta della leadership possono consentire una migliore identificazione dell’elettorato in una fase nella quale sia i partiti politici sia, a maggior ragione, le ideologie non godono certo di buona salute, e i programmi dei vari schieramenti tendono pericolosamente ad assomigliarsi”, d’altra parte, l’enfatizzazione sulle procedure di democrazia diretta e immediata si presta a essere interpretata come “un’opzione a favore del decisionismo e delle riduzione della complessità decisionale, quasi che la democrazia fosse solo l’elezione diretta del leviatano” (Dente 1999, 94). Intendiamo dire che, probabilmente, la riflessione sul modo in cui operano e funzionano le strutture intermedie (partiti, gruppi, movimenti, comunità locali, ecc.) che collegano i cittadini con le istituzioni merita di essere tenuta presente quando si discute delle iniziative di mutamento da attivare per rendere più efficaci e più vicini ai cittadini i processi politici e decisionali della vita democratica ai suoi vari livelli.

E’ disponibile, infatti, una grande quantità di studi sui partiti e sui sistemi di partiti, ad esempio, che fin dal secondo dopoguerra tende a considerare, al di qua e al di la dell’Atlantico, la issue relativa alla selezione delle candidature alle cariche pubbliche (con o senza le primarie) di specifica competenza dell’organizzazione interna dei partiti. Anzi, spesso gli analisti utilizzano la scelta di mantenere all’interno la selezione delle candidature o l’opzione opposta come un criterio valido a distinguere tra tipi diversi di partiti (Epstein 1964, 1980; Key 1954, 1958; Ranney 1981; Gallagher e Marsh 1988; Katz 2001; Pennings e Hazan 2001; etc). Epstein, ad esempio, ha sostenuto che “nessuna nazione ha tentato di combinare le primarie americane con un sistema parlamentare. Probabilmente non vorrà mai provare finché resta illogico combinare delle primarie finalizzate a rendere gli eletti indipendenti dal partito con un sistema parlamentare, che richiede gruppi parlamentari coesi, per potere garantire un governo stabile. Più significativamente questo ragionamento può essere rovesciato, per sostenere che i riformatori dei partiti americani se avessero manifestato la loro intenzione di ottenere la coesione dei gruppi parlamentari, anche al di fuori di un sistema parlamentare, avrebbero potuto ottenerla abolendo le primarie dirette negli Stati Unite e sostituendole con il controllo organizzativo sulle nomine” (Epstein 1964, 55).

Anche recentemente, altri analisti politici, che studiano il problema della selezione delle candidature in chiave comparata tendono a mettere in rilievo gli effetti destrutturanti che le elezioni primarie dirette producono sulla organizzazione e sull’attività dei partiti stessi, sostenendo questa posizione sulla base della tesi secondo cui i partiti europei, seppure profondamente trasformati rispetto al passato, tendono a mantenere le funzioni di canalizzazione e di rappresentaza delle domande e degli interessi di grandi masse di cittadini, in ottemperanza alla tradizione dei partiti di massa di fine Ottocento - inizio Novecento. Enrico Melchionda (2004; 2005), ad esempio, si chiede a tal proposito: “perché le primarie hanno l’effetto (all’apparenza paradossale) di impoverire il processo democratico? Com’è possibile che questa procedura iper-democratica finisca per fare avanzare in parallelo la crescita dell’alienazione politica? Si badi bene: non dico che le primarie provochino di per sé (o almeno immediatamente) il declino della partecipazione politica. Le due cose derivano semplicemente dalla stessa logica, quella del direttismo, che non mira alla

Page 5: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

5

democrazia partecipativa, bensì ad annichilire le strutture intermedie di rappresentanza politica, cioè i partiti” (Melchionda 2004, 2).

Una analoga tesi viene proposta e dimostrata empiricamente (partendo dall’esempio dei partiti israeliani) da Rahat e Hazan (2001), da Pennings e Hazan (2001) e da Hazan (2006). La democratizzazione del metodo di selezione dei candidati, tra cui è da ricomprendere a pieno titolo il metodo delle primarie di partito, per questi studiosi comporta principalmente l’allargamento del selettorato oltre i confini della struttura organizzativa del partiti stessi: come i partiti sono costituiti im modo che soltanto l’apparato sia in posizione di decidere la selezione dei candidati, allo stesso modo le nuove forme di democratizzazione – intese come ampliamento della platea delle persone autorizzate a selezionare i candidati – avranno effetti significativi sul funzionamento del partiti e della democrazia; infatti, avere voce diretta nella selezione dei candidati implica per i partecipanti anche incidere sul modo in cui saranno rappresentati (Pennings e Hazan 2001, 268). Tuttavia il raggiungimento di questo obiettivo democratico ha automaticamente come corrispettivo l’aggiramento di una o più funzioni dell’organizzazione partitica stessa. In particolare vengono messe a tacere non solo la legittimità a compiere la selezione ma anche la sua responsabilità di fronte agli iscritti e agli elettori di sottoporre al voto i suoi rappresentanti parlamentari. In altri termini, “la democratizzazione della selezione dei candidati provoca un danno alla stabilità dei partiti e delle coalizioni di governo e, di conseguenza, alla stabilità della democrazia parlamentare in generale” (Rahat e Hazan 2001, 313). In questi termini, è come se dal fenomeno della democratizzazione dei processi di selezione della selezione delle candidature, secondo i due studiosi, ne derivi una sorta di boomerang effect, per cui i partiti come corpi funzionali che operano nell’arena democratica, non possano democratizzare se stessi, il loro modo di operare interno.

Reuven Y. Hazan, ribadisce sostanzialmente gli stessi concetti ancora recentemente, asserendo che la democratizzazione del processo di selezione dei candidati può essere letta sotto due diversi profili, in ultima analisi convergenti verso l’indebolimento dei partiti, del parlamento e della stabilità di governo: la democratizzazione, in sostanza, può avere delle conseguenze sia sotto il profilo sistemico, sia sotto il profilo più squisitamente partitico-organizzativo. Da un lato può essere interpretata come sintomo di implosione dei partiti, con importanti implicazioni sia per la compattezza e la coesione dei gruppi parlamentari sia per la stabilità dei governi; sotto un’altra angolazione, una versione inclusiva del selettorato può essere funzionale a una strategia pilotata dai leader per tenere a bada i corpi intermedi dell’organizzazione, mantenendo i contatti e mobilitando direttamente la base degli iscritti, in sintonia con la trsformazione dei partiti tradizionali in partiti di cartello (Katz e Mair 1995, tr.it. 2006). In riferimento alle conseguenze sistemiche della democratizzazione delle procedure di selezione delle candidature, fa notare il politologo israeliano, nulla può impedire ai partiti di adottare delle contromisure per ridurne o annullarle gli effetti, cercando di ripristinare il controllo sulla selezione e l’abbandono del metodo delle primarie, come hanno già fatto alcuni partiti europei, australiani e israeliani. “In sostanza, i partiti sono in grado di ritornare a metodi di selezione meno democratici, per riaffermare la disciplina e la coesione interne” (Hazan 2006, 189). Detto in altri termini, secondo la teoria del Cartel Party, i vertici organizzativi dei partiti possono seguire un duplice percorso per superare gli effetti perversi della democratizzazione del partito: o restringere il selettorato, con il rischio però di esporsi a comportamenti di exit della base del partito e dei simpatizzanti, oppure decapitare gli organismi di base del partito, ossia “negando agli attivisti motivati ideologicamente l’opportunità di organizzare e rappresentare gli iscritti” (Hazan 2006,190). Questa seconda alternativa, cioè a dire l’espansione del selettorato verso il basso, sembrerebbe funzionare da strategia vincente per i vertici organizzativi dei partiti, in quanto li sottrae al controllo organizzativo dei livelli più bassi, autonomizza gli eletti dalla base del partito e riorienta la lealtà verso il partito nelle cariche pubbliche.

Sintetizzando le osservazioni fatte in questo paragrafo, possiamo dire che le opinioni degli studiosi che analizzano criticamente le iniziative di democratizzazione delle procedure di selezione dei candidati e, in particolare, del metodo delle primarie (specialmente in Europa) hanno in

Page 6: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

6

comune, ci sembra, una concezione del partito politico europeo come fenomeno organizzativo complesso (Raniolo 2004), tuttora in via di trasformazione (katz e Mair 1995, tr.it. 2006; Scarrow 1999; Koole 1996; Heidar e Saglie 2003; Ignazi 2004; Carty 2006). I partiti, inoltre, in quanto soggetti collettivi organizzati, come suggeriscono Katz e Mair (1994), tendono a organizzarsi, come abbiamo visto, mediante una struttura a strati autonomi e interdipendenti (il party in central office, il party in public office e il party on the ground); questa proposta analitica che arricchisce il modello del cartel party è stata ritenuta efficace per analizzare empiricamente l’evoluzione più recente dei partiti italiani (Bardi, Ignazi, Massari 2007). E’ utile notare, infine, che questi stessi partiti, nonostante le suddette trasformazioni, restano legati al territorio e tendono a riprodursi e a mutare in continuità con il radicamento nelle rispettive culture politiche territoriali tradizionali (Diamanti 2003). In buona sostanza, i partiti italiani, come i loro omologhi europei, appaiono a una nutrita schiera di studiosi strutturalmente diversi dai partiti americani, i quali si caratterizzano precipuamente come partiti di candidati e di rappresentanti eletti che rispondono all’elettorato più individualmente che collettivamente. Per dirla con una frase breve e assiomatica: mentre ai partiti americani ci si registra (per andare a votare), ai partiti europei, invece, ancora ci si iscrive (Sartori 1999; Fabbrini 2002).

1.2 Tipi di partiti e metodi di selezione dei candidati alle cariche pubbliche Basandosi su questo ultimo presupposto, diversi autori hanno discusso circa la collocazione

delle elezioni primarie nel contesto italiano (o europeo) rispetto al contesto statunitense. Si fa osservare che, nonostante i tentativi compiuti dai partiti, all’inizio degli anni novanta in alcuni di paesi europei, di istituire forme di coinvolgimento degli iscritti ai partiti nelle operazioni di selezione dei candidati, la logica delle elezioni primarie statunitensi si richiama a modelli generali non direttamente applicabili all’Europa occidentale, poichè qui nessun partito ha aperto il processo a tutto il suo elettorato, nè è probaile che lo faccia, come in America. Del resto le primarie furono introdotte in America per assegnare agli elettori la scelta e sottrarre la presidenza alla manipolazione delle élites di partito; le primarie hanno avuto origine dai governi dei singoli stati giusto per togliere ai partiti il controllo sulle procedure di nomina (Pennings e Hazan 2001, 269). In questa prospettiva, il problema dell’introduzione delle primarie nel sistema italiano - a differenza dello scenario statunitense - dovrebbe essere affrontato con la consapevolezza che tale operazione si inserisce in un gioco di confronto/scontro tra criteri differenti di razionalità e di «appropriatezza» (March e Olsen 1992) sia all’interno di ogni partito coinvolto sia tra partiti diversi nel caso in cui le primarie siano realizzate da coalizioni politiche. Mi spiego meglio. Innanzitutto depone a favore dell’espansione in USA delle primarie il fatto che i partiti americani siano essenzialmente “macchine elettorali”, nel senso che al di fuori dei momenti elettorali (peraltro lunghi e intensamente partecipati da una parte di cittadini elettori) essi non esprimono alcuna vitalità. I principali partiti nordamericani (statunitensi e canadesi) si caratterizzano per l’assenza di membership di massa, per la carenza di una base ideologica e programmatica, e per l’assenza di un apparato che possa rivendicare di dettare linee di policy al ramo parlamentare del partito (Epstein 1964, 50)2. Al contrario, nei paesi in cui i partiti sono strutturati e svolgono attività politica in 2 Nonostante queste analogie nella struttura organizzativa, nota Epstein, i maggiori partiti canadesi (il Partito Liberale e il Partito Conservatore) risentono, invece, dell’influenza britannica ed europea-occidentale in tema di attribuzione alle istanze organizzative locali dei partiti della funzione di scelta dei candidati alle cariche pubbliche. Con una particolarità interessante ai fini del nostro discorso, e cioè che, essendo il selettorato composto dalle assemblee di tutti gli iscritti alle associazioni locali dei partiti, per potere partecipare alla selezione delle candidature ci si iscrive ai partiti, per poi, magari, lasciare cadere la propria iscrizione al partito nell’intervallo tra una elezione all’altra e riiscriversi quando nel loro distretto si rivota (Carty 2004, tr.it. 2006, 97). Ciò aggiunge, a mio avviso, un ulteriore supporto all’opinione che non si può statilire alcun automatismo tra processi di apertura all’esterno dei partiti (attraverso il voto alle primarie) e democratizzazione effettiva del partito (mediante ampliamento di empowerment di iscritti ed elettori nei processi decisionali interni). Il caso canadese dimostra anche che la partecipazione e l’astensione alle procedure di selezione

Page 7: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

7

permanenza, si pone il problema di conciliare il ricorso alle primarie come criterio di scelta dei loro candidati con le prerogative e le funzioni tradizionali dei partiti stessi (Somaini 1996, 1143).

Un’altra differenza consiste nel fatto che negli Stati Uniti la competizione elettorale delle primarie si svolge tra i candidati di un partito, non tra partiti. E poi, ancora, occorre tenere conto del fatto che il sistema politico americano, caratterizzato da separazione verticale e orizzontale dei poteri, non lascia spazio all’esistenza di partiti organizzati unitariamente e centralmente: vi sono, nota Fabbrini, tanti partiti quante sono le arene governative; ogni partito deve rispondere a uno specifico elettorato in base alla specifica arena (presidenza, camera e senato). Precedentemente all’introduzione delle primarie, infatti, i partiti di massa ottocenteshi statunitensi erano stati colpiti dal virus della crisi (corruzione, bossismo, occupazione privilegiata dei posti pubblici), causando un movimento di rivolta antipartito, da cui è scaturita l’invenzione delle primarie. Cosicché, commenta ancora Fabbrini, non si può sostenere che le primarie siano state la causa prima del superamento dei partiti organizzati, si può dire, invece, che le primarie dirette abbiano dato il colpo di grazia al modello statunitense di partiti organizzati. “Quella spinta, nondimeno, ha avuto implicazioni importanti, che vale la pena di ricordare (...) In primo luogo la trasformazione di quei partiti in strutture di servizio, di formidabile efficienza, dei vari candidati che si affermano attraverso le primarie. Si dice che la politica americana sia diventata candidate-centered, ed è vero. Nel senso che sono i candidati a connotare i partiti e non viceversa, I partiti sono delle guidilines, esprimono generici indirizzi di politica, ma non si connotano autonomamente come agenzie programmatiche” (Fabbrini 2002, 5-6). Il sistema politico e i partiti italiani appartengono, ovviamente, a una specie diversa rispetto agli omologhi statunitensi. Tuttavia, in linea teorica nulla vieta che in Italia le elezioni primarie possano essere “sganciate dagli attuali partiti” e che possano essere istituite o per superare i partiti (intese come strutture organizzative stabili seppure diversamente etichettabili)3, oppure in vista di una profonda “trasformazione della coalizione dell’Ulivo in un Partito democratico del tipo di quello americano” (Somaini 1996, 1145)4. Quest’ultimo sembra essere anche l’auspicio di Fabbrini: “tra il partito del candidato americano e il partito d’apparato europeo, il riformismo deve perseguire una strategia alternativa. Quella del partito coalizionale, estroverso e maggioritario” (Fabbrini 2002, 8). In questo tipo di mega partito la primaria di coalizione, opportunamente regolata, sarebbe utile a far emergere una maggioranza politica legittimata dal basso e accettata anche dalle minoranze, in Italia come nelle democrazie europee. Ovviamente su questo punto il dibattito politico e scientifico è estremamente aperto e stimolante.

Resta da considerare brevemente se e come lo schema di azioni e reazioni dei partiti fin qui illustrato si modifichi o meno nel caso in cui – come si è verificato nella maggior parte delle esperienze italiane di elezioni primarie – l’attore delle primarie non è un partito singolo bensì un gruppo di partiti alleati. Eugenio Somaini (1993; 1996) e Giovanni Sartori (1999) a proposito di elezioni primarie che hanno come attori le coalizioni di partiti, intervengono per descrivere le cause del sorgere delle controversie tra partiti, che come si ipotizzava prima costituiscono una componente pressoché inevitabile del processo di costruzione e realizzazione di competizioni primarie5. Somaini sostiene che , nel caso in cui le elezioni primarie non si svolgano all’interno di

segue in generale una dinamica di comportamento analoga a quella a cui si assiste in tutte le prove elettorali: si partecipa di più o di meno in base alla posta in gioco e al contesto territoriale e politico-sociale di riferimento per ogni singola prova (come dimostrano ad esempio, le elezioni italiane per il parlamento europeo del 6-7 giugno 2009). 3 I partiti italiani si avvcinano di più al modello del partito professionale elettorale (Panebianco 1982), al modello del partito di cartello (Katz e Mair 1995, tr.it. 2006), al modello del partito in franchising (Carty 2004, tr.it. 2006 ), oppure ancora, al modello di un moderno partito di quadri (Koole 1994, 1996) o, infine al network party (Heidar e Saglie 2003)?. 4 Questo discorso, aggiungiamo noi, è del resto perfettamente in linea sia con le iniziative del movimento referendario italiano da una parte, sia con i tipi di partiti senza iscritti e senza strutture organizzative intermedie, fondato in Italia all’inizio degli anni novanta (come Forza Italia e la Lega nord), dall’altra; e in linea, altresì, con i percorsi già intrapresi dal partito laburista in Gran Bretagna nello stesso periodo (Calise 2000). 5 L’economista Somaini tiene a puntualizzare di essersi addentrato in questo campo di studi di natura squisitamente politologica, quindi senza il possesso di specifiche competenze, in virtù del fatto che la teoria economica e, in

Page 8: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

8

un partito ma riguardino aree politiche o coalizioni di partiti, è più razionale ed efficiente, ai fini di una potenziale vittoria alle elezioni effettive, che le coalizioni siano aperte, in modo da consentire ad un numero ampio di posizioni politiche di partecipare all’operazione negoziale, includendo oltre alle candidature partitiche anche quelle di gruppi non partitici. In questa prospettiva, quindi, non soltanto non è utile porre vincoli restrittivi all’ingresso di forze politiche nella coalizione, ma occorre evitare, altresì, che singoli attori (partiti o gruppi) possano prima controllare e poi predeterminare “sia le rose dei candidati sia la gamma delle posizioni politiche da proporre all’elettorato” (Somaini 1993, 988). L’economista avverte, però, che adottando criteri aperti di candidatura, i confini di un’area politica o coalizione possono diventare piuttosto indefiniti, rischiando di creare disagio ai candidati di altri partiti, i quali a loro volta che si percepiscono come politicamente molto distanti dai candidati esterni ammessi alla competizione, fino a indurli a rinunziare alla prova delle primarie (per il timore che il baricentro politico della coalizione si sposti troppo rispetto alla propria posizione). Questa non è l’unica potenziale minaccia alla tenuta della coalizione, poiché possono determinarsi altri punti critici nelle primarie di coalizione. Un primo punto critico è costituito dal fatto che, se è vero che l’adozione di meccanismi aperti e inclusivi facilitano il raggiungimento di obiettivi di razionalità, efficienza e competitività nella prova elettorale primaria, può anche succedere anche che più si allargano i confini, più aumenta si allarga lo spettro delle candidature, e più aumentano le probabilità che la prova elettorale primaria generi conflitti tra logiche di razionalità e di appropriatezza concorrenti perseguiti dai diversi partiti della coalizione. “Quando le elezioni finali vedono in campo delle coalizioni, vi è il rischio che, se la competizione alla primarie prende i contorni di un confronto tra i partiti, l’effetto sia quello di indebolire, e al limite di compromettere, la coalizione” (Somaini 1996, 1143). Sartori, a sua volta, si preoccupa del fatto che le primarie di coalizione suscitino contese tra i candidati di uno stesso partito oltre che tra i partiti della coalizione. “Qui il mio timore è che nella contesa elettorale i candidati di uno stesso partito, e poi dello stesso schieramento, combatteranno molto più tra di loro che non contro lo schieramento opposto” (Sartori 1999, 38). Tale probabilità diventa più rilevante aumenta nei casi in cui la coalizione sia formata da partiti strutturati sotto il profilo organizzativo; poiché proprio in questi casi, secondo Somaini, lo strumento competitivo delle primarie mette a confronto la capacità e la forza organizzativa di un partito con quella degli altri partiti alleati, con il rischio di vedere accentuati le tensioni e i contrasti all’interno della coalizione, fino al punto da rendere le non consigliabili; a meno che – ripetiamo - i promotori non affidino alle primarie lo scopo implicito di destrutturare i partiti tradizionali per far nascere nuovi partiti non strutturati (come si è proposto di fare, ad esempio, il movimento progressista negli Stati Uniti a cavallo tra il XIX e il XX sec.) (Gangemi 2008; Anastasi 2008). 1.3. Democratizzazione dei partiti e modelli di partecipazione della membership alla elezione delle cariche interne e istituzionali E’ giunto il momento, dopo tante allusioni, di entrare più nel merito del dibattito sulla fisionomia organizzativa dei partiti attuali per affrontare il tema dell’ampliamento della partecipazione interna e apprezzarne gli effetti reali in termini di aumento quantitativo e di empowerment della membership. Sulla base della teoria del Cartel party (Katz e Mair 1995; tr. it. 2006), fino alle più recenti proposte di identificazione dei partiti con strutture stratificate mediante altre etichette - come “moderni partito di quadri” (Koole 1994), “network party” (Heidar e Saglie 2003), o, infine, “party in franchising” (Carty 2004, tr.it. 2006) – osservando il range di comportamenti dei partiti nell’ambito dei diversi sistemi politici democratici, emerge come il modulo organizzativo stratificato o stratarchico (Mair 1994), possa anche servire ai partiti per rivendicare la loro configurazione democratica e legittima di fronte ai loro elettori e iscritti. particolare, la teoria della scelta razionale, si presti all’analisi di processi politici ad elevata formalizzione come le regole elettorali (Somaini 1993, 991, nota 1).

Page 9: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

9

Negli ultimi tempi si è registrato un notevole sviluppo di studi comparati in tema di riforma della vita interna dei partiti in direzione dell’offerta di più ampi spazi di partecipazione, fatti registrare dai partiti politici di matrice progressista o conservatrice in tutti o quasi i paesi democratici europei ed extraeuropei (Katz e Mair 1992, 1994; Dalton e Wattemberg 2002; Gallagher e Marsh 1988; Bardi 2006). Alcuni di questi studi e ricerche dalla fine degli anni novanta del secolo scorso sono il risultato di indagini su un fenomeno molto diffuso nei sistemi di partito delle democrazie contemporanee, europee in primo luogo; tale fenomeno consiste nella tendenza generalizzata dei gruppi dirigenti partitici a offrire incentivi e incoraggiamenti alla membership per partecipare a talune attività organizzative interne (tra cui spiccano l’elezione delle cariche interne e la selezione dei candidati alle cariche pubbliche); in alcuni casi le élites partitiche si sono impegnate anche a promuovere riforme istituzionali volte a fare aumentare le chances di voto di fasce di elettori nei processi della democrazia rappresentativa (Scarrow 1999; Pennings e Hazan 2001; Rahat e Kazan 2001; Heidar e Saglie 2003; Ignazi 2004).

Come spiegare questa tendenza generalizzata al coinvolgimento della base e all’apertura dell’organizzazione partitica all’esterno? Per rispondere a questo interrogativo, gli studiosi dell’evoluzione organizzativa dei partiti politici nel continente europeo suggeriscono di tenere presente, innanzitutto, il fatto che il superamento del ruolo di intermediazione del partito tra la società civile e le istituzioni e la sua progressiva interpenetrazione con il settore pubblico (mediante la politica degli incarichi e il finanziamento pubblico dei partiti) ha fatto aumentare le risorse a disposizione dei partiti, con la conseguenza che i partiti hanno aumentato il loro potere e la loro influenza nella società e nel sistema politico. Un’analisi molto lucida dei tentativi dei partiti a creare nuovi spazi di partecipazione democratica al loro interno fa notare, inoltre, che questi “nuovi” partiti hanno fermato, nel recente passato, gli attacchi alla loro supremazia sia da parte dei movimenti sociali degli anni settanta sia i tentativi dei gruppi di interesse organizzati di introdurre criteri neo-corporativo di gestione dell’economia e delle politiche pubbliche (Ignazi 2004). Ciò significa che in linea generale i partiti contemporanei sono, semmai, più e non meno forti dei tradizionali partiti di massa e pigliatutto, nel senso che, avendo rafforzato la loro presenza nei gangli dello stato e, mediante un accorto uso dei media, sui sistemi di interessi sociali ed conomici più rilevanti, le strutture centrali dei partiti hanno sostanzialmente monopolizzato e assorbito quasi tutta l’attività organizzativa e politico dei loro partiti, svuotando di linfa vitale la membership e le strutture organizzative intermedie.

Al culmine di questo processo di progressiva verticalizzazione delle strutture organizzative dei partiti, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, i partiti sono costretti a costatare sia la riduzione tendenziale delle iscrizioni che il declino della fiducia dei cittadini, non soltanto verso i partiti ma anche verso la politica in se stessa. In altri termini, i partiti politici italiani (ed europei in generale), “di fronte al trend declinante delle iscrizioni e dell’identificazione di partito, o, per usare la terminologia di Katz e Mair, di fronte alla crisi del party on the ground, non si limitano a rafforzare le strutture centrali (il party in central office), che costituiscono il loro core business, bensì distribuiscono – anche – incentivi di partecipazione: offrono accesso al processo decisionale nella selezione di candidati, del leader e persino dei programmi” (Ignazi 2004, 339). Questo tipo di strategia si svolge nel medio-lungo periodo e unisce in un unico abbraccio pressoché tutti i partiti europei, i quali mettono in atto moltelici iniziative di riforme interne e promuovono riforme istituzionali nel sistema politico, nel tentativo di resistere alla loro incapacità di rispondere a nuove domande e di dare risposte a nuovi rischi sociali (indotti dalla società post-moderna e della politica globalizzata) tentando di rilegittimare la loro presenza agli occhi dell’opinione pubblica democratica.

Con quali conseguenze per il funzionamento del sistema democratico e della partecipazione reale della popolazione alla vita politica? Per Susan Scarrow, pur tenendo conto della novità delle suddette iniziative di riforme, non si può fare a meno di ammettere che i cambiamenti introdotti dai partiti sono serviti meno ad attivare nuovi canali di partecipazione alla vita di partito e più a pubblicizzare quelli esistenti; è difficile cioè non vedere una certa intenzionalità strumentale

Page 10: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

10

nell’azione dei partiti. E’ noto che i partiti politici della Germania furono le principali forze dietro all’espansione della democrazia diretta negli Stati e nelle Municipalità, mediante l’introduzione di procedure di voto popolare e di referendum tra il 1989 e il 1997. In questo stesso periodo, dodici stati delle due Germanie hanno autorizzato “similar plebiscitary procedures at the local level” (Scarrow 1999, 351). Un altro esempio di questo modo di procedere strumental-plebiscitario dei partiti tedeschi è costituito dalla introduzione da parte della Spd delle quote di genere nelle candidature al Bundestag. In effetti, questa riforma ha avuto come immediato riscontro l’aumento (piuttosto consistente: intorno al 35%) della delegazione femminile nell’organismo rappresentativo; dunque il cambiamento è stato premiante in termini di aumento della rappresentatività del gruppo parlamentare in seno al Bundestag. Se, però, si confronta l’obiettivo propagandato delle riforma con il risultato effettivo che intendeva raggiungere, l’aumento complessivo della partecipazione, la crescita di empowerment della base e lo sviluppo della cittadinanza attiva, allora la conclusione è che il risultato è piuttosto deludente. I dati sulla membership dei partiti dicono che dopo l’aumento di iscritti alla Cdu e alla Spd in coincidenza dell’unificazione, negli anni successivi fino al 1997 si è registrato un calo progressivo delle iscrizione ai due maggiori partiti tedeschi (Scarrow 1999, 353). Un giudizio ancora più netto sul significato dei processi di partecipazione interna dei partiti lo formula Piero Ignazi. “L’appello diretto alla membership verso cui si è orientata la stragrande maggioranza dei partiti costituisce però una spada a doppio taglio: se da un lato da voce agli iscritti, dall’altro marginalizza i militanti e le middle-level èlites, la vera ossatura del partito: in una parola introduce una dinamica plebiscitaria. Che questo sia un rischio calcolato, o addirittura il vero obiettivo dell’apertura alla membership da parte della leadership partitica , è plausibile” (Ignazi 2004, 340). E’ possibile affermare ciò, in quanto la democratizzazione interna e l’appello dell’élite alla membership, come nota acutamente Mair (1994), è rivolto ai membri in quanto individui e non in quanto associazione operante nel territorio. Perciò è lecito parlare di ripiegamento plebiscitario dell’azione dei leader politici; poiché, anche quando promuovono riforme procedurali di democrazia diretta, hanno in mente la protezione e la rilegittimazione del marchio partitico e della loro leadership. Se la deriva plebiscitaria viene alimentata dall’appello dell’attuale classe dirigente partitica al popolo degli iscritti, figurarsi in che misura lo stesso fenomeno possa esasperarsi ed estremizzarsi, quando – come si sta verificando per certi versi nel caso italiano - lo stesso tipo di classe dirigente dello stesso tipo di partiti, by-passando del tutto il corpo del partito, decide di fare appello direttamente agli elettori, ad esempio mediante le primarie; a ciò si aggiunga che le procedure di azione diretta sarebbero comunque utili anche al superamento delle resistense degli apparati intermedi e di base, oggi del tutto inesistenti. In quest’ultimo caso i risultati sarebbero quelli spiegati prima da Reuven Hazan: le primarie e altre dimensioni partecipative diventano soltanto uno strumento manipolabile, con una certa facilità come dimostrano i casi empirici che stiamo per analizzare, dalle élites per controllare il partito, senza far compiere passi in avanti alla soluzione del problema, reale ed effettivo, di incrementare il volume complessivo di partecipazione politica dei cittadini e dei militanti dei partiti. “In effetti, nonostante queste aperture – osserva ancora Ignazi – i partiti non hanno guadagnato consenso: Il sentimento antipartitico non si è azzerato. L’ostilità nei confronti dei partiti, dei leader politici e della politica in generale è in crescita quasi ovunque. (…) Si potrebbe arrivare al paradosso che l’appello alla membership si sia trasformato in plebiscitarismo – che è l’altra faccia della democrazia diretta – indebolendo i suoi stessi proponenti (cioè i partiti)” (Ignazi 2004, 340). Il cuore del problema consiste nel fatto che i partiti trasformati ( in cartel party o come li si voglia definire) non sono stati capaci di sostituire gli incentivi collettivi e simbolici che – pur nel clima di guerra fredda e di tensione ideologica ben noti - avevano alimentato a lungo il circuito elettori-iscritti-partiti nelle democrazie pre-globalizzazione, con nuovi incentivi (collettivi e simbolici); ciò è avvenuto compiendo uno sforzo, cioè, che avrebbe richiesto, piuttosto, un profondo ripensamento e rinnovamento (culturale, comunicativo e di senso prima che materiale) delle categorie concettuali di democrazia rappresentativa, di partito e di partecipazione politica. A questo fine, occorre dissolvere innanzituto ambiguità ed equivoci circa le virtù trasformative in

Page 11: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

11

senso democratico insite nelle procedure di voto, funzionali all’elezione dei rappresentanti dei cittadini presso le istituzioni rappresentative oppure per selezionare le candidature e/o per eleggere “direttamente” i leader di partito. A questo proposito ci sembrano molto significative le osservazioni di uno studioso che sul tema della partecipazione politica lavora da decenni, Alessandro Pizzorno. In una recente intevista alla rivista “Democrazia e conflitto” (n.0 2009) spiega con estrema chiarezza gli ambiti e gli effetti sistemici del voto, della partecipazione elettorale. Seguimone il filo del ragionamento con alcune citazioni. Pizzorno esordisce precisando che il voto è una forma di partecipazione sociale, ossia esso appartiene al novero dei gesti che si compiono per produrre beni pubblici; tale gesto, tuttavia, si inquadra tra le forme di partecipazione di tipo “rituale”. Il concetto di partecipazione rituale entra in gioco per correggere il concetto di razionalità dell’azione collettiva sviluppato da Olson (1983), secondo cui si comporterebbe irrazionalmente chi, facendo parte di una comunità di urtenti, partecipa senza incentivi specifici al costo di produzione di un bene pubblico, dal quale non può essere escluso. Com’è noto Pizzorno aveva già criticato l’assioma di Olson, facendogli osservare che se egli avesse ragione, allora chiunque vada a votare o partecipi a una manifestazione senza contropartita (come normalmente avviene) sarebbe un individuo irrazionale. Pertanto la domanda da porsi è: “perché si partecipa alla produzione di un bene pubblico – poiché sono tali i fenomeni del voto, della partecipazione ai movimenti e ai partiti – se non se ne ricava nulla in più che si riceverebbe in ogni caso a costo zero?” (Pizzorno 2009, 176). La risposta è che il voto, in quanto tale, non può essere che un’azione fine a stessa, e non è volta a ottenere benefici né per la persona né per il gruppo che la esercita; essi non può essere considerato uno strumento per cambiare la realtà. Occorre modificare il concetti di razionalità di Olson o di Downs se si vuole iscrivere il voto tra le azioni razionali, che sono tali non perché corrispondono alle intezioni del soggetto, ma in quanto si inseriscono tra le condotte di un gruppo di persone, il cui interesse precipuo è di rinsaldare la solidarietà reciproca e il senso di appartenenza. Votare è un rito, una azione simbolica, poiché “ciò che conta quando si vota è il fatto di appartenere a un gruppo, a un partito, avere un determinato rapporto interpersonale, non il calcolo (del resto inconcepibile tecnicamente) dei benefici che il votante ne ricaverà” (Pizzorno 2009, 178). C’è, poi, da sottolineare una certa analogia tra la partecipazione rituale al voto e la partecipazione ai movimenti collettivi e ai partiti, che Pizzorno mette in luce. I movimenti sono degli agenti che agiscono per conto di principali (i poveri del mondo, il pianeta terra, la democrazia partecipativa ecc.) di cui si immaginano delegati per difenderne gli interessi; dietro questa costruzione sociale c’è un lavoro ideologico priliminare che serve e definire il rapporto agente-principale. “Ma l’elemento dominante consiste nella realizzazione della partecipazione in quanto tale; cioè della formazione di una piccola e grande nuova unità collettiva. Ciò non è totalmente differente dalla partecipazione otto-novecentesca , sia dei movimenti sociali del tempo (...) sia dei partiti di massa. Ma in quel caso i principali, anche se costruiti come realtà storica unitaria, presentavano possibilità di riscontri empirici, almeno parziali. Nel caso dei partiti organizzati di massa, poi, il fenomeno della partecipazione era, a differenza che nel caso dei movimenti odierni, connesso con la conquista del potere da parte di un’élite” (Pizzorno 2009, 181). In ogni modo sia nel caso dei partiti sia nel caso dei movimenti l’elemento della ritualità permane, poiché la solidarietà è prevalente rispetto ad altri obiettivi, a differenza della partecipazione di un gruppo di pressione o di interesse che è realizzata per uno scopo preciso. Il vantaggio immediato della solidarietà è stato prevalente anche per i partiti di massa socialisti (ma anche cattolici), il cui scopo principale nel momento della loro formazione non era quello di andare al potere. Secondo Pizzorno alla fine dell’ottocento la gente diventava socialista perché cercava tutt’altra cosa. “non cercava vantaggi personali connessi con determinate politiche – che in ogni caso nessuno è in grado di calcolare. Ma allora perché ci andava? Ci andava, come si partecipa a un movimento perché così realizzava un rapporto di solidarietà. Ecco questo è il punto: le elezioni non vengono decise da un voto, quindi il fatto di partecipare alle elezioni è un fatto rituale; al tempo stesso tutti pensano che quando un partito andrà al potere cercherà di avvantaggiare certi elettori piuttosto che altri: gli elettori sono in realtà gruppi di elettori quindi soggetti politici che non si presentano come insieme di individui ma come gruppi (sono sindacati o

Page 12: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

12

associazioni agricole o così via), che solo in quanto tali possono avere sufficiente potere per far sì che il governo debba in qualche modo orientare le sue politiche in una certa direzione. Quindi ll rapporto voto-policy esiste soltanto in quanto passa attraverso la griglia della solidarietà di gruppo, della solidarietà di movimento, della solidarietà di sindacato, della solidarietà di associazione, eccetera” (Pizzorno 2009, 183). Il voto, in altri termini, può darci informazioni sul modo e sul grado di rispetto della rule of law democratica, ma non risolve il problema dell’empowerment degli iscritti e dei cittadini, il controllo sull’esercizio del potere da parte degli strati più bassi sulla vita interna dei partiti e la partecipazione dal basso alle decisioni riguardanti le politiche pubbliche e la vita collettiva.

Ciò, mi sembra, è anche alla base di ciò che dimostra la ricerca di Susan Scarrow effettuata nella Repubblica federale tedesca. La studiosa nota che tra il 1980 e il 1990 si verificano due fenomeni paralleli: cresce l’attrazione e l’interesse dei cittadini verso le forme non convenzionali della partecipazione politica mentre si verifica il declino del livello di partecipazione al voto e alla iscrizione e partecipazione all’attività dei partiti. Gli strateghi della politica partitica, in risposta ai comportamenti di de-alinneamento partitico e di diffusione di valori postmaterialistici, hanno stabilito che i partiti per combattere la disaffezione dei cittadini verso la politica convenzionale avrebbero dovuto offrire nuove e maggiori opportunità di partecipazione diretta alla vita dei partiti e ai processi decisionali. Nell’atteggiamento dei partiti i ricercatori colgono un mix di opportunismo (tendenza a cavalcare impulsi plebiscitari) e di reale volontà di adeguamento alle istanze di nuova partecipazione (Scarrow 1999, 347). I verdi e i socialdemocratici tedeschi, per fare un esempio, nel 1995 non si sono limitati ad introdurre all’interno dei partiti pratiche di democrazia diretta per l’elezione dei gruppi dirigenti e per la selezione dei candidati alle cariche pubbliche (rendondo obbligatorie le quote di genere) ma si sono spinti a promuovere delle riforme istituzionali nei governi locali (come in Bassa Sassonia), dove è stata introdotta l’elezione diretta dei sindaci e l’abbassamento a 16 anni dell’età del voto amministrativo, per cercare di ridurre le barriere in entrata alla cittadinanza attiva (Scarrow 1999, 352). L’apertura dei partiti verso una maggiore partecipazione ai meccanismi decisionali da parte degli iscritti e dei simpatizzanti, in questo periodo può essere considerare un fenomeno generalizzato, che coinvolgi tutti o quasi i partiti europei contemporaneamente: oltre che in Germania, come abbiamo visto, anche in Gran Bretagna, in Scandinavia, in Belgio e in Austria sono stati introdotte misure volte a facilitare un più attivo coinvolgimento degli iscritti. “Anche i più accentrati e verticisti dei partiti europei, quelli francesi, si sono adeguati a procedure democratiche interne (Ignazi 2004, 339). In Italia, infine, secondo Ignazi, nonostante la rivoluzione del 1993, i tentativi di ampliare la sfera di intervento degli iscritti non ha avuto grande spazio, anche perché “la presenza di due partiti simil-carismatici come FI e Lega nord non ha certo favorito l’estensione alla membership di prerogative nel processo decisionale” (Ignazi 2004, 339).

Recentemente si sono aggiunti nel panorama politico italiano due nuovi partiti: il Partito democratico nato dalla fusione tra la Margherita e i Democratici di sinistra e il Popolo della libertà nato dalla fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale. Il primo, il Partito democratico, essendo attualmente in fase costituente, non si sa quale modello organizzativo vorrà adottare per regolare la sua vita interna e il rapporto con gli elettori e con gli iscritti. Il secondo sembra avere trovato il suo assetto organizzativo mediante assorbimento di Alleanza nazionale (più altre piccolissime formazioni di centro destra) all’interno del partito-azienda mediale di Forza Italia e conferma, per acclamazione nell’atto della fusione del fondatore e principale azionista di Forza Italia, Silvio Berlusconi. E’ stato scritto che anche il Pd italiano trova i suoi riferimenti organizzativi negli schemi del business, non certo per imitare il partito-azienda Forza Italia, bensì per strutturarsi seguendo la logica della rete di imprese in franchising (Berta 2007, 997). Questa definizione appare, a mio avviso, un modo elegante per dire che il profilo più probabile che assumerà il nuovo partito alla conclusione della fase fondativa, sarà quello del partito professionale elettorale, in una sua versione aggiornata di network di organizzazioni localmente autonome, assistite da un marchio di fabbrica che impone procedure di diffusione e pubblicizzazione standardizzate del prodotto.

Page 13: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

13

Con quale esito? E’ difficile prevederlo, oggi prima che il partito sia istituito in forma ufficiale con l’elezione dei suoi organi dirigenti centrali (i detentori del marchio) e regionali (gli imprenditori locali, utilizzatori del marchio) che a quanto si sa avverrà nel mese di ottobre 2009.

2. Partiti e coalizioni nei processi di selezione dei candidati alle cariche pubbliche: le esperienze in alcune città italiane

All’inizio degli anni novanta del decennio scorso, la crisi di leggittimità e di consenso dei partiti italiani tradizionali, già in corso prima che il detonatore tangentopoli la facesse esplodere, ha spianato la strada all’ingresso della politica maggioritaria nel nostro sistema politico: referendum abrogativi, elezione dei parlamentari nei collegi uninominali ed elezione diretta dei sindaci hanno indubbiamente attribuito più potere di scelta ai cittadini elettori (sottraendolo ai partiti) e impresso alla competizione politico-elettorale un formato bipolare e meno frammentato rispetto a quello della prima repubblica (Pasquino 2002; D’alimonte e Bartolini 2002). Mentre in Italia si verificavano questi cambiamenti, i partiti politici a livello europeo – come si è notato sopra – aprivano nuovi spazi di democrazia diretta e di partecipazione degli iscritti soprattutto in tema di elezione della leadership di partito e di selezione dei candidati alle cariche pubbliche, con il risultato di porre con forza nell’agenda della discussione politica il problema della democratizzazione delle strutture interne dei partiti. Qui, in Italia, invece, l’issue della democratizzazione dall’interno dei partiti è stata da subito (nel corso degli anni novanta) monopolizzata dal dibattito sull’opportunità di istituire le elezioni primarie dirette per la scelta dei candidati alle cariche pubbliche, bypassando, così, il tema dell’autoriforma organizzativa dei partiti.

Di questa nostra impressione da indiretta conferma, ci sembra, uno dei libri più noti sui partiti politici prodotti nell’ultimo decennio in Italia, quello di Oreste Massari (2004), che intitola il paragrafo sulla democratizzazione dei partiti, “La spinta alla democratizzazione: la domanda di primarie” e che esordisce nel modo che segue: “ un trend abbastanza netto e inequivocabile si può osservare nella scelta dei leader (di partito e candidati alla premiership o alla presidenza), così come nella scelta dei candidati parlamentari, nelle democrazie occidentali: la democratizzazione crescente dei processi di selezione. La parola d’ordine che viene invocata è quella di «primarie»” (Massari 2004, 140). A onor del vero la letteratura sulla democratizzazione dei partiti, citata nel paragrafi precedenti concentrano l’attenzione principalmente sulle misure di attivazione della base dei partiti in materia di selezione della leadership mediante il voto diretto e soltanto marginalmente si occupano delle primarie. Un motivo della differenza di accento circa le diverse misure di democratizzazione interna ai partiti tra studiosi italiani e studiosi stranieri, si può attribuire al fatto che, mentre tra gli stranieri sono più numerosi coloro che ritengono che “la selezione delle candidature per la cariche interne o per gli incarichi pubblici costituisce in se stessa una delle funzioni centrale dei partiti in democrazia, poiché i candidati come persone e le candidature come ruoli servono a connettere le funzioni dei partiti politici come attori organizzati con le democrazie contemporanee e con i sistemi di governance” (Katz 2001, 278), in Italia l’interesse per questo tipo di studi è ben più ridotta. Per rendersene conto basterebbe scorrere l’indice della antologia di saggi sui sistemi di partito di Luciano Bardi del 2006. Nel nostro Paese, viceversa, dagli anni novanta a oggi, è notevolmente accresciuto il livello del dibattito teorico e, più limitatamente, il volume della ricerca empirica sulle primarie. Per questo motivo anche la nostra descrizione di alcune esperienze di democratizzazione dei processi di selezione, oggetto di questa sezione del paper, si concentrerà interamente sulla selezione delle candidature alle cariche pubbliche (in particolare sulla selezione dei candidati sindaci mediante elezioni primarie comunali di coalizione).

Alla luce delle ipotesi elaborate nella prima parte, di seguito cercherò di mettere in evidenza alcune implicazioni per la vita dei partiti singoli e alleati, tratte, in base alla documentazione empirica disponibile, dai processi di selezione di candidati sindaci del centrosinistra svolti in Italia. Dalla narrazione delle diverse esperienze empiriche emergerà, altresì, il fatto che, sia che si

Page 14: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

14

realizzino prove elettorali primarie (come a Palermo e ad Aversa) sia che i partiti scelgano direttamente i candidati per andare alle elezioni (come a Venezia) il coinvolgimento dei membri dei partiti e degli elettori resta sullo sfondo processo, risulta essere un atto formalmente dovuto (un rito, direbbe Pizzorno), che peraltro arriva alla fine di un processo negoziale, e che si presenta dispendioso in termini di tempo, frantumato nella sua modalità di svolgimento e imprevedibile nelle sue conseguenze. Come ho specificato in premessa, i casi di studio dai quali trae spunto la mia analisi sono quelli di Palermo, Venezia e Aversa. Questi tre casi hanno in comune il condizionamento da parte di un ledere carismatico del processo negoziale per la scelta dei candidati da sottoporre al giudizio degli elettori delle primarie e/o delle elezioni amministrative vere e proprie. 2.1 Il caso Palermo

Le informazioni sul caso Palermo le ho tratte dalla lettura giornaliera dell’edizione palermitana del quotidiano “la Repubblica” dall’inizio di novembre 2006 fino la 4 febbraio 2007 (data di svolgimento delle primarie) e dalla consultazione dei siti dei candidati. La figura di Leoluca Orlando non ha bisogno di presentazione, essendo arcinota la sua vicenda di uomo politico di punta e di sindaco che ha segnato profondamente, con la sua grande popolarità e con il suo carisma, la vita politica e amministrativa della città di Palermo per circa quindici anni, dalla fine degli anni ottanta del secolo trascorso fino a oggi. Orlando, infatti, è un solista della politica, tanto poco incline alla disciplina di partito da svincolarsi dall’organizzazione ogni qual volta l’organismo che lo ospitava pretendeva di imporgli scelte personali importanti da lui non condivise; così è stato con la Dc, con la Rete, con la Margherita fino all’attuale approdo in Italia dei valori. Dopo la sconfitta subita da Totò Cuffaro nella competizione per la presidenza della regione siciliana nel 2001, egli ha atteso il calo di popolarità del sindaco uscente di centrodestra di Palermo Diego Cammarata per rimettersi in pista come contendente in vista delle elezioni comunali di Palermo del 2007. L’occasione era resa ancora più ghiotta dal verificarsi di due condizioni favorevoli. In primo L’Unione di centrosinistra avrebbe scelto – per decisione centrale – il candidato sindaco della coalizione mediante una consultazione dell’elettorato con le primarie; secondariamente, il partito che attualmente lo ospita e di cui è portavoce in Sicilia, l’Italia dei valori, gli ha consentito di competere in prima persona alle primarie e, in caso di vittoria, alle elezioni vere e proprie e non come esponente di partito.

All’inizio di novembre 2006, quando la campagna per le primarie del centrosinistra ha ufficialmente inizio, il quotidiano “la Repubblica” raccoglie la seguente dichiarazione dallo staff di Orlando: “pensiamo a una campagna senza simboli, perché il simbolo è lui”, Leoluca appunto. Nel corso della conversazione giornalistica, il capo staff Fabio Giambrone, inseparabile segretario particolare di Orlando, informa il cronista che gli chiedeva notizie sulle modalità di svolgimento della convention di presentazione della candidatura, che la riunione pubblica “durerà in tutto un’ora, sul podio ci sarà solo Luca che parlerà delle primarie, dello spirito di partecipazione e naturalmente ufficializzerà la sua candidatura. Subito dopo si metterà in moto la macchina della campagna elettorale, che si muoverà a tappeto. Ma già adesso abbiamo avuto una risposta a dir poco straordinaria”6. Giambrone allude al grande numero di persone che ha fatto sapere di volere partecipare alla convention , tanto da indurre l’organizzazione a spostare la manifestazione da una sala cinematografica al palasport, che però sarà indisponibile per la data della convention.

Già da questo approccio, è facile constatatare che il candidato Orlando si presenta alla linea di partenza della competizione primaria con un duplice vantaggio sui suoi potenziali avversari di centrosinstra. Egli, infatti, giocando da outsider, può far leva sia sulla sua perdurante popolarità per sfidare chiunque tra i leader dei partiti alleati di centrosinistra e, contemporaneamente gode, come nessun altro, della libertà di muoversi nell’arena elettorale, assistito da uno staff tecnico collaudato ed efficiente, senza doversi confrontare con i tempi e gli equilibri interni di una organizzazione di partito. Tanto è vero che è bastato l’annuncio ufficiale della candidatura e della imminente

6 La Repubblica, sezione Palermo, 5 novembre 2006.

Page 15: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

15

realizzazione di una convention, per causare uno “spiazzamento” e un clima di confusione in tutto l’arco delle forze politiche di centrosinistra, che si sono visti improvvisamente proiettati nella fase operativa, prima ancora di potere capire come andare alle primarie e come costruire un tavolo negoziale dell’Unione. Se, infatti, prima dell’annuncio ufficiale della candidatura di Orlando, l’orientamento dei partiti in generale e dei due maggiori Ds e Margherita in particolare, sembrava essere (come per le primarie 2005) quello di considerare tutti i parlamentari regionali, nazionali e europei come potenziali candidati autorevoli7, tra cui scegliere il candidato da proporre agli altri partiti dell’Unione, dopo quell’annuncio Ds e Margherita, i sostenitori di questo orientamento perdono letteralmente la bussola, abbandonandosi a una aspra polemica che li porterà a dividersi in una circostanza che avrebbe richiesto una strategia unitaria o, comunque, concordata, alla vigilia della fondazione di un nuovo partito. Tra i due partiti, forse, quello dei Ds è il partito che maggiormente sente sulla sua organizzazione l’incognita della sfida di Orlando e, come tale, quello che subisce la più forte crisi di nervi che lo porta a dividersi anche al suo interno. I democratici di sinistra palermitani, sospinti dall’azione piuttosto estemporanea e stizzita di un leader prestigioso, l’on. Antonello Cracolici, capo gruppo dei Ds all’Assemblea regionale siciliana, dimostrano subito di non essere disponibili ad accettare Orlando né come sfidante alle primarie e nemmeno come potenziale candidato sindaco del centrosonistra, anzi interpretano la sua discesa in campo per le primarie come una provocazione e una inaccettabile intrusione da parte di una figura di uomo politico vecchia e logora8. Per essere pienamente convincente Cracolici, anticipando le decisioni del suo partito e prima che si potesse insediare il tavolo negoziale dei partiti dell’Unione, fa filtrare attraverso i media il nome di un candidato da proporre a tutto il centro sinistra per la competizione primaria, quello di Alessandra Siragusa, presidente dell’associazione Emily, già assessore del Comune di Palermo, con Orlando sindaco negli anni novanta. Si capisce subito che quello di Cracolici è stato un espediente, messo in opera intanto, per chiamarsi personalmente fuori dalla eventuale competizione con Orlando e, al tempo stesso contemporaneamente, per suggerire (con una certa perentorietà) una traccia da seguire nelle discussioni al tavolo dell’Unione. La notizia subito ripresa dai giornali, sconvolge il clima politico nel centrosinistra e provoca irritazione soprattutto nel partito partner e prossimo co-fondatore del Partito democratico, la Margherita. Quest’ultimo partito, d’altro canto, raccoglie l’assist offerto dal campo Ds, per liberarsi anch’esso dall’impiccio di dovere indicare un proprio eventuale concorrente di Orlando alle primarie e, al tempo stesso, non si fa sfuggire l’opportunità di addossare ai Ds la responsabilità di rompere l’unità d’azione nel processo di preparazione e attuazione delle primarie.

In un articolo di la Repubblica, sezione di Palermo, del 10 novembre 2006, il giornalista Massimo Lorello scrive: “è gelo tra Ds e Margherita sul candidato da presentare alle primarie. I due partiti avevano promesso una decisione comune, addirittura si era ipotizzato che il nome sarebbe stato annunciato entro la fine di questa settimana cioè immediatamente prima della convention di Leoluca Orlando in programma domenica 12 novembre. Mercoledì era in calendario un vertice dell’Ulivo ma la Margherita si è tirata indietro, rinviando l’incontro a data da destinarsi. Il motivo? <<il grande risentimento nei confronti dei Ds che hanno giocato d’anticipo>>, soffia un dirigente ulivista. Cioè, la Quercia ha fatto trapelare nei giorni scorsi l’intenzione di lanciare alle primarie

7 la Repubblica, sezione di Palermo, 5 novembre 2006. 8 Il giorno stesso (12 novembre 2006) in cui Leoluca Orlando, in una affollatissima sala cinematografica cittadina, celebra trionfalmente la sua discesa in campo per le primarie, Antonello Cracolici rilascia la seguente dichiarazione alla sezione palermitana di Repubblica, p. V: “Orlando era sindaco nel 1985, se venisse rieletto tornerebbe a farlo chiudendo il mandato nel 2012, cioè dopo 27 anni dalla sua prima esperienza. Ritengo sia necessario un cambio generazionale”. La presa di posizione dell’uomo politico diessino, quand’anche fosse politicamente plausibile e in buona fede, pronunciata prima dell’avvio dell’iter delle primarie, ha il sapore di una sentenza più che di un discorso politico. La sua preoccupazione è chiaramente infondata in quanto Orlando, come tutti sanno, non è stato ininterrottamente sindaco di Palermo dal 1985 e, quand’anche sarebbe stato rieletto, non sarebbe certo il sindaco più longevo d’Italia. Piuttosto l’affermazione di Cracolici è una chiara e decisa manifestazione di indisponibilità personale e politica verso il candidato Orlando, che finirà col mettere in pericolo lo svolgimento efficace e condiviso del processo di realizzazione delle primarie e complicherà i rapporti all’interno dei Ds e tra i Ds e il partito partner, la Margherita.

Page 16: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

16

Alessandra Siragusa, che pure era stata indicata informalmente, in precedenza, da alcuni componenti della Margherita stessa>>”9. Anche le altre forze minori del centrosinistra, Verdi, Rifondazione comunista e Comunisti italiani in questa situazione, nota lo stesso articolista, si mettono alla finestra ad aspettare gli sviluppi della partita tra Ds e Margherita, dichiarando il proprio interesse per le primarie e promettendo verbalmente di parteciparvi con un proprio candidato. Non passa nemmeno un giorno che lo stesso giornalista scrive su Repubblica che la Direzione della Margherita, riunitasi la sera precedente aveva deciso di convocare una riunione dei vertici dei due partiti dell’Ulivo con all’ordine del giorno la proposta unitaria per le primarie, azzerando quindi l’indicazione dei Ds e ricominciando da capo l’iter negoziale. E per essere ancora più esplicito sulle reali intenzioni dei dirigenti della Margherita, il giornalista aggiunge tra virgolette: “<<bisogna fare presto – ammonisce il coordinatore regionale della Margherita, Salvatore Cardinale – di sicuro, se il mio partito e la Quercia non troveranno in modo rapido un candidato unitario, a quel punto mi pare naturale dirigersi verso Orlando e sostenere l’ex sindaco>>”10. Cracolici è servito. Si noti che Leoluca Orlando era stato espulso l’anno precedente dalla Margherita perché si era espresso pubblicamente in favore della candidatura di Rita Borsellino alle Primarie regionali dell’Unione e contro il candidato della Margherita, Ferdinando Latteri. A distanza di un anno il Coordinatore regionale dello stesso partito, coglie l’attimo giusto per ricucire lo strappo con Orlando e, al contempo, schierasi a fianco dell’avversario dichiarato dei Ds; riaffermando così l’orgoglio di partito, anche al costo di ulteriori disastri per la fase costituente del Partito democratico e per la tenuta della coalizione di centro sinistra nelle elezioni amministrative di Palermo.

Non vi è dubbio che, in questa circostanza, i leader più prestigiosi dei due maggiori partiti della coalizione di centrosinistra si siano attribuiti il ruolo di paladini degli interessi e dell’orgoglio di organizzazione della propria organizzazione, e scelgono di farlo parlando a titolo personale per rimarcare il ruolo di prestigio di ciascuno gode all’interno del proprio partito. Ciascun partito e ciascun leader si muove, quindi, in base a criteri di razionalità e a logiche di appropriatezza differenti: i Ds vedono in Orlando, uno che ha osato ledere il prestigio del maggior partito di centrosinistra, mettendone a rischio l’egemonia sia politica che elettorale nell’ambito della coalizione e, per soprammercato, cercando di infliggere al partito Ds l’umiliazione di una sconfitta 8abbastanza prevedibile) alle primarie. La Margherita, a sua volta, come organizzazione più piccola deve difendere la sua autonomia e il suo orgoglio di fronte ai Ds, alla vigilia di un processo di unificazione per evitare di doversi piegare ad altri dictat successivamente. A tal fine, per dare una maggiore efficacia offensiva alla sua battaglia nei confronti dei Ds, la Margherita palermitana decide di schierarsi formalmente a sostegno di un proprio ex dirigente espulso alcuni mesi prima, anche al costo di compiere un atto di plateale incoerenza con se stessa.

A completare il quadro di questa prima fase del processo di realizzazione delle primarie comunali di Palermo, osserviamo che alle dichiarazioni di Crocolici seguiranno a cascata una serie di atti di rottura all’interno dei Ds, tra Ds e Margherita fino alle elezioni amministrative vere e proprie, e l’iter in ordine sparso da parte di tutte le forze politiche dell’Unione alle elezioni primarie (Anastasi 2009). Alla fine, Orlando vincerà, come era prevedibile le primarie, ma l’Unione di centrosinistra perderà le successive elezioni amministrative. Al culmine delle fratture trasversali dei partiti di centrosinistra prima delle primarie, l’autore di un articolo del maggior quotidiano catanese si chiedeva, “riuscirà Orlando a ribaltare gli attuali rapporti di forza [con il centrodestra]? Difficile. E non per sua colpa, ma per i limiti di Ds e Margherita che, pur di farsi dispetti a vicenda, hanno rinunciato a mettere in campo candidati direttamente riconducibili ad essi”11. 2.2 Il caso Venezia

9 la Repubblica, sezione di Palermo, 10 novembre 2006, p.I. 10 la Repubblica, sezione di Palermo, 11 novembre 2006, p.IV. 11 La Sicilia, 29 dicembre 2006, p.33.

Page 17: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

17

Andiamo adesso alla vicenda veneziana. Su questo caso è stato raccolto un materiale empirico (molto copioso), consistente in una rassegna della stampa locale realizzata nei mesi precedenti alle elezioni amministrative del 3-4 aprile 2005 e in una nutrita serie di interviste a testimoni privilegiati realizzate dopo la medesima consultazione elettorale (Gangemi (2006). Il centrosinistra veneziano si presenta all’appuntamento delle consultazioni per l’elezione del sindaco del 2005 con uno il sindaco uscente Paolo Costa del partito della Margherita, non ricandidabile, ufficialmente in quanto eletto al parlamento europeo nel 2004, ufficiosamente in quanto non più gradito ai partiti di centrosinistra, compreso quello di appartenenza, a causa del suo comportamento autoreferenziale e scarsamente disponibile alla mediazione e al confronto sulle scelte politiche e amministrative per la città di Venezia. Nel mese di ottobre 2004, quando si comincia a discutere seriamente della scelta del candidato sindaco del centro sinistra cominciano a emergere le prime critiche esplicite all’amministrazione uscente, tese a invocare una discontinuità e un cambiamento rispetto allo stile della giunta uscente. Inizia Rifondazione Comunista, criticando in tono abbastanza soft e in politichese il sindaco Costa per essersi allontanato dalla città e dai movimenti; seguiranno i Ds a sottolineare l’esigenza di discontinuità rispetto all’azione della giunta Costa e soltanto alla fine di dicembre emerge dai giornali che tra Massimo Cacciari e Paolo Costa, entrambi di area Margherita, è scontro. Afferma Gangemi: “la conseguenza è che il <<Il Corriere del Veneto>>, il 14 dicembre, esce con un interessante trafiletto: Costa avrebbe definito Cacciari il vero capo dell’opposizione (alla sua giunta). Nello stesso trafiletto si fanno i nomi di due pubblici ministeri come possibili candidati del centrosinistra: Felice Casson e Carlo Nordio. Quest’ultimo smentisce, definendo di pessimo gusto che un magistrato si candidi e soprattutto che lo faccia un pm. Casson invece non smentisce. La candidatura Casson emergerà, gradatamente, come soluzione finale conseguente all’immobilità della Margherita (immobilità derivante dallo scontro interno tra Costa e Cacciari)” (Gangemi 2006, 219). La candidatura Casson matura definitivamente nel momento in cui i Ds si convincono che la spaccatura nella Margherita è ormai irreversibile e non se la sentono di indicare un proprio candidato per non approfondire la spaccatura al proprio interno. Poi anche Paolo Costa si rende conto di non riuscire a presentare una propria lista civica in grado di sostenere un proprio candidato sindaco e si schiera anch’egli per la candidatura Casson.

In questo contesto, il 5 marzo 2005, quando tutti meno se l’aspettano Massimo Cacciari rompe gli indugi e annuncia la sua candidatura a Sindaco per la Margherita, chiedendo anche ai Ds di sostenerlo con il voto disgiunto. Contemporaneamente, Paolo Costa ufficializza il suo appoggio a Felice Casson, invitando anche la Margherita a votarlo, mantenendo il voto al proprio partito per il consiglio comunale. Casson è sostenuto da sette liste di partito (Ds, Verdi, Pcdi, Sdi, Rifondazione comunista e Italia dei valori, non compare la lista civica annunciata da Costa, probabilmente perché non gli è riuscito di presentarla. Il voto amministrativo del 3 e 4 aprile 2005 assegna il primo posto a Casson con il 38% (inferiore alla somma dei voti delle sette liste che lo hanno sostenuto, a causa del voto disgiunto) e il secondo a Cacciari con il 23% (superando di pochissimo la percentuale di voti del candidato del centrodestra). Casson si avvede che le esternazioni di Costa in suo favore non gli fanno un buon servizio e se ne distanzia temendo di perdere al ballottaggio. Comunque, Casson privo di precedenti esperienze politiche, esibisce una intrenseca debolezza e non riesce a spiegare in che senso possa presentarsi come innovatore rispetto all’esperienza amministrativa precedente. A Cacciari, invece è riuscito di costringere Casson al ballottaggio, di sconfiggere da solo tutto lo schieramento di sinistra dallo Sdi a Rifondazione comunista e di mettere all’angolo Paolo Costa aggiudicandosi l’appoggio pieno della Margherita (Gangemi 2006, 227).

Dall’analisi di Gangemi si evince, inoltre, che Cacciari inizialmente non aveva intenzione di rimettersi in gioco, tanto da non partecipare alle riunioni negoziali dei delegati dei partiti di centrosinistra; spingeva, invece, autonomamente per la realizzazione di elezioni primarie per far partecipare un suo candidato Alessio Vinello con l’appoggio del partito della Margherita. Come spiega in una intervista, Cacciari si era convinto della necessità di ricorrere alle primarie quando, insieme ad altri esponenti politici (come il rossoverde Gianfranco Bettin), si è accorto che sarebbe stato difficile raggiungere una scelta condivisa mediante la sola trattativa negoziale. Tuttavia,

Page 18: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

18

nonostante qualche iniziativa di mobilitazione pro primarie promossa da Cacciari e da altri, le primarie sono rimaste sempre sullo sfondo, poiché i partiti erano scettici su questa proprosta e continuavano a preferire i rapporti al tavolo negoziale. In questo contesto di ambiguità e di incertezze nel comportamento degli attori, secondo Gangemi non ha funzionato la negoziazione compensativa, cioè a dire quel metodo di prendere le decisioni che evita di affidare soltanto al voto la formazione delle maggioranze per l’attribuzione della posta in gioco e procede affidandosi a negoziazioni successive per fare in modo che ciascun negoziatore possa una quota di poste proporzionale al proprio peso politico o elettorale. Soltanto che la negoziazione compensativa, può funzionare, in aggiunta al metodo più diffuso della democrazia rappresentativa, il voto, nei contesti sociali in cui si perviene alla condivisione di regole e valori per negoziare e deliberare, come in una comunità. Pertanto, il fallimento della negoziazione compensativa ha determinato sia il fallimento del tavolo di contrattazione tra le forze politiche, sia il fallimento delle primarie e sia lo svolgimento di trattative dietro le quinte, senza risparmio di colpi bassi agli avversari.

Ma vediamo meglio come si è arrivati all’evento che ha modificato radicalmente tutto il processo di selezione delle candidature di centrosinistra, cioè a dire l’autocandidatura del filosofo ed ex sindaco della stessa città Massimo Cacciari. Siamo agli inizi di ottobre 2004 e i giornali danno per scontato che la Margherita, a cui spetta l’indicazione del candidato sindaco di centrosinistra, abbia scelto definitivamente Alessio Vianello, senza però raggiungere l’accordo con gli altri partiti. Il tavolo viene continuamente riaggiornato in mancanza di una soluzione condivisa, fino a quando il 4 dicembre due giornali locali pubblicano la notizia che Rifondazione comunista e i Verdi hanno lasciato il tavolo delle trattative con la motivazione che le decisioni vengono prese altrove. Secondo questi partiti o si fanno le primarie a gennaio oppure si va da soli (in questo caso il loro candidato sarebbe stato il leader verde Gianfranco Bettin). Sono i giorni in cui si parla di fare le primarie per misurare la candidatura di Prodi e si discute se fare o non fare le primarie in Puglia per scegliere il candidato presidente della regione del centrosinistra. Anche i Ds appaiono, in questa fase, pronti alla sfida delle primarie; cosicché si diffonde la sensazione – echeggiata dai giornali, che con la sortita di Verdi e di Rifondazione la Margherita sta perdendo la chance di indicare il candidato sindaco, che sarà deciso dalle primarie. Ma nemmeno la scelta di optare per le primarie in alternativa al tavolo negoziale raggiunge l’unanimità, cosicché si continua a negoziare procedendo di rinvio in rinvio di ultimatum in ultimatum per schiodare la Margherita dall’immobilismo. “Si arriva così fino alla fine di febbraio, e ancora Cacciari viene pressato affinché sia lui il candidato del centrosinistra. Egli rifiuta e, contemporaneamente, rilancia con l’invito ai Ds di proporre una loro candidatura ” (Gangemi 2006, 237); ma la mossa va a vuoto in quanto i Ds sono tanto divisi da non potersi permettere ulteriori fratture interne. I rossoverdi dichiarano che se non passa Casson andranno da soli. Il 2 marzo la riunione del tavolo registra la diversità di posizione dei partiti: la Margherita punta su Alessio Vianello, il polo rossoverde su Casson e i Ds sono incerti tra l’uno e l’altro.

Nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2006 - data non più rinviabile per decidere le candidature - al tavolo del centrosinistra si consumano diversi tipi di rotture: una parte di Ds si allontana prima del voto, mentre la restante parte dei Ds rompe con la Margherita sul nome del candidato, scegliendo Casson contro Vianello. In Sostanza il centrosinistra si congeda dal tavolo diviso tra Margherita, Udeur, repubblicani e una minoranza Ds da una parte e Ds, Rifondazione, Verdi, Pdci e Sdi dall’altra. Il 3 marzo Casson accetta la candidatura, propostagli ufficialmente da un dirigente nazionale dei Ds e chiede al Csm di essere messo in aspettativa senza retribuzione. “Il suo collega pm Nordio dichiara sui quotidiani locali di averlo sconsigliato dal candidarsi e definisce la decisione di Casson legittima, ma inopportuna; anche perché la candidatura dell’ormai ex pm è presentata nello stesso luogo dove ha esercitato come magistrato e perché, se indagato come sindaco, dovrebbero giudicarlo gli ex colleghi (cosa che inevitabilmente farà finire eventuali processi altrove)” (Gangemi 2006, 241). Durante la notte tra il 2 e il 3 marzo Cacciari decide in solitudine di presentare la propria candidatura come rappresentante della Margherita. Anche nello schieramento di centrodestra sono state presentate 4 diverse candidature a sindaco, una da An, una

Page 19: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

19

da Fi e Udc, una terza della Lega e una quarta da una lista civica. La negoziazione compensativa, dunque, fallisce sia nel centro sinistra sia nel centrodestra E’ probabile che Cacciari abbia intuito da questa situazione di estrema segmentazione del campo avversario di potere riuscire a superare il candidato di centrodestra meglio piazzato per andare al ballottaggio contro Casson, la cui sconfitta era diventata il suo obiettivo prioritario.

Ad ogni modo, la candidatura di Cacciari lascia interdetto tutto il centrosinistra. Tutti si chiedono come mai egli abbia deciso di fare il candidato di un solo partito, la Margherita, quando avrebbe potuto presentarsi con l’appoggio di tutta l’Unione. Ma Cacciari è sceso in campo come candidato di una parte, per contrastare la candidatura del magistrato Casson, considerata e non solo da lui inopportuna, sbagliata, e anch’essa di parte (rossoverde)12. In questa logica Cacciari interpreta anche il primo turno come una sorta di primaria, in cui tutti gli elettori di centro sinistra favorevoli alle primarie potranno sceglierlo per la sua decisione di contrapporsi a un altro candidato di centrosinistra. Pertanto, come primo effetto dirompente, la scesa in campo di Cacciari ottiene un rimescolamento di carte e uno stato di fibrillazione nello schieramento di centrosinistra. I primi a farne le spese sono i Ds, i quali, con Cacciari candidato, vivono con grande disagio la rottura con la Margherita e tentano di correre ai ripari, riunendosi di nuovo per verificare come comportarsi di fronte alla nuova situazione. Ma è Cacciari stesso a questo punto a mettere le mani avanti. Egli, infatti, fa sapere di non essere disposto ad accettare i Ds tra i suoi sostenitori ufficiali, poiché non vuole al suo fianco coloro che hanno votato per Casson; così facendo Cacciari gira il coltello all’interno della frattura che attraversa il corpo dei Ds per allargarla. E in effetti i Ds si riuniscono e alla fine della discussione si scoprono divisi in due metà, una con Casson e l’altra con Cacciari, ma al momento del voto un gruppetto di contrari a Casson, della mozione Mussi appartenenti alla CGIL, decidono di spostarsi verso l’area Casson determinandone una leggera prevalenza (69 contro 59). E così, alle precedenti divisioni si aggiungono altre divisioni, con la leadership schierata da una parte e del tutto incapace di ricucire le fratture interne.

La mossa di Cacciari, in secondo luogo, riporta alla luce limiti e contraddizioni interni ai partiti, di quelli dell’Ulivo in particolare, già emersi nel corso delle trattative e che la sua candidatura finisce con l’accentuare. Perché, infatti, la Margherita non è stata capace di offrire al tavolo delle trattative un candidato autorevole come tutti si attendevano, fino al punto di passare la palla della scelta ai Ds? E, in secondo luogo, perché questi ultimi si sono rifiutati di proporre un loro candidato in grado di ricucire le fratture interne alla coalizione, com’era possibile fare? La candidatura di Cacciari, in buona sostanza, ha rimesso a nudo i limiti strutturali dei partiti maggiori del centro sinistra, consistenti dal lato della Margherita nella carenza di personalità autorevoli da candidare se si escludono i suoi due ex sindaci Costa e Cacciari, dal lato dei Ds emerge l’estrema debolezza e vulnerabilità di un partito percorso da fratture profonde e da una leadership locale del tutto inadeguata a mediare tra le diverse posizioni del partito. Cacciari, infine, con la sua candidatura intesa come alternativa a quella di Casson, tende a dividere in due poli opposti e alternativi l’Unione di centrosinistra, e crea questo clima nell’arena elettorale in maniera tanto strumentale quanto efficace per attrarre dalla sua parte al secondo turno gran parte dell’elettorato di centrodestra, al costo di provocare ulteriori lacerazione nel centrosinistra sia a livello locale che nazionale.

In questo clima di contrapposizione (certamente stimolato dalla discesa in campo di Massimo cacciari), sono state raccolte delle testimonianze che rendono conto di una lunga serie di colpi bassi che hanno caratterizzato la competizione elettorale amministrativa veneziana tra i due schieramenti di centrosinistra, sia durante il primo turno sia durante il secondo turno. Ne menzioniamo soltanto alcuni. Innanzitutto, fanno rilevare gli sconfitti, è stata condotta una campagna elettorale facendo in modo che molti elettori di Casson votassero Cacciari al primo turno nella prospettiva di fare arrivare i due candidati di centrosinistra al ballottaggio; quindi nella prospettiva di far bella figura a tutto il centrosinistra e di assicurare alla campagna per il secondo turno un clima sereno come 12 Secondo Cacciari “non ci si trasforma da magistrato a sindaco in 24 ore. Faccia tre anni di aspettativa e poi ne parliamo” (Gangemi 2006, 244).

Page 20: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

20

migliore viatico all’attuazione di un programma di governo della città. Tale aspettativa è andata delusa, tant’è che i voti a Casson al secondo turno sono aumentati. Secondo alcuni il primo turno è stato condotto come una primaria mentre il secondo come un vero scontro elettorale. Ma non tutti la pensano così, nel senso che al primo turno i due schieramenti hanno mostrato i muscoli, come a volte succede nelle primarie, e poi al secondo turno sono stati versati lacrime e sangue in conseguenza del comportamento degli attori al primo turno (Gangemi 2006, 277).

In secondo luogo, il secondo turno delle amministrative è stato contrassegnato dalla voglia di vincere di Massimo Cacciari, il quale sollecitando l’appoggio della destra ha, nei fatti annullato e scavalcato i sistemi di alleanze consolidate, e messo una ipoteca negativa sugli sviluppi della strategia di Romano Prodi in campo nazionale. Una parte dei Ds, quella guidata dalla segretaria provinciale ha accusato la Margherita di slealtà e di tradimento per aver cambiato concorrente (Massimo Cacciari al posto di Alessio Vianello) a giochi fatti, cioè a dire dopo che le due parti del centro sinistra avevano deciso di presentarsi alle elezioni con due candidati sindaci, Casson e Vianello. Quest’ultimo, in realtà si rivela un ragionamento tanto pretestuoso quanto ingenuo, in quanto pretende dalla Margherita un comportamento rassegnato alla sconfitta. Quando invece, “accettando di muoversi oltre il pevedibile, Cacciari si è dimostrato un vero leader, esattamente di avere quelle qualità di leader che Vilfredo Pareto attribuisce alla classe politica quando è efficiente e all’altezza della situazione” (Gangemi 2006, 278).

Un terzo colpo basso, assestato dai seguaci di Cacciari è costituito dalla distribuzione (praticamente anonima) di un volantino giocato sull’accostamento (strumentale) del nome di Casson con quello di Luca Canarini, leader molto noto dei disobbedienti veneti, favorevole alla candidatura di Casson, forse poco stimato da tutto il centrosinistra, sicuramente odiato dagli elettori moderati e di centrodestra ai quali si rivolgeva Cacciari. “Il retro di questo volantino è sempre lo stesso: Bettin? Caccia? Casarini?/NO GRAZIE!/ Se non vuoi per altri 5 anni/ Bettin, Caccia e Casarini/VAI A VOTARE E VOTA CACCIARI/... e così via (Gangemi 2006,280).

A completare l’opera di avvelenamento della campagna elettorale giunge, dulcis in fundo, la querela per diffamazione presentata da Paolo Costa contro Massimo Cacciari, motivata una affermazione fatta da quest’ultimo in dibattito televisivo, in cui sostiene che Casson si muove in continuità rispetto a Costa e al suo comitato di affari (Gangemi 2006, 281). 2.3 Il caso Aversa

Il terzo caso di studio che rende conto dei contrasti tra i partiti fatti registrare dall’iter delle primarie per la selezione di un candidato sindaco dell’Unione si riferisce alla vicenda del Comune di Aversa, in provincia di Caserta. Le osservazioni che seguono emergono dalla nostra lettura di una ricerca condotta nella città di Aversa (Bolgherini e Musella 2007).

Circa un anno prima della scadenza elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Aversa, nel mese di luglio 2006 i partiti dell’Unione, dall’Udeur fino a Rifondazione comunista, hanno deciso di scegliere lo sfidante dell’uscente sindaco di centrodestra tramite primarie aperte, da tenersi in autunno con il concorso di un candidato per ciascun partito. Il clima politico in cui è maturato il lancio dell’idea delle primarie sembrava quello più adatto per dar vita a una kermesse democratica (interna al perimetro di forze del centrosinistra), idonea a offrire a ciascun partito del centrosinistra lo spazio politico per esprimere e far circolare, davanti al proprio popolo di simpatizzanti ed elettori, idee, proposte e programmi e alla fine del processo anche un candidato comune e una proposta amministrativa condivisa. Qualche mese dopo, con l’approssimarsi dei tempi di preparazione delle primarie la geografia delle forze di centro sinistra in campo subisce una prima trasformazione: l’Udeur, lo Sdi e i Verdi manifestano meno entusiasmo di prima verso una prova gestita da minoranze organizzate e in cui alcuni partiti avrebbero contato più di altri con invitabile conseguenze di divisione tra le forze politiche. Questi dubbi sono soltanto la premesse di un conflitto tra partiti dell’Unione che sarebbe scoppiato nel mese di settembre 2006, quando si apprende che una nuova forza politica non partitica, una lista civica organica alla amministrazione uscente di centrodestra fino al 2004, denominata Progetto Democratico per Aversa (Pda), si sposta

Page 21: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

21

nel campo del centro sinistra e, forte del 13,2% ottenuto alle amministrative del 2002, decide di partecipare alle primarie con il suo fondatore e capo carismatico Giuseppe Stabile. Quest’ultimo evento, emblematicamente caratterizzato dalla presenza di un Outsider, munito di una forte presa elettorale, causa da un lato la deflagrazione dell’alleanza di centrosinistra nella sua versione standard, e dall’altro determina la strutturazione di un nuovo e atipico campo di forze, schierate alla linea di partenza delle primarie aversane d’autunno 2006. Come fanno osservare gli autori della ricerca, “questa strutturazione atipica dell’offerta politica, da un lato, escludeva le forze del centrosinistra fra loro più distanti per ideali programmatici (PRC e UDEUR), mentre dall’altro, coinvolgeva con candidature antagoniste due partiti, Margherita e DS, impegnati invece, a livello nazionale, nel progetto di fusione nel Partito Democratico” (Bolgherini e Musella 2007, 7). In sostanza è come se l’introduzione di un nuovo attore politico avesse fatto mutare ragioni politiche, aspettative e criteri di razionalità strategica che avevano indotto le forze politiche dell’Unione a progettare una prova elettorale primaria, supponendo di poter lucrare al momento della competizione elettorale amministrativa su un surplus di democraticità e di partecipazione. Nella ricostruzione di Bolgherini e Musella emerge una campagna elettorale per le primarie caratterizzata da un confronto teso tra partiti, in un contesto avvelenato anche dalla penetrazione di elementi tossici (infiltrazione di forze di centrodestra e uso di metodi di clientelari di ricerca di voti), tesi a screditare la coalizione di centro sinistra. “I partiti hanno dunque giocato al ribasso e, mantenendo un’apparente unità coalizionale nei confronti delle primarie, hanno tentato di screditare i rispettivi avversari e di raccogliere il consenso tra la popolazione senza esclusione di colpi” (Bolgherini e Musella 2007, 8). E’ probabile, quindi, che quando, con la liquefazione di una coalizione, una competizione tra partiti, quali sono le primarie italiane, tende impropriamente a trasformarsi in una competizione tra candidati, come avviene in contesti molti diversi da quello italiano, allora il livello dello scontro non soltanto non si attenua, ma anzi aumenta e si radicalizza; poiché sullo sfondo restano sempre i partiti, con le loro logiche organizzative e con le loro contraddizioni interne.

Le primarie di Aversane, iperpartecipate da un quarto di tutti gli elettori comunali tanto da lasciare qualche dubbio circa l’affluenza dei soli elettori di centrosinistra, sono state vinte dall’imprenditore politico-elettorale Giuseppe Stabile con una schiacciante superiorità (44,3%) rispetto al candidato Ds Raffaele Ferrara, secondo arrivato (33%) e con il doppio di voti del terzo concorrente, il margheritino Gino Fiordaliso (22,7%). L’esito delle primarie assesta un ulteriore colpo alla tenuta dell’Unione: “immediatamente dopo la proclamazione dei risultati si è scatenata nel centrosinistra una vera e propria bufera e la coalizione si è spaccata” (Bolgherini e Musella 2007, 26). A sollevare sconcerto e delusione è soprattutto l’incertezza se i candidati votati e selezionati siano tutti oggettivamente riconducibili allo schieramento di centrosinistra e se coloro che hanno votato siano effettivamente tutti elettori di centrosinistra. In molti, cioè, si sono interrogati circa la legittimità dell’esito del voto delle primarie. Questo fattore di ambiguità e di incertezza ha messo in dubbio il riconoscimento dell’esito delle primarie e ha provocato un ritardo nella designazione ufficiale del candidato sindaco del centrosinistra ad Aversa. “Solo a febbraio è stato deciso ufficialmente il <<cosiddetto superamento delle primarie>> con la scelta di un quarto uomo che rappresentasse l’intera coalizione e fosse il candidato unico del centrosinistra” (Bolgherini e Musella 2007, 27). La scelta è caduta su Antonello D’Amore, dirigente nazionale della Margherita. Questa decisione, dopo alcuni rifiuti e incertezze, ha momentaneamente ricomposto il centrosinistra in formato originario, ossia mediante il rientro di Rc, Pdci, Sdi, Udeur, ed è riuscito a garantirsi il sostegno di altre piccole formazioni e liste centriste. Giuseppe Stabile, d’altro canto ha continuato a proclamarsi vincitore delle primarie e legittimo candidato a sindaco con o senza l’appoggio del centrosinistra. Ad aprile, appena un mese prima delle elezioni, “le segreterie politiche dei DS e della Margherita hanno di nuovo rimescolato le carte dichiarando l’appoggio al vincitore delle primarie, Stabile, e spaccando ulteriormente la coalizione e i propri partiti a livello municipale” (Bolgherini e Musella 2007, 27). Il candidato precedente, Antonello D’Amore, si fa da parte e i partiti di estrema sinistra da una parte e l’Udeur dall’altra si staccheranno dal centro sinistra e correranno separatamente alle elezioni del 27 e 28 maggio che

Page 22: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

22

così avranno 5 diversi candidati sindaci. Il centro sinistra diviso perderà le elezioni, vinte al primo turno ( con il 60% dei suffragi) dal sindaco uscente di centrodestra. 3. Per concludere

In questo paper ho cercato di mostrare che la diffusa tendenza dei partiti stratificati a democratizzarsi all’interno con il ricorso a procedure elettorali dirette per scegliere i leaders oppure per selezionare i candidati di partito alle cariche pubbliche, non mette in contrasto la preminenza del party in the public office e del party in the central office con il ruolo residuo e subordinato della base del partito; si giustifica, piuttostoi, con la ricerca di legittimazione diretta della leadership. Solo che, come fanno notare alcuni gli studiosi, la strategia che potremmo definire “direttistica” che caratterizza le organizzazioni politiche attuali ottiene anche un effetto boomerang, se si osservano i risultati deludenti sotto l’aspetto della ripresa di crescita della membership (che resta bassissima) e se si registrano gli effetti inattesi in termini di attivazione di un “esito plebiscitario del circuito elettori-iscritti partiti” (Ignazi 2004,341). L’ipotesi che si va facendo strada tra gli studiosi è che la permanenza di deficit di accountability e di responsivness da parte degli organi rappresentativi e decisionali pubblici e partitici (nonostante l’aumento delle occasioni di voto), sia riconducibile sostanzialmente a una stessa matrice generativa, consistente nell’idea che dei meccanismi di tipo aggregativo, che considerano come un dato oggettivo la tavola delle preferenze, delle regole e delle opzioni, limitandosi tuttalpiù a contarle (mediante procedure di voto), possano creare cambiamento e trasformazione nel circuito democratico rappresentativo, e attivare interesse nei cittadini a partecipare alla politica e a impegnarsi direttamente nei processi decisionali. E ciò in quanto diventa sempre più condivisa l’idea che la criticità più rilevante e urgente che le democrazie reali si trovano ad affrontare non riguardi tanto la carenza di trasparenza, funzionalità e governabilità delle istituzioni (tale, quindi, da richiedere riforme istituzionali e costituzionali) quanto piuttosto, e prioritariamente, la carenza di alternative adeguate per trasformare, le condizioni minime di sussistenza delle democrazie, in perfomances degne di democrazie di buona qualità (Morlino 2003). Lo stesso studioso ha suggerito recentemente di accostarsi al tema della buona democrazia riflettendo e indagando su concetti quali “democrazia partecipativa”, “democrazia associativa”, “democrazia deliberativa” e “democrazia organizzata” (Morlino 2007). Più concretamente, si tratta, a mio avviso, di risolvere il problema del gap esistente in tutte le democrazie del mondo tra le promesse di realizzazione delle aspettative di libertà e uguaglianza dei cittadini e le gravi, scottanti e diffuse emergenze di disparità e di ingiustizia, da un alto; e, dall’altro di affrontare e risolvere il gap tra i principi e i diritti di cittadinanza enunciati e i processi di attuazione e implementazione delle politiche per la cittadinanza mediante la cooperazione tra le istituzioni rappresentative e la partecipazione attiva di organizzazioni, movimenti e semplici cittadini (Gelli 2005).

Non è difficile verificare, infatti, che “in un democrazia rappresentativa, la regola più importante, la regola del voto, presuppone la parità dei votanti, ma non la parità degli effetti delle decisioni di voto. In altri termini, se in un gruppo ci si affida solo al voto, le decisioni attraverso il voto tenderanno sempre a privilegiare gli interessi del gruppo più organizzato. La conseguenza è che, per ristabilire l’equa distribuzione dei vantaggi, il voto non è sufficiente, ma bisogna ricorrere a formule di compensazione che non sono caratterizzabili come democratiche, in base alla identificazione della democrazia con il voto, ma sono caratterizzabili come democratiche in base ai principi della democrazia deliberativa” (Gangemi 2006, 209). In altri termini, le questioni attinenti al salto di qualità nella vita democratica delle democrazie reali reclamano un approccio diverso rispetto all’introduzione di procedure di democratizzazione della rappresentanza: con il voto le opinioni si aggregano e si contano, con il metodo deliberativo le opinioni e le preferenze dei cittadini o dei membri di un gruppo (o partito) si formano e si trasformano. In questa prospettiva, il Cartel party, o network party o il party in franchising sono utili a rappresentare la situazione in mutamento dei partiti attuali, tuttavia individuano e riconoscono soltanto la dimensione

Page 23: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

23

rappresentativa e aggregativa del coinvolgimento della base e della partecipazione politica, non sono ancora in grado di indicare i percorsi da seguire per l’autoriforma delle organizzazioni collettive in direzione della partecipazione effettiva e decisionale della membership volontaria delle organizzazioni e delle persone esterne interessate. I processi deliberativi, basati sullo scambio di punti di vista per cercare di costruire un accordo o una strategia condivisa (che si può anche non raggiungere) debbono essere messi alla base di tutte le istanze in cui si opera e si decide in nome e nell’interesse delle comunità. Oltre alla discussione, le politiche partecipative mirano a motivare e a costruire esperienze di azioni politiche concrete, che danno valore e seguito alla partecipazione, poiché creano apprendimento e solidarietà, producono network e trasformano la vita del gruppo nel mentre che realizzano obiettivi comuni (Gelli 2005, 42-43). In tale prospettiva principi e procedure di democrazia rappresentativa e forme di democrazia deliberativa/partecipativa possono e debbono coesistere e integrarsi come processi di apprendimento sia all’interno di organismi collettivi di tipo volontario (partiti, un gruppi, associazioni) sia nell’ambito sistemico nazionale e locale per costruire processi di messa in opera e di attuazione delle politiche pubbliche.

Riferimenti bibliografici Allegri M.R. (2007), Le primarie dell’Unione tra peculiarità italiane e sperienze intenazionali, in R. Gritti, M. Morcellini (a cura di), Elezioni senza precedenti, Milano, FrancoAngeli, pp.163-175. Anastasi A. (2009), Le primarie di Palermo, in G. Pasquino, F. Venturino (a cura di), Le primarie comunali in Italia, cit. pp.157-177. Anastasi A. (2008), Le primarie dirette. Politica istituzionale e cambiamento politico nell’America progressista, paper presentato al XXII Congresso nazionale Sisp, Università di Pavia, 4-6 settembre 2008. Bardi L. (2006) (a cura di), Partiti e sistemi di partito, Bologna, Il Mulino. Bardi L., Ignazi P., Massari O. (2007) (a cura di), I partiti Italiani, Milano, Università Bocconi Editori. Berta G. (2007), Un partito in franchising. Un’ipotesi per il neonato Pd, in “il Mulino” n.6, pp.996-1004. Bolgherini S. e Musella F: (2007), Quando le primarie tradiscono: il caso di Aversa, paper Presentato al XXI Congresso nazionale Sisp, Catania, 20-22 settembre 2007. Calise M. (2000), Il partito personale, Roma-Bari, Laterza. Carty R. K. (2006), I partiti come sistemi di franchising. L’imperativo organizzativo stratarchico, in L. Bardi ( a cura di), Partiti e sistemi di partito, cit., pp.81-101. D’Alimonte R. e Bartolini S. (2002) (a cura di), Maggioritario finlmente?La transizione elettorale 1994-2001, Bologna, Il Mulino. Dalton R.J. e Wattemberg M.P. (2002) (a cura di), Parties Without Partisans: Political Change in Advanzed Industrial Democraties, Oxford, Oxford University Press. Diamanti I. (2003), Bianco, Rosso, Verde…e azzurro, Bologna, Il Mulino. D’Ignazio G. (1995), Elezioni primarie e riforma dei partiti, in S. Gambino (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica, cit., pp.55-78. Epstein L. (1980), Political parties in Werstern Democracies, New Brunswick, NJ: Transaction Books. Epstein L. (1964), A comparative Study of Canadian Parties, in “The American Political Science Review”, vol.58, n.1., pp.46-59. Fabbrini S. (2002), Cosa sono le primarie americane?, in “ItalianiEuropei”, n.5, www.itlianieuropei.net, pp.1-9. Gallagher M, Marsh M. (1988) (a cura di), Candidate Selection in Comparative perspective: The

Page 24: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

24

Secret Garden of Politics, London, Sage. Gambino S. (1995), Elezioni primarie e rappresentanza politica: alcune osservazioni Introduttive, in S. Gambino (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica, Soveria Mannelli, Rubbettino, pp.5-27. Gangemi G. (2008), Perché per comprendere le primarie italiane è necessario studiare la genesi delle Direct Pimaries negli USA, Paper presentato al XXII Congresso nazionale Sisp, Università di Pavia, 4-6 settembre 2008. Gangemi G. (2006), Lacrime e sangue senza primarie: Le elezioni municipali del 2005 a Venezia, in G. Gangemi (a cura di), Le elezioni come processo, Milano, FrancoAngeli, pp.199-320. Gelli F. (2005), La democrazia, e i suoi problemi: dalla prospettiva dell’azione locale, in F. Gelli ( a cura di), La democrazia locale tra rappresentanza e prtecipazione, Milano, FrancoAngeli, pp.13-50). Hazan Y.R. (2006), Metodi di selezione dei candidati: le conseguenze delle elezioni interne ai Partiti, in L. Bardi (a cura di), Partiti e sistemi di partito, cit., pp.171-196. Heidar K. and Saglie J. (2003), Predestined Parties?Organizational Change in Norwegian Political Party, in “Party Politics”, vol. 9, 219-239. Ignazi P. (2004), Il puzzle dei partiti: più forti e più aperti ma meno attraenti e meno legittimi, in “Rivista Italiana di Scienza Politica”, a. XXXIV, n.3, pp.325-346. Katz R. (2001), The Problem of Candidate Selection and Models of Party Democracy, in “Party Politcs”, vol.7, n., pp.277-296. Katz R.S. e Mair P. (1995), Changing Models of Party Organization and Party Democracy: The emergencence of the Cartel party; tr.it.: Cambiamenti nei modelli organizzativi e democrazia di partito. La nascita del Cartel Party, in L. Bardi (a cura di), Partiti e sistemi di partito, cit., pp.33-58. Katz R.S. e Mair P. (1994) (a cura di), How Parties Organize: Adaptation and Ch’ange in party Organization in Western Democraties, London, Sage. Katz R.S. e Mair P. (1992) (a cura di), Party Organization. A data Handbook on Party Organization in Western Democracies, 1960-1990, London, Sage. Key V. O. (1958), Political Parties and Pressure Groups, Thomas Y. Crowell, New York. Key V. O. (1954), The Direct Primary and Party Structure: A Study of State Legislative Nominations, in “American Political Science Review”, vol. 48, n.1, pp.1-26. Koole R., The Vulnerability of the Modern Cadre Party in Netherlands, in R. Katz e P. Mair (a cura di), How Parties Organize: Adaptation and Change in Party Organization in Western Democracies, London, Sage, pp.278-303) Koole R. (1996), Cadre, Catch-all or Cartel? A comment on the Notion of the Cartel Party, in “Party Politcs”, vol.2, pp.507-523. Mair P. (1994), party Organizations: From Civil Society to the State, in R. Katz e P. Mair (a cura di), How Party Organize, cit., pp.1-22. Massari O. (2004), I partiti politici nelle democrazie contemporeanee, Roma-Bari, Laterza. March J.G. e Olsen J.P. (1992), Riscoprire le istituzioni: Le basi organizzative della politica, Bologna, Il Mulino. Melchionda E. (2005), Alle origini delle primarie, Roma, Ediesse. Melchionda E. (2004), Primarie: un rimedio peggiore del male, in “Il Manifesto”, 3 dicembre. Morlino L. (2003), Democrazie e democratizzazioni, Bologna, Il Mulino. Morlino L. (2007), Partecipazione, Associazionismo e Qualità democratica. Note per la Discussione, Paper presentato al Convegno internazione del Movimento politico per l’unità, Loppiano, 3-4 novembre 2007. Moschella G. (1995), Elezioni primarie e redistribuzionedelle funzioni di rappresentanza politica, in S. Gambino (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica, cit., pp.31-54. Panebianco A. (1982), Modelli di partito, Bologna, Il Mulino.

Page 25: XXIII Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza ... · scopo di sviluppare una serie di riflessioni teorico-empiriche che consentano di mettere in evidenza ... Fin dal

25

Olson M. (1983), La logica dell’azione collettiva, Milano, Feltrinelli. Pasquino G. (2006), Democrazia, Partiti, Primarie, in “Quaderni dell’Osservatorio Elettorale”, n.55, pp.23-39. Pasquino G. (2002a), Primarie? Sì, grazie, “Il Mulino”, n.4, pp.649-657. Pasquino G. (2002b), Il sistema politico italiano, Bologna, Bononia Universiy Press. Pasquino G. (1997), Le primarie per riformare partiti e politica, in “Il Mulino”, n.4, pp.271-278. Pasquino G. (1985), Restituire lo scettro al principe. Proposte di riforma istituzionale, Roma-Bari, Laterza. Pasquino G., Venturino F. (2009) (a cura di), Le primarie comunali in Italia, Bologna, Il Mulino. Pennings P. and Hazan Y. R. (2001), Democratizing Candidate Selection, in “Party Politcs”, vol.7, n.,3, pp.267-275. Pizzorno A. (2009), I sentieri della partecipazione. Colloquio con Alessandro Pizzorno, in “Partecipazione e conflitto”, a.I, n.0, pp.175-188. Rahat G. and Hazan Y. R. (2001), Candidate Selection Methods, in “Party Politcs”, vol.7, n.3, pp.297-322. Raniolo F. (2004) (a cura di), le trasformazioni dei partiti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino. Ranney A. (1981), Candidate selection, in D. Butler, H.R. Pennimam e A. Ranney (a cura di), Democracy at the Polls: A Comparative Study of Competitive National Elections, Washington D.C., American Interprise Institute, pp.75-106. Sartori G. (1999), Virtù (e qualche vizio) di una proposta intelligente, in “Micromega”, n.3, pp.37-39. Scarrow S. (1999), Parties and the Expansion of Direct Democracy, in “Party Politics”, vol.5, n.3, pp.341-362). Somaini E. (1996), Elezioni primarie e ruoli dei partiti, in “Il Mulino”, n.6, pp.1141-1149. Somaini E. (1993), Elezioni primarie e coalizioni elettorali, in “Il Mulino”, n.5, pp.983-993. Valbruzzi M. (2005), Primarie, Bologna, Bononia University Press.