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Page 1:  · Web viewPer questo è necessario superare la logica del lavoro per prestazioni, fare spazio ad una più matura capacità di garantire continuità assistenziale, predisporre progetti

Cure primarie

L’Italia ha conseguito, negli ultimi decenni, importanti risultati in campo sanitario, come confermato dal notevole aumento dell’aspettativa di vita e dalla diminuzione progressiva della mortalità. Tuttavia esistono forti motivi di insoddisfazione e preoccupazione per il prossimo futuro testimoniati da:

- crescita delle disuguaglianze nelle condizioni di salute dei cittadini, sia geografiche che economico-sociali;

- frequente percezione di scarsa qualità dei servizi sanitari da parte dei cittadini, soprattutto in alcune aree del Paese;

- sprechi nell’uso delle risorse e rischi per la sostenibilità del sistema;- incapacità nel prevenire il prevenibile.

Inoltre, nuovi problemi si affacciano all’orizzonte.

- aumento nelle aspettative dei cittadini;- aumento dei bisogni legato a:

o invecchiamento della popolazioneo sovrappeso ed obesità, per eccesso di alimentazione e scarsa attività fisicao nuove costose tecnologie (farmaci, vaccini, apparecchiature, dispositivi medici, etc)

- cambiamento climatico, che porterà all’emergenza di nuovi problemi sanitari;

Il tutto in una condizione di ristrettezza finanziaria del Paese nel quale la crisi economica di questi anni ha aggravato il paradosso della politica sanitaria italiana, dominata dalle esigenze di contenimento della spesa sanitaria, non tanto per l’entità della spesa stessa, quanto per la situazione complessiva della finanza pubblica.

La soluzione a questi problemi non verrà dalla costruzione di nuovi ospedali, dall’accesso indiscriminato a nuove tecnologie o da un approccio burocratico, ma da un insieme combinato di interventi finalizzati sia ad aggredire i problemi emergenti, che ad avviare un importante cambiamento culturale ed organizzativo per uno stabile successo futuro.

In quest’ottica è fondamentale un’organizzazione sanitaria solida, fondata su chiari principi di distinzione tra politica e gestione, che sono alla base di un’attività improntata all’efficacia, all’efficienza ed alla piena funzionalità dei servizi sanitari.

Nell’ambito socio-assistenziale è necessaria l’implementazione di una funzione organizzativa (nell’ambito dell’assessorato/direzione regionale sanità o agenzia sanitaria regionale) che funga da garante della continuità assistenziale alle persone che necessitano di essere seguite durante tutto il percorso di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione in modo continuativo e permanente. Tale funzione organizzativa dovrà inserirsi, nell’ambito delle istituzioni regionali esistenti, come “task force” di guida alla riorganizzazione della rete territoriale di servizi socio-sanitari, nonché al loro coordinamento. Compito importante sarà inoltre quello di gestione del contributo di Servizio Sanitario Regionale e Comuni all’offerta integrata di servizi socio-sanitari.

La solidarietà e l’equo accesso alle cure, la prevenzione e la promozione della salute ed infine la continuità assistenziale, mediante un’unitaria supervisione ed indirizzo del paziente in diverse sedi di trattamento, sono i punti chiave descritti nella dichiarazione di Alma-Ata. Affinché l’auspicato spostamento del baricentro dall’ospedale al territorio possa tradursi in un effettivo incremento della qualità e dell’appropriatezza dell’assistenza è necessario avviare un radicale processo di riordino delle cure primarie, atto a far fronte alle mutate condizioni del

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panorama assistenziale. In presenza di una progressiva specializzazione delle competenze ed al contempo della crescente multidimensionalità e protrazione nel tempo del bisogno dei pazienti, le cure primarie cessano, infatti, di essere prerogativa del singolo medico di famiglia, per andare a configurarsi come un sistema articolato di atti socio-sanitari ad opera di una rete di attori variamente distribuiti sul territorio. Per assistenza primaria si intende il complesso delle attività e delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie dirette alla prevenzione, al trattamento delle malattie, degli incidenti di più larga diffusione e di minore gravità e delle malattie e disabilità ad andamento cronico, quando non necessitano di prestazioni specialistiche di particolare complessità clinica e tecnologica. La capillarizzazione del trattamento delle patologie più frequenti negli stadi iniziali e la prevenzione delle stesse, comportano la realizzazione del principio di prossimità che vede la malattia “affrontata” il più vicino possibile al cittadino e con la diretta partecipazione dello stesso e della comunità a lui più contigua, patogeneticamente e cronologicamente antecedente la manifestazione degli stadi più complessi e delle sue complicanze. Questo stesso atteggiamento dell’“andare incontro in periferia” degli operatori e delle azioni della primary care dovrebbe caratterizzare non solo le fasi iniziali del soddisfacimento del bisogno emergente o pre-emergente ma anche il trattamento della cronicità e della non autosufficienza nelle fasi di riabilitazione, in quelle di trattamento persistente, nel passaggio da e verso il trattamento specialistico/ospedaliero e nell’accompagnamento alle fasi ultime della vita.Possiamo identificare tre tipi di continuità che dovrebbero coesistere per offrire un’assistenza qualificata:continuità di informazione: riguarda l’uso di informazione degli eventi passati e delle circostanze personali per effettuare un piano di cura appropriato ad ogni individuo;continuità di gestione: consiste in un approccio unitario e coerente nella gestione della condizione di salute in risposta ai bisogni del paziente;continuità di relazione: è una relazione terapeutica continua tra il paziente ed uno o più fornitori di cura.Da quanto considerato sino a questo punto si evince che la capacità del sistema delle cure primarie di continuare a garantire un’assistenza appropriata, tanto in una prospettiva propriamente clinica che economica, risulta essere subordinata all’individuazione di nuovi modelli operativi sinergici e sincronici atti a consentire la ricomposizione dell’unitarietà degli interventi reattivi e proattivi. Unitarietà che rappresenta uno degli obiettivi chiave delle cure primarie (McWhinney, 1997) e chetradizionalmente era garantita dal prevalere della figura del Medico di Medicina Generale.Quella prospettata, tuttavia, si rivela una vera e propria sfida organizzativa in quanto le peculiarità dell’assetto organizzativo che tradizionalmente contraddistinguono le organizzazioni sanitarie sembrano opporre numerosi ostacoli alla soddisfazione dell’elevato fabbisogno di integrazione emergente.una notevole spinta in tale direzione è stata fornita dall’affermazione nei paesi occidentali del paradigma dell’integrated care, fondato sull’assunto che esiste una relazione diretta tra l’integrazione dei servizi e la qualità assistenziale. È proprio con l’introduzione di questo paradigma olistico e multidimensionale che si apre il capitolo per poi andare ad esplorarne la dimensione propriamente organizzativa attraverso l’approfondimento del concetto di rete assistenziale. In particolare, in presenza di una pluralità di prospettive interpretative e di studio ad essere privilegiata sarà quella che si incentra sull’osservazione del funzionamento e del coordinamento tra i diversi nodi tra i network, al fine di evidenziarne le caratteristiche e le criticità.In Italia, l’assistenza primaria viene rappresentata anche nella legislazione sanitaria nazionale nei livelli essenziali di assistenza (LEA), che sono l’insieme delle prestazioni che vengono garantite dal servizio sanitario nazionale (Ssn), a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate.ll Sistema Nazionale di Verifica e Controllo sull’Assistenza Sanitaria (SiVeAS) ha l’obiettivo di

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provvedere alla verifica del rispetto dei criteri di appropriatezza e qualità delle prestazioni sanitarie erogate, coerentemente con quanto previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza, e dei criteri di efficienza nell’utilizzo dei fattori produttivi, compatibilmente con i finanziamenti erogati.Al SiVeAS, inoltre, la legge Finanziaria 2007 ha affidato l’attività di affiancamento alle Regioni con Piani di rientro, di cui articolo 1, comma 180 legge n. 311/2004 (Legge Finanziaria 2005).Pertanto, il Ministero, attraverso l’attività del SiVeAS, svolge due fondamentali compiti:

1. assicurare un supporto generale per la produzione di strumenti valutativi ed implementativi di buone pratiche sul versante dell'efficienza, dell'efficacia e della qualità dell’assistenza sanitaria nei vari ambiti regionali

2. garantire tutte le attività necessarie per l’affiancamento ed il controllo delle Regioni impegnate nei Piani di rientro.

Di seguito si riportano le linee di attività, nelle quali sono state articolate le due macro-aree sopra richiamate:

1. Monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza2. Promozione e valutazione dell’efficienza gestionale3. Promozione e valutazione dell’efficacia e della qualità4. Promozione e valutazione dell’Appropriatezza5. Accreditamento e organizzazione dell’offerta6. Accessibilità7. Assistenza Socio Sanitaria8. Confronti internazionali e integrazioni delle basi-dati9. Affiancamento alle Regioni con Piano di rientro dal disavanzo

L’integrazione tra i diversi livelli di assistenza In questi anni è sempre più maturata la consapevolezza che occorre promuovere un nuovo modo di fare assistenza fondato sull’integrazione, sulla comunicazione e sulla partecipazione dei professionisti, pur appartenenti ad unità operative diverse o a diversi livelli gestionali del SSN, per il raggiungimento di obiettivi comuni. Una modalità operativa in questa direzione è rappresentata dall’elaborazione ed attuazione dei percorsi clinico-assistenziali condivisi tra territorio ed ospedale che sappiano calare le linee guida scientifiche, validate e condivise, nel peculiare contesto organizzativo locale o regionale in cui i professionisti si trovano ad operare. L’attivazione di reti integrate, anche per l’età pediatrica, il cui coordinamento può essere attribuito, ferma restando l’autonomia regionale, al distretto, vede quindi il SSN formulare percorsi assistenziali complessi a diverso grado di protezione ed intensità di cura partendo da una valutazione multiprofessionale e multidisciplinare del bisogno.

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La rete è finalizzata all'integrazione tra la prevenzione, l’assistenza di base (MMG e PLS), i servizi distrettuali, la specialistica territoriale, l’assistenza ospedaliera, per assicurare appropriatezza, coordinamento e continuità dell'assistenza sanitaria e dei servizi sociali, e facilitare l'accesso e l'erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, contenere i costi, permettere il monitoraggio degli assistiti e delle prestazioni procedendo alla valutazione dei risultati clinici e organizzativi, e migliorando la compliance del paziente, educandolo e responsabilizzandolo, al tempo stesso, alla gestione della malattia. Uno strumento validissimo per l’integrazione della rete viene dallo sviluppo della telemedicina che, portata al domicilio, facilita la deospedalizzazione dei pazienti cronici e costituisce parte della rete socio-sanitaria. raccordato il sistema delle cure ospedaliere con quello delle cure primarie e va progettato un sistema integrato di coordinamento tra queste ultime ed il livello specialistico territoriale ed ospedaliero per la continuità delle cure sia dei pazienti cronici che di quelli post acuti. L’ospedale deve adottare procedure di raccordo con il Medico di medicina generale ed i servizi territoriali per l’attivazione delle risposte sanitarie corrispondenti ai bisogni del paziente dimesso, nel rispetto della continuità delle cure e della tempestività delle stesse. Va enfatizzato il ruolo del medico di medicina generale, componente fondamentale delle reti di assistenza, con il quale devono essere concordati con puntualità compiti, responsabilità, poteri e strumenti per esercitare la funzione centrale del sistema. La componente di residenzialità della rete deve essere limitata quanto più possibile ai casi con rilevante compromissione dell’autosufficienza, e, preso atto dell’ampia variabilità dei bisogni, le residenze dovrebbero prevedere nuclei con finalità specifiche: luoghi di sollievo per la persona disabile e la famiglia, nuclei per preminenti esigenze riabilitative o per problematiche cliniche temporanee, ecc. Infine occorre implementare i sistemi informativi esistenti per avere una conoscenza certa dei bisogni, dell’offerta, della qualità dei servizi e degli esiti. La rete, di cui sono parte essenziale e qualificante gli specialisti ambulatoriali interni, sarà in grado di garantire la continuità dell’assistenza, la individuazione e la intercettazione della domanda di salute con la presa in carico dell’utente ed il governo dei percorsi sanitari e sociali, in una rigorosa linea di appropriatezza degli interventi e di sostenibilità economica. I campi nei quali l’integrazione è particolarmente necessaria sono quelli delle patologie neoplastiche e delle patologie croniche, sia congenite che acquisite, quali ad es. le patologie respiratorie, osteoarticolari, neurologiche, gastrointestinali che si accompagnano spesso a disabilità, a progressiva diminuzione della funzionalità a carico degli apparati e conseguente perdita del grado di autonomia delle persone affette.

L’ integrazione socio-sanitaria L’integrazione tra prevenzione, cure primarie e percorsi diagnostico-terapeutici non è di per sé sufficiente a garantire la copertura di bisogni socio-sanitari complessi, che vedono agire accanto a determinanti sanitari anche, e in qualche caso soprattutto, determinanti sociali. Si tratta di un’area assistenziale nella quale la mancata azione sul piano dei servizi sociali tende a vanificare anche il più complesso intervento sanitario. Con il d.P.C.M. 29 novembre 2001, che ha definito i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria, all’Allegato 1 C, sono elencate le prestazioni che fanno capo all’area di integrazione socio-sanitaria ed è precisato che l’erogazione delle prestazioni va modulata in riferimento ai criteri dell’appropriatezza, del diverso grado di fragilità sociale e dell’accessibilità. In tale contesto assume rilevanza strategica la programmazione integrata, con il superamento della programmazione settoriale, per intercettare i nuovi e diversi bisogni che derivano dai mutamenti sociali, economici e culturali e predisporre le risposte assistenziali. Il momento di programmazione rappresenta, in un’area come quella dell’integrazione socio-sanitaria facente capo a due diversi comparti istituzionali (S.S.R. e Comuni), il momento fondamentale per la definizione delle scelte strategiche e delle priorità, in relazione alle basi conoscitive rappresentate dai bisogni presenti sul territorio, dal sistema di offerta e dalle risorse disponibili in capo a ciascun comparto.

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Tuttavia non sempre e non dovunque la predisposizione di strumenti di programmazione si traduce concretamente in un sistema di interventi integrati e coordinati a livello di territorio, tale da orientare unitariamente il volume delle risorse esistenti sull’area socio-sanitaria (risorse del sociale, risorse sanitarie, fondi regionali finalizzati, risorse degli enti locali, rette degli utenti e altre risorse) verso le aree di bisogno e gli obiettivi ritenuti congiuntamente prioritari. Per un’ottimale organizzazione, gestione ed impiego delle risorse sull’area dell’integrazione socio-sanitaria, occorre pertanto individuare e condividere, a livello nazionale e regionale, le regole per la cooperazione interistituzionale a livello locale, nella quale i diversi attori del sistema si confrontino, sulla base delle rispettive competenze, per addivenire a programmi e progetti sui quali investire energie e risorse. L’evoluzione della domanda di salute pone la necessità di intervenire in modo diverso in tema di salute, al fine di garantire e organizzare servizi centrati sul bisogno della persona, caratterizzati da elevati livelli di appropriatezza, tempestività, efficacia, nonché da una gestione efficiente delle risorse. La risposta al bisogno di unitarietà del processo di cura, inteso nell’accezione ampia del termine che coinvolge ambedue le componenti interessate, si realizza attraverso lo sviluppo di percorsi integrati e di continuità delle cure, che garantiscono un’adeguata risposta assistenziale per i pazienti ed un intervento a rete. La famiglia è uno dei nodi della rete, al pari degli altri ambiti considerati, poiché essa riveste il doppio ruolo di espressione di richiesta assistenziale e di risorsa con cui instaurare un’alleanza terapeutica forte, soprattutto per la cura delle patologie croniche. Tale approccio assistenziale richiede un’impostazione secondo metodologie e strumenti di gestione capaci di assicurare un percorso assistenziale continuo capace di cogliere le specificità delle situazioni, la complessità delle relazioni e dei bisogni delle persone. Il sistema di offerta sull’area dell’integrazione socio-sanitaria è spesso capillare, ma diversificato sul territorio. La diversificazione dipende dalle scelte organizzative e operative delle strutture aziendali, nonché dalla carenza, su quest’area, di profili assistenziali e di linee guida finalizzate ad orientare il lavoro interprofessionale verso percorsi appropriati finalizzati a garantire la continuità terapeutica fra ospedale e territorio. Pertanto, dal punto di vista operativo, l’aspetto un problema non è costituito dalla tipologia e dalla qualità delle prestazioni erogate, bensì dalla persistente frammentarietà del percorso assistenziale del cittadino nell’ambito del sistema sanitario e sociale.

Valutazione multidimensionale del bisogno

L’erogazione delle prestazioni di assistenza tutelare socio-sanitaria è organizzata mediante: la valutazione multidisciplinare del bisogno, la definizione del piano di lavoro integrato e individualizzato, il monitoraggio costante, la verifica periodica e la valutazione finale dei risultati.

La persona non autosufficiente non può esimersi – ove intenda accedere alle prestazioni di livello essenziale – dall’intraprendere un percorso prestabilito che, attraverso la valutazione, conduce alla definizione di un piano assistenziale costantemente verificato dall’ Unità di Valutazione competente.Un primo importante fattore di complessità è rappresentato dall’espansione delle attività demandate all’assistenza primaria, dovuta alla multidimensionalità e protrazione nel tempo del bisogno assistenziale ed al riconoscimento di un ruolo strategico alle attività di prevenzione e riabilitazione. Con il rafforzamento dell’approccio patient-centric, infatti, il sistema sanitario non può più limitarsi

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ad assumere un ruolo reattivo, ma al contrario è chiamato ad anticipare i bisogni dei pazienti e soprattutto a seguirlo in maniera continuativa lungo l’intero percorso assistenziale

Per raggiungere questi obiettivi vanno superate le difficoltà oggettive all’integrazione ed implementati i segmenti della rete non ancora perfettamente funzionanti. 1. Alle unità di valutazione multidimensionale è pertanto richiesto di:a) istruire la pratica di cure domiciliari in lungo assistenza presentata dalle persone interessate nei tempi previsti dai vigenti regolamenti purché compatibili con la tempistica prevista dalla DGR n. 39- 11190/2009.b) individuare, attraverso la valutazione integrata, i bisogni sanitari e socio sanitari dei richiedenti indicando le risposte più idonee al loro soddisfacimento e privilegiando - ove possibile – il mantenimento al domicilio di coloro che lo desiderino;c) garantire completa informazione – anche mediante documentazione scritta – alle persone ed alle famiglie sui loro diritti e relativamente alle procedure per fruire del complesso delle prestazioni erogabili;d) predisporre e/o approvare il PAI identificando la fascia d’intensità assistenziale e la tipologia di prestazioni di assistenza tutelare socio-sanitaria adeguata;e) assicurare la verifica di norma semestrale dell’attuazione degli impegni previsti nel PAI (anche mediante l’esame della relativa documentazione), del mantenimento delle condizioni per l’erogazione del contributo economico, nonché procedere ad una eventuale revisione del PAI erogato tramite l’unità VMB

La valutazione Multidisciplinare dei bisogni è definita come “una valutazione nella quale i numerosi problemi della persona vengono riconosciuti, descritti e spiegati, quando possibile, e nella quale vengono inquadrate le potenzialità residue e le risorse assistenziali, definito il bisogno di servizi e messo a punto un piano coordinato di cura specifico ed orientato per problemi.”attraverso:• la definizione del progetto assistenziale personalizzato• la condivisione del progetto assistenziale personalizzato• la valutazione e la verifica degli esiti progettuali• la nomina del responsabile dei processi di cura

La modalità di valutazione multidimensionale per l’accesso ai servizi e alle prestazioni richiede l’integrazione professionale tra comparto sanitario e sociale mediante équipe di valutazione multidisciplinare.Nel modello socio-sanitario convergono figure professionali con competenze sociali e sanitarie che operano in équipe minima o in équipe multiprofessionali per offrire all’utente una risposta coordinata e continuativa ai bisogni che esprime, evitando sovrapposizioni.Per questo è necessario superare la logica del lavoro per prestazioni, fare spazio ad una più matura capacità di garantire continuità assistenziale, predisporre progetti personalizzati, coinvolgendo attivamente la persona e la sua famiglia.Nel progetto personalizzato si tratta di valutare di comune intesa:• La natura del bisogno;• La complessità e l’intensità dell’intervento assistenziale;• La sua durata;avendo chiare le responsabilità, non solo di fare (le azioni programmate), ma anche di impegnarsi per conseguire i risultati attesi, descrivibili sulla base di fattori osservabili e misurabili in termini clinico-professionali e in termini di qualità di vita quotidiana.

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L’articolo 2 dell’atto di indirizzo sull’integrazione socio-sanitaria (Dpcm 14 Febbraio 2001) chiarisce che ogni progetto va articolato con riferimento a fattori osservabili descrivibili in • Funzioni psicofisiche• Limitazioni all’autonomia nella vita quotidiana• Modalità di partecipazione alla vita sociale• Fattori di contesto ambientale e familiare che incidono nella risposta al bisogno e nel suo superamento.

Queste indicazioni del Dpcm 14 Febbraio 2001 tengono conto dei contenutidell’Icidh-2 e anticipano nel nostro Paese quanto prposto dall’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) con l’ICF.• Nel predisporre l’ICF è stata utilizzata l’integrazione tra due distinti modelli:- quello medico-sanitario- quello sociale.Il primo considera i problemi personali strettamente connessi a cause patogene, che come tali richiedono prestazioni di cure mediche o assimilabili.Al contrario, il modello sociale contestualizza il bisogno e i possibili interventi in una cornice più ampia, dove sono meglio riconoscibili le determinanti sociali dei problemi, nonché le diverse fonti di risorse per affrontarli.A regime, il sistema integrato dei servizi sociosanitari dovrebbe garantire la PRESA IN CARICO con caratteristiche di: TEMPESTIVITA’CERTEZZA DELLA RISPOSTA ASSISTENZIALE sulla base del bisogno rilevatoAPPROPRIATEZZARICONOSCIMENTO DEL DIRITTO DI ESIGIBILITA’ da parte del cittadino

Verranno definiti LIVELLI DI ISOGRAVITA’ DEL BISOGNO ASSISTENZIALE ai quali farcorrispondere ISORISORSE DELLA RISPOSTA ASSISTENZIALE• In sostanza, per poter graduare la risposta al bisogno, si sintetizzano le valutazioni multidimensionali, tramite un indice di bisogno di gravità chiamato “livello isogravità del bisogno assistenziale• Ad ogni livello di isogravità del bisogno assistenziale dovrà corrispondere una risposta assistenziale isorisorse.• Questo concetto è fondamentale per le persone in grado di rimanere nel proprio domicilio e non tanto per la risposta assistenziale residenziale che afferisce più al concetto di esigibilità di un diritto che non sulla gradazione della risposta basata sul bisogno.

Esempio 1: Le cure palliative

Le cure palliative secondo l’OMS sono “Cura attiva e totale di malati la cui malattia di base non risponde più a trattamenti specifici”. “Obiettivo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per i malati e la loro famiglia”. Secondo la definizione dell’Associazione Internazionale Cure Palliative ed Hospice (IAHPC) “Le cure palliative sono focalizzate sulla qualità di vita del malato, provvedono al sollievo del dolore e degli altri sintomi soggettivi del Paziente, integrano nella cura gli aspetti psicologici e spirituali, offrono sistemi di supporto per rendere il più possibile attiva la vita del Paziente. Le indagini ed i trattamenti sono diretti al controllo dei sintomi non a quello della malattia. Sono multidisciplinari nella loro operatività ed offrono un sistema di supporto per aiutare la famiglia durante la malattia del paziente e durante il lutto”. Rientrando nei Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A.) previsti dal Servizio Sanitario Nazionale, l’accesso alle cure palliative è un diritto per i cittadini italiani.

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Data l’evolutività ed estrema fragilità della condizione, l’assistenza in cure palliative necessita di garanzie circa:

• continuità

• intensità

• tempestività

• rispetto delle scelte di paziente e famiglia

Il servizio erogato dal distretto di Trento ha obiettivo di rispondere in modo adeguato a questi bisogni, mediante un’equipe territoriale ed una struttura residenziale dedicate.

Il Servizio Cure Palliative è una struttura dell’ Unità Operativa Assistenza Primaria del distretto sanitario ed è composto da un’equipe dedicata di medici, infermieri ed operatori assistenziali, attiva sia sul territorio (domicilio del malato) che in struttura dedicata (hospice); il medico di medicina generale (MMG) del paziente è componente dell’equipe domiciliare. Il servizio è rivolto a pazienti con malattie cronico-evolutive, a prevalente indirizzo oncologico ed ha la finalità di aiutare il malato e la sua famiglia nel percorso di cura e assistenza. La presa in carico del paziente è globale, mirata ai bisogni emergenti di natura clinica, ma con la possibilità di offrire un supporto anche alle problematiche sociali e psicologiche. In ogni aspetto dell’assistenza è prioritario il rispetto della volontà del paziente e della famiglia. Il domicilio è sede privilegiata per assistere il malato e l’hospice è sede alternativa di assistenza per quelle persone che non possono essere seguite presso la propria casa. L’accesso al Servizio ed il piano assistenziale sono concordati tra il MMG, il medico ed infermiere del servizio, così come concordata è la scelta della collocazione più idonea per il malato, in rapporto alle sue esigenze contingenti. Mission del Servizio Cure Palliative - Hospice è garantire:

• il diritto ad ogni paziente, in fase avanzata di malattia, di ricevere le cure appropriate nelle sedi più idonee e con la migliore qualità di vita possibile; • la continuità assistenziale ed il rispetto delle scelte assistenziali del malato

• l’adeguato supporto al paziente ed alle famiglie e la riduzione dei ricoveri ospedalieri impropri

• la formazione e l’ addestramento/aggiornamento per gli operatori sanitari

• la ricerca nell’ambito di approcci e procedure riguardanti le cure palliative

Ciò che distingue le cure palliative prestate al domicilio, rispetto all’hospice è solo il luogo, non i principi, le modalità di lavoro o gli obiettivi

Assistenza domiciliare integrata cure palliative – ADICP è la forma assistenziale dedicata a pazienti con malattia cronico-degenerativa o neoplastica in fase avanzata. Obiettivo dell’assistenza è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per il paziente al proprio domicilio, mediante il controllo del dolore e degli altri sintomi legati alla malattia nonché il sostegno della famiglia. L’assistenza è erogata dall’equipe domiciliare composta da MMG, medico ed infermiere del servizio cure palliative. Prevede interventi domiciliari programmati di medici ed infermieri, e qualora la famiglia lo richieda, delle assistenti domiciliari coordinate dall’assistente sociale.

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Per urgenze è garantita la reperibilità medica ed infermieristica nella fascia oraria 8 – 20 tutti i giorni della settimana. Nella fascia 20-8 è attiva la Guardia medica che per eventuali consigli telefonici può contattare il medico delle cure palliative. Se i curanti ne ravvisano l’indicazione è attivabile lo psicologo per supporto al paziente e/o ai familiari. Su richiesta della famiglia può essere presente un volontario coordinato dalla Lega Italiana Lotta contro i Tumori. E’ garantita in base alle necessità, la fornitura di farmaci, materiali di medicazione ed ausili necessari per l’assistenza. L’attivazione dell’assistenza avviene su proposta del MMG o del medico ospedaliero, previo consenso del paziente e famigliare referente.

Esempio 2: AnzianiMerlino et al. (1994) nelle loro riflessioni in merito alla gestione del cosiddetto “anziano fragile” individuano tre motivi principali che rendono il setting ospedaliero non appropriato al trattamento delle patologie cronico degenerative e della disabilità.La prima è una motivazione di carattere sociale. Con l’affermazione del passaggio dal concetto di sanità a quello di salute, si è riconosciuta la natura multidimensionale del benessere che trascende gli aspetti meramente fisici e mentali per andare a considerare anche quelli propriamente di carattere sociale (WHO, 1978). L’assistenza necessita di un’organizzazione coerente con le caratteristiche sociali del paziente e di un orientamento al miglioramento della qualità della vita. In questa prospettiva, l’ospedale difficilmente risulta il luogo più opportuno per il trattamento dell’anziano cronico caratterizzato da un bisogno assistenziale protratto nel tempo. La degenza ospedaliera rischia, infatti, di impattare negativamente sul mantenimento dell’inserimento nel proprio ambiente familiare, aumentando la probabilità di diffusione di situazioni di isolamento ed emarginazione. Con l’emergere di un approccio alla sanità maggiormente incentrato sul paziente e non più sull’istituzione erogatrice, maggiore attenzione viene invece attribuita alle forme di domiciliarizzazione dell’assistenza. Tali soluzioni sono sicuramente molto più attente a mitigare l’impatto della malattia sulla qualità della vita, così come le forme di responsabilizzazione del paziente (empowerment) e la sua partecipazione attiva nella gestione della propria condizione di salute (self-care).Il secondo motivo è di natura economica. Sebbene il XX secolo si sia contraddistinto per la naturale tendenza della medicina a spostarsi sempre più verso forme di cura specialistica, non sempre tale scelta corrisponde ad un evidente guadagno di efficacia, mentre corrisponde spesso ad un incremento dei costi unitari (Longo, 1999). Ciò è essenzialmente dovuto all’eccessiva onerosità che implica la gestione di casi a bassa complessità, o dei casi di lungodegenza, attraverso il ricorso alle costose tecnologie e risorse ospedaliere. Si consideri, ad esempio che nel caso del diabete, una delle patologie croniche a maggiore diffusione, si attestano costi più di due volte superiore alla spesa sanitaria media pro-capite e che circa l’80% di tale spesa risulta essere destinata a ospedalizzazioni improprie per complicanze (Lucioni C., Garancini M. P. et al., 2003). Al fine di garantire una maggiore razionalizzazione delle risorse, dunque, l’ospedale necessita di rispettare la propria mission, terzo ed ultimo motivo introdotto. In presenza di un sistema che si estende dalla diagnosi al trattamento fino a comprendere la prevenzione e la riabilitazione, l’ospedale cessa di configurarsicome centro pressoché assoluto della’assistenza per andare a concentrarsi su specifiche attività della catena del valore assistenziale. In particolare l’ospedale in quanto fondato su una tecnologia sofisticata e un’elevata competenza professionale deve mirare e risolvere quelle problematiche sanitarie che per la loro complessità non possono essere gestite in ambiti a minore intensità di cura quali: (i) le emergenze e le grandi acuzie cliniche non risolvibili in regimi alternativi; (ii) la formulazione diagnostica ad alta complessità o invasività; (iii) le terapie di particolare impegno;(iv) la media e la alta chirurgia; (v) la fase intensiva delle terapie riabilitative. Tutte le altre attività a medio-bassa complessità devono essere invece demandate all’insieme di strutture e servizi territoriali. In altri termini un sistema assistenziale effettivamente in grado di fornire una risposta efficace ed efficiente alla complessità dei bisogni emergenti dei cittadini si basa sulla combinazione

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di una forma di assistenza ad intensività tecnologica, quale quella ospedaliera, e di un sistema ad estensività assistenziale, fondato sulle cure primarie.

L’invecchiamento della popolazione, causato da un allungamento della speranza di vita e da un calo del tasso di fertilità, ha cambiato profondamente l’assetto demografico italiano con rilevanti conseguenze sanitarie e sociali.Lollar e Crews, fanno rilevare come la Sanità pubblica ha dovuto affrontare prima la riduzione della mortalità, poi della morbosità e, solo di recente, della disabilità. La Sanità pubblica si è così adeguata alla transizione demografica (invecchiamento della popolazione), che si accompagna ad una transizione epidemiologica riguardante sia la morbosità (aumento del rischio di contrarre una malattia cronica) sia la disabilità (aumento del rischio di andare incontro ad una riduzione della funzionalità), a cui solo parzialmente sta facendo seguito una transizione assistenziale (programmazione di specifici interventi sanitari e sociali).Un decennio è trascorso dal famoso articolo di Wagner e coll. che, dopo aver analizzato le differenze tra sistema sanitario orientato all’assistenza dei malati acuti e sistema adatto al trattamento delle malattie croniche, ne ha proposto il modello assistenziale; modello sviluppato poi dal MacColl Institute fo Healthcare Innovation . Da quel momento, della programmazione, organizzazione e gestione dei Servizi sanitari per malati cronici si sono interessati medici sia clinici sia di Sanità pubblica. Si tratta, come ha recentemente fatto rilevare l’Organizzazione mondiale della sanità, di una vera rivoluzione del sistema dei Servizi sanitari riassumibile in otto strategie:

1. agevolare il passaggio all’assistenza dei malati cronici;2. assicurare l’impegno politico ed il consenso ad ogni fase di questo passaggio;3. costruire un sistema integrato e non frammentato di servizi sanitari;4. tener conto delle implicazioni sanitarie di altri settori, come ad esempio il mercato del

lavoro;5. ricorrere a trattamenti provati scientificamente e al lavoro di gruppo; 6. centrare l’assistenza sui singoli pazienti e le loro famiglie;7. fornire i servizi nel territorio;8. dare spazio alla prevenzione.

Collegata a questa problematica, ed in parte sovrapponibile, vi è l’assistenza agli anziani disabili e/o non autosufficienti. Lo studio longitudinale sull’invecchiamento (ILSA), coordinato dal CNR e dall’Istituto Superiore di Sanità, ha fornito un quadro della situazione epidemiologica delle patologie croniche disabilitanti in Italia . Inoltre, anche se l’Italia non compare tra i 19 paesi oggetto dell’indagine, il recente voluminoso Rapporto dell’OCSE elenca le innumerevoli strategie, comprese quelle relative al loro finanziamento, per “realizzare un Piano nazionale per la non autosufficienza”.Va però rilevato che l’interesse esclusivamente assistenziale, se pur impegnativo, non esaurisce gli obblighi e le responsabilità degli operatori di Sanità pubblica, perché si stanno accumulando un gran numero di osservazioni che una aumentata longevità non necessariamente si accompagna ad un maggior carico di “dolori” (uno dei paradigmi storici dell’umanità).Se è vero che le persone anziane, non solo rappresentano già oggi una quota rilevante della popolazione, ma diventeranno percentualmente sempre più numerosi in futuro (salvo improbabili eventi epocali), le indagini epidemiologiche e sociologiche dimostrano che, specialmente i soggetti appartenenti alla cosiddetta “terza età” (tra 65 ed 80 anni di età) godranno di un sempre più lungo periodo di buona salute, addirittura in condizioni di relativa felicità, conoscono sufficientemente i fattori che minacciano la buona salute e si fanno parte attiva per allontanare la vecchiaia. Si sta avverando l’ipotesi della cosiddetta “compressione della morbosità” di Fries , per cui potrebbe non verificarsi un aumento della morbosità e della correlata disabilità con l’avanzare dell’età della popolazione. Con opportune misure di promozione della salute e di prevenzione delle

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malattie specificatamente rivolte alle persone anziane, oltre ad aumentare la longevità si riesce a posporre l’inizio della disabilità. Ne risulta un accorciamento del periodo di morbosità e di disabilità rispetto al momento della morte (come è stato già dimostrato in Austria ), a cui si accompagna, fattore non trascurabile, una riduzione della spesa sanitaria. Un nuovo Rapporto ISAE ha evidenziato come, da studi internazionali e da un’indagine in 4 Regioni (Lombardia, Toscana, Puglia, Abruzzo), i costi sanitari sono concentrati negli ultimi mesi di vita (cosiddetti “costi del decesso”) e tali costi decrescono all’aumentare dell’età dell’anziano, avvalorando la tesi che l’invecchiamento della popolazione non fa aumentare la spesa sanitaria. Ridurre con efficaci interventi le cause di morbosità e disabilità, comprimendole negli ultimi anni di vita, dovrebbe diventare il primo dei compiti della Sanità pubblica: si tratta di produrre ed attuare programmi per promuovere una anzianità “più sana e soddisfatta” o, se si preferisce, ottenere un “invecchiamento ben riuscito”, e non cercare di dare solamente un supporto assistenziale ai soggetti anziani malati e/o disabili. In altri termini, oltre ad analizzare la distribuzione delle malattie e della disabilità nella popolazione anziana, che ovviamente è radicalmente differente rispetto a quella di una popolazione giovane, occorre modificare le abitudini assistenziali nei riguardi degli anziani per rispondere alle esigenze di una popolazione nella quale la componente soggettivamente sana diventa sempre più ampia e diversificata. Si tratta di un fenomeno favorito non solo dai successi sanitari nel campo della prevenzione, cura e riabilitazione delle varie patologie correlate all’età, ma anche dal sostanziale cambiamento della “rappresentazione” della vecchiaia nella società. Un gran numero di ricerche hanno dimostrato che la vita degli anziani è limitata meno dalla condizioni fisiche, psicologiche, sensoriali o intellettuali che dai vincoli sociali, culturali ed economici prevalenti.L’esempio più clamoroso è fornito dal progetto europeo SHARE che ha dimostrato gli stretti legami esistenti tra l’attività lavorativa e la salute ed il benessere degli anziani nel senso che, così come il pensionamento è un fattore di rischio per la salute, un lavoro gratificante è una difesa contro il deterioramento fisico-psichico degli anziani. La perdita dell’autosufficienza è il fenomeno che più di tutti gli altri deve essere assolutamente contrastato perché non soltanto riduce la qualità della vita dell’individuo, ma si ripercuote sulla vita della famiglia e della società. In una società come quella attuale l’autonomia funzionale è non solo un diritto ma anche un dovere. In attesa di disporre di marcatori clinico-biologici capaci di predire lo sviluppo di disabilità da malattia nella terza e nella quarta età, che potrebbero permettere d’intervenire per tempo tentando di limitare la perdita dell’autonomia e le sue conseguenze, è necessario attuare un progetto di buon invecchiamento. I dati epidemiologici dimostrano, senza alcun dubbio, la necessità di rivolgere un’attenzione particolare alla prevenzione intesa come l’insieme degli interventi diretti al raggiungimento della massima longevità con il mantenimento di una buona capacità funzionale, che vuol dire autonomia e capacità di provvedere a sé stessi.Si potrebbe sostenere che tutte le attività di Sanità pubblica, tese come sono a tutelare e promuovere la salute della popolazione, rivelano la loro efficacia pratica proprio conseguendo una anzianità “sana e soddisfatta”, un risultato che può essere interpretato l’esito favorevole (outcome) di tutti gli sforzi della Sanità pubblica. Per un invecchiamento ben riuscito non sono però sufficienti interventi generici ma specifici e multidimensionali, che possano conseguire cioè risultati biomedici (ridurre i fattori di rischio di morbosità cronica e di disabilità degli anziani); psicosensoriali (diminuire la perdita di funzioni, sia fisiche che mentali, da contenere entro i limiti considerati fisiologici ) e sociali (favorire un attivo impegno nella vita sociale, coltivando le relazioni umane e conservando la autonomia). In una società che invecchia non sono molti gli operatori di Sanità pubblica, con una formazione di base biomedica, in grado di percepire gli ostacoli ad un invecchiamento ben riuscito e di agire di conseguenza. In futuro la gente anziana sarà sempre più interessata a tutto ciò che rinforza la salute (fattori “salutogeni”) piuttosto che agli interventi di recupero. Per gli operatori di Sanità pubblica il primo passo è acquisire almeno una specifica competenza nelle tecniche di promozione della salute e di prevenzione socio ambientale. Essi possono poi contribuire al dibattito su questi temi; non

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debbono parlare con gli anziani solo quando ne fanno richiesta, ma lavorare in compagnia degli anziani e le loro famiglie per dare più forza alla loro voce nell’agone dei diritti umani. Si tratta di un impegno più politico che tecnico ma che non esime gli operatori di sanità pubblica ad un comportamento conseguente. Per concludere, mantenere sana nel senso più ampio del termine una popolazione anziana rappresenta per la Sanità pubblica una vera sfida sanitaria, sociale e finanziaria perché richiede un impegno creativo, multidisciplinare, poco esplorato, ma anche originale e stimolante

Sono i problemi di salute (36,5%), insieme a quelli legati alla solitudine (39,4%), ad essere considerati dagli intervistati come i più gravi fra quelli che caratterizzano la condizione anziana, e la preoccupazione più frequente, in questa fase della vita, riguarda la possibilità di ammalarsi e diperdere la propria autosufficienza: nel 36,7% dei casi è stata questa l’indicazione rilevata. la stessa definizione di anzianità appare legata in modo piuttosto stretto alla malattia,Gli anziani effettuano per la maggior parte controlli medici almeno una volta l’anno, e le attività di prevenzione che gli anziani svolgono con maggior regolarità sono gli accertamenti clinici, come esami del sangue o altre indagini diagnostiche piuttosto che check-up completi, ma anche le visite specialistiche in assenza di sintomi vengono eseguite in modo regolare da più del 40% degli intervistati, mentre è più raro che gli anziani del Lazio facciano cure ricostituenti a base di farmaci (non ne fa mai il 68,8% degli intervistati).Ma è l’ospedale a mantenere un ruolo di punto di riferimento essenziale per la cura della salute: dal punto di vista terapeutico, infatti, l’ospedale è la struttura cui si sono rivolti gli anziani nel momento in cui hanno dovuto affrontare un problema serio di salute (che nell’ultimo anno ha riguardato il 17,3% degli intervistati ). Il ricorso a questo tipo di struttura ha riguardato 65,5% dei casi, mentre gli anziani con un problema serio di salute si sono rivolti al medico di famiglia, altro importante punto di riferimento, per il 23,2%.Quando le condizioni degli anziani richiedono invece un’assistenza sanitaria costante e a lungo termine, il soggetto pubblico sembra assumere un ruolo decisamente marginale, mentre assolutamente centrale diventa quello della famiglia: gli intervistati del Lazio indicano infatti che sono sostanzialmente i figli ed il coniuge (quest’ultimo dato indicato soprattutto gli uomini) che prestano assistenza in caso di patologia o stato invalidante (figli 58,8% e coniuge 43,9%). Le province con i tassi più alti di anziani sereni, che dichiarano di non essere afflitti da particolari preoccupazioni, sono quelle di Frosinone e la stessa Viterbo, con dati superiori al 21% (contro il dato medio regionale del 14,9%), i più preoccupati appaiono invece gli anziani del reatino (9,1% di sereni).Complessivamente, circa il 77% degli anziani intervistati definisce lo stato di salute personale come ottimo oppure buono, mentre appare minoritaria la quota di quanti lo definiscono come “mediocre” (20,2%) o “pessimo” (2,8%). Il ruolo rilevante del livello di informazione sanitaria nel determinare non solo le opinioni ma anche i comportamenti dell’utenza, è un fatto che appare ormai abbastanza condiviso nell’ambito sanitario. A tale proposito si assiste da qualche decennio a questa parte, ad un crescente interesse nella riflessione scientifica ed una notevole recettività da parte della popolazioneitaliana per tutto ciò che riguarda le tematiche della salute, interesse che si traduce poi nella ricerca di fonti di informazione affidabili sui temi sanitari.Anche nel caso della popolazione anziana emergono comportamenti finalizzati alla ricerca e alla analisi di varie fonti informative, anche se con modalità parzialmente diverse rispetto a quelle rilevate per la popolazione più in generale. Come viene illustrato dalla tabella (tab. 81), tre sembrano essere le modalità principali con le quali gli anziani si procurano informazione sanitaria:- in primo luogo, è centrale la figura del medico di medicina generale, che viene citato dl 76% circa del campione, pertanto, non svolge solo un ruolo terapeutico in senso stretto, ma rappresenta per l’anziano un punto di riferimento per tutto quello che attiene alle tematiche della salute;

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- seguono, con una frequenza decisamente inferiore, i componenti del così detto “sistema di riferimento laico” dell’utente, ovvero i componenti della cerchia familiare, amicale e di vicinato. Queste figure vengono menzionate in circa il 18% delle risposte;- un certo peso viene esercitato dai mezzi di comunicazione di massa, in particolare dalla televisione e dalla stampa, citati nel complesso da circa il 21% delle risposte.

Dall’analisi dei dati è emerso come tra la popolazione anziana circa il 15% viene ricoverato nuovamente entro i 30 giorni in regime acuto, di cui il 70% addirittura entro la prima settimana dalla dismissione. Sono diversi i fattori che incidono in questo genere di situazioni, la gravità della patologia (spesso tumorale, cardiovascolare) in primis, sebbene, secondo gli interlocutori non si debbano sottovalutare criticità relative al momento della dismissione. Criticità che sottolineano la necessità di incentivazione delle dimissioni protette, servizio per il quale nel Lazio si stanno attivando protocolli specifici.

IL RUOLO DELL’ INFORMAZIONE NEL PROCESSO DI INTEGRAZIONEASSISTENZIALEIntroduzioneSulla base di quanto emerso dalla riflessione condotta sulle dinamiche di integrazione, in un ambiente ad alta intensità informativa quale quello sanitario il coordinamento si fonda essenzialmente sulla disponibilità di informazioni e conoscenze circostanziate in funzione degli specifici ruoli, compiti ed obiettivi dei diversi nodi della rete assistenziale. In particolare, le informazioni e i dati funzionali al processo assistenziale si articolano in:• informazioni sul paziente strumentali alla realizzazione dell’intervento in relazione all’effettivo status socio-clinico dello stesso e ai bisogni manifestati;• informazioni sul processo assistenziale, ad esempio inerenti la sequenza delle attività da compiere per l’erogazione della cura allo specifico gruppo i pazienti e l’attribuzione di responsabilità e mandato di cura tra le fasi delle attività.In questo contesto un possibile fattore abilitante la comunicazione e interazione tra i nodi della rete assistenziale dalle notevoli potenzialità è, dunque, rappresentato dalle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT).Anche se con un certo ritardo rispetto ad altri settori definibili come information intensive, quale ad esempio quello finanziario, il ruolo dell’ICT nell’innovazione e nella sostenibilità dell’industria sanitaria è stato progressivamente riconosciuto e promosso in una dimensione globale (IOM, 2001; CEC 2004). Nel tempo molti termini sono stati adottati per riferirsi a standard tecnici, infrastrutturesoftware e applicazioni adottate in questo dominio specifico. Inizialmente a prevalere è stato il concetto di informatica medica e di telemedicina (Aas, 2007), volto ad enfatizzare il ricorso a strumenti di comunicazione a distanza a supporto del processo di erogazione dell’assistenza. Si è poi assistito ad una graduale convergenza tra il dominio della telemedicina e quello propriamente dell’ICT che ha indotto alla definizione del più ampio dominio dell’eHealth, il quale include, appunto, tutti i molteplici aspetti connessi all’ICT in sanità.Qui di seguito, dopo un breve approfondimento delle caratteristiche del dominio dell’eHealth il focus verrà concentrato sull’Electronic Health Record System (EHR-S) che, grazie al suo ruolo di raccordo tra Sistemi Informativi diversi a supporto della molteplicità dei bisogni informativi dei nodi, assume un valore strategico nello sviluppo delle reti assistenziali. Attraverso il ricorso ad un’analisi della letteratura di settore, verranno, dunque, discusse le caratteristiche, le funzionalità e le criticità implementative di un EHR-S. In particolare verrà evidenziato come un EHR-S abiliti una soluzione alternativa alla co-localizzazione - su cui si basa il modello del Community Health Center - per il superamento del tradizione stato di isolamento in cui vertono i servizi socio-sanitari e la promozione della cooperazione. Il capitolo si conclude con la definizione del framework teorico per l’osservazione dell’impatto dell’EHR sulle performance della rete assistenziale su cui è stata fondata l’analisi empirica presentata nel capitolo successivo.

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L’ICT nel dominio sanitario: l’eHealthNella comunità accademica numerosi sforzi sono stati realizzati per definire l’essenza del concetto di eHealth (Eysenbach, 2001; Oh et al., 2005; Pagliari et al., 2005; Jones et al., 2005). Una definizione generale e comprensiva è in ogni caso quella fornita dall’Unità europea per l’ICT in Sanità, secondo cui l’eHealth “descrive l’applicazione dell’ICT all’interno dell’intero spettro dellefunzioni del settore sanitario, dal medico al manager ospedaliero, agli infermieri agli specialisti dell’elaborazione dei dati, agli amministratori della sicurezza sociale e ai pazienti”.Questa definizione, dunque, evidenzia come le applicazioni e i sistemi di e- Health stiano diventando pervasivi, essendo progettati, implementati e adottati per supportare di volta in volta, un set interdipendente di bisogni e processi clinici, amministrativi, manageriali, epidemiologici e relazionali. Del resto Eisembach (2001) aveva evidenziato come la "e" in eHealth non sintetizza semplimente il concetto “electronic” ma piuttosto assume numerosi altri significati che contribuiscono ad una caratterizzazione più complete della nozione di eHealth. In particolare egli individua dieci diverse “e”:• Efficiency - potenziando le opportunità di comunicazione tra i professionisti, e tra questi e i pazienti, contribuisce ad una riduzione delle duplicazioni degli interventi diagnostici e terapeutici;• Enhancing quality of care - riducendo le asimmetrie informative tra pazienti e professionisti non solo può migliorare l’efficienza ma anche la qualità assistenziale, consentendo ai primi di effettuare una comparazione tra i diversi provider, al fine di effettuare la scelta migliore;• Evidence based - gli interventi di eHealth dovrebbero essere evidencebased, nel senso che la loro efficienza ed efficacia non dovrebbe essere presunta ma dimostrata attraverso una rigorosa valutazione scientifica;• Empowerment - abilita l’accesso del paziente alla conoscenza medica e del proprio percorso clinico, alla base dell’adozione di un approccio alla medicina evidence-based;• Encouragement of a new relationship between the patient and health professional - contribuisce a rafforzare la relazione longitudinale tra medico e paziente promuovendo processi decisionali condivisi;• Education - abilita la definizione di percorsi di formazione on line per i professionisti (educazione continua in medicina) così come per gli utenti (educazione sanitaria, campagne di prevenzione);• Enabling information exchange - promuove una forma di scambio informativo e di comunicazione standardizzata tra i diversi servizi assistenziali;• Extending the scope of health care beyond its conventional boundaries - consente l’estensione dei confine dell’assistenza oltre I confini geografici e concettuali, rendendo più semplice per i pazienti accedere ai servizi on line da parte di professionisti operanti su scala globale;• Ethics - implica nuove forme di interazione tra paziente e medico e pone nuove sfide e minacce rispetto ali aspetti etici legati alla pratica professionale on line, al consenso informato ed alla privacy.• Equity - garantisce una maggiore equità nell’accesso all’assistenza, tuttavia il problema del digital divide al momento sembra ancora rallentare tale possibilità. Più in dettaglio, il dominio dell’e-Health si struttura in quattro aree (Pagliari et al., 2005):• la Professional Clinical Informatics, collegata alle funzionalità e alle tecnologie per i professionisti sanitari;• la Consumer Health Informatics, dedicata agli aspetti relativi alle informazioni, educazione ed empowerment del paziente;• l’Healthcare Business Management, inerente le problematiche amministrative, di tracciamento e di monitoraggio; ed in fine• l’Electronic Health Record, dedicato alla gestione dell’insieme di informazioni cliniche digitalizzate relative all’intero percorso di vita di un individuo.

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In particolare, il focus si concentra sull’Electronic Health Record che grazie al suo ruolo di elemento di raccordo di sistemi informativi diversi a supporto dei molteplici ed eterogenei bisogni degli attori in gioco, assume un valore strategico nello sviluppo delle reti socio-sanitarie.