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Capitolo 1 Il nucleo atomico: proprietà generali La Fisica atomica era nata con la scoperta dell’elettrone (J.J.Thomson 1897). A distanza di poco più di 30 anni, con la scoperta del neutrone (Chadwick 1932) nasce la fisica nucleare. atomo costituito da una nuvola di elettroni distribuita in una zona di dimensioni 10 -8 cm e da un nucleo centrale costituito da protoni e neutroni con dimensioni di 10 -13 cm. Precedentemente non era netta la distinzione tra atomo e nucleo: nel modello di Thomson gli atomi venivano descritti come distribuzioni sferiche di carica positiva, (10 -8 cm) all’interno delle quali erano sistemati gli elettroni in numero tale da garantire una carica complessivamente nulla all’atomo (pudding plum model). Il modello tuttavia non rendeva conto dei risultati dell’esperimento di diffusione delle particelle α su atomi pesanti (un sottile foglio di oro dello spessore di 5·10 -4 mm) effettuato da Rutherford.

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Capitolo 1 Il nucleo atomico: proprietà generali

La Fisica atomica era nata con la scoperta dell’elettrone (J.J.Thomson 1897).

A distanza di poco più di 30 anni, con la scoperta del neutrone (Chadwick 1932) nasce la fisica nucleare.

atomo costituito da una nuvola di elettroni distribuita in una zona di dimensioni 10-8cm e da un nucleo centrale costituito da protoni e neutroni con dimensioni di 10-13cm.

Precedentemente non era netta la distinzione tra atomo e nucleo: nel modello di Thomson gli atomi venivano descritti come distribuzioni sferiche di carica positiva, (10-8cm) all’interno delle quali erano sistemati gli elettroni in numero tale da garantire una carica complessivamente nulla all’atomo (pudding plum model).

Il modello tuttavia non rendeva conto dei risultati dell’esperimento di diffusione delle particelle α su atomi pesanti (un sottile foglio di oro dello spessore di 5·10-4mm) effettuato da Rutherford.

Nel modello di Thomson le particelle α interagiscono con una sfera essenzialmente neutra (legge di Gauss) e non possono quindi subire deflessioni a grandi angoli. Sperimentalmente si trovò invece che alcune particelle α erano deflesse ad angoli anche maggiori di 90°. Rutherford immaginò che l’atomo fosse composto da un nucleo centrale con carica positiva +Ze delle dimensioni di RN ≈ 10-12cm; gli Z elettroni erano sistemati attorno al nucleo ad una distanza dell’ordine del raggio atomico Ra ≈ 10-8cm.

In questo modo le particelle α che passano ad una distanza inferiore a Ra dal nucleo centrale “vedono” una carica effettiva +Ze e possono quindi subire deflessioni considerevoli. Gli elettroni, schematizzati come una corteccia sferica di raggio Ra e carica -Ze, esercitano una sorta di schermo elettrostatico a distanze maggiori del raggio atomico. Una stima della dimensione del nucleo può essere ricavata dal seguente ragionamento. Il minimo parametro d’urto è dell’ordine delle dimensioni del nucleo e, se sono possibili deflessioni delle particelle α a grandi angoli, significa che vi può essere una quasi totale trasformazione dell’energia cinetica incidente in energia potenziale (per grandi angoli, nel limite di una retrodiffusione a 180°, la particella si ferma per un istante alla minima distanza dal centro del potenziale). Quindi:

ΔTα+ ΔV = 0

T

α= V( R

min) = zZe2

Rmin

R

min= zZe2

Poiché e2=1.44 MeV.fm, per z = 2, Z ≈ 80 ed Ta ≈ 10 MeV, si ricava appunto che il raggio nucleare vale Rmin ≈ 10-12cm.

La scoperta del neutrone effettuata de Chadwick nel 1932 suggellò definitivamente il modello del nucleo atomico. In appendice A1 è riportata la descrizione e la interpretazione dell’esperimento di Rutherford. In appendice B1 è riportata la descrizione e la interpretazione dell’esperimento di Chadwick.Già nel 1920 era stata suggerita da Rutherford la possibilità che un elettrone ed un protone potessero essere così vicini nel nucleo da formare una particella neutra, e a questa particella diede appunto il nome di neutrone. Inoltre, poiché la massa dell’elettrone è circa 2000 volte più piccola della massa del protone, questa ipotetica particella avrebbe avuto la massa praticamente uguale a quella del protone, come di fatto è per il neutrone.Il nuclide è un ben definito nucleo costituito da un determinato numero di protoni e di neutroni. Esso viene indicato come Z

A XN o spesso più semplicemente Z

A X dove:

- X sta a indicare l’elemento chimico;- Z è il numero atomico dell’elemento, cioè il numero di protoni nel nucleo (anche uguale al numero di elettroni atomici);- A è il numero di massa del nucleo, cioè il numero totale di protoni (Z) e neutroni (N). I protoni ed i neutroni vengono chiamati genericamente nucleoniNe risulta ovviamente che N=A-Z

Tutti i nuclidi con lo stesso numero di protoni Z si chiamano isotopi. Essi hanno lo stesso numero di elettroni e quindi le stesse proprietà chimiche, e sono indicati dallo stesso elemento X.Tutti i nuclidi con lo stesso numero di neutroni N si chiamano isotoni: essi non hanno in generale lo stesso numero di protoni (e di elettroni) e quindi appartengono ad elementi chimici diversi.Tutti i nuclidi con lo stesso numero di massa A si chiamano isobari: anche in questo caso non possono appartenere allo stesso elemento.Esempio di isotopi:

36 Li

37 Li 6

12C6

13C6

14 C

Esempio di isotoni:

12H

1 23He

1 614 C

8 715N

8 816O

8

Esempio di isobari:

614 C

714N 2

6He4 3

6 Li3 4

6Be2 1

3H2 2

3He1

Il nome degli elementi è noto dalla chimica o dalla fisica atomica.

Un quantità importante del nuclide è la massa nucleare, cioè l’esatto valore della massa del nucleo. Esso non va confuso con la massa atomica, che comprende anche la massa degli elettroni. Le due quantità comunque sono numericamente molto vicine, dato che gli elettroni sono molto meno massivi dei nucleoni.La massa di un nucleo costituito da Z protoni e N neutroni m(Z,N) non è uguale alla somma delle masse dei nucleoni costituenti:

m(Z,A) ≠ Zmp + (A-Z)mn

essendo rispettivamente mp e mn la massa del protone e del neutrone.Questo deriva dal principio di equivalenza massa-energia, principio fondamentale della meccanica relativistica di Einstein espresso dalla famosa relazione: E=mc2, ed ampiamente verificato nella fisica nucleare: “Massa ed energia sono essenzialmente simili, sono soltanto espressioni differenti dello steso concetto. La massa di un corpo non è costante, essa varia al variare della sua energia”. Ad una variazione di energia ΔE di un sistema isolato deve essere associata una variazione di massa Δm = ΔE/c2 e viceversa. Questo principio si applica anche alla massa a riposo dei nuclei. L’energia potenziale dei nucleoni dentro il nucleo è negativa (stato legato): occorre infatti compiere del lavoro per rimuovere protoni e neutroni dal nucleo.

La forza nucleare è infatti attrattiva, dovendo come minimo superare la enorme forza elettrostatica con la quale i protoni si respingono. Alla energia potenziale negativa corrisponde una diminuzione di massa inerziale. Si definisce difetto di massa di un nucleo la differenza:

Δm = Zmp + (A-Z)mn – m(Z,A)Il difetto di massa rappresenta quindi anche l’energia di legame del nucleo, cioè il lavoro che si deve compiere per portare tutti i nucleoni allo stato libero (dist. ∞).

Vediamo ora come si misurano le masse atomiche (da queste si deducono le masse nucleari).

Lo spettrometro di massaLo spettrometro di massa dà informazioni sulla massa atomica caratteristica di un particolare valore di Z ed A. Da questo valore, sottraendo Z volte la massa dell’elettrone, si ottiene la massa del nucleo. In effetti, essendo gli elettroni legati, la loro massa nell’atomo è minore della massa dell’elettrone libero: per il calcolo esatto (valori riportati nelle tabelle dei nuclidi) va sottratta quindi l’energia di legame atomica degli elettroni nell’atomo. Tuttavia questa energia di legame elettronico rappresenta una correzione piccola, essendo dell’ordine del centinaio di eV o al più di qualche keV.

Il funzionamento dello spettrometro è schematizzato in figura 1.2 (spettrometro tipo Bainbridge)

Figura 1.2 Lo spettrometro di massa

La sorgente produce atomi ionizzati con carica +ne, massa M, ed una certa distribuzione di velocità. Si noti che la carica ne dello ione non corrisponde alla carica Ze dell’atomo, in quanto la ionizzazione non è completa: essa è prodotta per effetto termoionico e quindi, di solito n=1 o al massimo n=2.

Gli atomi ionizzati passano attraverso il foro S1 e raggiungono la zona di campo magnetico B ed elettrico E.

Figura 1.2 Lo spettrometro di massa

L’insieme di questi due campi agisce come selettore di velocità. Infatti, oltre la zona di campi B ed E vi è un secondo foro S2, e solo gli ioni che hanno una ben determinata velocità lo attraversano. La velocità selezionata dai collimatori è legata al valore di E e di B. Infatti le particelle si muovono di moto rettilineo solo se le forze elettrica e magnetica si annullano, cioè quando: neE = nevB. Ossia: v = E/B non dipende dal valore di n (nel seguito assumeremo n=1).

Gli ioni di velocità fissata, oltrepassato il foro S2, sono soggetti solo al campo magnetico costante e quindi seguono una traiettoria circolare di raggio R, tale che:

evB =

Mv2

R . Da cui si ricava: M =

RBev

=RB2e

E . La massa atomica può essere determinata

dalla misura assoluta di R, B ed E. In pratica si fa uso di masse note per calibrare l’apparato. Si possono fare misure di masse atomiche estremamente accurate. Inoltre con lo spettrometro di massa si possono misurare, in un campione chimico, le percentuali isotopiche.

Figura 1.2 Lo spettrometro di massa

Un altro tipo di spettrometro di massa (tipo Dempster) è rappresentato in figura 1.3 In questo caso gli atomi ionizzati sono accelerati tra A e C da una d.d.p. V ed escono

dal foro S1 con energia cinetica fissata, data da: eV = 12Mv2 (1)

Incontrano la zona di campo magnetico B e vengono deflessi in un moto circolare

definito dalla solita relazione: evB =

Mv2

R (2)

Figura 1.3

Affinché gli ioni attraversino la fenditura S2 e siano rivelati in P, il raggio della

traiettoria deve avere un particolare valore, legato al rapporto

eM . Infatti:

dalla (1): v2 =

2eVM , e dalla (2):

v =

eBRM . Eliminando quindi la velocità v:

eM

=2V

B2R2 .

da cui si ricava il valore della massa M =

eB2R2

2V

Per un fissato valore di R ogni

eM corrisponde ad una data combinazione di V e B:

variando quindi V, B o entrambi, saranno selezionate dal foro diverse masse M.

Anche in questo caso lo strumento è calibrato sulla misura di masse note.

Le figure 1.4 e 1.5 che seguono riportano alcuni spettri di massa.

Figura 1.4 spettro di massa del potassio

Figura 1.5 spettro di massa del mercurio

Unità di misura per massa ed energiaIn fisica nucleare la massa di un nucleo (e di un atomo) è misurata in unità di massa atomica. L’unità di massa atomica (amu, da: atomic mass unit) è stata scelta come un dodicesimo della massa atomica di un atomo neutro di 12C. Il valore di 1 amu può essere facilmente espresso in grammi, ed è pari al reciproco del numero di Avogadro. Infatti:

1 amu =

112

M( 12C) =112

12N

Av = 1.66⋅10-24 g

Noi useremo però un’altra unità di misura, molto più pratica specie quando si devono fare calcoli numerici che spesso coinvolgono energia e quantità di moto. Dalla relazione di equivalenza massa-energia E=mc2 si ricava per l’energia a riposo di una particella: Eo = moc2. Ad esempio, l’energia a riposo di un elettrone vale:Eoe = moc2 = (9.11⋅10-31)⋅(3⋅108)2 = 8.2⋅10-14 J; per un protone si ha invece: Epe = moc2 = (1.67⋅10-27)⋅(3⋅108)2 = 1.5⋅10-10 J. Tali unità sono inadatte per la misura delle energie in fisica atomica e nucleare. Si ricorre ad un’altra unità di misura: l’elettronvolt (eV) ed i suoi multipli (keV, MeV).

Quando si accelera una carica q tramite una differenza di potenziale V, il guadagno di energia cinetica vale: ΔT = qV. Un elettronvolt è l’energia acquistata da un particella avente la carica unitaria (la carica di un elettrone) attraverso una differenza di potenziale di un Volt:1 eV =1.602⋅10-19 Coulomb⋅Volt = 1.602⋅10-19 Joule = 1.602⋅10-12 ergcon i rispettivi multipli: 1 keV = 103eV, 1 MeV = 106eV, 1 GeV = 109eV, ... In queste unità di misura: Eoe = 0.511 MeV e EoP = 938.21 MeV.L’unità di misura della massa si ricava dalla solita equivalenza E=mc2. Si esprime la massa come m = E/c2, e si prende come unità di misura della massa il valore espresso in MeV/c2 Così l’energia a riposo dell’elettrone vale 0.511 MeV, la sua massa a riposo vale 0.511 MeV/c2; l’energia a riposo del protone vale 938.272 MeV, la sua massa a riposo vale 938.272 MeV/c2. Possiamo introdurre una ulteriore semplificazione: specie quando si fanno conti relativistici, è molto più utile usare il cosiddetto “sistema c=1”: come unità di misura della velocità scegliamo la velocità della luce nel vuoto (c=2.99796⋅108 m/s ≈ 3⋅108 m/s) e poniamo quindi c=1: lunghezza e tempo hanno le stesse dimensioni:

1s → 3⋅108m e 1m → 3.3⋅10-9sQuindi la velocità, indicata con β (β = v /c appunto), è una grandezza adimensionale.

Inoltre, dalla relazione E=mc2 si vede che energia e massa hanno le stesse dimensioni: scegliamo come unità di misura per entrambe il MeV. Anche la quantità di moto p=mv ha le stesse dimensioni di m e di E, e sarà misurata anch’esso in MeV. Vediamo alcune formule relativistiche che ci saranno utili nel seguito. Nel sistema c=1 la relazione: E = mc2 diviene semplicemente: E = mNel caso di una particella in quiete: E = m0 , avendo indicato con m0 la massa a riposo della particella. Se indichiamo con T l’energia cinetica possiamo scrivere:E = m = m0 + T

Sempre dalla relatività ristretta, sappiamo che m = m0γ, dove γ = ( 1 − β2) −1/ 2

T = m – m0 = m0(γ-1)Nel caso classico, dove β<<1 (ossia: v<<c) si può sviluppare γ in serie ed arrestarsi al

primo termine: γ = ( 1 − β2) −1/ 2 ≈ 1 + 12β2 che, sostituito nella espressione di T fornisce

la usuale relazione classica: T = m0(γ-1) ≈ m0(1 + 1

2β2 − 1) = 1

2m

0β2

La quantità di moto si scrive: p = mβ = Eβ. Pertanto il valore di β per una particella è

dato dal rapporto tra il suo momento p e la sua energia totale: β =

pE

La quantità di moto si può anche scrivere: p = mβ = m0βγ. Quadrando: p2 = m02β2γ2

Le relazioni tra β e γ sono: γ2 =

1( 1 − β2) ,

β2 =

( γ2 − 1)γ2 , β

2γ2 = γ2 − 1 .

Pertanto: p2 = m02(γ2 –1) = m2 – m02 = E2 - m02 che fornisce le importanti relazioni:

E2 = p2 + m02 , ossia: E = p2 + m02 , p = E2 − m

02 .

D’altra parte, poichè E = T + m0, si ha: E2 = p2 + m

02 = T2 + m

02 + 2m

0T , da cui si ricava la

relazione relativistica tra p e T: p = T ⋅( T + 2m

0) che nel limite classico di basse

velocità, quindi con T<< m0, si riduce a: p = 2m

0T

Vediamo ora alcuni esempi di impiego delle tabelle delle masse ed il loro utilizzo per il calcolo dei difetti di massa e delle energie di legame. Cominciamo con il nucleo “composto” più semplice esistente in natura, il deutone (nucleo dell’atomo di deuterio)

12H

1≡ d , composto da un protone e da un neutrone, per il quale Z=1 e A=2

Sulle tavole non si trovano le masse “nucleari” (che nel seguito indicheremo con m, in minuscolo) ma le masse “atomiche” M.

Md = 1876.12378 MeV è la massa dell’atomo di deuterioMp = 938.78296 MeV è la massa dell’atomo di idrogenomn = 939.56537 MeV è la massa del neutrone

Poiché sia l’atomo di deuterio che quello di idrogeno contengono un solo elettrone, si ha che:Md = md + me

Mp = mp + me

Come è facile verificare, a causa dell’energia di legame, risulta: md < mp + mn. Il difetto di massa è pari a: Δm = mp + mn - md = Mp + mn - Md = 2.22 MeV. Questa è appunto l’energia di legame del deutone, e rappresenta il lavoro che bisogna fare per separare il protone dal neutrone.

Notare che abbiamo usato la masse atomiche, non quelle nucleari. Ma poiché il numero degli elettroni che compare nei due termini della differenza è lo stesso, il loro contributo in massa si cancella automaticamente. Questo è vero in genere, per tutti i nuclei.

In effetti nella massa a riposo bisognerebbe tener presente che gli elettroni sono legati, e quindi sottrarre la loro energia di legame. Questa e’ comunque dell’ordine di 13.5⋅Z eV e quindi almeno 8 ordini di grandezza minore della energia a riposo del nucleo (≈ A⋅109 eV).Vediamo qualche altro esempio:

Carbonio 12: M6,12 = 11177.24 MeVΔM6,12 = 6Mp +6mn –M6,12 = 92 MeV.

Alluminio 27: M13,27 = 25133.1426 MeVΔM13,27 = 13Mp +14mn –M13,27 = 229.4 MeV.

Calcio 40: M20.40 = 37222.58 MeVΔM20.40 = 20Mp +20mn –M20.40 = 342.0 MeV.

Iodio 127: M53,127 = 118203.5 MeVΔM53,127 = 53Mp +74mn –M53,127 = 1072.3 MeV.

Energia di legame. Proprietà generali dei nucleiSi definisce “Energia di legame media per nucleone” l’energia di legame del nucleo divisa per il numero di nucleoni che lo costituiscono.

B

Z,A= ΔM

Z,A

BA

=B

Z,A

A=ΔM

Z,A

ADai valori calcolati prima, ricaviamo:

nuclide B (MeV) B/A (MeV)

2H 2.22 1.11

12C 92.1 7.68

27Al 224.9 8.33

40Ca 342.0 8.55

127I 1072.3 8.44

Possiamo notare che, ad eccezione del deuterio, l’energia di legame per nucleone è pressoché costante e dell’ordine di 8 MeV.

La figura 1.6 rappresenta l’andamento di B/A in funzione di A.

Figura 1.6 andamento di B/A in funzione di A

Esiste inoltre una relazione tra il numero di protoni Z ed il numero di neutroni N che compongono un nucleo: se osserviamo infatti come sono disposti i nuclei nel piano Z-N (fig 1.7),

Figura 1.7 la rappresentazione dei nuclei stabili nel piano Z-N

Notiamo che i nuclei esistenti si addensano in una regione ristretta e quindi secondo una relazione del tipo Z=Z(N), oppure Z=Z(A).

Per i nuclei stabili si ottiene: Z =

A2.0 + 0.015 ⋅A2/ 3

In particolare, per A < 40 si ha che N ≈ Z; per nuclei più pesanti N aumenta più velocemente di Z.

Il motivo, che sarà meglio spiegato nel seguito, è il seguente: tutti i nucleoni, cioè sia i protoni sia i neutroni, subiscono indistintamente la forza nucleare attrattiva, mentre solo i protoni subiscono la forza elettrostatica repulsiva.

Quando Z cresce, la stabilità del nucleo tende a diminuire a causa della repulsione coulombiana, le forze nucleari attrattive devono quindi aumentare ed è necessario un numero N di neutroni percentualmente maggiore.

Valori di alcune costanti utili.Abbiamo introdotto nuove unità di misura per l’energia e la massa.La lunghezza è spesso misurata in “fermi”, fm)

1 fm = 10-15 m = 10-13 cm Già che siamo in argomento, apriamo una parentesi riguardante i valori numerici di alcune costanti espresse in MeV e fermi. E’ utile ricordarli: questo semplificherà di molto i calcoli che faremo nel seguito del corso.

la costante di struttura fine (adimensionale) vale: α =

e2

c=

1137

la costante di Planck, espressa in MeV·s, vale: = 6.58·10-22 MeV·sla velocità della luce vale invece: c = 3 1010cm/s =30 cm/ns =3 1023fm/sRicaviamo allora due importanti valori numerici, che incontreremo spesso nel seguito:

c = 197.4 MeV⋅fm

e2 =

c137 = 1.44 MeV⋅fm

Il raggio nucleare

La prima stima delle dimensioni del nucleo fu ottenuta da Rutherford con l’esperimento di scattering di particelle alfa. Per poter spiegare i risultati sperimentali ottenuti dovette assumere che una considerevole parte della massa dell’atomo fosse concentrata nella parte centrale, rappresentabile con una sfera di raggio ≈ 10-13 cm.

Le dimensioni del nucleo furono successivamente determinate con varie tecniche, per esempio:

1) stima del raggio di un nucleo radioattivo emettitore di particelle alfa da una misura della costante di decadimento λ;

2) analisi della formula semiempirica di massa;3) scattering di neutroni veloci da nucleo;4) misure di raggi X emessi da atomi µ-mesici;5) scattering di elettroni veloci da nucleo.

Vediamo brevemente i vari metodi.

Stima del raggio di un nucleo radioattivo emettitore di particelle alfa Gli ultimi elementi della tabella periodica, i più pesanti, sono instabili per decadimento alfa. In base alla legge semiempirica di Geiger-Nuttal, l’energia cinetica Tα della particella alfa emessa è legata alla vita media τ di decadimento attraverso la relazione:

ln τ( ) + A ⋅ ln T

α( ) = B

I coefficienti A e B sono tali che una piccola differenza in energia della particella alfa (da 9 a 4 MeV) corrisponde ad una enorme variazione della vita media (da 10-7 secondi a 1010 anni). Questa caratteristica del decadimento alfa è dovuta all’effetto tunnel quantistico di passaggio attraverso alla barriera di potenziale colombiana (fig. 1.8)

fig. 1.8 lo spessore della barriera diminuisce fortementeall’aumentare dell’energia cinetica della particella alfa

Dal momento che uno dei limiti della barriera coincide con il raggio del nucleo R, l’espressione teorica della vita media τ di un nucleo che decade alfa contiene R che può essere ricavato dai risultati sperimentali di Tα e τ.

Si è trovato che i raggi di tutti i nuclei α-radioattivi possono essere descritti bene dalla formula: R = r

0⋅A1/3 , dove r0 = (1.45 - 1.5)⋅10-13 cm.

Nuclei speculariDue nuclei 1 e 2 sono speculari quando, a parità di A (A1=A2=A), hanno Z1=N2 e Z2=N1 Supponiamo che, in seguito ad un decadimento β+, un nucleo (A,Z1,N1) si trasformi nel suo nucleo speculare (A,Z2=Z1-1,N2=N1+1). Per i nuclei speculari, il numero di neutroni N=A–Z, per un nucleo deve essere uguale al numero di protoni Z-1 nell’altro nucleo: A-Z=Z-1, per cui: A=2Z-1 (Qui Z è il numero atomico del nucleo a Z maggiore) Esempi di decadimenti β+ tra nuclei speculari sono:

611 C

5 β+⎯ →⎯5

11B6 ,

713N

6 β+⎯ →⎯6

13C7 ,

815O

7 β+⎯ →⎯7

15N8 ,

917 F

8 β+⎯ →⎯8

17 O9 , ... ,

1223Mg

11 β+⎯ →⎯11

23Na12 , ....

Come vedremo, le forze nucleari non dipendono dalla carica. Per questo si assume che la differenza in energia di legame di due nuclei speculari dipenda unicamente dalla

diversa repulsione coulombiana, cha a sua volta dipnede dal numero di protoni presenti nel nucleo. Per una distribuzione di carica sferica l’enrgia potenziale coulombiana vale:

Ec =35Z 2e2

RLa differenza di energia potenziale coulombiana tra due nuclei speculari è data da:

ΔEc =3e2

5RZ 2 − Z −1( )2( ) = 3e

2

5R2Z −1( ) = 3e

2

5RA

Le energie di legame dei due nuclei speculari sono rispettivamente:B Z,A( ) = Zmp + A − Z( )mn −m Z,A( )B Z −1,A( ) = Z −1( )mp + A − Z +1( )mn −m Z −1,A( )Pertanto:ΔB = B Z −1,A( )− B Z,A( ) = mn −mp +m Z,A( )−m Z −1,A( )Se assumiamo che la differenza di energia di legame tra due nuclei speculari sia dovuta esclusivamente alla repulsione coulombiana: ΔB = ΔEc . E risulta:

ΔB = ΔEc =3e2

5RA

Esprimendo ancora il raggio del nucleo nella forma: R = r0A1/3 si ottiene a relazione:

ΔB = 3e2

5r0A2/3

la dipendenza lineare di ΔB da A2/3

Così il valore di r0 può essere trovato dalla pendenza della retta ottenuta riportando il valore sperimentale ΔBsper in funzione di A2/3. Il valore ΔBsper si ricava anche dalla conservazione dell’energia nel decadimento beta:m(A,Z) = m(A,Z-1) + me + Tβ + Eν = m(A,Z-1) + me + Tβmax

Zmp + (A-Z)mn - B(A,Z) = (Z-1)mp + (A-Z+1)mn -B(A,Z-1) + me + Tβmax

ΔB

sper= T

β+ max+ m

e+ m

n− m

p( ) ⋅c2 = Tβ+ max

+ 1.8 MeV

Questo metodo ha dato il seguente risultato: r0 = (1.2 - 1.3)⋅10-13 cm.

Scattering di neutroni veloci da nucleiSe un fascio di neutroni veloci incide su un bersaglio di spessore finito, il numero di neutroni che vengono sottratti al fascio a causa di interazione con i nuclei-bersaglio è una funzione della profondità all’interno del bersaglio. In particolare, le interazioni che avvengono alla profondità x in uno straterello dx sono: dN = −N( x) ⋅ n ⋅ σ ⋅ dx , dove N(x) è il numero di neutroni che sono giunti alla profondità x senza interagire, n il numero di nuclei-bersaglio per unità di volume e σ la sezione d’urto di interazione neutrone-nucleo.

Se integriamo su uno spessore d finito, il numero di neutroni che sopravvivono sarà

dato da: N( d) = N0e−n⋅σ⋅d , dove N0 è il flusso incidente. Noto lo spessore e la densità

del bersaglio e misurata l’attenuazione del fascio di neutroni, si può ricavare il valore

della sezione d’urto σ: σ =

1n ⋅ d

lnN

0

N( d)

⎝⎜⎜

⎠⎟⎟

Dal momento che, da considerazioni teoriche si ha che: σ = 2π ⋅R2 , dall’esperimento si

può ricavare il valore di R. Si ritrova ancora la dipendenza: R = r0⋅A1/ 3 , con un valore di

r0 = (1.3 - 1.4)⋅10-13 cm.

Misure di raggi X emessi da atomi µ-mesici.

Una nuova particella elementare, chiamata muone, è stata scoperta nei raggi cosmici nel 1938. I muoni possono essere positivi e negativi, hanno una massa pari a 207me, e decadono con una vita media di circa 2 µs in elettrone ed una coppia di neutrini muonico

ed elettronico. (Più precisamente: µ+ → e+ + ν

e+ ν

µ , e µ− → e− + ν

e+ ν

µ )

Il muone si comporta sotto molti aspetti come un elettrone. Quando un muone, opportunamente decelerato, si trova nelle vicinanze di un nucleo può essere catturato in una delle orbite di Bohr e formare un atomo µ-mesico. Il raggio dell’orbita del muone è 207 volte più piccolo (sta nel rapporto inverso delle masse) della corrispondente orbita di Bohr di un elettrone> Per esempio, il raggio dell’orbita K di un µ-atomo di piombo (Z=82) vale

rK µ−

=2

Zmµe2 ≈ 3 10-13 cm.

Gli atomi µ-mesici hanno le stesse proprietà degli atomi ordinari: in particolare transizioni di µ da un’orbita all’altra sono accompagnate da emissione di raggi X.

Le energie di questi raggi X possono essere calcolate teoricamente e misurate sperimentalmente.

Dato che il raggio dell’orbita del µ è molto piccolo, il valore calcolato dell’energia della radiazione X emessa dipende fortemente dalle dimensioni del nucleo.

Quindi il raggio del nucleo può essere dedotto dai valori sperimentali delle energie dei raggi X emessi.

Il metodo è estremamente sensibile: per esempio, nel caso del piombo (A-=208),

variando il raggio nucleare da 0 a 1.3 ⋅ 2083 ⋅10−13 cm, l’energia della radiazione emessa da un µ-atomo varia da 16 a 5.5 MeV.

Misure dell’energia radiante di un µ-atomo di Piombo ed un confronto con calcoli teorici

danno: RPb= 1.17 ⋅10-13 ⋅2081/3cm

Scattering di elettroni veloci da nucleo

Il nostro modo usuale di determinare le dimensioni e la forma di un oggetto è esaminare la radiazione da esso diffusa (che è, alla fine, ciò che facciamo quando guardiamo un oggetto o lo fotografiamo).

Per vedere un oggetto nei suoi dettagli, la lunghezza d’onda della radiazione che lo “illumina” deve essere più piccola delle dimensioni dell’oggetto: altrimenti gli effetti di diffrazione oscurerebbero parzialmente o completamente l’immagine.

Per i nuclei, che hanno un diametro dell’ordine della decina di fermi, richiediamo λ ≤ 10 fm, che corrispnde ad un impulso p = h/λ ≥ 100 MeV/c.

Con gli acceleratori possono essere prodotti fasci di elettroni con energia da 100 MeV ad 1 GeV e possono, tramite uno spettrometro, essere analizzati dopo l’interazione con il nucleo per selezionare solo quelli diffusi elasticamente.

La figura mostra i risultati di un esperimento del genere. È chiaramente visibile il primo minimo diffrattivo: per diffrazione da un disco circolare di diametro D, il primo

minimo dovrebbe apparire ad un angolo dato da: θ = sin−1 1.22λ

D

⎝⎜

⎠⎟

θscatt

Il calcolo fornisce per i raggi nucleari il valore di 2.6 fm per il 16O e di 2.3 fm per il 12C. Queste sono solo stime approssimate perchè il potenziale di scattering è in 3-D e può solo essere approssimato alla diffrazione da un disco bidimensionale.

La figura che segue mostra i risultati di scattering elastico da 208Pb: sono presenti parecchi minimi nello spettro diffrattivo, e i minimi non vanno a zero come nel caso della luce ordinaria incidente su un disco opaco perchè il nucleo non ha un limite netto.

Affrontiamo il problema da un punto di vista più quantitativo. La funzione d’onda

iniziale dell’elettrone ha la forma eiki ⋅r

, appropriata per una particella libera di momento pi = ℏki. Anche l’elettrone diffuso può essere visto come una particella libera

di momento pf = ℏkf e funzione d’onda eikf ⋅r.

L’interazione V(r) trasforma la funzione d’onda iniziale nella funzione d’onda diffusa, e la probabilità di transizione (regola d’oro di Fermi) sarà proporzionale al quadrato della quantità:

F(k

i,k

f) = ψ

f* ⋅V( r)∫ ⋅ ψ

idv

F( q) = eiq⋅r ⋅V( r)∫ ⋅ dv (1.1)

a parte un fattore di normalizzazione che viene scelto in modo che F(0)=1.Qui q = ki - kf è il momento trasferito, ossia la variazione di momento dell’elettrone. Il potenziale di interazione V(r) dipende dalla densità di carica nucleare Zeρe(r’), dove r’ è una coordinata che descrive un punto nel volume nucleare e ρe(r’) rappresenta la distribuzione di carica nucleare (vedi fig. 1.12)

fig. 1.12 la geometria degli esperimenti di scattering

L’energia potenziale dV(r) dovuta alla carica dq situata in r’ è data da:

dV( r) = −edqr − r'

= −Ze2ρ

e( r')dv'

r − r'

Per trovare l’energia di interazione completa bisogna integrare su tutto il nucleo:

V( r) = −Ze2ρ

e( r')dv'

r − r'∫

Sostituendo V(r) nella espressione: F( q) = eiq⋅r ⋅V( r)∫ ⋅ dv e integrando su r, il

risultato opportunamente normalizzato è:

F( q) = eiq⋅r'ρe( r')∫ ⋅ dv'

Nel caso di simmetria sferica ρe(r’) dipende soltanto da r’ (e non da * ’ e φ‘), e si ottiene:

F( q) =

4πq

sin( qr') ⋅ ρe( r')∫ ⋅ dr' . (1.2)

Questa quantità è una funzione di q (modulo di q). Dal momento che abbiamo assunto scattering elastico, |kf| = |ki| = k. Noto il momento iniziale dell’elettrone, q è

semplicemente una funzione dell’angolo α tra le direzione di pi e pf: q =

2p

sin α / 2( )ossia dell’angolo di diffusione dell’elettrone rispetto alla sua direzione iniziale.

α

k

k

q

Una misura della probabilità di scattering in funzione dell’angolo α fornisce la dipendenza di F(q) da q. La quantità F(q) è nota come fattore di forma del nucleo e l’inversione numerica della

F( q) =

4πq

sin( qr') ⋅ ρe( r')∫ ⋅ dr'

(in sostanza una antitrasformata di Fourier) fornisce il valore di ρe(r’). I risultati di questa procedura per diversi nuclei sono mostrati in fig 1.14

fig. 1.14 la distribuzione radiale di carica per alcuni nuclei

La figura mostra anche quanto poco netta appare la superficie esterna del nucleo. Il

valore r2

1/ 2

, assunto come valore del raggio del nucleo, è dedotto direttamente dalla

distribuzione degli elettroni diffusi: per una sfera uniformemente carica di raggio R

varrebbe: r2 = 3

5R2 .

In fig 1.15 sono riportati per diversi nuclei i valori misurati di r2

1/ 2

in funzione di A1/3:

si vede come la relazione R = r0⋅A1/ 3 sia valida per un amplissimo valore de numero di

massa A. Dalla pendenza della curva si ricava il valore di r0 = 1.23 fm.

fig. 1.15 dipendenza del raggio nucleare da A1/3

Confronto critico dei risultati.

La relazione R = r0A1/3 è ritrovata con tutti i metodi usati. Resta una discrepanza nel

valore di r0 tra un metodo e l’altro. Vi sono motivi teorici che portano a considerare eccessivo il valore r0 = (1.45 - 1.5)⋅10-13 cm ottenuto dalla legge di Geiger-Nuttal, e se escludiamo questa tecnica, la discrepanza tra i valori r0 = (1.2 - 1.3)⋅10-13 cm e r0 = (1.3 - 1.4)⋅10-13 cm può essere spiegata come segue. Quando investighiamo le proprietà elettromagnetiche del nucleo (radiazione X da un µ-atomo, scattering di elettroni,..), i risultati degli esperimenti sono confrontati con calcoli basati su assunzioni che riguardano il raggio di una sfera che contiene i nucleoni (anzi, i protoni). Quindi lo studio delle proprietà elettromagnetiche conduce al valore sperimentale del raggio nucleare R = 1.2 ⋅10−13 ⋅A1/ 3 cm, che è il raggio della distribuzione sferica di carica. In esperimenti sullo scattering di neutroni da nucleo si studia invece l’interazione nucleare dei neutroni con il nucleo. Quindi con questi esperimenti non misuriamo il raggio nucleare, ma in un certo senso una quantità leggermente maggiore: il range delle interazioni nucleari. R = 1.3 ⋅10−13 ⋅A1/ 3 cm.

Infine aggiungiamo che l’alta accuratezza degli esperimenti attuali di scattering di elettroni di elevata energia (> 500 MeV) su nuclei, non solo aiuta a determinare il valor medio della regione occupata dai protoni, ma fornisce anche una stima della densità di distribuzione di carica nel nucleo. Si è trovato che i risultati sperimentali sono in accordo con una distribuzione non uniforme di carica nel nucleo, del tipo:

ρ( r) =ρ

0

1 + exp r − R0( ) / δ⎡

⎣⎢⎤⎦⎥

r

ρ/ρ0

R0

d

fig. 1.16 distribuzione della densità di carica in un nucleo

Secondo questa formula la densità di carica è costante nella zona interna del nucleo e decresce gradualmente verso la superficie esterna. La quantità R0 rappresenta la distanza dal centro del nucleo della zona nella quale la densità si riduce alla metà, mentre δ ≈ 0.55⋅10-13 cm, rappresenta la rapidità di attenuazione della carica. Lo spessore d della zona di transizione (da 0.9⋅ρ0 a 0.1⋅ρ0) è legato a δ dalla semplice relazione: d = 4.4 δ = 2.4·10-13 cm ed è praticamente lo stesso per tutti i nuclei. Quindi la regione di densità costante diminuisce al diminuire di Z e sparisce del tutto per i nuclei leggeri con Z ≤ 6.