zero4 tuttoqui&dintorni

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& dintorni 21 marzo • 20 giugno 2013 per passione ZERO4 PERIODICO DI CONTAMINAZIONE LOCALE concept & impaginazione: Print Studio Grafico snc via Martiri di Belfiore, 19 . 46026 Quistello (MN) tel. 0376 618 382 . www.printstudiografico.it contenuti: TuttoQui&dintorni associazione di volontariato Tutto Qui e dintorni tuttoquiedintorni Channel TuttoQuie20 www.tuttoqui.info | [email protected] FSC FREE PRESS ZERO se io sapessi ph. signor Giulio calendario degli eventi! Seguici su : Hotel Ristorante Novecento via Nazario Sauro, 1 . Pegognaga (MN) t. +39 0376 550635 www.hotelristorantenovecento.it cucina mantovana, cucina internazionale, Paella y tapas! • pranzo a buffet € 10,00 scopri le serate a tema di questo mese! sapessi di Valeria Dalcore Io non credo nel destino, ma neanche nella sola potenza delle umane azioni. Piuttosto, credo in una via di mezzo. Quella strada che si costruisce piano piano tra eventi e decisioni. Punti di domanda che diventano punti esclamativi, o anche solo punti, se andare a capo vi tranquillizza. Fatto sta che mentre ero lì a chiedermi come mai la salute sia quella che è, o perchè niente della storia che abbiamo intorno ci soddisfi davvero, o perchè domande un tempo assenti oggi ci tormentino, insomma proprio mentre di punti non ne avevo, arriva il tema per TuttoQui, che Serena mi comunica con una domanda. “Il dubbio, ti piace?”. Eh. Mi piace il dubbio? Si si, per il magazine è perfetto, ma per me un po’ meno. Perchè dovete sapere che a me, le decisioni nette, non piacciono poi tanto. Come se aspettassi che qualcuno – o qualcosa, ma non chiedetemi cosa, se no entro in crisi – quel punto lo metta per me, o almeno guidi la mia mano. Una teoria che fa proprio a pugni con un carattere istintivo, ma che viaggia parallela con la paura di avere dalla vita risposte nette. Ed è lì, tra una cura ricostituente e una notizia storta, che il signor G – si, lui, l’immenso Giorgio Gaber – mi è venuto in soccorso, con una canzone bella e spiazzante del 1995, “Se io sapessi”. E si chiede “se io sapessi cosa mi fa bene/ se io sapessi cosa mi fa male/ nella marea di cose e di persone che c’ho intorno/ se non tradissi le mie pulsioni vere/ potrei sul serio diventare un uomo pluricentenario, forse eterno”. ECCO, IL PUNTO È UN PO’ QUESTO: QUAL È IL NOSTRO OBIETTIVO, QUANDO CI TROVIAMO IMMERSI NEI DUBBI? L’eternità, il successo, l’immortalità del nostro nome? Chiedetelo ad un fumatore, ad un bevitore di birra, ad un bambino davanti alla Nutella, ad un amante delle auto sportive, a chi fa bungee jumping o lava i denti ai coccodrilli. Ognuno di loro avrà una precisa teoria: perchè non c’è rischio più forte della passione del momento. Perchè è qui, adesso, che noi invece di crearci le domande dovremmo un po’ lasciare andare, allentare le redini. E intanto il Signor G continua...”se io sapessi le mie fatiche umane/ e le commedie quotidiane/ se fossi certo che almeno io mi voglio un po’ di bene/ se io sapessi, magari io sapessi/ se ho dato ai figli il giusto amore/ o sono stato, come quasi tutti, un padre di mestiere”. Se lo sapessi, sapete che farei? Niente, forse vivrei solo nell’attesa che nulla cambi, o che tutto resti uguale. E allora niente errori, niente insegnamenti, niente di niente. “...ma quando uno si innamora di una teoria, a volte, si lascia prendere la mano”. con il Patrocinio di Comune di Quistello

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magazine di contaminazioni locali, comunichiamo per passione le nostre passioni

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& di

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21 marzo • 20 giugno 2013

per passione

ZERO4PERIODICO DI CONTAMINAZIONE LOCALE concept & impaginazione: Print Studio Grafi co snc via Martiri di Belfi ore, 19 . 46026 Quistello (MN)

tel. 0376 618 382 . www.printstudiografi co.itcontenuti: TuttoQui&dintorni associazione di volontariato

Tutto Qui e dintorni

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Hotel Ristorante Novecento

scopri le serate a tema di questo mese!

se io sapessidi Valeria Dalcore

Io non credo nel destino, ma neanche nella sola potenza delle

umane azioni. Piuttosto, credo in una via di mezzo. Quella

strada che si costruisce piano piano tra eventi e decisioni.

Punti di domanda che diventano punti esclamativi, o anche solo

punti, se andare a capo vi tranquillizza. Fatto sta che mentre

ero lì a chiedermi come mai la salute sia quella che è, o perchè

niente della storia che abbiamo intorno ci soddisfi davvero,

o perchè domande un tempo assenti oggi ci tormentino,

insomma proprio mentre di punti non ne avevo, arriva il tema

per TuttoQui, che Serena mi comunica con una domanda. “Il

dubbio, ti piace?”. Eh. Mi piace il dubbio? Si si, per il magazine

è perfetto, ma per me un po’ meno. Perchè dovete sapere che

a me, le decisioni nette, non piacciono poi tanto. Come se

aspettassi che qualcuno – o qualcosa, ma non chiedetemi cosa,

se no entro in crisi – quel punto lo metta per me, o almeno guidi

la mia mano. Una teoria che fa proprio a pugni con un carattere

istintivo, ma che viaggia parallela con la paura di avere dalla

vita risposte nette. Ed è lì, tra una cura ricostituente e una

notizia storta, che il signor G – si, lui, l’immenso Giorgio Gaber

– mi è venuto in soccorso, con una canzone bella e spiazzante

del 1995, “Se io sapessi”. E si chiede “se io sapessi cosa mi

fa bene/ se io sapessi cosa mi fa male/ nella marea di cose

e di persone che c’ho intorno/ se non tradissi le mie pulsioni

vere/ potrei sul serio diventare un uomo pluricentenario,

forse eterno”. ECCO, IL PUNTO È UN PO’ QUESTO: QUAL È

IL NOSTRO OBIETTIVO, QUANDO CI TROVIAMO IMMERSI

NEI DUBBI? L’eternità, il successo, l’immortalità

del nostro nome? Chiedetelo ad un fumatore, ad

un bevitore di birra, ad un bambino davanti alla

Nutella, ad un amante delle auto sportive, a chi

fa bungee jumping o lava i denti ai coccodrilli.

Ognuno di loro avrà una precisa teoria: perchè

non c’è rischio più forte della passione del

momento. Perchè è qui, adesso, che noi invece di

crearci le domande dovremmo un po’ lasciare andare, allentare

le redini.  E intanto il Signor G continua...”se io sapessi le mie

fatiche umane/ e le commedie quotidiane/ se fossi certo che

almeno io mi voglio un po’ di bene/ se io sapessi, magari io

sapessi/ se ho dato ai figli il giusto amore/ o sono stato, come

quasi tutti, un padre di mestiere”.

Se lo sapessi, sapete che farei? Niente, forse vivrei solo

nell’attesa che nulla cambi, o che tutto resti uguale. E allora

niente errori, niente insegnamenti, niente di niente.

“...ma quando uno si innamora di una teoria, a volte, si lascia

prendere la mano”.

con il Patrocinio di

Comune di Quistello

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Ma... sarà sostenibile il mio consumo di acqua?

è forse il dubbio l’unica vera costante dell’art de

batir (l’arte del costruire). Il dubbio dell’architetto

di come progettare, il dubbio dell’urbanista di fare

o non fare, il dubbio sempiterno del committente

di vivere in una casa modernamente antica o an-

ticamente moderna o ancora: di sognare un’archi-

tettura dalle forme eccentriche che variano dalla

“pigna” di Bruno Taut ai tanto sbandierati lembi

di metallo del Guggenheim spagnolo? Preferire

le false rovine in progetto per Abu Dhabi oppu-

re accontentarsi di una casa normalissima nella

quale spesso vive quel folle architetto che per i

suoi committenti continua a partorire modelli al

limite della vivibilità (vedi le case-albero olandesi

di Piet Blom).

Con un dovuto spirito critico ammetto che, nono-

stante sia fisiologico sperimentare, molti sono i

casi in cui la mia classe professionale grazie alle

leggiadre ali della geometria, ai potenti mezzi di-

gitali, all’ossessione continua della ricerca di una

“forma nuova” ed ad una spiccata tendenza all’on-

nipotenza si è dimenticata che il contenuto del

“contenitore-edificio” è comunque sempre l’uo-

mo e non un ragno che possa aggrapparsi a pare-

ti eccessivamente inclinate per raggiungere il letto o la cucina.

Continuando con i grandi dubbi di questo antico mestiere e

prendendo spunto dai recenti e dolorosi avvenimenti legati

al sisma del 2012, possiamo mettere a confronto i concetti di

replica, rottura e memoria. Dinnanzi ad un evento catastrofico

le comunità colpite si sono trovate di fronte al dilemma legato

alla ricostruzione.

Alcuni hanno optato per il celebre “dov’era com’era” riprodu-

cendo una copia perfetta del monumento in disgrazia (esem-

plare la ricostruzione del il campanile di San Marco a Vene-

zia crollato nel 1902); in altri casi, come per la ricostruzione

post-bellica degli anni ’50, l’occasione ha permesso di liberare

senza limiti la volontà di un’architettura nuova, moderna ma

anche smodata.

Tra i casi più interessanti, almeno nelle intenzioni, troviamo

gli interventi in cui alla replica ortodossa o alla rottura bruta-

le hanno preferito il “vuoto” generato dalla catastrofe per ce-

lebrare il luogo della memoria, valorizzando spazio e tempo,

testimoni di un valore simbolico unico (citiamo i vari episodi

di ricostruzione di Berlino come il Memoriale degli Ebrei assas-

sinati d’Europa o il recente National September 11 Memorial &

Museum a New York).

Altro dubbio: ispirarsi alle forme della natura curve e irregolari

o a quelle del mondo ideale ed artificiale create dalla mente

umana come l’angolo retto? Il quadrato della centuria romana

o la pianta tonda del Pantheon? Il carattere rustico di Giulio

Romano a Mantova, o la purezza dei volumi di Andrea Palladio

nelle terre venete? Nel primo novecento, al dubbio tra artificia-

lità o natura, sintetizzato da Leonardo nell’Uomo vitruviano,

si è sommato quello tra la poetica dell’aggiunta o quella della

sottrazione dell’ornamento: il dibattito tra il Movimento Mo-

derno e le ceneri dell’Art Noveau.

Il nuovo millennio porta nuovi dubbi. In primis il problema

dell’identità, generato dalla costituzione di una società globa-

le: la megalopoli e la replica modaiola hanno generato even-

ti architettonici inediti come il fuori scala dei distretti cinesi,

l’infinitamente alto dei grandi centri finanziari, l’infinitamente

grande degli ipermercati, l’eccentrico e l’autoreferenziale del

museo da rivista patinata.

Tutta questo ciò si scontra con la volontà di coniugare l’identi-

tà locale alle necessità globali.

E ancora: con l’espressione “l’architettura è troppo importante

per essere lasciata agli architetti” Giancarlo De Carlo pone a

tutti il dilemma che la fase decisionale di progetto non deb-

ba essere esclusiva dell’archi-star ma anche a tutti coloro che

beneficeranno dell’opera stessa tramite un percorso di parte-

cipazione.

Concludendo se si può apprendere dal pensiero e dalle opere

dell’architetto Aldo Rossi che non può esistere creatività sen-

za ossessione, sono convinto che l’ossessione si sposi spesso

col dubbio e che entrambi, nonostante la loro natura turbolen-

ta sono forse il motore di qualcosa di più strettamente positi-

vo, ovvero di una ricerca e una sfida continua che possiamo

chiamare passione per il progetto.

Passione, parola tanto cara a questo magazine e prezioso car-

burante per le menti dei giovani architetti che sia affacciano a

questo nuovo decennio.

andrea Maiocchi02

di Francesco Dugoni | ag. aGIrE

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Bella domanda. Partiamo dall’acqua minerale. Nel 2011 in Italia, statistiche alla mano, abbiamo consumato 196 litri di acqua minerale in bottiglia (di plastica…) a testa. A livel-lo internazionale siamo i primi consumatori europei e, nel mondo, occupiamo la terza posizione dopo Arabia Saudita e Messico. Che c’entra con la sostenibilità? C’entra eccome. Per imbot-tigliare tutta quest’acqua (sì anche quella che fa fare “plin plin”, ma che idiozia…) abbiamo prodotto 6 miliardi di bot-tiglie di plastica. Peccato che in Italia solo un terzo venga riciclato mentre il resto viene abbandonato. non solo. Per produrre tutte quelle bottiglie si sono consumati 540 milioni di litri di petrolio… altroché plin plin ! Ma non è finita. Essendo che le succitate bottigliette devono essere poi trasportate dai luoghi di produzione a quelli di consumo è stato stimato che in Italia si spostano annualmente 480.000 TIR. Pari ad una fila lunga circa 6.500 km, l’equivalente da Roma a Mosca e ritorno….E l’acqua che usiamo per bere e lavarci? Ne usiamo a testa giornalmente circa 200 litri. Mica male eh?! Conclusioni. Per essere più sostenibili preferite l’acqua dell’acquedotto (per chi ce l’ha ovviamente) e non sprecatela negli usi quotidiani (es., chiudete il rubinetto mentre vi spaz-zolate i denti, usate i riduttori di flusso che consentono di ridurre del 50% l’utilizzo di acqua, ecc).

l’acqua è un bene prezioso: insegniamolo ai nostri figli. Peter Eisenman | Memoriale Olocausto

2001 | 30 St Mary Axe | London

9/11 Memorial 5K Run/Walk on April 21, 2013 in New York City

Piet Blom | 1977 | Case-albero | Helmond

Il dubbio ci mette nelle condizioni di confrontarci con noi stessi e porci alcune domande. Ci permette di acquisire consapevolezza, strumenti come l’esperienza per riempire la cassetta degli attrezzi in modo da essere pronti a misurarci con il susseguirsi dei dubbi che la vita ci porrà. C’ è sempre un prossimo dubbio con cui doversi misurare, che permetterà di passare ad una nuova tappa evolutiva psicologica.

Come dice alda Merini: “ogni alba ha i suoi dubbi” o come Federico Caruso “si parte sempre dal dubbio.” o come pensava bertolt brecht “ di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio” come scrisse roberto Gervaso” Dubito sempre di chi non dubita di niente “e per finire mi piacerebbe pensare come Charles bukowski “Il problema e che le persone intelligenti sono piene di dubbi, mentre le persone stupide sono piene di sicurezze.”

allora il dubbio è la strada per crescere.

mercenaries VS” costa solo 4,49 € (al momento della stampa)

contro i circa 60 € di quello per 3DS nuovo, usato se lo si trova, a

circa la metà.

Un altro punto importante è come vogliamo giocarci: con un joypad,

un sensore di movimento, quali playstation move, kinect, wii mote

o con il touch screen di uno smartphone o tablet. I joypad sono per

coloro che amano di più l’approccio classico, mentre i sensori di

movimento e i touch screen sono per chi cerca l’innovazione ed

una tipologia di gioco più dinamica.

Infine dobbiamo tenere conto, sempre grazie alle recensioni

succitate, delle caratteristiche tecniche dei nostri acquisti;

come ad esempio la grafica o la longevità che hanno un ruolo

fondamentale nella scelta di un videogame. Non vorremmo mai

trovarci di fronte ad un titolo con un’ottima trama, con una marea

di ore di gioco ma con una grafica datata o con effetti sonori piatti

o insensati!

Resta sempre il metodo del dubbio e cioè trovare un conoscente

che abbia comprato il gioco, chiederglielo in prestito, SOLO per

provarlo. Giocarci come se non ci fosse un domani per finirlo nel piu

breve tempo possibile e poi riconsegnarlo dicendo: “l’ho provato

un paio d’ore ma non fa per me”.

Provate... di solito FUnzIona ;-)

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il dilemma del giocatore Come si fa veramente a capire QUal è Il GIoCo GIUSTo

PEr noI E SoPraTTUTTo PEr lE noSTrE TaSChE?

Ecco a voi alcuni utili suggerimenti.

Innanzitutto occorre informazione: è sempre meglio

documentarsi attentamente tramite le riviste o le

recensioni che si trovano sempre più frequentemente in

internet. Prendiamo in considerazione la piattaforma su

cui lo faremo girare: pc, playstation, x-box, wii, le consolle

portatili e per finire su cellulare o smartphone, anche se

ormai quasi tutti i giochi escono in multipiattaforma,

cioé lo stesso titolo nasce per più di una consolle.

Ora consideriamo il prezzo, visto che viviamo in tempo

di crisi non è un aspetto da sottovalutare. A quasi tutti fa

gola il titolo appena uscito in commercio e spesso non

si resiste ad aspettare che cali di prezzo e quindi lo si

compra ad ogni costo: diciamo sui 70 €, se non teniamo

conto delle varie limited edition. Chi ha la possibilità,

come il sottoscritto, di avere più consolle e anche un

bel tablet, può certo notare che, a parità di gioco, ma a

discapito di alcune caratteristiche, non tutti i prezzi sono

uguali. Ad esempio sul tablet un discreto “Resident evil

03di Edo Simonini

dubito perchè ho scelto di crescereVorrei incominciare a considerare il dubbio da un punto di vista positivo. Solo attraverso il dubbio infatti, possiamo far crescere le nostre certezze. Solamente affrontando il dubbio possiamo giungere a risposte a domande mai poste.

Socrate, Platone, Sant’agostino, Cartesio e Kant, e tanti altri, se non avessero vissuto in una condizione di false certezze, se non si fossero posti in un’ottica di indagine del loro dubbio, forse, non si ritroverebbero oggi, annoverati tra i più grandi pensatori della storia.

Psicologicamente il dubbio è un “detonatore” che permette di innovarsi evolversi, traguardare nuovi orizzonti, raggiungere nuove frontiere, alzando sempre di più l’asticella dei limiti che ci imponiamo.

Se pensiamo alle tappe evolutive della nostra vita, ci accorciamo come queste siano costellate da dubbi, insicurezze, condizioni indefinite dell’essere. Solamente quando riusciamo a risolvere i nostri dubbi legati ad un determinato step della nostra vita, possiamo accedere ad uno step successivo.

ph

. Pie

tro

bu

zzi

di Guido Peroncini

(il dubbio)

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nel dubbio fate un giro qui:

What if?di Davide longfils

nel 1977 la Marvel comics pubblica il primo volume di “WhaT

IF?” la serie, parallela a quelle regolari, esprime il concetto

degli universi paralleli, del bIVIo a cui si ritrovano spesso le

vite degli uomini comuni ma anche quelle dei supereroi.

“Cosa succederebbe se...?”

Un analogo ragionamento è stato ripreso con il concetto

delle SlIDInG DoorS in cui si fa riferimento a quanto la

nostra vita sia appesa agli attimi che aprono o chiudono una

porta scorrevole, facendo si che questa interferenza cambi,

per sempre, il nostro destino...

Ma l’idea di una vita appesa a un filo, più o meno manovrato

da un’entità superiore, toglie spessore a quel procedere

incerto, sghembo, scomposto e totalmente imperfetto e

fallimentare che si manifesta con la nostra volontà istintiva...

Cancelliamo allora la paura, dimentichiamo l’idea che fare

una scelta voglia dire perdere qualcosa d’altro, liberiamoci

dall’affanno del tutto che ci lascia in stallo e abbandoniamoci

al fascino dell’errore... e dell’incertezza.

“Forse altrovedove non è disastrofra le mascelledel mare che s’infrangefra petali esausti [...]ma sento che è quidove sono, con te”

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TUTTOQUI: professioneex insegnate di educazione fisica

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TUTTOQUI: a chi è venuta l’ideaalle regazze, però io coltivavo da tempo

la speranza che a loro venisse un’idea così!TUTTOQUI: meglio l’allenamento o la partita?

la partitia

TUTTOQUI: giocare perper dimostrare qualcosa

TUTTOQUI: essere sportivo significaavere un contatto con gli altri, aver rispetto degli

avversari, formare un’amicizia profonda con chi ti è di fianco, con chi ti guida, insomma un sacco di cose

TUTTOQUI: i dubbi prima di una partitail dubbio di non essere corretto, di non corrispondere le

aspettative di qualcuna delle mie ragazze

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adi Simona Barbieri - è una bella squadra la nostra... Sì, siamo contente e ci divertiamo: siamo la squadra CSI QUISTELLO BASKET! Sì, abbiamo quasi finito il nostro primo campionato e non è stato semplice! No, non abbiamo vinto neanche una partita, però ne abbiamo pareggiata una e abbiamo cominciato da poco a vincere qualche 1/4. No, non siamo in un campionato facile... Si che è un CSI, MA UN CSI DI BOLOGNA dove le ragazze mangiano pane e basket da quando son nate! Sì, ci uniscono 2 passioni: lo sport... IL BASKET e la voglia di stare insieme. Siamo un gruppo di ragazze con un GRANDE coach: IL BRUNO. Sì, a chi ci chiede se il Bruno urla sempre molto, sì, a chi ci chiede se non sia difficile conciliare lavoro (studio per qualcuna), famiglia, allenamenti e partite. Sì, a chi ci chiede se andremo avanti e se abbiamo voglia di vincere. La forza di questo gruppo che cresce giorno dopo giorno è qualcosa di GRANDE.CHI SIAMO: Annalisa, La Barbara, Laura(Emma) , Giada, Federica, la Chicca, la Barbarina, Giuglia

(Lesca), Alice (Sette) , Maria, Laura, Le 2 Azzoni, Morena, Benny, La Piccia, Simona (briscola) e il

nostro mitico Coach: IL BRUNO.

TUTTOQUI: nomeSimonaTUTTOQUI: professioneresponsabile commercialeTUTTOQUI: passione perpallacanestroTUTTOQUI: a chi è venuta l’ideaa me!

TUTTOQUI: meglio l’allenamento o la partita?sono due cose diverse... in allenamento ci si diverte, in partita si soffre... per oraTUTTOQUI: giocare pervincere!TUTTOQUI: essere sportivo significaFare sport e divertirsi insieme

TUTTOQUI: i dubbi prima di una partitafaremo un canestro? giocheremo bene un tempo? quanto urlerà bruno? quanto prenderò su? soprattutto: quanto prenderò su? TUTTOQUI: il prossimo traguardoIl prossimo campionato TUTTOQUI: descrivi la squadra in una parolainsiemeTUTTOQUI: fai una domanda a Brunoti stai divertendo? bruno: Sì!

il capitano: Simona barbieri (7) il coach: bruno Gabrielli

il “Club dal Platan”di Marco brioni

Che ne sarà della tradizione calcistica di Mantova? Quale futuro

aspetta il Mantova Calcio?

“Sfidando le ire di Giove pluvio, che rendevano impossibile il

sostare nei pressi dei campi sportivi, questi patiti dal cuore d’oro,

con coraggio quasi leonino, nonostante le avversità sportive che la

squadra del cuore andava collezionando minandone la passione,

si sono sempre stretti attorno ad essa con esempio encomiabile,

sicuri di darle quel sostegno morale di cui ha tanto bisogno”.

Con queste parole, lontane ma incredibilmente attuali, il primo

settembre 1968 veniva fondato il “Club dal Platan”. Il circolo,

definito da Renzo Dall’Ara all’inizio degli anni Settanta, “meno

esclusivo di Mantova”, aveva sede sotto i platani secolari del Te,

da qui il suo nome, che tradotto dal musicale dialetto mantovano

significa, appunto, “Club del Platano”. Il fine unico? Sostenere il

Mantova inteso quale squadra di calcio, nelle gioie e nei dolori,

tra le mura di casa o sugli ostili terreni avversari, col sole e con la

pioggia, in pace od in guerra!

Sono passati quasi quarantacinque anni da allora, ma,

nonostante la martoriata situazione in cui versa oggi il Mantova

Football Club, un gruppo di volenterosi tifosi, senza alcun

dubbio, ha deciso di dare nuova linfa allo storico sodalizio del

“Club dal Platan”, rinvigorendo le stanche membra di un club

che ha segnato a fasi alterne la storia del Mantova Calcio e dei

suoi tifosi. La volontà è quella di ricreare quello spirito che ha

contraddistinto il club fin dalla sua nascita, in modo da renderlo

una entità le cui sorti siano indipendenti da quelle della squadra.

è con un po’ di soggezione verso un Club considerato

un’istituzione che ci si è imbarcati in questa avventura, ma la

spinta decisiva ce l’hanno trasmessa le narrazioni delle persone

più anziane e l’enorme mole di materiale recuperato, che

racconta, nelle foto ingiallite dal tempo, di giornate memorabili

del Mantova Calcio.

Quale futuro aspetta il Mantova Calcio? Non siamo certo in grado

di fare pronostici, in tal senso.

Di certo ci sono i nuovi attori di questa avventura che hanno

tracciato le linee guida e che si stanno preparando allo storico

traguardo dei quarantacinque anni di attività, ma con un

inevitabile pensiero al grande traguardo del cinquantesimo

anniversario.

buon lavoro a tutti noi!

http://www.facebook.com/MantuaClubDalPlatan

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Giovani in musica di roberto Fiorini

Vi siete mai chiesti da dove spuntano i musicisti, i cantanti o

i ballerini che vediamo apparire di continuo in tv? Che siano

Amici della De Filippi o concorrenti di X-Factor o persino

giovani proposte di Sanremo... da dove sbucano tutti questi

nuovi artisti mai sentiti prima, preparati e spesso meglio dei

professionisti che calcano i palchi da anni? Come sono cresciuti

artisticamente? Cosa hanno fatto prima di presentarsi davanti

a milioni di telespettatori? Beh, sicuramente hanno studiato, si

sono impegnati, e prima di affrontare un pubblico così vasto

magari hanno provato a cimentarsi in qualche concorso più

piccolo, per mettersi alla prova, un concorso come “Giovani

in Musica”.

Giunto quest’anno alla terza edizione, il concorso che si tiene

nel Teatro Auditorium di Poggio Rusco, accoglie artisti fino

a 30 anni, giovani promesse della musica e della danza che

desiderano mettersi alla prova. In ciascuna delle precedenti

edizioni, più di 200 ragazzi, provenienti da varie province,

hanno provato ad imporsi nella competizione, esprimendo

spesso qualità naturali e livelli tecnici davvero straordinari.

In un ambiente dall’acustica perfetta, con mezzi tecnici

professionali, i concorrenti potranno dare il meglio di sè per

convincere la giuria durante le eliminatorie. Solo gli artisti

migliori accederanno alle finali del 5, 6, 7 aprile che saranno

aperte al pubblico e decreteranno i vincitori del contest.

E ChISSà SE VEDrEMo Un GIorno In TV QUESTI raGazzI

PIEnI DI TalEnTo!

5 aprile • finale gruppi musicali

6 aprile • finale danza

7 aprile • finale musicisti solisti

Voglio parlarvi di un argomento nuovo, che è riuscito a

catturare la mia attenzione e la mia curiosità. reggae, sound

system, dub, sono tutte parole che fino a poco tempo fa non

appartenevano alla mia conoscenza musicale.

la musica cambia quando un amico ha cominciato a

raccontarmi del progetto che, con un paio di “compari”,

stava portando avanti: la costruzione di un sound system.

naturalmente, da onnivora musicale, ho cominciato ad

informarmi e a prendere confidenza con questa, per me,

nuova cultura che ho scoperto essere intrisa di storia.

Ma andiamo con ordine. Il sound system è un impianto

musicale che può essere spostato, spesso costituito da

grosse casse tra le quali spicca per la sua peculiarità il basso,

chiamato SCooP bIn, elemento fondamentale nella musica

reggae e dub. nasce negli anni ‘50 in Giamaica e viene

utilizzato per diffondre la musica lungo le strade. Inizialmente

venivano suonate dai lavoratori dei campi di cotone, canzoni

r’n’b e swing, incise sui 78 giri e provenienti dalla Florida. In

seguito però si cominciò a produrre qualcosa di più originale,

nacque così la musica SKa, poi il roCKSTEaDY ed infine il

vero e proprio rEGGaE. la tradizione del sound system si

divulgò anche in Inghilterra negli anni ‘80 grazie agli espatriati

giamaicani che portarono con loro cultura, musica reggae

e dub. Ma torniamo a noi… la passione per i sound system

arriva fino alla nostra amata bassa, coinvolgendo Manuele

bulgarelli, Michele Cavallari e alan Pozzetti che, dopo aver

partecipato a serate e festival in cui si esibivano famosi

sound system, decidono di cimentarsi nell’autorealizzazione

di questo impianto.

la passione e la voglia di concretizzare un sogno che

sembrava lontano ed irrealizzabile sono i motori che hanno

mandato avanti questo progetto.

“Siamo diventati falegnami, fonici, elettricisti e abbiamo

messo tutto il nostro impegno in questo progetto che

si è realizzato nell’arco di un anno e che va comunque

migliorandosi giorno dopo giorno”.

Così, i tre ragazzi mi raccontano di questo muro di casse, in

multistarto di betulla, colorate di giallo, verde e rosso (il giallo

rappresenta le ricchezze della terra, il verde il colore della

terra e il rosso lo spargimento di sangue), caratterizzato da

un’elevata potenza di watt per ampificare il suono (anche qui

spicca il basso come elemento importante), e da un giradischi

unico, suona vinili da 33 e 45 giri. Un mixer ed effetti speciali

(sirene e delay) finiscono per completare lo SPESSo SoUnD

SYSTEM.

“Vogliamo diffondere la musica reggae nella nostra zona

e attraverso di essa, cercare di divulgare ideali di pace,

amore e uguaglianza seguendo un pò quello che è stato il

modello di bob Marley”, dicono i ragazzi. “l’obiettivo ultimo,

che completerebbe questo sogno è quello di riuscire, un

giorno, a produrre musica nostra, trovando uno stile che ci

contraddistingua dagli altri sound”.

Il DUbbIo è: riuscirà la nostra bassa ad apprezzare questo

tipo di musica? nel mentre ci pensiamo noi di “TuttoQui“.

Gli “Spesso sound system” vogliono ringraziare tutti quelli che hanno collaborato e contribuito alla realizzazione di questo progetto. onE loVE

Spesso Sound System

Siamo un gruppo di appassionati di musica che, all’interno della Scuola di Musica Oltrepò Mantovano, ha iniziato a dare vita ad un progetto denominato “accordiamoci”, con l’intento di promuovere la crescita della cultura musicale, teatrale ed artistica in generale, sul territorio di ostiglia e dei comuni limitrofi. Supportando lo sviluppo della Scuola, intendiamo favorire momenti di aggregazione, eventi ed approfondimenti utilizzando la musica come traino con particolare attenzione a tutte le altre forme [email protected]

Quando abbracci una nuova sfida, le domande sono stimoli. Quando la sfida la attraversi in ogni momento di ombra e di luce, le domande sono preoccupazioni. Ma quando la madre di tutte le domande “ne è valsa la pena?” ha come risposta sempre e comunque un “si”, forse è ora di lasciar lavorare passione ed energie, dimenticando i punti di domanda. è così che vive il circolo arci Tom di borgochiesanuova a Mantova, affrontando serate da pienone e momenti di insuccesso, interpretando la voglia di musica di più generazioni, ospitando voci nuove e affermate, facendo i conti con le spese e insieme con il bisogno di cultura di un territorio dalle mille contraddizioni. “Un circolo è un luogo di aggregazione, prima di tutto. Vuol dire che è fatto da e di persone. Ma la sua vita è al di sopra di ogni studio e pianificazione” Federico Ferrari, classe 1980, presidente del circolo, disegna così, con una punta di imprevedibilità, il lavoro al Tom. Un lavoro che spreme energie “passo qui dentro 80 ore la settimana” e a piccole dosi regala grandi soddisfazioni, come un padre silenzioso, che istruisce lasciando anche ampia libertà d’errore. “ne vale sempre la pena, certamente. Siamo uno dei luoghi d’incontro tra i più vivi a Mantova, già da diversi anni. Ma ogni volta ti chiedi se fai bene o male. E la risposta poi arriva. Come nel caso dell’evento di solidarietà pro Cartiera burgo, assolutamente primo nel suo genere qui. Erano tante le domande, la risposta solo una: un successo”. Ma cambiano i volontari, i tempi, le opportunità. “E insieme anche gli interrogativi: il Tom è energia, e l’energia non è sempre uguale. Ma rifarei tutto, insieme a tante persone fondamentali accanto” E la musica che risposte dà? “lavoro tra musica e teatro da 15 anni. Ma anni difficili

artistiche e relazionali. Così come la musica non fa differenze di età, sesso, razza, e lingua, vogliamo che “Accordiamoci” possa essere il contenitore di tutte le arti: dai 6 ai 100 anni di età, dalla musica classica al jazz, passando per il teatro, la danza, la letteratura, la fotografia per ritornare alla musica popolare, al rock, eccetera. Oltre ad inventare e realizzare momenti nuovi dedicati alla musica, è nostra intenzione partecipare a manifestazioni già consolidate nel territorio, creare collaborazioni con istituti scolastici, gruppi giovanili, associazioni sportive, enti di promozione locale perché siamo convinti che ogni iniziativa, ogni momento musicale, ogni performance artistica possano essere

compendiati, arricchiti, enfatizzati dal contributo di una o più forme di arte e spettacolo. Così durante un concerto rock, jazz o di musica classica potremmo inserire le poesie di Jim Morrison, una performance di danza, gli aneddoti o la vita di grandi musicisti classici, e ancora proiezioni di fotografie.La presentazione ufficiale si è tenuta, presso la Palazzina Mondadori di Ostiglia, lo scorso febbraio con un’ampissima partecipazione di pubblico. Il primo obiettivo della Scuola di Musica è la predisposizione del programma di manifestazioni estive.

di Valeria DalcoreLa risposta? solo al Tom!

www.arcitom.it

Accordiamoci di Davide bottura

Partecipare alle sarate finali al Teatro auditorium di Poggio rusco senza dubbio è un’emozione da non perdere!

come questi ultimi due non li ho mai vissuti: la gente non ha voglia di novità, si sta spegnendo la ricerca del diverso. organizziamo 200 eventi ogni anno, le abbiamo provate tutte, dal jazz al metal, dalle cover band alla musica indie, classica, contemporanea. Ma io sono un tipo curioso, mi piacciono le cose nuove. Il pubblico invece non si fida: è anche questo un segno di cambiamento, non per forza negativo, ma ci impone scelte diverse. Proprio stamattina mi dicevano che sono diventato grande, ma se mi immaginassi a 40 anni sarei come adesso, fortunato di poter fare quello che vorrei fare. Questo è un sogno che tengo stretto, e ci navigo attorno. Vorrei solo che la gente capisse che questo posto si lascia vivere come noi vogliamo, dal Tom puoi prendere quello che vuoi, purchè faccia sempre un po’ parte della tua vita”. Come dire, starci è bello, tornarci è ancora meglio. Ma una volta messi da parte i dubbi esistenziali, archiviati gli interrogativi, ora una nuova domanda si staglia all’orizzonte. “Funzionerà la friggitrice nuova?” la risposta, solo al Tom.

DUBBIO AMLETICO

Ero in dubbio se scrivere questo articolo, ero in dubbio se avesse dovuto parlare di speranza o disperazione.

La storia... è una sola: chi sono io? Cit.

Siamo la civiltà del dubbio, circondati da sovrabbondanti stimoli, cumuli di sapere che si contraddicono. Siamo la civiltà dell’accesso alla conoscenza, una conoscenza così vasta da diventare superflua. Una civiltà nel dubbio del Creato, che si guarda attorno, domandandosi quale direzione porti al futuro. Dubbia fiducia, stabilità precaria.

Il dubbio la paura l’essere dispersi, eccetera eccetera... pressochè all’infinito.

Ma proprio oggi ho ascoltato una frase: “provare un senso di smarrimento fa parte del nostro lavoro, quando qualcosa di nuovo si sta creando, la paura di perdersi ci circonda. Ma proseguendo per questa strada arriveranno i cambiamenti”.

Una mera traduzione, che proviene però da un “tutti i giorni” qualsiasi, una piccola classe in una piccola scuola; dove si (cerca di) progetta(re per il futuro) e c’è ancora ottimismo. Che poi anche l’ottimismo è un’invenzione divenuta di moda ma che non piace a nessuno, perchè nessuno è davvero capace di usarla.

Ogni tanto uscire dalla bolla stantia fa bene. C’è molto spazio per le nostre idee là fuori, è poi anche normale che i cervelli fuggano tutti, una volta provata l’ebbrezza.

Ma, c’è ancora qualcosa di buono al suo interno, me ne rendo conto ogni giorno. Prestate attenzione, questa era l’unica nota interessante dell’intero discorso.

Quindi, a noi colti dal dubbio e dalla disperazione, in questi tempi bui e tristi... come dire... userò di nuovo una citazione perchè ho l’impressione che convinca più delle parole di uno sconosciuto.

Perchè la vita è così, un arazzo immenso dove, nel momento più cupo e atroce, da qualche parte, una spanna sotto la terra, i semi che trasformeranno il mondo in un giardino stanno già cominciando a germogliare.

Ero in dubbio se avesse dovuto parlare di speranza o disperazione, avevo il dubbio addirittura se scrivere o meno questo articolo, Cit. ho deciso che era peggio stare a guardare

e credo che, in fondo, ne sia valsa la pena.

letteraLMente

ero in dubbiodi andrea Mambrini

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Tremare sull’orlodi Patrizio Guandalini

nel marzo del 1848 henry David Thoreau, il filosofo del camminare, il profeta della non violenza e della disobbedienza civile, trovò nella sua posta una lettera di harrison G. o. blake di Worcester, Massachussets, il quale lo pregava di rispondergli per innalzarlo con le sue parole “a una vita più vera e più pura”.I due si erano conosciuti qualche anno prima a Concord in casa di ralph Waldo Emerson, il caposcuola dei trascendentalisti americani. Durante la conversazione, Thoreau aveva alluso al suo proposito, poi effettivamente attuato, di costruirsi una casetta nei boschi di Walden, dove poter vivere lontano dalla civiltà, cercando la comunione profonda col divino nella natura. blake gli domandò se non avrebbe sentito nostalgia e desiderio dei suoi amici, Thoreau rispose: “No, io non sono niente”. la risposta restò impressa in modo incancellabile nella mente di blake, il quale vi lesse “una profondità di risorse, una completezza di rinuncia, un equilibrio e una fiducia nell’universo” che per lui era quasi inconcepibile e a cui alzava lo sguardo con venerazione.

Delle lettere di blake rimane soltanto la prima, bellissima; quelle di Thoreau, altrettanto preziose, sono state tutte conservate e oggi è possibile leggere l’una e le altre in traduzione italiana nel volume “Se tremi sull’orlo”, Donzelli editore.Ecco come Thoreau esprime il senso della sua scelta radicale: “Riuscire a lasciare in pace una sola cosa in un mattino d’inverno, fosse pure una semplice mela selvatica gelata-sgelata che penda da un albero, che splendido risultato! Penso che spargerebbe luce per tutto l’universo. Che ricchezza

infinita scopriremo! Dio regna quando noi […] riusciamo a togliere di mezzo i nostri io insignificanti e a smettere di essere, se non come il cristallo che rifletta un raggio di luce. Che cosa rifletteremo! Quale universo apparirà, cristallino e raggiante, intorno a noi!”

Di fronte alla precisione della scelta di Thoreau e alla fermezza della sua convinzione, l’anima di blake appare abbagliata ed esitante: “Se capisco bene il significato della vostra vita, è questo: voi volete separarvi dalla società, liberarvi dall’incantesimo delle istituzioni, delle usanze, dei conformismi, di modo che possiate condurre una fresca, semplice vita con Dio. Vi è qualcosa di sublime per me in questo atteggiamento, benché io ne sia ben lontano.[…] Se potessi piantarmi subito nella verità, riducendo al minimo i miei bisogni, verrei immediatamente portato più vicino alla natura, più vicino ai miei compagni, e la vita sarebbe infinitamente più ricca. Ma, ahimè, tremo sull’orlo!”

raramente ci è dato di ascoltare una voce che in modo più vivo e sincero confessi il tormento di chi si trovi davanti a un bivio esistenziale e non sappia muovere il primo passo: le parole di blake esprimono in modo trasparente e doloroso un aspetto essenziale e universale della condizione umana, l’esperienza di ognuno di noi, quando vive l’urgenza della decisione, sentendosi inevitabilmente esposto all’alea del possibile e al rischio della traversata del mare della vita.

I libri e le idee

“Essere, o non essere, questa è la domanda:se sia più nobile per la mente patire

i colpi e i dardi dell’atroce fortunao prendere le armi contro un mare di guai

e resistendovi terminarli? Morire, dormire - niente più; e con un sonno dire fine

all’angoscia e ai mille collassi naturaliche la carne eredita; questo è un compimentoda desiderarsi devotamente. Morire, dormire.

Dormire, forse sognare, ah, è qui l’incaglio.Perché in quel sonno di morte quali sogni

sopravvengano,liberati che ci siamo di questa spirale mortale,

deve farci indugiare” (Atto terzo, scena I)

Shakespeare è un genio drammatico. Profonde e oscure sono le cavità dell’animo umano che ci fa esplorare con le sue tragedie. Noi lettori del XXI secolo, riceviamo in eredità ogni suo monumento letterario, teatrale, filosofico riscoprendone il valore e la straordinaria capacità di isolare le passioni più intime degli attori, riportandole ai nostri giorni sempre vive e pulsanti come quando furono impresse sulla carta per la prima volta.Amleto, in particolare, ci ricorda il bisogno di lasciarsi andare al dolore, fino a mostrarsi folle agli occhi degli altri. non si fanno che domande nell’amleto di Sheakespeare. nel dramma si nascondono più enigmi di quanti un filosofo possa provare a risolvere. La madre, come ha fatto a dimenticare così presto il padre? “In un solo mese prima ancora che il sale di empie lacrime avesse lasciato arrossiti i suoi occhi stropicciati, lei si sposò”. E il fantasma, cela davvero lo spettro del padre defunto o è opera del diavolo per dannare la sua anima? Ma soprattutto la domanda che accompagna il principe durante la maggior parte dell’opera: come può l’uomo sfuggire dalla crudele presa della fortuna? ESSErE o non ESSErE? Che cosa ci spinge a vivere la nostra vita se questa non è altro che sofferenza? Perché non darsi da sé la pace? MORIRE, DORMIRE, NIENTE PIù. Eppure, niente è meno sicuro del sogno, chi dice che non c’è dolore nel non essere?

Forse, non essere per Amleto arriva a coincidere con l’annullarsi per rendersi strumento di vendetta, nelle mani del padre.Ecco l’unico scopo di amleto, l’azione vendicativa. Egli deve agire, deve farsi dramma in quanto il dramma è azione, ma un’azione che più che agire si patisce. Egli è incerto, non sa né come né quando, non sa nemmeno come. Si serve della compagnia di attori arrivata a corte per smascherare i suoi dubbi. Sta proprio qui la chiave di volta del significato della tragedia shakespeariana, un cerchio che inizia dalle passioni ed in esse si svolge e si ritira. Il legame che unisce e confonde teatro e passioni. Perché che cosa fanno gli attori, se non mettere in scena delle passioni? Di niente altro è capace il principe; egli non agisce, ma parla, recita, resta inetto, incapace di svolgere il volere di suo padre. E nel contempo compie atti che non gli appartengono, che stridono con la suo volontà. L’anima e l’organismo si spezzano, la mano non risponde più ai comandi della mente. Solo la recitazione, solo la parola, la mimesis è in grado di rivelare il contraddittorio tra azione e passione, solo il teatro, che amleto ama tanto, può strappare la verità dalla finzione, a smascherare con la parola l’atto.

Giulia Galeotti

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Il titolo mi è sembrato da subito enigmatico. Mi spiego: il

significato del termine è abbastanza noto, si tratta di quel

montacarichi usato per far salire e scendere vivande, stoviglie

o altro tra la cucina e la sala da pranzo che siano collocate su

piani diversi. Un’opera di teatro con questo soggetto mi era

sembrata un tantino azzardata, diciamo così.

Il calapranzidi Miriam Cobellini

I protagonisti sono ben e Gus, due sicari in attesa di svolgere

un compito, a cui si aggiunge l’oggetto in questione.

Sono chiusi in un seminterrato, poco ammobiliato, in attesa

dell’ ordine, parlano fra loro ma del nulla, dialoghi vuoti fra due

persone caratterialmente diverse, opposte. l’uno autoritario

e poco disposto al dialogo, l’altro invece, più loquace, subisce

passivamente. le loro azioni sono… assurde, prive di senso.

Due killer che devono uccidere qualcuno costretti in un’unica

stanza, senza finestre, solo due letti e due porte. non

conoscono l’identità della vittima. Il calapranzi e l’interfono

consegnano ai due protagonisti ordini e istruzioni ma anche

strani oggetti come fiammiferi.

al termine dell’attesa, ben punta la pistola contro Gus, la

vittima predestinata. Questa è l’ultima scena. Enigmatica.

lascia spazio al pubblico che osserva.

l’opera è “Il calapranzi” di harold Pinter. Datata 1957 fu

messa in scena per la prima volta nel 1960 all’hampstead

Theatre di londra. ad un primo approccio potrebbe sembrare

la celebrazione del cinismo. l’obiettivo del drammaturgo,

tuttavia, è esattamente l’opposto, non a caso è stato un

fervente attivista nel campo dei diritti umani.

Mi hanno colpito soprattutto l’apparente casualità ed

Arte

forse...di Federico aprile

Siamo in primavera, vogliosi di parlare del dubbio e non siamo

così fuori luogo. Le farfalle volano, gli uccelli cominciano a

cantare e l’erba si fa sempre più verde.

Questa è la stagione della nascita, il periodo in cui ogni forma

vivente si accorge di essere viva, noi compresi.

Che poi si pensi a cos’è la vita, a che mistero insvelabile sia,

è proprio la ragione per cui in questa stagione nasce o per

meglio dire “si svela“ il dubbio. Dubbio... preferisco chiamarlo

“non-affermazione” e “non-negazione”.

Forse sono impazzito, o forse vorrei come tutti, parlare di

questo stato d’animo in modo razionale. Per far questo

premetto che non arriverò subito al nocciolo della questione,

perchè io vedo il dubbio come l’universale e credo si possa

capire solamente in due modi: provandolo sulla propria pelle,

oppure non descrivendo il dubbio stesso, ma ciò che riesce

a provocarlo, come l’affermazione e la negazione proprio nel

momento in cui queste si scontrano. Ricapitolando: la nostra

affermazione sarà la pittura e la negazione la parola.

Così ora vi descriverò l’unico linguaggio incapace di negare

e perchè no, anche di mentire. è il cosidetto “linguaggio

iconico”o più semplicemente: “rappresentazione”.

Rappresentare significa ri-presentare, si capisce già da questo

come un’azione che presenta trovi veramente grandissime

difficoltà a negare.

Mi sono permesso di modificare un paesaggio dipinto da Paul

Cezanne per dar prova a ciò che ho appena affermato. Il primo è

il dipinto originale. Nel secondo quadro, per negare la casa, ho

disegnato una croce sulla stessa, ma risulta non aver negato

un bel niente; primo perchè la croce è un segno-simbolo

grafico e non è adatto da utilizzare in questo linguaggio,

secondo perchè più che negare la casa, la evidenzia. L’unico

modo per negarla del tutto si nota nella terza pittura. Ma il

bello è che qui non l’ho rappresentata!

E il titolo conferma il soggetto del dipinto “Paesaggio con

alberi”. Quindi se questa fosse la negazione della casa,

potremmo dire che tutto quello che non è dipinto è negato!

Capite da soli quanto allora la negazione non abbia più senso;

il quadro mi sta dicendo “ tu sei impazzito, quello che io faccio

vedere è tutto quello che voglio dire e quindi affermare! In altre

parole non sto negando e quindi dicendo che non c’è una casa,

sto solamente affermando che ci sono degli alberi.”

Detto questo cari amici, un linguaggio invece che può

tranquillamente negare, senza alcun problema, è il “segno

verbale”, o più comunemente chiamato “parola” (sia scritta

che parlata). a questa basta la particella “non” per negare:

basta dire “qui non c’è una casa”.

Ora sappiamo che la pittura non può dire “Non c’è”, la

parola può. Cosa succederebbe se questi due linguaggi si

incontrassero? Cosa scatenerebbero? Vediamolo subito nel

dipinto più famoso di Magritte.

Il titolo di quest’opera, contrariamente a quello che dicono a

scuola, non è “Questa non è una pipa” ma “Il tradimento delle

immagini” (1929).

In questo dipinto accade proprio ciò che dicevamo prima,

l’immagine afferma e la frase scritta nega; ma cosa nega?

Contesta proprio l’affermazione dell’immagine e quindi la sua

verità.

Quest’ultima è la descrizione più banale che si possa dare.

Magritte non voleva dire solo questo, anzi, accostando questi

due linguaggi che da sempre hanno caratteristiche diverse,

voleva proprio scatenare il dubbio. Volete conoscere i dubbi

che assillarono coloro che cercarono un’interpretazione?

Ve ne elenco tre, i più bizzarri:

• Magritte vuole dirci che la parola pipe non è in verità una pipa.

• Ma no, che dici! Magritte vuole dire che la parola ceci (-questa-

in francese), in verità non è una pipa ma un pronome.

• Non starete scherzando spero! Magritte ci sta dicendo che

non obbligatoriamente la frase deve essere una didascalia,

quindi la frase non parla dell’immagine...

Preciso che Magritte non ha mai svelato la verità su questo

dipinto, forse perchè anch’egli sapeva di non poter fare cosa

più giusta che lasciare tutto e tutti nel dubbio.

ForSE PErChè Una GIUSTa E ChIUSa InTErPrETazIonE

non ESISTEVa, ForSE... Ma non SI Sa!

Vedete come solamente mettendo in contrasto l’immagine

con la parola, significhi svegliare le incertezze nelle sue più

svariate forme?

Questo perchè in fondo ad ogni affermazione e ad ogni

negazione c’è sempre la minima presunzione di certezza

su qualcosa o qualcuno e quando queste due certezze

si incontrano, danno vita a un cortocircuito che scatena

“l’energia BOH” :) .

è proprio questo il dubbio, facciamo senza catalogarlo,

facciamo senza renderlo una certezza o una verità. Così

uccideremmo il dubbio stesso, tentando invano di definirlo.

è l’esistenza a rappresentarlo, è l’emozione, è l’infinito a

tracciarne i contorni.

Dovremmo essere più silenziosi, più magrittiani a volte...

affermando e negando meno, ammetteremmo che alcune

cose nella vita non hanno risposte, ma solo incertezze.

Così il dubbio, forse, diventerebbe la cosa più sensata [...]

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insensatezza della comunicazione e dei comportamenti.

Dietro le parole di ben si celano rabbia, violenza che Gus

subisce fino all’atto finale quando il suo socio dovrebbe

ucciderlo. Emblematica è la scena in cui ripassano le istruzioni

che hanno già ricevuto, il secondo infatti si limita a ripetere a

pappagallo quello che dice il socio, ad eccezione di una sola

osservazione importante.

ben e Gus rappresentano le due facce dell’animo umano,

l’uno portato alla violenza, l’altro passivo ed aperto al dialogo.

Quanto spesso ogni individuo si trova di fronte a questo

conflitto, tra l’aggressività e la pacifica convivenza?

In questi ultimi anni più che mai. Tuttavia, come appare chiaro

nell’ultima scena, l’uomo non sembra del tutto disposto

a sopprimere quella sua tendenza ad avvicinarsi agli altri.

l’opera insinua il dubbio nel pubblico, uno stimolo a riflettere.

Chi o cosa, noi esseri umani vogliamo essere o fare? Perché

in fondo, se l’aggressione, fisica o verbale, è inizialmente

una soluzione facile alle difficoltà di ogni giorno, siamo tutti

animali sociali. Credo che le ferite inflitte ad altri siano una

vittoria solo apparente. rimane un’amarezza profonda che

segna per sempre chi compie il gesto.

Siamo dunque davvero disposti a rinunciare alla nostra

natura per qualche piccola e momentanea soddisfazione?

Qui

spring

Tutto nasce dal fatto che vorrei festeggiare l’arrivo della Primavera,

ma non ne sono capace.

Sarei chiuso in un ufficio... alla guida della mia auto...

Davanti ad un monitor.

Ma cosa dovrei fare per festeggiare la Primavera in un modo

dignitoso, oltre che a scriverlo su Facebook o pensarci soltanto?

Una passeggiata in giardino?

Regalare un fiore alla ragazza che mi piace?

Mi viene da pensare se siamo obbligati a celebrare il primo giorno

di Primavera.

Ricordare il 21 Marzo come il 25 Dicembre e tutte quelle ricorrenze

lì, ecco.

Ma siamo davvero legati a questa giornata?

Significa davvero tanto per noi, questo sinonimo di risveglio, di

rinascita, della fine simbolica del letargo invernale e il ritorno delle

belle giornate?

E se volessi rendere questa giornata un’ istituzione... quale sarebbe

il modo più sentito e collettivo per celebrarla tutti insieme?

Forse un problema simile se le posto anche Andy Warhol con la

sua opera “Rain Machine” del 1971.

Mi piace l’arte, ma raramente mi ritrovo davvero in un’ opera.

E questa sembrava fatta su misura per me, per questo mio obbligo

morale di festeggiare l’arrivo della Primavera, senza però essere

motivati a viverla davvero.

“Rain Machine” è un’istallazione che raffigura una serie di

margherite giganti, stampate tutte una vicino all’altra, su una

parete come tanti tasselli di un mosaico e abbinate ad un sistema

di idraggio, che attivato dall’alto simula una pioggia artificiale.

-Tappetino verde e una vasca di raccolta acqua.-

Una sorta di diabolico prato finto che riproduce un microcosmo

naturale con i suoi “fiori” e la sua “pioggia” per innaffiarli.

«Una campagna ricreata tecnologicamente per chi non ci sa

The beatles - Dear Prudence (1968)

Katrina & The Waves - Walking on Sunshine (1985)

nirvana - In bloom (1991)

Cosa mi metto?di Elisa bozzolini

Quante volte al mattino, soprattutto a noi donne, si presenta il dubbio: cosa mi metto? Con la nostra immagine (l’abbigliamento ne è parte importante) tutti, anche inconsapevolmente, vorremmo trasmettere qualcosa di ben preciso: sicurezza, affidabilità, unicità, professionalità... ci sono poi giorni “no” in cui sarebbe bello potersi mimetizzare!Quando la nostra immagine allo specchio riflette davvero la nostra personalità, senza sottostare a modelli imposti dall’esterno, ci sentiamo a nostro agio e ne giova tutta quella comunicazione non verbale che si attiva quando stiamo con gli altri: provare per credere.Allora, come fare per sentirci a posto con il nostro armadio e con la nostra coscienza?

bertold brecht ha detto che di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio. Ugo ojetti ha sottolineato come il dubbio sia il primo segno di intelligenza. Mi trovo d’accordo con entrambi, senza dubbio.C’è però una variabile: anche il dubbio aumenta proporzionalmente all’aumentare delle alternative possibili. Infatti quando siamo bambini tutto appare così chiaro! Sappiamo esattamente cosa vogliamo, come e quando. Così come chiediamo un po’ di cioccolata, affermiamo con estrema serietà che un giorno diventeremo astronauti, pompieri, ballerine o spie, con quella convinzione innocente di cui solo i più piccoli sono portatori sani.Il tempo e l’esperienza piano piano disegnano una sempre più sconfinata varietà di scelte possibili. le certezze su cui ci basiamo come famiglia, casa e scuola si sgretolano e crollano incapaci di reggere il peso delle nostre esistenze. Il dubbio si insinua in ogni singola crepa fino ad erodere le fondamenta della serenità mentale di ognuno di noi.ancora più difficile di accettare la presenza del dubbio

è cercare di combatterlo: questo non è realistico perché il più delle volte non esiste una scelta giusta o un comportamento atto ad arginare il rischio che si presenti. Una volta presa una decisione, un nuovo dubbio ci aspetta dietro l’angolo.non che non abbia provato a combatterlo, sia ben chiaro. Per anni ho vissuto l’essere piena di dubbi come segno di debolezza, cedendo spesso all’impulsività per cercare di contrastarlo. ora conviviamo pacificamente io e lui. anzi ho imparato ad apprezzare la sua presenza che mi permette di interrogarmi sempre arrivando talvolta a cercare spontaneamente questi momenti di confronto personale.Continuo ad ammirare chi riesce a districarsi velocemente nell’universo dei “boh” e dei “non so” allontanandosi con passo spedito dall’incertezza. Il fascino della vittoria dell’azione sul pensiero non può lasciare indifferenti, soprattutto al giorno d’oggi.Ciò nonostante alcune volte mi trovo a domandarmi se per queste persone il tempo non si sia fermato, ma soprattutto... chi assumerà tutti questi astronauti?

Serena Martignoni

Qualche suggerimento...Teniamo solo i capi e gli accessori che hanno un valore affettivo, quelli regalati da qualcuno che ci vuole bene e a cui vogliamo bene: sono cose che indossate hanno un potere quasi magico. Regaliamo invece senza rimpianto gli indumenti che per forma, taglia, o colore, sono una nota stonata nel nostro armadio.

Selezionamo le cose nuove che compriamo: meglio poche ma buone, se poi sono realizzate a mano ancora meglio, perché riflettono la passione e l’amore di chi le ha create.Se ne abbiamo la possibilità, facciamoci consigliare da un esperto che ci suggerirà come valorizzare la nostra immagine, e soprattutto la nostra unicità.

E oggi, cosa mi metto?

vivere» spiega Warhol.

«Mi piace l’idea di essere in campagna, ma quando ci arrivo mi

torna in mente che mi piace passeggiare ma non ci riesco».

Le sue confessioni e le motivazioni che stavano dietro alla

realizzazione di “Rain Machine” corrispondevano esattamente

alle mie promesse di fare passeggiate in giardino, stare di più

all’aria aperta che poi non avrei mantenuto perchè o sul luogo di

lavoro o chiuso come al solito in casa su internet.

Mi accorgevo di aver trovato in questa opera d’arte una stessa

condizione di “disagio”... trasformata in un modello... in un

esempio da raccontare e da condividere.

Oh: almeno un’ altra persona si era posto il problema come me e

ha materializzato con un’ opera questo concetto...

Voler compartecipare all’inizio della bella stagione e accorgersi di

non essere disposti o impossibilitati a farlo.

Questo era il concetto che volevo esprimere e questa “Rain

Machine” mi è venuta in soccorso.

Si, insomma: non solo Marilyn colorate e Maledette Primavere per

i miei clienti.

Da quest’anno si può fare di più per l’equinozio di Primavera.

Dite che dovrei installare una “Rain Machine” nel mio ufficio?

Berg.ART©2013

Un sorriso è sbocciato al suono della dolce parola dubbio.E guardandolo attentamente ne ho scovato la tristezza; una tagliente ironia. Una smorfia per ogni tema riguardante le miriadi sfaccettature dell’essere umano. Quelle condizioni di stato che non hanno vera spiegazione. Di contenuto sono, però, fortemente intrise. Di dubbio si può parlare sia in merito a temi banali, sia in merito ad argomenti più impegnativi e filosofici: pizza o pesce/ vado prima dal parrucchiere o a fare la spesa/ quel tale diceva sul serio o meno/ cerco un lavoro nuovo o rimango in quest’azienda anche se non mi appaga pienamente, ma

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di cui ho certezza/ esiste Dio/ chi sono davvero io?l’elenco delle possibili situazioni di temibile dubbio potrebbe continuare all’infinito. Io credo che, anziché soffermarci su questioni puramente amletiche, parrebbe più fruttuoso e sollecitante, trattare di un aspetto paradossale di questo tema. Come sarebbe la nostra singola e collettiva vita se non vi fossero dubbi? Come agiremmo per noi e verso gli altri in un contesto assiomatico, di perfetta simmetria informativa, e di assoluta certezza su ogni singola parte e momento della nostra vita, anche quella più intima e spirituale?

è QUESTo Il VEro DUbbIo; Il DUbbIo DEl DUbbIo. Penso che in una realtà di verità e certezze vi sarebbe sterilità mentale. Infatti, se riflettiamo attentamente sui decorsi storici, già da quelli più antichi, proprio dal dubbio, e dalla conseguente curiosità e voglia di sapere e conoscere sorgono le più grandi soddisfazioni, scoperte, passioni, amori e fedi. Il dubbio è uno stimolo vitale per l’uomo e per l’intera specie. è uno dei motori principali da cui scaturisce l’evoluzione umana, sia personale che collettiva.

Elisa Motta

Siviaggiare

dovecomequandoLunedì mattina, auto.

8.15, sbadiglio.

Ho sonno!

8.25, semaforo rosso, controllo l’ora nel display.

Lo sapevo, come al solito sono in ritardo. Sono stressata, del

resto. Dormo male. E mi prendo troppi impegni.

Sul lavoro, poi: corri di qua, corri di là…

Devo imparare a dire di no.

8.28, in fila dietro un mezzo pesante.

Uffa! Sono in ritardo. Giuro, giuro, giuro che domani parto in

anticipo.

8.35, ancora trenta chilometri al lavoro, in coda sulla statale.

Adesso cosa c’è? Che palle! E dai, muovetevi, no?

Sono in RITARDO!

8.38, ferma.

Basta!

Chiedo le ferie. Sì, sì. Una settimana tutta intera. E mica

rimango a casa. Ah! Non credo proprio!

8.40, ancora immobile.

Dai, dai. Non me lo faccio venire il nervoso.

Dove vado in vacanza?

Londra! No. Ci sono già stata.

Ah, giusto, la Svezia. Ci sono stata lo scorso dicembre, con un

metro di neve: suggestiva, ma poco pratica… Vorrei vederla a

giugno, con il sole e le giornate di venti ore.

Sì, ma mancano tre mesi. No, no. Non se ne parla.

La Bretagna? Volo Bologna Parigi. Poi, da Montparnasse, il

treno per Brest e via, verso la costa. Potrei anche prendere il

traghetto per la Cornovaglia. I porti dei corsari, le scogliere e il

mare in burrasca! E già che ci sono, mi allungo su Londra, solo

una giornata, tanto per stare in allenamento.

Se invece di Londra, vado a Newcastle? Così mi tolgo la fissa

di vedere le spiagge di carbone.

Newcastle del resto dista solo duecento chilometri da

Edimburgo. Uhm. Però preferisco Inverness: ristorantini sul

Ness, voli di gabbiani sui tetti aguzzi di ardesia, un afflato

cosmopolita in una cittadina sperduta nel nulla. E da lì

partono gli autobus per Cape Wrath, sempre che a marzo non

sia ancora troppo freddo. Devo controllare. Già mi vedo, sulla

scogliera più a nord d’Europa, sferzata dal vento e lambita dai

flutti. Che poesia!

E se invece vado a Lisbona? I tram retrò che si arrampicano

nella città vecchia, il pesce alla griglia, le notti al Barrio Alto…

Oppure vado a Porto? Con la bruma oceanica, la Ribeira

affacciata sul Douro, le cantine di Gaia con quel nettare che si

chiama, appunto, Vinho do Porto. O vado in Andalusia?

O a Barcellona? E il fascino medievale di Salamanca dove

lo mettiamo? Però anche un giretto ad Amsterdam non ci

starebbe male…

8.42, lentamente si riparte.

In pausa pranzo mi prendo un panino veloce al bar poi torno

in ufficio e sto tutto il resto del tempo a cercare su internet.

Voli, alberghi.

E prenoto.

E chiedo le ferie.

Sì.

8.50, traffico scorrevole, previsti dieci minuti di ritardo.

Però sono stressata. Dovrei riposare.

Vado alle terme, magari? Mangio, dormo. Niente portatile.

Se ho voglia di scrivere, carta e penna.

Leggo tanto.

Telefono spento. Tassativo.

No, dai. Magari lo accendo un’ora al giorno. Di sera.

9.01, nove chilometri alla meta.

Uffa!

Stasera a casa scelgo i libri da caricare sull’eReader prima di

partire. Sì, sì. Dieci.

E se mi annoio? Facciamo venti, allora.

9.09, entro trafelata in ufficio, collego il portatile. Scarico la

posta.

Rossi chiede di anticipare l’appuntamento di mercoledì a

domani. Bianchi ha urgenza di essere richiamato. Verdi ha

mandato dodici mail in due ore.

Squilla il telefono…

13.10, pausa pranzo, ufficio.

Ok, finisco questa telefonata, rispondo ancora a un paio

di mail, metto in ordine l’agenda. Di corsa: alle due ho un

appuntamento.

Forse ci sta un panino al volo.

Uhm. Ma non avevo qualcosa da fare in pausa pranzo?

Ah, sì! Le ferie.

Beh, dai, facciamo la prossima settimana.

i dvbbi di Tavolestrette

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www.tavolestrette.it

Il dubbio è una brutta bestia.Il dubbio viene quando apparentemente tutto fila liscio.Ti viene il dubbio che tutto sommato l’apparente filare liscio non basta.Viene il dubbio che forse se quel dubbio si sta insinuando non è tutto qui ma c’è qualcos’altro che ancora non conosciamo, che aspetta di essere conosciuto.Il dubbio nella fattispecie è sempre rimanere o partire.rimanere non è apparentemente un problema... c’è il lavoro, gli amici di sempre, la famiglia. Ma andare... andare è una forza che si ha dentro e che non ti abbandona mai.Il libro di bill bryson, il blog sul progetto in Costa rica, e ci si mette pure licia Colò la domenica pomeriggio... sono

piccoli pizzicotti che tengono viva la consapevolezza che vedere nuovi posti, vivere culture diverse e circondarsi di suoni, linguaggi e caratteri estranei al quotidiano è un modo per crescere. la certezza non è data solo dal rimanere, anzi, il punto fermo lo si crea dentro sé stessi, con le esperienze che si fanno, cambiando i nostri punti di vista assoluti con quelli relativi e scambiandosi sguardi d’intesa quando si incontrano persone che senza conoscerti ti leggono l’anima. le apparenti certezze e i fisici punti fermi spesso ci lasciano il vuoto. ECCo, nEl MoMEnTo DEl DUbbIo ForSE bISoGna

Solo IMPararE aD aSColTarSI nEl ProFonDo DI noI

STESSI E SI hanno TUTTE lE rISPoSTE nECESSarIE.

anna Giraldo

Clara zaniwww.lapavona.it | facebook: la pavona sul sofà

Una volta un’amica mi disse: sai, dopo tutto io sono una persona semplice, mi piace godere di ciò che ho realizzato con i miei meriti, certa che il gusto di quello che si ottiene con le proprie forze abbia un sapore unico. Sono ProPrIo CIò ChE SI DEFInISCE Una TorTa DI MElE.ora, se una confidenza così la si fa a chi di torte non ne capisce nulla, ok. Ma nella mia testolina, questa frase, ha risuonato per giorni e giorni e giorni con un eco devastante. la torta di mele da sempre incarna il legame con la casa, con gli affetti più sinceri, coi momenti più sereni proprio per la disarmante semplicità di preparazione contrapposta ad un gusto di particolare squisitezza. è ciò che vorremmo trovare alla fine di una giornata di intoppi e nervosismi, o al termine di una discussione che ci ha fatto soffrire, o dopo una delusione per cui ci sembra di morire, quando negli occhi ci restano le spalle di chi abbiamo sempre visto solo in viso o quando ci hanno rifilato un no che non avremmo mai voluto sentire. è la casa, ovunque sia la nostra vera casa. E, come disse il mio strizzacervelli: “l’abito non fa il monaco, ma il piatto sì!”

non C’è DUbbIo: I GUSTI alIMEnTarI Parlano DI TE PIù DI Una bIoGraFIa.

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E poi ti trovi col dubbio. Che faccio? Come? Riuscirà? Piacerà? Lo accetteranno? Ma le sfide ci piacciono. E allora ti spremi il cervello, pensi al progetto... al tema, ai significati, alla forma, e provi a mettere tutto insieme. Facciamo un dolce. Ok, come? E come lo presentiamo? Come rendiamo il senso del dubbio? Dell’instabilità, dell’incertezza? Proviamo a farne una composizione spaziale, tridimensionale, quasi un edificio. Conoscete gli architetti MVRDV, con le loro architetture improbabili, al limite della fisica? L’idea era buona: due basi di pan di spagna (semplice e al cioccolato) e delle lastre di cioccolato fuso per creare la nostra struttura, un po’ di panna per farcire, qualche biscotto da utilizzare come pilastro. Monta le uova, mescola delicatamente l’impasto, inforna; tempera il cioccolato, versalo sulla carta da forno, livellalo per ottenere una lastra sottile, mettilo a raffreddare in frigorifero; monta la panna (avremmo preferito preparare una crema, ma

dolce-mente instabileavevamo finito le uova con i due pan di spagna), combina gli strati e componi la struttura. Il risultato è stato dolce, sì, ma anche decisamente instabile, pure troppo! Una volta tagliato il pan di spagna e assemblato il tutto è risultata evidente la precarietà della composizione, che ha racchiuso in sé tutti i dubbi dell’inizio e un “certo non so che” di metaforico.La precarietà è emersa molto bene nei pochi istanti in cui la struttura ha resistito alla gravità, giusto il tempo di pochi scatti e poi giù! Accartocciata su se stessa. Da una partita di jenga a una manche a shanghai. Poco male, tanto per mangiarlo andava smontato. Un morso al pan di spagna, uno al cioccolato, accompagnando con un piatto di frutta fresca di stagione o di frutta sciroppata sarebbe stato un perfetto dessert per una festa scherzosa tra amici: prima si gioca e poi si mangia. E chi fa cadere la struttura paga pegno!

Cucinatollerante www.anla idsonlus . i t - 06 4820999Noi siamo nelle piazze italiane. E tu?

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nel dubbio guarda nel piatto

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Mantova Creativa

avete mai pensato che una piastrella possa diventare uno

xilofono o che da una tanica abbandonata possa venir fuori un

ritmo fresco e giovane capace di far muovere corpo e anima?

Questo è esattamente quello che la banda musicale rullifrulli

fa, ovvero trasformare materiale di recupero in uno strumento

che si contrappone al classico prodotto industriale, ma che

rappresenta in toto ogni singolo componente del gruppo.

la banda musicale rullifrulli nasce nel Settembre del 2010

come progetto sperimentale della Scuola di Musica “C. e

G. andreoli” di Mirandola e ben presto raccoglie un elevato

numero di partecipanti. ad ogni ragazzo viene data la

possibilità di esprimersi attraverso le inclinazioni personali

diventando però parte integrante del gruppo.

Uno degli obiettivi della banda è quello di entrare nella materia,

capire ed instaurare un contatto con lo strumento che si è

deciso di modificare e personalizzare, arrivando a parlare un

linguaggio universale: Il rITMo.

a San Giorgio ci saremoanche noi di TuttoQui&dintornicon i nostri gadgets, con la nostra simpatia, con i nostri aperitivi!

Banda Rulli&Frulli

La sfida della fotografia è la comprensione dell’attualità. “Comprensione” nel suo significato originario, quello di afferrare, circondare, fino a -si potrebbe dire- fare prigioniero. Il fotografo può solo catturare un breve flusso di fotoni, azionando l’otturatore, che poi andrà a modificare la superficie di una pellicola, o sarà tradotto in informazioni da un sensore digitale. Ma questo, apparentemente asettico, processo chimico-fisico, produce un’immagine che acquista valore perché è essenzialmente la conseguenza di una scelta compiuta da un essere vivente, e si carica di significato nel momento in cui viene condivisa con l’osservatore, il resto dell’umanità.

Occorre riportare l’uomo al centro della fotografia. Viviamo in una “società liquida”, così come la descrive Zygmunt Bauman, in cui la globalizzazione e l’”industria della paura” hanno come effetto l’annientamento dell’individualità e della particolarità dell’individuo, che finisce con l’annullarsi ed omologarsi a standard imposti dall’esterno. Come fotografi, crediamo quindi che il modo migliore per tornare ad afferrare la realtà contemporanea, sia quello di opporsi alla neutralizzazione del singolo, testimoniando la varietà e la ricchezza dell’umanità.

“People” è quindi una raccolta di ritratti, parla della gente, non come “massa senza testa”, ma come una comunità composta da tanti particolari e insostituibili componenti.Vogliamo raccontare di persone che compiono scelte, ma anche dare un volto a “personaggi in cerca d’autore”. abbiamo rivolto lo sguardo su vite desiderate e vite subìte, ciascuna unica e irripetibile, vite che, tramite i nostri scatti, affideranno all’osservatore la loro storia.

Mostra fotografica PeoPLe

Mostra fotografica collettiva PEoPlEPresso Ex Convento di S. Maria, Viale Fiera Millenaria 64,

Gonzaga (Mn) . Dal 12 Maggio al 02 Giugno 2013

02 Giugno 2013: serata collettiva di chiusura

a tutti i fotografiGiunta alla sua III° edizione, la mostra fotografica del Collettivo 10x10 intende ampliare il proprio raggio di azione al di fuori dei consueti spazi espositivi, per garantire visibilità a quanti desiderino affiancare un proprio progetto a “People”, sulla base del medesimo tema.Il circuito EXTRA è quindi pensato come una rete di singole mostre fotografiche nate da iniziative spontanee in grado di coinvolgere tutto il tessuto urbano grazie alla partecipazione ed alla collaborazione dei privati nell’organizzazione degli eventi collegati.In questo modo auspichiamo che il circuito EXTRA arrivi ad articolarsi in una ricca offerta espositiva, con esposizioni autonome negli esercizi commerciali ed in altri luoghi del Comune di Gonzaga (MN), inediti a questo tipo di iniziative.

CoME ParTECIParE

Per partecipare al circuito EXTRA è necessario compilare l’apposito modulo a disposizione sul sito www.diecixdieci.it. alla sezione “Circuito Extra”, entro il 03 aprile 2013.Come avrete modo di apprendere dal modulo d’iscrizione, sarà necessaria una breve ma quanto più dettagliata descrizione del progetto fotografico ed una foto rappresentativa dello stesso. Ulteriori dettagli ed informazioni a completa disposizione al sito indicato.

Partecipate numerosi!

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www.bandarullifrulli.it

la banda vuole esaltare le diverse caratteristiche dei

componenti mettendo in risalto le loro straordinarie

diversità.

aggregazione e collettività sono le parole chiave che

caratterizzano questo progetto che ha creato bellissimi

legami tra tutti i componenti e i coordinatori e che genera

spettacoli meravigliosi.

la banda rullifrulli in questo periodo è impegnata nella

realizzazione di un nuovo spettacolo che prevede la

presentazione del loro DVD; 12-13 e 14 aprile sono le date

da ricordare per partecipare al “ToUr In branCo” e per

assistere di persona a questa straordinario modo di fare

musica.

Cinzia buzzi

“Dubbio” è il titolo di questo film del 2008 scritto e diretto da John Patrick Sthanley.Non voglio farne un riassunto didascalico, perchè nel momento giusto guarderete questo film e lui stesso vorrà la vostra più intima visione ed interpretazione. Scrivere di questo film, è come accarezzare una farfalla, bisogna farlo nel punto giusto altrimenti la si priva del volo e quindi della vita. Sicuramente non posso non dirvi che tutto avviene all’interno di un convento e che solo tre sequenze avvengono con riprese in esterna. Tutto prevalentemente si svolge in luoghi interni, spazi che riescono a trasmettere la particolare tensione legata a certi momenti. La maggior parte delle scene è costituita da dialoghi tra la sorella Aloysius (la superiore, interpretata da una splendida Meryl

Streep) e la sorella James (la più giovane, interpretata da Amy Adams). Poi il personaggio attorno al quale ruotano le certezze, i dubbi e le forti tensioni di questo film, è il prete Flynn (interpretato da Philip Seymeur), accusato di aver avuto rapporti extrascolastici e intimi con l’alunno di colore Donald Miller. La verità di queste avance non verrà svelata e noi, spettatori di quest’opera, siamo chiamati attraverso l’intuito a elaborare una nostra interpretazione dell’accaduto, eliminando ogni preconcetto, lasciando perdere ogni accanimento; il film ci chiederà di realizzare la nostra verità, ascoltando fedelmente il nostro cuore. Questo per dimostrare che, anche nelle sale cinematografiche, la vita non dà mai certezze.

“Che fate quando vi sentite insicuri... che dire, che fare, che dire ai figli, che dire a se stessi... chi di noi non ha mai provato un profondo senso di smarrimento... riflettete, il vostro legame con il prossimo era la disperazione... si guarda il mondo come da una finestra, da un lato del vetro persone felici e dall’altro lato voi. Il dubbio può essere un legame tanto forte quanto la certezza”

è con queste frasi recitate nella messa dal prete Flynn, che il film “inizia veramente”. Il dubbio è innalzato e diviene possibilità di avvicinarsi agli altri, ma soprattutto assume il ruolo di quiete in mezzo alla tempesta. Proprio quello stato d’animo dove le incertezze prendono il sopravvento, diventa una salvezza.Questo messaggio non viene percepito dall’anziana sorella Aloysius, perchè appena sorge il dubbio, cioè quello legato a uno strano incontro avvenuto tra il prete e il bimbo, subito cerca chiarezza; sarà proprio l’atto risoluto del capire la verità, a farle assumere un atteggiamento chiuso e a convincerla che l’abuso, quindi la parte negativa del dubbio,

sia l’assoluta certezza. è una persona piena di ragione che ormai ha represso ogni istinto in nome della disciplina dello spirito e sarà proprio la sua estrema disciplina a tradirla e con la menzogna sporcherà la sua anima davanti agli occhi di Dio.Ad un certo punto il padre Flynn rivolgendosi alla sorella James dirà:“...le persone crudeli uccidono la gentilezza in nome della virtù. Non c’è niente di male nell’amore”.Cos’è l’amore se non qualcosa di inspiegabile, qualcosa di talmente travolgente da far paura e allo stesso tempo essere il senso divino della vita?Il dubbio somiglia incredibilmente all’amore, perchè non ci sono motivi, non esistono ideali, ma vive solamente una voglia senza tempo e a volte il perdimento più intenso.

In questo film da una parte c’è l’amore nella sua ingenuità e nel suo istinto, dall’altra la ragione più maligna.Queste si confronteranno, si intrecceranno a vicenda, saranno talmente vicine che se ne sentiranno i differenti pesi. Il dubbio in questo film, prima è descritto da padre Flynn come possibilità di fratellanza e di aiuto in questa vita, mentre nel finale la sorella Aloysius piangendo confesserà di avere un dubbio atroce che non le dà scampo.Nell’ultima scena la sorella James, pur delusa dalla menzogna ingegnata dalla sorella maggiore, le concederà un abbraccio, puro come lei che in tutto il film ha rappresentato l’immagine di un’ ingenua ma onesta sorella piena di bontà. Quindi il film termina con un abbraccio tra opposti, che io credo essere simbolo della creazione d’ogni cosa, compreso l’amore e l’elemento essenziale che lo compone: il dubbio.

Federico aprile

senzadubbiodi Grego ricorso

Già le operazioni di posteggio generano fai-

de famigliari e generazionali. Ed ammesso

si riesca, sotto cauzione, a sistemare l’auto-

vettura, ci si ritrova a navigare al centro dei

viali della cittadella a venti centimetri da ter-

ra, sospinti e sollevati da una folla inferocita

e febbricitante. riuscire a vedere i negozi e quello che conten-

gono, non se ne parla.

è per questo che si risparmia: perchè nessuno riesce a vedere

un cazzo e non compra niente.

Il ritorno a casa annota sempre le stesse subdole prospettive:

un figlio perso dal primo pomeriggio, la suocera in mutande

che ha buttato nel cesso ottanta euri tra taglio e permanente,

il cane che, lasciato prudentemente in auto, ha vomitato per

vendetta la sbobba del giorno prima, i tuoi mocassini nuovi ri-

dotti ad espadrillas d’annata ma, al contempo, una controparte

estasiata e nel pieno della propria lucida soddisfazione egore-

ferenziale.

Eppure il segreto è tutto lì, stretto in una frazione infinitesimale

di un secondo, tra un “ma sì, mi alzo ed esco” e un “checcazzo

vado a pensare”.

è lì che occorre farsi sfiorare e poi vestire, inondare, soverchia-

re da quel dubbio così amico, è lì che il maschio alfa sa, tra le

esigue certezze che lo contraddistinguono, che, se Chi aveva

voce in capitolo, scelse quel settimo fatidico e benedetto gior-

no per riposare, avrà avuto un valido e insindacabile motivo.

o, quantomeno, un divano.

Samuel David luzzatto, chi era costui?

Un ebraista triestino, storico e interprete della bibbia tra i più

raffinati, venuto al mondo sul nascere del secolo nuovo, l’ot-

tocento e morto a cavallo degli anni sessanta. Tra gli innume-

revoli pensieri tramandati, v’è n’è uno che mi viene sempre in

soccorso quando sono a corto di giustificazioni sul mio lique-

farmi domenicale sul divano di casa: “il dubbio è il padre della

pigrizia”.

Questa casalinga variazione di stato, da solido a liquido, ago-

gnata conquista settimanale del maschio alfa, è altresì una

pratica non compresa e ferocemente osteggiata dalla femmina

eterozigote, che passa i restanti sei giorni della settimana ad

annotarsi, su mimetici post-it, come quando e soprattutto per-

ché, frantumare le semplici certezze che la natura ci ha riserva-

to e, immancabilmente, i coglioni.

Ma perchè, già al crepuscolo del sabato, quando una pizza da

asporto e una birra hanno colmato la precaria nostra sensibi-

lità, iniziamo a prefigurarci un post pranzo-parenti del giorno

dopo, assolutamente e fantasticamente catatonico, pigiamati

e sprofondati su di un divano anatomico, con lo sguardo incol-

lato ad alzo zero sul programma meno coinvolgente del palin-

sesto pomeridiano.

Personalmente, prediligo l’hobbista di turno che, da solo e sen-

za sporcare nemmeno una mattonella, con l’innovativa pistola

sparacolore di ultima generazione, a soli novantanovevirgo-

lanove euri (ed è un’occasione), ridipinge in un pomeriggio la

reggia di Caserta, mobili, lacchè e suppellettili compresi.

Sarà che, in un pomeriggio, io a malapena riesco a farmi un

toast; ma l’invidia si mescola all’ammirazione e l’ipnosi è as-

sicurata.

MaPoSSIbIlEChEnonTIVEnGaMaIIlDUbbIoChEnonSIPoSSa-

rESTarECoSìIMMobIlIaPErDErEIlProPrIoTEMPoChEInVECE-

PoTrESTIDEDICarEallaTUaFaMIGlIaChETraParEnTESISTa-

rECoSìFErMoPErorETIFaanChEMalEallaSPInaDorSalE?

Ma è proprio lì, è proprio questo, ha ragione luzzatto. Il dubbio

mi viene, ce l’ho, ma è proprio con il suo insinuarsi che i miei

muscoli entrano in coma, il respiro si quieta, la palpebra s’ap-

pesantisce, il pensiero s’ammutolisce ed entro in un invidiabile

stato neurovegetativo.

lei no, la donna eterozigote, la domenica pomeriggio viene

colta dalla sindrome di Indianapolis; e tutto ciò che, in qualsiasi

dittatura subtropicale, fungerebbe da pena capitale, lei è pron-

ta a propinartelo come simpatica alternativa.

Tra il panorama delle proposte, quella più imbarazzante resta il

tour outlet alle città della moda.

Questi luoghi zuccherosi che ricordano tutti vagamente Graz-

zano Visconti (che però, al contrario, mantiene intatta tutta la

sua dignità folcloristico documentale), solitamente registrano

durante la settimana un’affluenza pari a quella dei confessio-

nali delle pievi in aspromonte, ma alla domenica si trasfor-

mano, nevichi, piova o divampi la calura maledetta, nella new

York della maratona.

Torna rintracciarti, l’iniziativa socio-culturale organizzata dall’associazione ars Educandi, nata da un’idea di Daniele Goldoni, la cui direzione artistica è affidata a Giona Scanavini e la organizzazione a Enrico Alberini con Paola Boccaletti e Donato Novellini.Fin dalla prima edizione del 2005, RintracciArti si è distinta nel panorama culturale locale, come una manifestazione che coniuga l’arte al dibattito e la festa alla riflessione su temi non sempre di facile fruizione. E l’attenzione è stata rivolta specialmente ai diritti dell’individuo nella società odierna, per sottolineare da un lato la ricchezza dei mezzi espressivi, dall’altro le difficoltà relazionali insite nello sviluppo contemporaneo.L’edizione 2013, dal titolo UltraPop, nasce con l’intento di promuovere i temi fondanti delle precedenti edizioni nelle zone mantovane che sono state colpite dal sisma nel 2012 e ancora fanno i conti con i segni lasciati da un evento che ha scosso la terra e gli animi delle comunità della bassa mantovana.rintracciarti, il cui cardine è il concetto di laboratorio di comunità,

intende ripartire concentrando l’attenzione su ciò che lega le persone a sentirsi parte di una comunità, nella condivisione di sentimenti, ideali e aspirazioni, i beni primari di un territorio, la colonna portante su cui ricostruire il futuro in qualsiasi periodo di crisi, non solo fisica, causata dal terremoto, ma anche economica, politica e sociale.Da qui l’idea che una popolazione, per quanto sia stata ferita, rinsaldando le proprie radici possa andare oltre ogni crisi: UltraPop, appunto! Seguendo le idee ispiratrici, gli organizzatori hanno scelto quindi di modificare il format tradizionale di rintracciarti sia nella scelta dei tempi sia nella dislocazione dei luoghi, visitando cioè i vari comuni dell’Oltrepo colpiti dal sisma, con differenti iniziative, supportate da consolidate collaborazioni:

Ecco il calendario con proposte inedite, per sostenere le realtà locali che si occupano della promozione socio-culturale del territorio:• marzo a Pegognaga si svolgerà un laboratorio per giovani legato al tema della conciliazione famiglia/lavoro• aprile a ostiglia una serie di laboratori narrativi con gli studenti dei Licei Galilei e Greggiati • maggio a San benedetto Po un flash-mob di comunità • giugno a Quistello attività di animazione musicale e fiabe per i bambini • luglio a Quingentole in collaborazione con la rassegna QuingentolArt • settembre a Gonzaga con l’associazione Officina dell’Immaginazione per l’organizzazione di una gara di pittura estemporanea durante la Fiera Millenaria • a San benedetto con l’associazione Pollywood per l’edizione 2013 della rassegna 7 Stanze.

• a Suzzara si concluderà l’iniziativa con l’esposizione di arte contemporanea organizzata in collaborazione con l’associazione Imprimatur che porterà circa 15 giovani artisti a presentare le proprie opere originali ispirate al tema della comunità.

UltraPop pertanto segna un filo rosso che unisce i giovani, le istituzioni, l’associazionismo, gli artisti, le famiglie, i bambini e gli anziani in un unico territorio, molto più grande della somma dei singoli comuni.

Per sette mesi l’oltrepo diverrà UltraPop grazie anche alle collaborazioni sui social network richieste ai vari cittadini nel postare sul profilo facebook della rassegna i propri contributi, come una foto, un pensiero, un video, un testo, inerenti alla tematica della comunità, con l’obbiettivo di creare un grande mosaico di punti di vista condivisi.

Per informazioni o per partecipare direttamente a questo laboratorio di comunità con idee, contributi, spunti, pareri:

tel 3483887774 . [email protected]

www.rintracciarti.org

ultraPop

Con la CollaborazIonE DI: Provincia di Mantova, Distretto Culturale oltre Po, Fiera Millenaria, i comuni di Quistello, Pegognaga, Quingentole, Suzzara, S.benedetto Po, ostiglia, Gonzaga, le associazioni Imprimatur, Pollywood, Quingentolart, officina dell’immaginazione, TuttoQui&dintorni, le scuole secondarie liceo Greggiati, liceo Galilei, le cooperative alce nero, Il Giardino dei Viandanti.