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HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: [email protected] , [email protected] ; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 1 ANNO 2018 - NOTIZIE DAL 01 OTTOBRE AL 07 OTTOBRE NOTIZIE E INFORMAZIONI SULL’AFRICA E, IN PARTICOLARE, SULLA SOMALIA E SUI PAESI DEL CORNO D’AFRICA, RACCOLTE DA AGENZIE, GRUPPI, ISTITUZIONI, CON PARERI, CONSIDERAZIONI ED OSSERVAZIONI SOMMARIO Pag. 02 - 01 ott. La conferenza delle Nazioni Unite adotta un trattato che vieta le armi nucleari Pag. 02 - 01 ott. Il governo britannico annuncia ulteriori 46 milioni di sterline per eliminare le mine Pag. 02 - 01 ott. La Namibia deposita l’atto di ratifica per la Convenzione sulle munizioni a grappolo mentre si apre a Ginevra l'ottava riunione degli Stati partecipanti Pag. 02 - 01 ott. La Spagna porta a compimento la distruzione delle scorte di mine a grappolo Pag. 02 - 01 ott. L’impegno di sostenere la pace Etiopia –Eritrea (La vice ministro degli esteri scrive al Corriere) Pag. 03 - 02 ott. Trump e la morte annunciata del globalismo Pag. 04 - 02 ott. Somalia, attacco contro militari italiani Pag. 05 - 02 ott. Somalia: raid Usa a nord-est di Chisimaio, uccisi nove miliziani al Shabaab Pag. 06 - 02 ott. Somalia: vicepremier Guled, presidente Farmajo pronto a visitare il Somaliland Pag. 06 - 03 ott. Angola. Il figlio dell’ex presidente angolano accusato di corruzione Pag. 07 - 03 ott. L'ondata di scontri ad Addis Abeba minaccia la nuova Etiopia di Abiy Pag. 09 - 03 ott. Kenya. Lapsset, non ancora nato e già vecchio Pag. 10 - 04 ott. Somalia, Maolimuu (Nusoj): gli islamisti di Shabaab avanzano Pag. 10 - 04 ott. Somalia: crisi politica, ex presidente del Puntland designato mediatore Pag. 11 - 04 ott. Incontro annuale del Comitato Nazionale per l'Azione Umanitaria contro le Mine A/P Pag. 11 - 04 ott. Somalia: Stato islamico rivendica uccisione di tre cittadini etiopi a Bosaso Pag. 11 - 04 ott. Un appello per abrogare le leggi sulla blasfemia in Iran, Pakistan, Yemen, Somalia e Qatar Pag. 12 - 05 ott. Libia, messo a punto nuovo piano per la sicurezza di Tripoli e delle sedi diplomatiche Pag. 12 - 05 ott. Siria: "ucciso a Homs" l'ultimogenito del leader dello Stato islamico al Baghdadi Pag. 13 - 05 ott. I dollari sauditi utilizzati per destabilizzare l’Africa Pag. 13 - 06 ott. Camerun Vigilia del voto presidenziale sotto tensione Pag. 14 - 06 ott. Somalia: nuovi scontri fra milizie Maawisley e al Shabaab nel Medio Scebeli, almeno sei morti Pag. 14 - 06 ott. Somalia: elezioni regionali, ex comandante di al Shabaab annuncia candidatura nella regione di Bai Pag. 14 - 06 ott. Il bene più forte dell’odio. Ricordando Annalena Tonelli Pag. 15 - 06 ott. Africa-Italia: premier Conte in visita in Etiopia ed Eritrea la prossima settimana Pag. 16 - 07 ott. Gibuti: addestramento congiunto dei Carabinieri della MIADIT 10

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Page 1: 01. Notizie Africa dal 01 ott. al 07 ott. 2018 Somalia/Notizie Africa... · 2018-10-07 · Ricordando Annalena Tonelli Pag. 15 - 06 ott. Africa-Italia: premier Conte in visita in

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ANNO 2018 - NOTIZIE DAL 01 OTTOBRE AL 07 OTTOBRE NOTIZIE E INFORMAZIONI SULL’AFRICA E, IN PARTICOLARE, SULLA SOMALIA E SUI PAESI DEL

CORNO D’AFRICA, RACCOLTE DA AGENZIE, GRUPPI, ISTITUZIONI, CON PARERI, CONSIDERAZIONI ED OSSERVAZIONI

SOMMARIO

Pag. 02 - 01 ott. La conferenza delle Nazioni Unite adotta un trattato che vieta le armi nucleari

Pag. 02 - 01 ott. Il governo britannico annuncia ulteriori 46 milioni di sterline per eliminare le mine

Pag. 02 - 01 ott. La Namibia deposita l’atto di ratifica per la Convenzione sulle munizioni a grappolo mentre si apre a Ginevra l'ottava riunione degli Stati partecipanti

Pag. 02 - 01 ott. La Spagna porta a compimento la distruzione delle scorte di mine a grappolo

Pag. 02 - 01 ott. L’impegno di sostenere la pace Etiopia –Eritrea (La vice ministro degli esteri scrive al Corriere)

Pag. 03 - 02 ott. Trump e la morte annunciata del globalismo

Pag. 04 - 02 ott. Somalia, attacco contro militari italiani

Pag. 05 - 02 ott. Somalia: raid Usa a nord-est di Chisimaio, uccisi nove miliziani al Shabaab

Pag. 06 - 02 ott. Somalia: vicepremier Guled, presidente Farmajo pronto a visitare il Somaliland

Pag. 06 - 03 ott. Angola. Il figlio dell’ex presidente angolano accusato di corruzione

Pag. 07 - 03 ott. L'ondata di scontri ad Addis Abeba minaccia la nuova Etiopia di Abiy

Pag. 09 - 03 ott. Kenya. Lapsset, non ancora nato e già vecchio

Pag. 10 - 04 ott. Somalia, Maolimuu (Nusoj): gli islamisti di Shabaab avanzano

Pag. 10 - 04 ott. Somalia: crisi politica, ex presidente del Puntland designato mediatore

Pag. 11 - 04 ott. Incontro annuale del Comitato Nazionale per l'Azione Umanitaria contro le Mine A/P

Pag. 11 - 04 ott. Somalia: Stato islamico rivendica uccisione di tre cittadini etiopi a Bosaso

Pag. 11 - 04 ott. Un appello per abrogare le leggi sulla blasfemia in Iran, Pakistan, Yemen, Somalia e Qatar

Pag. 12 - 05 ott. Libia, messo a punto nuovo piano per la sicurezza di Tripoli e delle sedi diplomatiche

Pag. 12 - 05 ott. Siria: "ucciso a Homs" l'ultimogenito del leader dello Stato islamico al Baghdadi

Pag. 13 - 05 ott. I dollari sauditi utilizzati per destabilizzare l’Africa

Pag. 13 - 06 ott. Camerun Vigilia del voto presidenziale sotto tensione

Pag. 14 - 06 ott. Somalia: nuovi scontri fra milizie Maawisley e al Shabaab nel Medio Scebeli, almeno sei morti

Pag. 14 - 06 ott. Somalia: elezioni regionali, ex comandante di al Shabaab annuncia candidatura nella regione di Bai

Pag. 14 - 06 ott. Il bene più forte dell’odio. Ricordando Annalena Tonelli

Pag. 15 - 06 ott. Africa-Italia: premier Conte in visita in Etiopia ed Eritrea la prossima settimana

Pag. 16 - 07 ott. Gibuti: addestramento congiunto dei Carabinieri della MIADIT 10

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01 ott. La conferenza delle Nazioni Unite adotta un trattato che vieta le armi nucleari

I Paesi riuniti alla conferenza delle Nazioni Unite a New York del 7 luglio 2018 hanno adottato il Trattato sul divieto delle armi nucleari, il primo strumento multilaterale vincolante dal punto di vista giuridico per il disarmo nucleare negoziato in 20 anni. Il trattato, adottato con 122 voti a favore, uno contrario (Paesi Bassi) e un'astensione (Singapore), bandisce una gamma completa di attività connesse alle armi nucleari, come il divieto a sviluppare, testare, produrre, fabbricare, acquisire, possedere o immagazzinare armi nucleari o altri ordigni esplosivi nucleari, nonché il divieto all'uso o alla minaccia di utilizzo di tali armi.

01 ott. Il governo britannico annuncia ulteriori 46 milioni di sterline per eliminare le mine

Il Dipartimento per lo Sviluppo internazionale del Regno Unito (DFID) ha annunciato l’erogazione di 46 milioni di sterline in nuovi finanziamenti per lo sgombero delle mine terrestri, di cui beneficeranno oltre 800.000 persone nei paesi devastati dai conflitti in tutto il mondo; le Organizzazioni umanitarie internazionali MAG, The Halo Trust, Norwegians People's Aid e il Centro internazionale umanitario per lo Sminamento di Ginevra lavoreranno in collaborazione per portare avanti gli sforzi di sminamento, l'educazione al rischio delle mine e lo sviluppo delle capacità in Angola, Cambogia, Somalia, Zimbabwe, Myanmar, Sud Sudan, Laos, Libano e Vietnam. 01 ott. La Namibia deposita l’atto di ratifica per la Convenzione sulle munizioni a grappolo mentre si apre a Ginevra l'ottava riunione degli Stati partecipanti

Venerdì 31 agosto la Namibia, dopo il deposito dell’atto di ratifica con le Nazioni Unite (ONU), è diventata il 104° stato membro della Convenzione sulle munizioni a grappolo. "L'adesione della Namibia alla Convenzione sulle munizioni a grappolo, appena due giorni prima dell'apertura dell'8a riunione degli Stati membri a Ginevra, è un'ulteriore indicazione della forza di questo trattato e della norma globale che mette al bando queste orribili armi", ha detto il Direttore della Convenzione, Hector Guerra. La Repubblica di Namibia è stata una delle prime sostenitrici della Convenzione sulle munizioni a grappolo, firmando nel 2008 e partecipando sin da allora a ogni riunione degli Stati membri. La Namibia afferma di non aver mai usato, prodotto, trasferito o accumulato munizioni a grappolo e ha condannato il nuovo uso delle munizioni a grappolo. La Convenzione entrerà in vigore per la Namibia il 1° febbraio 2019.

01 ott. La Spagna porta a compimento la distruzione delle scorte di mine a grappolo

31 agosto 2018 - La Coalition Cluster Munition rileva i progressi compiuti dall'adozione del trattato dieci anni or sono, per effetto dell’impegno costante degli stati membri. Il Regno di Spagna ha firmato il CCM il 3 dicembre 2008, lo ha ratificato il 17 giugno 2009, ed è stata tra le prime 30 ratifiche a far scattare l'entrata in vigore della convenzione il 1° agosto 2010. In effetti, l'impegno della Spagna nei confronti del divieto globale risale al luglio 2008 quando il paese ha dichiarato una moratoria unilaterale sull'uso, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo, prima dell'entrata in vigore della Convenzione. La Spagna è stata anche la prima firmataria della Convenzione sulle munizioni a grappolo a comunicare il completamento dei loro obblighi di distruzione delle scorte nel marzo 2009. Successivamente, il paese ha dichiarato di possedere ulteriori scorte di munizioni a grappolo e si è impegnato a distruggerle entro la scadenza della Convenzione dell’agosto 2018.

01 ott. L’impegno di sostenere la pace Etiopia –Eritrea (La vice ministro degli esteri scrive al Corriere della Sera)

Caro direttore, è un Accordo di Pace storico quello firmato da Etiopia ed Eritrea il 16 settembre scorso. Ha provocato un sussulto nell’Africa intera e nel mondo perché è una svolta epocale, che potrebbe portare enormi benefici. L’Italia e la comunità internazionale devono riconoscerne l’importanza e sostenerlo, questo accordo, e

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accompagnarlo nella sua evoluzione. Gli esiti del processo non sono scontati, date le recenti violenze ad Addis Abeba, ma le opportunità restano grandissime per lo sviluppo dei due paesi. La società civile, ad esempio, potrebbe essere più libera di esprimersi e di emergere, e quindi di smuovere le risorse umane con iniziative, creatività e innovazione, creando “futuro” per le nuove generazioni e per gruppi vulnerabili come le donne. Sul piano politico, va sottolineato che capovolgendo radicalmente la storica posizione di Addis Abeba, il Premier etiope si è fatto promotore della revoca delle sanzioni verso l’Eritrea, che verrà valutata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nei prossimi mesi. Ma è l’intero Corno d’Africa a trarre beneficio: si apre una fase di rinnovato dialogo tra Etiopia, Eritrea e Somalia. Storica la visita ad Asmara di Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo, primo Capo di Stato somalo a recarsi in Eritrea dalla sua indipendenza nel 1991. Anche le dinamiche tra Eritrea e Gibuti potrebbero migliorare. Nuovo impulso deriverà dall’accordo nei rapporti commerciali, delle comunicazioni e dei trasporti come previsto dalle intese tra i due paesi, consapevoli che tali rapporti sono fondamentali perché i dividendi della pace possano diffondersi a tutte le popolazioni del Corno, sfruttando l’effetto traino dell’economia dell’Etiopia che nel 2017 è stato il paese a più alta crescita del mondo. Sono ripresi i voli commerciali tra i due Paesi, sono state riaperte frontiere e ambasciate, navi etiopi hanno iniziato a usare il porto eritreo di Massaua. I Paesi rivieraschi del Mar Rosso, la Turchia, la Cina, la Russia, gli Usa e alcuni attori europei talvolta in ordine sparso hanno intensificato le loro attività nell’area. L’Ue potrebbe avere grande influenza. L’Italia intrattiene rapporti di amicizia storici con Etiopia ed Eritrea. Una continuità storica confermata ad esempio dalle due grandi scuole italiane statali ad Addis Abeba e ad Asmara in cui crescono i figli dei due paesi. Nel Corno l’Italia già esercita un ruolo di primo piano (spesso fuori dai riflettori mediatici) nella sicurezza marittima, in Somalia, nella partnership a tutto campo con l’Etiopia, con una base militare logistica a Gibuti. Molte le imprese commerciali italiane in Etiopia, e forte è il potenziale incremento, per il nuovo assetto che potrebbe portare più investimenti esteri nella regione e una loro progressiva integrazione economica con la Free Trade Area. Potremmo investire di più in tanti settori, dall’agro-industria alla pesca, al turismo, alle energie alternative e altro. Importantissime sono le iniziative di cooperazione allo sviluppo: nel biennio 2017-2018 l’Italia ha donato oltre 81 milioni di euro per interventi di sviluppo e umanitari in Etiopia, Somalia ed Eritrea, e ha erogato crediti di aiuto all’Etiopia pari a 47 milioni di euro. Gli stanziamenti potrebbero aumentare, anche in funzione della stabilizzazione della regione. Etiopia ed Eritrea manifestano il desiderio di maggiore presenza italiana, per le specificità e la qualità del modello italiano in tutti i campi. Il premier etiope Abiy Ahmed e il presidente Isaias Afwerki hanno saputo cogliere il nuovo senso della storia, superando perfino la questione dei confini territoriali, per lasciar spazio ad un’Africa globalizzata, che per noi costituisce un partner strategico prioritario perché è un continente di risorse, nonostante le sfide. Celebrare la pace tra Etiopia ed Eritrea, sostenerla, annunciarla con gioia, non è solo un dovere, ma costituisce un impegno a lungo termine per la costruzione di uno sviluppo condiviso sostenibile nel lungo periodo, con sicuro beneficio per tutti.

02 ott. Trump e la morte annunciata del globalismo

Donald Trump sarà anche "un'idiota e uno squilibrato" come scrive nel suo ultimo libro Bob Woodward, il premio Pullitzer che rivelò lo scandalo Watergate. E sicuramente le uscite egocentriche del Presidente Usa possono risultare quasi comiche, come s'è visto durante l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il bistrattato inquilino della Casa Bianca ha però un pregio. Come il bambino capace di gridare "il re è nudo" nell'imbarazzato silenzio dei sudditi vede e mette sotto gli occhi del pubblico quello che gran parte dei politici e dei media tentano disperatamente di negare nel nome del politicamente corretto. E così il suo tanto criticato intervento al Palazzo Di Vetro ha ufficializzato quello che tutti sanno, ma nessuno vuole ammettere ovvero

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il definitivo decesso di quel multilateralismo e di quel globalismo di cui le Nazioni Unite sono il simbolo più evidente e fallimentare. Attenzione non li sta uccidendo Donald Trump come vorrebbe farci credere gran parte dell'informazione "liberal" e generalista. Annunciando di esser deciso a rigettare "l'ideologia del globalismo" in favore dell' "ideologia del patriottismo" Trump prende semplicemente atto di quanto avviene nel mondo. Un mondo dove il tanto atteso epilogo del sanguinoso conflitto siriano sta finalmente arrivando all'epilogo grazie all'intervento unilaterale della Russia e ai negoziati di pace avviati da Mosca.

Negoziati condotti al di fuori della cornice dell'Onu e nell'indifferenza di Stati Uniti ed Unione Europea. Per non parlare di quant'altro si agita nel pianeta. L'Unione Europea, simbolo continentale del globalismo e del multilateralismo, si sta disintegrando sotto i colpi degli egoismi nazionali risorti e dilagati grazie all'incapacità decisionale della casta di burocrati mandata a (non) governare Bruxelles. In Afghanistan, Iraq, Libia, e nei Balcani, è oltremodo evidente il fallimento di quegli interventi "umanitari" che a sentire i profeti del multilateralismo (l'Iraq partito come intervento unilaterale diventò multilaterale nella mai realizzata fase di stabilizzazione) avrebbero dovuto garantire l'esportazione della democrazia e la rigenerazione delle nazioni liberate dai cosiddetti dittatori. In Africa assistiamo invece alla spregiudicata neo-colonizzazione economica di Pechino. Utilizzando la politica dei prestiti a lungo termine la Cina s'impossessa delle risorse naturali del continente, ma ne moltiplica i tassi di disoccupazione imponendo l'utilizzo di manodopera "gialla" per realizzare le opere costruite con i propri capitali.

Eppure l'Onu sempre pronto ad accusare l'Europa, ed in particolare l'Italia, di scarsa sensibilità di fronte ai nuovi flussi migratori si guarda bene dal denunciare la responsabilità di Pechino causa primaria della grande fuga di centinaia di migliaia di africani spogliati prima delle proprie risorse e poi del proprio lavoro. Ed allora cosa sopravvive del globalismo e del multilateralismo? Null'altro che la sua vestigia. Ovvero quelle Nazioni Unite che con oltre 76 mila dipendenti e un budget di 5,4 miliardi di dollari per il biennio 2016-2017 sono ormai la macchina più costosa e inutile del pianeta. Ma sono anche l'ultima lente deformante dietro cui continua a

nascondersi chi rifiuta di vedere e affrontare la realtà di un'Europa e di una America ormai incapaci di garantire l'Ordine mondiale utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalle Nazioni Unite.

Nella foto sopra: Macron all’ONU minaccia di trovare una alternativa al G7.

Trump non è certo il responsabile di tutto questo. La disintegrazione del multilateralismo è iniziata, a ben vedere, almeno 25 anni fa con il fallimento di quell' intervento "umanitario" in Somalia guidato dagli Usa sotto l'etichetta dell'Onu. Da lì in poi è stato solo un susseguirsi di disastri ed insuccessi. L'unica colpa di Trump è quella di voler farcelo comprendere.

02 ott. Somalia, attacco contro militari italiani

"Un mezzo appartenente a un convoglio italiano con a bordo militari che operano nell'ambito della missione europea in Somalia è stato coinvolto in un'esplosione". Lo ha riferito lo Stato Maggiore della Difesa italiana sul proprio account Twitter. "Nessun ferito tra i nostri militari che sono rientrati in base con gli stessi mezzi", si precisa nel tweet. L’esplosione è avvenuta a 700 metri circa dalla sede del ministero della Difesa a Mogadiscio. Nell'attacco, compiuto da un kamikaze, sono rimasti uccisi quattro studenti. Lo ha reso noto in dichiarazioni all'agenzia di stampa 'Dpa' l'ufficiale di polizia somalo Ali Hassan, precisando che i quattro studenti si trovavano nei pressi del convoglio al momento esplosione.

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Secondo altre fonti i morti sarebbero due giovani e altri 5 sarebbero rimasti feriti. L'attacco è stato rivendicato dal gruppo jihadista 'al-Shabaab', affiliato ad al-Qaeda, attraverso la loro emittente 'Radio Andalus'. L'organizzazione sostiene di aver ucciso o ferito militari dell'Ue nell'attacco.

L'ufficiale di polizia somalo interpellato ha confermato che i morti sono tutti civili. Un blindato Lince, appartenente a un convoglio di 5 mezzi italiani, spiegano fonti dello Stato Maggiore della Difesa, è stato coinvolto alle ore 12:10 locali in un’esplosione al rientro da un’attività addestrativa a favore della Forze di sicurezza somale. Il mezzo, con a bordo 4 militari, è stato lievemente danneggiato ed è rientrato alla base. Secondo il sito d'informazione somalo 'Goobjoog news', un'auto carica di esplosivo è saltata in aria vicino a un "mezzo militare italiano". L'attacco, si legge, è avvenuto nel quartiere di Daynile. Un testimone, citato da 'Garowe Online', ha confermato che un'auto carica di esplosivo è saltata in aria contro un

convoglio di blindati con la bandiera italiana, danneggiando uno dei veicoli.

I militari italiani operano nell’ambito della missione europea in Somalia (EUTM), finalizzata al rafforzamento del Governo Federale di Transizione somalo (TFG), attraverso la consulenza militare a livello strategico alle istituzioni di difesa somale e l’addestramento militare. La missione militare dell'Ue opera in stretta collaborazione e coordinamento con gli altri attori della comunità internazionale presenti nell’area d’operazione come le Nazioni Unite, l’African Union Mission in Somalia (AMISOM) e gli Stati Uniti d'America.

02 ott. Somalia: raid Usa a nord-est di Chisimaio, uccisi nove miliziani al Shabaab

Le forze speciale degli Stati Uniti hanno condotto un raid aereo a circa 40 chilometri a nord-est di Chisimaio, nella regione del Basso Giuba, nella Somalia meridionale, uccidendo nove miliziani jihadisti di al Shabaab. È quanto reso noto in un comunicato dal Comando Usa per l’Africa (Africom), secondo cui l’attacco è avvenuto ieri e non ha provocato vittime fra i civili. Il raid segue quello effettuato il mese scorso nei pressi della città di Mubarak, a pochi chilometri dalla capitale Mogadiscio, in risposta ad un attacco contro un convoglio di militari somali e statunitensi. In quel frangente due miliziani sono stati uccisi e un terzo è rimasto ferito. Il comando militare americano di AFRICOM, che monitora la situazione di sicurezza in Africa, ha riferito che, nella giornata di lunedì era stato indetto uno stop al trasporto aereo civile, in coordinamento con il Governo somalo, a 40 chilometri a Nord-Est di Chisimaio. Le Forze americane in Somalia lavorano in sinergia con il governo sostenuto dall’ONU contro il movimento islamista di al-Shabaab. Dallo scorso anno, Washington ha intensificato le operazioni nel Corno d’Africa, colpendo diversi militanti del gruppo terroristico islamico. Secondo una nostra analisi i continui attentati, oltre a manifestare la presenza dei militanti islamici, hanno lo scopo di destabilizzare e raffreddare il rapporto di cooperazione che si è creato tra le forze militari europee e le forze di sicurezza locali che vengono prontamente addestrata per reagire agli attacchi indiscriminati di questa costola di Al Qaeda. Ai militanti di Al-Shabaab inizia ad infastidire la presenza, sempre più costante, dei veicoli blindati dell’UE, spesso visti nelle strade della capitale. Non è una novità che Al-Shabaab, cerca di stabilire uno stato islamico in Somalia, lanciando regolarmente attacchi contro edifici governativi, hotel e ristoranti. Dopo la loro cacciata da Mogadiscio nel 2011 gli integralisti islamici hanno recuperato una forte presenza militare nella campagna della Somalia, in particolare nel Sud e nel centro del Paese

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Sono confermati anche continui attacchi in Kenya. Soprattutto concentrati nella zona al confine con la Somalia, che hanno come obiettivo quello di operare una forte pressione sul Governo keniota per spingerlo a ritirare le sue forze di pace dalla Somalia. 02 ott. Somalia: vicepremier Guled, presidente Farmajo pronto a visitare il Somaliland

Il presidente somalo Mohamed Abdullahi “Farmajo” è pronto a visitare al più presto l’autoproclamata repubblica del Somaliland. Lo ha annunciato il vicepremier somalo Mahdi Guled in un’intervista alla “Bbc Somalia”, precisando che il governo è già a lavoro per organizzare i colloqui che dovrebbero iniziare subito dopo le elezioni parlamentari in Somaliland, in programma nell’aprile 2019. “Il presidente Farmajo è pronto a recarsi ad Hargeisa (capitale amministrativa del Somaliland) portando la bandiera nazionale della Somalia”, ha detto Guled, secondo il quale Farmajo e il presiedente del Somaliland, Musa Bihi, avrebbero dovuto incontrarsi lo scorso anno, tuttavia la ripresa dei combattimenti fra le forze armate del Somaliland e quelle della regione semi-autonoma del Puntland nella città di Tukaraq, nella regione di Sool, ha complicato i piani. La città è stata conquistata nel gennaio scorso dalle forze del Somaliland al termine di un lungo conflitto a fuoco con le forze del Puntland. La regione di Sool è da tempo contesa fra i due stati, che hanno dato vita negli ultimi anni a diversi episodi di tensione fra i due eserciti. Iniziata alla fine degli anni Novanta, la contesa territoriale è ancora in atto ed ha coinvolto anche altri stati autonomi, che hanno rivendicato tutti o una parte dei territori in questione. Il Somaliland ha autoproclamato la propria indipendenza dalla Somalia nel 1991, finora mai riconosciuta da Mogadiscio.

03 ott. Angola. Il figlio dell’ex presidente angolano accusato di corruzione

l figlio dell'ex presidente dell'Angola, Jose Eduardo dos Santos, è stato rinviato in custodia cautelare in un caso di corruzione da 1,5 miliardi di dollari, ha detto un procuratore statale lunedì. "Data la complessità e la serietà delle azioni e al fine di garantire un'indagine efficace ... il pubblico ministero ha deciso di applicare una misura di detenzione preventiva a coloro che sono stati accusati", ha dichiarato il procuratore generale Alvaro Da Silva Joao in una dichiarazione . Quelli presi di mira includono il figlio dell'ex presidente, Jose Filomeno dos Santos, ex capo del fondo sovrano dell'Angola e l'uomo d'affari angolano-svizzero Jean-Claude Bastos de Morais. "Le prove raccolte nel caso costituiscono prove sufficienti che gli imputati sono stati coinvolti in atti di corruzione", aggiunge la dichiarazione. Jose Filomeno dos Santos, soprannominato Zenu, è stato nominato capo del fondo da $ 5 miliardi nel 2013 da suo padre, presidente dell'epoca, Jose Eduardo dos Santos che si è dimesso l'anno scorso dopo aver dominato la politica del paese per quasi quattro decenni. Eduardo Dos Santos aveva posto sotto il suo personale controllo i settori strategici dell'economia incluso il gigante petrolifero statale, affidato a sua figlia Isabel.

L'ex presidente aveva scelto come suo successore il suo ex ministro della difesa Joao Lourenco all'interno del suo stesso regime,, nella speranza di assicurare un pacifico passaggio di consegne. Aveva anche nominato i lealisti a capo delle forze di sicurezza del paese. Ma Lourenco ha rapidamente acquisito autonomia decisionale ed ha affermare la sua autorità dopo essere stato eletto presidente l'anno scorso, cominciando a smantellare l'impero del suo predecessore. Promettendo di riavviare l'economia, Lourenco ha destituito la figlia di dos Santos dal ruolo principale di Sonangol e ha licenziato "Zenu" dalla leadership del fondo sovrano con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici. Il principale partito di opposizione dell'Unita ha salutato positivamente l’arresto anche della figlia dell’ex presidente, Jose Filomeno dos Santos, elogiando il nuovo presidente Lourenzo per "onorare le sue promesse" "L'Angola deve diventare un Paese normale ... e uno stato democratico", ha detto ad AFP il portavoce dell'Unita, Alcides Sakala. Un alto funzionario e membro del supremo organo decisionale del MPLA, il partito di governo,

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Joao Pinto, ha dichiarato: "se sono stati commessi errori, spetta ai tribunali giudicare e, se necessario, punire" qualsiasi colpevole. Intanto vari accoliti di dos Santos sono stati destituiti dai posti migliori, compresi i capi dell'esercito e della polizia, nonché i dirigenti di altre compagnie statali. L'Angola è il secondo più grande produttore di petrolio in Africa, ma è in difficoltà con l'alta disoccupazione e la lenta crescita.

I procuratori angolani hanno sganciato accuse di corruzione contro un ex capo di stato maggiore dell'esercito, Geraldo Sachipengo Nunda, rimosso dal suo incarico ad aprile dal presidente Joao Lourenco nella riqualificazione dei settori strategici della amministrazionestatale. Le accuse contro Geraldo Sachipengo Nunda sono state ritirate dalla Corte Suprema.mercoledì a causa della mancanza di prove "che dimostrano una sua condotta criminale". Otto altri accusati, tra cui un portavoce del partito al governo, quattro cittadini tailandesi, un canadese e un eritreo sono stati posti agli arresti domiciliari in relazione a una frode da 50 miliardi di dollari. Le prove dovrebbero essere presentate entro la fine del mese. Da quando è salito al potere nel settembre 2017, Lourenco sta combattendo contro la corruzione e rimosso le figure associate al regime del suo predecessore Jose Eduardo dos Santos. Durante i suoi 38 anni di governo, dos Santos si era assicurato l'indiscussa lealtà dei suoi capi sicurezza, compreso il capo dell'esercito. 03 ott. L'ondata di scontri ad Addis Abeba minaccia la nuova Etiopia di Abiy

(nella foto sotto: Il primo ministro etiope Abiy Ahmed)

Il processo di riconciliazione nazionale in Etiopia avviato dal giovane premier riformista, Abiy Ahmed, rischia di impantanarsi dopo le violenze scoppiate nei giorni scorsi ad Addis Abeba, in concomitanza con il ritorno in patria dei militanti del Fronte di liberazione oromo (Olf). E gli arresti di massa riempiono di nuovo le carceri.

Gli scontri di connotazione etnica sono iniziati il 13 settembre, quando alcuni giovani oromo hanno iniziato a dipingere le strade di Addis Abeba con i colori della bandiera dell’Olf. La loro azione ha suscitato la reazione di molti residenti che l’hanno interpretata come un tentativo da parte del movimento di opposizione armata di assumere il controllo

di Addis Abeba. Le due fazioni rivali si sono poi fronteggiate per altri due giorni portando alla chiusura di intere zone del centro commerciale della capitale e provocando, secondo fonti governative, 28 vittime (58 secondo Amnesty International), sette delle quali sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza durante le manifestazioni contro l’uccisione di decine di militanti oromo nella città di Burayu a Oromia, alla periferia di Addis Abeba. Inoltre, negli ultimi giorni più di 2.500 giovani sono stati arrestati nella capitale e circa 12mila persone non appartenenti all’etnia oromo sono state sfollate. Si tratta dei primi arresti di massa da quando, lo scorso aprile, Abiy Ahmed è salito al potere. Arresti che Amnesty International ha condannato, affermando che dopo aver «encomiabilmente provato a svuotare le carceri», il governo etiope non avrebbe dovuto «riempirle di nuovo» trattenendovi persone senza accuse. Mentre restava alta la tensione, il 15 settembre, i leader in esilio dell’Olf sono stati accolti ad Addis Abeba con un caloroso benvenuto, dopo che il mese scorso avevano firmato un accordo di riconciliazione con il governo etiope, che prevede la cessazione delle ostilità. In base all’intesa, siglata ad Asmara dal presidente dell’Olf, DawdIbsa, e dal governatore dello stato regionale di Oromia, Lemma Megersa, il gruppo di opposizione ha accettato di proseguire la sua attività politica in Etiopia attraverso mezzi pacifici, mentre le due parti hanno concordato anche l’istituzione di un comitato congiunto per attuare l’accordo.

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Tuttavia, dopo questo ennesimo bagno di sangue, Ahmed, che ha condannato con forza le uccisioni e gli atti di violenza contro cittadini innocenti, dopo aver messo fine al ventennale conflitto con l’Eritrea, rischia di trovarsi un focolaio di guerra civile in casa.

Secondo diversi osservatori, l’insicurezza sarebbe fomentata da chi non vede di buon occhio il nuovo corso introdotto dal primo ministro etiope. Un’opinione largamente diffusa anche tra la popolazione, almeno a giudicare dai post sui social media di semplici cittadini, costernati per la violenza che potrebbe far deragliare il processo di pacificazione in atto. Da quando è arrivato al potere, nell’aprile scorso, Abiy ha varato una serie di riforme che sono state accolte con entusiasmo da gran parte della popolazione. Ha cominciato il suo mandato liberando migliaia di prigionieri politici appartenenti ad organizzazioni clandestine (compreso l’Olf), che erano state classificate come organizzazioni terroristiche.

Poi, ha dichiarato la fine dello stato di emergenza e ha annunciato piani per privatizzare parzialmente le industrie chiave, comprese le telecomunicazioni e l’aviazione. Ha inoltre licenziato funzionari carcerari implicati in violazioni dei diritti umani, sulla base di segnalazioni raccolte in un rapporto di Human Rights Watch. Ma il segnale di cambiamento più netto è arrivato quando ha ammesso e denunciato l’uso della tortura da parte dei servizi di sicurezza dello Stato. Non a caso, Abiy, appartenente agli oromo, il più grande gruppo etnico dell’Etiopia, è stato subito giudicato come la persona in grado di risolvere le profonde divisioni nel Paese, acuitesi negli ultimi anni, nel corso dei quali l’Etiopia è stata teatro di un’ondata di proteste senza precedenti contro l’emarginazione politica ed economica, guidate dagli oromo.

La seconda nazione più popolosa dell’Africa (dopo la Nigeria) per troppo tempo è stata costretta a dover arginare la crescente pressione dell’opinione pubblica e la rivalità etnica, che ha contrapposto la minoranza tigrina al potere alle altre etnie. Inoltre, nonostante gli impressionanti indici di crescita economica registrati negli ultimi anni, l’Etiopia ha ancora enormi problemi da risolvere, tra cui una disoccupazione giovanile che si aggira attorno al 17%.

Senza contare, che molte delle promesse di Abiy, come l’abolizione delle restrizioni all’attivismo della società civile, restano ancora tali. Soprattutto, non è chiaro come potranno tenersi elezioni multipartitiche, in un Paese dove la coalizione di governo del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf) e i suoi alleati hanno un controllo radicale su quasi tutte le istituzioni e detengono tutti i seggi in parlamento.

Per questo, la sfida che il 42enne leader etiope si trova ad affrontare è di enorme portata, ma Abiy è consapevole di governare un Paese molto giovane, con un’età media di soli 18 anni e una grande voglia di libertà economica e politica, che sente impellente il bisogno di sostenere il suo leader nell’ardua impresa di cambiare radicalmente il panorama politico della nazione. E dopo la nuova escalation di scontri, Abiy dovrà dimostrare con ancora più determinazione che l’Etiopia è pronta a voltare pagina, chiudendo con il suo passato repressivo.

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03 ott. Kenya. Lapsset, non ancora nato e già vecchio

Il primo attracco di una petroliera nel porto di Lamu, prima parte del progetto Lapsset (Lamu Port - South Sudan - Ethiopia Transport), avverrà sei mesi dopo la data prevista. Si tratta di un corridoio infrastrutturale di trasporto che una volta completato collegherà il porto keniano con il Sud Sudan e l’Etiopia. La notizia del ritardo nel completamento della fase iniziale dell’infrastruttura logistica è stata diffusa dal direttore generale dell’autority per lo sviluppo di Lapsset, Silvester Kasuku, il quale ha rivelato che il primo ormeggio a Lamu sarà operativo entro giugno 2019, appunto sei mesi più tardi del termine inizialmente previsto. Il progetto del porto keniano prevede la costruzione di tre terminal marittimi in acque profonde - e contese in parte con la vicina Somalia -, interamente finanziati dal governo nazionale per un costo di 48 miliardi di dollari.

Finora l’opera è stata completata al 55% con l’obiettivo di terminarla entro il 2020. Il controverso porto petrolifero di Lamu - contestato dalla popolazione locale e dall’Unesco, in quanto realizzato ai margini di una preziosa Riserva di Biosfera - è stato progettato per garantire lo sbocco al mare a Sud Sudan ed Etiopia, ma anche all’Uganda, che ha però poi preferito avvalersi dell’oleodotto tanzaniano per esportare il greggio dai terminals nel lago Alberto.

Tuttavia, nell’ultima analisi pubblicata dal Bretton Woods Project - rete della società civile

ospitata da ActionAid -, che ha esaminato in chiave geopolitica la situazione dell’ambizioso progetto, emergono dubbi sulla partecipazione dell’Etiopia che dopo la recente ripresa delle relazioni con l’Eritrea, potrebbe avere accesso al porto di Asmara, riducendo significativamente il suo potenziale di domanda per il porto kenyano. Secondo l’ong britannica, oltre al rischio di diventare obsoleto prima del suo completamento, il più grande piano infrastrutturale dell’Africa orientale, finora non ha avuto ricadute in positivo sulle popolazioni direttamente interessate.

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Uno degli esempi più calzanti per fotografare la situazione in Kenya, è il caso della poverissima (nonostante la capacità delle riserve di petrolio pari a circa 750 milioni di barili) contea settentrionale di Turkana, dove la popolazione locale non ha beneficiato minimamente della costruzione dell’oleodotto da parte della britannica Tullow Oil. L’oleodotto, che attraversa il territorio del distretto Turkana per il trasporto del greggio fino alla città di Eldoret e, da qui, al porto di Mombasa, ha sollevato le proteste dei rappresentanti delle comunità Turkana, i quali da mesi chiedono maggiori misure di sicurezza nella regione, dove si verificano frequenti episodi di brigantaggio e di furti di bestiame. Le proteste della popolazione della contea, iniziate alla fine di giugno e terminate a metà agosto, hanno impedito le operazioni di trasporto di circa duemila barili al giorno di greggio dai giacimenti petroliferi della contea verso la costa keniana.

L’impasse è stato sbloccato dopo la sigla di un nuovo accordo tra la compagnia petrolifera britannica e il governo centrale, a garanzia dell’intesa per la ripartizione dei redditi conclusa a maggio tra Nairobi e l’amministrazione regionale di Turkana che entrerà però in vigore entro il 2022, quando la produzione avrà raggiunto la piena capacità. In effetti, contrariamente a quanto aveva dichiarato prima della realizzazione del progetto Manoah Esipisu, direttore dell’unità di comunicazione strategica del presidente Uhuru Kenyatta, l’oleodotto non ha ancora migliorato la qualità di vita delle persone e dei distretti che si trovano lungo il suo percorso. Il governo di Nairobi tuttavia è convinto che il Lapsset permetterà lo sviluppo del nord del Kenya, rendendo accessibili le enormi risorse petrolifere e le gigantesche falde idriche sotterranee scoperte di recente. È anche innegabile che siamo ancora alle fasi iniziali del progetto, che oltre la costruzione del porto, di una raffineria - sempre a Lamu - e di due oleodotti per l’esportazione del greggio dall’Uganda e Sud Sudan, comprende una ferrovia a scartamento normale di 1.500 chilometri che collegherà Lamu a Nakodok, lungo la frontiera tra Kenya e Sud Sudan, tre aeroporti e tre centri turistici nelle città keniane di Isiolo, Lodwar e Lamu.

L’Africa orientale ha assoluto bisogno di portare avanti il Lapsset per imporsi quale area in ascesa nel panorama economico africano, ma dovrà riuscire a realizzare i potenziali cambiamenti che il progetto può generare in materia di integrazione regionale, di ricchezza e di opportunità, preservando allo stesso tempo l’ambiente, i diritti ed i mezzi di sussistenza delle comunità, che sono state espropriate delle loro case e delle loro terre per costruire le infrastrutture. Alcune volte con indennizzi più o meno simbolici.

04 ott. Somalia, Maolimuu (Nusoj): gli islamisti di Shabaab avanzano

Due giorni fa miliziani ben armati sono entrati con le loro bandiere nere nei villaggi di Mukay Dheere e Yaaq, nei pressi di Balad, snodo chiave situato appena 30 chilometri a nord della capitale. Sempre questa settimana, Al Shabaab ha effettuato un'incursione a Guduud Buurey, una localita' 30 chilometri a nord di Baidoa, la capitale dello Stato del Sud-ovest.

Sull’agguato ai mezzi italiani di due giorni fa esistono ancora divergenze che riguardano anzitutto il numero delle vittime, quattro secondo alcune fonti, due secondo altre. Si tratterebbe di passanti, studenti stando ad alcune ricostruzioni, investiti dall'esplosione provocata dalla esplosione di una autobomba. Nessuna conferma invece sul ferimento di un militare italiano ne' sull'uccisione di quattro soldati, rivendicata da Abu Musab, il portavoce di Al Shabaab.

Sembra riscontrarsi un progressivo aumento dell'insicurezza in Somalia, dovuto alla manifesta presenza degli islamisti con le loro azioni terroristiche, in particolare nella regione di Mogadiscio. In questo contesto operano i militari italiani. Circa 130 sono schierati nella missione dell'Unione Europea 'Eutm', istituita nel 2010 per sostenere il governo di transizione di Mogadiscio.

04 ott. Somalia: crisi politica, ex presidente del Puntland designato mediatore

Il Senato somalo ha designato l’ex presidente dello Stato semi-autonomo del Puntland, Abdirahman Farole, come mediatore della crisi che da settimane vede contrapposte le amministrazioni degli Stati regionali e il governo federale di Mogadiscio. Lo riferisce il sito d’informazione “Garowe Online”, secondo cui Farole sarà a

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capo di un comitato di mediazione incaricato di mediare nella crisi, innescata dopo che lo scorso 8 settembre i leader regionali riuniti a Chisimaio, nell’Oltegiuba, hanno annunciato la rottura delle relazioni con Mogadiscio. Nelle scorse settimane il Senato somalo ha invitato le amministrazioni degli Stati regionali ad attenuare i toni nei confronti del governo federale e ha chiesto alle autorità regionali di revocare le mozioni per avere la possibilità di mediare nella crisi, che altrimenti rischia di minare il processo di stabilizzazione del paese destinato a culminare con le prime elezioni generali a suffragio universale nel 2020.

Gli Stati regionali accusano in particolare il governo federale di interferire nelle questioni locali e di aver fallito nel processo di attuazione dell’architettura della sicurezza nel paese, in particolare nella lotta contro il gruppo jihadista al Shabaab. Nel 2017 gli Stati regionali somali hanno formato un Consiglio di cooperazione interstatale (Cic) con l’obiettivo di rivendicare l’autonomia dalle autorità federali di Mogadiscio. Finora solo le autorità dello Stato di Hirshabelle hanno raggiunto un accordo per il ripristino delle relazioni con Mogadiscio.

04 ott. Incontro annuale del Comitato Nazionale per l'Azione Umanitaria contro le Mine A/P

La Vice Ministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, Emanuela Del Re, ha presieduto oggi alla Farnesina l'incontro annuale del Comitato Nazionale per l'Azione Umanitaria contro le Mine Anti-persona, al quale hanno partecipato i principali soggetti della società civile attivi nel campo dello sminamento umanitario. L’Italia è fortemente impegnata per l’universalizzazione delle Convenzioni contro le Mine Antipersona e contro le Munizioni a Grappolo. Grazie al Fondo per lo Sminamento Umanitario (che nel 2018 prevede interventi per un totale di 3.656.000 Euro), il nostro Paese è in prima linea nel finanziare iniziative di bonifica di territori contaminati, di informazione della popolazione e di assistenza ai sopravvissuti in diverse aree del mondo (Libia, Iraq, Afghanistan, Giordania, Palestina, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Colombia). “L’Italia” – ha detto la Vice Ministra – “mette a disposizione dei Paesi contaminati da mine non solo fondi ma anche le proprie conoscenze tecniche e la propria esperienza nel settore. Le Forze Armate italiane sono direttamente impegnate nei teatri esteri in operazioni di bonifica dei residuati bellici esplosivi”. La Vice Ministra del Re ha infine espresso un sentito ringraziamento per l'impegno disinteressato di professionisti e volontari della nostra società civile, che contribuisce a conferire all'Italia un profilo di indiscusso prestigio tra i donatori internazionali impegnati in attività umanitarie. (vds.all. intervento del socio HDIG)

04 ott. Somalia: Stato islamico rivendica uccisione di tre cittadini etiopi a Bosaso

Un gruppo affiliato allo Stato islamico ha rivendicato l’uccisione di tre migranti etiopi nella città di Bosaso, nella repubblica semi-autonoma del Puntland. Lo riporta il sito d’informazione somalo “Garowe Online”, secondo cui la rivendicazione è stata fatta in un video pubblicato sull’organo di propaganda dello Stato islamico “Amaq”. Negli ultimi anni si è intensificato il transito a Bosaso di migranti di nazionalità etiope che attraverso il Puntland cercano di raggiungere lo Yemen e, da lì, i paesi del Golfo persico per cercare lavoro. Quello rivendicato è il primo attacco contro cittadini stranieri nel Puntland da quando la fazione guidata dallo sceicco Abdulkadir Mumin ha annunciato la scissione da al Shabaab giurando fedeltà allo Stato islamico, nel 2015.

04 ott. Un appello per abrogare le leggi sulla blasfemia in Iran, Pakistan, Yemen, Somalia e Qatar

Iran, Pakistan, Yemen, Somalia e Qatar sono i Paesi dove è maggiore l’intolleranza verso le altre religioni. Il dato emerge dall’ultima relazione della USCIRF, la Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale.“Le leggi sulla blasfemia adottate da quegli Stati – si legge nel rapporto – invitano agli abusi e possono portare ad aggressioni, omicidi e attacchi di massa”. Il rapporto descrive dettagliatamente le leggi sul culto attualmente in vigore nei vari paesi del mondo. In diversi casi la sanzione per chi non rispetta il dettato religioso prevede la pena morte. E comunque più di un terzo delle nazioni hanno al momento leggi sulla blasfemia. “La libertà religiosa include il diritto di esprimere una gamma completa di pensieri e credenze, compresi quelli che ad altri potrebbero sembrare blasfemi”, ha osservato il

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presidente di USCIRF, Daniel Mark. “I difensori delle leggi sulla blasfemia possono sostenere che sono necessarie per proteggere la libertà religiosa, ma queste leggi non fanno nulla del genere.

Le leggi sulla blasfemia sono sbagliate in linea di principio. Ovunque esistano dovrebbero essere abrogate”. Il rapporto ha poi messo a confronto il testo delle leggi sulla blasfemia con alcuni indicatori come: la libertà di espressione, la libertà di religione o di credo, la vaghezza della legge, la severità della pena, la discriminazione contro i gruppi e le protezioni religiose statali. La maggior parte di queste leggi non riuscivano a proteggere la libertà di espressione, erano vagamente formulate e comportavano pene eccessivamente severe per i trasgressori. Nei cinque Paesi con i peggiori risultati (Iran, Pakistan, Yemen, Somalia e Qatar), le leggi sulla blasfemia mirano essenzialmente a proteggere la religione statale dell’Islam in modo però da discriminare senza giustificazioni chi professa culti diversi.“Quando le società vogliono difendere le persone di fede da condotte potenzialmente offensive, le reazioni devono essere invece improntate all’agire pacifico.

La solidarietà tra le fedi può essere un potente strumento per promuovere la tolleranza e il rispetto reciproco”, precisa USCIRF. L’invito finale del presidente Mark è dunque “di abrogare le leggi sulla blasfemia e di liberare i detenuti o i condannati per blasfemia “. Appello rivolto in particolare al ricco Stato del Qatar, nazione che ospiterà i prossimi mondiali di calcio del 2022.

05 ott. Libia, messo a punto nuovo piano per la sicurezza di Tripoli e delle sedi diplomatiche

Il ministro dell’Interno del governo di accordo nazionale libico (Gna), Abdel Salam Ashur, ha tenuto ieri a Tripoli una riunione con i capi delle forze di sicurezza della capitale per stilare un piano di coordinamento tra le varie unità e mettere in sicurezza la città, in particolare le sedi diplomatiche. In una nota diffusa dall’ufficio stampa del Gna si legge che alla riunione erano presenti il direttore della sicurezza di Tripoli, Salah al Sumui, il direttore delle forze di protezione delle missioni diplomatiche, capitano Wisam Bin Jamia, e altri funzionari della sicurezza.

L’attuale ambasciatore italiano a Tripoli si trova ancora in Italia in quanto la situazione "non è positiva". Lo ha precisato nell’Aula del Senato il ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, durante l’informativa sugli sviluppi della situazione in Libia, aggiungendo che "questa non è una situazione positiva in un momento in cui avremmo la necessità di essere pienamente operativi". Il ministro ha poi accennato al "periodo di recrudescenza di scontri nell’area di Tripoli preceduto da una situazione non ideale" che ha coinvolto l’ambasciatore italiano in seguito ad un "malinteso" nato nel corso di un’intervista in lingua araba che l’ambasciatore aveva concesso ad una televisione libica. Le "reazioni critiche" suscitate dal malinteso sono state, ha puntualizzato il ministro, "manifestate da tutti gli interlocutori dello scenario libico con cui noi abbiamo avuto contatti, a cominciare dal governo riconosciuto dalla comunità internazionale". Una situazione che ha determinato, per ragioni di sicurezza, il rientro in Italia dell’ambasciatore di Roma. Moavero ha poi rassicurato: "In ogni modo, l’ambasciata è operativa e la conferenza si terrà".

Nella stessa circostanza il ministro Enzo Moavero Milanesi, nell’Aula del Senato, in occasione dell’informativa sugli sviluppi della situazione in Libia, ha precisato che l’Italia tiene molto, ovviamente, al rapporto con gli Stati Uniti. Il capo della diplomazia italiana ha puntualizzato che nel rapporto con Washington "abbiamo constatato come detto più volte pubblicamente anche dal presidente del Consiglio", Giuseppe Conte, in particolare dopo gli ulteriori colloqui a New York, che "con il presidente Trump esiste la volontà americana di appoggiare l’azione italiana nell’ambito dello scenario libico e poi, in maniera più vasta nell’ambito del Mediterraneo". Moavero ha poi concluso: "Su questo possiamo contare".

05 ott. Siria: "ucciso a Homs" l'ultimogenito del leader dello Stato islamico al Baghdadi

Il più giovane figlio del leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, è stato ucciso in un raid aereo russo in Siria. Lo sostiene il portale "Iraqinews", che cita un comandante delle milizie sciite irachene della Mobilitazione popolare, Jabbar al Mamori. Quest'ultimo afferma di aver ricevuto informazioni secondo cui

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l'attacco sarebbe avvenuto due giorni fa in un villaggio nella provincia di Homs, nell'ovest della Siria. Mamori non è stato tuttavia in grado di riferire altri dettagli sull'episodio. La notizia arriva pochi mesi dopo che lo Stato islamico ha annunciato la morte di Hudhayfah al Badri, un altro dei cinque figli di al Baghdadi, il quale sarebbe stato ucciso mentre combatteva contro le forze siriane e russe per il controllo di una centrale elettrica nel centro di Homs. Lo stesso al Baghdadi è stato segnalato ucciso o ferito in diverse occasioni. A maggio un funzionario dell'intelligence irachena ha dichiarato che l'autoproclamato "califfo" si nasconde in un territorio al confine tra Iraq e Siria.

05 ott. I dollari sauditi utilizzati per destabilizzare l’Africa

L’Arabia Saudita stende la sua pericolosa ragnatela geopolitica anche sull’Etiopia e sulla Eritrea. Questi due paesi, dopo 20 anni di conflitto, hanno raggiunto il 9 luglio un’intesa definita «dichiarazione di pace e di amicizia». E a mettere il sigillo finale su questo accordo è stato il re dell'Arabia Saudita in una cerimonia avvenuta il 16 settembre, a Gedda. Davanti al monarca del Golfo, il premier etiope e il presidente eritreo hanno firmato l’accordo di pace. Presenti all'evento – come comparse –, il segretario generale dell’Onu e un rappresentante dell'Unione africana. Ma perché è stata proprio l’Arabia Saudita a occuparsi della faccenda? Non è l'Onu che ha il compito di gestire in primis i conflitti tra i suoi stati membri?

È, purtroppo, l'immobilismo dell’Onu a consentire l’affermarsi di situazioni come questa. Una situazione paradossale dove il paese che ha fondato al-Qaida ? che ha contribuito alla distruzione della Siria e che sta conducendo una guerra spietata contro lo Yemen ? si erge a mediatore per la pace tra due paesi africani. Il piromane non fa il pompiere! Dal 2015 diversi paesi africani, tra i quali Sudan, Senegal e Gibuti, combattono a fianco del regno saudita contro il popolo yemenita.

Sembra quindi evidente che non vi è nulla di pacifico o umanitario nella mossa diplomatica di Riyadh nei confronti di Addis Abeba e Asmara. Solo grossi interessi geostrategici dei sauditi in Africa. L’Eritrea è vicina a Bab al-Mandeb, lo stretto che separa la penisola arabica dal Corno d’Africa. Un passaggio strategico che collega il golfo di Aden al Mar Rosso e quindi al Canale di Suez in Egitto, attraverso cui transita una buona parte del traffico commerciale internazionale (4,8 milioni di barili di petrolio al giorno nel 2016, secondo la U.S. Energy Information Administration). Riyadh sta cercando di consolidare la sua presenza in questo stretto. Ha sotto controllo Gibuti e Somaliland (regione settentrionale della Somalia, auto-proclamatasi indipendente, con una bandiera che richiama quella saudita). L’Arabia Saudita vede nell’Iran una minaccia per i suoi interessi geostrategici. Per questo motivo cerca di conquistare lo Yemen, alleato di Teheran. Ma Bab al-Mandeb è strategico anche per gli Stati Uniti e l'Europa, che tacciono sul dramma yemenita perché Riyadh è un alleato che fa il lavoro sporco nello Yemen per frenare l’avanzata geopolitica dell’Iran nella regione.

La presenza dei sauditi si estende tuttavia sull’intero continente attraverso la diplomazia del dollaro. La Banca di sviluppo dell’Arabia Saudita gestisce in Africa 45 miliardi di dollari, usati per corrompere politici, capi di stato o per finanziare le milizie armate vicine all’ideologia wahabita, o ancora per comprare le terre coltivabili degli african. Altro strumento di penetrazione da parte dei sauditi è la religione. L’islam è la seconda religione in Africa, dopo il cristianesimo. Oggi nel continente operano organizzazioni caritative islamiche finanziate da Riyadh che fanno un impetuoso proselitismo dal volto radicale estremista, che rischia di sfigurare il volto umano dell'islam dell'Africa nera. I dollari wahabiti sono un veleno distruttivo.

06 ott. Camerun Vigilia del voto presidenziale sotto tensione

Sono 9 i candidati all’elezione presidenziale che si tiene domenica 7 ottobre in Camerun. Tra questi c’è il Presidente uscente, Paul Biya, 85 anni, al potere dal 1982, che si presenta per ottenere un settimo mandato. La speranza è che il voto si svolga pacificamente affinché il Camerun possa superare le sue difficoltà senza forti traumi. Il Paese infatti attende la votazione con ansia per il timore di violenze specie nelle aree dove già la

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tensione è alta, come le regioni anglofone che giusto un anno fa hanno proclamato simbolicamente la secessione, dandosi il nome di Ambazonia. L’estremo nord del Paese è invece sconvolto dalle incursioni degli uomini di Boko Haram, gruppo islamista nato nella vicina Nigeria che semina morte e distruzione anche nei Paesi vicini. Le tensioni nelle regioni anglofone e in quella del nord hanno provocato la fuga di migliaia di persone in altre zone del Camerun e all’estero. Secondo l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, almeno 10.000 camerunesi, l’80% dei quali sono donne e bambini, sono accolti in campi di fortuna in Nigeria. Gli sfollati sono 238.000 nell’estremo nord e più di 300.000 nelle regioni anglofone. Il Camerun inoltre deve fare fronte ad una grave crisi economica e ad al riaccendersi di rivalità etniche, alimentate dalla diffusione di messaggi d’odio a sfondo etnico che si propagano sui social media. Maggioranza e opposizione hanno sfruttato queste divisioni nella loro campagna elettorale, alimentando nuove tensioni e giustificazioni per creare scontri violenti.

06 ott. Somalia: nuovi scontri fra milizie Maawisley e al Shabaab nel Medio Scebeli, almeno sei morti

Nuovi scontri sono avvenuti ieri nella regione del Medio Scebeli, nella Somalia centrale, tra le milizie armate locali Maawisley e i militanti del gruppo jihadista al Shabaab. Lo riferisce il sito d’informazione “Radio Dalsan”, secondo cui negli scontri, scoppiati all’inizio di questa settimana, sono morte almeno sei persone. Le milizie Maawisley si sono formate su iniziativa degli abitanti della zona che si sono ribellati ai crescenti crimini commessi da al Shabaab contro la popolazione locale, tra cui l'imposizione della zakat (la tassa imposta ai fedeli musulmani sulla base di uno dei precetti del Corano) e il reclutamento forzato dei giovani. 06 ott. Somalia: elezioni regionali, ex comandante di al Shabaab annuncia candidatura nella regione di Bai

Un ex comandante del gruppo jihadista somalo al Shabaab, Mukhtar Robow, ha annunciato la sua candidatura alle elezioni regionali nella regione di Bai in programma nel mese di novembre. Lo riferisce il sito d’informazione “Radio Dalsan”, il quale ha espresso la sua volontà, in caso di vittoria, di rafforzare le relazioni con il governo federale, attualmente in contrasto con alcune amministrazioni statali. Robow, tra i fondatori di al Shabaab, ha lasciato il gruppo nel 2012 e si è arreso al governo nell'agosto dello scorso anno. In seguito alla sua defezione, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti lo ha rimosso dalla sua lista dei terroristi ricercati e ha revocato la taglia di 5 milioni di dollari per la sua cattura. Il governo somalo ha successivamente annunciato l’esclusione dell’ex comandante e fondatore del gruppo jihadista somalo al Shabaab, Mukhtar Robow, dalla corsa per le elezioni nello Stato del Sud-ovest, in programma nel mese di novembre. È quanto reso noto oggi in un comunicato del ministero della Sicurezza di Mogadiscio, secondo cui Robow non è eleggibile dal momento che rimane obiettivo di sanzioni internazionali da parte dell’Interpol e del governo degli Stati Uniti.

06 ott. Il bene più forte dell’odio. Ricordando Annalena Tonelli

Missionaria laica, ha speso la propria vita in teatri difficili nel corno d’Africa, aiutando migliaia di persone ad avere una vita più dignitosa. “Io sono nobody”: Annalena Tonelli si definiva così, “nessuno”. Perchè la sua missione a fianco di malati e dei più poveri non apparteneva ad alcuna congregazione religiosa o organizzazione, ma solo alla propria vocazione. Riteneva che “la vita ha senso solo se si ama”, anche quando lo si fa al prezzo della vita come è capitato a lei: il 5 ottobre del 2003 un commando di

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terroristi integralisti islamici la uccise a Borama (Somaliland, stato adiacente alla Somalia non riconosciuto dalla comunità internazionale e fuori dai riflettori della grande stampa), nel vano tentativo di annientare il suo messaggio. Il vigliacco assassino non stato mai trovato.

Ogni tanto penso a quel giorno in cui Annalena fu uccisa: mi trovavo a Nairobi appena rientrato da Mogadiscio ove avevo svolto una missione. Ero in una riunione, ospite di una famigli italiana nella quale c’erano alcuni dignitari e parlamentari somali per discutere delle possibilità di progetti di cooperazione e di assistenza per un popolo quasi abbandonato ed alla mercè dei potentati locali. Erano presenti anche alcune signore italo-somale in quanto avevano vissuto e studiato in Italia e sposate con italiani. Posso ben dire che la commozione di quell’assassinio colpì duramente tutti i presenti in quanto Annalena era ben conosciuta ed oserei dire amata fortemente dal popolo somalo, quello non accecato dall’odio integralista. Le signore in particolare erano particolarmente vicine ad Annalena e l’aiutavano in ogni occasione fornendole, da Nairobi, aiuti e mezzi. Si misero a piangere come delle bambine addolorate perché la frequentavano conoscendone l’aspirazione della sua vocazione e della sua santità, quella di fare del bene ai sofferenti ed agli ultimi della terra e della società. So che anche in Somaliland la commozione e la rabbia fu forte e le promesse di punire il o i mandanti fu alta ed è sembrata sincera. Peraltro Annalena era lì non certo per fare proselitismo antislamico ma solo per dare un contributo all’umanità sofferente. Era sola, chi mai poteva aver paura di una persona così debole e indifesa?

Annalena Tonelli è una personalità di cui l’Italia deve andare fiera e che dovrebbe anche valorizzare di più: missionaria laica, ha speso la propria vita in teatri difficili nel corno d’Africa, aiutando migliaia di persone ad avere una vita più dignitosa, a sconfiggere malattie, a conoscere il bene. Un impegno cominciato nel 1963 quando fonda il Comitato per la lotta contro la fame nel mondo, ancora oggi attivissimo, grazie al quale comincia una intensa attività di studio e approfondimento sui problemi (all’epoca pressochè sconosciuti alla stragrande maggioranza della popolazione) della fame nel mondo e del sottosviluppo. Da lì prende consapevolezza della necessità di organizzare in maniera concreta e strutturale una filiera di solidarietà in grado di sostenere le popolazioni colpite dalla miseria più profonda e il Comitato che ha fondato assieme ad altri amici avvia una intensa azione di raccolta, selezione, riciclaggio di materiali usati tutto su base volontaria. Il materiale raccolto viene venduto a prezzi modici alimentando un fondo attraverso il quale vengono finanziati progetti di promozione umana e sociale nei Paesi del Terzo Mondo. Dove la stessa Tonelli comincia a recarsi e a vivere, tra Kenya e Somalia , dove tra le altre cose realizza una Scuola speciale per sordomuti e bambini disabili e il Centro antitubercolosi, grazie al quale migliaia di persone vengono assistite e guarite.

Il Comitato è attivo ancora oggi, ad oltre 50 anni dalla sua fondazione e a 15 anni dall’assassinio di Annalena, e grazie all’impegno delle persone che vi lavorano gratuitamente vengono spediti indumenti, cibarie, materiali sanitari, materiali didattici nelle missioni nelle zone più povere del mondo. Sono storie come queste che devono spingerci a non cedere a chi vuole costruire una società basata sull’odio e sulla discriminazione e ad investire nel sostegno a iniziative di cooperazione. Quei terroristi che il 5 ottobre di 15 anni fa uccisero Annalena Tonelli si illusero di aver ucciso anche il suo spirito e la sua umanità.

06 ott. Africa-Italia: premier Conte in visita in Etiopia ed Eritrea la prossima settimana

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sarà in visita in Etiopia e in Eritrea l’11 e 12 ottobre prossimi. Lo riferisce palazzo Chigi in una nota. La missione di Conte giunge a pochi mesi dalla firma della storica dichiarazione di pace fra Etiopia ed Eritrea, avvenuta ad Asmara lo scorso 9 luglio. La dichiarazione prevede cinque “pilastri”: la fine dello stato di guerra fra i due paesi; la ripresa della cooperazione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza; la ripresa delle relazioni commerciali, economiche e diplomatiche; l’attuazione dell’accordo di Algeri sui confini; il reciproco impegno a lavorare per la pace regionale. Nei due paesi l'Italia esercita un ruolo di primo piano in diversi settori fra cui quello dell’istruzione, come dimostra la presenza di due grandi scuole italiane statali ad Addis Abeba e ad Asmara, e della cooperazione allo sviluppo: nel biennio 2017-2018 l'Italia ha donato oltre 81 milioni di euro per interventi di sviluppo e umanitari in Etiopia, Somalia ed Eritrea, e ha erogato crediti di aiuto all'Etiopia pari a 47 milioni di euro. L’ultimo presidente del Consiglio a

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recarsi nel Corno d’Africa è stato Matteo Renzi nel luglio 2015, quando partecipò alla terza Conferenza internazionale sul finanziamento allo sviluppo, ad Addis Abeba.

07 ott. Gibuti: addestramento congiunto dei Carabinieri della MIADIT 10

Individuare e liberare 2 ostaggi(ambasciatore e moglie)tenuti prigionieri da un gruppo estremista:era questo l'obiettivo di un'attività congiunta avvenuta nei giorni scorsi tra i Carabinieri del GIS(Gruppo Intervento Speciale) e il reparto della Polizia gibutina il RAID(Recherche Assistance Intervention Dissuasion). I Servizi Segreti ricevono la notizia sulla posizione del covo dei terroristi , il reparto ready-on-call h24, dopo rapida pianificazione e dopo avere messo in sicurezza e cinturato l'obiettivo entra in azione, facendo irruzione all'interno dello stabile e gli ostaggi vengono liberati mentre i sequestratori vengono arrestati.Nei prossimi giorni è previsto un addestramento simile a favore del GIGN(Groupe Intervention Gendarmerie Nationale). L'Arma dei Carabinieri èoperativa a Gibuti dove svolge il progetto addestrativo MIADIT Somalia(Missione Addestrativa Italiana)che si inserisce nelle inizitiave di capacity building in favore delle Forze di Polizia Somale e Gibutane allo scopo di promuovere un approccio sistemico nel Corno d'Africa con particolare riferimento alla Somalia e a Gibuti, é inoltre impegnata nella stabilizzazione della Somalia anche attraverso attività di addestramento per migliorare le capacità delle Forze di Polizia. Le attività addestrative sono principalmente a favore della Polizia somala e gibutiana e della Gendarmeria Nazionale di Gibuti e comprendono diverse attività come ad esempio lezioni sul codice di condotta e sulle procedure basiche di polizia, sulle comunicazioni, sul controllo del territorio, sula gestione dell'ordine pubblico e della scena del crimine, sull 'addestramento tattico, sulle operazioni di scorta e di protezione, sul riconoscimento degli esplosivi sulle operazioni di polizia in aree urbane e di protezione del patrimonio ambientale, nonchè sull'impiego di assetti di Polizia Militare e staff nella Base Militare Italiana di Supporto.