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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01 A.A. 2017/2018 14 maggio 2018 NE BIS IN IDEM E REATI TRIBUTARI: IL CASO DELL’OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE DOVUTE O CERTIFICATE Cattedra Diritto penale progredito Prof. Carlo Sotis 1

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI,STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel corso diLaurea in Giurisprudenza, LMG-01

A.A. 2017/2018

14 maggio 2018

NE BIS IN IDEM E REATI TRIBUTARI: IL CASO DELL’OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE DOVUTE O CERTIFICATE

CattedraDiritto penale progredito

Prof. Carlo Sotis

STUDENTI: Benedetta Carrubba e Giulia Sugaroni

RELATORE: Dott. Cesare Carino

1

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INDICE

1. Il concorso di norme e il concorso di illeciti

1.1 Il concorso apparente di norme e il concorso di reati…………………………………………….3

1.2 Il concorso apparente di norme attraverso fattispecie a struttura complessa…………………….8

1.3. Il principio di specialità amministrativa. ………………………………………………………..9

2. Il ne bis in idem processuale

2.1. Il ne bis in idem nazionale…………….......................................................................................12

2.1.1. La nozione nazionale di bis…………………………………………………………………..12

2.1.2. La nozione nazionale di idem………………………………………………………………...13

2.2. Il ne bis in idem convenzionale………………………………………………………………...13

2.2.1. La nozione convenzionale di bis……………………………………………………………..14

2.2.2. La nozione convenzionale di idem…………………………………………………………...14

2.2.3. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU………………………………………...15

2.3. Il ne bis in idem euro-unitario. Cenni………………………………………………………….16

3. Omesso versamento di ritenute tra concorso apparente di norme e divieto di bis in idem

3.1. Il sistema punitivo degli illeciti tributari……………………………………………………….16

3.1.1. L’illecito amministrativo: ritardati od omessi versamenti diretti (e altre violazioni in materia di compensazione) ex art. 13 del d.lgs.471/1997…………………………………………………...17

3.1.2. Il reato: omesso versamento di ritenute dovute o certificate ex art. 10 bis d.lgs. 74/2000…..18

3.2 Rapporto tra illeciti: principio di specialità…………………………………………………….19

3.2.1 Orientamento dominante………………………………………………………………….......19

3.2.2.Orientamento minoritario…………………………………………………………………......20

3.2.3. Posizione delle Sezioni Unite………………………………………………………………...21

3.2.3.1 Critiche dottrinali: la non applicazione del principio di specialità ex art. 19 d.lgs.

74/2000……………………………………………………………………………………...22

3.2.3.2. Critiche dottrinali: la asserita violazione del principio del ne bis in idem………………….22

3.3 Conclusioni……………………………………………………………………………………...23

4. Bibliografia.

5. Giurisprudenza.

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1. Il concorso di norme e di illeciti

1.1. Il concorso apparente di norme e il concorso di reati.

Una tra le più rilevanti questioni discusse nell’ambito del diritto penale riguarda i casi in cui con

una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni si integrano gli estremi di più

figure di reato, costringendo l’interprete ad individuare quale sia l’effettiva fattispecie

incriminatrice cui fare riferimento.

Per risolvere il problema occorre analizzare il rapporto che intercorre tra le norme di volta in volta

coinvolte.

Bisogna, innanzitutto, distinguere il concorso di reati dal concorso apparente di norme.

Si profilerà un concorso di reati quando uno stesso soggetto violi più volte la legge penale e

commetta effettivamente più reati, dinanzi ai quali tutte le norme reclamino la loro applicazione1.

Il concorso di reati si suddivide in concorso formale e concorso materiale. Il primo si distingue in:

a) concorso formale omogeneo, quando con una sola azione od omissione si viola più volte la stessa

norma (es.: Tizio rivolge a Caio e Sempronio delle accuse, nel medesimo contesto processuale, pur

sapendo dell’innocenza di questi, rispondendo così di due reati di calunnia)2; b) concorso formale

eterogeneo quando una sola azione od omissione viola più norme (es.: Tizio commette violenza

sessuale sulla figlia: in questo caso avremo due reati commessi con una sola azione: violenza

sessuale ed incesto). Si ha invece concorso materiale di reati quando più azioni od omissioni

violino: a) una sola norma per più volte (es.: Caio compie nello stesso giorno due furti in posti

diversi o a danno di persone diverse); b) più norme (es.: Caio ruba un’automobile e le dà fuoco,

commettendo furto ed incendio doloso).

Il concorso formale e quello materiale di reati si distinguono inoltre per il diverso trattamento

sanzionatorio. Il primo viene punito con il c.d. cumulo giuridico delle pene (art. 81 c.p.) che

prevede che si applichi la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata sino al

triplo (es.: concorso formale tra falsità in testamento olografo, artt. 485 comma 1 c.p. e 491 c.p., e

truffa, artt. 640 e 61 n. 7 c.p., puniti rispettivamente con la reclusione da uno a sei anni e da sei mesi

e un giorno a quattro anni; nonostante la minor pena edittale, il giudice individua nella truffa la

violazione più grave e quantifica la relativa pena in 4 anni di reclusione, alla quale aggiunge, poi, un

anno di reclusione per l’altro reato)3. Il concorso materiale, invece, è punito con il c.d. cumulo

materiale delle pene, ancorché temperato (artt. 78 ss. c.p.) dalla fissazione di limiti massimi per

1G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte Generale, IV Ed., Milano, p. 449.2A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in DE FRANCESCO (a cura di), Le forme di manifestazione del reato, Trattato teorico di diritto penale, vol. II, Torino, 2011, p. 269.3G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit… p. 474.

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ciascuna specie di pena: in ogni caso, la pena complessiva non può essere superiore al quintuplo

della più grave delle pene concorrenti. Nel caso di reati puniti con pene della stessa specie il giudice

applica la somma aritmetica delle pene stabilite per ciascun reato (es.:Tizio che con più azioni

commette furto, punito con due anni di reclusione, truffa, punita con un anno di reclusione, e

violenza privata, punita con sei mesi di reclusione, sarà soggetto alla pena complessiva di tre anni e

sei mesi di reclusione). Se si tratta di reati puniti con pene di specie o di genere diverso le varie

pene si applicano “tutte distintamente e per intero” (es.: reclusione e ammenda)4.

Peculiare è la disciplina del c.d. reato continuato (art. 81 comma 2 c.p.) che si realizza quando

taluno “con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche

in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge soggiace alla pena che

dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo”. In questo caso pur

essendo in presenza di un concorso materiale di reati, unificati dalla realizzazione di un “medesimo

disegno criminoso”, verrà applicato il cumulo giuridico delle pene5.

Il concorso apparente di norme, invece, si verifica quando, prima facie, le disposizioni sembrano

tutte applicabili, in quanto il fatto concreto è perfettamente riconducibile alle fattispecie

incriminatrici in esse contenute. Tuttavia si tratta di un concorso solo apparente, giacché in realtà

non tutte le fattispecie incriminatrici andranno applicate.

In particolare sono due i casi in cui si delinea un concorso apparente di norme: a) quando più azioni

od omissioni sono riconducibili alla stessa norma (c.d. concorso omogeneo), o perché si realizzano

più condotte diversamente dislocate nel tempo, aventi però tutte medesima natura (tipico esempio è

il reato abituale), oppure nel caso di reato a “più fattispecie”, in cui una sola disposizione considera

più modalità alternative di realizzazione di un medesimo reato in modo che sia unica la fattispecie

consumata anche quando un soggetto ponga in essere diverse condotte; b) quando vengono

apparentemente violate più norme (c.d. concorso eterogeneo), come nel caso in cui il fatto sia

apparentemente riconducibile a due o più norme ma in realtà sussistono gli elementi tipici solo di

una fattispecie incriminatrice, mentre tali elementi manchino (anche solo in parte) rispetto all’altra

norma apparentemente interessata (c.d. concorso eterogeneo apparente per carenza di tipicità)

ovvero quando il concorso sia risolvibile applicando le disposizioni degli artt. 15 e 84 c.p. (c.d.

concorso eterogeneo apparente in ragione del criterio di specialità)6.

Da ciò si deduce che il concorso di norme può qualificarsi come l’antitesi del concorso di reati.

Per capire se una determinata fattispecie implichi un concorso apparente di norme o un concorso di

reati, e, nel primo caso, per stabilire quale norma prevalga occorre far riferimento al c.d. principio

4G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit… p. 476 ss.5Ibidem, p.478 ss.6A. VALLINI, Concorso di norme e di reati cit… p. 267 ss.

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di specialità previsto dall’art. 15 c.p., il quale afferma che: “quando più leggi penali o più

disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di

legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti

stabilito”.

Da tale enunciazione si evince che una norma è speciale rispetto ad un’altra quando descrive un

sottoinsieme di fatti non inclusi nella norma generale, prevedendo per l’appunto un quid pluris, cioè

degli elementi in più7. Un esempio è dato dal rapporto di specialità che intercorre tra i delitti di

associazione per delinquere (416 c.p.) e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze

stupefacenti e psicotrope (art. 74 d.pr. 9 ottobre 1990 n. 309) in cui una norma descrive tutti gli

elementi contenuti nella norma generale con uno o più elementi specializzanti (specialità per

specificazione)8. Quando questi, anziché specificare un elemento contenuto nella norma generale, si

aggiungono a quelli già previsti dall’altra norma si parla di “specialità per aggiunta” (es.:la rapina

ex art. 628 c.p. è speciale rispetto al furto ex art. 624 c.p.)9.

Oltre alle ipotesi di specialità unilaterale,come quelle fin qui elencate, vanno considerati anche i

casi di “specialità reciproca o bilaterale”10, che si ha quando due fattispecie incriminatrici

presentano elementi generici ed elementi specifici dell’una e dell’altra (es.:millantato credito ex art.

346 c.p. e truffa ex art.640 c.p.)11.

Per alcuni autori l’art. 15 c.p. non può applicarsi alla specialità reciproca che invece viene

considerata ipotesi riconducibile all’art. 84 c.p. Risulta utile evidenziare, in tal senso, che

un’autorevole dottrina afferma che considerare due norme in rapporto di specialità reciproca come

norme in concorso formale può comportare il rischio di violazione del ne bis in idem sostanziale,

poiché la specialità reciproca potrebbe in realtà mettere in luce il medesimo fatto (e si dovrebbe

quindi avere concorso apparente) e non fatti diversi che richiedono l’applicazione contemporanea

delle due norme (concorso formale)12.

Parte degli interpreti, peraltro, ritiene di dover applicare il principio di cui all’art. 15 c.p. non solo

alle ipotesi di “specialità in astratto”, costruita sulla convergenza tra astratte fattispecie incriminarci,

ma anche ai casi di “specialità in concreto”, che si verifica allorché, pur in assenza di una astratta

convergenza tra fattispecie, il rapporto di genere a specie si crea tra i “fatti in concreto” regolati

dalle fattispecie stesse.

7F. MANTOVANI, Diritto Penale cit., p. 477 ss.8G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit... p. 451.9F. MANTOVANI, Diritto Penale cit... p. 478.10Vedi meglio infra parr. 1.2 e 1.3.11A. VALLINI, Concorso di norme e di reati cit... p. 276.12Ibidem, p. 286, ove si riportano le pregnanti critiche alla teoria della specialità in concreto, che da un lato non può prescindere dalla valutazione preliminare delle astratte fattispecie criminose, e dall’altro reintroduce surrettiziamente criteri valutativi in regole strutturali.

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Esaurita l’analisi della specialità, occorre evidenziare che mentre parte degli interpreti ravvisa nel

criterio di specialità l’unico su cui fondare l’esistenza del concorso apparente di norme

(orientamento “monista”13), altre correnti interpretative propongono un’impostazione “dualista”,

che associa alla specialità ulteriori criteri di valore: quello di sussidiarietà e quello di consunzione o

assorbimento14.

In base al principio di sussidiarietà, la norma principale esclude l’applicabilità della norma

sussidiaria, in quanto quest’ultima tutela, accanto al bene giuridico protetto dalla prima norma, uno

o più beni ulteriori, ovvero reprime un grado di offesa più grave allo stesso bene. Un rapporto di

sussidiarietà sussiste anche quando una norme contenga in sé una clausola del tipo “fuori dal caso

indicato dall’art. X”, “fuori dai casi del concorso nel reato X” etc. Si pensi al caso in cui Tizio

aiuta Caio ad assicurarsi, occultandolo, il denaro proveniente da un delitto. Questo fatto integra gli

estremi sia del favoreggiamento reale (art. 379 c.p.), sia quelli della ricettazione (art. 648 c.p.): l‘art.

379 c.p. è norma principale poiché presenta la clausola “fuori dai casi previsti dall’art. 648 c.p.”e

tutela sia l’amministrazione della giustizia che il patrimonio. Queste specifiche formule prendono il

nome di “clausole di riserva” e si distinguono in: a) determinate, quando attribuiscono prevalenza

ad una o più norme specificamente individuate; b) relativamente determinate, quando rinviano a

reati non identificati perché appartenenti ad una certe categoria; c) indeterminate, quando affermano

genericamente l’inapplicabilità delle disposizioni che le contengono qualora il fatto sia previsto

come reato ai sensi di qualsiasi altra norma15.

Il principio di consunzione o assorbimento, invece, prevede che la norma consumante prevale su

quella consumata, ovvero che la commissione di un reato strettamente funzionale ad un altro e più

grave comporta l’assorbimento del primo nel secondo (es.: furto in abitazione, 624 bis comma 1

c.p., assorbe in sé sia il furto semplice sia la violazione di domicilio).

Le categorie dell’antefactum e del postfactum non punibili rappresentano le classiche applicazioni

del principio di consunzione16.

Esse si identificano con quei reati che costituiscono la normale premessa o naturale sbocco di altri

reati, tramite i quali viene commesso il reato più grave, nel quale rimangono assorbiti. Nessuna di

queste fattispecie deve essere contenuta nell’altra e devono essere, inoltre, volte alla realizzazione

di un medesimo scopo17. Esempio di antefactum non punibile è costituito dalla falsificazione di

monete (art. 453 c.p.) che viene assorbito nel reato di contraffazione di banconote (art. 455 c.p.),

13F. MANTOVANI, Diritto Penale cit... p. 479 ss.14G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit… p. 455 ss.15A. VALLINI, Concorso di norme e di reati cit… p. 291.16Contra G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit... p. 436, i quali ritengono che alla base della non punibilità dell’antefactum vi sia la logica della sussidiarietà.17 Ibidem, p. 314.

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mentre un’ ipotesi di postfactum non punibile è configurabile nel delitto di ricettazione (art. 648.

c.p.) legato alla commissione di un precedente reato (furto, o estorsione, o truffa, etc.)18.

A riguardo vi sono degli orientamenti che ritengono che l’antefactum e il postfactum vengano

assorbiti nel reato principale, non essendo di conseguenza punibili separatamente, e che pertanto

sono da inquadrare nel fenomeno del concorso apparente di norme, nell’ambito del quale, i criteri di

specialità, sussidiarietà e consunzione inducono a escludere la punizione di fatti che si pongono o

come premessa del fatto principale o come suo naturale sbocco19.

Altra teoria, invece, non attribuisce nessuna rilevanza giuridica all’antefactum e al postfactum,

mentre un orientamento intermedio esclude le medesime teorie per la mancanza di un principio

generale e allo stesso tempo rileva un problema di interpretazione delle stesse, risolvibile tramite i

classici canoni ermeneutici20.

Per quanto concerne gli esaminati criteri di sussidiarietà e di consunzione, sono state mosse delle

vivaci critiche: riguardo alla consunzione si ritiene che la sua applicazione sia alquanto inutile e

riconducibile alle altre due ipotesi e che entrambi, non basandosi su un fondamento giuridico-

positivo, risultano essere insufficienti e piuttosto vaghi21. A garanzia del ne bis in idem sostanziale,

quindi,il nostro sistema pone in via esclusiva, da un lato, il criterio di specialità (artt. 15, 84,68 c.p.)

e, dall’altro, le “clausole di riserva”22.

Tali critiche sono accolte dalla giurisprudenza prevalente, che ritiene di abbracciare l’impostazione

monista, perché - scevra da criteri valoriali o teleologici - limita l’altrimenti inevitabile espansione

della discrezionalità del giudice e risulta, pertanto, più rispondente al principio di legalità.

In particolare, si evidenzia una recente pronuncia con cui la S. C., nella sua più autorevole

composizione23, dirimendo un contrasto giurisprudenziale esistente tra le sezioni semplici in ordine

alla ricostruzione dei rapporti tra il reato di malversazione in danno dello Stato di cui all’art. 316 bis

c.p. e quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640 bis c.p.,

esclude” la presenza di un sostegno ermeneutico all’ipotesi di considerare, nell’ambito dell’istituto

del concorso apparente di norme, criteri valutativi diversi da quello di specialità”; ciò in quanto le

altre figure esaminate (assorbimento, consunzione, antefactum e postfactum non punibili) sono

ritenute “prive di basi ricostruttive, perché individuano elementi incerti quale dato di discrimine,

come l’identità del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta

18G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit... p. 461 ss.19G.VASSALLI, Antefatto non punibile, in Enc. Dir. 1958, p.508.20F. MANTOVANI, Diritto penale cit.,. p. 316 ss.21F. MANTOVANI, Diritto penale cit., p. 482 ss.22Ibidem, p. 484.23Cass. Pen., S.U., n. 20664 del 28/04/2017. La pronuncia, in particolare, non ravvisa rapporti di concorso apparente tra le norme oggetto del giudizio, in quanto strutturalmente eterogenee.

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graduazione in termini di minore o maggiore intensità, di non univoca individuazione, e per questo

suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti”.

1.2. Il concorso apparente di norme attraverso fattispecie a struttura complessa.

L’eventualità più problematica che gli interpreti si trovano ad affrontare riguarda l’ipotesi della

fattispecie complessa, da cui è possibile analizzare, sotto un altro profilo rispetto a quello descritto

nel paragrafo precedente, il concorso apparente di norme.

Per fare ciò, presupposto necessario è l’analisi del reato a struttura complessa che si può

estrinsecare mediante tre tipologie: reato complesso vero e proprio; reato abituale; reato

continuato24.

Questi, pur presentando varie divergenze, sono tutti composti da fatti che di per sé costituiscono

reati,dando luogo ad un concorso apparente di norme, in quanto il fatto rappresentante la fattispecie

a struttura complessa integra anche la fattispecie semplice,ma ad esso è applicabile una sola norma

in base agli art. 15 e 84. c.p.

Il reato complesso (art. 84 c.p.), comprende fatti che, pur potendo configurare reati autonomi,

rilevano come elementi costitutivi (es. il reato di rapina è integrato dalla sottrazione della cosa

mobile altrui con finalità di profitto, che integra l’autonomo reato di furto e dalla minaccia che, a

sua volta, integra l’omonimo reato di cui all’art. 612 c.p. o dalla violenza di cui all’art. 610 c.p.) o

come circostanze aggravanti (es. furto aggravato dalla violenza sulle cose) di altri reati25.

La fattispecie appena descritta costituisce il reato complesso in senso stretto (o reato composto), ma

la nostra dottrina considera anche i reati complessi in senso lato, quando il reato contiene

necessariamente un reato meno grave con l’aggiunta di elementi ulteriori non penalmente rilevanti

(es.: la violenza sessuale contiene, non solo il reato meno grave della violenza privata, ma anche

l’atto sessuale, di per sé non penalmente rilevante)26.

Contrariamente al prevalente orientamento giurisprudenziale, parte della dottrina ha infatti ritenuto

che se il reato complesso comprendesse solo il reato necessariamente complesso, l’art. 84 c.p. altro

non sarebbe che una ripetizione dell’art. 15. c.p., risultando conseguentemente inutile, giacché i

reati complessi che vengono in essere si configurano per lo più come eventualmente complessi27.

Una species del reato necessariamente complesso è il reato progressivo, quel reato che si realizza

mediante il passaggio da un reato meno grave ad uno di maggiore entità, di cui il primo risulta

24F. MANTOVANI, Diritto Penale cit… p. 489.25Ibidem, p. 490.26F. MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, p. 295.27F. MANTOVANI, Diritto penale cit... p. 492.

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essere necessariamente l’elemento costitutivo del secondo (es.: percosse, lesioni, omicidio)28. La

figura del reato progressivo interseca le ipotesi di antefactum e di postfactum che, diversamente dal

primo, come già esposto, presuppongono una pluralità di fatti criminosi, cronologicamente

successivi e corrispondenti a fattispecie eterogenee di diversa gravità, che rappresentano differenti

stadi di offesa rispetto ad un medesimo bene giuridico.

Dal reato progressivo va distinta, infine, l’ipotesi di progressione criminosa in cui si realizza, per

effetto di risoluzioni successive, un’aggressione sempre maggiore allo stesso bene che si risolve

nella realizzazione di un reato più grave (es.: Tizio decide di sequestrare Caio e solo

successivamente di ridurlo in schiavitù), mentre nel reato progressivo si ravvisa un’unica

risoluzione iniziale, e di conseguenza un unico reato. Dal momento che le diverse deliberazioni

criminose implicherebbero l’applicazione di più norme e conseguentemente l’integrazione di più

reati (nel nostro esempio, il sequestro di persona e la riduzione in schiavitù), concretizzando dunque

un concorso materiale di reati, alcuni interpreti - per evitare una sproporzione sanzionatoria - hanno

elaborato la figura della progressione criminosa affinché si considerino i fatti come uno solo29.

1.3. Il principio di specialità amministrativa.

Finora sono stati esaminati i rapporti tra norme appartenenti all’ordinamento penale, tuttavia ai fini

che qui rilevano occorre analizzare anche il rapporto tra illeciti penali e illeciti amministrativi,

disciplinato dall’art. 9 L. novembre 1981, n. 689, in base al quale “quando uno stesso fatto è punito

da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero

da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione

speciale”.

Il principio specialità amministrativa altro non è che un’estensione all’illecito amministrativo del

principio previsto dall’art. 15 c.p. per gli illeciti penali.

Una recente sentenza della S.C.30 in cui si analizzava la relazione intercorrente tra l’illecito

amministrativo di cui all’art. 213 comma 4 del codice della strada e il delitto di cui all’art. 334 c.p.,

ha avuto il pregio di eliminare alcune aporie che si riscontravano nella giurisprudenza precedente:

in particolare, si segnala il fatto che la Corte non ritiene riscontrabile un concorso apparente solo nel

caso in cui vi sia uno stretto rapporto genus–species (c.d. specialità unilaterale), ma ritiene che gli

articoli 15 c.p. e 9 L. 689/91 sarebbero in certi casi applicabili anche in presenza di specialità

reciproca. Nello specifico, la Cassazione sottolinea che solo quando si rilevi che il rapporto

28F. MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto cit… p. 300 ss.29Ibidem, p. 342 ss.30Cass. Pen., S.U., n. 1963 del 28/10/2011.

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intercorrente tra le due norme è di specialità reciproca per aggiunta, si può escludere con certezza di

essere di fronte allo “stesso fatto”/ “stessa materia”.

In questa sentenza la Corte ha elaborato un “test strutturale” da compiersi ogni qualvolta vi sia un

concorso tra una disposizione incriminatrice penale e una disposizione sanzionatoria

amministrativa. Da un’attenta lettura della pronuncia, possiamo individuare un iter logico che si

snoda in tre fasi: a) innanzitutto, l’interprete deve stabilire, attraverso l’esame della struttura del

reato e della violazione amministrativa, se si è in presenza o meno dello “stesso fatto”; b) in caso

affermativo, occorrerà individuare quali siano i rapporti intercorrenti in astratto tra gli elementi

strutturali della fattispecie in esame; c) vanno infine individuati gli elementi specializzanti, che

rendono una norma speciale rispetto all’altra31.

La giurisprudenza conferma pertanto, nel quadro del contesto dei rapporti tra illeciti amministrativi

e illeciti penali, e dunque nell’interpretazione dell’art. 9 L. 689/1981, quanto già sostenuto con

riguardo all’art. 15 c.p.: ovvero che il principio di specialità debba dedursi da “da un confronto

strutturale tra fattispecie”32.

Quanto esposto sinora rileva in maniera particolare in riferimento agli illeciti tributari, giacché il

rapporto di specialità più ricorrente in questi casi tra la norma penale e l’illecito amministrativo è

proprio la specialità reciproca. Pertanto, le considerazioni fatte risultano fondamentali giacché l’art.

19 del d.lgs. 74/2000, norma cardine per l’interpretazione delle fattispecie che concorrono a

costituire il c.d. diritto penale tributario, enuncia la regola secondo cui “quando uno stesso fatto è

punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione

amministrativa, si applica la disposizione speciale”, in tal modo ripudiando il precedente principio

del cumulo tra sanzioni penali e amministrative senza però specificare cosa si intende per

“speciale”.

La norma rimanda chiaramente all’art. 15 c.p. e ricalca in toto quella di cui all’art. 9 L. 689/1981.

Pertanto, per risolvere il conflitto tra norme di diversa natura regolanti il medesimo fatto, e quindi

per stabilire se entrambe debbano trovare applicazione ovvero una sia speciale rispetto all’altra,

occorre prima fare un confronto strutturale tra i due illeciti al fine di riconoscere la loro identità o

eterogeneità. Nel primo caso si avrà concorso di norme, nel secondo il cumulo delle sanzioni.

Sebbene solitamente sia concepita come speciale la norma penale, in quanto caratterizzata da un

doppio elemento specializzante (dolo specifico di evasione, propria o di terzi, e soglie di punibilità

in funzione del danno arrecato all’amministrazione finanziaria o dell’ incidenza della condotta di

evasione sul complessivo modo di adempimento alle proprie obbligazioni tributarie), tale

31E.PENCO, Il principio di specialità amministrativa, in Riv. trim. dir. pen. cont., 3/2015.32G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale cit... p. 454.

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conclusione non è sempre così semplice e, non poche volte, capita che sia la norma tributaria a

prevalere su quella penale33.

In ordine ai rapporti tra illecito amministrativo-tributario e penale va infine segnalata la disciplina

dettata dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. 74/2000. L’art. 20 del d.lgs. 74/2000 attinente al problema delle

relazioni tra il processo penale e l’accertamento giurisdizionale tributario può essere espresso

attraverso un unico concetto: “deve essere esaminata e, quindi esclusa, ogni pregiudizialità”.

Tuttavia, per lungo tempo (sino alla riforma del 1982), i rapporti tra procedimento amministrativo e

reati tributari sono stati regolati dalla c.d. pregiudiziale tributaria, ossia solo nel momento in cui il

contenzioso tributario fosse giunto a termine, il processo penale poteva proseguire. Così,

l’accertamento extrapenale si imponeva, come dato incontestabile, nel processo penale che sino a

quel momento era sospeso. Con l’introduzione dell’art. 12 del d.l. 429/1982 tale ordine fu

capovolto, in quanto venne stabilito che entrambi i procedimenti dovessero proseguire

autonomamente senza attendere gli esiti l’uno dell’altro, e che la sentenza penale di condanna o di

proscioglimento fosse destinata ad avere autorità di giudicato nel procedimento tributario avente ad

oggetto i medesimi fatti di quello penale.34 Oggi l’art. 20 del d.lgs. 74/2000 sancisce un principio

fondamentale, secondo cui il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario

non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale che verte sugli stessi fatti dal

cui accertamento dipende la relativa definizione.

L’art. 21 del medesimo decreto al primo comma, dal suo canto, stabilisce che l’Agenzia delle

entrate dovrà procedere ad irrogare la sanzione amministrativa relativa alla commissione

dell’illecito tributario, ma che la stessa non sarà eseguibile sino all’esito del processo penale e,

chiaramente, allorché lo stesso termini con un provvedimento di archiviazione o con una sentenza

di assoluzione o di proscioglimento che esclude la rilevanza penale del fatto35.

2. Il ne bis in idem processuale

Il principio del ne bis in idem processuale postula il divieto di essere giudicato più volte per il

medesimo fatto allorché sia intervenuta una sentenza definitiva. In ambito penale tale principio è

contemplato, a livello nazionale, dall’art. 649 c.p.p. e, a livello europeo, dall’art. 4 Protocollo n.7

33A. TRAVERSI, Principio di specialità, in Diritto e procedura penale tributaria (commentario al Decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74) di A. LANZI, A. GIARDA, I. CARACCIOLI, Milano, p. 477 ss. 34A. MARTINI, Principio di specialità, in Trattato di diritto penale, parte speciale. Volume XVII: Reati in materia di finanze e tributi di A. PAGLIARO e C.F. GROSSO, Milano, p. 239 ss.35Ibidem, p. 237.

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della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dall’art. 50 della Carta dei diritti

fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza).

2.1. Il ne bis in idem nazionale.

Sebbene la Costituzione italiana non contempli esplicitamente detto principio, la Corte

Costituzionale lo ritiene un valore costituzionalmente garantito poiché rinviene le sue radici nell’art.

24 Cost., sulla tutela giurisdizionale, e nel principio della ragionevole durata del processo (art. 111

Cost.).

Il principio svolge una duplice funzione: a) assicurare la funzione giuridica conferendo alla

decisione penale definitiva l’auctoritas di res iudicata; b) proteggere l’individuo dal rischio di

nuove persecuzioni penali per lo stesso fatto36.

La legge ordinaria prevede e disciplina espressamente il principio all’art 649 c.p.p., che dispone

che: “l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non

può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo

viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto

dagli articoli 69 comma 2 e 345. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il

giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a

procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”.

Occorre pertanto chiarire cosa, ai fini dell’applicazione della norma, si intenda per bis, e cosa si

intenda per idem.

2.1.1. La nozione nazionale di bis.

L’applicazione dell’art. 649 c.p.p. richiede che si sia in presenza di un nuovo procedimento penale.

In questo senso l’interpretazione più accreditata e unanimemente riconosciuta in giurisprudenza

accoglie una nozione formale di pena, e dunque di procedimento penale, riconducendola all’art. 25

della Costituzione e all’art. 1 del c.p., ovvero ad un criterio di stretta legalità formale, facendovi

rientrare i fatti tipici di reato e le pene formalmente qualificate come tali dal legislatore37. Alla luce

di ciò, è possibile escludere una possibile violazione del ne bis in idem nel caso in cui ad una

sanzione amministrativa irrogata per uno specifico fatto segua poi un procedimento penale, per il

medesimo fatto e contro la stessa persona, per irrogare la relativa sanzione penale38.

36Cfr. S.ALLEGREZZA, Articolo 4Pprotocollo n. 7 in S. BARTOLE – P. DE SENA – V. ZAGREBELSKY, Commentario breve alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, p. 894.37Cfr. M. BRANCACCIO, Ne bis in idem percorsi interpretativi e recenti approdi della giurisprudenza Nazionale ed Europea, in Ufficio del Massimario Penale Relazione di Orientamento, Roma, 21 Marzo 2017, p. 6.38Cfr. Corte Cost. n.112/2016, in cui veniva dichiarata inammissibile una questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. nell’interpretazione per cui non è applicabile in ipotesi di duplicazione di procedimenti che, pur non formalmente penali, lo siano sostanzialmente alla stregua dei criteri Engel (su cui v. par. 2.2.1.). La Consulta

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2.1.2. La nozione nazionale di idem.

In ordine all’interpretazione della nozione di “medesimo fatto”, nonostante la giurisprudenza

minoritaria39 ritenesse necessario effettuare un raffronto strutturale tra fattispecie (dunque

valorizzando il c.d. idem legale), con la sentenza Donati del 200540 le S.U. hanno sancito che il

medesimo fatto da accertare per evitare il ne bis in idem debba essere inteso nella sua accezione

naturalistica e non nella sua concezione giuridica (pertanto, valorizzando il c.d. idem legale).

Sul punto, occorre ricordare che recentemente è intervenuta la Corte Costituzionale, la quale con

l’importante sentenza del 21 luglio 2016, n. 200 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.

649 c.p.p. nella parte in cui esclude che “il fatto sia medesimo per la sola circostanza che sussiste

un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza definitiva irrevocabile e il reato per cui

è iniziato il nuovo procedimento penale” per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in

relazione all'art. 4 Protocollo n. 7 della CEDU (su cui v. infra). La sentenza adegua definitivamente

l’ordinamento nazionale alla nozione di stesso fatto accolta dalla Corte EDU, in termini di idem

factum, abbandonando l’interpretazione secondo i crismi dell’idem legale41.

2.2. Il ne bis in idem convenzionale.

Il principio del ne bis in idem viene sancito anche dall’art. 4 Protocollo 7 CEDU42.

Diversamente dall’art. 649 c.p.p., la cui violazione determina direttamente l’obbligo per il giudice

di emanare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, la violazione della CEDU, e

dunque dell’art. 4 Protocollo 7, assurgendo questa al rango di norma interposta tra Costituzione e

legge ordinaria ai sensi dell’art. 117 Cost., che obbliga il legislatore nazionale (e regionale) a

esercitare la potestà legislativa nel rispetto della Costituzione, “nonché dei vincoli derivanti

evidenziava che spetta al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio ai contrasti che il regime del doppio binario sanzionatorio genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU, in particolare l’art. 4 Prot. 7 (su cui v. meglio infra).39Cass. Sez. Un., , n. 1235 del 28/10/2010, Giordano, in CED Cassazione n. 248864; Cass. Sez. Un., n. 1963 del 28/10/2010, Di Lorenzo, n. 248722; Cass. Sez. Un. n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, n. 235962; Cass. Sez. Un., n. 47164 del 20/12/2005, Marino, n. 232302.40Cass. Sez. Un., n. 34655 del 26/6/2005 Donati , Rv. 231799 e 23180041Cfr. C. Edu, GC, Serguei Zolotoukhine c. Russia, 10/02/2009. Nel caso di specie il ricorrente era stato prima condannato a una sanzione amministrativa, sostanzialmente penale (su cui v. infra par. 2.2.1), e poi sottoposto per la medesima condotta a procedimento penale. Malgrado i due procedimenti fossero formalmente diversi ( l’uno penale e l’altro amministrativo), e così anche i fatti fossero qualificati diversamente dalla norma amministrativa e dalla norma penale, la Corte ritenne comunque violato l’art. 4 Prot. 7 CEDU, ritenendo che la condotta contestata fosse la medesima. 42Art. 4 Prot. 7 CEDU: 1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’art. 15 della Convenzione.”.

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dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, implica l’obbligo per il giudice di

sollevare questione di legittimità costituzionale; la norma non è dunque suscettibile di esplicare

efficacia diretta analoga all’art. 649 c.p.p..

Quanto al contenuto della garanzia, occorre mettere in evidenza talune peculiarità del principio

convenzionale, come interpretato dalla Corte EDU, rispetto a quello nazionale, in particolare per

quanto concerne la nozione di bis.

2.2.1. La nozione convenzionale di bis.

Le nozioni di reato, di pena, e di procedimento penale, funzionali ad individuare il perimetro

applicativo del divieto di bis in idem convenzionale, sono state oggetto di elaborazione autonoma da

parte della Corte EDU. I giudici di Strasburgo, per garantire effettività ai diritti riconosciuti dalla

Carta, e dunque per neutralizzare il classico espediente dell’Etikettenschwindel (la c.d. truffa delle

etichette), hanno ritenuto di dover prescindere dalle qualificazioni giuridiche conferite agli illeciti,

alle sanzioni e ai procedimenti, dai singoli legislatori nazionali, e hanno pertanto elaborato una

nozione autonoma di matière pénale43.

I criteri sono stati elaborati nella celebre sentenza della Grande Camera nel caso Engel e altri c.

Paesi Bassi44, e sono: a) la qualificazione giuridica della violazione nell’ordinamento nazionale; b)

la natura effettiva della violazione, punitiva e non esclusivamente preventiva o riparatoria; c) il

grado di severità della sanzione.

Emerge pertanto la divergenza tra il bis nazionale, cristallizzato nell’art. 649 c.p.p., legato alla

qualificazione del procedimento come penale e della sanzione come pena, e quello convenzionale,

che prescinde dall’astratta qualificazione giuridica e si estende alla sostanza del procedimento e

della sanzione comminata.

2.2.2. La nozione convenzionale di idem.

Per delimitare la cornice applicativa dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU occorre individuare la nozione

di idem.

Risulta ormai granitico l’orientamento della Corte EDU nel riconoscere la garanzia del ne bis in

idem rispetto alle stesse condotte, ovvero al fatto posto in essere nella sua accezione naturalistica,

ovvero quell’insieme di circostanze concrete inscindibilmente legate tra loro, e non nella sua

qualificazione giuridica45.

43La nozione è stata elaborata nel corso di giudizi inerenti la violazione dell’art. 6, che garantisce l’equo processo e , in particolare, garanzie inerenti ad accuse in materia penale.44C. Edu, GC, Engel e altri c. Paesi Bassi, 23/11/1976.45S.ALLEGREZZA, Articolo 4 Protocollo n. 7 in S. BARTOLE – P. DE SENA – V. ZAGREBELSKY, Commentario breve alla convenzione europea dei diritti dell’uomo cit… p. 900.

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Le nozioni di idem convenzionale e nazionale, alla luce della forza espansiva esercitata dalla

CEDU, attualmente coincidono. Per un’analisi più approfondita della nozione di idem si rinvia

pertanto al par. 2.1.1.

2.2.3. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU.

Per comprendere meglio il tenore dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU è importante illustrare il percorso

evolutivo che ha caratterizzato la giurisprudenza della Corte EDU negli ultimi anni.

Tale disposizione è, in particolare, protagonista della sentenza Grande Stevens46, con cui i giudici di

Strasburgo partendo dall’analisi delle nozioni di matière pénale e di idem factum47, censuravano il

regime di c.d. doppio binario sanzionatorio contemplato dall’ordinamento nazionale in materia di

aggiotaggio48.

Nello stesso senso si muove la sentenza Nykänen c. Finlandia49, in cui la Corte EDU riscontra

un’ipotesi di doppio binario sanzionatorio penale-amministrativo nella legislazione tributaria

finlandese, condannando lo Stato in questione per violazione del ne bis in idem50.

Si assiste invece a un cambio di rotta in materia con la sentenza resa il 15 Novembre 2016, A e B c.

Norvegia51, in cui la Corte EDU afferma che il doppio binario sanzionatorio, previsto dal sistema

norvegese, non viola il divieto di bis in idem in quanto i ricorrenti erano stati sottoposti a due

procedimenti paralleli - penale e amministrativo - sufficientemente connessi dal punto di vista

sostanziale e temporale, tali da costituire un sistema sanzionatorio integrato. Nello specifico, quanto

al nesso temporale, si è ritenuto che la connessione sufficientemente stretta possa sussistere sia

mediante una conduzione parallela che consecutiva dei due procedimenti sullo stesso fatto, purché il

soggetto sottoposto ai procedimenti non subisca un pregiudizio sproporzionato derivante da un

perdurante stato di incertezza processuale. Per quanto concerne invece l’aspetto sostanziale, la

Corte di Strasburgo individua una serie di indicatori sintomatici di tale connessione quali: la diversa

46C. Edu, Sez.II, Grande Stevens e a. c. Italia, 4/03/2014.47M. BRANCACCIO, “Ne bis in idem percorsi interpretativi e recenti approdi della giurisprudenza Nazionale ed Europea”, in Ufficio del Massimario Penale Relazione di Orientamento, Roma, 21 Marzo 2017, p. 1.48In particolare, la violazione veniva fondata dopo aver qualificato come sanzioni penali, assoggettate all’art. 4 Prot. 7, le sanzioni amministrative previste dall’art. 187-ter d.lgs. 58/1998 (c.d.TUF) nell’ambito di un procedimento amministrativo, di competenza della Consob; invero, al procedimento amministrativo era seguito un processo penale per il medesimo fatto, che era approdato ad una condanna in appello.49C. Edu., Quar. Sez., Nykänen c. Finlandia, 20/05/2014. Nel caso di specie il ricorrente era stato accusato di aver ricevuto, in modo occulto, dividendi pari a 33.000 euro ed era stato condannato, nel 2005, dalle autorità finlandesi al pagamento di una sovrattassa pari al 30% del tributo evaso. Nel procedimento penale iniziato nel 2008 per gli stessi fatto era stato condannato dalla Corta di appello di Helsinki per frode fiscale ad una pena di dieci mesi di reclusione e al pagamento di 12.420 euro.50M. DOVA, Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e giudici nazionali e sovranazionali, in Diritto penale contemporaneo, 5 Giugno 2014.51C. Edu., GC., A e B c. Norvegia, 15/11/2005. Anche in questo caso si sono susseguiti due procedimenti, amministrativo e penale, il cui esito è stato la condanna dei ricorrenti prima al pagamento di una sovrattassa e poi alla reclusione per i medesimi fatti.

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finalità dei procedimenti, la prevedibilità della duplicazione di procedimenti e sanzioni da parte

dell’autore della condotta, la conduzione “integrata” dei procedimenti, in modo da evitare la

duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove, la considerazione nel secondo

procedimento dell’entità della sanzione inflitta nel primo, in modo che venga in ogni caso rispettata

l’esigenza di una proporzionalità complessiva della pena52. Come è stato correttamente messo in

rilievo, pur mantenendo validi i criteri della sentenza Engel, la Corte EDU propone dunque ai

giudici nazionali una terza via che tende al meglio bilanciare la garanzia dei diritti processuali

dell’individuo con le esigenze fiscali ed economiche dell’Unione europea53.

2.3. Il ne bis in idem euro-unitario. Cenni.

Occorre infine ricordare che il divieto del bis in idem è contenuto anche all’interno dell’art. 50

CDFUE, che recita: “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già

stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente

alla legge”. La Carta di Nizza, in seguito al Trattato di Lisbona, ha assunto rango analogo ai

Trattati. Ne consegue che una sua violazione da parte di norme nazionali, determina l’obbligo per i

giudici degli Stati membri di disapplicare le norme nazionali contrastanti. Ciò, evidentemente, nei

limiti delle competenze dell’UE, delineate nell’art. 6 TUE.

3. Omesso versamento di ritenute tra concorso apparente e divieto di bis idem.

Sulla scorta di quanto esposto si può passare ora ad affrontare il problema specifico dei rapporti tra

illecito penale e illecito amministrativo – tributario di omesso versamento di ritenute. Si vedrà come

le soluzioni fornite dalla giurisprudenza hanno incontrato non poche critiche, sia per quanto

concerne l’errata applicazione del principio di specialità, sia con riguardo all’asserito contrasto che

detta soluzione genera con il principio del ne bis in idem.

3.1. Il sistema punitivo degli illeciti tributari.

Il sistema sanzionatorio degli illeciti tributari è rappresentato dal complesso di norme destinate a

punire le violazioni degli obblighi posti dall’ordinamento in relazione all’imposizione e alla

riscossione dei tributi.

L’apparato punitivo degli illeciti tributari si compone di sanzioni amministrative e di sanzioni

penali. Le sanzioni amministrative tributarie sono previste e disciplinate principalmente dai d.lgs.

471/1997 e 472/1997; le sanzioni penali dal d.lgs. 74/2000.52M. BRANCACCIO, “ Ne bis in idem percorsi interpretativi e recenti approdi della giurisprudenza Nazionale”cit… p.12.53Ibidem, p.17.

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Anche le sanzioni amministrative, come le sanzioni penali, esercitano ora una funzione prettamente

punitiva, e non risarcitoria. Tale conclusione si desume dall’analisi della disciplina del d.lgs.

472/1997 che, simmetricamente al d.lgs. 689/1981, adotta un modello penalistico dell’illecito,

ispirato ai principi di legalità, colpevolezza e imputabilità.

Il sistema è costruito secondo un criterio di progressione di gravità; le sanzioni penali vengono

comminate per le condotte ritenute più gravi, in ragione di elementi oggettivi (rappresentati,

tendenzialmente, da soglie di punibilità) e soggettivi (come il dolo specifico di evasione)54.

Tale sistema, con specifico riferimento a condotte sanzionate anche penalmente, si espone a

duplicazioni punitive55. Nel quadro di un sistema improntato all’alternatività tra sanzioni

amministrative e penali, il legislatore ha adottato però il principio di specialità, in base al quale

quando uno stesso fatto è punito sia da una disposizione amministrativa che da una penale, si

applica soltanto quella speciale.

Il rischio di duplicazioni punitive, tuttavia, riemerge qualora tra le norme amministrative e quelle

penali non appaia prima facie rintracciabile un rapporto di specialità56. E’ questo il caso dell’illecito

di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, punito sia con sanzione amministrativa

dall’art. 13 d.lgs. 471/1997 che con sanzione penale, dall’art. 10-bis d.lgs. 74/2000.

3.1.1. L’illecito amministrativo: ritardati od omessi versamenti diretti (e altre violazioni in

materia di compensazione) ex art. 13 del d.lgs. 471/1997.

L’art. 13 del d.lgs. 471/1997 prevede che: “chi non esegue in tutto o in parte, alle prescritte

scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo

dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti

periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al 30% di

ogni importo non versato anche quando in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo

rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale risulti una maggiore imposta o una minore

eccedenza detraibili (…)”.

Il bene giuridico tutelato dall’illecito è rappresentato dall’interesse dello Stato alla percezione dei

tributi.

Per quanto concerne l’elemento oggettivo, è punita la condotta di chi non esegue in tutto e in parte,

alle scadenze previste: a) i versamenti in acconto; b) i versamenti periodici; c) il versamento di

conguagli; d) il versamento a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione. Pertanto, siamo di

54Su cui v. supra par. 1, cap. 1.3.55E. M. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, A. RONCO, in Diritto penale dell’impresa, III Ed., Zanichelli Editore, p. 428 ss.56Ibidem, p. 429 ss.

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fronte a un illecito di natura omissiva integrato, come specificato dalla giurisprudenza, con il

mancato versamento delle ritenute operate mensilmente entro il termine di legge57.

Per quanto concerne il soggetto attivo, l’apparente previsione di carattere generale (“chi”) va

riferita, in realtà, a chi è tenuto ad effettuare i versamenti, ossia il sostituto d’imposta,configurando

così un’ipotesi di illecito proprio.

Per quanto riguarda, invece, l’elemento soggettivo, l’illecito può essere commesso alternativamente

con dolo o colpa58.

Da ultimo, riguardo al trattamento sanzionatorio, per tutte le ipotesi di mancato pagamento di un

tributo o di una sua frazione al temine previsto anche in caso di errori materiali o di calcolo, rilevati

in sede di controllo della dichiarazione annuale, viene applicata una sanzione amministrativa pari al

30% del versamento omesso.

3.1.2. Il reato: omesso versamento di ritenute dovute o certificate ex art. 10 bis d.lgs. 74/2000.

All’illecito amministrativo si affianca poi l’illecito penale previsto dall’art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000,

rubricato “omesso versamento di ritenute dovute o certificate”, il quale punisce con la reclusione da

sei mesi a due anni colui che, rivestendo il ruolo di sostituto d’imposta, non versa entro il termine di

legge ritenute dovute sulla base della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta o risultanti dalla

certificazione rilasciata ai sostituiti, superata l’indicata soglia di punibilità (innalzata da euro 50.000

a euro 150.000 per ciascun periodo di imposta).

Il bene giuridico tutelato dal reato è rappresentato dall’interesse dello Stato alla percezione dei

tributi.

Per quanto concerne l’elemento oggettivo, il delitto in questione integra un’ipotesi di reato omissivo

a condotta mista in cui si rintracciano due condotte attive (effettuazione della ritenuta ed,

eventualmente, rilascio della certificazione) e una omissiva (mancato versamento delle ritenute

entro il termine di legge)59. Sostiene questo orientamento anche la giurisprudenza di legittimità,che

rileva come l'art. 10-bis configurerebbe un reato omissivo istantaneo, che si consuma nel momento

di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione nell'anno successivo a quello di

effettuazione delle ritenute60. Diversamente dall’omologo illecito amministrativo, l’illecito di cui

all’art 10-bis si consuma con il mancato versamento delle ritenute alla fine dell’anno fiscale.

Per quanto concerne il soggetto attivo, analogamente all’illecito amministrativo, sebbene da

un’interpretazione letterale dell’art. 10-bis si possa qualificare il delitto di omesso versamento come 57Cass. Sez. Ter. Pen. n. 31819/2011.58Cfr. art. 5 comma 1 d.lgs.18 Dicembre 1997 n. 472.59F. MARZULLO, Il delitto di omesso versamento di ritenute certificate (art.10-bis del d.lgs. n. 74 del 10 Marzo 2000) , in Riv. It. dir. proc. pen., fasc. 4, 2007, p. 1372.60Cass. Sez. Ter. Pen., n. 7588 del 12/01/2012, Screti.

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reato comune, in quanto il legislatore utilizza il termine “chiunque”, si ritiene, invece, che questo

debba qualificarsi come reato proprio61.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo, per integrare il reato è sufficiente il dolo generico, ossia

la coscienza o la volontà di omettere il versamento delle ritenute entro il termine previsto.

3.2. Rapporto tra illeciti: principio di specialità.

Occorre ora affrontare in maniera più specifica il rapporto tra i due illeciti, di cui all’art. 13 d.lgs.

471/1997 e 10-bis, 10-ter d.lgs. 74/2000, che ha dato vita ad un dibattito giurisprudenziale

approdato in seno alle S.U. della Cassazione62. Il contrasto sorgeva in merito all’applicabilità o

meno delle norme penali, di cui all'art. 10-ter e 10-bis del d.lgs. n. 74/2000, rispettivamente agli

omessi versamenti dell'IVA per l'anno 2005 e agli omessi versamenti di ritenute relative all’anno

2004.

Per risolvere il quesito la giurisprudenza ha dovuto analizzare più approfonditamente il rapporto

intercorrente tra le due fattispecie.

3.2.1. Orientamento dominante.

L’orientamento seguito dalla giurisprudenza prevalente ammetteva la contemporanea applicazione

della sanzione amministrativa e di quella penale, in quanto inquadrava il problema non in termini di

concorso apparente di norme, risolvibile attraverso l’applicazione del principio di specialità sancito

in materia dall’art. 19 d.lgs. 74/2000, bensì di “progressione”. Invero, la S.C. ha evidenziato che “la

fattispecie penale - secondo l'indirizzo di politica criminale adottato in generale dal d.lgs. 74 del

2000 - costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur

contenendo necessariamente quest'ultima (…), la arricchisce di elementi essenziali (certificazione,

soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della

specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente l'applicazione del solo illecito penale), in 61S. DE BONIS, Capitolo III Il delitto di omesso versamento di ritenute certificate, in A. CADOPPI, S. CANESTRI, A. MANNA, M. PAPA, “Diritto Penale dell’Economia”, Utet Giuridica, p. 898.È reato omissivo proprio poiché può essere commesso solo da chi riveste il ruolo di sostituto d’imposta. Per individuare il sostituto d’imposta bisogna distinguere tra persone fisiche e giuridiche. Nel caso di società, o enti in generale, la persona fisica penalmente responsabile di reato di omesso versamento può essere l’amministratore, il liquidatore e il rappresentante legale. Diverso, invece, il caso in cui il sostituto incarichi l’extraneus di versare al fisco le trattenute effettuate e questi non lo fa; in tal caso, risponderà del delitto solo colui che lo ha commesso (il soggetto terzo incaricato).62Cass. Sez. Un., n. 37424 del 28/03/2013, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. Romano; Cass. Sez. Un., n. 37425 del 28/03/2013, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. Favellato. La questione posta al vaglio delle Sezioni Unite, oggetto della sentenza n. 37424/2013 verteva sull’applicabilità o meno della norma penale di cui all'art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 agli omessi versamenti dell'IVA per l'anno 2005. Invece, la questione oggetto della seconda pronuncia, la sentenza n. 37425/2013, verteva sull'applicabilità dell'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 agli omessi versamenti di ritenute relative all’anno 2004. Si poneva, però, un problema, con riguardo specificatamente all’ipotesi di omesso versamento dell’IVA, rappresentato dal fatto che la norma di cui all’art. 10-ter del suddetto decreto era entrata in vigore il 4 Luglio 2006, e quindi in un tempo successivo al periodo di imposta 2005. Cass. Sez. Un., n. 37424 del 28/03/2013, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. Romano; Cass. Sez. Un., n. 37425 del 28/03/2013, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. Favellato.

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quanto recano decisivi segmenti comportamentali (in riferimento al rilascio della certificazione -

che erroneamente la sentenza Germani colloca nell'anno di effettuazione delle ritenute - e al

protrarsi della condotta omissiva), che si collocano temporalmente in un momento successivo al

compimento dell'illecito amministrativo” 63.

Inoltre, il momento consumativo del delitto non coincide con la scadenza prevista per i versamenti

periodici, ma con il termine di presentazione dell’avvenuta certificazione delle ritenute e delle

dichiarazioni IVA per le ritenute, mettendo così in evidenza che i termini previsti per i due illeciti

(amministrativo e penale) non coincidono e non vi sarebbe violazione del ne bis in idem sostanziale.

Infine, alla contestazione che, per concretizzare la fattispecie penale, fosse necessario il dolo

specifico (di evadere le tasse) in generale richiesto per gli illeciti tributari, si sostiene che l’art. 10

bis richieda il semplice dolo generico, ovvero la consapevolezza della condotta omissiva.

3.2.2. Orientamento minoritario.

Di converso, altro orientamento esposto dalla Suprema Corte in una precedente pronuncia64 riteneva

che la contemporanea applicazione della sanzione amministrativa e penale violerebbe il principio

del ne bis in idem sostanziale. Invero, la Corte affermava che vi sarebbe “una sostanziale identità

tra la condotta prevista e punita in via amministrativa dall'art. 13 d.lgs. n. 671/1997 e la condotta

prevista quale penalmente rilevante dall' art. 10-bis d.lgs. 10 Marzo 2000, n. 74. Entrambe le

condotte concernono il puro omesso versamento delle medesime somme mentre appare irrilevante,

per valutare l'identità della condotta posta in essere dall'agente, sia il fatto che da un lato si

puniscono gli omessi versamenti delle ritenute mensilmente operate e dall'altro quelli delle ritenute

operate nel corso dell'intero anno; sia il fatto che differente sarebbe il termine di versamento. Non

sembra invero esservi una sostanziale ed effettiva differenza di condotta fra l'omesso versamento

del tutto e la somma degli omessi versamenti delle porzioni del tutto. Il comportamento illecito

tenuto dal soggetto è, in effetti, il medesimo; e tanto le sanzioni amministrative tanto la sanzione

penale hanno ad oggetto la stessa condotta omissiva (il mancato versamento all'erario) rivolta sul

medesimo oggetto materiale (le ritenute certificate)”65.

La Corte riteneva quindi che, nel caso in esame, vi fosse identità di fatto; questo perché ai fini della

qualificazione degli illeciti come "medesimo fatto" non rilevano i termini di scadenza (periodico o

annuale), ma la condotta in sé, ossia l'omesso versamento delle somme. Si tratterebbe, quindi, dello

stesso soggetto che tiene la medesima condotta, pur integrando fattispecie previste da norme

differenti, relative al medesimo oggetto.

63Cass. 37425 cit... par. 5.1. 64Cass. Sez. Ter. Pen., n. 18757 del 8/02/2012. 65Cass. 18757 cit… par. 11.

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3.2.3. Posizione delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite accolgono l’orientamento dominante, affermando che i due illeciti, di cui all’art.

10-bis d.lgs. 74/2000 e art. 13 d.lgs. 671/1997, si pongono in rapporto di “progressione criminosa”.

La Corte giunge a tale conclusione analizzando il rapporto che intercorre tra i due illeciti: in

particolare, per escludere il concorso apparente di norme, in favore del concorso effettivo, verifica

se si è in presenza o meno del “medesimo fatto”66.

La Suprema Corte afferma che i fatti oggetto degli illeciti sono diversi:

a. quanto ai c.d. presupposti, gli illeciti penale richiedono l’avvenuta certificazione delle

ritenute, requisiti non necessari per le integrazioni degli illeciti amministrativi67;

b. gli illeciti penali prevedono una soglia di rilevanza al di sotto della quale il fatto non

integra la fattispecie, con ciò prevedendo una condotta omissiva differente da quella

prevista per l’illecito amministrativo;

c. l’illecito penale si consuma quando non viene effettuato il versamento annuale,

differentemente dall’illecito amministrativo, per la cui consumazione si richiede

l’omissione del versamento entro il prescritto termine mensile.

“Come si vede, pur nella comunanza di una parte dei presupposti (erogazione di somme

comportanti l'obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di versamento delle stesse

all'Erario con le modalità stabilite) e della condotta (omissione di uno o più dei versamenti mensili

dovuti), gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali.[…].

Le illustrate divergenze inducono a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in termini, non di

specialità, ma piuttosto di "progressione"”68.

Peraltro, alla luce dell’argomentazione della Corte, qui esposta, proprio tale diversità del fatto

illecito porta ad escludere che la concorrente applicazione di entrambi gli illeciti si ponga in

contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale né con quello processuale, che le Sezioni

Unite continuano a considerare riferibile solo ai procedimenti formalmente penali.

3.2.3.1. Critiche dottrinali: la non applicazione del principio di specialità ex art. 19 d.lgs.

74/2000.

La soluzione adottata dalla giurisprudenza è criticata in dottrina.

66Cfr. Capitolo I supra.67Occorre evidenziare che tale elemento distintivo è venuto meno con il d.lgs. 158/2015, che ha esteso l’incriminazione anche alle condotte di omesso versamento di ritenute dovute, pur in assenza di certificazione. 68Cass. 37425 cit… p. 21.

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Difatti, si evidenzia, innanzitutto, che il sistema repressivo tributario, essendo improntato al

principio di specialità, espressione del ne bis in idem sostanziale, dovrebbe portare, di regola,

all’applicazione della norma penale in virtù dei suoi elementi specializzanti e non al concorso

effettivo e, quindi, all’applicazione cumulativa della sanzione penale e amministrativa69.

Si critica la conclusione tratta circa la sussistenza del “medesimo fatto”. In particolare, è stato

evidenziato come, di fronte all’affermazione delle S.U. “la violazione penale contiene

necessariamente la violazione amministrativa”, sia impossibile non ravvisare il rapporto di

specialità prefigurato dall’art. 19 d.lgs. 74/200070.

Difatti, è possibile raffigurare le fattispecie, di cui all’art. 10-bis d.lgs. 74/2000 e all’art. 13 d.lgs.

671/1997 come due cerchi concentrici: l’uno più grande rappresentante l’illecito amministrativo e

contenente l’altro più piccolo, rappresentante l’illecito penale. Si vede come senza l’integrazione

dell’illecito amministrativo, ovvero senza almeno una violazione del termine mensile, non possano

configurarsi i presupposti per la consumazione del reato, che richiede la violazione del termine

annuale71.

3.2.3.2. Critiche dottrinali: la asserita violazione del principio del ne bis in idem.

La soluzione delle S.U., inoltre, è stata criticata perché l’applicazione cumulativa dell’art. 10-bis e/o

10-ter d.lgs. 74/2000 e dell’art.13 d.lgs. 671/1997, e quindi la non applicazione del principio di

specialità si porrebbe in contrasto con il principio del ne bis in idem.

La dottrina, invero, ritiene che la qualificazione delle fattispecie intermini di “progressione

criminosa”, come sostenuto dalle S.U.72, violerebbe il già citato principio poiché la fattispecie

penale (art. 10-bis d.lgs. 74/2000) e la fattispecie amministrativa (art. 13 d.lgs. 671/1997) ruotano

attorno al medesimo fatto, che pertanto verrebbe punito due volte.

Inoltre, alcuni autori si pongono l’interrogativo se sia possibile rendere compatibile, in via

ermeneutica, con la giurisprudenza europea l’orientamento dettato dalle S.U. che è in evidente

contrasto con essa. La risposta negativa sembra inevitabile in mancanza di una esplicita

disposizione legislativa e non si ritengono sufficienti, nell’intero impianto nazionale, né il ricorso

alla questione di legittimità ex art. 117 Cost. né il riferimento diretto all’art. 50 Carta dei Diritti UE,

giacché l’Unione non è competente in ambito tributario73.

69M. DOVA, Ne bis in idem e reati tributari: a che punto siamo?, in Diritto Penale Contemporaneo, 9 Febbraio 2016, p. 5 ss.70M. BONTEMPELLI, Il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e le garanzie europee (fra ne bis in idem processuale e ne bis in idem sostanziale), in Archivio Penale, fascicolo 1 Gennaio-Aprile 2015, p. 126.71Ibidem. 72Cass. 37425 cit…73M. BONTEMPELLI, Il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e le garanzie europee (fra ne bis in idem processuale e ne bis in idem sostanziale) cit…p. 129 ss.

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La soluzione che alcuni autori individuano, rebus sic stantibus, come l’unica efficace è quella

dell’applicazione del principio di specialità, che fa venir meno la violazione del ne bis in idem

sostanziale, giacché esso risolve il concorso apparente di norme74. Tuttavia è necessario fare una

distinzione tra il ne bis in idem sostanziale e quello processuale: l’applicazione della norma penale

in forza della sua natura “speciale” non osta all’instaurazione del processo penale, a seguito di

quello amministrativo, poiché questo non costituirebbe violazione del principio del ne bis in idem

processuale, ex. art. 649 c.p.p., ma solo del ne bis in idem sostanziale qualora venga poi inflitta la

sanzione penale in aggiunta a quella amministrativa precedentemente comminata. In realtà, però, il

ne bis in idem sostanziale è per così dire “protetto” dal meccanismo secondo il quale la sanzione

amministrativa inflitta al soggetto dall’autorità competente resti sospesa e debba essere eseguita

solo nel momento in cui questi non venga condannato in sede penale (v. supra cap. 1 par. 1.3).

Invero, si può affermare che, in materia tributaria, i sistemi basati sul c.d. “doppio binario”

sanzionatorio, da un lato, ammettono che contro la stessa persona possa essere instaurato un

procedimento penale dopo la celebrazione del procedimento amministrativo, da altro lato, si

ammette l’applicazione della pena dopo l’applicazione della sanzione amministrativa, salvo poi

garantire il singolo, attraverso il ne bis in idem sostanziale in sede di esecuzione della stessa

sanzione amministrativa75.

3.3. Conclusioni.

Alla luce di quanto esposto finora sulla spinosa questione circa il rapporto tra gli illeciti di cui agli

artt. 10 bis d.lgs. 74/2000 e 13 d.lgs. 471/1997, a nostro avviso le suddette fattispecie si porrebbero

in rapporto di specialità e non progressione criminosa, come sostenuto dalla Suprema Corte. Invero,

gli illeciti in questione, pur richiedendo entrambi per la consumazione l’omissione dei versamenti

dovuti, si riferiscono a termini diversi, l’uno periodico (mensile o trimestrale), l’altro annuale. In

particolare, riteniamo che si tratterebbe di ipotesi di specialità unilaterale, in cui la disposizione

speciale è quella penale. La norma speciale e prevalente, quindi da applicare alla situazione

concreta, può, tuttavia, essere individuata solo a seguito di un’attenta analisi del caso di specie.

La questione può essere chiarita attraverso alcuni esempi.

Si ponga il caso in cui Tizio ometta di effettuare i versamenti dovuti ogni mese, per l’intero anno: è

chiaro che in questa ipotesi Tizio non solo viola l’obbligo tributario mensile, ma anche l’obbligo

annuale; pertanto la norma penale si applicherebbe poiché prevede un termine maggiore rispetto a

quello previsto dalla norma amministrativa, e che, quindi, maggiormente si concilia con il caso in

esame. 74Ibidem, p.119.75Ibidem, p. 121.

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Invece, nel caso in cui Tizio effettui i versamenti mensili, ad esempio, fino al mese di Settembre ed

ometta quelli relativi alle restanti tre mensilità (Ottobre, Novembre e Dicembre) è evidente che non

può incorrere nella sanzione prevista dalla norma penale: è vero che Tizio viola l’obbligo tributario

mensile relativo ai mesi di Ottobre, Novembre e Dicembre, ma è altrettanto vero che tale violazione

non implica necessariamente la violazione dell’obbligo annuale in quanto si deve tener conto che,

comunque, Tizio ha effettuato i versamenti delle mensilità precedenti. Pertanto, si applicherebbe la

disposizione amministrativa e la relativa sanzione comminata.

Infine, per quanto concerne il problema relativo al doppio binario sanzionatorio, è opportuno far

riferimento all’orientamento espresso dalla Suprema Corte, nella Sentenza Favellato, sul rapporto

intercorrente tra i due illeciti, di cui all’art. 13 d.lgs. 471/1997 e 10-bis d.lgs. 74/2000.

Alla luce di ciò occorre verificare se tale orientamento sia conforme al dettato della giurisprudenza

della Corte di Strasburgo.

Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso la sussistenza di un concorso apparente di norme, e

quindi la conseguente applicazione del principio di specialità, ritenendo persistere un rapporto di

progressione criminosa.

Tuttavia, secondo quanto esposto nel presente lavoro, il procedimento che viene avviato in

riferimento all’illecito di cui all’art. 13 d.lgs. 471/1997, seppur formalmente amministrativo, si

qualificherebbe in realtà come sostanzialmente penale.

Conseguentemente, ammettendo il concorso effettivo, si punirebbe “penalmente” due volte il

medesimo fatto, ponendosi in netto contrasto con il principio del ne bis in idem sancito dall’ art. 4

Prot. 7 CEDU, nell’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo.

Quest’ultima infatti afferma che il ne bis in idem vada tutelato non solo nei procedimenti

formalmente penali ma anche in quelli sostanzialmente penali, come è quello oggetto del nostro

studio, ed in questo caso l’applicazione del principio di specialità avrebbe garantito il rispetto del

principio.

Invece la Cassazione, aderendo all’orientamento dominante, ha continuato ad affermare, che il ne

bis in idem si rivolge solo ed esclusivamente ai procedimenti formalmente penali, mantenendosi

dunque distante dall’orientamento europeo, incluso quello - maturato come “terza via” tra la

giurisprudenza dettata dalla sentenza Grande Stevens e quella di molti contesti nazionali - della

sentenza A e B contro Norvegia, dove la Corte EDU non ha ritenuto incompatibili tout court con la

Convenzione i meccanismi a doppio binario sanzionatorio, ma li ha ritenuti ammissibili nel caso in

cui i due procedimenti possano dirsi parte di un sistema sanzionatorio integrato, cosa non

facilmente affermabile nel caso qui esaminato. Invero, entrambe le misure paiono esercitare una

funzione eminentemente punitiva (in considerazione della finalità proprio punitiva, e della severità

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della sanzione); inoltre, malgrado l’astratta previsione di un sistema alternativo di sanzioni penali e

amministrative fondato sul principio di specialità, nel caso di specie esse vengono applicate

congiuntamente (e in questo senso non serve neppure il meccanismo di cui all’art. 21 d.lgs.

74/2000), creando un tendenziale contrasto con il principio di proporzionalità della complessiva

risposta sanzionatoria.

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