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Società Italiana di Chirurgia della Mano A.I.R.M. Associazione Italiana Riabilitazione Mano IN E OUT IN RIABILITAZIONE DELLA MANO E DELL’ARTO SUPERIORE Foggia 10 ottobre 2014 ATTI CONGRESSO AIRM 11° Congresso Nazionale A.I.R.M Foggia 10 ottobre 2014

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Società Italiana di Chirurgia della Mano

A.I.R.M.

Associazione ItalianaRiabilitazione Mano

IN E OUT IN RIABILITAZIONE DELLA MANO E DELL’ARTO SUPERIORE Foggia 10 ottobre 2014

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11° Congresso Nazionale A.I.R.MFoggia 10 ottobre 2014

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indice

11° congresso naZionaLe a.i.r.m.

IN E OUT IN RIABILITAZIONE DELLA MANO E DELL’ARTO SUPERIORE Foggia 10 ottobre 2014

atti deL congresso

Venerdi’ 10 ottoBre 2014 sala 4

09:30-10:30 - PROBLEMATICHE DELL’OSSOOSteOSInteSI dI MetaCarpI e falangI: è anCOra “In” IMMObIlIzzare dOpO l’InterventO? davide bazzoni, busto arsizio va ______________________________________________________________ pag. 4

In e Out nella rIabIlItazIOne delle fratture dell’epIfISI dIStale del radIO davide giulian, padova ______________________________________________________________________ pag. 6

OSteOSInteSI Interna dI MetaCarpI e falangI: MObIlIzzazIOne IMMedIata e SplIntIng Monica Seves, busto arsizio va _______________________________________________________________ pag. 8

11:00-12:00 - PROBLEMATICHE DEI TENDINItenOrrafIa deI tendInI fleSSOrI: lO StatO dell’artegiorgio pivato, Milano ________________________________________________________________________ pag. 10

valutazIOne ClInICa e teSt funzIOnalI nelle patOlOgIe tendIneeSilvio tocco, parma - tracy fairplay, bologna _____________________________________________________ pag. 11

aSpettI rIabIlItatIvI delle leSIOnI aCute aperte deI tendInI eStenSOrIrose luciano, bergamo _______________________________________________________________________ pag. 13

bIOlOgIa e rIabIlItazIOne nelle leSIOnI tendIneeMaria teresa botta, Savona ___________________________________________________________________ pag. 15

12:00-13:00 - LA COMPLEX REGIONAL PAIN SYNDROMEInquadraMentO ClInICO e trattaMentO farMaCOlOgICO della CrpSloriana esposito, padova _____________________________________________________________________ pag. 16

In e Out nel trattaMentO rIabIlItatIvO della CrpS giulia guidi, firenze _________________________________________________________________________ pag. 17

Il COntrIbutO della terapIa Manuale tOraCICa nel trattaMentO della CrpS tobia Sorrentino, parma _____________________________________________________________________ pag. 19

Il COMItatO SCIentIfICO e la SegreterIa OrganIzzatIva nOn SOnO reSpOnSabIlI dI eventualI errOrI, refuSI O IneSattezze.

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15:30-17:00 WORKSHOP: LAVORO ELETTROATTIVO PER L’ARTO SUPERIORE davide zanin, torino _________________________________________________________________________ pag. 22

COMUNICAZIONI LIBEREruOlO deglI StreSS legatI a geStualItà lavOratIve SpeCIfIChe nel COnteStO del trattaMentO della rIzOartrOSI Malvicino a., zanin d., pivato g. ________________________________________________________________ pag. 24

trattaMentO rIabIlItatIvO In pazIente affetta da SIndrOMe da InterSezIOne aSSOCIata a SIndrOMe COMpartIMentale dell’avaMbraCCIO deStrO: CaSe repOrt Centaro S., di paolo e., pellizzaro f., tardiolo d. ____________________________________________________ pag. 25

tutOrI dI MObIlIzzazIOne per la fleSSO - eStenSIOne dI gOMItO: revISIOne della letteraturazanin d., Malvicino a., ferraresi C., pivato g. ______________________________________________________ pag. 26

valutazIOne e trattaMentO rIabIlItatIvO della fOrMa dIStrettuale della COMplex regIOnal paIn SyndrOMe: revISIOne narratIva della letteraturaSaroglia I., pompili g. _________________________________________________________________________ pag. 27

tutOrI dI MObIlIzzazIOne per la prOnO - SupInazIOne: revISIOne della letteraturazanin d., Malvicino a., ferraresi C., pivato g. ______________________________________________________ pag. 28

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4 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

OsteOsintesi di metacarpi e falangi: è ancOra “in” immObilizzare dOpO l’interventO ?

d. bazzoni¹, m. seves²

¹Ospedale di Circolo, Busto Arsizio (VA)²Studio Ramella Seves, Busto Arsizio (VA)

intrOdUziOne

Proporre oggi ad un paziente, che presenta una frattura di metacarpi e falangi, un trattamento che preveda una immobilizzazione fissa 24 ore su 24 per vari giorni, è, per vari motivi, inadeguato. Il paziente, di qualsiasi età, chiede sempre più spesso, oltre ad una buona guarigione, in quanto tempo potrà tornare ad utilizzare la mano per motivi personali, sportivi o lavorativi. La chirurgia della mano è indubbiamente una chirurgia funzionale.Il chirurgo della mano di oggi, di fronte alle fratture della mano, deve mettere a punto ed utilizzare tecniche chirurgiche che restituiscano al paziente una mano che funzioni bene ed in tempi brevi. Grazie all’evoluzione dei materiali, oggi possiamo ottenere riduzioni ed osteosintesi estremamente stabili con minimo ingombro e quindi minimo conflitto con tendini e parti molli. Possiamo quindi autorizzare con serenità una mobilizzazione immediata di tutta la mano, controllando farmacologicamente il dolore che nei primi giorni dopo l’intervento sarà abbastanza intenso ma non correlato alla instabilità della sintesi

materiali e metOdi

Da 8 anni circa, in maniera sistematica, proponiamo ai pazienti un trattamento chirurgico di tutte le fratture metacarpali e falangee della mano, scomposte ma anche composte, che richiedano una immobilizzazione superiore a 10-15 giorni; naturalmente il paziente viene informato sulle caratteristiche della frattura; inoltre vengono descritti in dettaglio vantaggi e svantaggi del trattamento chirurgico e conservativo, in relazione alle caratteristiche della lesione; da ultimo si chiarisce al paziente che, se per qualsiasi motivo, non può effettuare un trattamento riabilitativo corretto, non si può garantire un buon risultato finale, in particolare se la decisio-ne fosse chirurgica. In caso di intervento, si tende a eseguire, a priori, una sintesi interna con placca e viti o solo viti, per ottenere una assoluta stabilità e la possibilità di far mobilizzare subito la mano al paziente. Se la frattura presenta caratteristiche che controindicano la sintesi interna (fratture esposte, lesioni dei tessuti di co-pertura, frammenti di frattura di dimensioni non sintetizzabili), si adottano tecniche di stabilizzazione indiretta (per lo più fissazione esterna), autorizzando comunque la mobilizzazione immediata di tutti i segmenti non interessati dalla fissazione esterna. La via d’accesso nelle osteosintesi interne è quasi sempre dorsale (divari-cando gli estensori sui metacarpi, eseguendo uno split dell’apparato estensore sulla F1 e sulla F2); rari i casi di vie d’accesso particolari volari per sintetizzare frammenti specifici (via volare per alcune fratture di Bennet, via volare per particolari frammenti articolari della MF, della IFP e della IFD); negli accessi dorsali alla F1 ed F2, al termine dell’intervento, ricostruiamo l’apparato estensore, applicando sopra e sotto il tendine gel anti-ade-renziale. Tutti i pazienti vengono avviati alla FKT dopo la prima medicazione (di solito in seconda giornata). Non viene applicata alcuna immobilizzazione sin dall’uscita dalla sala operatoria. Solo per segmenti sottoposti a forze di taglio particolari, cioè le fratture del primo metacarpo e della base dorsale della F2 (con distacco del tendine estensore), consigliamo un tutore, comunque rimovibile durante le sedute di FKT, per evitare movi-menti non controllati da parte del paziente Raccomandiamo a tutti i pazienti di muovere liberamente la mano, senza eseguire nel primo mese, alcuna presa di forza anche minima. Abbiamo trattato con queste indicazioni circa un centinaio di pazienti affetti da fratture metacarpali e delle falangi delle mani (il numero preciso non è ottenibile, in quanto alcuni pazienti hanno eseguito l’intervento in regime di DH, con documentazione clinica e radiografica ridotta o incompleta; alcuni provenivano e sono tornati presso altri ospedali). La sintesi interna con placca e viti o solo viti è stata eseguita nel 95 % dei casi, nei restanti casi è stata eseguita una sintesi con fissatori esterni o con fili di Kirschner (secondo tecniche specifiche come la Iselin-Benoist o la Ishiguro). Ab-biamo sempre prescritto terapie antalgiche personalizzate sulla base del tipo di frattura, del tipo di paziente e del tipo di osteosintesi; raccomandiamo sempre al paziente di assumere farmaci per almeno 10-15 giorni dopo l’intervento, con criteri derivati dalla terapia del dolore; utilizziamo spesso derivati della morfina per os, che risultano spesso ben tollerati e di grande aiuto per il paziente.

risUltati

Tutti i pazienti controllati hanno recuperato un ROM funzionale. Nessun paziente ha sviluppato complicanze settiche. Nessun paziente ha manifestato intolleranza ai mezzi di sintesi: la rimozione dei mezzi di sintesi è sempre stata, soprattutto per le placche di falangi, programmata e mai necessaria; non abbiamo mai eseguito teno-artrolisi se non come minimo gesto accessorio in concomitanza con la rimozione dei mezzi di sintesi. In

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un caso abbiamo assistito alla destabilizzazione della sintesi per carico precoce, non autorizzato. In un caso abbiamo osservato una viziosa consolidazione della F2 con deviazione dell’asse digitale per un errore nella tecnica di osteosintesi. In due pazienti, fedeli alle indicazioni, abbiamo assistito alla rottura dei mezzi di sintesi dopo 2 mesi: in un caso si è assistito comunque alla guarigione della frattura con deviazione dell’asse digita-le non rilevante, nell’altro il paziente è stato probabilmente rioperato in altro ospedale. Notiamo abbastanza frequentemente, con l’accesso dorsale trans-tendineo sulla F1, la comparsa di “extensor lag”, che nel giro di qualche mese, recupera completamente o con un massimo di deficit di estensione della IFP di 10 gradi. Non abbiamo avuto algodistrofie.

cOnclUsiOni

La mobilizzazione precoce e non protetta della mano dopo un intervento di osteosintesi di metacarpo o falan-ge garantisce una rapida ripresa funzionale, senza esporre il paziente a particolari rischi di complicanze. Non utilizziamo mai tutori nel post-operatorio, se non in alcuni casi indicati, senza comunque che il paziente non possa da subito seguire il programma riabilitativo. Riteniamo che il chirurgo della mano debba sempre cercare la soluzione tecnica più corretta per trattare una frattura della mano con l’obiettivo di restituire integrità ana-tomica al segmento e rapida ripresa funzionale senza immobilizzazioni. L’applicazione, dopo un intervento di osteosintesi di un tutore o gesso non rimovibile, è, nella nostra pratica clinica, considerata una tecnica supe-rata o, addirittura, un fallimento. Quando faremo nei prossimi anni una osteosintesi di metacarpo e di falange, vorremmo tenere “fuori” dai nostri pensieri qualsiasi idea di immobilizzazione.

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in e OUt nella riabilitaziOne delle frattUre dell’epifisi distale del radiO

d. giulian

Fisioterapista AIRM, Studio RIABILITA (Cervarese S.C. -PD-), www.studioriabilita.com

intrOdUziOne

La frattura dell’epifisi distale del radio costituisce uno degli eventi più diffusi nella traumatologia moderna e trova un picco di incidenza tra gli uomini sotto i 30 anni e nelle donne sopra i 60 anni con osteoporosi. Per fre-quenza e complessità questa problematica richiede competenze specifiche da parte degli operatori chiamati ad occuparsi dell’evenienza per saper scegliere le strategie, le tempistiche e gli strumenti di recupero più adeguati.

materiali e metOdi

Si tratta di una raccolta dei risultati più e degli approcci maggiormente avvalorati dalla letteratura allo scopo di rendere più chiaro il panorama scientifico dentro al quale è chiamato a muoversi il riabilitatore, considerando sia concetti ritenuti oramai assodati, sia aspetti di diffusione più recente.

risUltati

La gestione di una frattura di questo tipo non trova in letteratura una uniformità di comportamento, anche se, dal punto di vista chirurgico, l’approccio con placca e viti a stabilità angolare con accesso volare trova ormai un utilizzo diffuso anche perché avvalorato da numerosi studi scientifici. Dal punto di vista riabilitativo, inve-ce, sembra ormai affermata la scelta della mobilizzazione precoce, che mira a ridurre anche quelli che sono i possibili effetti collaterali legati a questa problematica: osteoartrosi secondaria, edema, aderenze tendinee e articolari, deficit funzionale ,neuropatie, rigidità delle dita, CRPS. Questo tipo di approccio è ritenuto il tipo di comportamento riabilitativo più adeguato qualora vi siano le condizioni di sicurezza di stabilità dei mezzi di contenimento della frattura garantiti dal chirurgo con il quale si deve avere sempre un contatto costante e diret-to. Compito del terapista è assicurarsi che il tutore post chirurgico (preferibilmente personalizzato) sia utilizza-to dal paziente da subito con l’ottica dello svezzamento graduale (1 ora in meno ogni giorno per abbandonarlo, di giorno, dopo 2 settimane), occuparsi fin da subito della ferita postchirurgica e inserire il prima possibile delle mobilizzazioni corrette dal punto di vista dei piani di movimento e di forze in gioco. Il piano biomecca-nico risultato più idoneo è quello della DTM (Dart Throwing Motion) che si è visto rispettare meglio la reale cinematica della radiocarpica e mediocarpica. Non è pensabile condurre un progetto riabilitativo senza fare valutazioni periodiche (PRWHE e DASH sono le più praticate tra quelle autosomministrate) e misurazioni (della forza dalla 5^-6^ settimana, dell’edema, dell’AROM). Questo tipo di attenzione valutativa aiuterà il terapista a rilevare precocemente i segnali di una delle complicanze più temute: la Complex Regional Pain Syndrome, che in questo tipo di evento traumatico trova un particolare picco di incidenza. Un terapista dovrebbe conoscere delle tecniche di terapia manuale specifica per la mobilizzazione analitica che possono essere applicate dalla 6^ settimana postoperatoria ad oltranza fino ad un recupero articolare passivo adeguato. Per quanto riguarda, invece, i parametri minimi di movimento funzionale riteniamo valide le indicazioni della Mayo Clinic che indi-cano come validato riferimento la regola del 40+40+40 (gradi di flessione+estensione+ totale deviazioni) e del 50+50 (pronazione+supinazione). Nel rispetto delle evidenze scientifiche, sarà cura del terapista assegnare al paziente un preciso e completo programma di esercizi a casa che lo aiuteranno a svincolarsi quanto prima dalla dipendenza al lavoro del terapista, a stimolare la sua compliance, ad inserire schemi di movimento sempre più globali e avviare, così, adeguatamente delle ADL sempre piú complete. Restano ancora da validare appieno l’utilizzo del tape kinesiologico mentre sono molto raccomandati l’utilizzo del neurogliding e della elettrosti-molazione dei flessori ed estensori del polso a pugno chiuso già dalla prima settimana postop.

cOnclUsiOni

Il comportamento clinico del riabilitatore che si appresta a trattare una frattura dell’epifisi distale del radio operata deve essere guidato da una attenta e costante valutazione non solo osservando ma anche misurando il percorso di recupero del paziente sia dal punto di vista della forza e articolarità attiva ma anche da quello bio-psico-sociale. è comunque importante sottolineare che il coinvolgimento dei numerosi tessuti coinvolti spesso non consente un completo recupero delle abituali attività funzionali.

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bibliOgrafia

1) J. Bone Joint Surg. Am. 2008“Wrist mobilization following volar plate fixation of fractures of the distal part of the radius Santhiago A. Lozano-Calderon, Sebastian Sourer, ChaitanyaMudgal; Jesse B. Jupiter, David Ring2) Springer Verlag, Italia, Milano, 2008il trattamento delle fratture del polso con sintesi rigidaRiccardo Luchetti, Andrea Atzei, Pier Paolo Borelli3) J Hand Ther. 2010 Oct-dec;23(4):392-400; mobilizing the stiff hand: combining theory and evidence to improve clinical outcomes.Glasgow C, Tooth LR, Fleming J.4) Masson Editore, 2010la riabilitazione della manoI. Rossello, MT. Botta

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OsteOsintesi interna di metacarpi e falangi: mObilizzaziOne immediata e splinting

m. seves¹, d. bazzoni²

¹Studio Ramella Seves Busto Arsizio VA, Humanitas Castellanza VA²Ospedale di Circolo Busto Arsizio VA

intrOdUziOne

Grazie all’evoluzione dei materiali e delle tecniche di applicazione delle osteosintesi interne, è possibile muo-vere precocemente le fratture rese “stabili” chirurgicamente. Con queste premesse la mobilizzazione immediata è possibile: secondo la nostra esperienza nelle dita lunghe anche senza ausilio di splint protettivi, mentre per il primo raggio, anatomicamente e biomeccanicamente più complesso, viene utilizzato un tutore protettivo iniziando comunque la mobilizzazione sin dalla terza giornata.

materiali e metOdi

Questo lavoro è l’ampliamento di uno studio fatto nel 2011. La casistica, è aumentata sia nel tempo sia per l’introduzione anche delle fratture del primo raggio. Dal settembre 2009 ad oggi abbiamo trattato 42 pazien-ti (50 fratture: 31 MC di cui 10 al primo raggio, e 19 Falangi). I criteri inclusivi sono stati: unico chirurgo, 2 fisioterapisti, presa in carico riabilitativa dopo massimo 15 giorni dall’intervento, osteosintesi interna. L’osteo-sintesi interna è stata sempre eseguita con placca e viti oppure viti isolate; nelle fratture tipo Bennet, laddove le dimensioni del frammento lo consentivano, è stata eseguita una osteosintesi con vite Micro-Acutrak con accesso volare. La via d’accesso per l’osteosintesi dei MC è stata dorsale, incisione cutanea curvilinea, ‘pas-saggio’ intertendineo tra gli estensori comuni delle dita oppure tra gli estensori lungo e breve del 1° MC; la mancanza di contatto tra tendini e ossa metacarpali e quindi il basso rischio di aderenze, non necessita in fase di chiusura di accorgimenti particolari. Per le falangi, via d’accesso cutanea ‘a S’ o tipo Bruner e successivo split dell’apparato estensore (sulla F2 in alcuni casi l’apparato estensore è stato completamente risparmiato; tale tecnica per la difficoltà di eseguire l’osteosintesi è stata completamente abbandonata); in fase di chiusura ricostruzione di periostio (laddove possibile), apparato estensore e cute separatamente, con interposizione di gel antiaderenziale. La tecnica chirurgica dell’osteosintesi ha sempre previsto un lieve ‘overcare’, cioè una lieve eccesso di stabilità senza sconfinare nella rigidità dell’impianto, per consentire una ‘serena’ mobilizzazione precoce. La prima seduta è stata fatta in media in 6a giornata. Il paziente viene dimesso con una medicazione che viene alleggerita in prima seduta. Se la frattura riguarda il primo raggio viene confezionato un tutore re-movibile. Inizialmente la mobilizzazione è attiva-assistita. I pazienti vengono istruiti con indicazioni scritte sul lavoro a domicilio. Gli esercizi vanno eseguiti 4 volte al giorno. Gradualmente si può muovere passivamente stabilizzando manualmente il sito di frattura. Il paziente viene spronato fin dall’inizio ad utilizzare la mano, ma senza fare prese di forza di alcun tipo. Per il primo raggio l’introduzione all’uso quotidiano è differito rispetto alle dita lunghe. Alla rimozione dei punti viene trattata la cicatrice ed insegnato il massaggio anche a domicilio. Come riportato anche in letteratura l’accesso dorsale può dare causare un temporaneo deficit di estensione, in particolare della IFP. Infatti, molta attenzione va posta sul rischio di aderenze o di “extensor lag” degli estensori, per le fratture di MC ma soprattutto per quelle delle falangi. In particolare le fratture di F1 pos-sono esitare in aderenze che diminuiscono l’AROM in estensione della F2 sulla F1. Ad un mese dall’intervento, previa valutazione clinica e radiografica, se la frattura è sempre stabile e vi sono segni chiari di osteogenesi, vengono inseriti gradualmente esercizi contro resistenza utilizzando plastiline. L’attività lavorativa e sportiva viene ripresa in relazione al tipo di lavoro e sport praticati.

risUltati

La valutazione del paziente è stata fatta con misurazioni goniometriche. Abbiamo avuto un solo caso di rottu-ra della placca in una osteosintesi di MC a consolidazione terminata. Un’altra rottura di placca in osteosintesi di MC è invece avvenuta dopo circa 15gg di trattamento, ma era stata posizionata da altro chirurgo e non era adeguata per lunghezza e spessore. Il paziente è stato rioperato ed ha cominciato comunque subito la fisioterapia. Ha avuto un ritardo di consolidazione ma ROM completo. In alcuni pazienti è stato necessario il confezionamento di un tutore statico in estensione notturna per controllare il deficit in estensione attiva della IFP (extensor lag), altri di un tutore dinamico in flessione. La dimissione dei pazienti è avvenuta in media dopo 35 giorni dalla prima seduta riabilitativa. I pazienti sono sati dimessi con AROM funzionale o completo. Le sedute di fisioterapia sono state mediamente due alla settimana per una media di 8 sedute. Alcuni pazienti sono attualmente in trattamento.

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9 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

cOnclUsiOni

La mobilizzazione precoce e non protetta per le dita lunghe e protetta da un tutore removibile nei casi di osteosintesi del primo raggio, garantisce, secondo la nostra esperienza, risultati soddisfacenti e scarse com-plicanze. A parte in pazienti con scarsa complice e in pediatria, l’osteosintesi interna associata alla mobilizza-zione immediata è una tecnica che consente, rispetto ad altri tipi di osteosintesi o trattamento conservativo, un minor rischio di rigidità, un minore numero di sedute riabilitative, poche complicanze ed una più rapida ripresa funzionale della mano con conseguente ritorno alle attività lavorative in tempi brevi, naturalmente in relazione al tipo di attività svolta.

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10 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

tenOrrafia dei tendini flessOri: lO statO dell’arte

g. pivato

intrOdUziOne

Le lesioni dei tendini flessori rappresentano una patologia di frequente riscontro clinico nell’ambito della chirurgia della mano. L’ottenimento di una funzionalità completa in seguito ad una lesione dei tendini flessori rappresenta da sempre una sfida, spesso frustrante, per molti chirurghi. Per tale motivo negli ultimi anni è stata posta una notevole attenzione da parte della comunità scientifica internazionale su questa problematica al fine di raffinare e ottimizzare al meglio le tecniche di sutura ed il successivo protocollo riabilitativo. Ciononostante anche in mani esperte casi di cedimenti di tenorrafie o di formazione di aderenze restano non del tutto preve-dibili ed evitabili; ad oggi nel mondo una percentuale variabile dal 4% al 10% dei pazienti trattati per tenorrafia sviluppa adesioni tendinee che richiedono un intervento di tenolisi secondaria o cedimenti della sutura.

materiali e metOdi

Nel Maggio 2014 è stata effettuata una ricerca bibliografica accedendo al portale della US National Library of Medicine tramite l’indirizzo www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed, utilizzando le seguenti parole chiave: flexor ten-don repair, flexor tendon suture, flexor tendon lesion e flexor tendon injury. Fra tutti gli articoli individuati dal motore di ricerca sono stati quindi selezionati articoli di revisione della letteratura pubblicati dopo il 2010. Il presente lavoro rappresenta lo sforzo degli Autori di riassumere brevemente quello che è l’attuale stato dell’ar-te nell’ambito della tenorrafia dei tendini flessori.

risUltati

Per note ragioni biologiche le lesioni dei tendini flessori che più frequentemente vanno incontro a complican-ze quali formazione di aderenze o cedimenti della sutura sono le lesioni che avvengono in zona II secondo Verdan. In tale sede l’esecuzione di una buona tenorrafia dal punto di vista strettamente tecnico è in grado di modificare sensibilmente l’outcome finale del paziente, sia in termini di funzionalità che in termini di percen-tuale di reintervento. Il cambiamento radicale nella tecnica chirurgica di esecuzione di una tenorrafia si può dire essere avvenuto circa 30 anni fa quando si rese evidente il vantaggio di eseguire una sutura centrale, di tenuta, in associazione con una sutura epitendinea il cui compito è quello principalmente di rinforzare la sutu-ra principale ma soprattutto di rendere il sito di riparazione tendinea il più scorrevole e sottile.Negli anni sono stati proposte diverse tecniche di sutura tendinea, sia per quanto riguarda la sutura centrale che per quanto riguarda la sutura epitendinea. Nel mondo occidentale prevale ad oggi una tecnica di sutura centrale cosiddetta a 4 braccia con nodo intratendineo, ovvero una sutura in cui il filo passa per quattro volte fra ognuno dei due capi tendinei ed il cui nodo viene lasciato volontariamente all’interno dello spessore del tendine. Esistono inoltre diverse tecniche di sutura epitendinea, ed ad oggi il tipo di sutura che sembra dare i risultati migliori in termini di tenuta e di scorrimento è rappresentato da una sutura continua con un filo di ca-libro minore rispetto a quello utilizzato per l’esecuzione della sutura centrale. Se da un lato la tecnica di sutura è stata affinata nel corso degli anni, attraverso numerosi studi di biomeccanica, dall’altro lato anche l’impiego di nuovi materiali per l’esecuzione della sutura ha decisamente migliorato l’outcome dei pazienti affetti da una lesione dei tendini flessori. Bisogna comunque ricordare che sia la tecnica chirurgica che il tipo di materiale utilizzato sono solo due dei numerosi parametri che vanno valutati durante un intervento di tenorrafia. Infatti l’età del paziente, la sua richiesta funzionale, la presenza di comorbidità, l’associazione della lesione tendinea con lesioni di altri tessuti nobili quali vasi e nervi ed il tempo trascorso fra la lesione e l’intervento chirurgico sono tutti fattori che possono modificare in maniera importante il risultato finale. A ciò bisogna poi aggiungere che il protocollo riabilitativo successivo all’intervento gioca in ruolo cruciale nel trattamento di queste lesioni, divenendo parte integrante ed insostituibile dello stesso; infatti anche in presen-za di una tenorrafia ottimale, un cattivo trattamento riabilitativo post-operatorio è in grado di compromettere irrimediabilmente il risultato finale.

cOnclUsiOni

Attualmente si è visto come il tasso di complicazioni in questo tipo di chirurgia rimanga ancora relativamente alto, seppur in presenza di tecniche evolute e di materiali appropriati. In futuro è auspicabile l’impiego di nuovi materiali, più resistenti e meglio tollerati dal tessuto tendineo; tali per cui una mobilizzazione precoce possa essere intrapresa senza rischi di cedimenti. Un altro aiuto importante potrà venire dalla ricerca di base che ci fornirà sostanze anti-aderenziali funzionali, ben tollerate ed economiche.

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11 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

valUtaziOne clinica e test fUnziOnali nelle tenOrrafie

s. tocco, t. fairplay

intrOdUziOne

Gli studi sulle lesioni tendinee abbondano in letteratura. Molti di essi riguardano tecniche chirurgiche, meno sono invece quelli sul trattamento conservativo e/o post-chirurgico. è altresì difficile confrontare tutti gli approcci possibili per trattare le lesioni tendine dell’avambraccio a causa dell’esistenza di numerose scale di valutazione degli esiti. Lo scopo del presente lavoro è di evidenziare le valutazioni più comunemente utilizzate secondo letteratura, sia per effettuare la diagnosi funzionale sia per valutare gli esiti post-trattamento chirur-gico e/o conservativo.

materiali e metOdO

è stata effettuata una revisione non-sistemica della letteratura sugli strumenti di valutazione utilizzati per effet-tuare la diagnosi clinica e per valutare gli outcome, utilizzando i motori di ricerca Pubmed e Cinhal attraverso una o più delle seguenti parole chiave: “tendon repair”, “tendon injury”, “tendon management”, “tenorraphy”, “outcomes”, “hand”, “guidelines”. Le valutazioni riportate nel presente lavoro sono quindi prettamente legate alle lesioni tendine della mano e del polso a secondo delle zone coinvolte. Sia scale di successo sia i test speci-fici e generici utili alla diagnosi clinica sono stati inclusi nella revisione. Il lavoro è stato suddiviso in strumenti di valutazione necessari per effettuare la diagnosi funzionale e per la valutazione gli esiti.

risUltati

Spesso trascurata dai principianti, l’osservazione della mano risulta essere un metodo importante per guidare il chirurgo verso una rapida diagnosi differenziale con o senza mezzi diagnostici di ultima generazione. Nelle lesioni ai flessori delle dita, l’interruzione della cascata naturale delle dita può essere indicativa di una rottura a carico di uno o più tendini del dito. Sul versante dell’apparato estensorio va notata la deformità a martello, Boutonniere o a Collo di cigno, oltre a eventuali cadute delle dita rispetto alle altre. L’esame manuale muscola-re selettivo permette di verificare l’integrità di ogni singolo tendine, tenendo ben presente la possibile presen-za di anomalie tendine quali l’assenza o interdipendenza dei tendini FDPe FDS del 4° e 5° dito1,2 e i FLP e FDP dell’indice (anomalia di Linburg-Comstock)3, che possono ingannare l’esaminatore e portare ad una diagnosi errata. Oltre ai test muscolari generici, vi sono alcuni test specifici per la diagnosi clinica delle lesioni di Bou-tonniere (Elson, Schreuders)4,5 e del tendine ELP (Lemmen)6. Infine, numerose scale di valutazione degli esiti sono reperibili in letteratura, la maggior parte delle quali riguarda i tendini flessori a discapito degli estensori. Inoltre, per lo stesso tipo di lesione o zona di lesione sono disponibili più scale di valutazione. Quelle più comunemente utilizzate negli studi di outcome sia prospettivi che retrospettivi sono (in ordine alfabetico): la Buck-Gramko, Lister et al., Louisville, criterio di Kleinert, il sistema di Tubiana, Tsuge, lo score modificato se-condo Strickland e la formula di Strickland e Glogovac7. Tang invece propone la scala americana TAM secondo l’ASSH8, che non richiede l’uso di un denominatore comune per stabilire se i risultati siano eccellenti, buoni, accettabili o scarsi, ma utilizza il lato sano del paziente come riferimento.

cOnclUsiOni

Quasi la totalità delle scale di valutazione degli esiti utilizzano una norma come denominatore per stabilire la percentuale di deficit residuo dopo le tenorrafie. Secondo noi sarebbe invece più opportuno utilizzare il lato sano come denominatore per stabilire se effettivamente permangono deficit funzionali dopo una lesione ten-dinea (come proposta dall’ASSH). Inoltre, non esiste una scala migliore di un’altra anche se alcune vengono più spesso utilizzate negli studi scientifici. è quindi preferibile utilizzare più di una scala di valutazione per stabilire il successo del proprio operato9. Infine, a prescindere delle scale utilizzate, va ricordato che il miglio-ramento degli outcome è osservabile anche a distanza di 1.5 anno ed è quindi consigliabile valutare gli esiti non solo a breve e medio termine ma anche a lungo termine.

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12 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

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5 Schreuders TAR, Soeters JNM, Hovius SER, Stam HJ. A modificazioni of Elson’s test for the diagnosis of an acute extensor central slip injury. Br J Hand Th. 2006; 11(4): 111-3.

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IFSSH Flexor Tendon Committee (Chairman: Jin Bo Tang). J Hand Surg Eur. 2014; 39(1): 107-15.

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13 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

aspetti riabilitativi delle lesiOni acUte aperte dei tendini estensOri

r. luciano

Terapista Occupazionale, libera-professionista a Bergamo presso Studio Fisiomano, Clinica Villa Sant’Apollonia, Clinica Humanitas Gavazzeni-Ambulatorio di Chirurgia della Mano, e Ospedale Papa Giovanni XXIII-Chirurgia Plastica Riparto di Chirurgia della Mano; [email protected]

intrOdUziOne

I protocolli utilizzati nella riabilitazione dei tendini estensori dipendono dalla zona coinvolta (figura 1) e si possono suddividere in 3 categorie: immobilizzazione (IM), mobilizzazione passiva precoce (MPP) e mobiliz-zazione attiva precoce (MAP) (figura 2). La questione da affrontare è quindi stabilire quale di questi protocolli sia piu efficace e/o quale renda i migliori risultati in termini di recupero del movimento attivo totale, della forza e della funzione della mano.

materiali e metOdi

Recentemente sono stati publicati studi randomizzati dove sono stati impiegati i 3 diversi protocolli nella riabi-litazione delle lesioni dei tendini estensori (1-7). Lo scopo di questo lavoro è quello di presentare una revisione critica della letteratura degli ultimi 10 anni per verificare quali siano le tecniche piu efficaci nella riabilitazione dei tendini estensori.

risUltati

Dalla revisione degli articoli pubblicati (1-7) si evince che ad una valutazione compiuta dopo 3, 6, 12 settimane dall’intervento, i pazienti con lesioni in zone 3, 4, e 5 trattati con protocolli di mobilizzazione attiva o passiva precoce presentano meno complicanze (aderenze, lag e rottura della sutura) e migliori risultati in termini di Total Active Range of Motion (TAM), con tempi di recupero del movimento, forza e funzione della mano ridotti rispetto a quelli che si verificano utilizzando il protocollo di immobilizzazione. Quando invece si procede alla valutazione dopo 6 mesi dall’intervento, solo per le zone 5, 6, e 7 il recupero del movimento totale e la forza sono simili sia per il protocollo di immobilizzazione che mobilizzazione precoce passiva e attiva. Si può quindi concludere che il protocollo di immobilizzazione richieda un intervento terapeutico riabilitativo più prolungato e che il recupero complessivo finale sia simile a quello ottenuto con gli altri protocolli solo nelle zone 5, 6, e 7.

cOnclUsiOni

In generale la letteratura indica quindi che è preferibile utilizzare quando possibile i protocolli MPP e MAP. La scelta del protocollo idoneo però dipendi da tanti fattori. Tra questi uno di principali è una adeguata comunica-zione tra terapista e chirurgo in quanto essa permette di scegliere il protocollo più adeguato in funzione dei det-tagli della lesione e della riparazione eseguita. Gli obbiettivi principali nella riabilitazione dei tendini estensori sono: 1) protezione della sutura (tramite utilizzo di un tutore che limita l’arco di di movimento; 2) diminuizione della formazione di aderenze e rigidità articolare (impostando degli esercizi per permettere uno scorrimento di almeno di 3 mm o 30 gradi di flessione utilizzando una mobilizzazione passiva o attiva precoce entro 5 giorni del intervento) (8). I protocolli che sostengono questi obbiettivi sono quelli di MPP e MAP, ma per impostare uno di questi protocolli il paziente deve essere determinato e collaborante. Infatti la mancata collaborazione del paziente durante le prime fasi del trattamento riabilitativo facilmente porterà a situazioni critiche quali la rottura del tendine o il cedimento della sutura (extensor lag) dovuto alla sovradistensione della sede di riparazione.

Figura 1. Zone Tendini Estensori Figura 2. Zone 5-7: a) Immobilizzazione; b) Mobilizzazione Passiva Precoce; c) Mo-bilizzazione Attiva Precoce

a b c

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14 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

bibliOgrafia

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Bulstrode, N.W. et al. 2005. Extensor Tendon Rehabilitation a Prospective Trail Comparing Three Rehabilitation Regimes. J Hand Surg Eur Vol April vol. 30, no. 2 pp.175-179.

Hammond, K., et al. 2012. Effect of aftercare regimen with extensor tendon repair: a systematic review of the literature. J Surg Orthop Adv. Winter; 21(4):246-52

Neuhaus, V., et al. 2012. Dynamic splinting with early motion following zone IV/V and T1 to TIII extensor tendon repairs. J Hand Surg Am May 37 (5):933-7.

Kitis, A., et al. 2012. Comparison of static and dynamic splinting regimens for extensor tendon repairs in zones V to VII.Sameem, M., et al. 2011. A systematic review of rehabilitation protocols after surgical repair of the extensor tendons in

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15 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

biOlOgia e riabilitaziOne nelle lesiOni tendinee

maria teresa botta1, franco bassetto2, caterina lazzari3

1Università di Genova 2Università di Padova 3Università di Pavia

riassUntO

Il lavoro intende correlare la ricerca biologica con i risultati clinici e funzionali dei processi di guarigione ten-dinea. La ricerca è stata condotta con l’equipe del Prof. F. Bassetto dell’Università di Padova. Il laboratorio di ricerca ha ottenuto in ‘vitro’ un tessuto simil-tendineo a partire da un biomateriale a base di Acido Ialuronico seminato con tenociti e sottoposto a tensione meccanica costante in modo da riprodurre la naturale attività tendinea. Si è inoltre evidenziato che è possibile interferire nel processo di guarigione tendinea e legamentosa, direttamente nel sito di lesione con l’utilizzo di opportuni Fattori di Crescita la cui azione si esplica nell’in-crementare la sintesi di collagene e proteoglicani; anche la Terapia Genica può giocare un ruolo importante nei processi di guarigione trasportando all’interno delle cellule materiale genetico attraverso vettori virali o liposomi. La qualità della guarigione tendinea e la ricostruzione della fisiologica architettura delle fibre che si dispongono in forma diagonale e spirale viene influenzata dalla tensione meccanica. I dati emersi sono fondamentali per predisporre la riabilitazione: per inibire l’eccessiva risposta fibroblastica sarà necessaria una mobilizzazione attiva e protetta immediata. Inoltre la conoscenza del timing rigenerativo e delle sue criticità orienta la scansione riabilitativa e la prevenzione degli eventi avversi durante la guarigione.

intrOdUziOne

Il recupero del movimento funzionale nel caso di lesioni traumatiche a tendini e legamenti richiede una ri-costruzione chirurgica senza la formazione di aderenze (intrinsic healing): ciò potrebbe essere possibile con l’aiuto di nuove tecnologie come l’Ingegneria Tissutale, l’utilizzo di opportuni Fattori di Crescita e la Terapia Genica associate a stress meccanico e funzionale indotto dal movimento programmato.

materiali e metOdi

Nella sperimentazione sono state utilizzate cellule Tenocitarie e PLA (Processed Lipo-Aspirated cells) provenienti da biopsie tendinee e da cellule mesenchimali prelevate da Lipoapirato di diversi donatori; entrambi i tipi cellu-lari sono stati isolati ed espansi fino ad ottenere un’adeguata densità cellulare, quindi seminati su biomateriale semisintetico a base di acido ialuronico (HYAFF). La coltura tridimensionale è stata mantenuta in condizioni di trazione e non, utilizzando un bioreattore sperimentale. I campioni sono stati utilizzati per studiare la differen-ziazione cellulare e l’interazione con il biomateriale tramite analisi istologiche, immunoistochimiche, immuno-fluorescenza ed analisi con il microscopio elettronico a scansione e a trasmissione (SEM e TEM). Attraverso i dati più significativi durante il processo biologico di crescita sono stati individuati i tempi a maggior rischio di apoptosi, di tendenza alla rottura e alla deiscenza. Durante queste fasi lo stress meccanico e stato variato cosi come la quantità di trazione sul tendine. I dati sono stati acquisiti da un sistema robotizzato per programmare la mobilizzazione della mano e lo scorrimento tendineo in pazienti sani campione. è stato quindi impostato un programma sperimentale di lavoro della durata di quattro settimane elaborato statisticamente. I parametri ven-gono gradatamente trasformati in informazioni guida per la gestione riabilitativa delle lesioni tendinee riparate.

risUltati

I risultati sono preliminari e correlano un modello biologico con un modello funzionale. In un periodo di circa 4 settimane sia i biomateriali seminati con tenociti che quelli con PLA, sottoposti ad allungamento meccanico, colonizzano il biomateriale; sia i Fattori di Crescita che la Terapia Genica hanno dimostrato di migliorare la guarigione di tendini e legamenti anche se i risultati finali non raggiungono ancora il livello del tessuto sano.Nello stesso periodo il programma di mobilizzazione attiva assistita robot-guidata e stato realizzato su soggetti sani e soggetti trattati chirurgicamente dopo lesione tendinea. I limiti riguardano l’esiguo numero di pazienti seguiti e la difficoltà a tradurre informazioni statistiche in gesti e attività funzionali oggettivamente codificate.

cOnclUsiOni

Il lavoro apre prospettive di grande interesse per la riabilitazione e pone in stretta relazione il recupero fun-zionale con la biologia dei tessuti. In assenza di stress meccanico, sia i tenociti che le PLA non riescono a colonizzare il biomateriale: questo ci porta a sottolineare, nei processi di guarigione tendinea orientati ad una guarigione di tipo intrinseco, l’importanza della acquisizione anche culturale da parte del riabilitatore dei dati della ricerca biologica per dare ulteriore autorevolezza e precisione all’approccio riabilitativo.

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16 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

inqUadramentO clinicO e trattamentO farmacOlOgicO della crps

L. Esposito

La sindrome algodistrofica, che nel 1994 è stata definita CRPS (complex regional pain syndrome) dall’Associa-zione Internazionale per lo Studio del Dolore, è una sindrome regionale caratterizzata da dolore, alterazioni del trofismo cutaneo, edema ed alterazioni circolatorie.Si distinguono diversi sottotipi e in particolare:CRPS I (ex distrofia simpatico riflessa)CRPS II (ex causalgia)CRPS-NOS (non altrimenti specificata)

Il fattore predisponente più comune è un evento traumatico. Da un punto di vista patogenetico l’ipotesi più condivisa è rappresentata dai processi di neuroflogosi locale in grado di innescare la malattia.Dal punto di vista clinico le diverse manifestazioni della CRPS possono essere molto variabili sia nell’espres-sione clinica che temporale, per cui si parla di forme “complete e “incomplete”.Dal punto di vista diagnostico l’esame clinico è altamente indicativo quando ci si trova di fronte alla forma “classica”, in altri casi, quando la sintomatologia è più sfumata per la diagnosi si rende necessario ricorrere ad indagini strumentali. La comparsa dei segni radiologici (osteoporosi maculata) non è immediata e richiede qualche settimana rispetto all’esordio clinico. A tutt’oggi la metodica strumentale che permette una diagnosi precoce è la scintigrafia ossea. Dal punto di vista terapeutico nel corso degli anni sono state adottate diverse metodiche mediche, quali i bloc-chi simpatici (pregangliare, gangliare o periferica), la clonidina somministrata per via epidurale, il baclofen intratecale e la stimolazione midollare mediante elettrodi impiantati nello spazio epidurale. Inoltre, sono stati utilizzati diversi presidi farmacologici quali: fans, oppioidi, corticosteroidi, anticonvulsivanti, antiipertensivi, calcitonina, bifosfonati, trattamenti topici. Non in tutti i casi si hanno elevati livelli di evidenza per cui a tutt’og-gi si suggerisce un approccio multidisciplinare.

bibliOgrafia

Merskey H, Bogduk N. Classification of chronic pain: descriptions of chronic pain syndromes and definition of terms. Seattle: IASP Press 1994.

Maihöfner C, Seifert F, Markovic K. Complex regional pain syndromes: new pathophysiological concepts and therapies. Eur J Neurol 2010;17:649-60

Tran de QH, Duong S, Bertini P, et al. Treatment of complex regional pain syndrome: a review of the evidence. Can J An-aesth 2010;57:149-66.

Varenna M, Zucchi F, Ghiringhelli D, et al. Intravenous clodronate in the treatment of reflex sympathetic dystrophy syn-drome. A randomized, double blind, placebo controlled study. J Rheumatol 2000;27:1477-83.

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17 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

la riabilitaziOne della sindrOme regiOnale dOlOrOsa cOmplessa tipO 1° (crps)

g. guidi1, m. ceruso2, g. fiori3, f. bartoli3

1Studio Guidi di Riabilitazione della Mano e Arto Superiore. 2S.O.D.C. Chirurgia della Mano e Microchirurgia Azienda Ospedaliero - Universitaria Careggi C.T.O. 3S.O.D. Reumatologia Azienda Ospedaliero - Universitaria Careggi Firenze (I)

intrOdUziOne

La Sindrome Dolorosa Regionale Complessa tipo 1 (Complex Regional Pain Syndrome - CRPS) conosciuta an-che come Algodistrofia, è una sindrome multi - sintomatica che spesso si localizza nelle estremità distali spesso traumatizzate, come la mano e il polso. La CPRS è di difficile inquadramento patogenetico, clinico e riabilitativo. è stata per la prima volta chiaramente descritta nel 1864 da Mitchell, ma le sue vere cause rimangono incerte ancora oggi. Molti termini diversi sono stati usati per descrivere questa condizione dolorosa. I più conosciuti sono: Causalgia (1864 Mitchell), Osteoporosi algica postraumatica (1923), Sindrome spalla-mano (1947), Atro-fia di Sudeck (1990), fino ad arrivare alla terminologia definitiva di Sindrome Dolorosa Regionale Complessa proposta nel 1994 dallo IASP. (International Association for the Study of Pain.)La Sindrome Dolorosa Regionale Complessa si manifesta con una grandissima variabilità di sintomi. Il sintomo predominante è il dolore sproporzionato rispetto al danno iniziale, infiammazione, edema, iperalgesia e in par-ticolare allodinia, sudorazione anomala, ipertricosi e ridotta escursione articolare con osteoporosi distrettuale.Il dolore è severo, continuo, urente, esacerbato da fattori emozionali. La patologia rappresenta per il paziente un problema rilevante, sia per l’entità della sintomatologia dolorosa, che per la rigidità articolare, la quale comporta importanti implicazioni di ordine funzionale, come le difficoltà nelle attività della vita quotidiana e psicologiche.

materiali e metOdi

Sono state prese in esame le linee guida inglesi (2012), le linee guida olandesi (2006), la revisione Cochrane del 2013 di O’Connel (Interventions for treating pain and disability in adults with complex regional pain syn-drome) e la letteratura recente; dalle linee guida e dai vari articoli presi in esame, si sottolinea l’importanza di un approccio multidisciplinare e la necessita di impostare un precoce approccio riabilitativo. La riabilitazione è riconosciuta come un momento fondamentale nel trattamento delle CRPS poiché non solo può influire sui vari aspetti della sintomatologia - dolore, alterazioni trofiche, vascolari, limitazioni del movimento – ma è un ele-mento essenziale per il recupero della funzionalità. Le tecniche ritenute utili nel trattamento del dolore e per la quali esistono evidenze di efficacia sono le seguenti: tecniche di desensibilizzazione dal dolore, elettroterapia (TENS), Mirror therapy, Graded Motor imaginary programme (GMI) proposto da Mosely, riprogrammazione corticale somato-sensitiva, terapia biofisica e la terapia farmacologica; è importante che per ogni paziente sia elaborato un progetto riabilitativo individuale e sia fornita una proposta professionale adeguata. Si ritiene fon-damentale che un terapista esperto riconosca i primi sintomi della sindrome per impostare un adeguato tratta-mento riabilitativo e indirizzare il paziente agli specialisti. Il terapista dovrà contenere i sintomi nei vari stadi della malattia, che da alcuni autori viene distinta in tre fasi temporalmente successive: stadio I infiammatoria (< 3 mesi), stadio II distrofica (3-6 mesi), stadio III atrofica (> 6 mesi). Nella prima fase l’obiettivo del progetto riabilitativo è di uscire dal circolo vizioso: edema - dolore - immobilità – rigidità. L’intervento prevede la ridu-zione della sintomatologia algica, il trattamento dell’edema, strategie volte al recupero di un range articolare non doloroso della mano e il recupero del frequente deficit di range articolare del gomito e/o della spalla. Da sottolineare che qualsiasi mobilizzazione o proposta terapeutica deve essere effettuata al di sotto della soglia del dolore, onde evitare di alimentare il circolo vizioso. è stato evidenziato che movimenti passivi violenti pos-sono incrementare l’edema, la rigidità e il dolore. In questo stadio si lavora sopratutto per la riprogrammazione corticale e la corretta rappresentazione corporea del segmento leso.Nel secondo stadio il dolore è ridotto e si cerca di promuovere il movimento attivo della mano e dell’arto superiore, consigliando di eseguire frequenti esercizi a casa. Il terapista, data la riduzione del dolore, riesce ad effettuare chinesiterapia attiva e passiva e utilizzare tecniche riabilitative volte anche all’eliminazione dei compensi in altre regioni anatomiche conseguenti lo sviluppo di dolore miofasciale secondario causato dal disuso o da eccessiva attivazione muscolare. Per mantenere e/o incrementare il range articolare delle articola-zioni della mano e del polso ci si può avvalere di splint dinamici confezionati su misura. Lo scopo del progetto riabilitativo a lungo termine è di recuperare la funzionalità dell’arto interessato. Nei vari stadi il paziente deve essere rassicurato e istruito riguardo al lungo periodo riabilitativo. In alcuni casi può essere utile un supporto psicologico. Risulta indispensabile già alla diagnosi e nei mesi successivi la valutazione funzionale che deve precedere l’inizio del trattamento riabilitativo: la valutazione del dolore, da valutare per i vari distretti corporei

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18 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

interessati (spalla, polso, mano) con la VAS e il McGill Pain Questionnaire (short form), la valutazione delle turbe vasomotorie, le alterazioni trofiche, l’articolarità e gli eventuali compensi funzionali. Si utilizza Il ques-tionario DASH per la valutazione funzionale globale dell’arto superiore.

risUltati e cOnclUsiOni

Vi è uno scarso numero di lavori scientifici, determinato dal fatto che la molteplicità dei sintomi e la variabilità dell’evoluzione di questi rendono difficile uniformare i dati. Dalla letteratura emerge che la tempestività di un adeguato approccio diagnostico e terapeutico può evitare quell’evoluzione sfavorevole della sindrome che si configura con un quadro di rigidità di tutte le articolazioni della mano. Si evidenza l’importanza di una diagnosi precoce, un approccio multidisciplinare in equipe da parte di varie specializzazioni mediche e riabilitative. è fondamentale che il terapista sia specializzato in riabilitazione della mano e riesca a trovarsi in sintonia con il paziente cercando di ottenere una buona compliance. Per una gestione migliore della patologia il terapista dovrebbe: Essere a conoscenza della patologia CRPS ed essere in grado di riconoscere i segni clinici. Conoscere i criteri di Budapest per la diagnosi di CRPS. Iniziare il trattamento più precocemente possibile.Assicurarsi che il paziente sia correttamente seguito da un punto di vista medico-farmacologico. Fornire le informazioni al paziente circa la patologia dalla quale è affetto.

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19 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

il cOntribUtO della terapia manUale tOracica nel trattamentO della crps: revisiOne narrativa della letteratUra

t. sorrentino, s. santandrea

intrOdUziOne

La sindrome da dolore regionale complesso (CRPS) è una condizione di dolore cronica che interessa il più del-le volte braccia, gambe, mani o piedi. Tale patologia è anche nota come distrofia simpatica riflessa o causalgia Vi sono due forme di CRPS con stessi sintomi e che possono essere trattate allo steso modo. Quella di tipo I si sviluppa generalmente a seguito di un forte trauma a braccia e gambe come ad esempio schiacciamento, fratture o amputazione; mentre quella di tipo II a causa di una lesione nervosa1. Le teorie sulla causa della CRPS sono diverse come il coinvolgimento del sistema nervoso simpatico, anomala reazione infiammatoria, le-sione nervosa, sensibilizzazione centrale, disturbi psicologici e inattività. Il principale sintomo è il dolore molto intenso e spesso descritto come bruciante, associato all’iperalgesia. Nell’arto interessato vi è un cambiamento della temperatura, una diversa sensibilità, una sudorazione anormale, presenza di edema, cambiamento del colorito cutaneo e diminuzione della funzionalità. I sintomi generalmente si sviluppano tra le 3 settimane e i 6 mesi dal trauma2,3,4,5. Dopo qualche settimana nella zona interessata l’esame radiografico può mostrare un’ osteoporosi a chiazze, limitata alla sola parte infiammata1. Normalmente l’approccio terapeutico è multidisci-plinare: Medico, Riabilitativo, Psicologico1……Terapia Manuale nel distretto toracico. I pazienti con CRPS I al braccio spesso assumono delle deviazioni posturali associate ad una protezione del braccio. Questa posizione riduce i movimenti del tronco in stazione eretta e se mantenuta a lungo può ridurre la mobilità in questa zona. I gangli della catena del Sistema Nervoso Simpatico (SNS) che innervano il braccio si trovano in prossimità del-le articolazioni costovertebrali e zigoapofisarie tra le vertebre T1 e T9. Una disfunzione di queste articolazioni e dei tessuti molli in questa zona può compromettere la catena dei gangli simpatici e creare i sintomi della CRPS I. Data la vicinanza anatomica tra queste articolazioni e la catena dei gangli simpatici attraverso delle tecniche di mobilizzazione/manipolazione in zone particolari di questo distretto si può migliorare la mobilità e quindi ridurre la pressione sulla catena simpatica. L’ipomobilità secondaria da postura anomala e vicinanza anatomica dei gangli simpatici alla colonna vertebrale toracica possono essere un collegamento tra CRPS I e disfunzione articolare1,6,7. Attraverso una revisione narrativa della letteratura vogliamo valutare se il trattamen-to di terapia manuale tra le vertebre T1 e T9 può essere un ulteriore strumento per influenzare i pazienti con sintomi e segni CRPS I agli arti superiori. Le parole-chiave utilizzare nei motori di ricerca sono stati: [“crps” or “sympathetic nervous system”] and [“Thoracic mobilization” or “Thoracic treatment” or “manipulation” or “thoracic manual therapy.

metOdOlOgia di ricerca

La ricerca bibliografica è stata effettuata tra il 01 gennaio 2014 e il 20 marzo 2014. Sono state consultate le se-guenti banche dati: PubMed, PEDro, EMBASE, CINAHL e ProQuest e sono state utilizzate le bibliografie degli articoli più rilevanti per reperire ulteriore materiale. Le parole-chiave e i Subject Headings (MeSH) inseriti nei motori di ricerca sono stati: [“crps” or “sympathetic nervous system”] and [“Thoracic mobilization” or “Thoracic treatment” or “manipulation” or “thoracic manual therapy”]. Sono stati inclusi studi su individui adulti, sono stati esclusi gli studi condotti su popolazioni ristrette o su categorie definite.

risUltati

Sono stati selezionati 137 studi, ma solo 3 studi hanno rispettato i criteri di inclusione ed esclusione predefiniti, anche se maggiore è il numero di studi reperiti che hanno come obiettivo quello di verificare un’influenza del trattamento toracico sui sintomi di origine simpatica. Nel 1997 Nelson8 riscontra un’associazione tra i sintomi della CRPS e disfunzioni del rachide toracico. L’autore ha riscontrato che le manifestazioni di disfunzione soma-tica toracica superiore sono simili a quelle del CRPS e ipotizza che possano stare alla base della sua fisiologia, i pazienti studiati rispondono prontamente alla manipolazione toracica e inoltre si riscontra una relazione tra disfunzioni segmentali tra T2 e T5 e sintomi simili a quelli della CRPS. Menck1 nel 2000 giunge alla conclusione che siano necessari valutazione e trattamento del rachide toracico in pazienti con CRPS I agli arti superiori. Il suo studio è stato condotto su una paziente con CRPS I, inizialmente il trattamento consisteva in desensi-bilizzazione cutanea, trattamento dell’edema ed esercizi cauti. Un’ulteriore valutazione ha fatto poi emergere ipomobilità e ipersensibilità del rachide toracico alto. Subito dopo la manipolazione T3T4 si è verificato una riduzione dell’allodinia e dei sintomi distrofici. Muir1 nella revisione della letteratura del 2000 asserisce che, anche se nessuna ricerca è stata completata esaminando il ruolo della cura chiropratica nel trattamento della CRPS, c’è ragione di credere che la manipolazione spinale possa essere utile per i pazienti con CRPS.

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discUssiOne

Nonostante non si siano riscontrati molti studi che investighino sugli effetti della terapia manuale spinale nei pazienti affetti da CRPS, si sono, comunque, reperiti studi riguardanti il suo effetto sul dolore agli arti e sui riflessi vasomotori. In due studi3,4 hanno riscontrato un miglioramento della regolazione vasomotoria in seguito a manipolazioni spinali, che peraltro favoriscono un temporaneo rilascio di sintomi simil-CRPS. Larson5, Kap-pler e Kelso9 hanno dimostrato, in presenza di sintomi sostenuti da un’attività anomala del SNS, una riduzione della temperatura cutanea e una riduzione del dolore, in seguito a trattamento con manipolazioni toraciche. Gli stessi autori suggeriscono che anche i sintomi della CRPS possono essere causati, o perpetuati da un mec-canismo simile a quello della disfunzione somatica toracica, e sostengono che la manipolazione toracica sia un trattamento utile per queste condizioni. Nel 1986 Maitland10 descrive la Sindrome T4 come “pattern clinico caratterizzato da parestesia e dolore alle estremità superiori, con o senza associazione di sintomi a testa e/o collo”. La patofisiologia della suddetta sindrome non è stata ancora stabilita, ma ci sono considerevoli dibattiti clinici e accademici riguardanti la possibilità di dolore e parestesia riferita alle mani come conseguenza di di-sfunzioni articolari toraciche11. Un potenziale motivo di connessione tra le due strutture sembra essere il SNS. Lo studio di Jowsey e Perry12 ha dimostrato che la mobilizzazione PA rotatory III grado su T4 con frequenza 0,5 Hz può produrre eccitazione del SNS con sintomi sulle mani, ed è l’unico studio randomizzato e control-lato reperito che si ponesse come obiettivo quello della verifica di cambiamenti di sintomi simpatici agli arti superiori in seguito a trattamento di T412.

cOnclUsiOne

Il corpo di evidenze scientifiche a supporto dell’efficacia del trattamento manuale toracico nei pazienti col-piti da CRPS è esiguo, ma il quadro generale delineato dalla revisione mostra risultati positivi. Emerge che il trattamento di terapia manuale toracico può essere considerato come un ulteriore strumento per influenzare i sintomi di pazienti con CRPS, specie in considerazione del legame che questi hanno con l’eccitazione anomala del SNS. La revisione si esprime, quindi, a favore di un approccio multidisciplinare che utilizzi anche tecni-che di terapia manuale spinale. La qualità degli studi analizzati non è soddisfacente, sia per lo scarso livello metodologico, sia per l’eterogeneità dei trattamenti, ma ci sono i presupposti per ulteriori studi. Si ribadisce la necessità di ulteriori sperimentazioni mirate allo studio degli effetti di tecniche di terapia manuale toracica omogenee e riproducibili in pazienti con CRPS.

prOpOsta di trattamentO

Il rachide dorsale rappresenta un tratto particolare della colonna vertebrale, sia dal punto di vista biomeccanico (connessione coste, sterno), topografico (considerando la vicinanza agli organi cuore, polmoni, mediastino) che neurofisiologico dato che i gangli della catena del Sistema Nervoso Simpatico (SNS) che innervano il braccio si trovano in prossimità delle articolazioni costovertebrali e zigoapofisarie tra le vertebre T1 e T9.I pazienti con CRPS I al braccio spesso assumono delle deviazioni posturali associate ad una protezione del braccio. Questa postura riduce i movimenti del tronco in stazione eretta e se mantenuta a lungo può ridurre la mobilità delle suddette articolazioni . Riducendosi la mobilità si viene a creare una disfunzione articolare e dei tessuti molli nel distretto dorsale che, compromettendo la catena dei gangli simpatici, da origine ai sinto-mi della CRPS I. Quindi la valutazione e il trattamento in terapia manuale del rachide dorsale non è indicata solo con problemi/sintomi muscolo – scheletrici nell’area toracica, ma data la vicinanza anatomica tra queste articolazioni e la catena dei gangli simpatici, attraverso la mobilizzazione/manipolazione in questo distretto si può migliorare la mobilità e quindi ridurre la pressione sulla catena dei gangli simpatici.La prima e anche la più importante fase del trattamento è la valutazione clinica che avviene attraverso:- L’ESAME SOGGETTIVO- L’ESAME FISICOLe tecniche passive di mobilizzazione nel Concetto Maitland si praticano prevalentemente con modalità oscil-lante, l’intensità e l’ampiezza del movimento passivo si classificano per gradi e vengono definiti in numeri romani dal I al IV per le mobilizzazioni e con V per le manipolazioni. I gradi di movimento vengono utilizzati sia per i PPIVM’s (Passive physiological intervertebral movements) che per i PAIVM’s (Passive accessory inter-vertebral movements). In questo modo il terapista può avere un dosaggio preciso della tecnica di valutazione e trattamento, analisi conscia ed approfondita della tecnica passiva, documentazione precisa, migliore comu-nicazione e stabilire la progressione di trattamento. Terminato l’ESAME SOGGETTIVO e l’ESAME FISICO il terapista può pianificare il trattamento. In questo studio verranno elencate alcune tecniche (PAIVM’s) che possono variare a seconda del livello toracico. - Mobilizzazione vertebrale postero - anteriore centrale- Mobilizzazione vertebrale postero - anteriore unilaterale- Mobilizzazione costovertebrale postero - anteriore, unilaterale - Mobilizzazioni postero - anteriori intervertebrali in rotazione (skrew)Data la particolarità della malattia della CRPS la durata della seduta può variare molto da pz a pz, l’importante è che venga tollerata e che non crei un aumento della sintomatologia durante, alla fine o dopo il trattamento.

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Per implementare la terapia sarebbe utile insegnare al pz degli esercizi di auto mobilizzazione da svolgere a domicilio. Il numero delle sedute settimanali e la durata totale della terapia vanno sempre valutati in base alla manifestazione dei sintomi.

bibliOgrafia

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Larson NJ. A study of response of uncomplicated peripheral sensory disturbances to specific osteopathic manipulative treatment [abstract]. J Am Osteopathic Assoc 1972; 72:62.

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tion technique applied to T4: A randomized, placebo-controlled trial. Manual therapy 15 (2010)248-253.

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WOrkshOpla stimOlaziOne elettrica neUrOmUscOlare nella riabilitaziOne della manO

d. zanin¹, d. thomas², a. malvicino³, g. pivato4

1Clinica Fornaca di Sessant, Gruppo Humanitas (Torino)2S.C. Recupero e Rieducazione Funzionale Presidio Riabilitativo FateBeneFratelli (Torino) 3Centre de Rééducation et d’Orthéses de la Main (Grenoble)4Reparto di Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva Clinica Sab Pio X (Milano)

intrOdUziOne

Già nell’antichità, in Egitto e in Grecia (600 a.C.) erano note le proprietà delle correnti elettriche di origine animale (es. pesce torpedine) o minerale (es. resine come l’ambra) e venivano utilizzate come terapia per di-minuire il dolore associato a gotta, artriti, infiammazioni e perfino emorragie. Nel XVIII e XIX secolo diversi studiosi come Kratsentein (1754) e Duchenne du Boulogne (1867) affrontarono questo fenomeno contribuen-do alla definizione degli effetti della stimolazione elettrica sui muscoli normoinnervati, delle modalità d’utilizzo dell’elettricità come strumento di investigazione fisiologica e le sue indicazioni terapeutiche. A partire dagli anni 60 alcune equipe (Rancho Los Amigos, Ljubljana e Cleveland) hanno ulteriormente sviluppato e approfon-dito questo strumento riabilitativo perfezionando le tecniche d’applicazione in base alla patologia affrontata. Fino agli anni 70 la traumatologia non prevedeva l’utilizzo della stimolazione elettrica neuromuscolare, ma gli effetti benefici ottenuti nei pazienti neurologici in termini di aumento del trofismo muscolare e delle ampiezze articolari, riduzione della rigidità con conseguente miglioramento della qualità del movimento hanno spinto alcuni specialisti della riabilitazione della mano, come Braun (1974) e Thomas (1976), ad adoperarla nel tratta-mento di questo segmento. Lo scopo di questo lavoro è offrire una panoramica degli effetti della stimolazione elettrica neuromuscolare (NMES) ai muscoli normoinnervati, illustrarne le applicazioni nell’ambito della riabi-litazione della mano e i possibili margini di sviluppo e approfondimento. Nella parte pratica verranno spiegati i concetti di base del suo utilizzo e mostrate le modalità di applicazione per i principali gruppi muscolari del segmento mano – polso – gomito.

materiali e metOdi

In seguito ad un trauma o ad un intervento chirurgico, si crea un circolo vizioso dove dolore, infiammazione ed edema inibiscono, attraverso i riflessi nocicettivi, la contrazione volontaria della muscolatura della mano, sia estrinseca che intrinseca. Questa forma di “paralisi temporanea”, del tutto simile a quella conseguente ad una lesione del SNC, porta a fibrosi tessutale, favorisce la formazione di aderenze e provoca un’esclusione a livel-lo della rappresentazione corticale del segmento interessato. La mobilizzazione attiva precoce, ancor meglio quella immediata, sono lo strumento più efficace per contrastare questi fenomeni, tuttavia l’inibizione dovuta al dolore rende poco efficace i tentativi di contrazione volontaria da parte del paziente; l’elettrostimolazione è particolarmente utile in questi casi e aiuta il soggetto ad ottenere una contrazione adeguata che altrimenti faticherebbe a compiere. A livello articolare, l’elettrostimolazione permette di ottenere un movimento fisiolo-gico del segmento: l’inserzione del tendine infatti ha un braccio di leva corto, ciò consente di avere la corretta combinazione tra i movimenti di rotazione e scivolamento. Diversamente, nella mobilizzazione passiva si ha un braccio di leva lungo e questo induce rotazione ma non scivolamento; si verifica così un conflitto articolare ed uno stiramento delle strutture periarticolari. L’elettrostimolazione di un muscolo normoinnervato provoca uno scorrimento delle strutture miotendinee in senso disto – prossimale e, a livello della muscolatura antagoni-sta in senso prossimo – distale; questo risulta particolarmente importante quando aderenze legate a fenomeni cicatriziali limitano i movimenti del distretto interessato. Nei pazienti con lesioni del SNC l’elettrostimolazione riduce la spasticità attraverso la stimolazione degli antagonisti (fenomeno dell’inibizione reciproca), migliorare la diffusione della tossina botulinica nei muscoli infiltrati e agevolare l’attivazione di specifici gruppi musco-lari per compiere gesti altrimenti di difficile esecuzione per la presenza della spasticità (Stimolazione Elettrica Funzionale FES). Inoltre, l’elettrostimolazione favorisce la guarigione delle ferite aumentando la circolazione locale, riduce l’edema stimolando l’attività della pompa muscolare e modula il dolore attraverso il meccanismo del gate control. Tutte queste indicazioni terapeutiche fanno sì che la stimolazione elettrica per i muscoli nor-moinnervati sia indicata nella maggior parte delle patologie che affliggono il distretto mano – polso – gomito.

risUltati

Sebbene gli effetti benefici dell’esercizio elettro – attivo ci inducano a introdurre questo strumento terapeutico all’interno dei protocolli riabilitativi, è necessario riflettere su alcuni aspetti critici nel suo utilizzo:

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23 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

La necessità di disporre di una attrezzatura specifica, non sempre di facile reperibilità;Una lunga curva d’apprendimento vista la difficoltà nell’individuare in maniera precisa i punti motori dei mu-scoli intrinseci ed estrinseci della mano (è necessaria una profonda conoscenza dell’anatomia per localizzare correttamente i diversi muscoli); Il numero ristretto di pubblicazioni e corsi ad essa dedicati, che affianchino alle basi teoriche sugli effetti bio-logici e clinici dell’elettrostimolazione parti accurate pratiche (basti pensare alla approssimazione nelle mappe dei punti motori nei libri di testo);la maggior parte degli apparecchi in commercio non possiedono programmi personalizzabili e questo ci co-stringe a considerare un numero limitato di modelli;la scarsità di accessori e attrezzature dedicate nei cataloghi delle industrie elettromedicali.Il lavoro elettro-attivo su componenti poliarticolari richiede un attento posizionamento del segmento sul tavolo canadese così da neutralizzare i movimenti sulle articolazioni adiacenti a quella su cui intendiamo agire.Anche la scelta dell’elettrodo è una variabile importante da considerare e ne esistono di diverse tipologie:elettrodi adesivi ed elettrodi a contatto (le taglie devono essere proporzionate alle dimensioni dei muscoli da stimolare), elettrodi a guanto, adatti a mani edematose e per lavori globali della muscolatura intrinsecaelettrodi impiantabili, utili per lavorare su muscoli profondi.Tutti questi aspetti rendono l’utilizzo della stimolazione elettrica neuromuscolare una pratica complessa e di non sempre facile applicazione.

cOnclUsiOni

La stimolazione elettrica neuromuscolare è la sola modalità che combina gli effetti di una facilitazione motoria, analgesica e di aiuto neuromuscolare rendendola uno strumento efficace per aiutare il paziente a rompere il circolo vizioso della “malattia post – traumatica”.Il suo utilizzo è da auspicare in tutte le condizioni cliniche in cui la mobilizzazione attiva del paziente non è sufficiente a mantenere un movimento attivo adeguato; il suo limite d’applicazione è rappresentato dalla fra-gilità dei tessuti e condizionato dalle fasi di guarigione dei tessuti. Attualmente la stimolazione elettrica dei muscoli normoinnervati viene utilizzata non solo nei pazienti orto-pedici ma anche in altre patologie, come nelle lesioni del SNC, nel trattamento perineale e del dolore cronico.Come tutti gli strumenti efficaci, il suo utilizzo scorretto può essere potenzialmente dannoso ed è quindi indi-spensabile adoperarlo con un’ adeguata preparazione sia teorica che pratica.

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24 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

rUOlO degli stress legati a gestUalità lavOrative specifiche nel cOntestO del trattamentO della rizOartrOsi

a. malvicino1, d. zanin2, g. pivato3

1S.C.Recupero e rieducazione Funzionale Presidio Riabilitativo Fatebebefratelli, Torino2Clinica Fornaca di Sessant, Torino3Reparto di Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva Clinica S.Pio X, Milano

La degenerazione artrosica dell’articolazione trapezio–metacarpica, comunemente detta rizoartrosi, è caratte-rizzata da dolore alla base del pollice e impotenza funzionale. La sintomatologia dolorosa è legata alle prese fini dove l’estremità del pollice si oppone all’apice delle altre dita, in questo modo tutti i gesti che prevedono l’utilizzo di oggetti di piccole dimensioni provocano dolore e limitano l’autonomia del paziente. Sovente, la rizoartrosi, inizia a manifestarsi intorno ai 40/50 anni, nel pieno dell’attività lavorativa e la sintoma-tologia dolorosa è spesso correlata a specifici gesti lavorativi. Obiettivo di questo lavoro è individuare alcune delle principali problematiche riscontrate in pazienti affetti da rizoartrosi, considerare la presenza di fattori di rischio in alcune attività lavorative, e individuare possibili strategie per ridurre il carico sull’articolazione coinvolta.Le conoscenze di biomeccanica, oltre a permetterci di elaborare protocolli sempre più efficaci nel restituire una buona stabilità articolare e ridurre il dolore, ci consentono di comprendere meglio come i carichi sviluppati nelle prese fini accentuino la sintomatologia dolorosa nei soggetti affetti da rizoartrosi.L’economia articolare ha l’obiettivo di ridurre gli sforzi diretti sull’articolazione trapezio metacarpica per per-mettere ai pazienti di eseguire con minore difficoltà le attività che solitamente risultano dolorose. Analizzando la letteratura inerente a questa problematica, è possibile notare come sempre più numerosi sono quei lavori che affrontano il problema della gestualità professionale come possibile concausa del mantenimen-to della sintomatologia dolorosa nei soggetti con rizoartrosi (Work related thumb pain WRTP); partendo da questa evidenza,si è cominciato a guardare all’attività lavorativa come uno dei fattori più rilevanti di sovracca-rico potenzialmente dannosi per l’articolazione trapezio-metcarpica.Dal confronto tra la nostra esperienza clinica e l’approfondimento bibliografico da noi svolto, abbiamo iniziato a considerare alcune “professioni a rischio” cercando di individuare i gesti specifici potenzialmente dannosi e le possibili strategie ergonomiche di compenso. Momento fondamentale del trattamento conservativo della rizoartrosi è l’economia articolare; se inizialmente suggeriamo semplici accortezze nel compiere gesti comuni come scrivere, aprire un barattolo o girare una chiave, con il progredire delle sedute dovremo individuare tutte le attività critiche quotidianamente svolte dal Paziente, cercando di educarlo all’utilizzo di ausili e strategie per salvaguardare il segmento interessato. Riteniamo importante individuare le “categorie lavorative a rischio” come i fisioterapisti, dentisti, tecnici di laboratorio, artigiani, musicisti (e molti altri) al fine di suggerire loro l’utilizzo di attrezzature e gestualità al-ternative in grado di limitare il carico sull’articolazione trapezio-metacarpica; obiettivo futuro potrebbe essere quello di adottare un’azione preventiva rivolta ai soggetti potenzialmente a rischio che non hanno ancora ma-nifestato i sintomi riferibili a questa condizione.L’economia articolare è da considerarsi alla base di un trattamento conservativo di successo. La ricerca di una gestualità corretta e l’individuazione di ausili adeguati alle necessità lavorative, domestiche e sociali del soggetto riduce gli stress sull’articolazione artrosica, diminuendo il dolore percepito dal paziente e restituendogli la massima autonomia possibile nelle attività della vita quotidiana.

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25 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

trattamentO riabilitativO in paziente affetta da sindrOme da interseziOne assOciata a sindrOme cOmpartimentale dell’avambracciO destrO: case repOrt

s. centaro, e. di paolo, f. pellizzaro, d. tardiolo

Sportkinetic, Roma

Lo scopo di questo lavoro è condividere il trattamento riabilitativo svolto per una paziente che manifestava contemporaneamente due patologie della mano non frequenti, la sindrome compartimentale e la sindrome da intersezione dell’avambraccio destro (primo compartimento muscolare dorsale –APL E EPB ed estensori radiali del carpo – ECRL e ECRB).Paziente di 26 anni, da circa 1 anno e mezzo lamentava dolore acuto e gonfiore dell’avambraccio sia nella zona del ventre muscolare estensorio sia nella zona intersezionale a circa 5 cm dalla plica del polso. ROM ridotto del polso causato dall’infiammazione tendinea e dal dolore, intorpedimento di tutte le dita e sensibilità alterata dell’avambraccio in toto.La paziente lavora come estetista da circa 1 anno quindi abbiamo associato l’insorgenza di queste patologie alla nuova condizione di sforzo lavorativo, essendo il gesto lavorativo dato da movimenti ripetuti e costanti dove lo stress di questi compartimenti muscolari è sempre presente. Abbiamo eseguito un’indagine in letteratura medica e abbiamo trovato la descrizione delle singole patologie ma nulla sulla manifestazione di entrambe nello stesso avambraccio. Vi sono articoli che parlano soprattutto della sindrome interserzionale mentre è raro trovarne sulla comparti-mentale acuta spontanea perchè spesso viene associata a trauma o tromboembolia. La particolarità del caso era nella gestione del trattamento riabiltativo e quali dovevano essere le priorità viste le diverse patologie. è stata valutata con i seguenti criteri: questionario della valutazione della mano e del polso PRWE, valutazione della forza con il dinamometro JAMAR, valutazione della forza della pinza con il pinch test con le 3 pinze (a 3 punti, laterale e termino terminale).Valutazione dell’edema con misurazione in centimetri precisamente a 5 e 10 cm dalla plica del gomito. è stata valutata anche dal punto di vista posturologico con valutazione Mezieres. Lo scopo era eliminare il dolore, eliminare la congestione muscolare e la tenosinovite acuta del compartimento muscolare dorsale e degli estensori radiali del carpo. Viene somministrato a circa 2 settimane del trattamento il LYRICA 75mg 2 volte al giorno per 1 mese e Ma-gnesio. TRATTAMENTO RIABILITATIVO: Prima fase 2/3 settimane Splint di immobilizzazione in 20° di estensione per l’avambraccio ed il pollice con IF libera diurno e notturno.Terapia fisica per la compartimentale: diadermia capacitiva 20 minuti. per la sindrome da interserzione: ultrasuonoterapia. Massoterapia decontratturante ’avambraccio e braccio. Stretching della muscolatura dell’arto superiore Correnti antalgiche TENS Seconda fase 4/6 settimane Splint notturno e per attività pesanti. Mobilizzazione attiva assistita per la ripresa funzionale della mano e per l’aumento della forza dell’avambrac-cio. Kinesiterapia con la regola del 10% (aumentare carico, ripetizioni del 10% a settimana)Educare il paziente ad una corretta postura nel gesto lavorativo. Ripresa dell’attività lavorativa. Il trattamento ha avuto la durata di 2 mesi la paziente è migliorata in modo sostanziale in entrambe le pato-logie ed essendo stata rivalutata con i medesimi criteri iniziali sono emersi dei dati di significativo interesse. La paziente continua un programma di rieducazione posturale che può mantenere e migliorare un giusto equi-librio muscolare necessario per la sua professione La corretta diagnosi è alla base di queste patologie e rappresenta l’outcome del paziente con il trattamento rapido ed efficace. Questo soprattutto perchè sono patologie che possono avere diverse diagnosi differenziali che rallenterebbero il processo di ripresa. La componente lavorativa insieme a quella psicologica hanno un ruolo importante nella gestione di queste patologie.

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26 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

tUtOri di mObilizzaziOne per la flessO – estensiOne di gOmitO: revisiOne della letteratUra

d. zanin, a. malvicino, c. ferraresi, g. pivato

Davide, Torino

La riduzione del range articolare è la complicanza di più frequente riscontro a seguito di un trauma del go-mito; quando si instaura une rigidità, essa influisce negativamente sulla ripresa funzionale dell’intero arto. La rigidità di gomito può avere cause intrinseche (es. incongruenza delle superfici articolari…), estrinseche (es. retrazioni capsulo - legamentose, aderenze, ecc) o la combinazione di entrambe; i fattori che determina-no il suo sviluppo sono: l’entità del trauma, il coinvolgimento articolare e la durata dell’immobilizzazione. Se la riabilitazione risulta essere inefficace nelle rigidità di natura intrinseca, essa svolge un ruolo determinante in quelle di origine estrinseca. Oltre a tutte le tecniche riabilitative comunemente utilizzate dal fisioterapista che prende in carico il paziente, i tutori di mobilizzazione rivestono un ruolo essenziale nel tentativo di provocare un allungamento graduale delle strutture periarticolari ed extra articolari che causano una riduzione dell’arco di movimento. L’obiettivo di questo lavoro è fornire una panoramica sui tutori di mobilizzazione di gomito in flessione ed estensione, tentando di individuare i principi meccanici che stanno alla base della loro progettazione e le cri-ticità nella loro realizzazione.è stata effettuata una revisione della letteratura riguardante i tutori di mobilizzazione di flesso – estensione di gomito tentando di definire quali sono i modelli più utilizzati, le indicazioni e in che modo le forze da loro sviluppate interagiscono col segmento sede di rigidità. Oltre a sottolineare l’importanza di una adeguata scelta dei materiali e la difficoltà nell’utilizzare un design low – profile, sono stati messi a confronto le componenti di mobilizzazione “dinamiche” e “statiche progressive”.L’approccio ortesico alla rigidità di gomito presenta numerose difficoltà, sia di progettazione che di realizza-zione. Le principali sono: • L’incapacità di quantificare le forze che l’ortesi deve sviluppare per essere efficace, o almeno il limite oltre

al quale si rischia di danneggiare i tessuti periarticolari retratti.• La mancanza di linee guida per definire quando ricorrere a sistemi di mobilizzazione dinamici o statici

progressivi.• Una forte disomogeneità nelle modalità di utilizzo proposte dagli autori consultati nella revisione. • L’adeguatezza degli appoggi del tutore sul segmento. • Ridurre al minimo le componenti di compressione dirette sull’articolazione.• La possibilità da parte del paziente di regolare autonomamente le forze sviluppate dal tutore in maniera

precisa.• La necessità di ricorrere a materiali di difficile lavorazione che richiedono un’attrezzatura specifica.• La difficoltà nell’ottenere un tutore sufficientemente leggero, conviviale ed esteticamente gradevole da

permettere al paziente di utilizzarlo senza difficoltà durante la giornata.

Se la maggior parte degli Autori condivide la necessità di ricorrere a tutori di mobilizzazione per ottenere un allungamento graduale dei tessuti periarticolari ed extraarticolari che determinano la rigidità estrinseca di go-mito, non è ancora stato individuato quale tutore sia più opportuno per affrontare queste situazioni cliniche. Mancano percorsi valutativi standardizzati sulla valutazione della rigidità di gomito e su quale ortesi possa essere più efficace per affrontare le diverse situazioni cliniche. Oltre a ciò, dobbiamo considerare le difficoltà tecniche nella loro realizzazione e la difficile adattabilità di quelli preconfezionati. Alla luce di questa revisio-ne non abbiamo individuato un tutore di mobilizzazione “ideale” per il trattamento delle rigidità di gomito, ma analizzando con attenzione le caratteristiche di ognuno di quelli presi in esame, possiamo definire alcuni aspetti fondamentali per garantire la correttezza meccanica delle forze generate sull’articolazione, e allo stesso tempo un tutore di facile utilizzo e gestione per il paziente.

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27 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

valUtaziOne e trattamentO riabilitativO della fOrma distrettUale della cOmpleX regiOnal pain sYndrOme: revisiOne narrativa della letteratUra

i. saroglia, g. pompili

Grosseto

La forma distrettuale della complex regional pain syndrome (CRPS) è stata descritta per la prima volta nel 1972 da Dammann, è una forma rara di algodistrofia che colpisce da uno a tre dita e si differenzia dalla CRPS di tipo 1 che generalmente colpisce le estremità degli arti superiori e in particolare la mano.La ricerca è stata condotta in un periodo compreso tra il 2000 e il 2014, utilizzando i motori di ricerca Pubmed e Pedro e l’archivio online della rivista scientifica Journal of Hand Therapy, selezionando solo gli articoli in lingua inglese. è stato utilizzato anche il motore di ricerca Google al fine di avere un inquadramento diagno-stico e riabilitativo del panorama Italiano. KEYWORDS: CRPS 1, partial, segmental, form, algodystrophy, reflex sympathetic dystrophy, hand, protocol, diagnosis.La valutazione diagnostica di riferimento attualmente risulta essere l’ultima revisione dei criteri di Budapest, aggiornata al 2013. Per quanto riguarda invece i protocolli riabilitativi sono emerse dalla ricerca numerose li-nee guida, tra le più recenti troviamo quella proposta dal Reflex Sympathetic Dystrophy Syndrome Association, dal Royal College of Physician e dalla Netherlands Society of Rehabilitation Specialists in collaborazione con la Netherlands Society of Anaesthesiologists.Negli anni sono stati elaborati vari criteri diagnostici per il riconoscimento di questa patologia e gli ultimi criteri validati risultano quelli di Budapest, proposti da Harden et al. Non esiste invece un unico protocollo ri-abilitativo per il trattamento della CRPS distrettuale, nonostante numerose Associazioni internazionali abbiano avanzato varie linee guida per il trattamento e il management della CRPS.

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28 11° COngreSSO nazIOnale aIrM - attI del COngreSSO

tUtOri di mObilizzaziOne per la prOnO – sUpinaziOne: revisiOne della letteratUra

d. zanin, a. malvicino, c. ferraresi, g. pivato

Torino

La prono – supinazione è la rotazione dell’avambraccio attorno al suo asse longitudinale. Insieme ai movimenti di rotazione della spalla consente l’esecuzione delle principali azioni finalizzate al soddisfacimento dei bisogni dell’individuo, come l’alimentazione, l’igiene e l’attività lavorativa. Questo movimento, che avviene a livello dell’articolazione radio – ulnare prossimale e distale e coinvolge numerose strutture capsulari, legamentose e muscolari, è caratterizzato da una complessa cinematica che consente al radio di ruotare attorno all’ulna fino a sovrapporsi ad essa ai gradi massimi di pronazione. L’ampiezza totale della prono – supinazione è di circa 180°, tuttavia può ridursi drasticamente in seguito a traumi nel distretto polso – avambraccio – gomito. Il riabilitatore ha il compito di recuperare almeno i 100° (50° di supinazione e 50° di pronazione) definiti da Morrey come ROM funzionale. Anche nel trattamento della rigidità della prono – supinazione si utilizzano or-tesi per mantenere le strutture retratte nella posizione di massimo allungamento tollerabile per diverse ore al giorno con l’obiettivo di provocare un rimodellamento tessutale (concetto del Low-LoadProlonged Stretch) e mantenere il beneficio ottenuto durante la seduta. Diversi autori si sono adoperati per ideare ortesi semplici e conviviali per il paziente, capaci di generare un momento meccanico efficace a questo scopo. L’obiettivo di questo lavoro è fornire una panoramica dei tutori di mobilizzazione di gomito in prono – supina-zione, illustrando i principi meccanici della loro progettazione e le criticità riscontrabili nella loro realizzazione.La nostra revisione bibliografica si è focalizzata sui tutori di mobilizzazione in prono – supinazione, individuan-do le peculiarità di ognuno e cercando di definire in quale modello vengono applicate le forze all’avambraccio. Abbiamo confrontato i sistemi di mobilizzazione di queste ortesi individuando i principi di base che le rendo-no efficaci nel recupero dell’articolarità della prono – supinazione.Nonostante le ortesi di mobilizzazione per la prono – supinazione siano un argomento affrontato raramente in letteratura, sono stati proposti un discreto numero di tutori con questa finalità. Gli aspetti principali emersi dall’analisi e dal confronto tra i diversi modelli sono: • La necessità d’includere il gomito nel tutore, e possibilmente senza limitarne la flesso – estensione, per

ottenere un valido punto fisso e agire efficacemente a livello distale. • La scarsità di sistemi di mobilizzazione efficaci, poco ingombranti e facilmente regolabili dal paziente. • La necessità di un appoggio distale che limiti i compensi in rotazione dell’articolazione radio – carpica. • La difficoltà nell’applicare correttamente le forze generate dal tutore all’avambraccio e il mantenimento

della loro perpendicolarità all’incremento del range di movimento. • Evitare le forze di compressione al polso e al gomito. • La possibilità dello stesso tutore di poter lavorare sia in direzione della pronazione che della supinazione

Economicità e facilità di fabbricazione e da parte del terapista. Da questa revisione emerge che solo uno scarso numero di modelli garantisce la piena libertà di movimento del gomito, facilità e precisione nelle regolazioni delle trazioni sull’avambraccio e adoperano strutture low profile.Anche se l’assenza di studi comparativi rende impossibile definire quale modello sia più efficace nel trattamen-to della rigidità in prono – supinazione, la soluzione più utilizzata è costituita da due moduli separati, uno bra-chiale e l’altro antibrachio – metacarpale, collegati tra loro da componenti statiche- progressive o dinamiche. Non esiste un tutore condiviso dagli autori consultati, ne protocolli che definiscano i tempi e le modalità d’u-tilizzo.