1^ relazione annuale sullo stato della media impresa italiana · tare la competitività delle medie...

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1^ Relazione Annuale sullo stato della Media Impresa Italiana

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1^ Relazione Annuale sullo stato della Media Impresa Italiana

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A cura del Centro Studi Cdo

Giulio Buciuni - Direttore Scientifico Docente presso la Business School del Trinity College Dublino

1^ Relazione Annuale sullo stato della Media Impresa Italiana

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Executive Summary

Introduzione

1. La media impresa Italiana nell’economia contemporanea: sfide globali e responsabilità locali

1.1 Quadro macroeconomico attuale e ruolo storico delle medie imprese

1.2 Fenomenologia della media impresa italiana 1.3 Oltre la crescita quantitativa: medie imprese e competitività territoriale

2. Fabbrica per l’Eccellenza: un nuovo percorso per le imprese medie italiane

2.1 Mission e obiettivi del progetto Fabbrica per l’Eccellenza2.2 Progetto Identità e Valori d’Impresa2.3 Progetto Competenza e Selezione2.4 Progetto Trasformazione Digitale2.5 Progetto Crescita aziendale sostenibile

3. La centralità della persona nell’economia del futuro

3.1 Let’s stay human: progettiamo assieme l’economia di domani3.2 Uno sguardo al 2018

3

Executive Summary

La 1^ Relazione Annuale sullo stato della media impresa ita-

liana ha lo scopo di presentare Fabbrica per l’Eccellenza, un

nuovo programma economico-culturale finalizzato a suppor-

tare la competitività delle medie imprese eccellenti italiane. La

volontà di dar vita a un progetto dedicato alle medie imprese

parte dalla constatazione di due evidenze empiriche: la prima

richiama all’importanza strategica delle imprese medie nella

struttura competitiva del sistema industriale ed economico

italiano; la seconda descrive lo sbilanciamento nel numero di

questa categoria di imprese nella popolazione complessiva

delle piccole e medie imprese operanti nel nostro Paese. Le

imprese medie sono allo stesso molto importanti ma anche, o

meglio ancora, troppo poche. Com’è possibile affrontare que-

sto paradosso? Attraverso due precisi

percorsi:

1) Supportare la competitività delle me-

die imprese oggi esistenti;

2) Favorire la crescita dimensionale e

qualitativa di piccole imprese ad alto

potenziale.

Il raggiungimento di questi ambiziosi obiettivi dipenderà in

buona parte dalla capacità delle imprese eccellenti italiane di

continuare a migliorarsi e aprirsi a nuove forme di conoscenza

in diversi ambiti competitivi, quali la digitalizzazione e l’indu-

stria 4.0, la gestione delle risorse umane e della governance

aziendale, la crescita e la sostenibilità sociale ed ambientale.

Fabbrica per l’Eccellenza dedicherà a ciascuno di questi temi

dei percorsi di approfondimento e di lavoro, le Fabbriche Te-

matiche, all’interno dei quali le imprese associate avranno

occasione di confrontarsi, condividere problematiche e best

practice e ragionare assieme su possibili soluzioni comuni.

Lo spirito di Fabbrica per l’Eccellenza è quello di creare una

4

learning community di imprese eccellenti dove i protago-

nisti saranno gli stessi imprenditori. Fabbrica per l’Eccel-

lenza sarà una comunità aperta ma, allo stesso tempo,

modellata attorno a valori fondativi che dovranno essere

condivisi da chiunque entrerà a far parte di questa inizia-

tiva. In particolar modo, tre sono i valori che ispirano Fab-

brica per l’Eccellenza:

1. La valorizzazione della manifattura, intesa nel senso più

ampio del termine e riconducibile non solo ad attività di

trasformazione, ma anche a quei servizi strategici di sup-

porto alla produzione industriale;

2. Le relazioni tra imprese e individui e, in particolar modo,

la necessità di favorire e potenziare l’interdipendenza e lo

scambio di conoscenza tra aziende ed imprenditori eccel-

lenti;

3. Il capitale umano e l’importanza di inserire nuove idee

e competenze nel tessuto imprenditoriale italiano, contri-

buendo in questo modo ad alimentare la creazione conti-

nua di nuova conoscenza soprattutto attraverso l’inclu-

sione di giovani menti e lavoratori.

5

Introduzione

Nel corso degli ultimi quindici anni la geografia dell’e-

conomia internazionale ha subito una serie di profonde

trasformazioni che hanno radicalmente cambiato la crea-

zione e distribuzione del valore economico-finanziario, del

lavoro e del benessere sociale, tanto nel mondo svilup-

pato quanto in quello in via di sviluppo. Alla base di que-

sta epocale trasformazione vi sono una serie di fenomeni

noti. Da un lato, la globalizzazione dei mercati, fortemente

accelerata dall’ingresso della Cina nella World Trade Orga-

nization (WTO) nel 2001, ha aperto opportunità prima sco-

nosciute a migliaia di imprese occidentali, incrementando

allo stesso tempo una competizione talvolta anche spre-

giudicata in svariati settori industriali; dall’altro, la diffusio-

ne e la sofisticazione degli strumenti di Information and

Communication Technology (ICT) hanno garantito un’effi-

cace ed efficiente connettività tra diversi “nodi” apparte-

nenti a una medesima catena del valore transnazionale,

facilitando in questo modo la diffusione e integrazione di

conoscenze diverse e spesso complementari. Un terzo

elemento ha infine contribuito a ridisegnare l’attuale eco-

nomia contemporanea: la finanziarizzazione dell’econo-

mia reale.

Culminata con il default di Lehman Brothers nel set-

tembre del 2008, l’ingerenza della finanza nella struttura

socio-economica occidentale non si è limitata alle spe-

culazioni nel mondo del real estate americano ed euro-

peo attraverso i celebri mutui subprime, ma ha saputo

diversificare il proprio raggio d’azione. Il recente boom di

investimenti nel settore hi-tech e, in particolar modo, nel-

le high-potential start up, è il risultato anche delle scelte

strategiche di fund manager internazionali e del ricolloca-

mento di investimenti privati da settori poco profittevoli nel

6

breve termine verso altri in rapida ascesa 1. L’azione con-

giunta di questi fattori ha generato una serie di cambia-

menti i cui effetti non sono ancora stati interamente com-

presi2 . Tra questi, grande risalto è stato dato alla pressione

esercitata da imprese low-cost globali sulla struttura

competitiva di molteplici settori manifatturieri

tradizionali e dalla conseguente elimina-

zione di milioni di posti di lavoro in paesi

occidentali. Assieme alla migrazione

della manifattura, lo spostamento di

milioni di persone attraverso i confi-

ni nazionali è emerso come uno de-

gli aspetti più rilevanti della recente

globalizzazione, facendo peraltro da

trampolino all’ascesa politica di movimenti

populisti in Inghilterra, Stati Uniti, Italia e Francia. In Italia, in

particolar modo, la frammentazione della produzione su

scala globale è avvenuta con grande intensità nel setto-

re tessile-abbigliamento, con i grandi brand della moda a

fare da capofila.

Tuttavia, a dispetto di tale trend, è interessante notare

come negli altri tre grandi settori del Made in Italy (auto-

mazione, agroalimentare e arredamento), il presidio del-

le attività produttive sia rimasto un fattore chiave nelle

strategie di numerose imprese italiane. Specificamente, il

controllo della manifattura si è dimostrato funzionale nel

permettere alle imprese del Made in Italy di incrementare

la propria competitività internazionale attraverso innova-

1 La riduzione dei tassi di interesse a zero da parte della Federal Reserve (FED) ha causato la migrazione di una quota rilevante di investimenti dal settore finanziario al settore della tecnologia negli USA nel corso dell’ultimo decennio.

2 Fin dall’inizio della crisi economica, la Cdo ha espresso un giudizio chiaro e deciso sulle cause culturali e sulle conseguenze politico-economiche di questi cambiamenti, evidenziando il problema antropologico che ne sta alla base e culminato con una «isti-tuzionalizzazione di uno sfrenato individualismo» (cfr. Sulla strada della Libertà, Milano, dicembre 2011).

7

zioni di prodotto e di processo. Supportata da diversi con-

tributi scientifici, questa tesi ha alimentato una nuova cor-

rente di pensiero che vede nella piccola e media impresa

manifatturiera specializzata il motore nascosto dell’indu-

stria italiana. Se da una prospettiva socio-culturale la ri-

scoperta dell’artigianato italiano appare senza dubbio un

elemento interessante nella valorizzazione del nostro pa-

trimonio di conoscenze tacite, l’analisi economica di que-

sto fenomeno mette in evidenza una serie di limiti dimen-

sionali e strutturali che da alcuni decenni caratterizzano il

tessuto delle nostre imprese produttive. È bene ricordare

a tal proposito che il 95% delle PMI Italiane non supera

i 10 dipendenti e che la dimensione media dell’impresa

manifatturiera del Made in Italy è di 9 addetti, contro i 16

delle imprese francesi e i 25 di quelle tedesche. È eviden-

te come la struttura industriale italiana sia condizionata

da un evidente sbilanciamento nel numero delle micro

e piccole imprese a scapito delle aziende più grandi. Un

maggior equilibrio nella diversità delle nostre organizza-

zioni produttive avrebbe una ricaduta positiva sull’intera

architettura industriale italiana e in particolar modo sulle

piccole imprese, spesso dipendenti dalle performance di

leader di filiera maggiormente strutturati. A ben vedere è

questo un tema già ampiamente dibattuto in Italia ma che

tuttavia rimane senza apparenti soluzioni. Da dove partire,

dunque, per affrontare questo annoso problema?

Un interessante contributo da cui partire sono i recenti

lavori di Ricardo Hausmann, professore di sviluppo eco-

nomico ad Harvard ed esperto di sistemi complessi. Alla

base del pensiero di Hausmann vi è la convinzione che

la competitività di un sistema economico dipenda dal suo

livello di complessità. La complessità a sua volta è legata a

due fattori: specializzazione e varietà. Utilizzando questa

lente interpretativa per analizzare il sistema produttivo

8

italiano, appare evidente come la specializzazione (par-

ticolarmente in chiave manifatturiera) venga garantita

dalle numerose PMI dedicate a specifiche fasi produttive.

Altrettanto tuttavia non si può dire in merito al fattore

varietà, indice che misura non solo la diversità in termi-

ni di settori industriali e di competenze pro-

fessionali presenti in un sistema econo-

mico, ma anche la diffusione di attori

economici diversi e complementari.

Quest’ultimo aspetto è ben eviden-

ziato dalla classificazione dimensio-

nale delle imprese italiane, secondo

la quale solo lo 0.5% di esse impie-

ga più di 50 dipendenti. Manca dunque

varietà e, con essa, investimenti, capacità,

competenze e produttività.

La grande impresa latita in Italia e le poche esistenti non

hanno brillato per competitività e performance nell’ultimo

decennio. Nonostante ciò, buona parte dell’attenzione

politica e mediatica nel nostro Paese continua ad essere

dedicata al salvataggio di grandi gruppi come ad esempio

Alitalia e Ilva. Se le PMI e le start up di nuova generazio-

ne non possono rappresentare da sole la soluzione alle

difficoltà dell’economia italiana, tanto meno lo sembrano

essere le grandi imprese attive nel nostro Paese. Una ter-

za opzione tuttavia è possibile e noi crediamo si identifichi

con l’impresa media industriale. L’impresa media esercita

un peso specifico di grande rilievo nell’economia italiana

sia in termini di valore economico generato sia di contribu-

to all’occupazione e all’innovazione e rappresenta in molti

casi un’evoluzione competitiva della tradizionale azienda

produttiva italiana riuscendo a coniugare fattori di com-

petitività locale con risorse e vision globali. In aggiunta, la

9

media impresa manifatturiera completa e integra per na-

tura e orientamento strategico gli ecosistemi produttivi del

Made in Italy, ancora fortemente legati a fitte reti locali di

micro e piccole imprese.

È proprio a partire dai punti di forza e dalle necessità

delle medie imprese industriali che la Cdo ha avviato un

nuovo programma economico-culturale, con l’obiettivo

di supportare la competitività del tessuto imprenditoriale

italiano nel medio e nel lungo periodo. La media impresa,

dunque, come oggetto di analisi e di confronto, ma anche

come interlocutore attivo, capace di contribuire alla for-

mazione di una nuova classe manageriale per l’Italia. L’im-

pegno della Cdo nei confronti di questa specifica tipologia

di azienda si concretizza nell’ideazione e sviluppo di una

serie di progetti operativi focalizzati su temi oggi centrali

per la competitività aziendale, quali: governance azienda-

le e passaggio generazionale, formazione e risorse uma-

ne, innovazione e adozione di nuovi strumenti tecnologici,

apertura internazionale e coordinamento di catene globali

del valore, crescita sostenibile. Gli obiettivi e i piani di svi-

luppo di ciascun progetto saranno discussi in dettaglio

nei capitoli successivi.

10

La media impresa Italiananell’economia contemporanea: sfide globali e responsabilità locali

1. 1.1 Quadro macroeconomico attuale e ruolo storico delle medie imprese

Il 2017 si presta ad essere l’anno che segna la ri-

presa del sistema economico italiano dopo

quasi un decennio di recessione e sta-

gnazione. Se, da un lato, le stime Euro-

stat di crescita del PIL italiano segna-

no un timido cambio di rotta (+1.8%

per il 2017), pur rimanendo al di sotto

della media UE a +2,5%, dall’altro la

crescita della produzione industria-

le mette in luce ancora una volta come il

settore manifatturiero rappresenti l’asse portante

dell’economia italiana. Secondo dati ISTAT di luglio 2017,

la previsione di crescita su base annua dell’output indu-

striale italiano per il 2017 è di 4.4%. L’automotive resta

un settore strategico per il comparto industriale italiano

(+6.9%), così come il settore della meccanica (+8%) e

l’agroalimentare (+6.9%). Al momento attuale, la crescita

della produzione manifatturiera italiana sembra essere le-

gata ad alcuni importanti fattori, quali: 1) l’ambizioso piano

industriale del Gruppo FCA, che include il potenziamento

degli stabilimenti produttivi in Italia e il lancio di nuovi mo-

delli, specie per il brand Alfa Romeo;

2) la crescita delle esportazioni sia di beni di consu-

mo, come i prodotti agro-alimentari, sia di quelli durevoli,

come i macchinari e le attrezzature meccaniche ed elet-

troniche;

3) la resilienza di un nucleo di medie imprese manifat-

turiere particolarmente attive nell’innovazione di prodotto

e di processo e nelle esportazioni indirette.

11

Mentre i primi due fattori sono stati e sono ampiamente

trattati dai media domestici, l’analisi dell’impatto econo-

mico delle medie imprese sul tessuto industriale italiano

rimane spesso ai margini del dibattito politico ed econo-

mico del nostro Paese.

Chi sono e cosa fanno le medie imprese italiane? Prima

di passare in rassegna le caratteristiche e i punti di forza

di questa categoria di imprese, è doveroso ricordare il ruo-

lo storico che queste imprese hanno svolto nello sviluppo

industriale italiano del secondo dopoguerra, in particolare

nel ventennio compreso tra il 1970 e il 1990. È questo infat-

ti un periodo che pone le basi per la crescita economica

dell’Italia e per la strutturazione di un sistema manifattu-

riero diffuso, organizzato cioè in specializzazioni produtti-

ve territoriali (i distretti industriali). Fin dai primi anni di at-

tività i distretti industriali si caratterizzano per la divisone

del lavoro in filiere locali, all’interno delle quali coesistono

micro, piccole e medie imprese. In molti casi, è proprio a

partire da un nucleo di medie imprese locali che si viene a

sostanziare un microcosmo di nuove imprese, tipicamente

costituite da ex lavoratori desiderosi di intraprendere atti-

vità imprenditoriali in proprio (spin off). Le medie imprese

non sono tuttavia solamente delle matrici organizzative su

cui vengono a crearsi densi ecosistemi di imprese, ma rap-

presentano anche un prezioso elemento di governance

territoriale. Sono infatti le medie imprese ad organizzare e

orchestrare complesse filiere produttive, ad intraprendere

processi di internazionalizzazione e a porsi come interlo-

cutori principali nei confronti delle istituzioni locali.

A distanza di vent’anni, la funzione di impresa leader di

filiera esercitata da svariate medie imprese italiane nei vari

distretti industriali è rimasta immutata. Nonostante ciò, le

medie imprese si sono evolute e con esse le filiere e i di-

stretti a cui fanno capo; molte sono state ridimensionate

12

dalla crisi economico-finanziaria e svariate hanno chiuso

trascinando con sé parte di quegli ecosistemi produttivi

sviluppatisi in precario equilibrio negli ultimi decenni. Una

buona parte del recente impasse economico italiano è

leggibile proprio attraverso i cambiamenti e le

difficoltà affrontati dalle medie imprese

manifatturiere (-25% di produzione in-

dustriale dal 2007 al 2017), dal credit

crunch all’assenza di competenze

manageriali, dalla concorrenza di

player low-cost alla gestione di ordi-

ni sempre più complessi da parte di

buyer internazionali. Nonostante ciò,

molte di queste medie imprese sono ri-

uscite ad adattarsi e superare una serie di shock

esogeni (la crisi della finanza e la globalizzazione dei mer-

cati su tutti) la cui magnitudo non ha precedenti nella

storia industriale italiana. Molte di queste imprese sono

sopravvissute facendo leva su una spiccata flessibilità e

adattabilità tipicamente italiane, mettendo in luce una re-

silienza che richiama ai valori di quei padri imprenditori da

cui l’attività d’impresa è iniziata nel secondo dopoguerra

italiano.

Oggi la media impresa rappresenta un elemento di

strategica importanza nel complesso ingranaggio dell’in-

dustria italiana. Pur rimanendo un soggetto centrale nelle

filiere locali, è divenuta nel corso degli anni un formidabile

ambasciatore della nostra cultura e creatività produttiva

nel mondo, contribuendo a creare e diffondere il valore

del brand Made in Italy. La media impresa è un serbatoio

e aggregatore di conoscenze tacite che sono alla base

dell’ingegno produttivo italiano e che ci consentono di ri-

manere il secondo Paese manifatturiero in Europa e il se-

sto al mondo. Emerge in questo senso l’importanza della

13

media impresa italiana come fattore imprescindibile per

la competitività dell’industria italiana e come necessario

punto di partenza per la futura agenda industriale nazio-

nale. A partire da tale considerazione, il progetto Fabbrica

per l'Eccellanza è basato sulla convinzione che un soste-

gno efficace alla forza trainante delle medie imprese si ri-

percuota positivamente sulle piccole e microimprese e sul

sistema Paese nel suo insieme. La valorizzazione della me-

dia impresa manifatturiera non può prescindere tuttavia

da un’accurata comprensione del fenomeno in questione.

1.2 Fenomenologia della media impresa italiana

Da alcuni decenni a questa parte le piccole e medie im-

prese occupano una parte centrale degli studi industriali,

politici e accademici. L’Unione Europea in particolare dedi-

ca da sempre specifica attenzione alle imprese più piccole,

supportando la loro crescita attraverso dedicate linee di fi-

nanziamento31. Tale impegno viene inoltre supportato dalla

pubblicazione annuale del Report on European SMEs42da

parte della Commissione Europea al fine di monitorare la

crescita e lo sviluppo delle PMI in Europa. Considerando

l’Unione Europea a 28 stati, l’ultimo report pubblicato nel

2016 registrava 23 milioni di PMI attive nel 2015, il 92.8%

delle quali appartiene alla categoria delle micro imprese

(meno di 10 addetti). Nonostante l’indiscutibile e inevitabi-

le contributo economico e occupazionale generato dalle

micro e piccole imprese europee (90 milioni di persone oc-

cupate secondo il report), rimane evidente come la stra-

grande maggioranza delle PMI in Europa non raggiunga

nemmeno la dimensione di piccola impresa. Queste infatti

sono stimate essere solamente il 6% dell’intera popola-

3 Si veda ad esempio il programma Horizon 2020.

4 Annual Report on European SMEs, European Commission, November 2016

14

zione, mentre il rimanente 1.2% include medie e grandi

imprese. Di queste ultime, l’1% (ovvero 224.000 unità) è

dato da medie imprese, considerate secondo i paramenti

europei come imprese con fatturato annuo compreso tra

i 10 e i 50 milioni di euro e con personale impiega-

to compreso tra le 50 e 250 persone. Nono-

stante lo scarso peso nella popolazione

totale delle imprese europee, le medie

aziende nel 2015 contribuivano a ben il

17% della forza lavoro impiegata nei 28

Stati e al 18% del valore aggiunto com-

plessivamente generato.

L’importanza della media impresa

nell’economia europea e la sola parziale at-

tenzione dedicata a questa specifica classe di impresa

da parte di analisti e studiosi giustificano e motivano la

necessità di intraprendere uno studio sistematico di tale

tipologia di azienda. In Italia, un’indagine censuaria sulle

medie imprese manifatturiere è stata condotta dall’Ufficio

Studi di Mediobanca e dal Centro Studi di Unioncamere

attraverso una serie di pubblicazioni annuali dal 2002 al

2014. Da un punto di vista strettamente statistico, è in-

teressante notare come i parametri utilizzati per il cam-

pionamento delle imprese differiscano da quelli utilizzati

dall’Unione Europea. Secondo Mediobanca-Unioncame-

re, un’impresa può essere considerata media quando il

fatturato annuo è compreso tra i 16 e i 355 milioni di euro

e i dipendenti sono compresi tra le 50 e le 499 unità53.

Secondo i parametri utilizzati dalle indagini in questione,

la categoria della media impresa manifatturiera include in

Italia imprese considerate di grande dimensione in Europa

ed esclude giocoforza molte PMI che non raggiungono la

5 Il campione statistico complessivamente analizzato dal rapporto Mediobanca-U-nioncamere è pari a 3334 medie imprese.

15

quota minima dei 16 milioni (secondo la Commissione Eu-

ropea la soglia minima è di 10 milioni). Al fine di conciliare

i due differenti approcci statistici, è possibile considera-

re la categoria proposta da Mediobanca-Unioncamere

come una macro categoria che include imprese medie e

medio-grandi, dove le seconde si posizionano tra la so-

glia massima europea dei 50 milioni e quella di Medioban-

ca-Unioncamere di 355 milioni.

A livello statistico, la Cdo considera come impresa media

un’azienda con un fatturato compreso tra i 16 e i 335 milioni

e con una forza lavoro compresa tra i 50 e i 499 dipendenti.

In questo senso, la Cdo si allinea ai parametri statistici già

individuati nel rapporto Mediobanca-Unioncamere.

Aldilà delle puntualizzazioni statistiche, tale conside-

razione è propedeutica a un’integrazione delle esistenti

indagini quantitative con un approccio qualitativo. Que-

sta esigenza viene infatti corroborata da una lettura più

dettagliata dell’indagine di Mediobanca-Unioncamere. A

partire dal campione preso in esame dall’indagine, viene

spontaneo interrogarsi sull’esistenza di una qualche dif-

ferenza in termini di caratteristiche e di performance tra

medie imprese con 80-100 addetti e quelle con una forza

lavoro compresa tra le 250 e le 499 unità. A ben vedere,

sono queste due sottocategorie di imprese la cui diversa

dimensione non può non condizionare le rispettive deci-

sioni strategiche e le performance aziendali. L’indagine del

2014 mostra come solamente il 6.5% (o 449 unità) delle

imprese medie considerate dal campione faccia parte del-

la sottocategoria delle imprese ‘medio-grandi’, quelle cioè

la cui dimensione eccede i limiti indicati dalla Commissio-

ne Europea (250 addetti; 50 milioni di fatturato). Tutta-

via, l’indagine stessa limita la differenziazione tra diversi

sottogruppi di imprese a questa preliminare distinzione

senza approfondire eventuali divergenze di performance

16

all’interno del campione complessivamente considerato.

È proprio nel contesto dell’analisi comparata tra diver-

se categorie di medie imprese che crediamo esistano im-

portanti spazi per approfondimenti futuri. In particolare, è

doveroso osservare come sia a livello europeo

sia italiano la grande maggioranza delle PMI

appartiene in realtà alla categoria delle

micro e piccole imprese. Le stesse me-

die imprese isolate e considerate dal

campione Mediobanca-Unioncamere

sono per lo più realtà con meno di 250

dipendenti e che quindi in qualche modo

aderiscono ai parametri di media impresa

stabiliti dalla Commissione Europea. Ne con-

segue che in entrambi i modelli esistono delle sottocate-

gorie sottorappresentate e individuabili, rispettivamente,

nelle medie imprese (Commissione Europea) e nelle ‘me-

dio-grandi’ (Mediobanca-Unioncamere). Nonostante ciò

rappresenti un fenomeno alquanto prevedibile (il numero

delle imprese si abbassa al crescere della loro dimensio-

ne), rimane inconfutabile come un miglior bilanciamento

nel numero delle piccole e medie imprese in Italia riman-

ga tanto auspicabile quanto necessario.

Questa argomentazione è peraltro supportata da al-

cune interessanti statistiche elaborate dall’OCSE (Orga-

nizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)

relativamente al numero e alla dimensione media delle im-

prese nel mondo 64. In linea con quanto discusso poc’anzi,

è interessante osservare come in Italia nel 2014 venivano

registrate ben 328.486 micro imprese (0-9 addetti), qua-

si 100.000 unità in più rispetto agli Stati Uniti (228.477)

addirittura circa 200.000 in più della popolazione attiva

in Germania (138.436). Numeri strabilianti ma allo stesso

6 https://data.oecd.org/entrepreneur/enterprises-by-business-size.htm

17

tempo preoccupanti. Spostando infatti il focus dalle mi-

cro alle medie imprese (50-249 addetti), si scopre infatti

come il numero di tutte le medie imprese italiane operative

nel 2014 era pari a 8.349, circa un terzo delle imprese di

pari dimensione attive negli Stati Uniti (22.893) e la metà

di quelle registrate in Germania (16.484). Mentre un con-

fronto con gli Stati Uniti appare piuttosto complesso, data

la diversa natura e organizzazione delle economie italiana

e americana, il paragone con le medie imprese tedesche

è particolarmente utile. Germania e Italia sono infatti, ri-

spettivamente, la prima e la seconda economia manifat-

turiera in Europa e spesso partecipano alle medesime ca-

tene globali del valore, specialmente nella meccanica e

nell’automotive. L’industria tedesca offre inoltre una serie

di interessanti benchmark su temi quali produttività, tec-

nologia e Industria 4.0 e modelli di globalizzazione. Ambiti

questi in cui un nucleo forte di grandi e medie imprese te-

desche fa da capofila per l’intero comparto industriale do-

mestico. La differenza nel numero delle medie imprese tra

Italia e Germania richiede pertanto una riflessione appro-

fondita a partire dall’analisi degli ostacoli che impediscono

alle nostre imprese di “scalare”, sia in termini quantitativi

sia qualitativi. La produttività complessiva del nostro Pae-

se sembra infatti essere legata a questo specifico aspet-

to, soprattutto se consideriamo che la competitività delle

medie imprese italiane ha pochi rivali nel mondo. La cre-

scita numerica di questo nucleo di imprese eccellenti va

pensata dunque come una straordinaria leva competitiva

da utilizzare per sfruttare appieno le potenzialità del nostro

complesso sistema produttivo e per sostenere la crescita

economica italiana nel medio e lungo periodo.

1.3 Oltre la crescita quantitativa: medie imprese e compe-

titività territoriale

Le statistiche censuarie discusse in breve nel capitolo

18

precedente mettono in evidenza la necessità di pensa-

re a politiche industriali orientate a supportare la crescita

dimensionale delle PMI italiane. La crescita strutturale di

una parte delle esistenti imprese italiane permetterebbe

la creazione di nuovi posti di lavoro, l'aumento de-

gli investimenti in innovazione e in strategie

di apertura internazionale e l'aumento del

gettito fiscale. Una crescita coerente e

stabile deve essere tuttavia misurata

non solamente attraverso l'analisi di

meri indici quantitativi quali ad esem-

pio il fatturato o la capitalizzazione di

mercato, ma anche da una serie di para-

metri qualitativi, quali responsabilità socia-

le, Corporate family responsibility75, inclusione di giovani

lavoratori, capacità di attrarre idee e capitali dall'estero,

tutela delle diversità. In altre parole, la crescita imprendi-

toriale qui delineata è una crescita organica e duratura

nel tempo, che sia misurabile anche e soprattutto attra-

verso l'impatto delle medie imprese del futuro sul siste-

ma industriale italiano e sui vari territori produttivi legati

alle dinamiche competitive delle aziende maggiormente

strutturate. È quest'ultimo un passaggio particolarmente

importante e critico per chi ha a cuore la futura competi-

tività dell'industria italiana e la sostenibilità economica e

sociale del nostro Paese.

Il rapporto tra le medie imprese italiane e i vari territo-

ri in cui esse operano è stato ampiamente trattato dalla

letteratura italiana e internazionale dei distretti industriali.

Particolare risalto è da sempre dato al ruolo delle piccole

imprese specializzate (distrettuali e non) nel contribuire

7 Corporate family responsibility (CFR) è un concetto ideato dalla Cdo per pon-derare il rapporto tra lo sviluppo sociale e lo sviluppo economico all'interno di un contesto aziendale, laddove per sviluppo sociale si intendono le attività dedicate alla valorizzazione della famiglia mentre per sviluppo economico si fa riferimento alle misure orientare alla crescita aziendale. Un equilibrato rapporto tra questi due aspetti determina un CFR ottimale.

19

alla creazione di un tessuto produttivo particolarmente

fertile per i modelli competitivi delle aziende medie o lea-

der di filiera. Fino a pochi anni fa, infatti, l'organizzazione

industriale dei territori italiani era in grado di generare una

serie di vantaggi competitivi (flessibilità produttiva, inno-

vazione di processo, customizzazione) che garantivano

alle imprese leader di essere maggiormente performanti

rispetto agli esistenti concorrenti internazionali. Oggi tutto

questo non basta più. Servono nuove competenze, nuove

risorse, nuove idee. Ne hanno bisogno le medie imprese

per rimanere competitive nello scenario globale e ancor di

più servono agli ecosistemi produttivi italiani per evolve-

re, progredire e adattarsi alle nuove pressioni competitive.

Molte volte ci piace pensare che il cambiamento organiz-

zativo parta dal basso, ma in realtà sono spesso le istitu-

zioni più importanti a favorire l'adozione di nuovi standard

e pratiche all'interno di determinati contesti socio-eco-

nomici. Le imprese medie rappresentano in questo senso

delle istituzioni di primaria importanza nei territori indu-

striali italiani, sia per la storia che li lega ad essi, sia per la

conoscenza di un linguaggio comune, il linguaggio tacito

della produzione. Ed è per questo che la crescita dimen-

sionale e qualitativa delle medie imprese non deve esse-

re vista solamente come un tema di strategia aziendale e

sviluppo imprenditoriale, bensì come una questione di po-

litica industriale di interesse nazionale. Se infatti da un lato

le medie imprese mantengono un accesso diretto e non

mediato ai territori produttivi, dall'altro rappresentano dei

ponti di collegamento formidabili con il mondo globalizza-

to. Catalizzano idee e input innovativi, nuovi gusti e trend

di mercato, nuove commesse e ordinativi. Li codificano e

li trasmettono all'interno delle proprie filiere produttive, ali-

mentando in questo modo una condivisione continua di

nuova conoscenza.

20

È a partire dalle decisioni delle imprese leader del pros-

simo futuro che dipenderanno i destini di molti di quegli

ecosistemi industriali che hanno guidato la “rivoluzione

industriale” italiana a partire dagli anni '70. Decisioni ri-

guardanti investimenti in tecnologia e capitale

umano, apertura internazionale diretta e

socialmente sostenibile, integrazione di

governance familiari e manageriali, valo-

rizzazione del brand e adozione di nuovi

modelli di comunicazione. Sono questi

a ben vedere elementi che richiamano

a quella complessità accennata breve-

mente nell'introduzione che rappresenta

oggi un fattore chiave per la competitività e

il progresso di qualsiasi sistema economico. È una com-

plessità che in questo caso assume un connotato po-

sitivo e che si lega inevitabilmente all'idea di varietà e di

differenziazione, elementi centrali nella concezione con-

temporanea del Made in Italy. È una complessità che si

rifà al grande valore estetico e funzionale di moltissimi dei

nostri manufatti e che ci rende per svariati aspetti ancora

unici al mondo. È infine una complessità che ci richiama a

un grande senso di responsabilità nel comprendere come

si possa guidare il cambiamento attraverso l'individuazio-

ne di un percorso di crescita efficace, condiviso e soste-

nibile nel tempo.

21

2.1 Mission e obiettivi del programma Fabbrica per

l'Eccellenza

È a partire dal riconoscimento del ruolo e dell'importanza

delle medie imprese nel sistema economico italiano che è

stato avviato il progetto Fabbrica per l'Eccellenza. Fabbri-

ca per l'Eccellenza ha come obiettivo la creazione di una

learning community di medie imprese italiane attraver-

so la quale condividere problematiche, riflessioni e best

practice funzionali alla crescita aziendale sostenibile nel-

lo scenario competitivo globale. Fabbrica per l'Eccellenza

è un nuovo spazio di confronto, di lavoro e di relazioni di-

segnato attorno alle sfide e alle esigenze delle medie im-

prese italiane, in particolar modo quelle manifatturiere. La

mission di medio-lungo periodo è supportare la competi-

tività delle medie imprese attraverso lo sviluppo colletti-

vo di una serie di progetti operativi le Fabbriche temati-

che, all'interno dei quali ciascuna azienda associata avrà

modo di lavorare assieme ad accademici, professionisti

specializzati ed altre imprese medie italiane operanti nel

medesimo e in altri settori industriali. Fabbrica, dunque, a

rimarcare il carattere operativo di un progetto finalizzato

a valorizzare l'eccellenza del sistema industriale italiano

e a potenziare la competitività dei suoi attori principali, le

medie imprese.

Fabbrica per l'Eccellenza è un'iniziativa aperta sia ad

aziende già appartenenti alla categoria delle medie im-

prese, sia ad organizzazioni più piccole, ma ad alto po-

tenziale di crescita. Nel primo caso, il focus sulla crescita

aziendale andrà maggiormente (ma non esclusivamente)

a focalizzarsi su aspetti qualitativi; diversamente, per le

aziende più piccole il fulcro degli interventi sarà incentrato

Fabbrica per l'Eccellenza: un nuovo percorso per le medie imprese italiane 2.

22

tanto sulla crescita dimensionale quanto su quella quali-

tativa. È in questo senso doveroso precisare come questi

due aspetti di crescita aziendale siano in realtà comple-

mentari più che alternativi. È difficile infatti per qualsiasi

impresa poter immaginare di sostenere una cre-

scita dimensionale di lungo periodo sen-

za una parallela crescita qualitativa. Allo

stesso tempo, tuttavia, è attraverso la

crescita dimensionale che un'impresa

spesso riesce a stimolare e sostenere

economicamente un percorso di cresci-

ta qualitativa.

Nel breve periodo, Fabbrica per l'Eccel-

lenza si propone di creare una comunità di

medie imprese con cui condividere una serie di obiettivi

e di valori che vanno al di là del mero spazio competitivo

aziendale. Tali valori si rifanno alla solidarietà tra perso-

ne e organizzazioni, all'aiuto reciproco e alla condivisone

di conoscenze ed esperienze, alla tutela e miglioramento

dei beni comuni. In particolare, lo spirito di Fabbrica per

l'Eccellenza si identifica in tre valori fondativi:

1. Manifattura: Come elemento portante del sistema

economico italiano, ma anche come ambito in cui poter e

dover intervenire al fine di potenziare e migliorare il tessuto

industriale domestico. Manifattura in questo ambito viene

considerata nella sua accezione più ampia, non limitata a

meri aspetti tecnico-produttivi, ma aperta ad un continuo

e necessario dialogo con il settore terziario e in partico-

lar modo con provider di servizi strategici. Se la bellezza

e la qualità rappresentano due indiscutibili punti di forza

del Made in Italy, la digitalizzazione, il presidio di canali di-

stributivi globali e il racconto delle nostre eccellenze sono

ambiti che offrono oggi ampi spazi di miglioramento.

2. Relazioni: La capacità di far fronte alla varietà e alla

23

complessità dello scenario competitivo attuale dipende in

grande parte dalla capacità di attivare e coltivare relazioni

tra imprese e persone. Gli imprenditori italiani si differenzia-

no spesso per la loro innata capacità a sapersi adattare a

qualsiasi scenario sociale; allo stesso tempo appare tut-

tavia necessario investire nel potenziamento della gestio-

ne delle relazioni professionali con partner globali, spesso

condizionate da una presenza non diretta e costante in

mercati chiave. Il miglioramento delle relazioni tra impre-

se non è circoscritto ai rapporti con l'estero, ma riguarda

anche il contesto economico domestico nel quale sembra

ancora mancare un'apertura sistematica al confronto e

allo scambio di esperienze tra imprese.

3. Capitale Umano: La creatività e il genio italiano rap-

presentano due elementi chiave nel successo del Made

in Italy. Siamo grandi produttori e spesso anche grandi

inventori. È un'innovazione, quella italiana, che predilige

dinamiche di sviluppo e di trasmissione informali ma che

sacrifica molte volte investimenti in ricerca e sviluppo, re-

lazioni con le università e più in generale la valorizzazione

delle competenze di giovani professionisti, tutti fattori che

invece potrebbero invece rafforzare e sviluppare ulterior-

mente la presenza italiana nel mondo.

A partire da questi valori e dalla mission di Fabbrica per

l'Eccellenza, le prossime pagine saranno dedicate alla pre-

sentazione dei primi progetti operativi attivati a supporto

delle medie imprese. Per ciascuno di questi si procederà

con una sintesi dello scopo del progetto e con una breve

discussione di best practice studiate attraverso dei casi

di approfondimento di aziende medie di successo.

2.2 Progetto Identità e Valori d'Impresa

Punto di partenza generale del progetto Identità e valori è

quello di provocare gli imprenditori a partire da quello che

24

retoricamente si definisce un dilemma: «Fare impresa è un

atto individuale o collettivo?». L'atto iniziale dell'intrapren-

dere è sì individuale - ciascuno rischia la “propria faccia”,

spende energie, risorse, relazioni - ma poi, affinché que-

sto atto possa durare nel tempo e avere ricadute

positive nei vari contesti, occorre che diven-

ti un atto collettivo. Occorre il coraggio di

aprirsi agli altri per sviluppare l'impresa e

le comunità.

Il progetto dedicato all'Identità e ai

Valori d’Impresa vuole dunque appro-

fondire un quesito fondamentale sulla

governance di un'azienda: come i valori

di un’impresa incidono sulla definizione del-

le strategie e sulle impostazioni delle sue diverse attività

economiche?

Partendo dalla condivisione di best practice rispon-

denti a tale domanda, questa sezione della Fabbrica per

l'Eccellenza si propone di evidenziare come ogni organiz-

zazione vive di valori impliciti o espliciti che ne determina-

no il proprio ruolo di attore socio-economico. In particola-

re, l'insieme delle dinamiche riguardanti i valori d'impresa

possono:

• Diventare un fattore di grande opportunità per lo svi-

luppo imprenditoriale

• Coinvolgere persone, organizzazioni e istituzioni at-

traverso una condivisone chiara e consapevole dei

valori che sostengono l’impresa come realtà econo-

mica, sociale e anche culturale.

Attraverso la creazione di un luogo di confronto e di

lavoro aperto anche a docenti universitari e altre profes-

sionalità, il progetto ha l'obiettivo di elaborare una Carta

dei Valori per le decisioni aziendali, che possa qualificar-

si come un efficace strumento di confronto sui sistemi

25

di governance, sulla responsabilità sociale e sulla natu-

ra stessa dell'impresa. A suffragare questo lavoro sta la

consolidata riflessione di Cdo sul ruolo dell'imprenditore e

sulla sua responsabilità nel contesto socio economico di

oggi, sulle modalità concrete per coinvolgere i collabora-

tori per incontrare le esigenze del cliente e per realizzare

l'innovazione.

Un complementare filone del progetto riguarda l'identi-

ficazione di indicatori quantitativi che mostrino l'incidenza

positiva sullo sviluppo dell'impresa di quelle "virtù irrinun-

ciabili" dell'imprenditore che conseguono, e in un certo

senso precedono, l'adesione e il riconoscimento nella

Carta.

Dinnanzi a un'icona mondiale del Made in Italy come Ki-

ton, viene spontaneo interrogarsi su quali siano i valo-

> Fatturato 2016118 milioni +6% vs 2015

> Numero collaboratoripiù di 800

> Sedi produttive5 in Italia: Napoli (la più importante, 450 persone), Caserta, Parma, Fidenza,Biella (lanificio, Barbera acquisito 7 anni fa, dove viene prodotta la maggior parte della collezione tessuti)

> Negozi monomarca40 in 15 Paesi, il più recente aperto a Hong Kong

> Prodottiabbigliamento d’alta moda e outdoor: giacche, camicie, cravatte, scarpe, maglieria, occhiali e linea femminile

Il caso KITON

26

ri distintivi dell'azienda campana. È questa la domanda

che rivolgiamo ad Antonio De Matteis, CEO di Kiton du-

rante un incontro in azienda avvenuto nel luglio 2017.

Al primo posto c’è la qualità, intesa come quel percor-

so che, dalla scintilla dell’atto creativo, arriva fino all’e-

sperienza del cliente. Seguono la capacità di innovare,

il tempismo nel guardare dove va il mercato e un’infinità

di intuizioni e competenze che arrivano dal «marciapie-

de». Prima di qualsiasi altro valore aziendale, però, c’è

l’esempio, inteso come il fare tesoro dell’insegnamento

ricevuto da chi ha avviato tutto; non alla stregua di una

lezione da ripetere in modo asettico, ma per rivivere un

impegno in prima persona e proporlo ai propri collabora-

tori per raggiungere i nuovi traguardi.

Fondata nel 1968 da Ciro Paone, nel 2016 Kiton ha ge-

nerato un fatturato pari a 118 milioni di Euro e conta ben

40 negozi monomarca distribuiti in 15 paesi. La storia del-

lo sviluppo di un’azienda è sempre lo specchio del modo

in cui i suoi valori incidono sulla definizione delle strategie

e delle diverse attività operative, dalla ricerca alla produ-

zione, dal marketing al post vendita. Nel caso di Kiton,

l’esplicitazione costante di questi valori, sia internamen-

te che esternamente, è diventato un importante fattore

di differenziazione per l'impresa e un elemento centrale

nell'identità aziendale. De Matteis spiega con una sem-

plicità tutta napoletana il tema della qualità come primo

valore aziendale attraverso alcuni ricordi degli insegna-

menti del fondatore:

«Mio zio non riferiva la qualità soltanto al prodot-

to, ma anche a tutto ciò che lo circonda: la quali-

tà della vita dei nostri artigiani, del servizio, delle

relazioni: un’attenzione costante, a 360° + 1 come

dice il nostro motto aziendale».

Il legame tra identità e sviluppo è chiaro quando ci si

27

focalizza sulla qualità della vita delle persone che lavo-

rano in azienda:

«Lo zio, che conosceva le vecchie sartorie di una

volta dove gli ambienti di lavoro erano molto an-

gusti, ha sempre cercato di creare un ambiente

nel quale i suoi artigiani potessero stare più che

bene. La vera responsabilità è far stare bene le

persone che lavorano con noi e questo secondo

me è uno dei nostri punti di forza, che credo renda

lo spirito della nostra azienda abbastanza unico».

Anche la qualità del manufatto Kiton, secondo De Mat-

teis, è il diretto risultato della valorizzazione dei lavoratori da

parte dell'azienda, sia in azienda che al di fuori di questa:

«Il nostro prodotto è il frutto di un lavoro intera-

mente manuale e, come ci ha insegnato mio zio,

per lavorare a mano ci vuole la “testa fresca” e se

a casa tua non stai bene non ce l’avrai mai».

Proseguendo il viaggio dentro Kiton attraverso l’esplici-

tazione dei valori d’impresa, emerge un’altra di quelle che

si potrebbero considerare come le virtù irrinunciabili per

un imprenditore:

«La capacità di innovare: qualsiasi azienda, qual-

siasi lavoro non finisce, si trasforma. Siamo riusciti

negli anni a inserire altri prodotti, ma sempre con

la nostra mentalità, il che significa che dietro ogni

nuovo prodotto c’è un’azienda produttiva di nostra

proprietà».

Così, per inaugurare le collezioni di camicie, è stata cre-

ata una camiceria, lo stesso dicasi per le cravatte e per i

giacconi, che vengono prodotti a Parma. Per le maglie è

stata acquisita una ditta a Fidenza, mentre per la linea di

pantaloni sportivi una a Caserta. È questo un interessante

esempio di innovazione organizzativa, oltre che di prodot-

to. Kiton cresce in dimensione pur facendo fede alla pro-

28

pria identità aziendale e lo fa mettendo a sistema alcune

competenze manifatturiere diffuse sul territorio italiano.

2.3 Progetto Competenza e Selezione

Il capitale umano riveste un ruolo centrale nello svi-

luppo del sistema economico di ogni paese. A

maggior ragione, per un’impresa di medie

dimensioni che basa la gran parte della

propria competitività sulla competenza,

la selezione del capitale umano assu-

me una valenza strategica, tanto più in

un’economia della tecnologia e della co-

noscenza dove contano sempre di più le

idee e gli individui e meno gli oggetti.

I mass media raccontano con cadenza quoti-

diana di aziende che non riescono ad assumere perché

non trovano le competenze specifiche di cui hanno biso-

gno. È per altro noto che in Italia ci siano pochi laureati

rispetto alle esigenze delle aziende, soprattutto nelle di-

scipline tecniche e scientifiche. Contemporaneamente, il

nostro Paese presenta un tasso di disoccupazione gio-

vanile elevatissimo. Competenza e capitale umano si par-

lano spesso con difficoltà, presentando alcune asimme-

trie informative oltre che problemi di accesso del capitale

umano alle competenze.

In questo contesto è stato realizzato il progetto Compe-

tenza e Selezione focalizzato sulla qualità e la selezione

del capitale umano in ambito aziendale.

Sono molteplici le aziende che necessitano di trovare

una soluzione originale alla relazione tra competenze e

capitale umano, aspetto che le ha messe di fronte a sva-

riati problemi, quali i passaggi generazionali e il subentro

e affiancamento di manager alla proprietà.

Questo progetto è il tentativo di dare un contributo ef-

29

ficace per la soluzione a un problema che è stato posto

direttamente da alcune aziende: di fatto si configura come

spazio di confronto operativo sulle problematiche relative

al binomio Competenza-Capitale Umano per le imprese di

medie dimensioni.

Se alcune aziende – tendenzialmente di grandi dimen-

sioni – hanno infatti risolto tali questioni con la costituzione

di Academy interne, centri polifunzionali e centri di ricer-

ca, il progetto intende approfondire e testare una proposta

originale rivolta alle medie aziende, che Cdo ha deciso di

testare prima su se stessa: la prova consiste nel lancio del

Premio Cdo per l’economia grazie al quale, attraverso una

talent competition, verranno selezionati dei giovani ricer-

catori per rafforzare il Centro Studi Cdo.

Questo test contribuirà dunque all’elaborazione di un

innovativo meccanismo di selezione del personale, pro-

muovendo delle talent competition per favorire l'incontro

tra domanda e offerta, supportando in questo modo la

mobilità sociale ed economica del mercato del lavoro.

30

> Fondazione1986

> Numero collaboratori500

> Sedi Italia (Milano), USA, Brasile, Svizzera

> AttivitàBeta 80 Group è presente nei suoi principali settori di mercato

con tre business unit.La BU ICT Services & Solutions supporta i clienti nella Digital

Transformation, con best practice, approcci agili e tecnologie innovative.

La BU Emergency & Crisis Management è leader in Italia con le sue piattaforme per le Centrali Operative del 112 e 118.

La BU Supply Chain & Warehouse Management ha una tradizione di progetti in ambito logistico di 30 anni, con piattaforme software

proprietarie per magazzini tradizionali e automatici

Il caso BETA 80 GROUP

Due recenti decisioni aziendali segnano l'approccio di Beta

80 - impresa milanese del mondo IT - alla gestione del ca-

pitale umano: un anno fa, la svolta organizzativa che ha

propiziato l’ingresso di ottanta persone in azienda e la con-

seguente nomina di giovani manager a capo di due delle

tre nuove business unit; da meno di un mese, l’avvio di un

ciclo di lezioni nell’università del Sannio (Benevento) per

potenziare il confronto tra studi teorici e applicazioni tec-

nologiche nel campo dell’emergency management. Nono-

stante sia difficile sintetizzare il modus operandi di Beta 80

attraverso il racconto isolato di due recenti avvenimenti,

crediamo che questi siano due momenti emblematici nel

descrivere il ruolo decisivo che l'approccio alla gestione

31

del capitale umano abbia avuto lungo il percorso che ha

trasformato una piccola impresa familiare in una media im-

presa strutturata, capace oggi di reinvestire il 100% degli

utili in azienda. La filosofia aziendale è perfettamente rias-

sunta da Alfredo Lovati, Presidente e fondatore:

«Non abbiamo costruito esclusivamente per noi,

ma per chi verrà dopo di noi: senza un’attenta va-

lorizzazione delle persone non è possibile gene-

rare uno sviluppo duraturo nel tempo, che è ciò

che maggiormente ci interessa».

All'interno del contesto aziendale, è interessante no-

tare che tale approccio sia emerso proprio nei momenti

chiave della trasformazione da piccola a media azienda

in un settore, quello IT, che è al contempo driver e oggetto

di cambiamento. Il primo momento è stato la «dirompente»

occasione che ha convinto i soci fondatori a separare la

proprietà dall’operatività:

«Da un lato il fatto che i soci ricoprissero incarichi

manageriali era un ostacolo per le persone che

potevano crescere in azienda, dall’altro, emerge-

va l’esigenza di nuove professionalità manageria-

li non presenti all’interno».

Per rinforzare la governance aziendale occorreva dun-

que «un quadro più chiaro e definito di deleghe e respon-

sabilità, fattore essenziale e decisivo per il processo di svi-

luppo e per la crescita delle persone, ad ogni livello».

Il percorso di crescita aziendale ha portato in questi

ultimi anni Beta 80 ad incontrare mediamente 400 perso-

ne all’anno nel processo di selezione: negli ultimi 3 anni

sono state introdotte circa 50 nuove persone all’anno,

con il picco di 80 nel 2016 in seguito alla riorganizzazione

nelle tre nuove business unit. L’azienda è dunque molto

attiva nell’inserimento di nuovi lavoratori, proponendo

loro tirocini curriculari ed extra curriculari. Sono questi dei

32

percorsi impostati con lo scopo di scoprire precocemente

quelle skill – tecniche e caratteriali – considerate rilevanti

per una possibile crescita in azienda. A supporto di que-

sto processo, l'azienda coltiva da anni una collaborazione

con il Politecnico di Milano. Lo scopo di entrambe le ini-

ziative è quello di andare oltre le presentazioni dal sapore

«promozionale» che spesso si svolgono nelle università,

ma di collaborare con docenti e luoghi di ricerca per met-

tere a fattor comune le competenze specifiche proprie di

un’azienda tecnologica:

«Abbiamo impiegato molto tempo per costruire

queste sinergie, ricercando tematiche nelle qua-

li l’università è impegnata con le sue unità di ri-

cerca – come il machine learning, l’internet delle

cose, i social media – applicabili sul fronte dell’in-

novazione nella nostra azienda».

Tuttavia, la costante attenzione alla selezione di nuove

competenze si scontra con alcune difficoltà che potrem-

mo definire di sistema, ben riassunta dallo stesso Lovati:

«Per poter attingere a giovani talenti di serie A,

occorre aprire canali di confronto sistematici con

gli atenei, senza dover temere la quasi ineluttabi-

le scelta preventiva dei giovani verso i big player,

quali le grandi aziende di consulenza: i giovani

ingegneri sono convinti che sia indispensabile

passare per una sorta di tritacarne professionale

nei primi anni al fine di potersi poi meritare un po-

sto al sole. Succede così, ma noi siamo qui a dire

che non è obbligatorio, che ci sono altri modi per

crescere professionalmente».

L’auspicio dell’azienda, che certamente non è sola

in questa frontiera, è quello di trovare dei canali efficaci,

nuove forme e modalità di collaborazione con le universi-

tà (ma anche con altri ambiti dove si aggregano i talenti)

33

che possano portare alla segnalazione e alla selezione di

nuovi collaboratori.

2.4 Progetto Trasformazione Digitale

Quali cambiamenti porterà la digitalizzazione nel mondo

del lavoro, delle imprese e tra le persone? Sempre più at-

tività possono essere delegate alle macchine, ma il ruolo

dell'uomo resta fondamentale e insostituibile. Per favorire

l'integrazione tra nuove tecnologie e persone è necessa-

rio tuttavia investire nelle competenze e conoscenze digi-

tali. Il piano nazionale Industria 4.0 introdotto dal Ministero

dello Sviluppo Economico si inserisce in questo contesto

come valido supporto alla digitalizzazione del sistema pro-

duttivo italiano e Cdo intende approfondirne le potenzialità

per offrire strumenti concreti alle imprese e alle persone,

permettendo loro di essere attori di un cambiamento fu-

turibile e non più semplici fruitori passivi dell’era digitale.

La rilevante attenzione mediatica dedicata ai temi di Indu-

stria 4.0 rischia però di renderci miopi di fronte alla vera

portata della trasformazione digitale, che non riguarda

esclusivamente il comparto manifatturiero ma, al contra-

rio, investirà qualsiasi aspetto dell'agire umano.

È proprio a partire da questa considerazione che il pro-

getto Trasformazione Digitale si propone di evidenziare le

criticità legate alla digital transformation e di illustrare gli

strumenti a disposizione delle imprese italiane per poter

beneficiare appieno dei cambiamenti introdotti. Il progetto

avrà un approccio di ampio respiro e affiancherà al tema

dell'Industria 4.0 ulteriori argomenti come il Digital Single

Market e la Cyber Security legata all’interconnessione

globale delle aziende e delle persone. A partire dalla trat-

tazione di temi rilevanti legati alla trasformazione digitale,

il presente progetto intende lavorare assieme alle imprese

associate nella ricerca di soluzioni innovative anche per

34

la digitalizzazione dei lavoratori, come ad esempio i Digital

Transition Manager, figure professionali in grado di affian-

care le imprese nella transizione digitale grazie alla propria

esperienza e alla capacità di leggere gli eventi economici,

politici e sociali del terzo millennio.

L’obiettivo centrale del progetto è dunque quello di pre-

sentare un’analisi completa del fenomeno digitalizzazio-

ne, per fornire strumenti e spunti di riflessione che pos-

sano essere immediatamente utili agli imprenditori che si

stanno interrogando su che strada seguire per traghetta-

re le proprie aziende nel futuro.

> Fondazione1946

> Numero collaboratori300

> Fatturato 2016 90 mln €

> SedeLecco

> AttivitàICAM è una storica azienda italiana attiva nel comparto alimentare dal 1946. L'azienda è specializzata nella produzione dolciaria ed in

particolar modo del cioccolato e si caratterizza per una produzione di alta qualità ad alto contenuto tecnologico.

Il caso ICAM

Per il settore agro-alimentare italiano e, in particolare, per

chi si batte per la visibilità del Made in Italy sulle tavole di

tutto il mondo, tre sono le parole chiave su cui far conver-

gere la competitività aziendale: tracciabilità, sostenibilità,

personalizzazione. Partendo da questo insieme di valori,

lo stabilimento principale di ICAM è stato pensato seguen-

35

do progetto molto chiaro: la creazione di un grande spazio

produttivo (50mila metri quadri) con una grande atten-

zione agli standard ambientali e una capacità produttiva

di 120 tonnellate di cioccolato al giorno. Grazie alle linee

produttive collegate ai sistemi di controllo della qualità e

alle funzioni automatizzate di modellazione, l’azienda è in

grado di modificare i propri volumi di produzione molto più

velocemente rispetto al passato, garantendo la traccia-

bilità delle materie prime e di ogni barretta di cioccolato

che esce dallo stabilimento. Il percorso di selezione del

cioccolato, dalle piantagioni in Perù, Uganda e Repubblica

Domenicana viene monitorato ed etichettato: ancor prima

dell’arrivo al porto di Genova alcuni campioni di fave di ca-

cao vengono spediti al laboratorio per essere controllati,

lo stesso procedimento viene effettuato sui sacchi che

entrano in magazzino e sulla pasta ottenuta alla prima la-

vorazione. Il processo ci è ben spiegato da Plinio Agostoni,

vicepresidente dell'azienda:

«Da quando arriva in azienda a quando diventa

cioccolato tutto il processo viene controllato da

un sistema centrale e non si può procedere agli

step successivi se non si rispettano i parametri

impostati: perché tutto questo avvenga in tempi

efficienti senza perdere il controllo sulla qualità

è stato necessario implementare un processo di

condivisione dei dati basato sul dialogo tra le sin-

gole macchine e la control room».

Un esempio virtuoso di industria 4.0, ancora più inte-

ressante se si considera il periodo di adozione delle nuove

tecnologie:

«Il fattore tempo è certamente decisivo in un’a-

zienda che opera nel settore perché se è vero che

la nostra rivoluzione è iniziata nel 2010 con l’in-

serimento dei nuovi macchinari, da sempre siamo

36

attenti alle indicazioni che provengono dal mer-

cato. Pensiamo ai prodotti biologici, alla crescita

di sensibilità per la presenza di glutine o olio di

palma negli alimenti: se non avessimo la possibi-

lità di modificare i lotti produttivi mantenendo la

tracciabilità totale di quello che esce dal nostro

stabilimento avremmo già perso la sfida in par-

tenza».

La scelta di puntare con decisione sull’innovazione

tecnologica fa certamente parte del Dna dell’azienda ma

di fronte alle tante novità potenzialmente collegate all’in-

dustria 4.0 è stato necessario far fronte a ingenti investi-

menti e ripensare l'organizzazione produttiva aziendale:

«L’azienda lavora 24 ore al giorno, festivi compre-

si, dopo l’investimento di 70 milioni di euro che

ha portato a una crescita del 33% negli ultimi 4

anni».

L'utilizzo di nuove tecnologie non è limitato alle attivi-

tà di produzione ma riguarda anche lo sviluppo del pro-

dotto. Per lanciare il suo ultimo cioccolatino fatto con olio

biologico calabrese, ICAM ha infatti sostenuto 681 test

per affinare e migliorare la qualità del cioccolato: senza la

connessione tra il laboratorio di ricerca, i controlli sulle ma-

terie prime e la possibilità di personalizzare la produzione

non sarebbe stato possibile rispettare il cronoprogramma.

Lungo la linea produttiva sono stati inseriti sensori e mi-

suratori elettronici in grado di gestire 350 differenti ricette.

Un esempio concreto dunque di come la trasformazione

digitale sbilanci l’azienda verso la collaborazione e un’or-

ganizzazione a rete: favorire lo scambio di informazioni non

è più solo un concetto caro alle funzioni ICT dell’azienda o

all’area amministrativa, ma diventa l’occasione anche per

chi fa Ricerca e Sviluppo, per il marketing e per il rapporto

con i fornitori per migliorare i processi, per rafforzare tutta

37

la filiera e aprirsi nuovi scenari di mercato. La riconoscibilità

del prodotto Made in Italy, soprattutto in un settore delicato

come quello alimentare che è spesso minacciato da ag-

guerriti concorrenti low cost, trova nel supporto tecnologi-

co il primo e più valido alleato per mantenere e rafforzare

le esistenti posizioni di mercato e per sostenere la crescita

soprattutto nell’export.

2.5 Progetto Crescita sostenibile

Le strategie di crescita di un’azienda possono essere in-

fluenzate da condizioni esterne ed interne all’azienda stes-

sa. Tra le principali condizioni esogene vi può essere una

tendenza alla crescita del sistema economico o del proprio

settore, così come la presenza di politiche creditizie, fiscali,

economico-finanziarie e sindacali favorevoli. Le condizioni

endogene che possono favorire la scelta e l’attuazione di

una strategia di crescita appartengono, invece, alla sfera

manageriale e alle caratteristiche strutturali ed economi-

co-finanziarie dell’azienda.

Il progetto Crescita Sostenibile si focalizzerà sulla cre-

scita che deriva da scelte di gestione e strategie impren-

ditoriali. Gioverà ricordare che nell’attuale contesto eco-

nomico nazionale il tema della crescita dimensionale delle

medie aziende è divenuto centrale in quanto funzionale ad

un miglior posizionamento strategico delle nostre imprese

all’interno della competizione globale. Alcuni dati elaborati

da KPMG sulle operazioni di M&A (Merger & Acquisition) in-

dicano come nel primo semestre 2017 vi sia stato un incre-

mento del 30% in termini di numero di operazioni rispetto

allo stesso periodo del 2016; nel primo semestre 2017 sono

state chiuse 390 operazioni contro le 298 dell'anno prece-

dente. Oltre al vivace interesse degli investitori esteri verso

gli asset italiani, è stata registrata una crescita anche nel

numero delle operazioni all’interno del mercato domesti-

38

co: nel periodo considerato sono state finalizzate ben 183

operazioni contro le 145 del primo semestre 2016. Molto at-

tive, in particolare, si sono rivelate le piccole-medie azien-

de: solo 8 sono state le operazioni che hanno registrato un

controvalore superiore ai 100 milioni. A risentirne

è stato però il controvalore totale delle ope-

razioni finalizzate, che si è attestato a soli

4,3 miliardi (contro gli 8,5 miliardi regi-

strati dodici mesi fa).

Analizzando questi dati, il proget-

to Crescita Sostenibile ha preso vita

attorno a un tavolo al quale siedono

rappresentanti del mondo accademico,

professionale, advisor finanziari qualificati e

manager di imprese medio-grandi. I partecipanti si sono

mossi a partire da alcune domande chiave: possono le

operazioni di acquisizione essere un fattore strategico per

la competitività delle imprese italiane nel mercato globale?

Esistono esempi di eccellenze che hanno consolidato o in-

crementato il loro posizionamento sul mercato attraverso

operazioni di M&A? Esistono best practice da seguire per

le medie italiane? Quali sono i fattori di successo in queste

operazioni? E quali invece le criticità da affrontare? At-

traverso incontri tematici si approfondiranno gli aspet-

ti che caratterizzano le fasi tipiche di un’operazione di

acquisizione, sia essa di tipo domestico (Italia su Italia)

sia cross-border (Italia su estero e viceversa). Si tratta di

operazioni estremamente complesse che vanno gestite

con un approccio sistematico. Da qui l’idea di sviluppare

le diverse fasi esponendo per ogni case study esempli-

ficativo. Il focus inizialmente sarà sui bisogni strategici

a cui può corrispondere la crescita dimensionale me-

diante acquisizioni. Successivamente l’attenzione verrà

focalizzata anche sugli aspetti valutativi e post-opera-

39

zione.

Un altro tema legato alla crescita delle aziende è l’in-

novazione di prodotti e processi, il che porta a chiedersi

quale sia il rapporto possibile tra medie imprese e start-up

innovative e se può l’investimento del capitale d’impresa

in altri soggetti “produttori di innovazione” permettere la

combinazione di prodotto-servizi che valorizza il genio im-

prenditoriale del Made in Italy.

Nel lungo periodo il progetto, che seguirà sempre il me-

todo di lavoro basato sull’invito a condividere esperienze

e casi di problem solving, mira a dare un contributo origi-

nale per capire come crescere in modo sostenibile com-

petendo a livello globale e al tempo stesso mantenendo lo

scambio di valore con il territorio.

> Fondazione1952

> Numero collaboratori3500

> Fatturato 2016600 mln €

> SedeRimini

> AttivitàSCM Group è specializzato nella produzione di macchine e compo-nenti industriali per la lavorazione di legno, plastica, metallo, vetro, pietra e materiali compositi. Il gruppo opera attraverso 3 principali poli produttivi con una presenza diretta nei 5 continenti.

Il caso SCM GROUP

Il gruppo riminese ha chiuso il 2016 con oltre 600 milioni di

fatturato e una crescita del 15% rispetto al 2015. Nell’ulti-

40

mo anno ci sono state 200 nuove assunzioni ed è sempre

più forte la presenza internazionale. Nel corso degli ultimi

anni SCM ha infatti fatto registrare una crescita superiore

a quella del mercato con investimenti in diverse aree del

mondo, con grande attenzione al mercato asia-

tico. In particolar modo, è interessante no-

tare come se prima della crisi del 2009 il

mercato italiano rappresentava il 30%

del fatturato del gruppo, oggi SCM

esporta il 90% di quello che produce,

con prevalenza per il mercato Usa.

L’azienda è cresciuta acquisendo 11

società tra la fine degli anni ’70 ed oggi,

particolarmente nel comparto della lavora-

zione del legno. Tra il 1986 e il 1987 SCM ha perfezionato

tre importanti acquisizioni nel settore dell'arredo-legno:

la prima, nel 1986, è quella di Gabbiani, leader nell'ambito

delle sezionatrici, quindi nell’87 entrano dapprima nell’or-

bita del gruppo Dmc, specialista ad altissimo livello nel

processo della levigatura, ed in seguito Morbidelli, azien-

da con cui SCM entra nel settore delle macchine ed im-

pianti per il processo di lavorazione del pannello. Nel 1992

vengono perfezionate altre due acquisizioni importanti:

Routech, con cui SCM sviluppa una tecnologia per il pro-

cesso di lavorazione di elementi in legno per l’edilizia, e

Stefani, specialista nella bordatura. Negli anni successivi,

grazie ad ulteriori acquisizioni e sviluppi (2004 Superfici,

2006 Cpc e Sergiani, 2007 Celaschi) il gruppo raggiun-

ge un'ampiezza e profondità di gamma unici nel setto-

re, mantenendo per ciascuna tecnologia competenze e

marchi specialistici. Con l’acquisizione di Cms nel 2002,

completata nel 2015, Scm Group presidia anche i settori

per la lavorazione di materiali avanzati di cui Cms è leader

indiscussa.

41

Al fine di comprendere la strategia di crescita del grup-

po, è interessante considerare le finestre temporali in cui

sono realizzate le diverse acquisizioni. La prima fase ini-

zia negli anni 80’ in corrispondenza di una grande spinta

dei mercati e si esaurisce prima della crisi del 2009. Oggi,

dopo alcuni anni di apparente cambio di strategia, il grup-

po è tornato a mettere a fuoco la propria crescita anche

attraverso l’ingresso nel capitale di altre società, allargan-

do in questo modo il perimetro delle lavorazioni e la pre-

senza internazionale. La crescita perfezionata dal gruppo

nel corso degli ultimi vent'anni ha certamente inciso sulla

governance e la gestione organizzativa di SCM. Il cambia-

mento affrontato dall'azienda ci viene così descritto da

Giovanni Gemmani, presidente e direttore generale di SCM

Group.

«Siamo passati da un agglomerato di piccole

aziende indipendenti all’essere un gruppo inte-

grato con processi globali. Dal 2014 abbiamo ri-

cominciato a salire e, dopo aver rischiato tanto,

oggi la crescita si attesta su un +15% annuo e

dovremmo chiudere il 2017 prossimi ai 700 milioni

di fatturato. Le acquisizioni degli anni ’90 ci han-

no permesso di completare il portafoglio dei pro-

dotti, con una maggior penetrazione nel settore

del pannello. Oggi il legno viene spinto non solo

dalla ripresa del mercato edilizio ma soprattutto

dal settore dell’arredamento».

Quali sono stati dunque i passaggi chiave della cresci-

ta aziendale?

«Un passaggio chiave è dunque stata la ristruttu-

razione, non solo delle figure manageriali ma an-

che dell’assetto corporate. Dopo le acquisizioni

degli anni ’90, l’azienda non si era integrata: sta-

vamo crescendo, perché cambiare?

42

Oggi invece abbiamo scelto di puntare su mana-

ger provenienti da diversi settori industriali che,

portando nuova linfa di know-how e competen-

ze, consentono al Gruppo di crescere e affrontare

così le nuove sfide internazionali».

In termini di crescita attraverso M&A, l'ultimo tassello

aggiunto da SCM alla struttura del gruppo riguarda un'a-

zienda tedesca nel 2017. La scelta strategica di tale acqui-

sizione viene così motivata dal presidente:

«Abbiamo acquisito un’azienda tedesca per com-

pletare l’ampiezza di gamma dei prodotti nell’am-

bito delle materie plastiche. La sua posizione è

per noi strategica in quanto molti dei nostri prin-

cipali concorrenti sono tedeschi e, spesso, in

Germania i clienti sono più propensi ad acquista-

re da aziende locali del proprio paese anziché da

quelle estere».

Di particolare interesse è la modalità attraverso cui tale

processo è stato perfezionato.

«In due mesi abbiamo concluso l’operazione:

trattandosi di un’azienda familiare con una pas-

sione per la cultura italiana, abbiamo trovato un

accordo fin da subito e da settembre siamo stati

in grado di essere già operativi nel nuovo asset-

to. Dalle esperienze di questi anni ci sono chiari

alcuni elementi chiave per un M&A di successo:

crediamo fortemente nel valorizzare la capacità

imprenditoriale dei proprietari storici che deside-

riamo ci accompagnino nel cammino di sviluppo

e continuino insieme a noi un percorso di inno-

vazione costante, grazie ad un insieme di eleva-

te competenze che un grande gruppo industriale

come il nostro può fornire».

43

3.1 Let’s stay human: progettiamo assieme l'economia di

domani

C'è un filo conduttore distintivo che accomuna i quattro

progetti presentati in precedenza e, più in generale, lo spi-

rito di Fabbrica per l'Eccellenza. È la centralità della perso-

na. Persona non intesa esclusivamente secondo i canoni

economici neoclassici dell'homo economicus, bensì come

soggetto portatore di emozioni, sentimenti e valori che ne

guidano l'agire sociale ed economico. È proprio a supporto

della centralità della persona che, peraltro, possono es-

sere letti i tre valori fondativi di questo percorso. La ma-

nifattura richiama infatti all'attività produttiva dell'uomo

orientata alla creazione di valore economico, ma anche di

bene comune. Si pensi alla cultura e al sapere produtti-

vo condiviso ancora in molti contesti produttivi italiani o

all'interno di filiere sempre più specializzate. Conoscenze

che si alimentano attraverso l'esercizio della manifattura

perpetuata dalla persona in comunità con i principi e le re-

gole di altri attori sociali, siano essi fornitori, clienti o con-

correnti. È, questa, una manifattura che dà spazio e valore

all'individuo in quanto lo inserisce in un contesto che non

è solo economico, ma anche e soprattutto sociale. È un

individuo che, dunque, unisce alle regole economiche del

calcolo razionale una serie di codici sociali. È un individuo

che potremmo definire homo socialis, che vive e si nutre di

relazioni. Si pensi ad esempio alla fiducia extracontrattua-

le che ha regolato per molti anni gli accordi tra imprese nei

territori industriali italiani. Quella fiducia che ha permesso

di limitare i costi di transazione tra imprese favorendo lo

sviluppo di un modello economico democratico e studiato

in tutto il mondo: il modello dei distretti industriali.

La centralità della persona nell’economia del futuro 3.

44

Eppure qualcosa sembra essersi perso nel tempo. La

solidarietà che legava e spesso alimentava le relazioni tra

le imprese, e ancor prima tra le persone, si è lentamente

affievolita lasciando spazio al calcolo economico razio-

nale orientato alla massimizzazione del profitto

nel breve periodo. Non bisogna essere pre-

giudizievoli verso la delocalizzazione pro-

duttiva o la finanza aziendale, anzi, tali

fattori possono essere dei formidabili

strumenti competitivi per le imprese

globali. Ma, se non governato e orien-

tato solo al profitto di breve periodo,

l'outsourcing della produzione può avere

effetti catastrofici su un territorio produt-

tivo. Numerosi sono gli esempi di delocalizzazione della

manifattura guidata dai soli obiettivi di manager privi di

visione di lungo periodo e incentivati al raggiungimento

di bonus individuali legati a schemi retributivi presi in pre-

stito dalla finanza. La cultura anglosassone paga oggi le

conseguenze di molte scelte manageriali miopi e fa il con-

to con intere classi di popolazioni emarginate dal circuito

di creazione del valore. La recente ascesa di movimenti

populisti è il risultato anche di queste precise dinamiche

economiche.

Tuttavia, la valorizzazione e lo sviluppo di un territorio

e di un tessuto culturale e sociale non si risolve solamen-

te attraverso la tutela della manifattura e, con essa, delle

intricate relazioni che la sostengono. La chiusura verso

se stessi può infatti essere tanto nociva quanto l'apertura

senza regole all'economia globale. Oltre a manifattura e

relazioni, serve capitale umano. E con questo nuove co-

noscenze, risorse e idee. Alcuni dei nostri sistemi produt-

tivi si sono estinti perché non hanno saputo aprirsi alla

diversità offerta dal mondo e non hanno colto le oppor-

45

tunità offerte da nuovi interlocutori. Spesso questi nuovi

interlocutori sono giovani italiani, professionisti, studenti e

neo-laureati. Sono i lavoratori e i consumatori di domani

e soprattutto rappresentano oggi un asset irrinunciabile

per le imprese italiane. Favorire il loro inserimento e la loro

valorizzazione nel mondo lavorativo non ha solamente im-

plicazioni sociali, ma è direttamente funzionale alla com-

petitività delle imprese italiane e di conseguenza dell'inte-

ro sistema Paese.

Fabbrica per l'Eccellenza crede in un'economia italia-

na dove il lavoro e le competenze dell'uomo e le relazio-

ni tra persone siano riportate al centro dell'attenzione;

dove la crescita della media impresa e lo sviluppo delle

piccole imprese eccellenti possano diventare il vero trai-

no di un nuovo rinascimento economico italiano. Per far

ciò servono idee, competenze e coraggio. Noi crediamo

che una parte importante delle idee e delle competenze

di cui l'Italia ha oggi bisogno esistano già e si racchiudano

in molte di quelle eccellenze italiane che purtroppo sfug-

gono spesso al racconto mediatico. Sarà compito nostro,

e di chiunque si unirà a questo percorso, dar valore e dif-

fondere le best practice di persone e imprese che ancora

oggi costituiscono il vero valore aggiunto dell'economia

italiana. È questo lo spirito della learning community che

vogliamo creare, una comunità basata sullo scambio re-

ciproco, sulla condivisione di problematiche e di soluzioni,

sul confronto e sul dialogo. Una comunità aperta, ma allo

stesso tempo definita dal riconoscimento di una serie di

valori imprescindibili. Su tutti la centralità della persona e

il ritorno a un'economia dello scambio e della reciprocità

oltre il mero calcolo economico, con l’obiettivo di promuo-

vere una cultura imprenditoriale basata sulla dignità della

persona e orientata allo sviluppo economico e sociale del

Paese. Let's stay human.

46

3.2 Uno sguardo al 2018

Se il 2017 segna l'avvio dei lavori di questo nuovo percor-

so, il 2018 rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo

operativo di Fabbrica per l'Eccellenza. Oltre ai 4 progetti

brevemente introdotti nelle pagine precedenti,

che daranno vita alle Fabbriche tematiche,

con l'inizio del nuovo anno sarà poten-

ziato il Centro studi Cdo: sarà il labora-

torio di Fabbrica per l'Eccellenza e avrà

il compito di supportare i 4 progetti car-

dine nello studio delle diverse tematiche

prescelte e nella produzione di strumenti

e informazioni utili per le decisioni strategi-

che delle imprese. Da un punto di vista metodo-

logico, il centro studi opererà raccogliendo ed elaboran-

do dati quantitativi e qualitativi delle imprese associate.

Questo approccio consentirà di mantenere un canale

diretto con le imprese oggetto delle analisi e di produr-

re risultati originali e, soprattutto, rilevanti. Lo studio dei

casi di azienda rimarrà un tratto distintivo del nostro ap-

proccio metodologico, ma sarà integrato da strumenti

preposti alla raccolta di dati anche quantitativi, come

ad esempio le indagini campionarie. I risultati del centro

studi saranno condivisi con le imprese associate e sa-

ranno di supporto per poter raccontare la media impresa

italiana al mondo istituzionale e all’informazione.

Il 2018 sarà inoltre l'anno di sviluppo di Fabbrica per

l'Eccellenza e vedrà Cdo particolarmente impegnata nel-

lo scoprire e coinvolgere altre imprese medie eccellenti.

È questa un'attività che consentirà di viaggiare attraver-

so l'Italia e conoscere nuove persone e casi di successo.

L'attività di crescita di Fabbrica per l'Eccellenza avverrà

anche attraverso il passaparola di imprese già coinvolte

nel progetto, alimentando in questo senso quel proces-

47

so di fiducia e condivisione che abbiamo particolarmen-

te a cuore. Infine, il 2018 sarà un anno importante per

favorire la conoscenza reciproca tra imprese associate,

nel tentativo di incoraggiare un percorso di condivisione

e di confronto che si estenda anche oltre i confini di Fab-

brica per l'Eccellenza e che possa dialogare con ambiti

più ampi del tessuto sociale ed economico italiano.

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