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OSSERVATORIOPIEMONTE Periodico indipendente di politica, cultura, storia. Supplemento a - Guida a destra - aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 sede legale Cantavenna di Gabiano (AL) - Editore: Piemonte Futuro - Redazione: via Borgone 57 – Torino c/o Circolo Cavour di Futuro e Libertà - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti: po- [email protected] - tel . 335-7782879 – fax 1782223696 - Distribuzione gratuita - Finito di stampare nel mese di febbraio 2011. www.osservatoriopiemonte.info - febbraio 2011 Il Mietitore di Enzo Gino Dopo la defezione di diversi parlamentari di Fli che ha colpito particolarmente il Piemonte, in cui tutti i tre esponenti sono tornati da dove erano venuti, ci pare doveroso fare alcune riflessioni. Sul sito di OP : www.osservatoriopiemonte.info è stata attivata, con il contribu- to di Dario Pagano, la rassegna stampa sui principali articoli di Futuro e Libertà per l’Italia Dopo il congresso fondativo di Rho dell’- 11-12-13 febbraio abbiamo assistito alla diaspora di numerosi parlamentari ade- renti a Fli, ad oggi ne abbiamo contati fra Senatori e Deputati una dozzina cir- ca, con quelli che già a dicembre in oc- casione del voto di fiducia al Governo avevano aperto la strada. Su questo i media, specialmente quelli di proprietà o sostenuti dalla famiglia del Presidente del Consiglio, hanno scritto ovviamente intere pagine. E’ evidente infatti che Futuro e Libertà è una spina nel fianco del P.d.L. in quanto è l’unico partito di centro- destra fuori dal recinto (o dalle inferriate) di quello che vorrebbe essere il partito unico di quell’area. Altrettanto evidente quindi l’aggressività nei suoi con- fronti da parte del mancato partito unico, specialmen- te nel momento della cosiddetta incubazione, il mo- mento in cui si stanno aggregando le persone e il nuo- vo partito si sta strutturando sul territorio e le idee prendono forma di politiche e proposte alternative. Ed, aggiungiamo noi, proposte molto efficaci, incisive per certi versi devastanti nella cultura del pensiero unico del PdL. Basta pensare al rapporto che la destra storicamente ha sempre avuto con i valori del diritto, del rispetto delle istituzioni, o al valore che per essa rappresenta l’Unità d’Italia e la Patria per capire la distanza fra PdL e destra. Allora perché questa diaspora, perché proprio coloro che hanno dato vita a futuro e Libertà che ricordiamo è nato dai gruppi parlamentari, lo stanno lasciando? E come mai questa trasmigrazione non coinvolge la Base dei militanti ? Se è vero che la barca berlusconiana sta affondando perché i topi come dice l’on. Granata si stanno imbarcando? Sono due le risposte che mi pare si possano dare: 1) E’ certo che quando ci saranno le elezioni anche nelle più rosee ipotesi immaginabili il PdL perderà nu- merosi parlamentari, i famosi 100 parlamentari in più rispetto alle opposizioni non ci saranno certamente più. E’ facile par qualcuno fare il conto della serva e aspettarsi che al di là di una ricandidatura ben difficil- mente conquisterà il seggio. Meglio quindi tenere in piedi più a lungo possibile la legislatura e portare a casa quanto più possibile in termini di incarichi vari. In questo campo l’attuale Presidente del Consiglio è as- solutamente imbattibile; nessuno più di lui con il suo governo e il suo impero economico può offrire di più. 2) Fini nel momento in cui ha dato vita a Fli poteva seguire due orizzonti: fare la guerra al presidente, co- me tanti ingiustamente gli imputano, ed in questo ca- so bastava dare garanzie ai parlamentari che lo aveva- no seguito, confermando le loro posizioni acquisite sia in Parlamento che nel costituendo partito e presentare una prospettiva futura di crescita e successo. Avrebbe certamente mantenuto i parlamentari e probabilmente li avrebbe accresciuti. E’ la politica del piede in due, o più, scarpe per cui si era in maggioranza “ma anche” critici, si era di destra “ma anche” di centro o di sinistra (appellandosi al principio delle categorie superate dalla storia), si era con Berlusconi “ma anche” alternativi, si tenevano i ministeri e gli incarichi di governo “ma anche” si criti- cavano le leggi dello stesso governo. Siamo certi che con questo atteggiamento i parlamentari sarebbero piovuti numerosi e tutti i giornali avrebbero celebrato il Peana del grande statista Fini. Miopi! Chi vive nelle istituzioni, chi fa politica da tanti anni sa che le strutture tendono a consolidarsi, a cristallizzarsi a fossilizzarsi, e se non le rompi da piccole: quando si sono formati solo i primi cristalli, poi diventa impossi- bile, ci si trova imprigionati dai “colonnelli” che dopo tanti anni di politica ma anche di agi, potere, tendono a creare (sovra)strutture anche a livello organizzativo più orientati all’autotutela che al cambiamento della società. Per chi pensa al “dopoberlusconi”, e poco gli (Continua a pagina 11)

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febbraio 2011 di Enzo Gino Dopo la defezione di diversi parlamentari di Fli che ha colpito particolarmente il Piemonte, in cui tutti i tre esponenti sono tornati da dove erano venuti, ci pare doveroso fare alcune riflessioni. (Continua a pagina 11) Carlo Di Giacomo e Luisa Di Giacomo (Continua a pagina 11) 2 (Continua a pagina 11) dal titolo ”la manomissione delle parole” , 1 - Cfr. Norberto Bobbio, Teoria generale della politica, a cura di Michelangelo Bovero, Einaudi, 1999, pag. 661. 3

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OSSERVATORIOPIEMONTE Periodico indipendente di politica, cultura, storia. Supplemento a - Guida a destra - aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 sede legale Cantavenna di Gabiano (AL) - Editore: Piemonte Futuro - Redazione: via Borgone 57 – Torino c/o Circolo Cavour di

Futuro e Libertà - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti: [email protected] - tel . 335-7782879 – fax 1782223696 - Distribuzione gratuita - Finito di stampare nel mese di febbraio 2011. www.osservatoriopiemonte.info -

febbraio 2011

Il Mietitore di Enzo Gino

Dopo la defezione di diversi parlamentari di Fli che ha colpito particolarmente il Piemonte, in cui tutti i tre esponenti sono tornati da dove erano venuti, ci pare doveroso fare alcune riflessioni.

Sul sito di OP : www.osservatoriopiemonte.info è stata attivata, con il contribu-to di Dario Pagano, la rassegna stampa sui principali articoli di Futuro e Libertà per l’Italia

Dopo il congresso fondativo di Rho dell’-11-12-13 febbraio abbiamo assistito alla diaspora di numerosi parlamentari ade-renti a Fli, ad oggi ne abbiamo contati fra Senatori e Deputati una dozzina cir-ca, con quelli che già a dicembre in oc-

casione del voto di fiducia al Governo avevano aperto la strada. Su questo i media, specialmente quelli di proprietà o sostenuti dalla famiglia del Presidente del Consiglio, hanno scritto ovviamente intere pagine. E’ evidente infatti che Futuro e Libertà è una spina nel fianco del P.d.L. in quanto è l’unico partito di centro-destra fuori dal recinto (o dalle inferriate) di quello che vorrebbe essere il partito unico di quell’area. Altrettanto evidente quindi l’aggressività nei suoi con-fronti da parte del mancato partito unico, specialmen-te nel momento della cosiddetta incubazione, il mo-mento in cui si stanno aggregando le persone e il nuo-vo partito si sta strutturando sul territorio e le idee prendono forma di politiche e proposte alternative. Ed, aggiungiamo noi, proposte molto efficaci, incisive per certi versi devastanti nella cultura del pensiero unico del PdL. Basta pensare al rapporto che la destra storicamente ha sempre avuto con i valori del diritto, del rispetto delle istituzioni, o al valore che per essa rappresenta l’Unità d’Italia e la Patria per capire la distanza fra PdL e destra. Allora perché questa diaspora, perché proprio coloro che hanno dato vita a futuro e Libertà che ricordiamo è nato dai gruppi parlamentari, lo stanno lasciando? E come mai questa trasmigrazione non coinvolge la Base dei militanti ? Se è vero che la barca berlusconiana sta affondando perché i topi come dice l’on. Granata si stanno imbarcando?

Sono due le risposte che mi pare si possano dare: 1) E’ certo che quando ci saranno le elezioni anche nelle più rosee ipotesi immaginabili il PdL perderà nu-merosi parlamentari, i famosi 100 parlamentari in più rispetto alle opposizioni non ci saranno certamente più. E’ facile par qualcuno fare il conto della serva e aspettarsi che al di là di una ricandidatura ben difficil-mente conquisterà il seggio. Meglio quindi tenere in piedi più a lungo possibile la legislatura e portare a casa quanto più possibile in termini di incarichi vari. In questo campo l’attuale Presidente del Consiglio è as-solutamente imbattibile; nessuno più di lui con il suo governo e il suo impero economico può offrire di più. 2) Fini nel momento in cui ha dato vita a Fli poteva seguire due orizzonti: fare la guerra al presidente, co-me tanti ingiustamente gli imputano, ed in questo ca-so bastava dare garanzie ai parlamentari che lo aveva-no seguito, confermando le loro posizioni acquisite sia in Parlamento che nel costituendo partito e presentare una prospettiva futura di crescita e successo. Avrebbe certamente mantenuto i parlamentari e probabilmente li avrebbe accresciuti. E’ la politica del piede in due, o più, scarpe per cui si era in maggioranza “ma anche” critici, si era di destra “ma anche” di centro o di sinistra (appellandosi al principio delle categorie superate dalla storia), si era con Berlusconi “ma anche” alternativi, si tenevano i ministeri e gli incarichi di governo “ma anche” si criti-cavano le leggi dello stesso governo. Siamo certi che con questo atteggiamento i parlamentari sarebbero piovuti numerosi e tutti i giornali avrebbero celebrato il Peana del grande statista Fini. Miopi! Chi vive nelle istituzioni, chi fa politica da tanti anni sa che le strutture tendono a consolidarsi, a cristallizzarsi a fossilizzarsi, e se non le rompi da piccole: quando si sono formati solo i primi cristalli, poi diventa impossi-bile, ci si trova imprigionati dai “colonnelli” che dopo tanti anni di politica ma anche di agi, potere, tendono a creare (sovra)strutture anche a livello organizzativo più orientati all’autotutela che al cambiamento della società. Per chi pensa al “dopoberlusconi”, e poco gli

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OSSERVATORIOPIEMONTE

Sebbene umanamente distratti da altre e più amene vicende di attualità, sarebbe quanto meno irrispettoso dimenticare con leggerezza e far passare in cavalleria i recentissimi accadimenti che hanno sconvolto lo stabi-limento torinese FIAT Mirafiori. Ed è per questo che non solo non vogliamo dimentica-re, ma anzi vogliamo esprimere i nostri sentimenti de-dicati a tutta la gente di Mirafiori, gente come noi, che mai come in questi giorni è stata chiamata a svolgere un ruolo dirimente nella gestione del mercato del lavo-ro italiano. Sentimenti di solidarietà, prima di tutto, ma di gratitu-dine in particolare. Quindi grazie, Mirafiori. Anzi, tre volte grazie. Il primo “grazie”, di cuore, a tutti quelli che hanno votato SI al referendum. Sappiamo bene che l’hanno fatto con spirito di sacrificio, per il futuro delle proprie famiglie e della nostra città. Non è facile per nessuno dover rinunciare a piccole o grandi conquiste, ottenute in tanti anni di lotte sindacali, per salvaguardare il proprio posto di lavo-ro. E’ un atto di responsabile altrui-smo, che merita la nostra gratitudine e il nostro rispetto. È un atto di co-raggio che attende, ora, di essere ricompensato con gli investimenti che sono stati promessi e con la certezza di una continuità lavorativa per un futuro meno precario. Possiamo solo provare ad immaginare quale sia sta-ta la tensione all’interno della cabina elettorale mentre operai, padri di famiglia, che hanno dedicato gli anni migliori della loro vita a “mamma FIAT” si accingevano a indicare il proprio SI, senza la certezza del risultato. Senza nessuna certezza, per la verità, ma solo con la consapevolezza che, in caso di vittoria, con il loro voto avrebbero determinato un mu-tamento incontrovertibile nelle condizioni di lavoro, mutamento che avrebbe richiesto nuovi ulteriori sacri-fici; diversamente, in caso di vittoria del fronte dei “duri e puri”, di chi aveva avuto il coraggio, o la paz-zia, secondo alcuni, di votare NO, si sarebbero portati dentro l’umiliazione di non aver saputo sostenere i propri colleghi nello sfidare la controparte. A tutti voi grazie, non vi saremmo mai sufficientemente grati per quanto avete fatto, perché avete saputo mettere nello scontro l’altruismo, merce da troppo tempo fuori com-mercio, e dominare i sentimenti di ribellione che certa-mente ribollivano nel vostro animo, per offrire a tutto il Paese un esempio di come “il bene comune” vada oltre i propri legittimi interessi. Il secondo “grazie”, senza il cuore, ma con profonda ammirazione, a tutti quelli, e sono tanti, che hanno votato NO. A tutti quelli che hanno saputo dimostrare a coloro che, ogni giorno, in ben più vantaggiose posizioni, cedono ai compromessi per il proprio egoistico interes-se, che la dignità dell’uomo non ha prezzo. E’ una le-zione che si dirige senza esitazioni allo squallido

“mercato” che ha avuto la ribalta della scena politica lo scorso 14 dicembre 2010 alla Camera dei Deputati, in occasione della mozione di sfiducia al Governo Ber-lusconi. Non crediamo che nessuno di coloro che ha rischiato tutto (e quando diciamo “tutto” non è una figura retorica, ma una certezza grammaticale) votan-do NO, avesse alternative nel caso il risultato finale fosse stato quello che loro stessi auspicavano. Erano tutti perfettamente coscienti che, in caso di vittoria dei NO, il loro futuro e quello dei loro figli sarebbe stato più nero, e nonostante questo pensiero hanno ritenuto di preservare per sé e per le proprie famiglie la digni-tà, senza se e senza ma. A tutti voi, grazie per la lezione dataci. Il terzo “grazie” lo rivolgiamo al Sergione nazionale, l’ineffabile Marchionne, per la spietata determinazione con la quale ha gestito il confronto, consapevole dei sacrifici che stava imponendo per il bene di FIAT, che è il bene dell’intero Paese, e chi pensa o dice il contra-

rio pensa o dice una stupidaggine, e lo sa. Da troppo tempo, la classe dirigente imprenditoriale di questo nostro amato Paese, pur nella consa-pevolezza della necessità di profondi cambiamenti nelle relazioni industria-li, resi indispensabili dalla globalizza-zione dei mercati, aveva rinunciato ad una lotta potenzialmente disastro-sa a favore di un inutile quieto vivere, apparentemente più vantaggioso nel brevissimo periodo.

Sergio Marchionne, invece, ha avuto il coraggio di sfi-dare le consuetudini ed ha posto sul tappeto un pro-blema che da troppo tempo aspettava di essere af-frontato. Ora, per lui arriva il momento più difficile, perché non si tratta solo di realizzare gli investimenti promessi, su quelli nessuno nutre alcun dubbio, ma soprattutto di concretizzare quelle condizioni capaci di offrire nuove e più solide basi per un recupero norma-tivo ed economico per tutti gli operai che, oggi più che in passato, hanno maturato il diritto di essere affran-cati da uno stato di sudditanza nei confronti dei loro colleghi tedeschi, che da sempre godono migliori con-dizione economiche. Occorre ritornare ai tempi in cui le paghe dei nostri operai erano ai livelli più alti nella graduatoria europea e le loro condizioni contrattuali ad un livello di dignità che uno Stato civile dovrebbe ga-rantire alla classe produttiva del proprio Paese. Ed infine, dopo i ringraziamenti, un augurio. Speriamo che ciò che è accaduto a Torino sappia far riflettere la nostra classe politica, tutta quanta. Che Roma, come Mirafiori, sappia accantonare i propri vantaggi e i propri privilegi per affrontare le sfide di cambiamento di cui il Paese ha bisogno per un’inver-sione radicale di rotta. Le riforme necessarie, a co-minciare dalla legge elettorale, dagli interventi sul de-bito pubblico per recuperare le risorse necessarie,

Gente d i Miraf ior i , gente come noi Carlo Di Giacomo e Luisa Di Giacomo

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OSSERVATORIOPIEMONTE LEGITTIMITA’ E LEGALITA’ DEL POTERE:

LA DISTINZIONE NECESSARIA di Matteo Scainelli

La riflessione politica nel nostro Paese risulta sempre più frequentemente vio-lentata da un uso spregiudicato e disin-volto delle parole. In un recente lavoro dal titolo”la manomissione delle parole”, Gianrico Carofiglio sottolinea come l’Italia

degli ultimi vent’anni sia stata: “ […] più che mai do-minata dalla ripetizione di slogan volgari ma virali e di metafore grossolane”. Tra queste, particolarmente pericolosa mi sembra essere l’espressione “il presiden-te eletto dal popolo”. A tal proposito, ritengo sia necessario riscoprire la di-stinzione classica tra il concetto di legalità e il concetto di legittimità del potere. Mentre il primo riguarda l’e-sercizio del potere, il secondo rinvia alla titolarità di quello stesso potere. In altri termini, mentre il tema della legittimità serve a distinguere il potere di diritto dal potere di fatto, il concetto di legalità serve a distin-guere il buongoverno dal malgoverno, il potere legale da quello arbitrario (1). Può quindi darsi il caso di un potere legittimo (perché democraticamente derivante, per esempio, da una vittoria ottenuta in libere e cor-rette elezioni) ma non legale, in quanto esercitato ol-tre la legge, al di sopra della legge, contro la legge. È altresì possibile, in modo paradossale, che un potere illegittimo (perché derivante, un caso su tutti, da un colpo di Stato) scelga di agire nel solco della legalità. È utile precisare, a scanso di equivoci e di strumenta-lizzazioni, che con queste righe non si intende in alcun modo sottovalutare l'importanza della volontà degli elettori, la cui libera espressione rappresenta il punto più alto e solenne di qualsiasi processo democratico degno di questo nome. Bisogna però con fermezza condannare una visione miope, asfittica e mortificante di una democrazia mutilata che si esaurisce in una cabina elettorale, abdicando al successivo diritto di controllare e di stigmatizzare le eventuali mancanze da parte dei beneficiari del consenso dei cittadini, quasi si trattasse di reato di lesa maestà. Alla luce di quanto scritto, si capisce quanto sia fuor-viante e scorretto l’ossessivo riferimento al consenso popolare, inteso come lavacro capace di cancellare per incanto gli abusi di una gestione arrogante ed autistica del potere. La nostra Costituzione, all’articolo 1, recita: “ La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Si tratta quindi di riscoprire il valore delle procedure condivise, delle forme che sono sostanza, dei limiti oltre i quali non è accettabile spingersi. Solo così agendo è possi-bile rivendicare il consenso popolare, perché solo in questo modo ci si rende degni di una così importante investitura e le si rende onore. [email protected]

1 - Cfr. Norberto Bobbio, Teoria generale della politica, a cura di Michelangelo Bovero, Einaudi, 1999, pag. 661.

LA PRIMAVERA DI FUTURO E LIBERTA’ di Diego Zavattaro

Le speranze dei sostenitori di Futuro e Libertà sembravano dover essere divora-te, annientate , demolite ed inghiottite da quello spaventoso buco nero che ina-spettatamente si è manifestato, con grande stupore di tutti, proprio a poche ore dalla chiusura del Congresso di Mila-

no. Il buco nero si è concretizzato in uno smotta-mento delle posizioni di FLI in Senato e alla Camera; una slavina in apparenza inarrestabile ed irreversibile. Giornali, Radio e tv, hanno inondato di inchiostro e di parole, la nostra penisola, descrivendo con dovizia di particolari le pene e l’agonia di un soggetto appena nato, ma purtroppo già in fin di vita. Sistematicamen-te, con una tempistica scientificamente scadenziata e con una frequenza quasi programmata si diffondevano le notizie degli ammutinamenti tra deputati e senatori, a brevi intervalli di tempo l’uno dall’altro, come la goc-cia che insistente e ripetitiva, pare poter incidere an-che la roccia. Gli allontanamenti erano dovuti ad un non condiviso organigramma di FLI? Si sarebbe potuto aprire un confronto interno al partito, per discuterne, ma abbandonare la nave a Congresso appena celebra-to avrebbe destato sicuramente più scalpore ed avreb-be “pagato” maggiormente le ambizioni dei “due volte dissidenti”. Quale migliore favore si poteva fare al mondo di Berluscopoli? Se il PdL già a fine dicembre annunciava di parlamentari di FLI in partenza, è lecito pensare che, sottobanco, alcuni accordi erano già stati presi da tempo? Quale occasione poteva essere migliore, per aumentare le fila della maggioranza, pro-vando ad annientare contestualmente le speranze dei futuristi? Concordare il deflusso di parlamentari dai gruppi FLI, in concomitanza con la celebrazione del primo Congresso, avrebbe potuto rivelarsi strategico. Ma per fortuna la primavera è ormai vicina. Già da alcune settimane abbiamo notato l'allungarsi delle giornate, che porta un risveglio generale delle nostre piante, delle nostre coscienze e del nostro acume. Quella che inizialmente pareva essere una condizione di difficoltà oggettiva, si trasformerà inesorabilmente in una condizione di forza da spendere per la nostra causa. Prima del famigerato 14 dicembre scorso, la situazione creatasi in campo aveva originato la neces-sità di uno scontro frontale, che richiedeva una con-trapposizione numerica tra i due diversi schieramenti: favorevoli a Berluscopoli da una parte e contrari a Ber-luscopoli dall’altra; perciò anche imbarcare soggetti discutibili, arruolando “lanzichenecchi”, rientrava nella logica che “il fine giustifica i mezzi”. Oggi dobbiamo rifuggire dallo scontro frontale che si è dimostrato per-dente, le idee non si comprano, ma gli uomini a volte si, specialmente quando sono uomini di per sé già di-scutibili. Questo non è più il momento dei numeri, ma è l’ora della prova muscolare delle idee. Lasciamo che chi è povero di idee, vada dove meglio crede: la base del nuovo partito c’è ed è pronto all’impegno sociale, per ripristinare l’Italia e per ridare agli italiani il diritto di sognare. Per la potatura dei rami secchi di Futuro e

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Siccome, pur essendo un convinto anti-nuclearista, vorrei che si iniziasse un dibattito serio circa il nucleare in Italia, basato su presupposti scientifici, eco-nomici ed ambientali, non vorrei qui spezzare una lancia contro, ma elen-care i vari punti che riguardano le pro-

blematiche sulla energia da fissione atomica e che inviterei tutti a voler considerare. Sovente ci si ferma solo su un aspetto singolo del problema: ad esempio si afferma che il nucleare è energia pulita perché non vi sono emissioni di CO2: questa è solo una considera-zione marginale del problema, che non tiene conto di tutti i processi intermedi che portano al passaggio finale della produzione nucleare. Sovente, a causa della complessità di certi temi, rima-ne più facile dare giudizi su un aspetto o una parte di un sistema piuttosto che ragionare in termine di tutto il sistema. Faccio l’esempio classico di chi addossa la colpa del ritardo di un tram al conducente e non consi-dera le criticità possibili del sistema dei trasporti urba-no in toto, il quale deve prevedere traffico, incidenti stradali, mancanza improvvisa di corrente, condizioni atmosferiche avverse, indisposizione del conducente ecc. Proverò dunque ad elencare alcune delle principali questioni che riguardano il nucleare: A. CONSIDERAZIONI ECONOMICHE • Il costo attuale della solo costruzione di una cen-trale si aggira sui 3 miliardi di euro • Come gli esperti sanno, i costi indu-striali debbono però tenere conto di tutto il processo di vita produttivo (investimenti in conto capitale, interessi bancari, manca-ti guadagni da interesse da capitale, spese burocratiche, spese di personale, gestione, materie prime, smaltimento dei rifiuti e delle scorie, costi assicurativi, ecc) • Il costo in conto capitale già così ele-vato, in base ad osservazioni su quanto realizzato negli ultimi anni, alla fine può sforare il bu-dget anche del 300%, poiché si aggiungono costi do-vuti a contingenze collegate al lungo tempo di costru-zione, che se negli anni ’70 era di circa 10 anni, ora può allungarsi fino a 30 e più anni dal momento in cui si decide di iniziare coi progetti, l’identificazione dei luoghi, la localizzazione delle scorie ecc. • Le centrali nucleari hanno una media di vita di circa 31 anni: dopo di che occorre smantellarle: il co-sto dello smantellamento è il doppio di quello investito nel costruirlo (dato certo riferito alla centrale nucleare di Yankee Rowe, Massachusset, costruita nel 1960 e chiusa nel 1991) • Vanno aggiunti i costi delle Assicurazioni per even-tuali incidenti e per eventuali ritardi di realizzazione dovuti a cambiamenti di governi con diversa propen-sione a costruire le centrali (la qual cosa inciderebbe molto sul prezzo finale) • Altri costi devono essere previsti per istituire,

strutturare e rendere operativa una Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Centrali Nucleari (istituzione ri-conosciuta come indispensabile per garantire sicurezza e trasparenza amministrativa al processo costruttivo e alla gestione produttiva) • Dal punto di vista economico, poi, la gestione del-lo smaltimento delle scorie radioattive (identificazione del luogo di smaltimento previa concertazione con gli Enti Locali, costruzione e sorveglianza della struttura di smaltimento) è un impegno di energie ed economi-co gravosissimo. • Altri costi si devono aggiungere per recuperare il combustibile nucleare “usato” da riportarsi ai Paesi produttori, perché non possa essere riutilizzato per usi bellici • Ora i calcoli si fanno sul costo attuale del combu-stibile nucleare (uranio). Non è detto che il costo ri-manga stabile: un’improvvisa carenza di tale metallo (vedi la teoria del “Picco dell’uranio” e le previsioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – AIEA – secondo cui le riserve di uranio fissile non du-rerebbero per più di 35 anni) potrebbe far schizzare il prezzo verso l’alto e i danneggiati saranno i Paesi non produttori che i ogni caso saranno sempre dipendenti da quelli produttori e in loro balìa: la stessa cosa che si sta verificando con il petrolio. B. CONSIDERAZIONI AMBIENTALI • E’ vero che una centrale nucleare è “pulita” ovve-ro non produce CO2. Ma se si considera la produzione

di CO2 e l’inquinamento di tutto il ciclo di vita produttivo (inquinamento da estrazio-ne, trasporto, processi costruttivi della centrale e dei luoghi di smaltimento, movi-mentazioni e logistiche correlate, ecc) ci si accorge che alla fine essa tanto “pulita” non è. Anche se un recente studio ha evi-denziato come inquinamento e produzione di CO2 per Kwatt prodotto da una centrale nucleare sono sovrapponibili a quelli ne-cessari per produrre fotovoltaico.

• Le energie rinnovabili e alternative (geotermia, solare termico, solare fotovoltaico, eolico, idrico, ecc) sono sicuramente più “naturali”. Un loro incremento, anche a parità di costo potrebbe essere da subito rea-lizzato • Una sinergia di azione con investimenti adeguati per produrre quantità di energia uguale a quella pro-dotta dal nucleare con politiche di risparmio energeti-co (abitazioni e veicoli a basso consumo energetico) e politiche di incentivazione delle energie rinnovabili, unite ad investimenti per la ricerca in tali campi, agi-rebbe in pochissimo tempo. C. CONSIDERAZIONI POLITICHE • L’attuale situazione politica che vede un’Italia divi-sa e spaccata in due fazioni renderebbe ancora più difficile e lungo il processo di nuclearizzazione del Pae-se (si ricorda che ancora oggi non si sono individuati i

C o n t r o i l n u c l e a r e i n I t a l i a ? Dott. Carlo Zanolini (Consigliere Comunale al Comune di Torino per FLI)

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P e r c h é d i c i a m o “ S I ” a l N u c l e a r e Ing. Marco Gerace (Direttivo Circolo Cavour)

1) L’unica alternativa praticabile per mantenere il livello di benessere al quale siamo abituati. (A. Zichichi) 2) I dati ufficiali di TERNA, dicono che nel 2009 (per ora sono i dati più recenti disponibili pubblicamente) abbiamo im-portato in Italia circa 45 TWh, pari al

14% del fabbisogno di energia elettrica. 3) Il basso costo dell’energia elettrica in Francia è in-vece una diretta conseguenza delle scelte strategiche di quel paese, che oggi trae dal nucleare oltre il 76 per cento dell’energia elettrica prodotta . (200 KM da Tori-no). 4) Senza quel 23% di nucleare non si riuscirà mai a tagliare le emissioni di gas climalteranti. 5)Le previsioni vedono un mercato in fase ascendente per la CO2. L’annuncio di un possibile accantonamento del surplus della Fase 2, infatti, dovrebbe favorire il rialzo dei prezzi delle EUA, che già dal 15 febbraio dovrebbe superare la soglia dei 15 €. 6) Se gestita correttamente, l'energia nucleare è una fonte molto pulita, non rilascia gas inquinanti nell'at-mosfera, utilizza poco materiale di costruzione (per kWh) rispetto al solare ed all'eolico, produce molto pochi rifiuti (pressoché totalmente confinati) e non contribuisce all'effetto serra (non emette anidride car-bonica). A.A.P.N. 7) Le dosi di radioattività rilasciate nell’ambiente dalle centrali nucleari in esercizio sono paragonabili o infe-riori a quelle rilasciate da analoghi impianti a combu-stibile fossile (in particolare a carbone). Per quanto riguarda lo sviluppo di malattie neoplastiche nei din-torni delle centrali, dagli anni Ottanta a oggi sono stati effettuati e pubblicati oltre cinquanta studi pubblicati in almeno sei paesi (Francia, Stati Uniti, Germania, Giappone, Svezia e Israele) che non ha riscontrato un aumento di malattie per effetto dell’attività delle cen-trali. Fa eccezione il Rapporto tedesco Kikk, pubblicato nel 2007, che rileva un aumento delle leucemie tra i bambini con meno di cinque anni nei pressi di alcune centrali in Germania. Un’indagine commissionata dal ministero dell’Ambiente, pubblicata nel 2008, contrad-dice il Rapporto Kikk affermando che in nessun caso l’aumento delle leucemie può essere messo in relazio-ne con l’attività degli impianti. Un recente documento del ministero della Sanità tedesco ribadisce analoghe argomentazioni. 8) Il reattore di una centrale nucleare può scaldarsi fino a temperature molto elevate, in casi può persino fondere (come è avvenuto a Three Mile Island nel 19-79), ma non può esplodere come una bomba atomica. Sono le leggi di natura a impedirlo. 9) Nel corso dei decenni, anche grazie alle pressioni dell’opinione pubblica, nell’industria nucleare si è im-posta una cultura della trasparenza e del controllo pubblico che non esiste in alcun altro settore industria-le. Ogni minimo malfunzionamento viene segnalato alle autorità internazionali, viene valutato da gruppi di esperti e studiato in modo approfondito. Questo ha

consentito nel corso dei de-cenni un pro-cesso inces-sante di mi-glioramento degli impianti esistenti e dei progetti futuri. 10) L’ultimo Rapporto sulle scorie nucleari pubblicato nel settembre 2010 da una commissione del Mit sostie-ne che vetrificare i rifiuti radioattivi per sistemarli defi-nitivamente all’interno di depositi sotterranei potrebbe essere un errore. La commissione sostiene che non è ancora chiaro se le scorie radioattive debbano essere considerate ‘rifiuti o risorse per il futuro’. Gli esperti del Mit suggeriscono di mettere in sicurezza i residui radioattivi in depositi controllati e temporanei, magari nei pressi delle centrali, per qualche decina di anni. E propongono di finanziare nuove ricerche per capire se quelle sostanze solo parzialmente esauste potreb-bero trasformarsi in una riserva strategica di energia per il futuro da utilizzare all’interno di centrali di nuova concezione.

Periodico indipendente di politica, cultura, storia. Supplemento a - Guida a destra - aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001. Sede legale Cantavenna di Gabiano (AL). Redazione: Via Borgone, 57 - Torino c/o Circolo Cavour di Futuro e Libertà per l’Italia http://www.osservatoriopiemonte.info Direttore Responsabile: dott. Enzo Gino Comitato di Redazione e collaboratori: TORINO: Andrea MARISCOTTI - Erik PALE-NI Domenico IDONE - Marco GERACE - Christian MARI - Riccardo MANZONI, Mat-teo SCAINELLI, Carlo ZANOLINI. ALESSANDRIA: Enzo GINO; ASTI: Massimi-liano PETTINO, Diego ZAVATTARO; VER-CELLI: Gilberto BORZINI per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti: [email protected] - tel . 335-7782879 Finito di stampare nel mese di febbraio 2011

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centrale Fermi di Trino

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Montesquieu, nel lontano 1748, indica-va ne L'esprit des lois i canoni del go-verno dello stato, definendo “repubblica” quella forma istituzionale fondata sulla virtù, cioè sull’amor della patria e sull’uguaglianza, dove il popolo è al contempo suddito e sovrano.

Teorizzava, inoltre, un principio diventato pietra d’an-golo di tutte le democrazie moderne e cioè il principio della separazione dei poteri. In sintesi, affinché in uno stato non vi sia la dittatura ma la democrazia, i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, devono essere attri-buiti a tre organi diversi: Parlamento, Governo e Magi-stratura, ognuno indipendente ed autonomo dagli altri, in grado di esercitare, l’un verso l’altro, un’azione di reciproco controllo; è la teo-ria del “bilanciamento dei poteri” o “dei pesi e contrap-pesi”. Questo principio è stato uno dei lumi ispiratori della Costi-tuzione Repubblicana Italia-na, approvata il 22 dicembre del 1947. Questa legge è ormai dive-nuta obsoleta! Sua Emitten-za, il Cav. Silvio Berlusconi, ha ben pensato, per la sere-nità di tutti gli asserviti d’Ita-lia, di crearne una nuova, al passo con i tempi: la leggen-daria costituzione materiale! Dimenticate la Carta del do-poguerra! Ne ha confeziona-ta una versione al passo con le attuali esigenze di prospe-rità, serenità e semplificazio-ne, coralmente sentite da tutti gli italiani. Non affannatevi a cercarla su Gazzette Ufficiali o altre fonti di cognizione! Non è stata mai scritta...almeno per ora! Siamo più precisi, diciamo che, unitamente ad un consesso di cultori del diritto fantasia, grassatori specializzati nel settore impunità e ballerine dal pedigree giuridico (tutte alte personalità di sua cernita e nomina), ha inserito nell’agenda del Consiglio dei Ministri 10 minuti di discussione da dedicare all’adem-pimento di questa formalità scritta, pretesa, bizantina-mente, da quegli incontentabili legulei delle opposizio-ni multicolor. Priva del vincolo ab sustiantiam, la carta farlocca, è tuttora vigente, ed aleggia, da un po’, tra le nebbie della mente del suo inventore, dei suoi vassalli e sulle labbra di chi, non conoscendo quella dei padri fonda-tori, la cita copiosamente quasi fosse un bonus da spendere nei dibattiti politici di tutti i salotti televisivi. Provare per credere! La sola declamazione della costi-tuzione materiale dovrebbe, in maniera dirompente ed incontrollabile, far sembrare intelligente il propalatore,

far impennare l’audience della trasmissione e lasciare di stucco gli astanti intervenuti (tipo la “matta” nel sette e mezzo!), macchiatisi, ahiloro, di vile fellonia, avendo manifestato, ingiustificatamente, un fazioso (e comunista) sdegno avverso l’agire dell’incarnazione del “sogno degli italiani”, proferendo frasi oltraggiose del tipo "ma non è possibile!!! Questo è incostituzionale!". A chi ama la Costituzione, come Noi, o a chi almeno l’ha letta, il dialettico rodomonte appare come un pu-pazzetto parlante, ridicolo nel suo anfanare in discorsi nei quali pensa gli sia consentito dire tutto ed il con-trario di tutto, invece di seguire il caro vecchio adagio popolare che consiglia: a volte, è meglio stare zitti e dare l'impressione di esser stupidi che proferir parola e

togliere ogni dubbio! Ma scendiamo nel dettaglio della nuova carta fondamen-tale! Per iniziare, la costituzione berlusconiana non prevede la figura del Presidente del Consiglio, ma quella emble-matica del Premier! L'Italia è diventata il paese dei presi-denti, dai circoli di scopone fin alla “vetta” della Repub-blica. Basta! Il Premier, inve-ce, ha un respiro internazio-nale, meno provinciale! E così, oltre a svecchiare la figura di capo dell'esecutivo, il Gran Califfo d’Italia rompe, finalmente per lui, l’assunto dell’art. 92 cost.: la collegiali-tà del Governo. Il Premier è il primus super pares, la perso-nificazione dell'esecutivo! E’ di immediata percezione l’ispirazione common law dell’evoluzione istituzionale,

peccato che, rispetto al sistema Westminster, manchi-no i relativi bilanciamenti di potere, come ad esempio, il governo ombra. Ops, I’m sorry! Il nostro Premier ha poi coraggiosamente affrontato la questione che turba il sonno degli italiani: il Presidente della Repubblica ha il potere di sciogliere le Camere? Il Governo ha finalmente smascherato anche questa leggenda metropolitana (dopo quella del coccodrillo cresciuto nelle fogne e dei segni degli zingari sulle porte delle case da derubare). Nella costituzione mate-riale, l’imperium di sciogliere le camere o una delle due, spetta esclusivamente al Premier, per via della sua nomina popolare. E’ inoltre turpe, spregevole e ripugnante il pensiero che il Presidente della Repubblica (quel comunista!) possa destituirlo e conferire l’incarico di formare un nuovo governo, con la stessa o un’altra maggioranza, ad una diversa personalità politica! Non dobbiamo nemmeno pensarlo!!! Senza di Lui ci sarebbero solo tenebre, tramutazione dell’acqua in sangue, invasioni

La costituzione materiale ed il materiale della Costituzione Di Massimiliano Pettino

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OSSERVATORIOPIEMONTE di rane, pidocchi, mosconi e cavallette, moria del be-stiame, ulcere diffuse e stragi dei primogeniti! Amen. Il sangue e le lacrime della manovra economica di Tremonti, al confronto, apparirebbero una carezza amorevole di mamma con tanto di bacino sulla fronte! Peccato che nella Costituzione, quella vera, esistano gli artt. 67 ed 88 che prevedano l’esatto contrario. Tanto, chi lo sa? E poi, non è forse vero che, ripeten-do insistentemente, attraverso i media e i giornali una bugia, questa si tramuta magicamente in verità? Illu-sionismo sofista! Proseguiamo la discesa negli inferi. Le assemblee par-lamentari sono elettive...e chi l'ha detto? Nella nuova costituzione materiale, grazie a leggi elettorali che da questa traggono ispirazione ( Porcellum….mai nome fu più azzeccato), gli “eletti” dal popolo sovrano si tra-sformano in “nominati” dai candidati premier! I mali-gni insinuano che tale scelta sia propedeutica ad un parlamento servile e votata a sistemare i famosi “amici degli amici”, ma queste sono le solite indegne mistificazioni! L’intento del Premier operaio è esclusivamente il bene collettivo! La parola d’ordine è semplificazione! Perché stressare i cittadini con inutili sforzi mnemonici di no-mi, simboli, alleanze ecc.! Basta scegliere il simbolo col suo nome e lui, munifico manlevatore, sceglierà dalla sua scuderia di purosangue e giumente, ciò che di meglio ha da offrire la gioventù italiana! Meraviglio-se intelligenze in aggraziati corpi. Altro che i soliti ci-sposi professionisti della politica! Piccolo particolare, se i politici scelgono i “nominati” (e quindi se stessi), viene meno un elemento essenziale della democrazia: la responsabilità politica. Si rescinde cioè il legame necessario tra la popolazione di un terri-torio ed il proprio rappresentante in parlamento. L’e-lettore a chi potrà affidare le proprie aspettative e manifestare i propri bisogni? Risposta ovvia: solo a lui, il Premier, per via del mandato in bianco conferito dal voto sulla scheda. Ed addebitare l’eventuale insoddi-sfazione? A nessuno, perché lui vive nel migliore dei mondi possibili nel quale tutti siamo felici e non esisto-no problemi di sorta ed i suoi soldatini del listone pre-cotto, non devono render conto agli elettori ma solo al loro mentore - guida! Wow! Comodo, veloce e senza alcuna contestazione! Domanda: visto che il disagio della società civile ha ormai rotto gli argini del tubo catodico, led o plasma del televisore ed è dilagato in ogni casa italiana, atteso che le istanze di tutti i settori produttivi non vengono rappresentate in parlamento per indifferenza degli interlocutori istituzionali, considerato che il governo fa finta di non accorgersi dello sdegno degli italiani e non si dimette impegnato com’è a conservare immunità e privilegi e a vivacchiare con una campagna acquisti di deputati e senatori da far invidia ad una squadra di calcio, quale strumento costituzionale ha oggi il popolo italiano per spodestare il discinto Cesare e la suburra politica del suo seguito? Nessuno. Patologie come queste, oggi, nel nostro Paese, o guariscono da sole implodendo o l’unica medicina si chiama rivoluzione. Algeria, Egitto e Libia docunt. Occhio Berlusca! Dulcis in fundo, i rapporti con la Magistratura. La co-stituzione materiale risolve anche questo equivoco

alimentato dalle opposizioni. In realtà, la tematica in argomento, non evidenzia alcun contrasto di poteri; infatti la carta fantasiosa lascia intonso il contenuto della Costituzione Italiana. Ovviamente, si rende ne-cessaria una lettura sistematica e coerente con i pre-cedenti argomenti. L’art. 101 cost. recita: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Seguite il sillogi-smo: la legge è preparata e proposta dal Governo e fatta approvare dalla maggioranza del Parlamento che, grazie al premio di maggioranza, alla nomina dall’alto dei suoi componenti ed alla compravendita di deputati e senatori (ahimè anche tra le nostre fila), si limita a ratificare esclusivamente i disegni dell’esecutivo; l’e-secutivo è personificato dal Sultano - Premier; ergo, i giudici sono sottoposti a Berlusconi. E’ tanto semplice! Ma concediamoci uno sguardo al futuro. Nella testa tricologicamente depressa del capo dell’esecutivo, fer-vono fantasiose idee innovative, come ad esempio, la futuribile e fantomatica modifica dell’art . 41 cost. Gra-zie a questa opera di ammodernamento, l’iniziativa economica sarà libera di fare tutto ciò che non è e-spressamente vietato dalla legge, l’economia italiana potrà tornare a crescere in maniera esponenziale ed il benessere potrà scendere dal cielo, su tutti noi conso-ciati, come la manna di memoria biblica! Tre/quattro abrogazioni ad hoc e finalmente il made in italy sarà estendibile alla compravendita di schiavi (ovviamente riportanti marchio a fuoco delle griffe nazionali), potranno riaprire le case chiuse (con detta-gliato mercuriale ministeriale esplicito in prezzi e pre-stazioni – questa è la garanzia del consumatore!), i lavoratori potranno prestare il loro servizio per 20 ore al giorno (con 4 ore di straordinario obbligatorio) e finalmente sarà introdotta, in ogni azienda come nella formazione del Governo, la norma che reintroduce lo ius primae noctis, esperibile dal imprenditore per ogni neo assunta con contratto a tempo indeterminato! Questo è progresso! Questo è incentivo all’occupazio-ne e stimolo dell’economia! Queste sono le pari op-portunità! Concludo gelando i vostri sorrisi, perché l’ironia svegli il pensiero ma non alimenti la rassegna-zione. Siamo di fronte ad una emergenza democratica. Il nostro Paese è davvero in pericolo. Chi non rispetta la nostra Costituzione viola la nostra Storia, i principi fondamentali del nostro essere italiani, le regole co-muni di civiltà che elevano semplici uomini a cittadini liberi, nei confronti degli altri consociati così come dai poteri dello Stato. Noi di FLI abbiamo abbracciato una missione epocale, non per mera propaganda ma per seria preoccupazione: difendere la Nostra Carta. A chi continua a insultare la mia intelligenza cercando di convincermi che la Costituzione Italiana sia soltanto una legge anacronistica, riposta in una teca per l’inte-resse di antiquari, rispondo con la voce accorata di Piero Calamandrei: « Se voi volete andare in pellegri-naggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furo-no impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscat-tare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. » Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria, Mi-lano, 26 gennaio 1955.

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P er comprendere il contesto stiamo parlando di circa 250-300.000 pro-

fughi che dalle città ex italiane passate poi alla Jugoslavia scelsero di tornare in patria sostanzialmente per tre motivi: - la paura di morire nelle foibe - il rifiuto del comunismo - il nazionalismo di Tito che intendeva sopprimere ogni altra nazionalità a partire dal quella italiana. L’esodo coinvolse tutta l’Istria, Fiume e la Dalmazia e nonostante le angherie che doveva subire chi voleva partire, intere città si svuotarono: Zara da 21-24.000 abitanti passò a 5.000, da Fiume in 5 anni dal 1925 al 1950 ben 25.000 italiani la la-sciarono (su 53 mila abitanti di cui 42.000 italiani e 11.000 croati), Pola su 34.000 abitanti 30.000 se ne andarono, poi i cen-tri minori Parenzo, Rovino, Albona; da Pi-rano partirono quasi tutti i 7.000 abitanti. Fra essi non vi erano certamente soltanto fascisti come denunciava la propaganda Comunista in Italia ma vi erano molti ope-rai ed ex partigiani che potevano portare con loro co-me stabilito dalle autorità Jugoslave di Tito solo 50 kg di bagaglio oltre a 20.000 lire di valuta per il capofami-glia e 5.000 lire per ogni famigliare. In Italia vennero bollati dall’allora PCI come fascisti che rifiutavano di vivere nel “paradiso” comunista del maresciallo Tito e i sindacati fecero di tutto per ves-sarli: ad Ancona il 16 febbraio 1947 attraccò il pirosca-fo Toscana adibito ad trasporto dei profughi e i por-tuali si rifiutarono di scaricare i loro bagagli, a Bologna il 18 febbraio dello stesso anno impedirono alla tra-dotta di fermarsi per ottenere i pasti caldi destinati soprattutto a vecchi e bambini predisposti da parte della Pontificia Opera di Assistenza: se il treno si fosse fermato sarebbe scattato lo sciopero dei ferrovieri. A Venezia venne fischiata persino la salma di Nazario Sauro portata via da Pola. Ad un comizio per le elezioni del 18 aprile 1948 un dirigente della CGIL urlò dal palco: “in Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi abbiamo i banditi giuliani!” Meri-tano per contro di essere ricordati altri personaggi positivi in particolare il sindaco di Tortona Mario Silla, contadino, già costretto alle dimissioni dalla carica di sindaco dai fascisti nel 1920 e rieletto sindaco dopo la liberazione che si definiva non “sindaco comunista” ma “comunista sindaco” all’inizio del 1947 scontrandosi con i compagni del partito accolse nella sua città ben

Resoconto giornalistico A Bologna il treno degli esuli fu preso a sassate. Era una fredda domenica, quella dei 16 febbraio dei '47, quando da Pola s'imbarcò con i sacchi, le pentole, le ultime lenzuola e un piccolo tricolore il quarto con-voglio marittimo di esuli. Qualcuno aveva voluto porta-re con sé le ossa dei morti. Tutti avevano gli occhi rivolti alla città che sempre più rimpiccioliva. "Era co-me voler trattenere dentro l'incomparabile visione del-la nostra cittadina. Nessuno poteva immaginare quello che ci attendeva in madrepatria". A ricordarlo è uno di quei profughi, Lino Vivoda, allora quindicenne, che s'era imbarcato con i genitori sul piroscafo "Toscana". Una delle tante storie di addio a una terra amata e cancellata per sempre vissuta da chi, a guerra finita, scelse l'esilio per continuare a sen-tirsi italiano. "Ad Ancona l'impatto fu tremendo. C'era un cordone dell'esercito a proteggerci e tanta gente che scendeva dalla parte alta della città. Noi, dal pon-te della nave, agitavamo le mani in segno di saluto, con le bandiere al collo, anche perché faceva freddo, nevicava. E loro rispondevano col pugno chiuso". Pos-sibile che nessuno la pensasse diversamente, che non sentisse fratelli quei "veneti di la de mar?" Uno episo-

Istriani scampati alle foibe Ricordiamo una delle pagine più tristi della storia nazionale, quella dei rapporti con gli esuli prove-nienti dalla ex Jugoslavia: Istria, Fiume e Dalmazia negli anni del dopoguerra. Riportiamo attraverso un breve cenno queste vicenda in cui si intrecciano pulizia etnica, accoglienza negata, persecuzione ideologica e politica, oltre alla constatazione che di fronte al primato del partito anche la solidarietà operaia veniva meno. Oggetto di tanto vituperio da parte della sinistra e dei sindacati ad essa legati non erano stranieri, ma… italiani.

Profughi istriani che si imbarcano sul "Toscana" il piroscafo che li avrebbe riportati in Patria

1300 profughi istriani presso la ex caserma Passalac-qua.

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OSSERVATORIOPIEMONTE dio, toccante ci fu. "Da quella folla vennero fuori in tre, due con la fisarmonica, e cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane. Erano esuli pure loro, accet-tati per aver combattuto a fianco dei partigiani. Una scena commovente che un po' ci rincuorò. Anche chi ci insultava per un po' smise. Da lì partimmo con un lungo treno di vagoni merci la sera di lunedì 17 febbraio, sdraiati sulla paglia, attra-verso l'Italia semisepolta dalla neve. Dopo innumere-voli soste in stazioncine secondarie arrivammo a Bolo-gna. Era martedì, poco dopo mezzogiorno. La Pontifi-cia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana ave-vano preparato un pasto caldo, atteso soprattutto dai bambini e dai più anziani". Ma dai microfoni "rossi" una voce gridò: "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione". Poco prima il convoglio, che i ferrovieri chiamavano il "treno dei fascisti", era stato preso a sassate da un gruppo di giovanissimi che sventolavano le bandiere con la falce e il martello. Ci fu perfino chi, per eccesso di zelo, versò sui binari il latte destinato ai bambi-ni già in grave stato di disidratazione. Il treno scomparve nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame: la meta finale sarebbe stata una caserma di La Spezia. I pasti della Poa nel frattempo vennero trasportati a Parma con automezzi dell'esercito e distribuiti dalle croce-rossine. "Vi giungemmo a tarda sera, la gente potè rifocillarsi dopo 24 ore di viaggio. C'erano tanti poveri tra noi, ma per i comunisti i poveri non avevano neanche il diritto di essere poveri". A inquadrare la dram-matica vicenda del "treno della vergogna" in un contesto storico più ampio è Guido Ru-mici, goriziano, ricerca-tore di Storia ed economia regionale, autore di "Infoibati", "Fratelli d'Istria" e "Istria cinquant'anni dopo il grande esodo" per i tipi di Mursia. "Si trattò di un episodio nel quale la solidarietà nazionale venne meno per l'ignoranza dei veri motivi che avevano cau-sato l'esodo di un intero popolo. Partirono tutte le classi sociali, dagli operai ai contadini, dai commer-cianti agli artigiani, dagli impiegati ai dirigenti. Un'inte-ra popolazione lasciò le proprie case e i propri paesi, indipendentemente dal ceto e dalla colorazione politica dei singoli, per questo dico che è del tutto sbagliata e fuori luogo l'accusa indiscriminata fatta agli esuli di essere fuggiti dall'Istria e da Fiume perché troppo coinvolti con il fascismo. Pola era, comunque, una cit-tà operaia, la cui popolazione, compattamente italiana, vide la presenza di tremila partigiani impegnati contro

i tedeschi. La maggioranza di loro prese parte all'eso-do". C'era chi istigava all'odio anche dalle colonne dei gior-nali. "Tommaso Giglio che allora scriveva per l'edizione milanese dell'Unità e che poi diresse l'Espresso, in quei giorni firmò tre articoli . In uno titolò "Chissà dove finirà il treno dei fascisti?"". Bruno Saggini, fiumano, residente a Bologna, unica città italiana in cui, fino a pochi anni fa, non esisteva una sola via dedicata all'I-stria e alla tragedia dell'esodo, sottolinea la forte va-lenza ideologica di episodi come quello dei treno. "Gli attivisti di sinistra non capivano che gli italiani abban-donavano in massa le loro terre d'Istria, Fiume e Dal-mazia per sfuggire alla snazionalizzante dittatura sla-vocomunista. Chi aveva fatto questa scelta doveva per forza essere etichettato come fascista". Articolo di Gian Aldo Traversi tratto da "Dossier" suppl. del Quotidiano Nazionale settembre 2004 "Il tricolore a Trieste"

Riportiamo i contenuti della lapide che verrà esposta alla stazione di Bologna in ricordo di quei tragici even-ti: "Nel corso del 1947 da questa stazione passaro-no i convogli che portavano in Italia esuli istria-ni, fiumani e dalmati costretti ad abbandonare i loro luoghi dalla violenza del regime nazional-comunista jugoslavo e a pagare, vittime inno-centi, il peso e le conseguenze della guerra d'aggressione intrapresa dal fascismo. In segui-to, Bologna seppe accoglierli, come è nelle sue tradizioni, molti di essi facendo suoi cittadini. Oggi vuole ricordare quei momenti drammatici della storia nazionale. Bologna 1947-2007" La lapide è stata contestata in quanto non faceva cen-no ai fatti accaduti realmente.

Il piroscafo Toscana effettuò in tutto dieci viaggi, alcuni in più rispetto ai pro-grammati, trasportando a Venezia e ad Ancona complessivamente non meno di 13.056 profughi tra uomini donne, bambini e vecchi, nonché le ceneri di Nazario Sauro, di Giovanni Grion e della madre, di due caduti del sommergibi-le “F 14”, e relativi cimeli.

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Non credo si tratti dall'arrivo dell'apocalis-se, anche se manca poco al 21 dicembre 2012 e se siamo nella zona cesarini del "mille e non più mille" iniziando a contare dalla data di crocefissione di Gesù. L'apocalisse di Giovanni se la prendeva in

particolar modo con Roma, la grande prostituta, obiet-tivo principe dell'ira divina. La città non ha cambiato molto le proprie abitudini e il Vaticano non sembra prestare troppa attenzione alla dannazione giovannea. Però siamo sicuramente alle soglie di un mutamento epocale. Molti, io compreso, si domandano "chi ci sia dietro" ai grandi sommovimenti medio orientali e nord africani che segnano queste giornate convulse. Certo non sembra per nulla casuale che i moti popolari coinvolgano Nazioni che controllano geograficamente il Mediterraneo (per il quale transitano oggi il 18% di tutti gli scambi commerciali mondiali, oltre a gasdotti e oleodotti essenziali per la sopravvivenza europea), il canale di Suez (Egitto a nord, Yemen e Djibuti a sud), lo stretto di Ormuz (El Baharain): in sostanza chi con-trollerà questi Paesi avrà il Potere di scegliere quali merci far passare, quali petroliere far transitare, quan-ta energia commerciare. Un Potere assoluto. I Greci mossero guerra a Troia con la scusa di Elena. Ma Troia controllava lo stretto dei Dardanelli e pratica-va la pirateria a svantaggio del commercio greco. Ele-na fu il pretesto. Le crociate avvennero per conquistare i porti e le vie del commercio con le Indie. Venezia e Genova, repub-bliche marinare, disponevano di interi propri quartieri a Costantinopoli e svariate isole nel mediterraneo o-rientale, per tutelare i propri commerci. Venezia, gra-zie a quella forza, mantenne l'indipendenza dal 1200 al 1815. Mille bergamaschi traghettarono da Genova a Marsala con l'appoggio della marina inglese. Note a margine ? No, per nulla: chi controlla i punti di transito del commercio controlla il Potere economico, e come recitano i manuali di strategia militare, i Conti-nenti si controllano dal mare. Ovvio quindi che i "movimenti popolari" attualmente in atto hanno una regia, così come la ebbero i moti di Solidarnosc che provocarono l'effetto domino negli stati del Patto di Varsavia nel 1989. La novità di queste ore è che per Suez transitano va-scelli militari iraniani e, mi sia consentito, questa non è affatto una buona notizia. L'Iran, recentemente approdato al grado di potenza nucleare, è diventato in quanto tale "inattaccabile", con il supporto tecnologico della Russia. La Russia è leader mondiale di materie prime e negli ultimi dieci anni ha accumulato fantastiliardi esportan-do gas e petrolio. Potrebbe essere la Russia il grande burattinaio ? Po-

trebbe. La Cina ha immensi interessi in Africa ed è il maggiore esportatore di prodotti industriali del mondo. Potrebbe essere la CIna il grande burattinaio ? Potreb-be. Gli USA si sono visti ridurre il dominio incontrasta-to delle 7 sorelle del greggio da quando Russia, Alge-ria, Libia e Kazakhistan hanno deciso di fare da sole. Potrebbe essere Washington il grande burattinaio ? Potrebbe. I tre Super Potenti hanno ottimi motivi per puntare ad un nuovo assetto geo-politico degli snodi strategici del commercio. Potrebbe essere un informale G3 il grande buratti-naio ? Potrebbe. Il fatto che nè l'MI 5, il servizio se-greto inglese, né il Mossad, potentissima organizzazio-ne israeliana, nè i francesi (che pure qualche interesse nel Maghreb ce l'hanno) abbiamo fin qui detto "bah" suggerirebbe questa possibilità. Nel putiferio attuale, nella ridda di voci e nei clamori forse, in effetti, dovremmo prestare più attenzione ai silenzi che alle grida. Nessuno dei più celebrati servizi di intelligence occi-dentali, e mettiamoci anche gli eredi del KGB, aveva avuto sentore di quanto stava per accadere in Nord Africa ? Possibile ? Davvero si vuol far credere che tribù carovaniere ber-bere e modestissimi sottoproletari arabi si collegassero su "twitter" per ordire un movimento popolare capace di detronizzare Ben Ali, Mubarak e (forse) Gheddafi trovando il consenso dei rispettivi eserciti, il tutto nel giro di un mese ? Ma dai... Ma per favore...! Sorprende anche la cautela con cui Washington, Londra, Tel Aviv, Parigi, Mosca e Pechino hanno reagito agli avvenimenti. Troppa diplomazia, troppa cautela, troppa condiscen-denza, troppa non-chalance per essere vera sorpresa. Chi rimane col cerino in mano è, al solito, Cenerentola Europa. La "riorganizzazione" del mondo avviene alle porte di casa nostra lasciandoci probabilmente due scomode eredità. La prima riguarda l'aumento della bolletta energetica, con previsioni di assestamento del greggio a 120 dol-lari al barile. La seconda è la gestione delle ondate migratorie che potremmo dovere affrontare, rendendo più opportuno e conveniente investire pesantemente nella industrializzazione del nord Africa, per quanto ne derivi una ulteriore riduzione del lavoro in casa nostra e un immenso punto di domanda nella gestione del welfare nostrano. Ma questo è l'immediato futuro, ed è molto incerto, proprio perché incerto è il burattinaio del presente. Se poi il grande burattinaio fosse l'estremismo Sciita con El Qaeda, allora dovremmo dare ragione a Gio-vanni dell'Apocalisse e ai Maya. Ma si sa che le profezie non sono molto affidabili. O almeno lo spero !

Apocalypse ? di Gilberto Borzini

Fantascienza?, fantapolitica?, pensiamo a quante volte è capitato che la realtà superasse la fanta-sia: le armi di distruzione di massa in Iran che non c’erano?, i messaggi top secret di ambasciatori e potentati del mondo su internet?, Sicuri che è tutto impossibile?

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hanno necessità di un bagno di umiltà della nostra classe politica a favore del bene comune. Chissà che, come spesso accade, i più deboli non siano di esempio ai più forti e le vicende di Mirafiori, oltre a fissare un nuovo punto di partenza per una ripresa di FIAT, non siano anche capaci, in qualità di esempio virtuoso da seguire, di dare una lezione di etica e di altruismo a coloro che dovranno mettere mano alle riforme strut-turali dell’Italia. Siamo nel 150° anniversario dell’Unità e non c’è miglior momento simbolico, per chi crede nei corsi e ricorsi storici, per rilanciare proprio ciò che oggi vogliamo celebrare, ossia l’Unità di questo Paese. Sa-rebbe il miglior omaggio che la Politica potrebbe fare a tutti noi, Italiani delusi ed insoddisfatti, al di là dei re-torici (e inutili) riti di celebrazione.

Gente di Mirafiori (dalla seconda pagina)

interessano le vendette personali, è più importante creare i presupposti per un vero partito in grado di introdurre quei cambiamenti e riforme che da anni l’Italia attende e che nessuno è sino ad oggi riuscito a fare e solo grazie al quale si possono raccogliere ampi consensi. Questo può venire solo da un ricambio generazionale, da un ricambio istituzionale che veda cervelli nuovi, parlamenti nuovi, regole nuove. Tutte cose che i “baroni” della politica non potranno fare, o meglio po-trebbero fare se si liberassero di quel pesante zaino che si portano dietro la schiena in cui ci sono gli inte-ressi, i bisogni, i rapporti, le esperienze, le sicurezza accumulate in decine di anni di politica. Uno zaino pe-sante, difficile da scaricare e che impedisce di proce-dere. Lo vediamo proprio in questa diaspora. Dove stanno andando se a destra ci sono due sole realtà una, in costruzione Fli e una, il PdL in avanzata de-composizione ideale e inevitabilmente come logica conseguenza, temporalmente successiva, anche elet-torale e politica. Da persona e politico certamente superiore alla media Fini, seguendo giustamente la concretezza, e non le suggestioni di chi guarda il con-tingente (sia esso costituito dall’umiliazione del “nemico” o dalla rappresentazione mediatica del mo-mentaneo vincitore), ha ingranato un meccanismo che ha solo bisogno di tempo e perseveranza e che inevi-tabilmente darà i suoi frutti, (fra i quali anche le ven-dette che possono essere un gratificante accessorio mai un obbiettivo). Così il partito nato dall’alto ora sta crescendo dal basso. I gruppi parlamentari erano es-senziali per avere un impatto sia nel Parlamento che sui media ed, in ricaduta, sull’aggregazione della base, ora che questa è strutturata con i mille o quel che so-no circoli, qualche parlamentare che lascia non è più così importante. Quel che poteva dare lo ha dato, se può dare altro, che è quello che gli viene richiesto da partito e che non necessariamente è legato a ciò di cui lui ha bisogno, lo dia, altrimenti è giusto che se ne vada. Tutti i partiti che sono nati in Italia negli ultimi anni e sono tanti, pensiamo ai Radicali, ai Verdi, all’I-talia dei Valori sono partiti SOLO da una base che si riconosceva in una idea forte, il gruppo parlamentare è venuto dopo. Fli ha tanti vantaggi: una idea e ideali forti che reggono proposte politiche forti, ha anche ed ancora dei Parlamentari non inchiodati al loro passato e soprattutto ha un leader che magari non sa raccon-tare le barzellette, ma conosce la politica ed i palazzi, sa usare il cervello e non solo per far soldi. Per cui amici di Fli siate forti e consapevoli, se continueremo a lavorare insieme a costituire circoli a incontrarci, di-scutere, litigare, partecipare, se ci daremo regole chia-re e trasparenti, se sapremo coniugare ideali e politi-ca, sono più che certo che (con)Vinceremo. Guardan-do da lontano può sembrare che laggiù qualcuno si agiti e si sbracci scompostamente, ma basta avvicinar-si un po’ per vedere che quei gesti sono i movimenti di un mietitore che sta affilando la lama della sua falce e che ogni movimento è preciso e studiato.

Il Mietitore (dalla prima pagina)

Libertà dobbiamo ringraziare lo stesso mondo di Berlu-scopoli; non tutti i mali vengono per nuocere. Oggi quelle forme che già ci apparivano poco equilibrate, grazie alle potature fortunatamente subite, appaiono più armoniche e sensate; è stato favorito inevitabil-mente lo sviluppo di molti nuovi germogli. I cittadini sono stanchi dell’ambiguità e della politica sterile ed incapace di risolvere i problemi. Forse da oggi, ripuliti dai numeri fittizi, dai trasformisti, dagli attori in carrie-ra, ma ancora più forti della nostra idea di un possibile centrodestra lontano da Berluscopoli, possiamo dire a testa alta che da “Futuro e Libertà” rinasce la speran-za di una nuova Italia e di un reale cambiamento.

La primavera di FLI (dalla terza pagina)

siti di smaltimento delle scorie delle centrali nucleari del passato e queste sono ammassate in situazioni di rischio ambientale, senza controllo, in Piemonte. Si accenna anche qui alla “semplice” organizzazione dello smaltimento dei rifiuti “normali” a Napoli) • Ci sono antinuclearisti nel centrodestra e nel Cen-trosinistra, come ci sono dei nuclearisti nel Centrode-stra e nel Centrosinistra: la trasversalità politica e par-titica è caratteristica dell’antinuclearismo e del nuclea-rismo. • Al momento è ancora valido il referendum del 19-87 che stabilì l’abbandono del nucleare in Italia Tutte queste considerazioni spero che possano entrare con pacatezza nel dibattito sul grande problema dell’e-nergia che sta investendo l’Italia e tutta l’umanità.

Nucleare in Italia? (da pagina 4)

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OSSERVATORIOPIEMONTE

Grandi infrastrutture e sindrome di Nimby Not In My Back Yard ovvero: non nel mio giardino. E’ la motivazione che sottende l’opposizione alla realizzazione di tante infrastrutture in Italia da molti anni. Dal Tav del Piemonte, ai rifiuti di Napoli, dal Mose di Venezia alle centrali eoliche in mezzo al mare, la costruzione di nuovi impianti diventa l’occasione per dispute e scontri infiniti fra promotori ed enti locali e popolazioni. Ecco una proposta per superare l’impasse che da anni inchioda l’Italia.

gere nella progettazione gli enti locali, perché non pre-visto dalle leggi, operano secondo una cultura che mette al centro della progettazione l’infrastruttura ri-spetto alla quale il territorio circostante si deve ade-guare con le cosiddette misure di mitigazione e quan-do queste non sono possibili o completamente possibi-li, con le compensazioni. E’ necessario invece ripensa-re le procedure per realizzare le grandi infrastrutture prevedendo il coinvolgimento diretto dei territori inte-ressati sin dalle prime fasi di progettazione, inoltre è necessaria una evoluzione culturale anche da parte dei progettisti che devono introdurre criteri di progettazio-ne delle grandi opere che considerano l’insieme di in-frastruttura, ambiente e territorio circostante. Compo-nenti con pari dignità che devono esser armonizzati fra loro e non subordinati all’opera, semplicemente come un insieme di difficoltà da affrontare e superare.

In questo contesto è opportuno e neces-sario prevedere nel contesto della pro-gettazione e realizzazione delle grandi opere interventi territoriali che risolvano eventuali criticità anche storiche e favori-scano opportunità e sinergie presenti e latenti o non sviluppate nei territori inte-ressati dalla grande opera. Si tratta di introdurre misure di accompagnamento che consentano ad esempio il ricorso alla manodopera ed alle imprese locali, anche attraverso processi di formazione, all’uti-lizzo delle risorse edilizie e turistiche lo-cali attraverso opportuni convenziona-menti per l’insediamento delle maestran-ze che lavorano nei cantieri anziché i tradizionali campi base.

I progetti stessi devono essere strutturati in modo che a corollario del progetto master vi siano parti che pos-sano essere realizzate indipendentemente da imprese di medio-piccole dimensioni anziché tutto da un unica stazione appaltante di grandi dimensioni. Sono opera-zioni che hanno spesso costo zero ma che trasformano una grande infrastruttura da opere calata dall’alto nel-l’interesse nazionale su un territorio che dovrebbe sa-crificarsi per interessi superiori che facilmente posso esser messi in discussione , in un’opera che favorisce lo sviluppo locale e la soluzione di problemi territoriali o ambientali atavicamente irrisolti. Un nuovo modo di procedere quindi nell’affrontare la localizzazione e la progettazione di una grande infra-struttura che passi dal coinvolgimento diretto delle realtà locali. Se infine questo processo non dovesse comunque dissolvere opposizioni e contestazioni ideo-logiche e preconcette riteniamo che il ricorso al refe-rendum locale quale estrema ratio per l’affermazione del diritto democratico debba esser preso in conside-razione più come regola non come fatto eccezionale.

L’Italia più di ogni altro paese occidentale incontra sempre più difficoltà ad attuare un serio programma di realizzazione di grandi infrastrutture giudicate indi-spensabili per favorire un corretto e tangibile sviluppo della attività produttive, dei commerci e degli scambi sia interni che intenzionali. La difficoltà nasce spesso dall’opposizione delle realtà locali che vedono questi interventi come invasivi nel territorio, se non addirittu-ra dannosi sino al limite della sopportabilità sociale. Basta pensare alle vicende delle discariche a Napoli piuttosto del Tav il treno ad alta velocità in Piemonte. Non a caso il Governo ha introdotto sin dal 2001 la cosiddetta legge obiettivo che ha lo scopo di definire il programma delle infrastrutture strategiche e di snellire le procedure per la loro approvazione e finanziamento. La legge non ha però risolto il problema delle conte-stazioni e delle opposizioni territoriali, che vengono semplicemente attribuite a frange estre-miste sempre contro ogni infrastruttura a prescindere. Chi ha potuto seguire per anni l’evolversi dei processi di progettazione, approva-zione e in qualche caso di realizzazione di queste grandi opere sa che se pur esi-ste una opposizione ideologica alle gran-di opere, questa da sola non potrebbe impedirne la loro attuazione. Non bastano le manifestazioni degli An-tagonisti, dei Disobbedienti o dei Centri sociali per impedire l’avvio dei lavori delle grandi opere non fosse altro per la loro scarsa consistenza numerica. Ciò che può bloccare la realizzazione di una gran-de infrastruttura sono i sindaci, i cittadini le associazioni di categoria: coldiretti, sindacati che riescono a mobilitare decine di migliaia di persone. Se ci si confronta con le argomentazioni poste, l’elemento di fondo che ostacola il consenso e la condivisione per la realizzazione di una grande opera è sostanzialmente riconducibile a uno: la sfiducia nelle istituzioni. Qua-lunque impegno assunto dai promotori, dalle ammini-strazioni sovraordinate a partire dal governo si scontra infatti con l’assoluta sfiducia che quegli impegni ven-gano mantenuti. E diventa fin troppo facile per chi contesta chiedere l’attuazione di interventi propedeutici da attuarsi nel breve periodo, anche non eccessivamente impegnativi sotto il profilo economico ma che dimostrino la buona volontà del governo o dei proponenti l’opera, per ve-derli disattesi, rafforzando così l’idea della inaffidabilità delle istituzioni e quindi l’opposizione all’opera. A que-sto poi va aggiunto che di prassi le progettazioni ven-gono realizzate da soggetti tecnici, i proponenti ap-punto, siano essi Rfi, piuttosto che la società autostra-de, Enel o altri grandi gruppi che oltre a non coinvol-