yourcenar marguerite - racconto azzurro e altre novelle

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  • Marguerite Yourcenar Racconto azzurro e altre novelle

    PREFAZIONE.

    Amare uno scrittore significa desiderare che non cessi mai di scrivere. E dopo la sua morte, prima di convincersi che si pu soltanto rileggerlo, si sondano incartamenti, cassetti, fogli sparsi, nella speranza spesso delusa di scoprire un grande inedito, un diario stupefacente, una corrispondenza sconvolgente. Una volta esaurite tutte queste piste, restano quelli che i dilettanti chiamano curiosit o documenti e che gli spregiatori si affrettano a definire fondi di cassetto. Vero che il limite tra gli uni e gli altri labile e coincide con la stima che si ha per lo scrittore in questione, nonch con il desiderio di comprendere nella maniera pi ampia possibile un percorso letterario. E dunque una vita. Alla sua morte, nel dicembre 1987, Marguerite Yourcenar ha lasciato un inedito incompiuto, lultimo pannello della sua trilogia familiare, Quoi? LEternit, apparso nel 1988; una raccolta di saggi preparata da lei stessa (En plerin et en tranger, 1989), frammenti di quella che avrebbe dovuto essere la testimonianza definitiva circa una delle sue passioni, il viaggio (Le tour de la prison, 1991), e infine una massa di lettere che richiedono di essere passate al setaccio, scelte e annotate prima di venire pubblicate. Questo per quanto riguarda lessenziale. Restano anche, a titolo di curiosit, altri testi, come i tre che formano questo volumetto, Racconto azzurro, La prima sera, Maleficio. Come spesso accade con i grandi scrittori, i tre brevi racconti rendono manifesta una coerenza che forse non era stata supposta quando si deciso di raccoglierli assieme. Tutte tre sono stati scritti tra il 1927 e il 1930. Nel 1927 Marguerite Yourcenar aveva ventiquattro anni. Nel 1930 aveva pubblicato il suo primo romanzo, in effetti pi che altro una lunga novella o un racconto (Alexis o il trattato della lotta vana, 1929), a conclusione del decennio che in seguito avrebbe considerato di messa a fuoco della sua opera: i miei progetti del ventesimo anno, come lei stessa li design. Nel 1924, a ventun anni, aveva cominciato a lavorare a quello che sarebbe diventato Memorie di Adriano. Tra il 1924 e il 1929 aveva redatto, completamente o in parte, varie versioni di quellopera, tra cui una dialogata. Nel 1926, aveva persino proposto uno di questi testi alla casa editrice Fasquelle con il titolo di Antinoos, che era stato rifiutato. Nello stesso periodo cominci a prendere forma il personaggio di Znon, altra figura fondamentale nellopera di Marguerite Yourcenar. In Racconto azzurro era gi palese la vena delle Novelle orientali: per lo meno un primo passo in tale direzione. Non si deve frettolosamente dedurre, da queste constatazioni, che nel 1930 per Marguerite Yourcenar i giochi fossero ormai fatti, che la sua opera fosse gi definita. Certo per che il suo destino era sancito, nella stessa coscienza che lei ne aveva. Tutto ci che ha detto e ridetto sui progetti dei suoi ventanni, tutto ci che si pu constatare leggendola con attenzione, nella continuit della sua cronologia, rivela questo particolarissimo funzionamento, il modo in cui concepiva la costruzione della sua opera: sviluppare, affinare, consolidare, comporre, ripensare, per tutta unesistenza, quanto aveva immaginato e sognato tra i diciotto e i ventotto anni. Alla fine di quel decennio Marguerite Yourcenar era certa di essere uno scrittore. Pi tardi, nel corso di una conversazione del novembre 1929, si sarebbe sovvenuta della gioia che prov quando ebbe in mano il resoconto della tiratura del suo libro: Mi sono detta: to, guarda! C almeno qualche centinaio, forsanche qualche migliaio di scrittori francesi di cui pi o meno ci si ricorda. E finalmente, ecco che mi sento una di loro, parte della folla. Non

  • dubitava che lavvenire le avrebbe dato ragione: certezza indispensabile per tener duro di fronte a tutti coloro che, nel corso degli anni, si sarebbero provati a dirle, come capita a ogni scrittore, che in realt non aveva scritto nulla. Per chi ami Marguerite Yourcenar, tutte le testimonianze della certezza che riponeva in se stessa sono appassionanti; tutte le strade che hanno portato ai grandi libri sono da esplorare, e dunque vien voglia di leggere, quasi alla pari di quelli, i piccoli testi, di porsi interrogativi in merito. Dei tre che formano questo breve volume, soltanto Racconto azzurro un vero e proprio inedito. La prima sera apparsa nel dicembre 1929 sulla Revue de France (anno IX, vol. 6, n. 23) con la firma di Marg. Yourcenar. Maleficio, firmato Marguerite Yourcenar, stato pubblicato sul n. 829 (anno XLIV) del Mercure de France nel gennaio 1933. Lautrice, grazie al suo primo romanzo, uscito nel novembre 1929, aveva gi attratto lattenzione dei critici di allora, in primo luogo di Edmond Jaloux: Alexis aveva avuto un successo di stima. Leditore Grasset, grazie ad Andr Fraigneau, aveva pubblicato un altro romanzo, La Nouvelle Eurydice nel 1931, e un saggio su Pindaro nel 1932 (primo libro, questo, sulla cui copertina figurasse per intero il nome dellautrice, Marguerite, anzich il vago Marg). Come si spiega che Racconto azzurro non sia stato offerto a una rivista? Forse perch si trattava del primo pannello di un trittico che non ha mai visto la luce. Il dattiloscritto del Racconto azzurro si trovava, insieme ad altri manoscritti, sulla scrivania della Petite Plaisance, la casa di Marguerite Yourcenar negli Stati Uniti, a North East Harbor nel Maine. In testa al primo foglio, vergate dalla mano della Yourcenar, si leggevano parecchie indicazioni: scritto verso il 1930 (epoca in cui la redazione dei testi raccolti in Novelle orientali era iniziata; Kali decapitata era apparso sul n. 4 della Revue europenne nellaprile 1928); avevo in animo di scrivere anche un Racconto rosso e un Racconto bianco, da conservare, perch questo testo potrebbe figurare in un volume che conterrebbe anche Sixtine e altre prose. M. Yourcenar (maggio 1950). Sixtine apparsa nel 1983 nella raccolta di saggi Le Temps, ce grand sculpteur. Il Racconto azzurro mancava. Marguerite Yourcenar coltivava ancora il proposito di scrivere, prima o poi, il Racconto bianco e il Racconto rosso di cui nella sua nota del 1950? Nel caso specifico assai difficile, a meno di non avere cognizione di sue dirette affermazioni, dare una risposta negativa, tantera la sua volont, quasi maniacale, di portare a compimento tutti i progetti concepiti un giorno. Certo comunque che a essere giunto a noi soltanto il Racconto azzurro. Si tratta di un racconto breve, composto molto abilmente per dare limpressione che sia la ripresa di una tradizione ancestrale, ricavata dalla letteratura orale. Un racconto che non riserva grandi sorprese, perch si attiene scrupolosamente a schemi elementari - il desiderio di ricchezza; la credulit degli uomini di fronte allillusione del denaro; la difficile conquista delloggetto suppostamente apportatore di ricchezza (qui, zaffiri)-ed strutturato in modo da rispettare tutte le obbligatorie tappe dello spossessamento - incidenti, naufragi, attacchi di corsari, morti, erranze, povert maggiore di quella precedente lacquisizione della supposta fortuna, scioglimento finale. A questo saggiungono rituali pi propriamente della Yourcenar, come lautomutilazione. Pi della vicenda, a prefigurare le Novelle orientali latmosfera del racconto. E la scrittura, nonostante qualche scoria (indubbiamente lautrice avrebbe potuto risparmiarsi gli occhi che fanno amicizia con le tenebre) esibisce le caratteristiche dello stile che lautrice avrebbe elaborato alla fine degli anni trenta: estrema attenzione a tutte le sensazioni, desiderio di esprimerle con la massima esattezza. Inoltre, il Racconto azzurro non deve il titolo soltanto alla caverna degli zaffiri, meta orientale del viaggio dei mercanti europei che ne sono i protagonisti, ma a una precisa volont di descrivere la realt in blu. Quello che potrebbe essere nullaltro che un procedimento, un esercizio di scrittura giovanile,

  • risulta invece un gioco ben riuscito. per questo che, dei tre testi, Racconto azzurro appare senza dubbio, dal punto di vista letterario, il pi soddisfacente. In esso allopera lispirazione orientale di Marguerite Yourcenar. I personaggi che saranno al centro dei suoi interessi per tutta la vita, a cominciare da Adriano, il pi greco degli imperatori romani, non nutrono infatti tutti un desiderio di Oriente, nellaccezione pi ampia del termine? In Racconto azzurro, il solo mercante che si salva beninteso il greco, pi distaccato dai beni materiali, disposto a dimenticare gli zaffiri per tornare a essere pescatore. Dopo il naufragio, sar riportato a Tinos da un delfino. Gli altri, per eccesso di cupidigia, periscono o sono condannati alla miseria. La prima sera che, nella sua maniera asciutta, non privo di qualit stilistiche e di senso della narrazione, ha tuttavia un interesse pi direttamente biografico. Lo si pu considerare come il momento finale del gioco tra il padre e la figlia, trattandosi di un testo scritto dal primo, rivisto e pubblicato dalla seconda. Si sa che entrambi amavano questambiguit, il misterioso piacere della sostituzione, segno di una singolare intimit e di una reciproca fascinazione. Michel de Crayencour non si peritato a compiere passi presso una casa editrice, in nome della figlia, per ottenere la pubblicazione dei primi scritti di questa. Dopo il suo scambio con un editore di lettere, parecchie delle quali manoscritte, e dunque perfettamente identificabili, nel 1921 fu pubblicato da Perrin Il giardino delle chimere, primo testo di una scrittrice diciottenne che si autodesignava con lo pseudonimo, sessualmente indecifrabile, di Marg Yourcenar: un gioco che lautrice rievocava allegramente; le piaceva il ricordo, le piaceva sorprendere i suoi interlocutori con quella strana memoria. Sentiva persino la necessit di farla riapparire nella sua opera. Non ci si saprebbe dunque accostare a La prima sera senza rileggere il lungo scritto che ha voluto consacrare al racconto in Pii ricordi: Nel 1927 o 1928, vale a dire un anno prima della sua morte, mio padre cav da un cassetto una dozzina di fogli manoscritti, di quel formato pi largo che lungo che era quello delle brutte copie di Proust, ma che oggi, a quanto ne so, non pi in commercio. Si trattava del primo capitolo di un romanzo, iniziato verso il 1904, e che aveva poi abbandonato. Oltre alla traduzione di alcune composizioni poetiche, era lunica opera letteraria alla quale avesse messo mano. Un uomo di mondo, che chiamava Georges de ..., senza dubbio sui trentanni, partiva alla volta della Svizzera con la giovane donna che quel mattino stesso aveva sposato a Versailles. Nel corso del racconto, Michel aveva inavvertitamente cambiato la destinazione dei due, che passavano la notte a Colonia. La giovane donna era rattristata allidea di essere per la prima volta separata dalla madre; il marito, che non senza sollievo aveva rotto il legame con unamante, adesso pensava a questa con tristezza e nostalgia. La sua giovanissima compagna di viaggio inteneriva Georges per lingenua freschezza; pensava che lui stesso, in un istante, le avrebbe fatto perdere, la sera, quella fragile qualit, facendo di lei una donna come tante. Leducazione un po rigida, le premure timidamente tenere di quelle due persone test legate per la vita, e che per la prima volta si trovavano faccia a faccia nel loro scompartimento riservato, erano ben rese, e lo era anche la scelta un tantino imbarazzante di una stanza con un unico letto in un albergo di Colonia. Georges, lasciata la moglie a prepararsi per la notte, per ammazzare il tempo attaccava discorso al fumoir con il cameriere. Mezzora dopo, evitando lascensore per timore di essere sottoposto allo scrutinio del lift, saliva la scala, entrava nella stanza illuminata solo dalla tenue luce di una lampada da comodino e, togliendosi uno a uno gli indumenti, compiva, con un misto dimpazienza e di delusione, gesti troppo spesso fatti altrove con donne di passaggio, desiderando qualcosa daltro, senza sapere esattamente che cosa. Rimasi sedotta dal tono esatto di quel racconto privo di vanit letterarie. Era il periodo in cui stavo scrivendo il mio primo romanzo, Alexis. Di tanto in tanto ne leggevo qualche

  • pagina a Michel, buon ascoltatore capace di entrare di primo acchito nellinteriorit di quel personaggio tanto diverso dal suo. Credo che sia stata la mia descrizione del matrimonio di Alexis a indurlo a ripensare al suo vecchio abbozzo. Alcune riviste avevano pubblicato, di mio, qua un racconto, l un saggio o una composizione poetica. Michel mi propose di far apparire quel racconto con il mio nome. Lofferta, che gi a prima vista appariva singolare, era tipica dellintimit disinvolta che regnava tra noi. Opposi un rifiuto, per la semplice ragione che non ero io lautrice di quelle pagine. Michel insistette: Le farai tue rielaborandole a piacimento. Manca un titolo, e senza dubbio occorre rimpolparle un pochino. Mi piacerebbe che apparissero dopo tanti anni, ma alla mia et non mi va di sottoporre il manoscritto a un comitato editoriale. Il gioco mi tent. Michel non si sorprendeva a vedermi scrivere le confidenze di Alexis, cos come non trovava niente di incongruo nellattribuire alla mia penna quella storia di un viaggio di nozze del 1900. Agli occhi di un uomo il quale ripeteva di continuo che nulla di umano doveva esserci estraneo, let e il sesso non erano, in fatto di creazione letteraria, se non contingenze secondarie. Problemi che in seguito avrebbero lasciato perplessi i miei critici, per lui non si ponevano affatto. Facile immaginare, alla luce di ci che Marguerite Yourcenar divenuta, il giubilo di quella giovane donna ventiquattrenne al seguito di un uomo che aveva fatto tutte o quasi le esperienze, ma che si era sposato, probabilmente per conformismo sociale, e univa uninsaziabile curiosit per le donne a una infinita condiscendenza, il tutto su un fondo di effettivo disinteresse: Non la desiderava pi di unaltra. Dal testo ritoccato di Marguerite Yourcenar, traspare la profonda felicit che essa provava riprendendo in proprio frasi che le davano la sensazione, in un periodo in cui aveva vissuto ancora ben poco, di aver gi preso le misure dellesistenza. Era davvero tanto semplice - cos si parla nel racconto della giovane sposa - da attendersi dalla vita la rivelazione di un segreto, laddove essa non ci apporta che incessanti, stucchevoli ripetizioni? Con ogni evidenza, Marguerite Yourcenar non intendeva accontentarsi di ricopiare il racconto di suo padre. Rinunci in particolare alla svestizione (gli indumenti tolti uno a uno) che figurava nella versione originale, senza dubbio non tanto per una pruderia che non era affatto del suo modo di essere, quanto per il desiderio di conservare un silenzio, una sorta di suspence - e di sospensione. Non era per affatto persuasa di aver migliorato il testo e, quasi cinquantanni dopo, giudicava severamente quel racconto, di cui metteva in risalto le banalit e le convenzionalit. Non so chi di noi abbia scelto per questo breve racconto il titolo La prima sera, che ancora non so se mi piace o no. Comunque, sono stata io a far notare a Michel che quel primo capitolo di un romanzo incompiuto, cos trasformato in novella, restava per cos dire in sospeso. Cercammo levento che chiudesse il cerchio. Uno di noi due invent un telegramma consegnato dal portiere dellalbergo a Georges nel momento in cui questi si accingeva a salire le scale, telegramma che gli annunciava il suicidio della sua amante mezzo rimpianta. Particolare che non ha nulla di inverosimile; non mi avvidi che banalizzava pagine il cui massimo merito era di essere le pi sciolte possibili. Questa volta collocammo la notte di nozze a Montreux, nei cui paraggi ci trovavamo al momento di quel rabberciamento. Il mio modo di rimpolpare un pochino consistette nel fare di Georges un intellettuale, di continuo propenso a immergersi in profonde meditazioni sul primo argomento che gli capitasse, cosa che, contrariamente a quanto credevo, non lo migliorava affatto. Cos rappezzato, il breve racconto fu inviato a una rivista che lo rifiut dopo il solito periodo di attesa, poi a unaltra che lo accett, ma mio padre era ormai

  • morto. Loperetta fu pubblicata un anno dopo e venne insignita di un modesto premio letterario, cosa che avrebbe divertito Michel ma gli avrebbe anche fatto piacere. La novella ottenne infatti il secondo premio degli abbonati della Revue de France, ammontante a duemila franchi. Particolare curioso, il primo premio era toccato a un certo Ren Bris per La lezione dinglese: un uomo destinato a passare alla posterit solo per essere stato leffimero e fortunato rivale di un vero scrittore. Come spesso accade, il resoconto fatto dalla Yourcenar, probabilmente a memoria, in Pii ricordi, un tantino inesatto. Il famoso particolare inventato dal padre e dalla figlia per dare una conclusione alla vicenda, il telegramma che annunciava il suicidio dellamante, non viene consegnato a Georges ai piedi della scala, bens in camera, cosa che permette di differire la scena del letto e di terminare il racconto senza che essa abbia avuto luogo. Se questo racconto presenta un effettivo interesse per il lettore odierno, curioso della personalit e dellopera della Yourcenar, per lei stessa non era del tutto privo di preoccupazioni biografiche. Sempre in Pii ricordi, la scrittrice si interroga circa le tracce di realt vissuta lasciate da Monsieur de Crayencour in quello che concepiva come lesordio d un romanzo. Mi sono a volte chiesta quali elementi di realt vissuta contenesse La prima sera. Mi sembra che Monsieur de C. si sia avvalso del privilegio del romanziere autentico, che consiste nellinventare solo qua e l, basandosi sulla sua esperienza personale. N un tempo Berthe, decisa e audace, n Fernande, pi complicata, e del resto orfana, somigliavano minimamente a quella giovane moglie che amava tanto sua madre. Il secondo viaggio di nozze, lunico che qui ci riguardi, era del resto ben lungi da unire per la prima volta, nellintimit traballante di uno scompartimento ferroviario, due persone che si conoscevano appena, e dubito che Michel per sposare Fernande fosse disposto a rinunciare a unamante in carica: al contrario, fu la solitudine di quellinverno trascorso a Lille che a quanto sembra lo decise a tentare la nuova avventura. La componente di confidenze personali la si ha pi che altro nel tono di sensualit disillusa e tenera, nella vaga cognizione che la vita cos, e non potrebbe essere in altro modo migliore. Mutatis mutandis, possiamo immaginarci Monsieur de C. in qualche grande albergo della Riviera italiana o francese ancora semivuoto in quellinizio di novembre, mentre trascorre una lunga mezzora al fumoir o sulla terrazza un po umida che si affaccia sul mare e sulla quale, per economia, sono stati accesi soltanto alcuni di quei grossi globi di porcellana bianca che allepoca ornavano la terrazza dei buoni alberghi. Al pari del suo personaggio, avrebbe preferito la scala allascensore. Posando il piede sulla passatoia rossa trattenuta da bacchette di ottone, che conduce a quello che in Italia vien detto piano nobile, sale con passo n troppo svelto n troppo lento, chiedendosi come andr a finire. Nei commenti della Yourcenar sulla costruzione a quattro mani de La prima sera, si ritrova la sua volont di mantenere una certa fluidit, una deliziosa incertezza circa il chi ha fatto che cosa. Si ignora chi abbia trovato il titolo, chi abbia inventato la conclusione. La Yourcenar tuttavia rivendica con decisione il suo apporto personale che consistito nellaver fatto di Georges un intellettuale, in tal modo rendendolo pi vicino (sebbene questo non lo abbia migliorato) alla figura di suo padre, Michel, quasi a fare di questa novella un frammento di autobiografia sfalsata. Donde linterrogazione sulla componente biografica nel testo che le era stato fatto leggere da Monsieur de Crayencour. Sebbene la Yourcenar nulla dica in proposito, lecito immaginare ci che soprattutto la seduceva nelle affermazioni di suo padre e nella possibilit di farle sue: quellesercizio di lucidit al quale la induceva un uomo maturo, e che sarebbe rimasto una delle sue costanti preoccupazioni fino alla fine dei suoi giorni. Bandire il sentimentalismo, il pathos, il moralismo: meglio passare per cinica che essere sospettata di dabbenaggine. La prima sera dava inoltre modo a Marguerite Yourcenar di convalidare ipso facto un certo distacco rispetto alle donne (molte donne non pensano a niente) o per lo meno agli

  • stereotipi femminili, in primo luogo quelli della giovane sposa impaurita, timida, credula, insomma un po grulla, quella ragazza destinata a diventare banale quando sarebbe una donna. Si ode, come un eco, il mai cos di una donna che si rifiuta di ricalcare le convenzioni. Mai essere delusa delle proprie attrattive, deformata, ridotta a tutte le meschinit della vita coniugale, mai partecipare dellimmensa credulit delle donne a proposito del sesso come della malattia o della maternit. Avrebbe messo al mondo un figlio? Ma certo, un figlio lo avrebbe avuto. Cerc dimmaginarsela incinta. E cos, le avrebbe dato un figlio che lei sarebbe stata felice di avere, sebbene la imbruttisse, le procurasse nausee. Quando lesse - e le sanzion, tant che le pubblic con il suo nome - codeste frasi, Marguerite Yourcenar scommise che si pu essere una donna diversa. E seppe tener fede alla promessa. Maleficio non ha la deliziosa ambiguit strutturale de La prima sera. La stessa Yourcenar, nella cronologia compilata per il primo volume delle sue opere pubblicate dalla Bibliothque de la Pliade, colloca la stesura di questo racconto - una realistica evocazione di costumanze italiane - nel 1927, sebbene sia stato pubblicato solo sei anni dopo. Se lo si inserisce nel novero delle opere giovanili, appare scusabile il carattere estremamente convenzionale del racconto, che stato spesso rilevato e commentato da certi specialisti e fatto rientrare nella tematica della mediterraneit della Yourcenar. Vero che i protagonisti sono italiani e che questo racconto di liberazione da una fattura manifestamente mediterraneo. Ma basta? Altri specialisti, quelli che si interessano ai rapporti tra la Yourcenar e la storia, mettono in risalto le sue allusioni al fascismo e ai comunisti, perseguitati e costretti a fuggire dallItalia. E insistono anche, in maniera pertinente ma forse un tantino eccessiva, sul metodo di indagine storica che sarebbe sotteso a questo testo. lecito ritenere che attribuiscano troppa importanza a questo piccolo esercizio narrativo. Tuttavia, rileggerlo in questo volume d modo di reinterpretarne il punto di vista. La cerimonia di liberazione dalla fattura, che si svolge attorno ad Amande, tubercolotica perch sarebbe stata iettata, in primo luogo un raduno di donne credule attorno a un uomo, lesorcista Cattaneo dAigues. Come di rito, una delle donne, Algnare, si autodenuncia con la propria agitazione e i suoi dinieghi. lei ad aver compiuto il maleficio. Ma come ha raggiunto i suoi scopi? Cattaneo vorrebbe saperlo. Cuore di bue trafitto? Limone sepolto sotto la soglia? No, dice Algnare: Lho voluto... soltanto voluto... E luomo replica: Allora, sei molto forte. Beninteso, colei che esce dalla cerchia delle donne e per la quale, non senza umorismo, la Yourcenar lascia trasparire la sua ammirazione, non pu che essere... una strega. Ed questa la conclusione del racconto: Le stelle tracciavano per lei, in grandi aste tremolanti, le gigantesche lettere dellalfabeto delle streghe. Questi testi recuperati, raccolti quasi per caso, per salvarli dalla dispersione e proporli a un pubblico pi ampio che non sia quello dei ricercatori e degli specialisti, compongono in fin dei conti una trilogia giovanile sulla credulit. Ancora adolescente, Marguerite Yourcenar si sforzata di affrancarsi da questa debolezza trasformata, dai discorsi degli uomini tanto spesso anchessi creduli, in affascinante risvolto del carattere femminile. Utili come documenti (letterario nel caso del Racconto azzurro, preannuncio di un intero versante dellopera, abbozzo di uno stile; biografico nel caso de La prima sera, a proposito del quale si pu fantasticare ancora a lungo sul gioco con il padre, un gioco certo fondamentale, senza tuttavia riuscire a far piena luce; storico nel caso di Maleficio), essi rivelano anche il gusto e il talento di Marguerite Yourcenar per la forma breve. A proposito delle Novelle orientali, Matthieu Galey parlava di un edificio a s stante nellopera di Marguerite Yourcenar, prezioso come una cappella in un vasto palazzo. Affermazione che vale per la maggior parte dei racconti brevi scritti dallautrice, compresi quelli che restano imperfetti - e lei stessa li giudicava con severit -, o troppo convenzionali, come appunto Maleficio. Le loro goffaggini, al pari delle promesse che contengono, sono rivelatrici. Insieme schizzi e scale musicali, questi piccoli testi hanno

  • oggi, nellopera della Yourcenar, una duplice funzione. Lo sguardo retrospettivo del lettore vi scopre gli indizi di una continuit. Lautrice vi proclama la rottura radicale con il periodo di prima della scrittura. Per loro tramite risulta evidente il passaggio senza ritorno - e La prima sera ne lemblema - dal sentimento della filiazione naturale e umana a quello di una genealogia culturale e creatrice.

    JOSYANE SAVIGNEAU.

    MARGUERITE YOURCENAR, O DELLESATTEZZA. Ortega y Gasset chiedeva: No es traducir, sin remedio, un afn utopico? Nulla si pu tradurre, ma tutto si traduce; e del resto, nulla si pu scrivere, ma tutto si scrive. Constatazioni comunque implicite nel verbo stesso: tradurre, dal latino traducere, far passare oltre, trasferire. La domanda si applica dunque, non tanto al fatto-tradurre, quanto agli esercizi ermeneutici attorno alla traduzione. Da quando esiste letteratura scritta, si rinnovano i tentativi di trasformare la traduzione in unattivit organizzata, sistematica. Ma unimpresa che equivale, ipso facto, a uno stravolgimento. La parola , sempre e ovunque, traduzione. La parola lesserci ma anche lessere, supposizioni della parola. La quale non pu non proporsi, sempre, quale forma e menzogna. La parola perennemente imprecisa, inesorabilmente delirante dal momento che molteplice - come appunto la parola. Inutile tentare di fermarla una volta per sempre, e ne consegue che ogni traduzione sempre opinabile e solo provvisoriamente accettabile; domani non lo sar pi. Sempre improvvisa, la parola una nuvola che si squarcia a rivelare se stessa. Laldil della parola la parola stessa. Laldil avviene in quanto parola: che increta, tutto svolgendosi entro la parola (ma lespressione impropria. Espropria la parola. Svolgere, tutto, parola: sono parole. Nessun evento al di fuori della parola). Tra lo scrittore e chi di lui/lei disquisisce, passa la stessa differenza che tra il Principe e Il principe. Luno si occupa de regimine principis ovvero dellesercizio del potere; fa la guerra, parte in campagna. Laltro lo insegue nel tentativo di raggiungerlo - come Achille con la tartaruga -, vuole dirlo, gli mette in bocca parole che quello ignora, vorrebbe chiarire i meccanismi del processo-Principe, e dunque a un certo punto regolamentarlo. Assume il testo-Principe quale unit fondamentale da analizzare. Non intendo fare lo stesso: fatica a vuoto, quella del critico. Parlo solo da tecnico, da chi stato chiamato a dare forma italiana a tre racconti di Marguerite Yourcenar. Il traduttore non agisce infatti per operazioni successive - analisi, trasformazione, sintesi - come non lo fa lo scrittore in proprio; il traduttore non si rif alle strutture nucleari delle due lingue, quella di partenza e quella di arrivo. Anzi, non distingue affatto tra partenza e arrivo. La consapevolezza filologica non pu costituire che un semplice ausilio; e la tecnica del traduttore, come dello scrittore, ben poca cosa, si riduce alluso dei dizionari che sono promemoria. C tuttavia modo e modo di tradurre, o meglio di porsi davanti a quel coacervo costituito dai due testi: un tutto olistico, maggiore della somma delle componenti. Non ci si pone di fronte al testo di partenza N si sceglie, dopo attenta meditazione, di procedere con questo o quel metodo. Ci si affida, inevitabilmente, inesorabilmente, alla sensibilit non vicariabile con la semantica, e la quale continua e continuer a restare assimilabile allinterpretazione o esecuzione musicale. (Si pu anche tirar via, suonare o tradurre sbadatamente, essendo che la traduzione si riduce a unattenta lettura, e linterpretazione musicale a un ripercorrere. Entrambe colgono la

  • volont esplicita e le aspirazioni inesplicite dellautore: non basterebbe certo 1 spartito a funzionare da chiave definitiva.) Mi rendo per conto che parlare, come ho fatto nel titolo che ho dato a questo forse futile intervento, di esattezza nel caso della Yourcenar si presta ad ambiguit. Potrebbe far supporre la preesistenza, in lei, di una storia, di una vicenda, di una trama alla quale adeguare successivamente le parole per metterle per iscritto in maniera degna (per chi?), in termini accettabili (di chi?). Ogni lettore, e ogni traduttore, coglie aspetti sempre diversi dellinfinito intrattenimento, dellinsensato gioco di scrivere; e del resto, per restare a Blanchot, la poesia (e la narrazione) ha una forma ma, per meglio dire, la poesia e il racconto sono forma, termine che in questo caso non spiega nulla, anzi contiene la totalit dellinterrogazione. Mi limito dunque a ridire che nello scrittore, come nel traduttore (ammettendo pure che tra luno e laltro corra il divario, semmai, che separa arte e artigianato, quella pura, questo impuro, quella ludica, questo al servizio di alcunch) non si ha una somma, una successione, bens un tutto olistico. la parola che, essendo creatore increato, si fa (si immagina) motore e resistenza. Si pone come aleggiante sullabisso ma labisso la parola. La parola diviene, non viene scelta, fabbricata, trovata nei lessici. Sicch, certo, Marguerite Yourcenar coltiv lesattezza. Ma questa non fu sovrapposizione, orpello. La parola-Yourcenar non poteva che essere - che volersi - cos. Non parola di cui ci si serve: la parola non usata, usante. Non mi pare che lesecutore musicale, ossia il traduttore della parola-musica, per continuare la similitudine, legga lo spartito con la ratio e il cogito. Non gli occorre lintelligenza; gli abbisogna lempatia. Si tratta, certo, anche di mestiere, cosa che per vuol dire semplicemente frequentazione di testi e spartiti fino allimmedesimazione. E che la parola scissipara, si frammenta in filosofia, in scienza della parola ponendo una parte di s fuori da s, e su quella ripiegandosi, impaurita allidea di non designarsi, di non oggettivarsi. Perci, accettata questa sua tendenza alla frammentazione, al mascheramento, si pu - si deve farlo, pena di non riuscire a spiegarsi - arbitrariamente parlare dellesattezza della Yourcenar quasi fosse un oggetto avulso, qualcosa che stia accanto a un soggetto. Nellambito della frase, la Yourcenar definiva, con estremo puntiglio, il termine, sostantivo, verbo, aggettivo, particella, che ci voleva. Quello, e nessun altro. Incontentabile, fin dagli esperimenti giovanili in cui rientrano i tre racconti qui contenuti, si dedicata a questopera di individuazione. La penso come un orafo intento a montare un delicato meccanismo. Tutto dentro di s: il testo si fa oggetto solo quando sia uscito dalle mani dellartefice, quando divenga altro da s, cosa, merce da esitare sul mercato librario. Posseduta dal rischio vertiginoso della se stessa-parola, la Yourcenar non poteva ammettere deviazioni. Non usc mai da codesta dimora di reclusa; viaggi, ma sempre dentro il proprio labirinto anche quando si spost, anche quando con Grace Frick si stabil negli Stati Uniti, quando soggiorn in Kenya, a Isavo e Amboseli. Il letterato un monaco? Vive in una Tebaide? Si opporr che larte non la vita, bens una sua esagerazione, vita rafforzata dalla personalit dellartista, per dirla con A.A. Milne, fortunato autore di Winny-Puh. Sar anche. Sta di fatto che larte monopolizza la vita dellartista, forse lo esclude dalla vita. Poco importa definire lopera della Yourcenar, collocarla in un contesto critico-tradizionale, classicismo, innovazione, avanguardia o quel che . Per chi, come me, ha avuto a che fare con la sua scrittura (questa la seconda volta dopo LOpera al nero) e si trova dunque a immedesimarsi, non gi con lautrice (a mio parere, anzi, larte dovrebbe essere anonima, non lo pi solo da quando il suo prodotto diventato oggetto, merce), bens con i suoi testi, a contare solo lintuizione del suo porsi di fronte a se stessa, lo scoprire quale ne fosse limmagination cratrice, titolo della conferenza da lei tenuta nel 1969 alla biblioteca francese di Boston. Tale scoperta, o immediata, o non . bello lavorare sulla Yourcenar: conforme a chi scrive queste righe - in quanto autore in proprio e traduttore, operatore culturale, insomma, in gergo sindacalese - la sua

  • dedizione allesattezza; e, aggiungerei, allausterit, l dove le sia riuscito di obbedire totalmente alla parola che la parlava. Giudichi il lettore se la mia volont di partecipazione allopera della Yourcenar stata o meno coronata da successo, se ho saputo ridare la limpidit, in questi racconti qua e l ancora imperfetta, delle sue narrazioni, limpossibilit di essere altrimenti e di scontarlo, allora, con linsoddisfazione e il tormento. Contiguit e continuazione, di che altro si tratta, in fin dei conti, nella fatica del traduttore? Il quale un attore. Impersona, convive finch sta sul palcoscenico-pagina. Poi passa ad altro, magari con la nostalgia di uninterpretazione che presume ben riuscita.

    FRANCESCO SABA SARDI

  • Marguerite Yourcenar Racconto azzurro e altre novelle

    RACCONTO AZZURRO. I mercanti venuti dallEuropa erano seduti sul ponte, davanti al mare blu nellombra color indaco delle vele ampiamente rappezzate di grigio. Il sole cambiava senza posa di posto tra i cordami e il rullio lo faceva saltar via come una palla da una rete con le maglie troppo larghe. La nave virava di continuo per evitare gli scogli e lattento pilota si carezzava il mento bluastro. I mercanti sbarcarono al crepuscolo su una riva pavimentata di bianco marmo. Vene azzurrastre percorrevano la superficie delle grandi lastre di pietra che un tempo erano adibite al rivestimento dei templi. Le ombre che i mercanti allungavano dietro di loro sulla strada andando nel senso della sera erano pi grandi, pi sottili e meno nere che nel pieno meriggio, e la loro sfumatura di pallidissimo blu faceva pensare alle occhiaie che dilatano sotto le palpebre di un malato. Azzurre iscrizioni tremolavano sulla bianca cupola delle moschee come tatuaggi su un seno delicato, e di tanto in tanto una turchese, trascinata dal proprio peso, si distaccava dagli intonaci e cadeva con sordo rumore su tappeti di un azzurro molle e sbiadito. Non appena alzatasi, la luna si mise a errare come una lamia sulle tombe coniche del cimitero. Il blu del cielo era simile alla coda scagliosa di una sirena, e il mercante greco scopriva, nelle montagne denudate che bordavano lorizzonte, una somiglianza con le groppe azzurre e rasate dei Centauri. Tutte le luci delle stelle si concentravano dentro il palazzo delle donne. I mercanti si infilarono nel cortile donore per mettersi al riparo dal vento di mare, ma le donne spaventate non volevano saperne di riceverli, e invano essi si scorticarono le dita a forza di battere alle porte di acciaio lucente come la lama di una sciabola. Tanto crudele era il freddo, che il mercante olandese perdette i cinque diti del piede sinistro e al mercante italiano due dita della mano destra furono amputate da una tartaruga che, nelloscurit, aveva scambiato per una semplice borchia di lapislazzoli. Finalmente un negro grande e grosso usc dal palazzo piangendo e spieg ai mercanti che ogni notte le Dame respingevano il suo amore perch la sua pelle non era abbastanza scura. Il mercante greco ne si assicur la benevolenza donandogli un talismano fatto di sangue rappreso e di terra di cimitero, e il nubiano li introdusse in una grande sala color doltremare, raccomandando alle donne di non parlare troppo forte, per tema di svegliare i cammelli nella stalla e disturbare i serpenti che tettano il latte del chiar di luna. I mercanti aprirono i loro scrigni sotto lo sguardo incuriosito delle serve, tra fumi di odori azzurri, ma nessuna delle Dame rispose alle loro domande, e le principesse non accettarono i loro doni. In una sala dai pannelli dorati una cinese vestita di arancione li tratt da impostori perch gli anelli che le offrivano diventavano invisibili al contatto con la sua pelle gialla; i mercanti non notarono una donna nerovestita seduta in fondo a un corridoio e, quando distrattamente ne calpestarono un lembo della gonna, essa li maled in nome del cielo azzurro nella lingua dei tartari, in nome del sole in lingua turca, in nome delle sabbie nella lingua del deserto. In una sala tappezzata di ragnatele, i mercanti non ottennero risposta da una donna vestita di grigio che incessantemente si palpava per assicurarsi di esistere; in una sala color garanza fuggirono alla vista di una donna vestita di rosso che perdeva tutto il suo sangue da una larga ferita aperta nel petto, ma pareva che non se ne avvedesse, ch la sua veste non era neppure macchiata. Alla fine, i

  • mercanti si rifugiarono nel quartiere delle cucine, e discussero sul modo migliore di arrivare alla caverna degli zaffiri. Erano di continuo disturbati dal va e vieni dei portatori dacqua e un cane coperto di rogna venne a lambire i monconi blu delle dita mutilate del mercante italiano. Finalmente videro emergere dalla scala della cantina una giovane schiava che portava ghiaccio tritato in una ciotola di vetro opaco. Costei pos la ciotola a caso, su una colonna daria, per aver modo di alzare le mani in segno di saluto allaltezza della fronte che recava tatuata la stella dei Magi. I capelli neroblu le spiovevano dalle tempie sulle spalle; gli occhi chiari guardavano il mondo attraverso due lacrime, e la bocca non era che una lividura blu. La veste di tela color lavanda che indossava, sbiadita da troppo frequenti bucati, era tutta lacera alle ginocchia, perch la schiava aveva labitudine di prosternarsi senza posa in preghiera. Siccome era sordomuta, poco importava che non comprendesse la lingua dei mercanti. Scosse gravemente il capo quando a gesti le mostrarono volta a volta il colore dei suoi occhi in uno specchio e la traccia dei suoi passi sulla polvere del corridoio. Il mercante greco le propose i suoi talismani: lei li rifiut come una donna felice, ma con il sorriso di una donna disperata; il mercante olandese le porse un sacchetto pieno di gioie, ma lei fece una riverenza allargando ambo le mani sulla veste tutta buchi, e i mercanti non compresero se si riteneva troppo povera o troppo ricca per quegli splendori. La schiava alz la nottola di una porta mediante un filo derba, e i mercanti si ritrovarono in un cortile rotondo come linterno di un secchio, riempito fino allorlo dalla fredda luce mattutina. La giovane donna si avvalse del mignolo per aprire una seconda porta che dava sulla piana e, uno dopo laltro, i mercanti si addentrarono nel cuore dellisola lungo una strada bordata da una sequela di ciuffi di aloe. Le loro ombre si aggrappavano ai calcagni, piccole e nere come vipere. Solo la giovane schiava ne era completamente priva, cosa che li indusse a credere che era forse un fantasma. Le colline, azzurre in lontananza, avvicinandosi divenivano nere, brune e grigie, ma il mercante della Turenna non si perdeva di coraggio e intonava, per confortarsi, arie del suo paese. Il mercante castigliano fu punto due volte da uno scorpione. Le gambe gli si gonfiarono fino alle ginocchia e assunsero il colore delle melanzane mature, senza che egli provasse dolore alcuno, e anzi camminava con passo pi deciso e pi solenne degli altri, quasi si sentisse sorretto da due spessi pilastri di basalto blu. Il mercante irlandese piangeva perch gocce di sangue pallido stillavano ai talloni della giovane donna che marciava pi nudi su cocci di porcellana e di vetro. Dovettero strisciare sulle ginocchia per entrare nella caverna che spalancava sul mondo solo unimboccatura stretta e frastagliata. Ma la gola profonda era pi spaziosa di quanto non si sarebbe creduto, e quando i loro occhi ebbero fatto amicizia con le tenebre, scoprirono frammenti di cielo tra le fissure della roccia. Un lago purissimo occupava il centro del sotterraneo, e quando il mercante italiano vi gett una moneta per saggiarne la profondit, non la si ud cadere, ma bolle si formarono alla superficie, quasi che una sirena improvvisamente ridesta avesse espirato tutta laria che le riempiva gli azzurri polmoni. Il mercante greco immerse le mani avide in quellacqua che gliele tinse sino ai polsi, come il liquido bollente nella vasca del tintore, ma non riusc a impadronirsi degli zaffiri che galleggiavano come flottiglie di nautili su quelle acque pi dense di quelle dei mari. Allora la giovane donna disfece le sue lunghe trecce e cal nellacqua i capelli nei quali gli zaffiri si impigliarono come nelle maglie setose di una rete scura. Chiam dapprima il mercante olandese, che se ne riemp le brache, e il mercante della Turenna, che ne colm il suo berretto. Il mercante greco ne imbott un otre che portava in spalla, e il mercante castigliano si sfil dalle mani umide di sudore i guanti di cuoio e da quel momento se li port sospesi al collo come mani tag1iate. Quando fu la volta del mercante olandese, il lago non conteneva pi zaffiri, e la giovane donna si tolse il ciondolo di vetro, ordinandogli a segni di metterselo sul cuore.

  • Strisciarono fuori dalla caverna, e la giovane donna chiese al mercante irlandese di aiutarla a rotolare un pietrone per tappare laccesso. Quindi si fece un sigillo con un po dargilla e un filo dei suoi capelli. La strada parve ai mercanti pi lunga che al mattino, e il mercante castigliano che cominciava a soffrire per via delle gambe avvelenate, traballava bestemmiando il nome della madre di Dio. Il mercante olandese, che aveva fame, tent di spiccare le zucchine blu dei fichi maturi, ma centinaia di api confitte nel loro saporito spessore gli infissero a fondo i pungiglioni nella gola e nelle mani. Giunti ai piedi delle mura, i mercanti compirono una deviazione per scansare le sentinelle. Si diressero senza rumore al porto dei pescatori di sirene, che era sempre deserto poich da lungo tempo in quel paese non si pescavano pi sirene. Il loro battello si dondolava mollemente sullacqua, attraccato a un alluce di bronzo, unico resto di una statua colossale eretta in onore di un dio di cui nessuno pi sapeva il nome. Sul molo, la giovane donna volle prendere congedo dai mercanti portandosi le mani al cuore, ma il greco la afferr per i polsi e la trascin sulla barca, poich aveva in animo di venderla al principe veneziano di Negroponte che amava le donne minorate o lese. La sordomuta si lasci portar via senza opporre resistenza, e le sue lacrime cadendo sulle tavole del ponte si tramutavano in acque marine, ed ecco allora i suoi carnefici ingegnarsi a farla piangere. La denudarono, e la legarono allalbero maestro. Il corpo della giovane era talmente bianco da fungere da fanale al battello natante nella chiara notte delle Isole. Quando ebbero terminato la loro partita di shangai, i mercanti scesero in cabina per dormire. Allalba lolandese, tormentato dal desiderio, sal sul ponte per far violenza alla prigioniera. Ma essa era scomparsa; i lacci vuoti pendevano dal nero tronco dellalbero come una cintura troppo larga, e nullaltro restava, nel punto dove serano posati i piedi sottili e dolci della giovane, che un mucchietto di erbe aromatiche da cui si levava un fumo azzurro. Nei giorni che seguirono, unaccalmia regn sul mare e i raggi del sole che cadevano su quella coltre color delle alghe producevano il rumore del ferro scaldato a bianco dun subito tuffato nellacqua fredda. Le gambe in cancrena del mercante castigliano erano blu come le montagne che si scorgevano allorizzonte, e rivoli di sanie colavano in mare dalle tavole del ponte. Quando le sue sofferenze divennero intollerabili, il mercante estrasse dalla cintura una larga daga triangolare e tagli allaltezza delle cosce le sue due gambe intossicate. Sfinito, mor allalba, non senza prima aver legato i suoi zaffiri al mercante di Basilea, poich era il suo mortale nemico. In capo a una settimana fecero tappa a Smirne e il mercante della Turenna, che aveva paura del mare, vi si fece sbarcare con lintento di continuare il viaggio in groppa a una buona mula. Un banchiere armeno gli vers in cambio degli zaffiri diecimila monete doro con leffigie del Prete Gianni; erano perfettamente tonde, e il turennese ne caric tutto contento tredici muli. Ma quando torn ad Anger dopo sette anni di viaggio, seppe che la moneta del Prete Gianni non aveva corso nel suo paese. A Ragusa il mercante olandese baratt i suoi zaffiri con una brocca di birra venduta da un ambulante sul molo, ma ben presto vomit quello sciapo liquido svaporato che non aveva lo stesso sapore che nelle taverne di Amsterdam. A Venezia, il mercante italiano sbarc per farsi nominare Doge, ma mor assassinato il giorno successivo al suo matrimonio con il golfo. Quanto al mercante greco, leg i suoi zaffiri a un lungo filo e li sospese ai fianchi della barca perch il contatto delle onde ne secondasse il bellazzurro. Inumidite le gemme si liquefecero e aggiunsero al tesoro del mare non pi che qualche goccia di acqua trasparente, ma il mercante greco si consol pescando pesci che metteva a cuocere sotto la cenere. La sera del ventisettesimo giorno, i mercanti furono assaliti da un corsaro. Quello di Basilea inghiott i suoi zaffiri per sottrarli allavarizia dei pirati, e mor straziato dai dolori di ventre. Il greco si gett in mare e fu raccolto da un delfino che lo riport a Tinos.

  • Lirlandese pestato a sangue fu lasciato per morto sul battello fra cadaveri e sacchi vuoti, ma nessuno si prese la briga di strappargli il ciondolo di vetro blu. In capo a trenta giorni, limbarcazione alla deriva entr da sola nel porto di Dublino e lirlandese scese a terra per mendicare un tozzo di pane. Pioveva. I tetti obliqui delle case basse facevano pensare a grandi specchi destinati a captare gli spettri della luce morta. Pozzanghere costellavano il selciato irregolare; il cielo, dun bruno sporco, era a tal punto impantanato che gli Angeli non avrebbero osato uscire dalla casa di Dio. Le strade, completamente deserte; la bancarella di un merciaio ambulante guarnita di lacci da scarpe e calzini color nocciola era abbandonata sul bordo di un marciapiede, sotto un ombrello aperto. I re e i vescovi scolpiti sul portale della cattedrale nulla facevano per impedire alla pioggia di cadere sulle loro corone e sulle loro tiare, e Santa Maddalena la riceveva sui seni nudi. Scoraggiato, il mercante and ad accoccolarsi sotto il portico, accanto a una giovane mendicante. Era cos povera, costei, che il suo corpo illividito dal freddo traspariva dagli strappi della veste grigia; le ginocchia sbattevano assieme piano; ed essa teneva tra le dita coperte di geloni un tozzo di pane che il mercante le chiese per amor di Dio. Lei subito glielo porse. Il mercante avrebbe voluto farle dono della biglia di vetro blu, perch nullaltro aveva da dare in cambio del pane. Ma invano frug nelle tasche, tuttattorno al collo, tra i grani del rosario. E si mise a piangere perch nullaltro ormai possedeva che potesse ricordargli il colore del cielo e la tinta del mare dove per poco non era perito. Fece udire un profondo sospiro e, come il crepuscolo e la bruma fredda si inspessivano attorno a loro, lei gli si strinse contro per riscaldarlo. Il mercante le domand notizie del paese, e la mendicante rispose nel dialetto del villaggio che aveva abbandonato ancora bambina. Allora le scost i capelli in disordine che le coprivano il volto; ma il viso della mendicante era talmente sudicio che la pioggia vi tracciava solchi bianchi, e il mercante savvide con orrore che era cieca e che locchio sinistro gi scompariva sotto unalbugine funesta. Ci nonostante pos il capo su quelle ginocchia coperte di stracci, e si addorment rassicurato, perch locchio destro, privo di sguardo, era tuttavia miracolosamente azzurro.

    LA PRIMA SERA Erano in viaggio di nozze. Il treno correva verso la banale Svizzera: seduti nello scompartimento riservato, si tenevano per mano. Su di loro gravava un silenzio. Si amavano, o almeno lo avevano creduto, ma i loro amori, diversi luno dallaltro, servivano solo a comprovare a entrambi quanto poco si somigliassero. Lei, fiduciosa, quasi felice, e tuttavia spaventata da quella vita nuova che stava per cominciare, facendola unaltra donna che era sorpresa di non conoscere e che tentava di raffigurarsi in anticipo, come una straniera con la quale dovesse abituarsi a vivere; lui, pi esperto, avvertendo tutta la fragilit del sentimento che laveva spinto verso quella ragazza, destinata a diventare banale quando fosse divenuta donna. Ci che in lei lo aveva attratto, era proprio quello che doveva scomparire, il suo candore, i suoi sbalordimenti, latmosfera dintatta giovinezza in cui laveva conosciuta. La immaginava spogliata di quelle attrattive, deformata, ridotta a tutte le piccinerie della vita coniugale, che ne avrebbe fatto una donna come le altre. Tra poco, lavrebbe presa tra le braccia e distrutta. Un istante sarebbe bastato; quando avesse allentato la stretta, in cuor suo avrebbe avuto la sensazione di un assassinio al quale la passione non poteva offrire neppure circostanze attenuanti dal momento che, a conti fatti, non la desiderava neppure. O, per lo meno, non la desiderava pi di unaltra. Si chiese che cosa le passava per la mente. Pensava a quello? O, piuttosto, pensava? Molte donne non pensano a niente. Ed era davvero tanto semplice da attendersi dalla vita la rivelazione di un segreto, laddove essa non ci apporta che

  • incessanti, stucchevoli ripetizioni? Avrebbe finito per implorare da un amante la felicit che da lui non avrebbe avuto, che neppure un altro le avrebbe dato, per incapacit di possederla? Immaginava forse che si ha la felicit nel portafoglio, come un assegno che basta semplicemente girare? Ci sono assegni a vuoto. E gli veniva voglia di ridere allidea che, un domani, lo avrebbe accusato di truffa. Alz il capo, si guard nello specchio. Si stizz con se stesso per via dellabito che indossava, che gli sembrava troppo voluto per un viaggio. Lei senza dubbio lo trovava bello: una mancanza di gusto che lo irrit. Visse, quasi che il treno traversasse i paesaggi del suo avvenire, la lunga serie dei giorni monotoni nei quali larrivo di unamica sarebbe stato, per lei, un diversivo, le serate in cui lui si rallegrerebbe di unirsi a una cerchia di uomini che parlerebbero di altre donne con una brutalit dalla quale avrebbe ricavato piacere, la stessa, senza dubbio, con cui quelli parlerebbero di sua moglie quando lui non fosse presente. Avrebbe messo al mondo un figlio? Ma certo, un figlio lavrebbe avuto. Cerc di immaginarsela incinta. E cos, le avrebbe dato un figlio che lei sarebbe stata felice di avere, sebbene la imbruttisse, le procurasse nausee; un figlio per il quale lui proverebbe un affetto compiacente, divertito, finch fosse bambino? e che diventerebbe in seguito fonte di scocciature per entrambi: preoccupazioni per la sua salute, agitazione al momento degli esami, e tutto un intrigare per aprirgli una carriera o trovargli una moglie. Probabilmente non si sarebbero messi daccordo sul modo di educarlo. Avrebbero litigato come tutti. Oppure, si sarebbe lasciato pienamente invadere dalla cecit coniugale e paterna, quella stessa di cui si era fatto beffe negli altri, vinto (vinti si sempre) dalla vita che tende a colare tutti gli esseri in identici stampi? Ma no, nulla di tutto questo sarebbe accaduto. Si danno altre possibilit, felicit o infelicit che ci si dimenticati dinvitare, e che si vendicano arrivando allimprovviso. Lei poteva morire. Se la figur morta, distesa nella bara sotto un velo di tulle bianco; si vide, nerovestito, aureolato, per le donne sui cinquanta, del prestigio dellinfelicit. Gi, il nero gli donava. Sindign della propria insensibilit, quasi fosse ormai stanco di piangerla. Daltronde, a morire poteva essere lui. Morto di tifo, durante un viaggio in Algeria o in Spagna, e lei a curarlo con devozione, di quelle che fanno buona presa, in seguito, su coloro che sognano di sposare una vedova. Ma non si sarebbe risposata. Lo amava. Non avendo mai amato nessuno, si immaginava di amarlo. Per lei era quasi una necessit, poich lo aveva sposato. Escluse altre possibilit. Se fosse morto in Algeria, sarebbe tornata, sola, da sua madre. Non aveva mai fatto un viaggio da sola. Si odi perch la lasciava senza appoggio, quasi fosse certo che questo sarebbe accaduto, e come se ne fosse responsabile. Non aveva gi abbastanza guai per farsi carico di quella ragazza sconosciuta? Avrebbe fatto meglio, lei, a sposare uno qualsiasi Avrebbe dovuto spiegarglielo. La sua commozione cresceva e cresceva; torn a se stesso. La studi con turbata tenerezza, e un grande scoraggiamento lo prese. Erano a Chambry. Non avendo niente da dire, lei invano cercava una domanda da porre, a guisa di un oggetto che in s e per s non abbia importanza, ma al quale sia attribuita dal nostro ostinarci a trovarlo. Apr la borsetta. Dentro, una medaglia di San Cristoforo e una medaglia del Sacro Cuore. Ebbe voglia di mostrargliele, poi si disse che le avrebbe trovate risibili e, per non lasciar pensare che il suo era stato un gesto immotivato, ne cav soltanto il fazzoletto. Guard il paesaggio: meno bello di quanto se lo fosse immaginato, ma di continuo lo abbelliva con uno sforzo dimmaginazione di cui non aveva consapevolezza, poich non voleva che quella giornata fosse, fin nel menomo particolare, inferiore a quella che sera ripromessa. Ecco perch aveva trovato buono, nella carrozza ristorante, il pasto di mediocre qualit e aveva ammirato, per via del colore delicato, gli abat-jour di seta rosa. La notte calava; ormai si distinguevano chiaramente soltanto le abitazioni dei casellanti lungo la strada ferrata: non cera casa che vedesse senza dirsi

  • che lei e lui avrebbero potuto viverci felici, pensiero che la riportava a scelte di mobili e di tappezzerie che avevano suscitato tra loro le prime discussioni, allepoca in cui erano ancora solo fidanzati. Lui invece, alla vista delle finestrine illuminate nella grisaglia del crepuscolo, si chiedeva se gli abitanti di quelle dimore imprudentemente collocate sulla strada ferrata non invidiassero i viaggiatori del rapido, e se non avrebbero finito, una sera, per cedere alla tentazione di salirvi. Trascinato, come dal correre del treno, verso un avvenire di sensazioni reperite anticipatamente, tentava di estrarre il succo voluttuoso dellattimo presente, di godere, con una consapevolezza pi lucida di quanto avevano di fragile, degli istanti che mai pi sarebbero tornati. Si disse, come se lera tanto spesso detto, e sovente stando con altre donne, che la maggior parte dei momenti della nostra vita sarebbero deliziosi se lavvenire o il passato non proiettassero la propria ombra, e che di norma siamo resi infelici solo dal ricordo o dallanticipazione. E, constatato una volta di pi che quella ragazza aveva ci che vien detto fascino, che probabilmente lo amava, che non era senza dubbio n meno intelligente n meno ricca di quanto dabitudine si auspica, e che il tempo aveva la decenza di essere bello, si decise a plasmare una felicit da cos vaghi elementi di benessere, che pure a tanti altri sarebbero parsi soddisfacenti. Limprovviso ingresso in una galleria li obblig a parlare, poich sottraeva al loro silenzio il pretesto del paesaggio. A che cosa pensi, Georges? chiese lei. Si riprese con un sobbalzo e rispose, con una dolcezza di cui egli stesso si compiacque: Ma a te, mia cara... E, nellenunciare quella tenera banalit, comprese che si persuadeva del proprio amore a mano a mano che lo esprimeva. Le pos un bacio sulla fronte, castamente. Allora, troppo intimidita per avere il coraggio di tacere, lei si inform, a caso, dellalbergo dove avrebbero preso alloggio, dei bagagli, dellora di arrivo. Siamo cos lontani da Grenoble, disse. Povera mamma! Spero che si sia un po consolata. Hai notato, Georges, comera triste al momento della nostra partenza e come si sforzava di trattenere le lacrime? Quel ritorno allindietro evoc in lui limmagine di unaltra donna, lamante con la quale aveva rotto e di cui si sorprendeva a ricordarsi ancora. Piangeva? Tratteneva le lacrime? Stanco di quella donna, come lo si soltanto di ci che si troppo amato, separarsene gli era stato facile; aveva creduto, facendola finita, di sopprimere lamarezza che si prova allo scoprirsi, una certa sera, tanto invecchiati da avere un passato. Dovera? Pensava adesso, non senza dolcezza, a quel corpo esperto di donna matura, a quegli occhi sereni che niente pi stupiva. Dimenticava lirritazione che gli provocavano certi suoi modi di dire errati - e ci metteva dellamor proprio a non correggersi perch non li si credesse involontari - che le derivavano dal tempo in cui era la delizia di una cittadina di provincia. E quanto odiosa gli riusciva la sua abitudine di canticchiare, a tavola, motivetti in voga! Avevano vissuto parecchi anni insieme: rievocava adesso lepoca del loro amore con unindulgenza che era frutto di parziale amnesia, e la certezza che quei giorni pi non sarebbero tornati lo rese meno severo quanto al genere di felicit che ne aveva avuto. Con lei aveva visitato lItalia e la Provenza; episodi di quel viaggio, che lo aveva annoiato, ora lo commuovevano fino alle lacrime, e il ricordo di certi paesaggi radiosi gli fece odiare, per un secondo, quelli che aveva sottocchio. Poi era sopravvenuta labitudine; infine, la stanchezza; il piacere della rottura era lunico che ancora poteva ricavare da lei; laveva vista piangere, il giorno che le aveva annunciato il proprio matrimonio, e aveva provato una punta di vanit allidea di esserne pur sempre tanto amato da poterla far soffrire. Si sovvenne, con stizza, che le lacrime delle donne si asciugano pi rapidamente del loro belletto; lavevano vista a ora tarda in un ristorante in compagnia di un altro uomo. Non gliene voleva. Ben fatto, per

  • luno e per laltra, ricominciare la propria vita. Lei, con chi? Senza dubbio, con qualcuno che aveva individuato gi da tempo, quandera ancora sua. Fu colto da furore allidea che quelle lacrime potessero essere finte, e che forse lei si augurava che lui rompesse, ormai non attendendo pi, da settimane, che loccasione di piantarlo. Comprese che bisognava, e a ogni costo, dimenticarla per qualche ora e, con uno sforzo violento, la espulse da s. Rispose tuttavia alla giovane donna: Non preoccuparti. Domani di certo troverai una lettera di tua madre al Grand Hotel. La rattristava vederti partire, ma tra un mese saremo di ritorno e le vivremo accanto. Ed esager laffetto che provava per sua suocera, pur ricordandosi che la conosceva ben poco, quella signora. Poi riflett, ragionevolmente, che non sempre un motivo per non voler bene a una persona. Lei gli disse: Come sei buono! Gli prese la mano. Fu lusingato che lei gli attribuisse proprio la qualit che non aveva, che si rammaricava di non avere. Gli si abbandon sulla spalla, resa esausta da quella giornata che non si poteva sommare ai giorni ordinari e che nella sua memoria stava confondendosi con il suo abito da sposa, un alcunch di vaporoso e di tenue cui si pensa a lungo in anticipo e che non si rivede pi. Col braccio le cinse le spalle e la baci sulla nuca. I capelli di lei erano biondi; anche quelli dellaltra lo erano, ma, tinti con lhenn, avevano unaltra tonalit. Si ricord di averle detto che non avrebbe potuto amare una donna bruna, e codesta fedelt nellincostanza gli parve stranamente triste. Parlarono di cose insignificanti: riguardavano i genitori di lei ma per lui assumevano un senso nascosto, quasi il valore di un simbolo. Si rendeva conto che adesso doveva interessarsi a quella famiglia che non era la sua - lui che cos a lungo si era vantato di non averne una; che lo avrebbero commosso i loro lutti, che si sarebbe compiaciuto di promozioni o di nascite, che ciascuno di quegli imponderabili con i quali sarebbe entrato in rapporto lo avrebbe, poco o tanto, modificato, e che, come capita a vecchissimi sposi che finiscono per somigliarsi come fratello e sorella, avrebbe assunto i tic di quelle persone, le loro manie culinarie, magari anche le loro opinioni politiche. Ammetteva che fosse cos. Trentacinque anni: che aveva fatto, finora? Dipinto quadri che non erano buoni come avrebbe voluto, ottenuto successi di cui non aveva goduto quanto supponeva. Come un nuotatore rassegnato a lasciarsi andare a fondo sabbandona con una sorta di languore al risucchio dellacqua, aveva limpressione di abbandonarsi mollemente a quella vita qualsiasi, facile, sufficiente agli altri. Avrebbe ancora dipinto per distrarsi, badato a gestire i propri beni, ricevuto gente. Immagin una felicit di modello corrente, accettabile, conforme a tutte le tradizioni familiari da cui si credeva evaso, legittima, e tuttavia voluttuosa. Si raffigur villeggiature al mare, lestate in campagna, bambini su un prato, la vestaglia sciatta di sua moglie sul balcone, intenta a versare il t del mattino, e la bellezza pi ricca, soddisfatta e piena, che avrebbe allora avuto. Siccome il movimento del treno le dava lemicrania, si era tolta il cappello; lui giudic che era malpettinata, e che bisognava cambiare. Il parrucchiere di Laure aveva maggior gusto. Ve lavrebbe portata. Sent freddo. Si alz per chiudere il finestrino ma, comprendendo che a ogni costo doveva occuparsi di lei, torn a sedersi e le chiese se laria non le dava fastidio. Adesso sinteressava al suo ncessaire da viaggio, tent persino di aprire un flacone il cui tappo era male avvitato. La sera si dilatava lentamente, mollemente, come un gran ventaglio donnesco: linsulsaggine dellistante lo riportava allamore romantico dei primi tempi del loro fidanzamento; e dun tratto lei gli parve infinitamente cara e preziosa, piena di tutte le possibilit future, che da lei dipendevano, come se, a guisa di un bambino che solo lei poteva mettere al mondo, fosse portatrice del loro avvenire. La conversazione, che lo

  • aveva rassicurato perch lo aveva distratto, stava facendosi intermittente, invasa da silenzi: temeva che quella fragile barriera di parole, interposta tra s e i suoi pensieri, improvvisamente cedesse, lasciandolo solo con se stesso, vale a dire con laltra. Il treno si ferm per il controllo doganale: si sentirono sollevati al pensiero che cessasse la loro immobilit durante la marcia. Lo sportello si apr: scese per primo, le porse le mani. Lei salt sul marciapiede, un balzo leggero che gli ricord lAndromeda di un bassorilievo a Roma. Ne fu lusingato: era gi cosa sua. Brevi furono le formalit; i funzionari ebbero sguardi discreti per la giovane donna; la sua vanit maschile ne fu compiaciuta, e si sent meno triste. Qualche ora dopo, erano a Montreux. Lomnibus li port allalbergo. Sotto il porticato, i camerieri presero in consegna i loro bagagli; un direttore mostr loro delle stanze, chiedendo se ne volevano una o pi. E siccome la loro risposta tardava, si allontan, discretamente. Georges lev gli occhi alla moglie; i loro sguardi sincrociarono: Prendiamo questa? chiese. Ma certo, se ti va, rispose lei. Era unampia stanza con un letto matrimoniale, quasi indecente a forza di candore. Torn il direttore. Ci va bene questa, disse Georges. Credette di cogliere una punta di scherno nellossequiosit dellaltro. Arrivarono i bagagli. Lei si era messa davanti allo specchio, togliendosi lentamente guanti, cappello, mantello, e si avvertiva che quei gesti, che aveva dovuto compiere tante volte nella sua camera di fanciulla, le davano il sentimento rassicurante della continuit delle abitudini. Georges sovrintendeva alla collocazione dei bauli, alla rimozione delle corregge. Poi i camerieri se ne andarono; furono soli. La guard: era alta e sottile, come una ragazzina cresciuta troppo in fretta; lo specchio che faceva di lei due donne identiche, gi le toglieva il privilegio di essere unica; si pettinava, e le braccia alzate facevano risaltare il seno giovanile. La prese senza dir motto, le pieg la testa indietro, la baci duramente sulle labbra. Accett il bacio senza restituirglielo; disse soltanto: Ti prego... E lui non riusc a intuire se parlava cos per buona creanza o per pudore. Si distacc. Un istante dopo, chiese: Non te la sei presa? Rispose di no, con un cenno. Quasi quasi si sarebbe augurato che non lo amasse affatto, per avere il piacere di conquistarla o di vincerla. Si era messa a piegare la sua biancheria, che faceva pensare al suo corpo; non avendo nulla da fare, Georges era pi imbarazzato di lei. Sarebbe sceso nel salone, disse, per dare unocchiata ai giornali della sera; con una timidezza che lo irrit con se stesso, soggiunse che sarebbe tornato tra unora. Lei fece, col capo, un moto di assenso che Georges interpret come una carezza; le si avvicin, la baci con maggior freddezza, usc. Nella hall prese un sigaro, lo accese, si sedette. Lingombro che aveva nellanimo somigliava a un vuoto; cerc di ricordarsi se la loro stanza era al terzo o al quarto piano, pens disgustato a uno dei suoi dipinti incompiuti, scopri di aver dimenticato il nome di un personaggio di Balzac, tent di farselo tornare alla mente compitando, una dopo laltra, le lettere dellalfabeto, fin per concludere che non aveva importanza. Gli torn il ricordo: Laure era stata assunta da una compagnia cinematografica nella parte di Madame de Srizy. Chi era, nellopera di Balzac, Madame de Srizy? Cambi posto, si mise a un tavolo per sfogliare i giornali, lesse larticolo di fondo del Journal de Genve, due volte di

  • seguito, attentamente, sforzandosi di comprendere. Dalle ultime notizie risultava che un aviatore aveva attraversato lAtlantico ed era stato accolto con entusiasmo: non avrebbe voluto essere al suo posto. Unepidemia di vaiolo era scoppiata in Germania: era vaccinato. Le de Beers erano scese di mille franchi: ne possedeva; butt li il giornale. Resistette alla tentazione di salire subito per sorprenderla intenta ai suoi preparativi per la notte e si ripromise di farlo finito il sigaro. Prese a camminare avanti e indietro, tent di interessarsi ai manifesti che tappezzavano le pareti, giusto per fare qualcosa, ordin una tazza di t e si irrit perch il cameriere se la prendeva comoda. La pendola segnava le undici. In piedi, sulla soglia della hall, guardava le donne incorniciate di nero dalla trasparenza dei loro abiti; quelli di Laure gli costavano salati; si felicit con se stesso per aver rotto con lei, memore degli ultimi conti che aveva pagato. Rivide il piede nudo di Laure posato sulla sponda di un letto, come unapplique Impero che caso voleva fosse di marmo bianco anzich di bronzo dorato. Tutto preso da quellimmagine, tent di servirsi dellemozione che il ricordo ancora gli procurava per giungere, con laltra, a quel grado di passione che disperava di raggiungere. Una debolezza fisica lo colse, poi pass. La pendola segnava le undici e un quarto. Si alz, diede unocchiata allo specchio e si trov ridicolmente pallido. Rifiutando lascensore, per non doversi trovare a quattrocchi con il lift, sal lentamente le scale, quasi con sforzo. La fatica di farsi quattro piani offriva un pretesto ai battiti del suo cuore; giunto davanti alla porta della loro camera, si ferm, chiedendosi se avrebbe bussato. Buss piano, quindi pi forte; nessuna risposta. Un istante ancora, poi gir la maniglia e apr lentamente luscio che non era stato chiuso a chiave. La stanza era immersa nella semioscurit, le lampade spente; solo una finestra aperta, in fondo alla stanza, metteva in comunicazione quello spazio con il mondo e la notte. Entr e la vide distesa, rannicchiata contro la parete, sperduta nel letto che pareva vuoto, tanto piccola si faceva per occupare il minor spazio possibi1e. Sono io, disse. Senza far rumore, si accost, si chin sul letto, sussurr: Ti dispiace concedermi un posticino, Jeanne? Lei lev la mano da sotto la coperta e gliela porse. Lui si allontan, prese a spogliarsi. Gesto che gli parve disperatamente banale. Quante mai volte non lo aveva compiuto, nel corso di casuali incontri senza avvenire, senza passato. La stessa scena, la stessa cornice: una camera dalbergo dove si svestiva mentre una donna lo attendeva a letto. Gli riusciva doloroso che le circostanze fossero cos tristemente simili: si meravigli di avere sperato altro. Sorrise pensando che ci si abitua a tutto, persino a vivere, e che di l a dieci anni avrebbe avuto la disgrazia di essere felice. Il lago con le barche illuminate e i monti punteggiati di case dove ancora ardevano lampade, si dispiegava nella notte come una immensa cartolina postale con pretese artistiche. Usc sul balcone e guard. Subito comprese che era solo un frammento di mondo. Dietro quelle montagne, erano altre piane, altri paesi, altre camere, altri uomini esitanti alla sponda del letto dove una donna stava per darsi per la prima volta; e altri affacciati a una finestra, finalmente decisi a svellersi dalla propria carne, e allimprovviso consapevoli che la felicit non si trova in fondo a un corpo. Prov uno strano sentimento di fratellanza per quegli uomini affacciati in quello stesso istante a finestre spalancate sulla notte come sullorlo di un promontorio dal quale non ci si pu slanciare. Perch di sicuro non si naviga sulla notte. Gli uomini e le donne vanno e vengono in uno spazio da essi creato, incorniciato dalle loro case e dai loro mobili, e che nulla pi ha in comune con ci che era luniverso. Il loro spazio lo trasportano con s, ovunque vadano e, poich a quei tali andava a genio, stasera, di vogare sul lago a bordo di barche illuminate, il Lemano sembrava non essere che un promontorio per coppiette. E tuttavia esisteva. Esisteva di per s, indifferente a tutti i rapporti che si possano scoprire tra lago e uomo, e Georges comprendeva, con

  • unemozione che lo portava sullorlo delle lacrime, che la bellezza di quel degradato paesaggio consisteva proprio nel resistere a tutte le interpretazioni che si danno di chi va e viene, nellaccontentarsi di essere e, qualunque sforzo si facesse per coglierlo, nel restare altrove. Possibile che, dopo tanto tempo che ci pensavano, gli uomini non avessero compreso che la bellezza incomunicabile e che gli esseri umani non pi delle cose, non si compenetrano? Vogavano, su quel lago tanto clemente da essere calmo, su illuminate barche guastanotte, e si vantavano di essere felici. N li faceva soffrire lidea che un lago, chiuso da ogni parte, non offra sortita alcuna verso laltrove; si accontentavano di girare in eterno ai piedi di monti che celavano loro qualcosa. Non uno che tentasse di infilarsi nellangusta scissura del Rodano, che a quellora nullaltro era se non una colata pi liquida della notte. Era stato loro detto, una volta per tutte, che il Rodano non era navigabile, ma non per questo ne avrebbero provato timore. Sapevano che i fiumi, al pari delle strade, conducevano sempre e soltanto a luoghi previsti, reperiti sulle mappe, e ciascuno dei quali non che la continuazione di un altro. Non provavano n lo spavento n il desiderio di trovarsi altrove, e forse nessun altrove esiste, cos come non esiste uscita. Ci sono solo uomini e donne che girano in un circo invalicabile, su un lago di cui non sfiorano che la superficie, sotto un cielo a loro precluso Georges si sovvenne di aver letto, in un trattato di geologia di cui per un istante cerc, con dolore, il titolo, che quella gola montana in cui da secoli si ammassavano le alluvioni dei torrenti e del fiume, un giorno sarebbe colma al punto di non essere che una piana, e lidea che tanta bellezza fosse peritura lo consol dessere nullaltro che un vivente. Si chiese, con un risolino interiore, se erano molti gli uomini che pensavano a cose del genere la notte di nozze, e in pari tempo si disprezz, si rimprover di pavoneggiarsi, ai suoi stessi occhi, con simili sfoggi dintelligenza. Le barche chiassose, continuando ad aggirarsi nella notte che via via respingevano, gli ricordarono una coppia, intravista a Venezia nellintimit di una gondola, e la cui felicit grossolanamente ostentata gli era apparsa un pubblico attentato al pudore. Il ricordo, che gli ripugnava, lo riport tuttavia alle preoccupazioni del piacere, come se tra lui e quegli amanti ignoti vi fosse una segreta complicit. Abbastanza lucido per assistere, in se stesso, a quel montare della passione, di cui fino ad ora aveva temuto lassenza, si obbligava a lasciar crescere voluttuosamente la propria attesa, godendo in anticipo della sensazione che per qualche istante avrebbe abolito il pensiero, salvo poi aggiungervi in seguito nuove complicazioni. Si chiese se Jeanne, ancora sveglia, attendeva anche lei, e di quale timore o di quale amore sintrideva la sua attesa. Un battito discreto alluscio. Apr: la voce impersonale, meccanica, dun cameriere pronunci: Telegramma per il signore. Evitando di girare linterruttore, chin il rettangolo di carta azzurra per leggere alla luce del corridoio. Ud Jeanne chiedere, dal fondo della stanza, di che cosa si trattasse; si ud rispondere che gli era arrivato un messaggio del suo agente di cambio. Avendola assicurata che era cosa senza importanza, tir il chiavistello, attravers la stanza per chiudere la finestra e, dopo un attimo di esitazione, torn ad affacciarsi allumida balaustra della notte. Sentiva, nella tasca del pigiama, lo spessore della carta spiegazzata. Si analizz severamente, tentando di sapere quale fosse lemozione che galleggiava dentro di lui; la coscienza sempre pi chiara del sollievo che provava, e che non aveva lipocrisia di negare, lo disgust vieppi di se stesso e della vita. Cav la busta di tasca e rilesse, nellincompleta notte destate, quel testo al quale grossi caratteri risaltanti su una striscia bianca conferivano prematuramente laspetto ufficiale di una partecipazione. Laure era scivolata sotto un autobus, quel mattino stesso, alle undici. (Georges si chiese che cosa faceva lui alle undici in punto.) Stato di disperazione. Guard le indicazioni di servizio: il telegramma, spedito verso sera, aveva impiegato parecchie ore per arrivargli; senza

  • dubbio, tutto era finito. Lidea che Laure non soffrisse pi gli riusc infinitamente dolce, come se tutto il dolore del mondo avesse cessato di esistere. La firma sul telegramma era quella di unamica che abitava con Laure, e della quale un tempo Georges sopportava malamente la presenza: lui e quella donna si erano sempre detestati, forse perch essa amava sinceramente Laure. Per un istante, fu costei che compianse. Poi si chiese come mai avesse avuto il suo indirizzo. Pens che linvio del telegramma aveva dovuto procurarle, nel suo dolore, lunica consolazione possibile: la certezza di farlo soffrire. Tent, per alleviare dentro di s quellimbarazzo che chiamava coscienza, di convincersi che la disgrazia era solo un caso di cui lui non aveva colpa; ma qualcosa di oscuro, nel suo profondo, comprendeva che tale ipotesi toglieva alla morte lunica bellezza che le restasse, e che lunica nobilt di quella donna che sera lasciata vivere consisteva nellaver voluto la propria morte. Accese un fiammifero, diede fuoco a un angolo del telegramma e lo guard bruciare. Un lieve fumo bianco si lev, poi divenne invisibile, dandogli il sentimento di una cremazione. Comprese che Laure aveva perduto ai suoi occhi limperfezione di esistere per confondersi, ormai imponderabile, con la parte della vita di lui che mai pi sarebbe tornata. A lungo andare, di lei sarebbe rimasto uno di quei ricordi che elegante avere quando ci si concede il lusso di un passato. In pari tempo gliene voleva per aver bloccato, con la sua morte, lunica strada che potesse ricondurlo a ci che era stato. Una volta ancora prov limpressione melanconica che tutto si sistema, il che equivale a dire che niente si compie. Rientr, chiuse con cura la finestra sulla notte e le tende sulla finestra, con una singolare consapevolezza di docilit verso la vita, conquistato o vinto a sua volta dalla sicurezza delle camere serrate. Non si diceva, o forse non voleva dirselo, che quella ragazza di Montparnasse, che di spirito ne aveva poco e dellanima aveva sempre fatto a meno, aveva forse trovato lunica uscita verso laltrove.

    MALEFICIO Una sveglia segnava le undici: undici di sera. La cucina era quasi ampia; le pareti, imbiancate a calce, lentamente impregnate del fumo dei piatti, esibivano quegli ammacchi, quelle macchie, quelle scalfitture che sono i marchi delluso, e accanto alluscio si notavano intaccature regolari perch di anno in anno i bambini vi avevano misurato la propria statura. Gli oggetti erano collocati senza simmetria, in ordine, cio i pi utili posti a portata di mano sul ripiano inferiore della scansia, in alto relegati quelli che non servivano pi o erano l solo per ornamento. Quando Toussainte, rimasta vedova, si era insediata in quellalloggio, i lumi erano ancora a petrolio; adesso, una lampadina pendeva dal soffitto accanto a una carta moschicida. La lampadina, un fornello a gas, la tela cerata sul tavolo, un macinino da caff comprato allemporio del sobborgo, datavano suppergi la scena, ne erano la nobilt dessere di ogni tempo. Toussainte, seduta al tavolo, conversava con una donna che aveva preceduto le altre; riordinavano le stoviglie della sera, e la banalit dei loro gesti aggiungeva ai discorsi un non so che di pi inquietante, persino di pi bizzarro, incorporandoli in quella mediocre realt. Entrarono alcune donne: vicine. Quelle che avevano superato i quaranta sembravano vecchie; le une magre, gi curve, le altre troppo grasse, slargate da ogni parte nelle loro vesti informi. Una giovane donna, laria stanca, aveva portato con s un bambino, che non poteva lasciare solo. Per ognuna delle sopraggiunte furono scambiate quelle frasi quasi rituali, insignificanti ma indispensabili, differenti in ciascun ambiente, ma che, in fin dei conti, ovunque comprovano lo stesso sforzo di garbatezza e ospitalit. Sedutesi le vicine,

  • Toussainte offr loro del caff; quelle rifiutarono, era meglio aspettare, dissero. Una chiese: arrivata? No, rispose Toussainte. Entrarono poi due ragazze. Erano le figlie di Toussainte. Con esse il modernismo della scena si precis: avevano i capelli corti, le labbra erano dipinte. Siccome la pi giovane, guardarobiera, aveva fatto qualche stagione in un grande albergo di Nizza, espressioni gergali, a volte usate a controsenso, apprese frequentando il lift e i camerieri al piano, si incastonavano nel suo dialetto italiano. Poi, un passo femminile, pi leggero degli altri, risuon piano lungo il corridoio. Toussainte lev il capo e disse: Forse lei. Ma non era che Algnare Nerei, una giovane vicina. Era figlia di profughi dal Piemonte: suo padre, un comunista, era rimasto ucciso in un tumulto. Poco dopo il loro arrivo in Francia, le era morta la madre; suo fratello, marmista, era andato a tentare la sorte a Parigi; era rimasta sola. Si era guadagnata da vivere come domestica, poi come sarta. Era bella, di una dura bellezza bruna che nessuno notava, perch troppo frequente in quellambiente e in quellepoca. And a sedersi nella rientranza della finestra, accanto alle due altre ragazze. Il terribile mistral novembrino faceva stridere le imposte mal connesse; uno sbuffo penetr nella stanza; con una mano, Algnare riaccost limposta e vi appoggi il capo. Chiuse gli occhi. Quel vento selvaggio le ricordava cose vaghe, antiche, alle quali di solito non pensava: la casa dellinfanzia in un villaggio montano, una nonna che filava allaspo, lemozione avida che le suscitavano le storie di streghe. Di l a poco, entr un giovanotto. Si vedevano scontrarsi sul suo volto il dolore, la fatica e laria soddisfatta di coloro che piacciono alle donne. Poteva essere sui venticinque. And a sedersi accanto al tavolo. Toussainte gli fece posto con una sorta di sollecitudine. Lui chiese: gi arrivata? Era la seconda volta che la domanda veniva pronunciata. Toussainte scosse il capo. Il giovanotto soggiunse: Forse farei meglio ad andare a prenderla. Arriver per conto suo, disse Toussainte. Lui tacque. A sua volta, rifiut il caff. Una delle figlie di Toussainte, sportasi dalla finestra, si raddrizz e disse: lei. Solo allora il giovanotto si avvide della presenza delle ragazze. Rivolse loro un goffo saluto. Tutti avevano limpressione che Algnare fosse impallidita. Finalmente, quella che attendevano comparve. Era giovanissima, quasi una bambina. Portava un cappellino allultima moda, un pastrano guarnito di pelliccia, calze chiare e scarpine leggere. La febbre e il belletto le coloravano doppiamente il volto. Siccome aveva fatto le scale troppo in fretta, respirava a fatica. Salut tutti con una sorta di timida arroganza, perch, avendo subto molti affronti, e avendone sofferto, era avvezza ad atteggiamenti di sfida. Una poltrona vuota era accanto alla stufa: vi si sedette. Le donne, per farle posto, tirarono esageratamente indietro le loro seggiole; quella con il bambino and a mettersi in fondo alla cucina; e dai loro modi era facile avvertire che erano gelose della bellezza di lei, la compiangevano perch era malata e temevano il contagio. Trascinando la seggiola, Humbert and a metterlesi vicino. La giovane chiese:

  • Sono in ritardo? No, rispose qualcuno. Lei cav dalla borsetta una scatola di cipria compatta e sincipri il viso. Le donne, soprattutto le pi giovani, palpavano con gli occhi i suoi abiti, la borsetta di pelle di daino, le false perle della collanina. Ce lavevano con Humbert perch accontentava le sue fantasie di malata: era noto infatti che la famiglia del giovane autista era povera e che lui non dava una mano ai suoi. Era lamante della ragazza, ma per pudore lo dicevano il suo fidanzato - il fidanzato di Amande. Vero che lavrebbe sposata, se ce lavesse fatta a guarire o se la sua famiglia, quella di lui, avesse accettato lidea che si sobbarcasse una moribonda. Si sapeva che Amande continuava a supplicarnelo, quasi ne valesse ancora la pena, e la si biasimava per voler imporre a quel ragazzo inutili formalit, poich stava per morire. Humbert le prese la mano. Si sforzava di mostrarle tanta pi tenerezza poi che, da un pezzo ormai, aveva cessato di amarla. A forza di condurla da medici, di andarla a trovare in ospedale, di acquistare per lei costose medicine, aveva finito per dimenticare il tempo in cui danzavano assieme ai balli pubblici dei sobborghi, dove la riportava, la sera, allinsaputa di tutti, nellautomobile dei suoi padroni, conducendo a fari spenti per strade di montagna, mescolando alle sensazioni dei loro due corpi lillusione del lusso altrui. Aveva cessato di possederla dacch la morte si era visibilmente insediata in lei: per lui Amande era divenuta una sorta di triste devozione. Quellaffetto, che non era pi amore, mancando dei mezzi che lamore ha per soddisfarsi, non poteva esprimersi che per simboli, come il culto che si ha per Dio. La frequentazione di una malata insegnava a quel ragazzo semplice le delicatezze della sofferenza: Humbert, seduto accanto ad Amande, teneva quella mano troppo calda il cui contatto gli riusciva adesso tormentoso, e sentimenti oscuri dogni genere, quasi mistici, il dovere, la piet, il timore, componevano la sua fedelt. Disse Amande: Ho freddo, zia. Allora Toussainte, rammentandosi di non averle offerto nulla, propose caff, propose rhum. Amande bevve, poi mangi, con movimenti che le scoprivano le gengive. Certi momenti le capitava di amare la malattia senza la quale, sposato o meno, Humbert lavrebbe piantata per altre, e della quale, come tutti coloro che ne muoiono, non credeva di morire. Non aveva avuto altri amanti: non aveva dunque che Humbert su cui ributtare quella che chiamava la sua disgrazia; era lunico essere, lui, al quale avrebbe avuto il piacere di rimproverare qualcosa. Poich tutto, a suo giudizio, era capitato per colpa sua, Amande si credeva in diritto di esigere da lui limpossibile: esigenze che la vendicavano e in pari tempo servivano a dimostrarle, a dimostrare agli altri, che un uomo poteva ancora esserle devoto. Gelosa di ogni donna, si riteneva tuttavia a tutte superiore, ch tutte, adesso, si premuravano di servirla, e poco mancava che la loro ripugnanza a toccarla, a baciarla, le procurasse lorgoglio di far paura a qualcuno. Non una di loro, del resto, che non la detestasse, proprio perch la piet le costringeva ad amarla; gliene volevano per le cure che si credevano in dovere di dedicarle, come un debitore rinfaccia ai suoi creditori la propria probit. La malignit di Amande irritava quelle stesse che avrebbero pianto al suo letto di morte; non cera momento della giornata in cui non si indignassero di trovarla difficile, insolente, insaziabile, e non capivano che quel tal sogghigno, quella piccola perfidia, quellinsulto erano, in Amande, leffetto del male e il suo patetico sintomo esattamente come il dimagramento, la tosse, o lestinguersi della voce. Qualcuno chiese: E tuo figlio?

  • Allora Amande fece sapere a tutte che adesso pesava venti libbre. Il vigore di quel piccolo essere che aveva vissuto dentro di lei, che di lei era vissuto, ma che le era stato proibito di nutrire, e tra poco di abbracciare, lui s che era una rivincita, quasi un indennizzo. Distaccato, dallallontanamento, non solo dal suo corpo, ma anche dal suo cuore, cresceva in qualche luogo, in campagna, in casa di una donna incaricata di allevarlo, e Amande pensava solo di rado a lui, sempre pi presa dal travaglio interno del suo male come da una gestazione mortale. Poich conosceva poco suo figlio, lo amava meno di quanto ne fosse fiera, e a volte lo odiava, quasi che, venendo al mondo, le avesse rubato la vita. Toussainte disse: Mezzanotte meno venti. Era lora alla quale si aspettava Cattaneo dAigues, che nella regione godeva fama di abile guaritore. Era soprattutto uno che toglieva il malocchio. Poich vedevano deperire Amande nonostante pozioni e iniezioni, le sue vicine, le sue sorelle, sua zia, avevano finito per chiedere di lui. Tutte la credevano iettata, vuoi da una rivale, vuoi da una strega incapace di non nuocere, magari senza profitto alcuno, come certe bestie sono incapaci di non secernere veleno. Si era tentato di tutto, finanche un pellegrinaggio a Lourdes, fino ad andare a Marsiglia a consultare celebri professori, e davanti al fallimento della fede e della scienza, che sembravano ammettere, quasi approvare la morte, essi si rifacevano alle pratiche pi antiche, secondo loro le pi sperimentate, allo stregone che tratta la morte a guisa di unavversaria invisibile, che tenta di spaventarla, e lotta con lei corpo a corpo. Humbert, non pi sperando nei medici, aveva acconsentito alla prova; tutte quelle donne erano giunte a sospettarsi a vicenda, e se molte si erano disturbate per assistere alla faccenda, era forse per meglio comprovare la propria innocenza. Potremmo cominciare, disse Toussainte. Zia, disse Amande, avremmo potuto farlo da me. Lidea di spogliarsi, davanti a quelle donne, in quella stanza estranea, la riempiva dun pudore e dun timore inaspettati. Da te troppo piccolo, disse Toussainte. Una donna, che alloggiava in una stanza contigua, la offr ad Amande perch vi si spogliasse a proprio agio. Entrambe uscirono. Sulla soglia simbatterono in Cattaneo DAigues. Amande si scansava; Cattaneo le chiese: Sei tu, piccola? Nulla rispose; luomo entr. Le donne lo ammirarono per aver riconosciuto la malata senza che nessuno gliela indicasse, come se laspetto di Amande non fosse fatto per renderlo edotto. Cattaneo chiese scusa di essere in ritardo, si lament del tempo, si liber del pastrano, prese posto sulla poltrona che Amande aveva lasciato vuota. Parlava poco. Era un ometto vestito poveramente, di giorno faceva il contabile: alle sue messinscena da incubo apportava il formalismo del burocrate. Saccost alla stufa, e constat con fredda stizza che lavevano lasciata quasi spegnere. Algnare si alz per riattizzare il fuoco. Siccome era la pi povera, la trattavano da serva. Le donne si strinsero luna allaltra. Qualcuno chiese: E se non stato nessuno a farle del male, che cosa si vedr nellacqua? Niente, rispose luomo. Aggiunse Toussainte: Se non le avessero fatto del male, non sarebbe conciata cos. Si credeva obbligata, da una sorta di solidariet familiare, a certificare la buona salute dei suoi. Comunque, suo padre e sua madre sono morti di quella malattia, disse Humbert.

  • Ci teneva a ricordarlo, si sapeva egli stesso di salute precaria, e sempre temeva che lo si accusasse di averle trasmesso il male. Quella malattia, non mica naturale, fece Toussainte. Non lo diceva tanto per dire. Per quegli uomini e quelle donne non esisteva malattia naturale, e forse nessuna cosa lo era. Il loro universo si limitava al caos, e tutti gli eventi, anche i pi semplici, per loro restavano misteri, ma ve nerano di pi frequenti di altri, ai quali li accostumava lusanza. Le fasi della luna, la produzione del fuoco nelle stufe delle loro cucine non erano meno inconcepibili, ai loro occhi, dello scavarsi di caverne in polmoni malati; naturali, vale a dire giusti, per loro erano