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Piante e cambiamenti ambientali

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Piante e cambiamenti ambientali

Testi di:Francesco Bracco, Marco Caccianiga, Cristina Delucchi, Gelsomina Fico, Federica Gironi, Fabrizio Grassi, Marcello Iriti, Valentino Martinelli, Emanuela Martino, Gabriele Rinaldi, Mara Sugni, Sara Vitalini, Gabriele Zoia.

© Rete degli Orti Botanici della Lombardia.

Redazione:Pia Meda, Gabriele Rinaldi, Francesco Zonca.

Fotografie© W. Anselmi, F. Gironi, Shutterstock, F. Valoti.

Stampato nel mese di luglio 2009.

Con il sostegno di:

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IndIce

IntroduzIone

Le piante rispondono ai cambiamenti ambientalidi GABrIeLe rInALdI rete degli orti Botanici della Lombardia 5

Le piante e l’inquinamentodi MArA SuGnI orto Botanico di Bergamo “Lorenzo rota” 9

Piante e sfruttamento dei pascoli alpinidi FederIcA GIronI e VALentIno MArtIneLLIGiardino Botanico Alpino “rezia” 19

Gli alberi come “archivi naturali” del climaa cura di GABrIeLe zoIA* e MArco cAccIAnIGA**orto botanico di Brera*, università degli Studi di Milano** 31

Le piante e l’inquinamento dell’acquadi FABrIzIo GrASSI dell’orto Botanico di cascina rosa di Milano 47

Piante e allergiedi FrAnceSco BrAcco dell’orto Botanico di Pavia Schede a cura di: cristina delucchi e emanuela Martino 55

Le piante e i cambiamenti climaticidi MArceLLo IrItI, SArA VItALInI, GeLSoMInA FIcoorto Botanico di G. e. Ghirardi 83

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Le PIAnte rISPondono AI cAMBIAMentI AMBIentALI

di GABrIeLe rInALdI, rete degli orti Botanici della Lombardia

Le piante rispondono ai cambiamenti ambientali, sempre, e lo fanno a modo loro. Gli orti botanici della Lombardia sono luoghi ideali per rendersi conto di questo fenomeno: essi infatti ospitano una moltitu-dine di specie e varietà che sono l’espressione della storia delle flore, della diversità ambientale, della plasticità genetica. Piante di monta-gna, di pianura, acquatiche, rupicole, di deserto, di foreste tropicali, ruderali, di coltivi e di molti altri ambienti convivono artificiosamente ed ogni individuo in coltivazione ha una storia propria che si innesta su quella della specie o della varietà colturale o naturale a cui ap-partiene. tutte sono espressione dell’evoluzione ed al contempo delle dinamiche dei popolamenti, di un cambiamento interiore, intimo, ge-netico e delle vicende ambientali cui esse stesse hanno contribuito. Questo opuscolo ha lo scopo di introdurre il tema secondo sei punti di vista differenti, quello degli orti botanici di Bergamo, Bormio, Milano - Brera, Milano - cascina rosa, Pavia, toscolano Maderno costituitisi in associazione per dare corpo a progetti d’interesse comune. Le principali modificazioni ambientali prese in considerazione sono dovute ai cambiamenti climatici, all’inquinamento dell’atmosfera e delle acque, all’effetto sulle vegetazioni delle attività antropiche, com-presa la loro sospensione, senza perdere di vista il fatto che le piante stesse sono esseri che influenzano marcatamente la vita degli altri organismi. Basti pensare alle specie allergeniche per l’uomo, esem-pio di interazione problematica con le piante, oppure ai molteplici ef-fetti positivi degli alberi in città.

IntroduzIone

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L’opuscolo aiuta a comprendere che l’inquinamento atmosferico e le modificazioni climatiche agiscono direttamente sul metabolismo de-gli organismi influenzando poi le relazioni tra specie. Vi sono cambiamenti ambientali che portano al notevole successo di specie un tempo svantaggiate e, al contempo, minacciano la so-pravvivenza di altre. Il riscaldamento climatico in corso sta favoren-do sia l’affermazione di specie di climi caldi anche in Lombardia, sia l’espansione dei boschi di conifere in quota, ed al contempo minaccia le specie microterme d’altitudine che trovano condizioni idonee di vita ai limiti superiori delle montagne. un altro tema toccato è l’uso ocu-lato delle piante, fondamentale per indurre cambiamenti ambientali positivi anche per il nostro habitat, grazie alla fitodepurazione delle acque, alla decontaminazione del suolo, alle mitigazioni degli effetti di un ambiente urbano che a volte è percepito come ostile proprio da noi che lo abitiamo.

Molti sono gli stimoli proposti dagli autori, ci auguriamo che queste pagine riescano ad offrire ai visitatori, agli insegnanti e alle scolare-sche, alcune delle chiavi di lettura alle collezioni dei nostri orti bota-nici, agli habitat, alle comunità vegetali, all’evoluzione, al legame con la vita dell’uomo.

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Orto Botanico di Bergamo “Lorenzo Rota”Scaletta di colle Aperto, città Altaufficio, direzione, erbari: Passaggio torre d’Adalberto, 2 - 24129 Bergamotel 035 286060 - fax 035 270318www.ortobotanicodibergamo.ite-mail: [email protected]

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Le PIAnte e L’InQuInAMentodi MArA SuGnI

orto Botanico di Bergamo “Lorenzo rota”

Quando si parla di inquinamento ci si riferisce ai possibili effetti negativi sulla vita e sulla salute umana. Spesso ci si dimentica, però, che le modificazioni ambientali dovute alla produzione e all’emissione di sostanze nocive da parte dell’uomo riguardano tutti gli organismi, vegetali inclusi. e poiché la nostra vita dipen-de interamente dalle piante (ce ne nutriamo e se ne cibano gli animali che alleviamo, ci curano dalle malattie, ci vestono, ecc.) forse dovremmo soffermarci maggiormente su questo aspetto. Le piante, infatti, risentono dell’inquinamento ambientale ma possono anche influire positivamente sui danni che da esso deri-vano o addirittura attenuarne gli effetti.

Le piante cOme BiOindicatORi da decenni la sensibilità delle piante alla presenza di inquinanti viene studiata per mettere a punto sistemi di monitoraggio della qualità di aria ed acque. Questi metodi sono basati sulla cono-scenza delle caratteristiche di resistenza alle sostanze tossiche inquinanti da parte di alcune specie e sulla valutazione della pre-senza o assenza (oppure anche delle alterazioni strutturali, mor-fologiche, fisiologiche in qualche modo misurabili) di tali specie in una data area. In pratica si tratta di usare le piante come “misuratori” dello stato di degrado dell’ambiente, studiando le comunità vegetali e valu-tando se le specie presenti sono quelle caratteristiche di ambienti inquinati oppure no. Le piante e La quaLità deLL’aRia: i Licheni

I licheni, straordinari organismi costituiti da una simbiosi tra un fungo e un’alga, sono dei tipi bioindicatori. essi hanno infatti la caratteri-

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stica di dipendere totalmente dalle condizioni atmosferiche e chi-miche dell’aria: non possedendo radici, assorbono ciò che è loro necessario solo attraverso la propria superficie esterna che, ol-tretutto, non possiede rivestimenti protettivi. Questo significa che se l’aria è inquinata e le sostanze inquinanti sono tossiche per i licheni questi ne risentono in maniera diretta.negli anni ‘90 del secolo scorso un importante studio condotto sulla provincia di Bergamo (Progetto Lichenes, Arosio e rinaldi, 1994, a cura del Museo civico di Scienze naturali) ha consentito di redigere una mappa relativa alla qualità dell’aria in base allo studio delle popolazioni licheniche epifite (ovvero dei licheni che vivono sulla corteccia degli alberi).Le immagini riportano alcune fra le specie più sensibili e quindi caratteristiche di zone a basso livello di inquinanti (metalli pe-santi e sostanze organiche, ecc.) ma anche esempi di specie più tolleranti e perciò individuabili anche in aree inquinate.

Phaeophyscia orbicularis (Foto di F. Valoti)

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candelaria concolor (Foto di F. Valoti)

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danni da ozono su foglie di nicotiana tabacum Bel-W3 in seguito ad esposizione acuta ad ozono (100ppb/3h), e relativo controllo. I tipici sintomi sono delle allessature.

i danni deLL’inquinamentO suLLe piante nonostante le piante possano rivelarsi utili coadiutori nel contrastare l’inquinamento, esse stesse risentono della presenza nell’ambiente di sostanze tossiche.uno dei maggiori fattori di rischio per la salute dei vegetali nelle no-stre città è la presenza di ozono, che danneggia il dnA, le macromo-lecole lipidiche e proteiche.

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fonte: Marcello Iriti e Franco Faoro A differenza degli animali, però, le piante producono, come prodot-ti primari o secondari del proprio metabolismo, diverse sostanze in grado di contrastare l’effetto dell’ozono e delle specie radicaliche os-sidanti (come ad esempio l’acido ascorbico o vitamina c). Gli animali, e quindi anche l’uomo, per contrastare l’azione di tali sostanze sono costretti ad assumere con la dieta gli antiossidanti di cui hanno biso-gno (vitamine A, e e c).Fonte: M. Iriti, F. Faoro, “oxidative Stress, the Paradigm of ozone toxicity in Plants and Animals” Water Air Soil Pollut (2008) 187:285–301. Le piante cOntRO L’inquinamentO 1. inquinamentO deLL’aRia: assORBimentO di sOstanze tOssiche e deLLe pOLveRi sOttiLiche le piante abbiano un effetto benefico sulla salute umana è noto da tempo. diversi studi evidenziano i motivi di questa positiva influenza.

danni da ozono su foglie di Lycopersicon pimpinellifolium in seguito ad esposizione acuta ad ozono (60-100 ppb/3h). I tipici sintomi sono le picchiettature clorotiche (sin.) e le bronzature (centro); a destra controllo.

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da una parte sembrano essere coinvolti meccanismi indiretti: un esempio viene richiamato dallo studio pubblicato sul Journal of epidemiology and community Health da un gruppo di ricercatori della columbia university di new York (G. S. Lovasi, J. W. Quinn, K. M. neckerman, M. S. Perzanowski, A. rundle, children living in areas with more street trees have lower prevalence of asthma, JecH, 2008;62:647-649).esso riguarda la correlazione tra i casi di asma infantile e la pos-sibilità da parte dei bambini di frequentare aree verdi. e’ stato di-mostrato che i bimbi abitanti in quartieri dove sono presenti molti alberi sono meno soggetti ad attacchi di asma; si ipotizza che ciò sia dovuto al fatto che il loro sistema immunitario venga in contatto con una moltitudine di sostanze diverse, in particolare quelle emesse dai vegetali, ed è quindi più difficile che insorgano episodi di allergie ed asma.

In secondo luogo vi sono evidenze relative a meccanismi diretti che vedono le piante come agenti efficaci della mitigazione degli effetti dell’inquinamento.Alcune specie resistenti agli inquinanti, infatti, possono agire come elementi di riduzione di queste stesse sostanze in ambiente urbano perchè sono in grado di eliminarle tramite assorbimento e succes-siva metabolizzazione.ciò è possibile perché durante il giorno le foglie, oltre ad emettere ossigeno e assorbire anidride carbonica attraverso gli stomi, pos-sono anche assorbire, sempre attraverso gli stomi, gas inquinanti come ozono (o3), monossido di carbonio (co), biossido d’azoto (no2) e anidride solforosa (So2). tale rimozione avviene a livello della su-perficie fogliare e nei tessuti vegetali ed è specifica per ogni specie vegetale. A partire da un accurato studio delle caratteristiche di di-verse specie, il cnr di Bologna, ha realizzato un data base delle specie vegetali caratteristiche della zona ed ha individuato fra que-ste le più adatte ad assorbire le sostanze tossiche provenienti dalle emissioni antropiche.Sembra ad esempio che il tiglio selvatico (tilia cordata), il bianco-spino (crataegus oxyacantha) e l’orniello (Fraxinus ornus) siano tra le specie migliori da utilizzare per ridurre la concentrazione di ani-dride carbonica nell’aria. Sarebbe invece opportuno non utilizzare lo storace (Liquidambar styraciflua) per questo scopo a causa delle alte emissioni di composti organici volatili che in aree molto inqui-nate reagiscono con altre sostanze producendo nuovi veleni.

Fonte: (rita Baraldi, presentazione dei primi risultati della ricerca:“Alberature e mitigazione del microclima urbano”e prospettive applicative, centro Servizi per il Florovivaismo)

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Biancospino tiglio orniello

un altro effetto benefico diretto delle piante è dovuto all’azione di mi-tigazione sul microclima urbano: con l’evapotraspirazione fogliare, infatti, si ha un abbassamento locale della temperatura (così come succede col sudore sul nostro corpo!), con una ricaduta diretta sulla produzione di radicali dannosi, come ad esempio l’ozono, che si for-ma più facilmente in condizioni di temperature elevate.

Fonte: Marelli F., rossi S., Georgiadis t., Il riscaldamento della città, Scienza on line, 2006, 30.

Sinistra:L’energia solare incidente su ampie zone verdi viene in gran parte utilizzata dal-la vegetazione per processi traspiratori e fotosintetici, provocando un sensibile abbas-samento della temperatura dell’aria. - 1 ombreggiamento - 2 riflessione - 3 convezione - 4 evapotraspirazione e processi fotosintetici. destra: In aree urbane densamente edificate, l’energia solare viene riflessa ed assorbita dalle pareti verticali degli edifici, aumentandone così il carico termico.

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Il potenziale di riduzione dell’inquinamento da parte delle piante è ancora più evidente se si considera che gli alberi (e i cespugli, ma in maniera minore) intercettano e sequestrano le polveri sottili pre-senti nell’atmosfera. ciò grazie all’ampia superficie fogliare che essi espongono all’aria delle città, dove fungono da veri e propri filtri. e’ stato appurato che, nell’ambito del complesso fenomeno della depo-sizione del particolato, piante con rami densi, fogliame fitto e foglie numerose e rugose o frastagliate hanno un elevatissimo effetto fil-trante e di abbattimento delle polveri. In generale le latifoglie hanno una attitudine maggiore di sequestro di queste ultime perché con la caduta delle foglie promuovono l’eliminazione del particolato, che però viene trattenuto dal suolo. Si è anche appurato che le piante gio-vani, che hanno più foglie e quindi una maggior superficie esposta costituiscono un filtro più efficiente. 2. inquinamentO deL teRRenO: fitORemediatiOnun altro ambito di utilizzo delle piante come elemento di ausilio nella mitigazione dell’inquinamento ambientale è quello relativo alla fito-remediation, ovvero all’impiego dei vegetali come sistemi di detossifi-cazione di acque e suoli inquinati.Alcune specie vegetali, infatti, sono in grado di sequestrare metalli pesanti e sostanze organiche “risanando” siti contaminati.

tutti i mOdi peR RipuLiRe iL teRRenO e Le acque cOn Le piante.In alcuni casi l’inquinante è assorbito dalle radici e viene trasformato all’interno della pianta (fitodegradazione). In altre situazioni, invece, la sostanza viene degradata dai microrganismi che vivono attorno alle radici, grazie allo stimolo delle sostanze prodotte dalle radici stesse (rizodegradazione). Può anche accadere che l’inquinante sia im-mobilizzato nell’interfaccia radice-suolo, con conseguente riduzione della sua biodisponiblità (fitostabilizzazione). Può inoltre capitare che l’inquinante sia assorbito e poi liberato (eventualmente anche in un’altra forma) nell’atmosfera: si parla allora di fitovolatilizzazione.

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Si possono effettuare interventi di rizofiltrazione quando le radici as-sorbono un contaminante presente in una soluzione acquosa, oppure di fitoestrazione quando le piante accumulano i contaminanti all’in-terno dei loro tessuti: in tal caso è necessario asportare periodica-mente la biomassa vegetale per allontanare la sostanza.

Infine è possibile utilizzare I vegetali per depurare le acque reflue in insediamenti civili di piccole dimensioni: sono già in commercio ap-positi kit per la costruzione di piccoli impianti di fitodepurazione che consentono di ripulire le acque di scarico delle abitazioni ed eventual-mente di riutilizzarle per altri scopi (ad esempio per l’irrigazione).diverse specie vegetali sono allo studio per verificare il loro potere fitorisanante: eccone un elenco.

Gli studi effettuati evidenziano come questa tecnica sia la più econo-mica ma anche quella più rispettosa dell’ambiente tra quelle attual-mente disponibili (trattamenti chimici, lavaggio del suolo, trattamenti termici) per il risanamento di suoli inquinati.

Fonte: A. contangelo, A. Petrozza, A. Palma, Specie Vegetali per risanare terreni contaminati da metalli, Agrifoglio, (2008) 25:14-15

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specie vegetaLe metaLLi accumuLaBiLi

Arabidopsis spp cd, Fe, zn

Artemisia princeps cd, zn, cu, Pb

Beta maritima Pb, cu, zn

Brassica campestris Pb, cu, zn

Brassica carinata Pb, cd, cr

cyperus spp cd, zn, cu, Pb

Helianthus annuus Pb, Sr, cs, zn, As, cd, u

Lactuca sativa cd

Linum usitatissimum cd, Pb

Medicago sativa cd, Pb

Miscanthus spp cd, zn, cu, Pb

Poa annua cd, cu, ni, Pb, cr

raphanus sativus cd, cu, Pb, zn, cr

zea mais cd, cu, ni

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giardino Botanico alpino “Rezia” Via G. Sertorelli, 23032 Bormio (So)tel. 0342 927370 - fax 0342 [email protected]@[email protected]

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PIAnte e SFruttAMento deI PAScoLI ALPInI

di FederIcA GIronI e VALentIno MArtIneLLIGiardino Botanico Alpino “rezia”

Il paesaggio alpino è stato a lungo considerato come “ambiente na-turale”, isolato e ben distinguibile dal resto del territorio e, come tale, non soggetto alle diffuse trasformazioni a opera dell’uomo. In tempi più recenti si è affermata la consapevolezza delle profonde relazioni tra uomo e montagna che hanno portato alla lenta trasformazione di intere fasce vegetazionali. osservando un versante coperto da foreste, risulta molto difficile immaginarlo privo delle caratteristiche aree pra-tive (maggenghi) e ancor più arduo pensare che il limite delle foreste possa sfumare gradualmente in una ampia fascia di cespuglieti, anzi-ché affacciarsi all’improvviso sulle praterie d’alta quota (alpeggi).

Sopra: vista dal Passo del Mortirolo verso le Alpi retiche.Sotto: cima Piazzi, Valdidetro (So) – (autore: Gironi F.)

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La vegetazione alpina è determinata dalla convivenza di due principali fattori limitanti, che interagiscono reciprocamente: il clima rigido e l’utilizzo da parte dell’uomo. negli ultimi decenni entrambi questi fattori stanno cambiando, con l’aumento globale della temperatura e l’abbandono della montagna.A un occhio attento non possono sfuggire le prime avvisaglie di que-ste modificazioni in atto: c’è un deciso innalzamento del limite degli alberi e una progressiva riduzione delle aree prative intraforestali.I profondi cambiamenti che sono in atto nel paesaggio alpino sono quindi determinati sia dal “global change” sia dal cambiamento nell’uso del suolo da parte dell’uomo.distinguere gli effetti causati dall’uno o dall’altro è assai difficile; spesso viene erroneamente attribuito un peso preponderante al cambiamento climatico.L’effetto prodotto dalla mancata gestione dei pascoli alpini, allo sta-to attuale, può essere molto significativo, sia in termini qualitativi sia quantitativi.

iL Limite degLi aLBeRi

Il limite degli alberi (treeline) e il limite della foresta (timberline) sono elementi facilmente individuabili nel paesaggio alpino. entrambi sono determinati da fattori che limitano la crescita delle specie arboree, in particolare la temperatura e le precipitazioni, ma anche, localmente, il tipo di vegetazione e di suolo, la copertura nevosa, la topografia e il vento. In particolare la crescita delle specie arboree richiede la pro-duzione di grandi quantità di biomassa, che è fortemente ridotta alle basse temperature (Körner 1999).

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Schema rappresentativo di come si presentano i limiti della foresta e del bosco (autore: Gironi F.)

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nelle aree alpine, in condizioni naturali, la zona di passaggio tra il limite della foresta e quello degli alberi è costituita da una stretta fa-scia altitudinale di circa 100-200 metri. L’impatto antropico, ad esem-pio il disboscamento del margine forestale, ha provocato nei secoli un abbassamento del limite della foresta che può superare i 300-400 metri (tinner & Vescovi, 2007).Gli studi dei pollini fossili mostrano come, in tempi geologici, le varia-zioni del limite della foresta e del limite degli alberi abbiano seguito l’andamento climatico, con oscillazioni comprese entro i 300-400 me-tri. risulta quindi evidente che, essendo paragonabili le due escur-sioni (dovute rispettivamente ad azione antropica e al cambiamento climatico), i loro effetti siano difficilmente scindibili.L’effetto combinato di questi due elementi ci permette di osservare attualmente un’ampia fascia dove il bosco avanza alle quote superio-ri, invadendo le aree tradizionalmente occupate dai pascoli alpini.osservando con attenzione si nota come la risalita degli alberi sia ac-compagnata da una netta variazione della composizione del pascolo. Specie più prettamente forestali, sia arbustive sia erbacee, prendono il sopravvento sulle specie di prateria man mano che la componente arborea avanza. come per l’innalzamento del limite degli alberi, si nota una rapidissima espansione della fascia degli arbusti, con la for-mazione di estesi cespuglieti a rododendro o ginepro che sostituisco-no i pascoli alpini. Anche questo fenomeno può essere ricondotto in buona parte alla sospensione dell’attività antropica di cura del pasco-lo. tradizionalmente, infatti, la fascia dei cespuglieti era attivamente “contenuta” mediante incendio, allo scopo di guadagnare preziosi spazi per il pascolo del bestiame.

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Sotto: Val cedéc, Valfurva (So) - espansione della fascia dei cespuglieti che invadono i pascoli alti. Si noti come la timberline e la treeline, visibili in secondo piano, siano molto più alti di quello che appare in primo piano. Il limite del bosco visibile in primo piano è stato storicamente “abbassato” per far posto ai pascoli, che ora appaiono completamen-te ricolonizzati da arbusti e alberi isolati. (autore: Gironi F.)

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shifting e scOmpaRsa specie aLpine

La ricerca sul possibile effetto del “global change” sulle aree di prateria alpina è appena agli albori e i diversi progetti attivati per comprendere i complessi fenomeni in atto sono spesso ancora alle fasi iniziali. tralasciando gli effetti fisiologici e fenologici, trattati più dettagliatamente dalle altre relazioni della presente pubblicazione, si accenna soltanto all’effetto che l’innalzamento della temperatura potrebbe avere sulla distribuzione delle fasce di vegetazione.tra le altre, alcune osservazioni temporali sulla distribuzione della vegetazione alpina mostrano uno slittamento delle fasce di vegetazione variabile da 1 a 4 metri ogni dieci anni (Walther et al., 2002 nature). tralasciando la complessa questione dei modelli utilizzati, che producono dati non sempre coerenti tra loro, appare evidente come lo slittamento verso l’alto delle vegetazioni di alta quota po-trebbe portare alla scomparsa di alcune cenosi alpine, laddove non siano presenti rilievi sufficientemente alti da ospitarle. A questo scopo è stato attivato il progetto GLorIA (“Iniziativa di ricerca a livello globale in ambiente alpino”) che mira ad istituire una rete mondiale di ricerca per valutare le potenziali minac-ce dei cambiamenti climatici sulla biodiversità delle aree d’alta montagna.

pRessiOne di pascOLO e BiOdiveRsità

tra i cambiamenti indotti dall’attività antropica sui pascoli alpini, si nota una crescente “polarizzazione” dell’uso del suolo, che determi-na aree in cui la concentrazione del pascolo è prossima al punto di saturazione e aree marginali in stato di abbandono.Questo fenomeno determina profondi cambiamenti nella composi-zione dei pascoli e nella ricchezza in specie degli stessi, che in en-trambi i casi vanno incontro a un progressivo impoverimento.

Altro fenomeno in aumento, diretta conseguenza della mancata gestione del pascolo, è la concentrazione delle attività di pasco-lo in zone di torbiera. con il progressivo avanzare degli arbusti sui pascoli, che richiederebbero azioni dirette di contenimento, le zone pianeggianti con suolo intriso d’acqua e prive di invasione arbustiva appaiono sempre più “comode” per gli alpeggiatori e pertanto vengono utilizzate diffusamente, provocandone un irre-parabile degrado.

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Si assiste così talvolta a situazioni paradossali dove pascoli ricchi, in avanzato stato di abbandono e ormai invasi dagli arbusti, contornano torbiere afflitte da diffuse opere di drenaggio, condotte al fine di “ar-ricchire” cenosi vegetali dal valore pabulare (l’appetibilità per il be-stiame) assai basso, ma di grande valore naturalistico.

Le praterie che si estendono lungo i versanti hanno subito nel corso degli anni trasformazioni imputabili alle diverse attività di pascola-mento che si sono susseguite nei tempi. Questi cambiamenti hanno però riguardato maggiormente le zone meno impervie e più floride, lasciando quasi intatti i prati posti a quo-te più elevate e più difficili da raggiungere.

e’ opportuno ricordare che, se da una parte l’attività di pascolamento ha aspetti produttivi, dall’altra è pure vero che questa attività debba essere svolta e gestita in maniera adeguata, evitando il sovraccarico o l’eccessiva riduzione di carico di bestiame su aree delimitate. Se da un lato, come visto in precedenza, la riduzione del carico pro-voca l’invasione da parte delle specie arbustive ed arboree, dall’al-tro l’eccessivo carico di bestiame provoca profondi mutamenti nella composizione della copertura erbosa.

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Sopra: Valfurva (So) - esempio di contrazione delle aree di pascolo (linea arancione), qui invase diffusamente da cespuglieti a ginepro (linea rosa). (autore: Gironi F.)

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L’eccessivo calpestio causa, ad esempio, la scomparsa degli orizzonti superficiali del suolo, con conseguente dilavamento dei minerali in esso presenti. L’eccessivo stazionamento produce invece una forte fertilizzazione, dovuta alla deiezione degli animali pascolanti.

nei pascoli si vengono così a formare vere e proprie comunità ve-getali dalle specifiche caratteristiche ecologiche, biologiche e pro-duttive. La fitosociologia analizza in dettaglio le relazioni che inter-corrono tra le diverse specie a formare le varie cenosi, unità distinte e classificabili in base ai diversi parametri di presenza/abbondanza delle diverse specie.L’approccio fitosociologico è affascinante e permette di cogliere le piccole sfumature ambientali a cui molte specie rispondono con precisione. Qui però ci si limita a descrivere brevemente le tipologie di pascolo presenti nel territorio del Parco dello Stelvio, dal punto di vista più “produttivo”, che pure rispecchia l’andamento di alcuni pa-rametri fondamentali.

1. pascOLi pinguiSono i più pregiati per la qualità e quantità del foraggio che fornisco-no. Si ritrovano spesso in aree non molto estese, presso alpeggi o altri fabbricati rurali. La loro produttività elevata è dovuta sostanzial-mente all’accumulo delle acque di scorrimento superficiale ed alle deiezioni organiche del bestiame.In questi pascoli possono essere distinte quattro tipologie di comunità vegetali dominanti, di seguito riportate.

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24 Sopra: Val cedéc, Valfurva (So) - (autore: Anselmi W.)

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• Associazione a Poa alpinaè la comunità più diffusa tra le zone pascolate, che si contraddistin-gue per l’abbondanza della specie dominante, Poa alpina, accompa-gnata da Alchemilla gr. vulgaris, Festuca gr. rubra, Leontodon helve-ticus, Phleum alpinum, trifolium repens.

• Associazione a Poa alpina e Phleum alpinumdove il terreno è più fertile, sostituisce la precedente comunità; il Phleum alpinum ha un elevato valore foraggero ed è sovente accom-pagnato da Achillea millefolium, deschampsia caespitosa, Poa alpi-na, trifolium repens.

• Associazione a Poa alpina e deschampsia caespitosacomunità tipica di terreni più pianeggianti, fertili e umidi dove si dif-fonde a cespi la deschampsia caespitosa, la quale ha però scarso valore foreggero. Le specie che si affiancano sono: Alchemilla gr. vulgaris, Festuca gr. rubra, Ligusticum mutellina, Potentilla aurea e ranunculus montanus.

• Associazione a Festuca gr. rubraQuesta cenosi è posta in luoghi meno pianeggianti, magri e secchi. La festuca, che nelle altre comunitaà è subordinata, diventa qui l’ele-mento principale. Il valore foraggero resta ad ogni modo elevato. Le specie più comuni sono: Anthoxanthum alpinum, campanula scheuchzeri, Lotus alpinus, nardus stricta, ranunculus montanus.

2. pascOLi da RipOsOSono prati riservati al riposo della mandria. Il terreno in questo caso si arricchisce di azoto a causa delle deiezioni deposte sul suolo. Vengono così favorite le specie nitrofile, competitive perché in grado di produrre grandi foglie e fusti alti, che limitano lo sviluppo delle altre specie. Si costituiscono in questo modo cenosi semplici, con un basso grado di biodiversità.

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romiceto nel piano antistante la stalla (autore: Gironi F.)

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• Associazione a rumex alpinusunità più caratteristica e diffusa che in casi estremi può arrivare a costituire comunità pure, a discapito di tutte le altre specie, che altri-menti sarebbero: Alchemilla vulgaris, Poa supina, taraxacum offici-nale, trifolium repens, Aconitum napellus e Veratrum album.

• Associazione a chenopodium bonus-henricusè più rara rispetto alla precedente, affianco allo spinacio selvatico troviamo: Phleum alpinum, rumex alpinus, deschampsia caespito-sa, Poa supina.

3. tORBieRe pascOLateSono le zone di torbiera, generalmente in piccole depressioni con accumulo idrico. nella classificazione “produttiva” sono considerate pascoli a pieno titolo e definite “pascoli umidi”.

• comunità a carex fuscacaratterizzata dalla assoluta dominanza della carex fusca, accom-pagnata sovente in misura minore da deschampsia caespitosa ed eriophorum angustifolium. con il progressivo interramento di questa cenosi si nota l’ingresso di specie più esigenti e dal maggior valore foraggero, come crepis aurea, Ligusticum mutellina, nardus stricta, Phleum alpinum, taraxacum officinale.

• comunità a trichophorum caespitosumLa si trova nelle zone più marginali o dove la torbiera sia già ad uno sta-dio avanzato di interramento. domina in modo assoluto il trichopho-rum caespitosum, accompagnato spesso dalla graziosa Viola biflora.

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Sopra: Val Grosina (So) - pascoli a confronto: pascoli pingui nei pressi delle case, ben distin-guibili dal colore verde vivo, contrapposti a pascoli magri più a monte. (autore: Gironi F.)

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4. pascOLi magRinella definizione di pascoli magri rientrano quelle cenosi vegetali secondarie, derivate dalla antica trasformazione di aree boschive in pascolo al margine superiore della foresta. L’elemento floristico pre-valente è il nardo (nardus stricta), poco appetibile dal bestiame.

• Associazione a nardus strictaSe da un lato questa cenosi è considerata di basso valore foraggero, il suo valore naturalistico è al contrario assai elevato. Questa prateria presenta una diversità specifica altissima e ospita, tra le altre, numerose specie di orchidee. Il ricco corredo floristico annovera, tra le altre, Anthoxanthum alpinum, campanula scheuch-zeri, carex sempervirens, euphrasia minima, Festuca halleri, Geum montanum, Lotus alpinus.

• Associazione a nardus stricta e Anthoxanthum alpinumIn questa comunità le due specie principali sono codominanti; l’eco-logia non si discosta di molto dalla precedente, ritrovando pressoché le medesime specie compagne.

• Associazione a nardus stricta e trifolium alpinumPur non discostandosi molto dalle precedenti, questa cenosi è con-siderata a maggior valore foraggero, grazie alla grande quantità di trifolium alpinum. Le specie che lo accompagnano, tra le altre, sono generalmente carex sempervirens, Festuca rubra e Leontodon hel-veticus.

5. pascOLi natuRaLi acidOfiLiSono le praterie naturali dell’orizzonte alpino, dove le condizioni am-bientali si fanno più severe e la produttività cala drasticamente. un tempo diffusamente pascolate, ora rivestono un ruolo assoluta-mente secondario ai fini produttivi.

• Associazione a carex curvulaè la vegetazione climacica dell’orizzonte alpino, e si riscontra diffusamente al di sopra dei 2500 metri di quota, dove rappre-senta il massimo stadio evolutivo raggiungibile dalle comunità naturali. e’caratterizzata da una discreta ricchezza floristica e da una buona qualità foraggera. La carex curvula è dominante, ed è spesso accompagnata da Avenula versicolor, Homogyne alpina, Huperzia selago, Leontodon helveticus, Ligusticum mutellina. In situazioni più favorevoli aumenta la presenza dell’Anthoxanthum alpinum, accompagnato spesso da specie di pascolo come Arni-ca montana e Geum montanum.

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• Associazione a Festuca halleriPoste su pendii ben soleggiati tra i 2300 e i 2600 metri, que-ste comunità climaciche sono dominate da Festuca halleri, ac-compagnata spesso da carex curvula, nardus stricta, Phyteuma hemisphaericum, Potentilla aurea, ranunculus montanus, tri-folium alpinum.

• Associazione a Festuca variaAssai comune nelle Alpi orobie è poco rappresentata nel nostro territorio, dove la si può ritrovare sui ripidi pendii assolati, piutto-sto aridi. La si trova spesso anche sulle piccole cenge delle pareti rocciose, anche nell’orizzonte del bosco. nel territorio del Parco è costituita principalmente da Festuca scabriculmis, del gruppo di F. varia. Specie caratteristica, assoluta indicatrice di questa asso-ciazione è il Bupleurum stellatum.

6. pascOLi natuRaLi deL caLcaReI suoli alpini, soprattutto quelli in quota, sono poco profondi, questo fa si che la roccia madre sottostante eserciti un forte influsso sulla ve-getazione. Le comunità di interesse pabulare che si sviluppano sulle rocce calcaree, assai diffuse nel Parco, differiscono quindi da quelle che si sviluppano sui suoli di altre matrici rocciose.

• Associazione a Sesleria variacaratterizzata da grande biodiversità, è la prateria più interessante dal punto di vista pabulare. La si riscontra dove la morfologia per-mette lo sviluppo di un suolo abbastanza profondo. dominata dalla Sesleria varia e dalla carex sempervirens, in essa si riscontrano fre-quentemente oxytropis campestris, Biscutella laevigata, Potentilla crantzii, Helianthemum nummularium subsp. grandiflorum, Gen-tiana ciliata, Aster alpinus, Senecio abrotanifolius, cirsium acaule, nigritella nigra.

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nel Parco questa associazione è spesso in contatto con i nardeti ricchi in specie, che si spingono a quote piuttosto inusuali, ben oltre il limite del bosco. Proprio per tale peculiarità questi nardeti sono stati og-getto di studio e di un progetto LIFe-natura 1996 denominato “Parco nazionale dello Stelvio – misure urgenti per conservare la natura”.

Bibliografia:

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GIAcoMInI V., PIGnAttI S., 1955 - I pascoli dell’Alpe dello Stelvio (Alta Valtellina). Saggio di fitosociologia applicata e di cartografia fitosociologica. Ann. Sper. Agr., n. IX: 1-49 (ed anche in Quaderno Ist. Bot. Lab. critt. univ. Pavia, n. 6: 1-51).

GuSMeroLI F. et AL., 2004 – La vegetazione dei pascoli dell’Alta Valtellina – Fon-dazione Fojanini e comunità Montana Alta Valtellina.

KÖrner c., 1999 - Alpine Plant Life: Functional Plant ecology of High Mountain ecosystems – Springer

PAuLI H., GottFrIed M. & GrABHerr G., 2001a - High summits of the Alps in a changing climate - In: G.-r. Walther et al. (eds.) “Fingerprints” of climate change - Kluwer Academic Publ., new York:139-149.

PIGnAttI S., 1994 – ecologia del paesaggio - utet, torino.

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Sito ufficiale del progetto GLorIA: http://www.gloria.ac.at

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Orto Botanico di Brera, milanoVia Brera 28 20121 Milanoingresso da Via Brera 28 (oppure da Via Fiori oscuri, 4)tel [email protected]/museo/orto

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GLI ALBerI coMe “ArcHIVI nAturALI” deL cLIMA

a cura di GABrIeLe zoIA* e MArco cAccIAnIGA**orto Botanico di Brera*, università degli Studi di Milano**

La dendrocronologia (dal greco δένδρον = albero, χρόνος = tempo, λογία = studio) è una disciplina che studia l’accrescimento annuale degli alberi, attraverso l’osservazione degli anelli radiali del fusto.Gli alberi che crescono alle medie latitudini, in cui vi è una netta distin-zione tra stagione estiva e stagione invernale, producono ogni anno un nuovo anello di accrescimento, facilmente visibile nella sezione trasversale del tronco. La variazione annua dello spessore di ciascun anello dipende da fattori biologici (specie, età, patologie), climatici (t, umidità) e stazionali (altitudine, suolo, pendenza).Per osservare gli anelli viene prelevata una carota di legno utiliz-zando un carotiere (succhiello di Pressler). Si tratta di uno stru-mento composto da un cilindro cavo che, per mezzo di un movi-mento rotatorio, viene inserito perpendicolarmente alla base del tronco; successivamente si estrae la carota che verrà osservata al microscopio binoculare.

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Grazie allo studio degli anelli di più esemplari appartenenti alla stessa specie e situati nello stesso luogo è possibile ricostruire una serie me-dia di accrescimento e da essa l’andamento del clima nel passato.data la mancanza di più esemplari appartenenti alla stessa specie, uno studio così approfondito non è possibile all’orto di Brera; tuttavia si è cercato di verificare come le differenti specie arboree hanno reagito ai cambiamenti climatici, nello specifico alla variazione di temperatura.Sono stati selezionati cinque diversi individui appartenenti ad altrettan-te specie arboree: tre di essi (Prunus avium, Maclura pomifera e Plata-nus hybrida) erano stati abbattuti negli anni precedenti, mentre gli altri due (taxus baccata e Ailanthus altissima) sono tuttora viventi.nel complesso di Brera è situato un osservatorio Meteorologico, che dal 1763 registra quotidianamente le temperature minime e massi-me di Milano. Questa preziosa e completa serie di dati è stata presa come riferimento per la ricostruzione dell’andamento delle tempera-ture negli ultimi 250 anni.come si può notare dal grafico sottostante, le t medie annue sono in progressiva crescita a partire dalla seconda metà del secolo scorso. L’innalzamento delle temperature riguarda sia i valori dei mesi inver-nali, sia i valori dei mesi estivi. A partire dagli anni ‘50 solo in due casi la t media di gennaio è risultata sotto lo 0° (1963, 1985), mentre nei decenni e nei secoli precedenti ciò è avvenuto con frequenza molto maggiore. L’ultimo decennio, in particolare, è stato caratterizzato da inverni molto miti e da estati piuttosto calde. Il 2003 è stato l’anno più caldo in assoluto degli ultimi tre secoli, con una t media annua di 17,1°c (paragonabile ad un clima di tipo subtropicale).

L’accrescimento degli anelli degli alberi ha risentito in maniera dif-ferente delle condizioni ambientali, a seconda della specie presa in considerazione. La seguente tabella evidenzia le correlazioni signifi-cative esistenti tra la crescita degli anelli nelle diverse specie.

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Si può notare come il platano non sia correlato a nessuna delle altre piante: infatti i suoi anelli crescono indipendentemente dalla tempe-ratura. ciliegio, ailanto e maclura sono correlati positivamente tra loro: si è visto che le tre specie crescono meglio se le temperature sono più fresche, in particolare in inverno.Il tasso, al contrario, è correlato negativamente con il ciliegio e con la maclura: si è constatato come il primo prediliga inverni miti, mentre i secondi inverni freddi.

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pLatanus

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correlazione negativa tra specie con la t

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L’esemplare di platano presente in orto è stato abbattuto nel febbraio 2008, in quanto poco stabile e potenzialmente pericoloso per i visitatori.Il carotaggio effettuato ha permesso di risalire all’anello del 1918, ma la pianta è sicuramente più vecchia, poichè la limitata lunghezza del carotiere ha impedito di raggiun-gere il centro dell’albero.nonostante l’abbattimento, la pianta è ancora viva e cre-scono nuovi rami.dall’analisi statistica effettuata è risultato che le variazioni annue della crescita degli anelli di questo esemplare di platano non hanno una particolare correlazione con il cli-ma. Le cause sono dunque da ricercarsi in altri fattori, che al momento restano da chiarire.

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5,04,54,03,53,02,52,01,51,00,50,0

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pRunus avium L.

L’esemplare di ciliegio preso in considera-zione è stato abbattuto nell’agosto 2007; precedentemente era stato danneggiato da un violento temporale. La base del tronco è stata trasformata in una curiosa scultura a forma di madonnina dagli studenti di Brera.La limitata crescita degli anelli dal 1991 in poi è probabilmente dovuta ad una drastica potatura. Il carotaggio effettuato ha inoltre permesso di accertare che la pianta risale al 1947. dall’analisi statistica effettuata è risultato che gli anelli del ciliegio cresco-no meno negli anni più caldi, in particolare negi anni con inverni molto miti.

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1948

1953

1958

1963

1968

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1993

1998

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1947 1991 2007

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macLuRa pOmifeRa (Raf.) schneid

La Maclura è una singolare pianta appartenente alla famiglia delle Mo-raceae, utilizzata un tempo in sostituzione del gelso bianco per l’alleva-mento dei bachi da seta ed oggi coltivata come ornamentale.L’esemplare presente in orto è stato abbattuto nel novembre 1998 a causa di una malattia; ne è stata recuperata una rondella di legno di un ramo secondario, in cui gli anelli sono ben visibili fino all’anno 1934.L’arresto della crescita a partire dal 1971 (è ben visibile una serie di anelli compressi tra loro) è probabilmente dovuto alla malattia della pianta. dall’analisi statistica effettuata è possibile affermare che vi è una correlazione tra la crescita degli anelli ed la temperatura: l’accre-scimento è infatti maggiore negli anni a clima spiccatamente continen-tale, con inverni freddi ed estati calde, come nel decennio 1944-1954 (es. anno 1950: tm gennaio 1,93 °c, tm luglio 28,1 °c).

10,09,08,07,06,05,0

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taxus Baccata L.

Il tasso è stata l’unica conifera carotata ed è tut-tora vivente. Ha una crescita più lenta rispetto alle latifoglie, quindi gli anelli sono in media più stretti, anche se presentano il vantaggio di es-sere maggiormente visibili.Il carotaggio ha permesso di datare gli anelli fino al 1938, anche se l’esemplare è di qualche anno più antico.Gli anelli dal 1956 al 1972 - come si può osser-vare in dettaglio - sono molto stretti, probabil-mente a causa del disturbo causato dalla perdi-ta di un ramo principale (l’esemplare è piuttosto asimmetrico).La pianta si è però ripresa molto bene e nell’ul-timo decennio ha prodotto gli anelli più spes-si, probabilmente anche a causa delle elevate temperature.dall’analisi statistica effettuata è risultato in-fatti che la crescita degli anelli è significativa-mente correlata con la temperatura. I picchi massimi di crescita si sono verificati nel 2001 (tm 15,1 °c) e nel 2003 (tm 17,1 °c).

7,0

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aiLanthus aLtissima mill.

L’ailanto è una pianta originaria della cina, coltivata per ornamento e divenuta infestante nelle aree urbanizzate.Ha una crescita molto rapida: l’esemplare carotato, infatti, è molto svi-luppato, nonostante abbia solo 20 anni.dall’analisi statistica effettuata è risultato che la crescita degli anelli è significativamente correlata in maniera negativa con la temperatura; in particolare le estati molto calde (come nell’ultimo decennio) ne limi-tano la crescita.Questo dato andrebbe integrato con i dati delle precipitazioni; è proba-bile, infatti, che questa specie soffra particolarmente le estati caldo-aride, essendo situata su un suolo piuttosto ghiaioso, che trattiene poco l’acqua.

20,018,0

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La tabella sottostante ricapitola le correlazioni statistiche esistenti tra la larghezza degli anelli dei cinque esemplari campionati e le tempe-rature medie dei mesi dell’anno (correlazione di Pearson).In arancione sono state evidenziate le correlazioni significative nega-tive, mentre in verde le correlazioni significative positive.

gen feB maR apR mag giu Lug agO set Ott nOv dic media

pLatanus

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macLuRa

taxus

aiLanthus

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correlazione negativa con la t

correlazione positiva con la t

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In questo studio è stata applicata la dendrocronologia al fine di osser-vare come differenti esemplari appartenenti a diverse specie abbiano reagito alle variazioni climatiche.

Le potenzialità di questa disciplina sono in realtà molto più ampie. La dendrocronologia trova infatti applicazione in:

_ ArcHeoLoGIA, per datare manufatti costruiti in epoche storiche;

_ StorIA deLL’Arte e orGAnoLoGIA MuSIcALe, per datare opere o strumenti musicali in legno;

_ cLIMAtoLoGIA, per ricostruire il clima dei secoli passati;

_ GeoMorFoLoGIA, per studiare e datare movimenti franosi, avan-zamento o recessione dei ghiacciai ed altri eventi geologici;

_ ArcHItetturA, per l’analisi storica degli edifici e per evidenziare interventi di manutenzione e di restauro.

nell’ambito propriamente didattico l’osservazione degli anelli del le-gno dal vivo o al microscopio può risultare particolarmente interes-sante anche per un pubblico in età scolare.

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Orto Botanico di cascina Rosa a milanoVia Valvassori Peroni 820133 Milanotel: 02 50320886

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Le PIAnte e L’InQuInAMento deLL’AcQuA

di FABrIzIo GrASSI dell’orto Botanico di cascina rosa di Milano

L’inquinamento è un’alterazione dell’ambiente, di origine antropica o naturale, che può produrre danni permanenti agli organismi viventi di una determinata area. In senso lato possiamo parlare di inquina-mento in molte accezioni, ma sempre per indicare un fenomeno di alterazione dell’ambiente. Alcuni dei principali inquinanti idrici sono le acque di scarico conte-nenti materiali organici, i fertilizzanti e tutte le sostanze che favori-scono una crescita eccessiva di biomassa vegetale, i pesticidi, i fito-farmaci ed i metalli pesanti. Gli inquinanti delle acque provengono soprattutto dagli scarichi urbani e industriali, dai processi di perco-lazione, dai terreni agricoli e dalle aziende zootecniche. Gli ecosiste-mi lacustri sono particolarmente sensibili a tutte queste tipologie di inquinamento. L’eccessivo apporto di fertilizzanti dilavati dai terreni agricoli, uni-to all’aumento delle temperature, può incrementare un processo di eutrofizzazione, cioè di crescita eccessiva della flora acquatica. La grande quantità di alghe e di piante acquatiche che si viene a formare deturpa il paesaggio, ma soprattutto, quando si decompone, consu-ma l’ossigeno disciolto nell’acqua. Le sostanze contaminanti contenute nell’acqua inquinata possono inoltre provocare numerosi danni anche alla salute dell’uomo, oltre che all’equilibrio degli ecosistemi. Per esempio certi metalli pesanti come il cromo o il cadmio, contenuti spesso nei fanghi usati come fertilizzanti, possono essere assorbiti dalle colture e giungere all’uo-mo attraverso le reti alimentari.

Anche le piante stesse possono agire come fonte di inquinamento na-turale. Infatti, anche un organismo può essere definito “inquinante” quando immesso in un habitat diverso da quello d’origine. Le piante infine possono risultare utili nell’individuare vari livelli di in-quinamento o essere utilizzate come strumento di depurazione delle acque inquinate.

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piante aLLOctOne

L’espansione e la diffusione delle specie aliene risulta essere una grave minaccia alla biodiversità italiana e lombardia, ma crea an-che problemi economici e gravi danni all’ambiente e all’agricoltura. Le specie alloctone, meglio conosciute come esotiche o aliene, sono quelle introdotte in italia accidentalmente o a seguito dell’azione vo-lontaria dell’uomo. Per diversi motivi, principalmente causati dalla globalizzazione dei commerci e dai cambiamenti climatici, questi fe-nomeni di invasione stanno aumentando con grande velocità. nella maggior parte dei casi le piante alloctone sono inoffensive; qualche volta invece come succede per alcune specie acquatiche e ripariali (Azolla filiculoides; elodea canadensis; Vitis riparia) causano notevoli danni alla biodiversità.

Questo avviene a causa della capacità delle piante esotiche di pre-valere su quelle autoctone. I problemi sono poi anche economici: le piante invasive infatti aumentano i costi di controllo dei fiumi e dei ca-nali e diminuiscono la disponibilità idrica all’agricoltura. In certi casi riducono anche la produttività dei raccolti, come per esempio il riso crodo (oryza sativa var. spontanea).

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elodea canadensis Michx., anche conosciuta come Peste d’acqua comune, è stata se-gnalata come specie invasiva nella pianura padana negli anni 50 del secolo scorso. Gli utilizzatori di canali d’irrigazione sono stati costretti ad una continua e costosa lotta per contrastarne lo sviluppo. originaria dell’America settentrionale (canada e uSA) è sfug-gita al controllo e si è largamente diffusa in Italia.

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Le specie invasive possono influenzare con un effetto a cascata interi ecosistemi. Infatti l’impatto delle specie aliene in un nuovo ambiente può portare gradualmente all’alterazione e alla degradazione dell’ha-bitat. L’impatto delle specie aliene su quelle autoctone può riguardare la competizione per spazi e risorse, l’ibridazione con specie native e la trasmissione di malattie. L’Italia, che ha una grande variabilità di ambienti naturali ed un alto livello di antropizzazione, risulta partico-larmente soggetta a questo fenomeno. L’alta densita’ di popolazione, l’alto numero di centri urbani di grandi e medie dimensioni, il notevole sviluppo della rete stradale, degli ae-roporti e dell’agricoltura sono un ottimo presupposto per l’espansio-ne sul territorio delle specie invasive. Inoltre si può notare che il cambiamento climatico a cui stiamo as-sistendo sul nostro pianeta facilita la diffusione di particolari pian-te in aree geografiche in cui prima non esistevano. Il riscaldamento dell’atmosfera e quindi l’innalzamento delle temperature facilita la diffusione di nuove piante ed in certi casi rende le fioriture più precoci e prolungate. La naturale conseguenza di ciò è per esempio il fatto che in questi ultimi trent’anni si è ampliata notevolmente la distribu-zione geografica di piante allergeniche.

BiOmOnitORaggiO e fitOdepuRaziOne

Il biomonitoraggio della qualità dell’acqua si basa sulla valutazione degli effetti prodotti dall’inquinamento sugli organismi e sulle loro comunità. negli ultimi anni è sorta l’esigenza di affiancare ai comuni metodi di indagine strumentale altre metodiche di tipo biologico, che esaminano le variazioni delle popolazioni animali e vegetali in grado di individuare un livello effettivo di inquinamento. Generalmente si tratta di organismi viventi che con la loro presenza/assenza e quantità o qualità consentono la valutazione del livello di inquinamento. Sebbene i macroinvertebrati bentonici (organismi che vivono a di-retto contatto con i sedimenti di fondo) siano gli indicatori biologici più frequentemente impiegati nel monitoraggio ambientale dei cor-si d’acqua, non sono gli unici: ad esempio si possono impiegare le macrofite acquatiche, gruppo che comprende macroalghe, muschi e angiosperme (piante a fiore). La sensibilità di molte piante verso condizioni di inquinamen-to dell’ambiente acquatico è oggi nota, in particolare nei confronti dell’inquinamento di natura organica, anche se ancora molto rima-ne da approfondire per avvalorarne definitivamente l’efficacia come bioindicatori.

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Verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, è stato messo a punto un indice interamente basato sulla presenza o assenza di specie ve-getali appartenenti alla flora acquatica capace di evidenziare forme di inquinamento di origine organica: il macrophyte index scheme (MIS). Il metodo si basa sulla quantizzazione del decremento delle specie più sensibili all’inquinamento e dell’incremento dell’abbondanza del-le piante più tolleranti all’inquinamento. Semplificando, questo indice prevede che all’aumentare dell’inqui-namento organico l’abbondanza delle specie più sensibili si riduca a vantaggio di quelle più tolleranti passando attraverso un fase di transizione in cui, complessivamente, è osservabile una riduzione nel numero di specie presenti.

oltre all’identificazione delle aree inquinate le piante risultano par-ticolarmente utili anche nella depurazione dell’acqua. La fitodepu-razione è un processo che utilizza le piante per risanare l’ambiente dalla presenza di sostanze tossiche inquinanti.

Questa parola è generalmente usata per descrivere un qualsiasi sistema in cui le piante sono introdotte nell’ambiente per rimuovere i contaminanti in esso presenti. tutte le piante necessitano di nutrienti per crescere e svilup-parsi bene, ma un eccesso di nutrienti da fertilizzanti, puo’ influire sia sulla loro stessa sopravvivenza che più in generale sull’ambiente. Questo ecces-so di nutrienti è noto come eutrofizzazione e costituisce un serio problema ambientale in tutta europa. La fitodepurazione è principalmente usata per depurare l’ambiente e risolvere problemi legati all’eutrofizzazione causata da un eccesso di nutrienti quali l’ammoniaca, nitrati e nitriti, di cui le pian-te si nutrono. L’eutrofizzazione dell’ambiente si ha quando viene apportata una quantità spropositata di sostanze nutritive provenienti da terreni agri-coli e da acque di scarico. La fitodepurazione è un metodo sicuro e non costoso per risanare l’ambiente. Infatti la coltivazione delle piante richiede una minima manodopera e genera un irrilevante impatto all’ambiente mentre il risanamento di acqua e suolo con mezzi chimici è più costoso e dan-noso per l’ambiente.

Le piante più usate negli impianti di fitodepurazione sono Phragmi-tes australis, Arundo donax e typha latifolia. Queste piante a volte non risultano ideali a causa del loro aspetto estetico e quindi vengono utilizzate, anche se con minore efficacia, il papiro, la calla e l’iris. no-nostante questo grande vantaggio economico, l’uso di questa tecnica non è adatto in tutti i luoghi e, se la contaminazione è troppo profon-da a livello del sedimento o se la concentrazione del contaminante è troppo elevata, allora le piante da sole non sono in grado di risanare efficientemente una determinata zona inquinata.

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La fitodepurazione è un processo di tipo biologico che sfrutta la capacità di depurazione di particolari piante, come la canna palustre (Arundo donax) e la cannuccia d’acqua (Phragmites australis). Visti gli elevati costi per la depurazione delle acque di scarico, gli impianti di fitodepu-razione rappresentano un’alternativa vantaggiosa oltre che per l’ambiente anche dal punto di vista economico.

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Le macrofite acquatiche possono essere ritenute degli ottimi indicatori grazie alla loro spiccata sensibilità nei confronti dell’inquinamento di natura organica e da ec-cesso di nutrienti (eutrofizzazione), unitamente alla relativa facilità di identificazione

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e alla scarsa mobilità. In queste immagini si possono vedere due specie particolar-mente utilizzate per il calcolo degli indici di biomonitoraggio: Potamogeton pectina-tus e ranunculus fluitans.

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Orto Botanico di paviaVia S. epifanio, 14 - 27100 Paviareferente: Prof. Francesco Sartoritel. 0382 984855 - fax 0382 [email protected]/orto1773www.unipv.it/det

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PIAnte e ALLerGIedi FrAnceSco BrAcco dell’orto Botanico di Pavia

Schede a cura di: cristina delucchi e emanuela Martino

Le piante da cui dipendiamo perché fonti di cibo, di principi terapeutici e di molte altre sostanze utili, interagiscono con noi in modo com-plesso, sia con effetti positivi, sia talvolta con conseguenze meno de-siderabili. Frequentemente le piante sono all’origine di manifestazio-ni allergiche che condizionano in modo pesante la nostra vita, perchè fastidiose o addirittura invalidanti. Le allergie sono disturbi del nostro sistema immunitario che causano una risposta esagerata da parte dell’organismo in seguito al contatto con sostanze particolari, a esso estranee, chiamate antigeni o allergeni. tali sostanze possono essere prodotte dalle piante; per quanto con-cerne gli allergeni vegetali essi tendono a raggiungere il nostro orga-nismo con due modalità principali: il contatto diretto con la pelle, op-pure l’ingresso nel sistema respiratorio e la conseguente interazione con il tessuto che lo riveste al suo interno (mucosa).

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La risposta allergica generalmente comporta l’innesco di un proces-so infiammatorio con aumento di permeabilità dei vasi sanguigni, la genesi di gonfiore per accumulo di liquido (edema) al di fuori di cellu-le e vasi sanguigni, e il forte stimolo alla secrezione di muco da parte delle mucose. nel caso delle allergie da contatto cutaneo la conseguenza più fre-quente è una dermatite che si manifesta solitamente con arrossa-mento e rigonfiamento della pelle, desquamazione, formazione di vescicole, bolle, abrasioni e croste. Il prurito è presente ma è gene-ralmente meno intenso di quello dovuto al contatto con sostanze tos-siche irritanti.Le allergie cutanee sono provocate dal contatto diretto della pelle con parti diverse, vegetative o riproduttive della pianta; queste possono suscitare reazioni allergiche se integre, ma risultano più spesso al-lergeniche quando sono lesionate.

Quando invece viene interessato il sistema respiratorio l’allergia può essere causa di rinite, cioè dell’infiammazione delle fosse nasali con forte secrezione di muco, prurito, starnuti e congiuntivite. La reazione allergica può anche provocare asma e in questo caso l’infiammazione della mucosa dell’albero respiratorio implica il suo rigonfiamento con formazione di edema e modifica della natura delle secrezioni mucose che tendono a divenire più dense, quindi di più difficile espulsione. L’asma inoltre implica la contrazione dei condotti respiratori, che ne diminuisce ulteriormente il lume libero già ridotto a causa del rigon-fiamento della mucosa che li riveste al loro interno. come conse-guenza la respirazione diviene più difficile e faticosa.Il contatto con la mucosa delle vie aeree è legato soprattutto ai gra-nuli di polline che rimangono in sospensione nell’atmosfera; sono quindi soprattutto le piante impollinate dal vento (anemofile) a essere responsabili delle allergie da pollini o pollinosi (febbre da fieno); ci sono però anche svariate specie impollinate dagli insetti (entomofile) che dimostrano di avere pollini allergenici.Il ruolo chiave dei granuli pollinici lega la manifestazione dei fenomeni allergici ai periodi di fioritura delle piante che sono condizionati dalla localizzazione geografica, dalle caratteristiche ambientali del territo-rio e soprattutto dell’andamento meteorologico. In Italia settentriona-le e in particolare in Lombardia si realizza una scansione temporale (calendario pollinico) per cui si presentano successivamente nell’at-mosfera pollini di specie diverse durante il ciclo stagionale ai quali si collegano di volta in volta gli specifici fenomeni allergici. La fine dell’inverno e la primavera precoce (febbraio-aprile) sono segnati dalla dispersione dei pollini di nocciolo, olmo salici e betul-la; la piena stagione primaverile (aprile-inizi di giugno) vede invece la comparsa massiccia di pollini di faggio, quercia, platano, pioppo,

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carpino, pini e cipresso. nello stesso periodo inizia la fioritura delle graminacee che si prolunga poi nella stagione estiva fino al mese di agosto. All’inizio dell’estate (giugno e luglio) sono soprattutto i polli-ni di castagno, olivo, ligustro, luppolo, piantaggine e romici a essere ben rappresentati. In questo periodo anche il polline delle parietarie è molto abbondante, ma queste specie possono avere una produzione pollinica davvero molto prolungata attraverso tutto il ciclo stagionale. Alcune piante, infine, tendono ad avere produzioni polliniche più tar-dive distribuite tra la tarda estate e l’inizio dell’autunno: si tratta ad esempio di assenzio e chenopodio.

I monitoraggi pollinici elaborati da istituzioni sanitarie e enti di analisi ambientale per territori specifici rendono note con frequenza setti-manale o giornaliera le principali specie polliniche presenti in atmo-sfera permettendo alle persone sensibili di mettere in atto le terapie opportune.

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nOme scientificO: ambrosia artemisiifolia L.nOme cOmune: Ambrosia dalle foglie di artemisia

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta erbacea, annua, appar-tenente alla famiglia delle Asteraceae. Possiede una radice a fittone. Il fusto è eretto e ramificato, può superare il metro di altezza. Le foglie sono fortemente frastagliate, simili a quelle dell’artemisia con la quale può essere superficialmente confusa. I fiori unisessuali formano delle infiorescenze. I capolini femminili sono localizzati all’ascella delle fo-glie più alte, mentre i maschili sono riuniti in racemi terminali di colore giallo-verde. I fiori compaiono da giugno a settembre. La diffusione del polline avviene ad opera del vento. I frutti sono capsule avvolte nell’in-volucro fiorale il cui apice è provvisto di spinule.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: è ampiamente diffusa in tutta la regione, da 0 a 700 metri di quota. e’ una pianta ruderale e molto resisten-te, che colonizza prevalentemente aree dove la vegetazione è stata rimossa, ad esempio, bordi stradali, massicciate ferroviarie, cantieri edili e aree abbandonate. Si trova di frequente anche lungo i margini dei campi e, soprattutto, lungo i fiumi e i corsi d’acqua.

tipO cOROLOgicO: è originaria dell’America settentrionale.

pROpRietà aLLeRgeniche: produce un numero elevatissimo di granu-li pollinici che per la grande quantità, le esigue dimensioni, il lungo periodo di antesi (giugno-settembre) e l’elevato potere allergenico producono seri problemi di salute pubblica. I sintomi principali sono: oculo-riniti e asma, particolarmente gravi nei soggetti deboli (bambi-ni e anziani) e a rischio (asmatici).

nOte: è una pianta esotica, la cui presenza nel nostro paese è stata segnalata per la prima volta all’inizio del xx secolo e da allora appa-re in continua attiva espansione. Il suo rapidissimo sviluppo e la sua formidabile vitalità hanno giustificato la formulazione di norme, da parte delle pubbliche amministrazioni, miranti al suo controllo e alla sua eradicazione.

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nOme scientificO: carpinus betulus L.nOme cOmune: carpino bianco

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta a portamento arboreo, appartenente alla famiglia delle Betulaceae. Il fusto è eretto, un po’ scanalato e può raggiungere i 25 metri di altezza. La corteccia tende ad essere chiara e liscia. Le foglie sono ellittiche con apice acuto, base simmetrica e breve picciolo. La pagina supe-riore è verde intenso, quella inferiore più chia-ra; il margine ha una doppia dentatura. I fiori compaiono nei mesi di aprile e maggio, sono unisessuati e presenti sulla stessa pianta. Le infiorescenze maschili sono amenti penduli e giallastri; quelle femminili sono inizialmente erette e di colore crema, poi pendule e gialla-stre. I frutti sono acheni duri e ovoidali, posti su brattee trilobate, e riuniti in infruttescenze pendule.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: è diffuso in tutta la regione dalla pianura, dove è una delle specie forestali più tipiche delle foreste esterne agli ambiti fluviali, fino ai 1200 metri di altitudine. e’ piuttosto resistente alle variazioni delle condizioni climatiche. Predilige terreni leggeri, umidi e ben drenati.

tipO cOROLOgicO: è una specie con distribuzione centrata sull’europa centrale.

pROpRietà aLLeRgeniche: pur avendo un’impollinazione anemofila, la quantità di polline prodotta è piuttosto scarsa; si riscontrano perciò al-lergie solo negli anni di abbondante fioritura. Il suo potere allergenico è amplificato dalla contemporanea fioritura di betulle, noccioli e ontani.

nOte: è una pianta spontanea che è stata utilizzata tradizionalmente per costituire siepi e cortine all’interno di parchi e giardini in quanto sopporta molto bene la potatura e può essere costretta in forme geo-metriche particolari.

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nOme scientificO: corylus avellana L.nOme cOmune: nocciolo

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta a portamento arbusti-vo della famiglia Betulaceae. che raggiunge i 6 metri o più di altezza. Le foglie sono ovali o tondeggianti con base cuoriforme; la pagina su-periore è verde scuro, quella inferiore più chiara e tomentosa, il mar-gine è doppiamente dentato. I fiori maschili sono riuniti in lunghi amenti penduli, di colore giallastro che compaiono alla fine dell’inver-no prima delle foglie, mentre i fiori femminili sono poco appariscenti, globosi e con il breve ciuffetto terminale degli stimmi di color rosso vivo. I frutti, detti nocciole, sono noci avvolte da due brattee verdi dal margine frastagliato.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: è ampiamente diffuso in tutta la regione, dalla pianura alla montagna.

tipO cOROLOgicO: è presente dall’europa centro-meridionale fino al caucaso.

pROpRietà aLLeRgeniche: gli amenti sono molto ricchi di polline con alto grado allergenico. Sono tra i primissimi granuli pollinici dell’anno che si diffondono con il vento, scatenando il picco di reazioni allergiche dalla fine dell’inverno alla primavera precoce (gennaio-marzo). Il loro potere allergenico è amplificato dalla reattività incrociata con i pollini di betul-la, ontano e carpino.

nOte: Il nocciolo, presente naturalmente nei boschi di latifoglie deci-due, presenta numerose varietà coltivate sia a scopo frutticolo che or-namentale.

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nOme scientificO: parietaria judaica L., parietaria officinalis L.nOme cOmune: Parietaria, vetriola

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: piante erbacee perenni della famiglia delle urticaceae. Il fusto e’ sottile verde-rossastro, ascendente, ramificato e alto fino a circa 40 cm in P. judaica ed eretto, poco ramificato e con sviluppo fino a 1 metro in P. officinalis. Le foglie di P. judaica sono piccole e leggermente appiccicose; quelle di P. officinalis sono di colore verde brillante e più lunghe (fino a 10 centimetri). I fiori sono poco appari-scenti, piccoli, verdastri, raggruppati in infiorescenze globose all’ascella delle foglie. La fioritura raggiunge la sua massima intensità nei mesi di maggio e giugno e perdura fino a ottobre. In siti di accrescimento favore-voli la fioritura di P. judaica può avvenire durante tutto il ciclo stagionale. Il frutto è un achenio ovale.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: ampiamente diffuse per le loro caratteri-stiche ruderali anche nei centri urbani. crescono soprattutto su ter-reni disturbati e macerie con sedimenti ricchi di nutrienti. P. officinalis predilige stazioni ombreggiate e boschive, mentre P. judaica prevale su rocce e muri soleggiati.

tipO cOROLOgicO: P. officinalis è una specie a distribuzione europea; P. judaica è presente nell’europa centro-meridionale e intorno al bacino del Mediterraneo.

pROpRietà aLLeRgeniche: il loro potere allergenico è particolarmente elevato.. I sintomi allergici più frequenti sono: oculo-riniti che si mani-festano con starnuti, ostruzione nasale, prurito nasale; sintomi oculari come prurito, lacrimazione e fotofobia; attacchi di asma.

nOte: essendo piante ruderali sono molto resistenti e si diffondono fa-cilmente anche nei centri urbani creando notevoli problemi nei soggetti predisposti.

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nOme scientificO: ginkgo biloba L.nOme cOmune: Ginkgo

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: è una pianta arborea, della famiglia delle Ginkgoaceae, che può raggiungere i 40 m di altezza. Il tronco è indiviso, eretto e può raggiungere, in condizioni ottimali, dia-metri elevati (circonferenze fino a 8 metri). Ha una chioma piramidale e densa. Le foglie hanno la tipica forma a ventaglio, colorazione verde intensa che diventa giallo-oro in autunno. Si distinguono due tipi di foglie: ad inserzione alterna e margine superiore spesso bilobato, e foglie riunite in ciuffetti con margine intero e ondulato. e’ una pianta dioica, con fiori maschili e femminili su individui diversi. I fiori maschili sono raggruppati in amenti, mentre gli ovuli femminili sono portati a coppie da un lungo peduncolo. L’impollinazione è anemofila e avviene in primavera. La fecondazione è ritardata di 4-6 mesi, un ovulo abortisce e l’altro cade a terra verde e non ancora maturo. Il seme, dotato di un involucro inter-no indurito e di uno esterno carnoso, termina la matu-razione al suolo e germina nella primavera successiva.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: è molto diffusa a scopo ornamentale in giardini privati, pubblici e nelle piantumazioni stradali e viali alberati.

tipO cOROLOgicO: è originaria dell’Asia orientale (cina e Giappone) dove non si conoscono popolazioni spontanee.

pROpRietà aLLeRgeniche: l’involucro esterno del seme, nella sua fase di avanzata maturazione a terra, diviene brunastro e tende a decom-porsi. Il contatto con il suo succo provoca dermatiti allergiche anche assai violente e generalizzate. Il contatto con il tegumento carnoso ancora verde e compatto, non provoca invece reazioni allergiche. L’ingestione dei semi crudi, deprivati dei tegumenti, può causare gra-vi intossicazioni, con comparsa di convulsioni e perdita di coscienza, fino a risultare addirittura fatale.

nOte: gi individui maschili sono frequentemente utilizzati a scopo or-namentale per il bell’aspetto e per la resistenza agli stress ambientali tipici delle aree urbane. Questa specie esotica non presenta inoltre carattere invasivo.

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nOme scientificO: poa sp.pl., anthoxanthum odoratum L., dactylis glomerata L.nOme cOmune: Fienarole, paleo odoroso,erba mazzolina

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: sono piante erbacee, del-la famiglia Poaceae (o Graminaceae secondo una nomenclatura più vecchia, ma ancora molto utilizzata), che possono raggiun-gere alcuni decimetri di altezza nelle specie perenni; in quelle annue come Poa annua L. gli individui sono invece alti una diecina di centimetri. Il fusto, un culmo cavo e pieno solo ai nodi gene-ralmente evidenti, è indiviso salvo nell’infiorescenza terminale; si sviluppa spesso insieme a molti altri a partire da una base comune, col risultato che si presenta come un cespo più o meno compat-to. Le foglie sono lunghe, lineari, a margini paralleli e formano alla base una lunga guaina tubolare che decorre intorno al fusto rinforzandolo. I fiori sono molti piccoli e contenuti in complessi (spighette) a loro volta portate in infiorescenze ter-minali ramificate a pannocchia nelle specie citate. I rami della pannocchia possono essere allungati (Poa sp.pl., dactylis glome-rata) o tanto brevi così da conferirle l’aspetto di una spiga (Antho-xanthum odoratum). L’involucro fiorale è formato da pezzi verda-stri (due glume alla base delle spighette, due glumette relative a ogni singolo fiore) che li rendono poco vistosi. Gli stami sono 3 e all’epoca della fioritura sporgono in modo piuttosto visibile all’esterno delle glumette.

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distRiBuziOne in LOmBaRdia: si tratta di specie diffusissime in tutto il territorio regionale legate soprattutto ai prati falciatI o alle praterie pascolate e in molti casi anche alle vegetazioni marginali più o meno disturbate o a quelle ruderali.

tipO cOROLOgicO: le specie citate sono tutte distribuite su territori molto ampi: Poa annua è presente su tutte le terre emerse, dactylis glomerata occupa la fascia temperata di europa, Asia e Africa set-tentrionale, Poa pratensis è distribuita in tutto l’emisfero boreale, Poa trivialis e Anthoxanthum odoratum sono entrambe distribuite nell’eurasia temperata.

pROpRietà aLLeRgeniche: le Poaceae sono piante anemofile a fiori ri-dotti ma presenti in gran numero e che producono quantità molto elevate di polline. Sono caratteristicamente responsabili della fase delle reazioni allergiche della tarda primavera e dell’inizio dell’estate note popolarmente con il nome di “febbre da fieno”.

nOte: le specie citate sono solo alcune tra le molte graminacee pre-senti sul nostro territorio e vengono qui indicate perché davvero molto comuni. Le piante di questa famiglia, tutte generalmente responsa-bili di pollinosi, sono presenti in modo ubiquitario in tutti gli ambienti sia naturali che trasformati dall’uomo in modo più o meno pesante e ovviamente nelle coltivazioni agrarie, ad esempio nelle colture di cereali.

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Sopra: Artemista vulgaris

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nOme scientificO: artemisia absinthium L.nOme cOmune: Assenzio maggiore

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta erbacea perenne appar-tenente alla famiglia delle Asteraceae. Fusto eretto e ramificato che può superare il metro di altezza. Possiede un rizoma dal quale si sviluppano getti sterili, riccamente fogliati e steli fioriferi eretti angolosi e ramifica-ti. Le foglie hanno lembo molto frastagliato, ridotto a lacinie pubescenti, verdi-biancastre sulla pagina superiore e bianco-grigiastre su quella in-feriore. I fiori ermafroditi, di colore giallo-bruno, sono raccolti in capolini e formano delle infiorescenze a pannocchia allungata, con fioritura tardo estiva. Il frutto è un achenio liscio, molto piccolo, senza pappo.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: è diffusa in tutta Italia specialmente nella zona montana, da 0 a 1100 metri di quota con esclusione della Pianura padana, dove scende sporadicamente solo lungo il corso dei grandi fiumi. e’ una spe-cie ruderale distribuita negli incolti aridi, lungo le siepi e le strade.

tipO cOROLOgicO: probabilmente originaria dell’Asia minore, è divenuta poi subcosmopolita.

pROpRietà aLLeRgeniche: caratterizzata da un’impollinazione anemo-fila, produce granuli pollinici medio-piccoli considerati responsabi-li delle manifestazioni allergiche tardo-estive. Anche il contatto con questa pianta, in particolare le sommità fiorite, può produrre fenome-ni di sensibilizzazione cui seguono eruzioni cutanee.

nOte: pianta medicinale già nota agli egizi ed ai Greci, le sommità fiorite con le foglie, di un odore forte, sapore aromatico ed amaro, venivano usate come amaro stomatico, emmenagogo, antielmintico. L’uso prolungato di prodotti contenenti assenzio può portare a gravi forme di avvelenamento e ad alterazione del sistema nervoso. Altre specie dello stesso genere, ad es. Artemisia vulgaris L. molto fre-quente in Pianura padana, hanno proprietà allergeniche simili.

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nOme scientificO: Juniperus communis L. nOme cOmune: Ginepro comune

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta legnosa appartenente alla famiglia delle cupressaceae. In base agli ambienti o alla varietà considerata il ginepro può avere portamento cespuglioso o striscian-te, più raramente arboreo raggiungendo, in quest’ultimo caso, statura ridotta. La chioma è espansa e irregolare, tozza e ramificata; le foglie, persistenti, sono aghiformi, appiattite, molto appuntite e pungenti, ri-unite in tipici verticilli di tre. Il tronco, a volte dritto ma più spesso sdoppiato, ha una corteccia rugosa, grigiastra con sfumature brune. Le strutture riproduttive femminili e quelle maschili sono portate da individui differenti: le piante maschili presentano degli amenti globosi e ovoidali (4-5 millimetri) che a fine inverno, assumono un colore do-rato e liberano il polline; le piante femminili, invece, presentano dei piccoli coni (galbuli) costituiti da brattee carnose concresciute dopo la fecondazione; globosi (6-8 millimetri) dapprima verdi poi blu-neri ricoperti di cera a maturità.distRiBuziOne in LOmBaRdia: è un arbusto comune in luoghi aridi, incol-ti o boschivi fino ad altezze di 2.500 metri s.l.m., con alcune sottospe-cie adattate alle alte quote Juniperus communis ssp. alpina (Suter) celak.

tipO cOROLOgicO: specie originaria dei continenti dell’emisfero boreale, oggi è estremamente diffusa ovunque: dall’europa all’Asia, fino anche in America settentrionale.

pROpRietà aLLeRgeniche: i piccoli granuli pollinici, presenti in grandi quantità, possono essere causa di allergie. L’impollinazione è ane-mofila e la fioritura avviene tra febbraio e giugno. l’olio estratto dai galbuli è stato segnalato quale agente allergogeno in riferimento a cute e apparato respiratorio, per i lavoratori esposti a sue elevate quantità.

nOte: le numerose varietà, con foglie di colore verde-azzurro dal gra-devole odore di essenza resinosa, vengono coltivate per decorare par-chi, ampi giardini e boschetti di conifere. Juniperus communis viene utilizzato per il rimboschimento delle zone montuose e aride. Il legno di ginepro, di colore rosso e dal tipico odore resinoso, viene impiega-to per lavori di intaglio e per suffumigi contro i dolori reumatici. Le bacche di ginepro si usano anzitutto nelle arti culinarie nonché per la fabbricazione di superalcolici quali gin, grappa di ginepro.

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nOme scientificO: toxicodendron radicans (L.) Kuntze(syn. toxicodendron pubescens miller, Rhus radicans L.) nOme cOmune: edera velenosa, sommacco velenoso

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta legnosa, arbustiva, strisciante o rampicante appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae. Le foglie, di-sposte in modo alternato, sono composte con tre segmenti lunghi da 20 a 50 mm, appuntite all’estremità, e possono essere dentellate, lisce o lobate, ma mai seghettate. Possono inoltre essere brillanti od opache, ed il colore varia con la stagione. I rami si aggrappano al loro sostegno oppure crescono quasi diritti verso l’alto e possono raggiungere gli 8-10 metri di altezza. In alcuni casi, l’edera velenosa può avvolgere completamente la struttura di sostegno, e i getti estendersi verso l’esterno come rami, cosicché nel complesso simula un “albero” di edera velenosa. Si riproduce sia mediante rizomi striscianti che per seme.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: assente; coltivata a scopo didattico in qual-che orto botanico. non esistono molti dati distributivi, ma è segnalata come spontaneizzata per l’Italia in Veneto, mentre in trentino non è stata ritrovata in tempi recenti.

tipO cOROLOgicO: è estremamente comune in alcune aree del nord America. negli Stati uniti cresce in tutti gli stati eccetto l’Alaska, le Hawaii e la california. cresce anche nell’America centrale.

pROpRietà aLLeRgeniche: i fusti, la lamina e il picciolo delle foglie conten-gono canali secretori in cui si raccoglie l’ urusciolo (urushiol) che, in caso di lesione, a contatto con l’aria tende coagulare e a divenire nerastro; l’imbrunimento non lo priva comunque della sua attività allergizzante. L’urusciolo tende anche ad essere presente sulla superficie fogliare in-tegra e le foglie giovani paiono più ricche di questa sostanza di quelle invecchiate. La sua azione allergizzante avviene suscitando fenomeni di autoimmunità: l’urusciolo si lega ad alcune proteine delle cellule ren-dendole estranee all’organismo che quindi scatena una intensa risposta immunitaria contro di esse. Il risultato è una violenta reazione cutanea che implica prurito, arrossamento, gonfiore e la formazione di bolle, di dimensioni anche centimetriche, piene di liquido. Le manifestazioni cutanee possono risolversi in un paio di settimane, sempre che non in-tervengano sovrainfezioni, lasciando però spesso cicatrici visibili. oltre al contatto diretto con la pianta anche il toccare indumenti, attrezzi o il pelo di animali in vario modo contaminati, risulta efficace e pericoloso.

nOte: la presenza dell’olio che può causare una grave reazione aller-gica per la pelle motiva il nome scientifico del genere, che significa letteralmente “albero velenoso”. La specie in questione è stata indi-cata per il nostro paese come un pericolo sempre più frequente per chi pratica talune forme di arrampicata su roccia.

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nOme scientificO: taraxacum officinale Weber nOme cOmune: dente di leone, pisciacani, piscialetto, soffione

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae che presenta una radi-ce fittonante lunga e carnosa. Le foglie sono raccolte in una roset-ta basale, hanno colore verde chiaro o scuro , sono generalmente grossolanamente dentate o incise e raramente del tutto intere. I fiori sono portati in grossi capolini (diametro di 2,5-4 centimetri) e hanno corolla ligulata di colore giallo carico. Il capolino è circon-dato da squame in più serie di cui le più esterne appaiono riflesse all’indietro. I frutti sono acheni grigiastri o brunastri, con piccoli aculei nella metà superiore e un lungo becco che porta un ombrel-lo di peli bianchi terminali (pappo). Il capolino fruttifero corrisponde al “soffione” di cui con un soffio disperdiamo gli acheni che riman-gono sospesi in aria grazie al pappo.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: si trova nelle schiarite di boschi cadu-cifogli in tutti i prati, incolti, fra le vigne, lungo i sentieri e i molti ambiti antropizzati su suolo fresco e ricco di nutrienti.

tipO cOROLOgicO: presente in tutto l’emisfero boreale risulta comu-nissima in tutto il territorio italiano.Proprietà allergeniche: nonostante l’impollinazione sia entomo-fila, i pollini possono causare allergie a individui sensibili, qualo-ra questi abbiano contatto con il fiore. La fioritura è primaverile e si protrae fino all’autunno. Possono presentarsi anche allergie da contatto che presentano reazioni crociate soprattutto ma non esclusivamente con altre asteracee.

nOte: le foglie giovani vengono tradizionalmente consumate sia crude che cotte. e’ una pianta di rilevante interesse apistico, che fornisce alle api sia polline che nettare, e che viene ampiamente utilizzata nella medicina popolare come diuretica e tonica.

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nOme scientificO: Ricinus communis L. nOme cOmune: ricino

haBitus e caRatteRistiche mORfOLOgiche: pianta di diverso sviluppo (erbacea annuale, arbustiva o di piccolo albero) appartenente alla famiglia delle euphorbiaceae. Presenta fusto dritto e ramificato. Foglie palmato-partite a 5-12 lobi; i lobi sono lanceolati e a margine seghettato. I fiori unisessuali sono portati sulla stessa pianta: fiori maschili con perigonio a 3-5 tepali e stami numerosi a filamento ramificato e numerose antere; fiori femminili con ovario tricarpel-lare con 3 stili allungati. Il frutto è una capsula più o meno aculeata alla superficie con deiscenza lungo tre linee (tricocco), contenente 3 semi con tegumento marmorizzato.

distRiBuziOne in LOmBaRdia: coltivato per ornamento nel nostro paese, è spontaneizzato in Italia mediterranea; spesso nelle nostre regioni settentrionalI si comporta da pianta erbacea anuale.

tipO cOROLOgicO: originario dell’Africa (etiopia) e poi diffuso per col-tivazione in molte parti del mondo.

pROpRietà aLLeRgeniche: l’impollinazione può essere sia anemofila che entomofila; il polline medio-piccolo viene considerano allerge-nico. Fioritura luglio-agosto.

nOte: i semi vengono utilizzati per l’estrazione dell’olio; la spremi-tura deve avvenire a pressione e a freddo per evitare di estrarre anche le componenti tossiche; l’olio di ricino è usato per le sue proprietà purgative dovute all’acido ricinoleico. Inoltre l’olio è usato anche come lubrificante e solvente nell’industria delle vernici.

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Orto Botanicog. e. ghirardiVia religione, 2525088 toscolano Maderno (BS)tel. 02 [email protected]

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Le PIAnte e I cAMBIAMentI cLIMAtIcI

di MArceLLo IrItI, SArA VItALInI, GeLSoMInA FIcoorto Botanico G. e. Ghirardi

negli ultimi decenni, i cambiamenti che il sistema climatico terre-stre sta subendo su scala globale rappresentano una problematica di crescente rilievo. col termine “cambiamenti climatici globali” si fa riferimento ad una serie di eventi principalmente legati all’innalza-mento della temperatura superficiale del pianeta, fenomeno a sua volta dovuto all’eccessiva emissione dei cosiddetti “gas-serra”. dal punto di vista fisico, tali composti gassosi hanno la proprietà di bloc-care la radiazione solare riflessa dalla superficie terrestre. Poiché la radiazione maggiormente riflessa è quella infrarossa ad elevata lunghezza d’onda e ricca di calore, tale fenomeno, noto come “ef-fetto serra”, genera un innalzamento della temperatura negli strati bassi dell’atmosfera. In realtà, l’effetto serra, che sfrutta la capacità di alcuni gas atmosferici di comportarsi proprio come i teli o i vetri di un’immensa serra, è un processo naturale che, nel corso della coe-voluzione tra biosfera e geosfera, ha reso possibile la vita sul pianeta. Infatti, in sua assenza, la temperatura media annuale sul pianeta, at-tualmente pari a circa 15°c, si abbasserebbe di parecchi gradi al di

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sotto dello zero (circa -18°c), ben oltre il limite compatibile con la vita. tuttavia, in epoca industriale, le continue emissioni di natura antropica di gas-serra hanno aumentato l’effetto serra, causando una serie di squili-bri che, nel loro insieme, caratterizzano i cambiamenti climatici globali. L’anidride carbonica (co2) rappresenta il più importante gas serra, in vir-tù della sua crescente concentrazione atmosferica, assieme al metano (cH4), agli ossidi di azoto (noX), ai clorofluorocarburi (cFc) e all’ozono troposferico (degli strati bassi dell’atmosfera (o3). Qualsiasi processo di combustione, nel quale vengano impiegati combustibili fossili (greggio petrolifero, gas naturale e carbone), produce, inevitabilmente, una certa quantità di co2, pertanto, le principali emissioni di questo gas sono legate al traffico veicolare, al riscaldamento domestico, alle centrali termoe-lettriche e ad impianti industriali di vario genere. Accanto a tali tipologie di inquinamento, esistono altri processi, anch’essi fortemente di origine antropica, che contribuiscono ad incrementare la quantita di co2 nell’at-mosfera, come ad esempio la deforestazione. tale pratica, seppur non produca direttamente co2, contribuisce in maniera rilevante a mante-nerne un’elevata concentrazione nell’atmosfera, riducendo la quantità di tale gas assorbito ed organicato dalla vegetazione forestale (fig. 1).

Fig. 1 cambiamenti climatici globali causati dall’effetto serra.

emissiOni antROpichetraffico veicolare, riscaldamento domestico, centrali termoelettriche, impianti industriali.

defORestaziOne

effettO seRRa

cO2 atmosfera

aumentO deLLa tempeRatuRa

iRRegOLaRità deLLe pRecipitaziOni

innaLzamentO deL LiveLLO deL maRe

sciOgLimentO dei ghiacciai

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i camBiamenti cLimatici

negli ultimi 30 anni, la temperatura media della superficie terrestre ha subito un innalzamento medio di circa 0.2°c per decade, cosicché 11 dei 12 anni più caldi registrati dal 1850 si sono verificati tra il 1995 ed il 2006, con la sola eccezione del 1996. tuttavia, il cambiamento globale della temperatura non è ugualmente distribuito nelle varie fasce latitudinali, essendo più esteso tra i 40°n (gradi di latitudine nord) e i 70°n, la fascia comprendente, pressappoco, il continente europeo.L’aumento della temperatura globale genera, a sua volta, un’altera-zione del ciclo idrogeologico, aumentando sia il tasso di evaporazione che delle precipitazioni atmosferiche, anche in questo caso a secon-da della latitudine. Pertanto, sempre nell’emisfero boreale (setten-trionale), è stato osservato un incremento medio delle precipitazioni annue nelle zone comprese tra 30°n e 70°n, mentre nell’area com-presa tra 0°n e 30°n si è verificata una loro generale riduzione. oltre ai suddetti cambiamenti globali, sono rilevabili anche variazioni su scala regionale nella media delle precipitazioni.negli ultimi 100 anni, il livello del mare si è sollevato di circa 10-12 centimetri. Se, da un lato, tale innalzamento è considerato la fase conclusiva di un processo che perdura dall’ultima glaciazione (circa 12000 anni fa), dall’altro è pur vero che il livello del mare è cresciuto in maniera più evidente negli ultimi 50 anni, probabilmente, a causa de-gli effetti del riscaldamento globale sui ghiacciai e sulle calotte polari. I ghiacciai dell’europa alpina hanno perso circa il 50% del loro volu-me nell’ultimo secolo, probabilmente a causa delle estati più lunghe e calde. Ancora una volta, le aree maggiormente interessate dalla riduzione di estensione dei ghiacciai si trovano alle medie e basse latitudini dell’emisfero boreale.

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tabella 1. dati quantitativi relativi ai livelli ed alle emissioni di co2 nell’atmosfera dall’epoca pre-industriale fino al 2100, e previsione dell’incremento della temperatura media annua della superficie terrestre

ppmv: parti per milione per volume; Gtc y-1: gigatonnellate (10-9 t) di carbonio per anno.

In conclusione, dal punto di vista meteorologico, è evidente che i cam-biamenti climatici globali non si manifestano con i medesimi effetti nelle varie aree geografiche del pianeta. Infatti, alcune regioni posso-no essere interessate da intensi fenomeni di precipitazione atmosfe-rica, mentre in altre possono subentrare o protrarsi lunghi periodi di condizioni siccitose. Inoltre, in una determinata area, potrebbe variare anche solo la frequenza delle precipitazioni, anziché il loro tasso me-dio per anno, con episodi meno ricorrenti, ma più abbondanti. Proprio in questo scenario si collocano i sempre più frequenti e catastrofici eventi meteorologici estremi, dai violenti temporali delle zone tempe-rare fino ai cicloni tropicali ed extra tropicali. In tabella 1 sono riportati alcuni dati quantitativi relativi ai livelli ed alle emissioni di co2 nell’atmosfera, dall’epoca pre-industriale ai no-stri giorni e fino al 2100, oltre alla stima previsionale dell’incremento futuro della temperatura media annua della superficie terrestre, in assenza di un’adeguata politica ambientale.

concentrazione atmosferica di co2 in epoca pre-industriale 280 ppmv

concentrazione atmosferica di co2 in epoca industriale (attuale) 380 ppmv

concentrazione atmosferica di co2 nel 2050 (previsione) 450-600 ppmv

concentrazione atmosferica di co2 nel 2100 (previsione) 700-1000 ppmv

emissione cumulativa di c da combustibili fossili dal 1800 330 Gtc

emissione di c da combustibili fossili (attuale) 8 Gtc y-1

Accumulo di c in seguito a deforestazione (attuale) 1.6 Gtc y-1

emissione di c da combustibili fossili nel 2050 (previsione) 9-20 Gtc y-1

Incremento della temperatura media

superficiale nel 2050-2100 (previsione) 1.5-5.5°c

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effetti suLLa vegetaziOne

data l’importanza delle relazioni che intercorrono tra il clima e l’ecosi-stema, risulta evidente come i cambiamenti climatici possano generare delle ripercussioni sulle biocenosi (le comunità dei viventi), in termini sia di flusso di energia che di trasferimento di nutrienti all’interno di una data rete trofica. è altresì noto che le condizioni ottimali (optimum) di sviluppo, crescita e riproduzione di qualsiasi organismo vivente siano comprese entro più o meno ampi, ma precisi, intervalli di temperatura, piovosità, umidità e altre condizioni strettamente legate al clima. Il riscaldamen-to globale ha pertanto alterato, in alcuni casi, gli areali di distribuzione di molte specie, sia vegetali che animali, con l’ingresso di specie tipica-mente nord africane nell’area mediterranea o di specie mediterranee nell’area europea continentale (fig. 2). Questo è valido anche per le colture agronomiche, come e’ dimostra-to ad esempio dalla sempre più diffusa coltivazione del grano duro, una specie tradizionalmente coltivata nelle regioni del mezzogiorno d’Italia e nell’area padana. cambiamenti simili sono stati registarati anche secondo un gradiente altitudinale, oltre che latitudinale, come attestato dall’espansione della flora alpina e del limite della vegeta-zione verso quote più elevate. Generalmente, l’incremento di co2 nell’atmosfera stimola positivamente il metabolismo primario della pianta, favorendone lo sviluppo ed alcuni processi fisiologici. con un incremento dell’attività fotosintetica ed una riduzione della traspirazione per unità di superficie fogliare. L’effetto fa-vorevole sulla fotosintesi è per lo più dovuto ad una riduzione della com-petizione tra co2 e o2 nei confronti della ribulosio-1,5-difosfato carbossilasi-ossigenasi (ruBISco), l’enzima chiave nella regolazione di due processi antitetici quali la fotosintesi e la fotorespirazione (fig. 2).

normalmente, la concentrazione atmosferica di o2 limita l’assorbimento di co2 da parte della pianta, per cui un incremento del rapporto co2/o2, dovuto, a sua volta, alle emissioni di co2 nell’atmosfera, ten-derebbe a ridurre l’inibizio-ne della fotosintesi indotta da o2. nel contempo, in tali condizioni atmosferiche, ver-rebbe anche ridotta la foto-respirazione, un processo che non porta alla fissazione di co2, né alla sintesi di glucosio.

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L’aumento di co2 porta anche ad un miglioramento nell’efficienza di utilizzo di acqua e azoto (fig. 2). L’incremento della concentrazione di co2 nella camera sottostomatica (una cavità del tessuto dove si ac-cumulano i gas atmosferici penetrati all’interno della foglia) stimola, infatti, la chiusura degli stomi (soluzioni di continuità sull’epidermide fogliare preposte alla regolazione degli scambi gassosi della pianta), limitando, nel contempo, la traspirazione (perdita di acqua in forma di vapor acqueo attraverso le aperture stomatiche). tuttavia l’innalzamento della temperatura atmosferica esercita un effetto negativo sulla produttività di molte piante coltivate, in parte dovuto ad un più veloce ciclo vegetativo e riproduttivo della coltura. In tali condizioni, inoltre, la chiusura stomatica indotta da co2 ridur-rebbe la dissipazione di calore dalla foglia dovuta al flusso traspirati-vo, contribuendo ad un bilancio termico ancora più positivo. Lo stretto legame tra l’andamento climatico delle stagioni e la vege-tazione fa si che l’alterazione di alcuni parametri climatici si riper-cuota innanzitutto a livello fenologico, ossia modificando le fasi di svi-luppo delle piante nei diversi ambienti (fig. 2). nella pratica agricola, ad esempio, le date di semina e di raccolta variano strettamente in dipendenza degli eventi climatici. Inoltre, notevolmente alterate risul-tano essere anche le interazioni tra i differenti livelli trofici dell’eco-sistema, come in particolare le relazioni pianta-insetto e pianta-microrganismo/patogeno. Pertanto, per molte specie, l’impatto più importante dovuto ai cambiamenti climatici riguarda l’alterazione della sincronizzazione dei cicli vitali tra i predatori e le loro prede, come ad esempio tra insetti fitofagi e piante ospiti (fig. 2). Allo stesso modo, la variazione temporale dello stadio fenologico delle fioritura o della maturazione del frutto porterebbe alla perdita della sincronizzazione tra pianta e impollinatori o vettori della dis-seminazione (processo di dispersione dei semi). (fig. 2) In tal senso, oltre che sugli stadi fenologici legati alla crescita e alla riproduzione, il riscaldamento globale può avere delle ripercussioni anche sul tasso

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di natalità o di mortalità degli insetti, con un incremento della loro fecondità, in termini di numero di generazioni, e una maggiore resi-stenza degli stadi larvali ad inverni sempre più miti. Anche le relazioni pianta/patogeno risultano profondamente influenzate. (fig. 2) L’incremento della fitomassa causato dalla co2 porta, inevitabilmente, ad una alterazione delle condizioni predisponenti le infezioni fungine e batteriche a livello fogliare. Infatti, l’eccessiva rigogliosità della ve-getazione, facilitando il ristagno di umidità al suo interno, favorirebbe la penetrazioni di patogeni adattati ad un clima caldo-umido. Al con-trario, i patogeni il cui processo d’infezione viene ostacolato dall’ele-vata umidità sulla vegetazione verrebbero ostacolati da tali condizioni microclimatiche, indipendentemente dalla densità della chioma. La medesima considerazione è valida per la relazione tra pianta/patoge-no dell’apparato radicale, in base alle condizioni di umidità del suolo. Anche l’alterato rapporto pianta/insetto, come precedentemente det-to, potrebbe modificare l’incidenza delle virosi (infezioni virali), malat-tie trasmesse alle piante sane da insetti vettori, dopo l’acquisizione di particelle virali da un ospite infetto (fig. 2).

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aLteRaziOni metaBOLiche

FotosintesitraspirazioneFotorespirazioneefficienza d’utilizzo H2o e nSviluppo fenologicoMetabolismo secondario

impLicaziOni ecOLOgiche

Areale di distribuzioneSincronismo

relazioni troficheInterazione pianta-piantaInterazione pianta-insetti

Interazione pianta-microrganismi

Figura 2. effetti dell’innalzamento della co2 atmosferica e della temperatura sul meta-bolismo e l’ecologia vegetale

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piante, camBiamenti cLimatici e metaBOLismO secOndaRiO

oltre che a carico del metabolismo primario, sono note anche altera-zioni indotte dalle mutazioni climatiche sul metabolismo secondario della pianta, seppur meno studiate (fig. 2). Il metabolismo seconda-rio raggruppa le vie biosintetiche che portano alla sintesi di composti implicati nelle interazioni tra la pianta ed il proprio ecosistema. Per-tanto, i rapporti tra la pianta, il proprio ambiente fisico e gli organismi viventi che la circondano, siano essi simbionti (batteri radicali), com-petitori (piante di un’altra specie), parassiti (patogeni, insetti, piante infestanti) o anche impollinatori (pronubi), vengono regolati da una serie vastissima di metaboliti secondari, la cui sintesi impone un co-sto energetico per la pianta.Per alcuni importanti inquinanti atmosferici, come ad esempio l’ozo-no (o3), sono stati riportati effetti sulle principali vie biosintetiche se-condarie di alcune specie vegetali, con un generalizzato incremento della produzione di metaboliti indotto da esposizioni all’inquinante di tipo sia acuto che cronico. Per quanto riguarda il legame tra co2, tem-peratura e metabolismo secondario, nonostante la frammentarietà dei dati, è possibile affermare che la sintesi di metaboliti con un più elevato contenuto di carbonio, in particolare i composti fenolici (o fe-nilpropanoidi) e i terpeni (o isoprenoidi), sia maggiormente stimolata rispetto a quella di altri metaboliti quaternari (contenenti azoto oltre a carbonio, idrogeno e ossigeno), come ad esempio gli alcaloidi (fig. 3). Questa tendenza rispecchia la riduzione del contenuto di azoto nei tessuti fogliari esposti ad elevate concentrazioni di co2 o ad elevate temperature, in relazione al fatto che i prodotti finali del metabolismo primario costituiscono i precursori dei metaboliti secondari.

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un ampio e diversificato gruppo di isoprenoidi, collettivamente deno-minati composti organici volatili di origine biogenica (BVocs, biogenic volatile organic compounds), sono prodotti ed emessi dalle piante con la funzione di mediare le proprie relazioni con gli insetti, siano essi impollinatori o fitofagi. Questi metaboliti sono anche coinvolti nelle cosiddette relazioni tritrofiche, ossia in quel complesso scambio di segnali chimici tra piante, insetti erbivori ed insetti carnivori. In que-sta particolare forma di interazione, le lesioni indotte dai fitofagi a ca-rico dei tessuti vegetali provocano l’emissione di BVocs, i quali, a loro volta, fungono da attrattori per gli insetti predatori dei fitofagi stessi. Alcuni inquinanti atmosferici, come l’ozono troposferico, e le elevate temperature possono incrementare l’emissione di BVocs dalle pian-te, alterando i meccanismi di difesa della pianta nei confronti degli artropodi. Sembra, infatti, che l’emissione di BVocs abbia anche la funzione di proteggere l’apparato fotosintetico e le membrane bio-logiche dallo stress indotto dalle elevate temperature o da alcune ti-pologie di inquinanti. Inoltre, l’emissione di elevate quantità di BVocs potrebbe contribuire, assieme ai Vocs di origine antropica, a creare forme di inquinamento su scala regionale, essendo tali composti tra i precursori dell’inquinamento fotochimico.

In esperimenti condotti su digitalis lanata ehrh., specie apparte-nente alla famiglia delle Scrophulariaceae, originaria dell’europa centro-Meridionale, sia in condizioni controllate (fitotroni o camere di crescita) che in pieno campo, l’esposizione ad una concentrazione atmosferica di co2 di circa tre volte superiore rispetto alla norma ha indotto un aumento considerevole sia della biomassa, che del conte-nuto di digossina (glicoside cardioattivo di origine steroidea, utilizzato con successo nel trattamento dell’insufficienza cardiaca) per unità di peso secco, con una conseguente duplicazione della resa di tale composto per ettaro di pianta coltivata. Inoltre, una moderata carenza idrica ha ulteriormente stimolato sia la produzione di biomassa che la sintesi di digossina. risultati analoghi sono stati riportati su ime-nocallide (Hymenocallis littoralis Jacq., Salisb.), una pianta tropicale della famiglia delle Amarillydaceae, originaria dell’America centrale, con un incremento sia della biomassa dei bulbi sotterranei che del loro contenuto di pancratistatina e narciclasina, due alcaloidi dall’ele-vata attività antitumorale.

In uno studio effettuato su tabacco (nicotiana tabacum L.) e stramo-nio (datura stramonium L.), della famiglia delle Solanaceae, l’innal-zamento della co2 atmosferica e della temperatura ha prodotto risul-tati contrastanti sugli alcaloidi prodotti dalle due specie. A carico della co2 si è riscontrata una riduzione della concentrazione di nicotina in tabacco, ed un incremento del contenuto di scopolamina nello stra-

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monio. La temperatura, al contrario, non ha prodotto alcun effetto su nicotina e scopolamina, incrementando invece i livelli di atropina. Atropina e scopolamina sono alcaloidi tropanici in grado di modula-re le funzioni della muscolatura liscia e delle cellule delle ghiandole esocrine, così come la frequenza cardiaca, respiratoria e le funzioni del sistema nervoso centrale. La nicotina è un alcaloide piridinico con proprietà di sostanza stupefa-cente. In piccole dosi, ha un effetto stimolante sull’attività fisica, l’at-tenzione e la memoria, aumenta la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e riduce l’appetito.

Infine, analoghe considerazioni possono essere poste per alcuni principi attivi il cui utilizzo esula dall’uso a fini terapeutici, come ad esempio per l’urusciolo, una olio altamente irritante per la cute e in grado di scatenare anche gravi reazioni allergiche, presente in alcu-ne piante della famiglia delle Anacardiaceae, come l’edera velenosa (toxicodendron radicans (L.) Kuntze). In condizioni di elevata co2, può essere favorita la sintesi di alcuni costituenti particolarmente irritanti di quest’olio, esacerbando le proprietà tossiche ed allergenizzanti di questa specie.

Figura 3. Struttura di un fenilpropanoide (umbelliferone), di un isoprenoide (limonene) e di un alcaloide (nicotina)

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gLOssaRiO

ALcALoIdI. composti di origine vegetale contenenti azoto, derivanti, per lo più, da aminoacidi, e dalle proprietà medicamentose o tossi-che, a seconda del tipo di molecola e della dose.AntroPIco. relativo all’uomo ed alle sue attività.ArtroPodI. Ampio e diversificato gruppo di invertebrati comprendente il gruppo dei crostacei, insetti, aracnidi (ragni) e miriapodi (millepiedi). BIocenoSI. La comunità delle specie che vive in un determinato ambiente (biotopo, v.), a sua volta comprendente organismi animali (zoocenosi) e vegetali (fitocenosi).BIodIVerSItà. L’insieme delle forme viventi, animali, vegetali e mi-crorganismi, geneticamente differenti, presenti nella biosfera (v.). BIoMASSA. La massa degli organismi vegetali (v. fitomassa) ed ani-mali presenti in una data superficie. BIoSFerA. L’insieme delle zone del pianeta nelle quali le condizioni climatiche consentono lo sviluppo di forme di vita. BIotoPo. Ambiente nel quale vivono organismi appartenenti alla stessa specie o a specie differenti.cAtenA ALIMentAre. v. rete troficaconSuMAtorI o eterotroFI. organismi che dipendono dai pro-duttori primari (v.) per il proprio sostentamento; si suddividono in consumatori primari (erbivori) e secondari (carnivori), occupanti i gradini più elevati della piramide alimentare (v.).ecoSISteMA. L’insieme della biocenosi (v.) e del biotopo (v.).eFFetto SerrA. Processo naturale di riscaldamento degli strati bassi dell’atmosfera per effetto della radiazione infrarossa (v.) prove-niente dal sole, la cui riflessione ad opera della superficie terrestre viene limitata dai gas serra (v.). FenILProPAnoIdI o coMPoStI FenoLIcI. composti di origine ve-getale derivanti dall’aminoacido aromatico fenilalanina. FenoLoGIA. disciplina che studia gli stadi di sviluppo (o fenologici) di un organismo vivente (ad es. la comparsa, la modificazione o la perdita di un organo).FItoFAGo. Qualsiasi organismo che si nutra di tessuti vegetali, per lo più vertebrati e insetti erbivori.FItoMASSA. Biomassa (v.) costituita dal peso degli organismi vegetali presenti in una data superficie. FontI enerGetIcHe ALternAtIVe. Fonti rinnovabili di energia (so-lare, eolica, geotermica, idroelettrica) alternative a quelle esauribili (combustibili fossili) e in grado di garantire uno sviluppo sostenibile. FotoreSPIrAzIone. Processo nel quale la pianta consuma ossige-no e libera anidride carbonica, senza produrre substrati energetici, in competizione con la fotosintesi (v.).FotoSInteSI cLoroFILLIAnA. Processo di organicazione nel quale

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molecole inorganiche come l’anidride carbonica e l’acqua, in presen-za di luce, vengono trasformate in sostanze organiche (glucosio). GAS SerrA. Gas di origine sia naturale che antropica presenti nell’at-mosfera e in grado di assorbire la radiazione infrarossa, causando così l’effetto serra (v.).GLAcIAzIone. Lungo periodo (migliaia o milioni di anni) caratterizza-to da un abbassamento generalizzato della temperatura sul pianeta, seguito dall’espansione delle calotte glaciali in direzione dell’equato-re e da una conseguente recrudescenza climatica (l’ultima glaciazio-ne è terminata circa 12000 anni fa).InterAzIone trItroFIcA. relazione ecologica tra tre differenti orga-nismi viventi in relazione alle risorse alimentari, come ad esempio tra pianta, insetto fitofago (v.) e insetto carnivoro predatore di quest’ultimo.ISoPrenoIdI o terPenI. classe di metaboliti di natura lipidica, sia primari che secondari e di origine sia vegetale che animale.LAtItudIne GeoGrAFIcA. coordinata geografica individuata sul globo terrestre dai paralleli, circonferenze di diametro decrescente dall’equa-tore (0°) ai poli (90°n o 90°S) e delimitanti le fasce latitudinali.MetABoLISMo PrIMArIo. Insieme delle vie metaboliche essenziali per l’organismo (biosintesi degli acidi nucleici, lipidi, proteine e carboidrati).MetABoLISMo SecondArIo. Insieme delle vie metaboliche che portano alla sintesi di composti coinvolti nelle relazioni tra la pianta ed il proprio ecosistema (v. alcaloidi, fenilporpanoidi e isoprenoidi).MetABoLItI SecondArI BIoAttIVI. Prodotti del metabolismo se-condario delle piante aventi attività antiossidante, antitumorale, car-dioprotettiva, neuroprotettiva, antinfiammatoria ed immunomodulan-te; possono giungere all’uomo attraverso la catena alimentare (v.). ozono StrAtoSFerIco. Strato di ozono naturalmente presente negli strati alti dell’atmosfera, dove svolge un ruolo protettivo nello schermare la radiazione ultravioletta (v.); la sua deplezione, ad opera di cFc (clorofluorocarburi, gas utilizzati come propellenti nelle bom-bolette spray), nota come ‘buco dell’ozono’, riduce l’effetto protettivo di tale scudo sugli organismi viventi.ozono troPoSFerIco. ozono presente come inquinante di origine antropica negli strati bassi dell’atmosfera (troposfera), potenzialmen-te tossico per le piante e per gli animali.PIrAMIde ALIMentAre. v. rete trofica.ProduttorI PrIMArI o AutotroFI. organismi, come le piante, in grado di sintetizzare sostanze organiche da semplici composti inorganici (v. fotosintesi clorofilliana); occupano la base delle piramide o catena alimentare (v.).rAdIAzIone InFrAroSSA. radiazione elettromagnetica con una lunghez-za d’onda maggiore rispetto a quella della luce visibile e ricca di calore.rAdIAzIone uLtrAVIoLettA. radiazione elettromagnetica con una lunghezza d’onda minore rispetto a quella della luce visibile e alta-mente nociva per gli organismi viventi.

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rete troFIcA. L’insieme delle complesse relazioni che si instaurano tra produttori primari (v.) e consumatori (v.).StoMA. Aperture naturali attraverso le quali avvengono gli scambi gassosi (v.) tra l’atmosfera e i tessuti vegetali, e i cui flussi sono rego-lati da cellule di guardia altamente specializzate. ScAMBI GASSoSI. Passaggio dell’anidride carbonica, dell’ossigeno e del vapore acqueo attraverso gli stomi (v.).SVILuPPo SoStenIBILe. Sviluppo (economico, industriale, agricolo) che abbia il minor impatto ambientale sul pianeta, al fine di preser-varne le risorse per le generazioni future.trASPIrAzIone. Perdita di acqua sotto forma di vapore dai tessuti vegetali (v. scambi gassosi).

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Finito di stampare nel mese di Luglio 2009 presso GRAFO srl - Palazzago (BG)

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