130introduzione alla teoria dei circuiti
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Università di Roma "La Sapienza"
Facoltà di Ingegneria
Introduzione alla Teoria dei Circuiti
Appunti dal Corso di Teoria dei Circuiti I
per Ingegneria Elettronica e
per Ingegneria delle Telecomunicazioni
A.A. 1998-99
Prof. Elio D. Di Claudio
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PREFAZIONE
La Teoria dei Circuiti, oggetto di questo corso, si occupa essenzialmente della definizione e
dell'analisi dei circuiti elettrici, vale a dire della connessione di blocchi (o componenti
circuitali) in cui hanno sede fenomeni di natura elettromagnetica (conduzione elettrica,
induzione magnetica, accumulo di carica, ecc.).Questi fenomeni sono già spiegati con grande accuratezza dalla Teoria dei Campi
elettromagnetici, che è basata sulle equazioni di Maxwell ed è valida fino a distanze molto
piccole (inferiori ai 10-15
m) e alle massime frequenze d'interesse, come quelle dei raggi
gamma.
La Teoria dei Circuiti analizza gli stessi fenomeni, ma imponendo, almeno inizialmente,
limitazioni piuttosto pesanti sulle frequenze di lavoro e sulla natura dei componenti circuitali
(la presenza in un blocco fondamentale di un solo tipo di fenomeno elettromagnetico per
volta, la costanza nel tempo delle caratteristiche del blocco, ecc.).
Sorge spontanea a questo punto la domanda sull'utilità di introdurre (e studiare) una teoria sin
dall'inizio affetta da errori di approssimazione del mondo fisico ben superiori, ed un campo di
applicabilità inferiore.Ancora, le teorie della probabilità e dell'informazione suggeriscono che la stessa concezione
di un blocco circuitale caratterizzato da relazioni funzionali costanti è quasi certamente una
idealizzazione eccessiva del mondo reale e dovrebbe essere sostituita da un modello di tipo
statistico.
Nella stesura di questi appunti ci si è sforzati di dimostrare come le obiezioni alla Teoria dei
Circuiti possono essere benissimo superate anche da un punto di vista teoretico, oltre che
essere giustificate dal punto di vista empirico dai risultati che l'approccio circuitale ha
consentito per quel che riguarda la comprensione ed il dominio dei fenomeni elettromagnetici
(e non soltanto quelli) da parte dell'ingegneria.
Si ripercorreranno in breve nei Capitoli I, II e III le tappe storiche del pensiero filosofico e
scientifico che sono risultate determinanti per la creazione del concetto moderno di teoria.
Si analizzeranno i passi fondamentali richiesti per la costruzione di una teoria scientifica
generica, sottolineando l'importanza della verifica sperimentale dei risultati e,
contemporaneamente, delle idee guida o credenze che hanno animato ed animano tuttora la
migliore ricerca mondiale.
Il termine “credenza” non deve trarre in inganno ed essere interpretato dal lettore nel senso
negativo che comunemente gli si attribuisce. La credenza nel vocabolario filosoficorappresenta una idea guida (o un atteggiamento mentale) che viene costantemente seguita nel
corso di uno sviluppo teorico per scegliere la rappresentazione matematica (modello)
globalmente migliore fra più alternative, tutte formalmente e fisicamente plausibili.
Nella scienza e nella tecnica i modelli vengono sempre formalizzati nel linguaggio unificatoredella matematica. La costruzione di una teoria scientifica richiede la definizione accurata di
ipotesi di lavoro, assiomi ed obiettivi (risultati attesi). Lo stesso obiettivo può essere spesso
conseguito adottando più metodologie, caratterizzate da gradi differenti di complessità ed
accuratezza.
Vincoli di tempo e di costo impongono di selezionare gli approcci metodologici più efficienti
alla soluzione dei problemi, cioè quelli che di solito raggiungono gli obiettivi prefissati con
maggiore rapidità, eleganza, fecondità e flessibilità, in modo da ridurre la mole del bagaglio
di conoscenze da padroneggiare ed insegnare.
Un metodo di indagine diventa una credenza della ricerca scientifica e tecnologica quando
dimostra la propria validità in svariati campi di applicazione. La credenza circuitale si è
affermata proprio perché permette di padroneggiare con un formalismo matematico semplice,
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ma potente, fenomeni diversissimi che coesistono frequentemente nel medesimo sistema
fisico. C'è da rimarcare che il fatto in sé di aver perseguito una credenza durante lo sviluppo
di una teoria non può mai inficiarne la validità scientifica, semplicemente perché la
correttezza delle conclusioni va sempre verificata per mezzo di una procedura sperimentale
indipendente, tenendo nel debito conto l’influenza del rumore e degli errori sistematici di
misura.Verrà messo in evidenza come l’adozione di moderni approcci statistici o probabilistici al
modellamento dei sistemi fisici complessi praticamente impone di sviluppare modelli semplici
e caratterizzati da pochi parametri significativi e, nei limiti del possibile, largamente
indipendenti l’uno dall’altro (in senso statistico). In particolare, la scelta ottimale della
parametrizzazione dipende pesantemente da considerazioni matematiche e statistiche (analisi
di sensibilità e di indipendenza), così che in moltissimi casi i parametri selezionati non
conservano più alcun legame diretto con le singole grandezze fisiche originarie.
I modelli differenziali, le condizioni al contorno e le relazioni costitutive basate su funzioni
continue del punto, che si incontrano spesso nei testi della fisica di base, sebbene restino
indispensabili per comprendere la natura dei fenomeni e per stabilire le proprietà delle
soluzioni in casi elementari, quasi sempre non forniscono risposte sufficientemente precise,computazionalmente efficienti e statisticamente robuste ai problemi complessi posti
dall’ingegneria.
Al contrario, i modelli circuitali, che si basano sull’interconnessione di blocchi elementari ed
idealizzati, caratterizzati da pochi parametri liberi, esibiscono per costruzione una struttura
matematica assai snella, efficiente e statisticamente robusta, idonea per sviluppare
applicazioni pratiche di grande complessità in tempi ragionevoli.
Come esempio classico del modellamento circuitale, nei Capitoli IV, V e VI si deriveranno
dei risultati intermedi della Teoria dei Campi, relativamente non informativi, che diventano
gli assiomi fondamentali per la trattazione delle reti elettriche a costanti concentrate, cioè le
leggi di Kirchhoff e la definizione della potenza elettrica. Infine le equazioni costitutive dei
componenti elettrici classici, che permettono di chiudere il sistema risolvente, verranno
derivate direttamente dalle equazioni di Maxwell, per mezzo di un processo di separazione
ideale delle componenti del campo elettromagnetico, di approssimazione locale delle
soluzioni e di una assunzione di robustezza rispetto alle condizioni iniziali e al contorno. La
validità del procedimento deve essere chiaramente giustificata dalle proprietà della soluzione
delle equazioni del campo e verificata sperimentalmente, tenendo conto dei limiti di
precisione desiderati o realizzabili.Nell’ambito di validità della teoria verranno definite delle opportune grandezze invarianti
(tensione e corrente), caratterizzate da una proprietà di robustezza qualitativa rispetto alle
distribuzioni del campo, conferita dalla natura integrale delle formule di definizione.
Sarà sottolineato come la formulazione di un modello circuitale risulta praticamenteindispensabile per realizzare programmi per l'analisi ed il progetto automatico di dispositivi e,
soprattutto, per ottimizzare il progetto ingegneristico, in presenza di vincoli di costo, di tempo
e di verificabilità sperimentale.
Si accennerà anche alla progressiva evoluzione in atto nella Teoria dei Circuiti, che sta
spostando l’interesse dai modelli caratterizzati da un grafo non orientato, tipici delle reti
elettriche classiche e dei sistemi acustici e meccanici, verso i circuiti unidirezionali, oggi
ampiamente usati per descrivere una straordinaria varietà di sistemi fisici ed economici.
Questi nuovi modelli evidenziano le relazioni causa-effetto fra i fenomeni in gioco e risultano
facilmente formalizzabili in programmi di simulazione numerica sul calcolatore.
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I. TAPPE EVOLUTIVE DELLA CONOSCENZA SCIENTIFICA NELLA STORIA
Il problema della fondazione logica della conoscenza scientifica (epistemologia) ha
arrovellato i filosofi fin dall'antichità.
Il nodo centrale dell'epistemologia è quello di affermare la validità di una conoscenza
scientifica, analizzando la correttezza dei processi empirici e mentali che sono stati seguiti perla sua formulazione. Risulta, infatti, tutt'altro che semplice distinguere proposizioni che hanno
un valore scientifico e universale da altre che ne sono prive, pur essendo comunemente
accettate nel loro contenuto di verità.
Le origini del pensiero scientifico possono essere fatte risalire ad Aristotele (384 a.C. - 322
a.C.), che per primo si preoccupò di superare l'astrattezza e la trascendenza della speculazione
contemporanea, per legarla concretamente con l'esperienza.
La logica aristotelica, raccolta nell'Organon, è fondata sui concetti di proposizione, che lega
un soggetto ad un predicato, e di sillogismo, un ragionamento che collega due proposizioni o
premesse in modo da generare in maniera non equivoca una terza proposizione, opera del
pensiero umano, che amplia così la propria conoscenza. Il predicato di ciascuna proposizione
ha la funzione di affermare o di negare qualcosa del soggetto [1], [2].Il sillogismo affermativo, l'unico che Aristotele afferma essere scientifico ed universale, usa
una regola di inferenza di tipo transitivo (modus ponens) che collega un soggetto ed un
predicato globali, inserendo un terzo termine che funge da mediatore fra i due:
a) prima proposizione o premessa: Ogni A (soggetto globale) è B (predicato di A);
b) seconda proposizione o premessa: Ogni B (ora soggetto) è C (predicato di B);
c) conclusione: Ogni A è C (predicato globale di A).
Secondapremessa
Primapremessa
Conclusione
A
B
C
Figura 1: Schema di sillogismo aristotelico
Esempio: Il Boeing 747 è un aereo (prima premessa).
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Un aereo è in grado di volare (seconda premessa).
Il Boeing 747 è in grado di volare (conclusione).1
Si notano in questo esempio alcuni tratti fondamentali del ragionamento scientifico
aristotelico, che sono stati recepiti dalla moderna epistemologia:
a) la conclusione esplicita la conoscenza intrinseca in ciascuna delle due premesse. Tuttaviasi può sostenere che la estenda anche (come la soluzione di un problema fisico particolare
migliora la comprensione delle leggi fondamentali impiegate per descriverlo);
b) la conclusione non richiede l'aggiunta di altre proposizioni oltre alle premesse per essere
raggiunta [2]. Pertanto il sillogismo è un ragionamento di tipo deduttivo o apodittico;
c) in particolare, le premesse devono essere universali e compatibili, ovvero devono
soddisfare i principi di non contraddizione e di terzo escluso (per esempio, non devono
esistere aerei che non possano volare...).
d) in certi casi il concetto contenuto nelle premesse potrebbe essere sostituito da opportuni
elenchi (aereo ≡ Douglas DC 9, Lockeed F 104,..., Boeing 747,...), ma questa idea è
assai opinabile, dal momento che l’universalità delle premesse ne potrebbe risultare
compromessa. Per esempio, l’arrivo di un nuovo modello di velivolo2,3, richiederebbe unamodifica all’elenco, che dovrebbe essere garantita da una sorta di certificazione esterna (la
cui validità andrebbe a sua volta dimostrata...);
e) la deduzione in sé non contiene quasi mai gli elementi sufficienti per asserire la validità
delle premesse [2]. La verità di un sillogismo logicamente corretto può essere, invece,
asserita dalla verifica empirica della conclusione, cioè una conclusione vera può
discendere da premesse false. Se questa considerazione non è tranquillizzante per la
ricerca teorica, apre la strada a ragionamenti deduttivi, in cui l’universalità e/o la non
contradditorietà delle premesse venga temporaneamente rilasciata, al fine di ottenere
rapidamente risultati, la cui validità generale può essere accertata empiricamente o per
convergenza con ragionamenti di tipo diverso.
f) il processo di deduzione mediante il sillogismo, non potendo essere risalito indietro
all'infinito, richiede comunque la definizione di un principio primo indimostrabile
(assioma nella terminologia corrente), da giustificare mediante argomentazioni induttive
(anapodittiche).
In particolare, i punti (b), (d) ed (e) evidenziano il problema fondamentale della ricerca
odierna, che è chiamata ad elaborare continuamente nuovi concetti, a sottoporli a verifica
sperimentale e ad inquadrarli ( formalizzarli) nella conoscenza precedente, allo scopo di usarli
più efficacemente o di disseminarli mediante le pubblicazioni o l'insegnamento.
1 Il ruolo e l'ordine delle premesse sono intercambiabili, cioè i sillogismi (A=>B), (B=>C), (A=>C) e (B=>C),
(A=>B), (A=>C) sono equivalenti [2].2 Le conseguenze pratiche di queste posizioni filosofiche non sono irrilevanti: negli anni Ottanta un aereo civile
fu abbattuto perché la sua sagoma non era stata inclusa nella base dei dati di un riconoscitore basato
sull’intelligenza artificiale, sebbene le sue caratteristiche geometriche e di volo fossero state correttamente
identificate dai sensori. D’altra parte, sono note le acrobazie semantiche usate in ambito legale per evitare che un
manufatto venga incluso in una categoria commerciale codificata da regole “universali”, ma fiscalmente
penalizzata.3 La definizione mediante regole è di solito preferibile, secondo la Teoria dell’Informazione, a quella mediante
tabelle memorizzate, perché impiega meno risorse e facilita l’estensione e l’unificazione dei concetti
(generalizzazione) [11]. Tale conclusione è allineata con il senso comune: uno studente rapido ed efficace nella
soluzione di nuovi problemi è generalmente più apprezzato di uno studente “sgobbone”, ma poco creativo eflessibile!
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Più sillogismi vengono collegati deduttivamente, in modo che la conclusione di uno divenga
la premessa per il successivo e creando una nuova teoria. L'insieme di tutte le conclusioni a
cui si perviene partendo dagli assiomi fondamentali costituisce la base dei risultati della
teoria, oggetto della verifica epistemologica.
Nell'era contemporanea le conoscenze scientifiche vengono organizzate in teorie complesse,
la cui struttura rimane sempre di tipo deduttivo e le cui proposizioni sono denominatecomunemente teoremi. Pertanto, risulta possibile in generale formulare la seguente:
Definizione: Una teoria è una architettura di proposizioni, derivate da un insieme finito
di assiomi indimostrabili mediante ragionamenti di tipo deduttivo, i quali usano regoledi inferenza, la cui validità è universalmente riconosciuta.
Questa definizione di teoria coincide praticamente con quella formulata per la matematica da
David Hilbert (Königsberg, 1862 - Gottinga, 1943) negli anni 1922-1939 e sintetizzata
nell'opera Fondamenti della Matematica [3]. Secondo Hilbert, l'obiettivo di una teoria è
proprio il raggiungimento di una trama di proposizioni intrinsecamente immuni da
contraddizioni interne e dedotte da un insieme di assiomi o postulati, proposizionifondamentali che non è possibile derivare da altre mediante manipolazioni algebriche o
logiche.
La teoria viene formalizzata, una volta che sono state completamente definite le regole
logiche impiegabili per le dimostrazioni.
Le giustificazioni addotte durante la fase di assiomatizzazione non hanno valore ai fini della
validazione della teoria, un po' come nella logica aristotelica.
La validità della teoria viene dimostrata dall'assenza di contraddizioni fra le conseguenze
deducibili dagli assiomi fondamentali, senza più alcun legame con il mondo empirico.
Proposizioni non deducibili dagli assiomi fondamentali, se pur fisicamente vere, non possono
essere inserite nella teoria, se non come assiomi supplementari.
Concetti
Intermedi
Assiomi
Risultati
Figura 2: architettura di una teoria
La concezione assiomatica ha pesantemente influenzato i recenti sviluppi dell'Informatica,
della Teoria della Probabilità [4] e della Teoria dell'Informazione ed è penetrata anche nella
Teoria dei Circuiti e nella Teoria dei Segnali, specialmente ad opera delle scuole
anglosassoni.
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Sebbene si sia dimostrata (Gödel, 1931) l'impossibilità di costruire una teoria assiomatica
completamente formalizzata, in cui ogni proposizione (compresi gli assiomi) sia deducibile
dal sistema stesso, la posizione hilbertiana è stata di una certa utilità anche nella fisica, dal
momento che una formalizzazione spinta ha spesso avvicinato l'architettura di teorie
inizialmente molto distanti (gravitazione, elettromagnetismo, interazioni nucleari forti e
deboli), favorendone in molti casi l'unificazione, almeno a livello formale.
II. LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DI UNA TEORIA
I limiti della teoria hilbertiana balzano palesi quando la formalizzazione riguarda una teoria
fisica o una teoria ad hoc costruita per scopi di applicazione pratica.
Nella matematica pura si può giudicare la verità o la falsità di ciascuna affermazione sulla
base di una verifica formale della dimostrazione, ripercorrendo tutti i passi logici e, ove il
caso, ricontrollando tutti i calcoli.
Nella fisica, invece, una teoria bellissima e perfettamente consistente può essere benissimo
falsa perché nasce da assiomi ed ipotesi collaterali non realistiche, che generano alla finerisultati che non superano la verifica sperimentale.
L'ingegneria mira a definire procedure operative o algoritmi per manipolare entità reali
(materiali, segnali, campi elettromagnetici, denaro) a scopo di progettazione, costruzione,
previsione, pianificazione, misurazione.
Le teorie ingegneristiche non hanno nulla da invidiare a quelle puramente matematiche per
quanto riguarda la complessità, la difficoltà ed il rigore dello sviluppo. Piuttosto la necessaria
aderenza alla realtà fisica, la incertezza di ogni misurazione, insieme all'obiettivo primario ed
irrinunciabile della manipolabilità pratica dei risultati teorici in tempi relativamente brevi
costituiscono formidabili ostacoli per una stabile formalizzazione.
Fare affidamento su una formalizzazione matematica spinta può essere addirittura
controproducente nell'ingegneria, perché si possono creare ambiguità e distorsioni nel fine
stesso della ricerca, non rilevabili da un punto di vista logico, come appare dai due esempi che
seguono:
Esempio 1: Due teorie perfettamente formalizzateapprossimano la stessa funzione f(x,t ) della
variabile spaziale x e del tempo t . Viene fornita una tabella f(xk ,tl), k=1, 2,..., K, l=1, 2 ..., L
di valori della funzione calcolata sull'insieme di K*L punti dello spazio-tempo (xk ,tl), k=1,
2,..., K, l=1, 2 ..., L .La prima teoria interpreta la funzione f(x,t ) come soluzione dell’equazione differenziale alle
derivate parziali del tipo:
2
22
2
2
t
txf
x
txf
∂∂
β=∂
∂ ) ,() ,(. (E1.1)
La seconda teoria approssima la funzione su un intervallo dello spazio-tempo mediante una
serie doppia troncata di funzioni del tempo g j(t ), j=-∞,..., +∞ e dello spazio hi(x), i=-∞,...,
+∞ rispettivamente:
)t (g) x(h)t , x( f M
M i
N
N j
ji∑ ∑−= −=
≅ . (E1.2)
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La prima teoria è assai più complicata e numericamente instabile se programmata su un
calcolatore elettronico, ma ci fornisce numerose informazioni sulla natura del sistema. La
seconda risulta più accurata ed efficiente dal punto di vista computazionale, ma è capace solo
di fornire una generica descrizione funzionale del sistema.
Non esiste motivo per preferire dal punto di vista logico una teoria rispetto all'altra se non
sono specificati le ragioni che ne hanno determinato lo sviluppo. Infatti, le argomentazionisulla differente utilità pratica o didattica hanno un valore puramente soggettivo e non hanno
significato per la validità logico-matematica della teoria.
Esempio 2: Una formula matematica collega la lunghezza dell'ombra proiettata da una torre
con la posizione istantanea del Sole e l'altezza della torre stessa [5].
E' possibile costruire a partire da questa formula una teoria formalizzata che assume note
l'altezza della torre e la posizione del Sole per calcolare la lunghezza dell'ombra, ma anche
una teoria che permette di calcolare la posizione del Sole in funzione della lunghezza
dell'ombra e dell'altezza della torre.
Senza la definizione a priori dell'obiettivo del calcolo non esiste alcun metodo formale per
accettare una teoria e rigettare l'altra.
Da queste considerazioni si evince come la formalizzazione logico-matematica di una teoria
non sia sufficiente a garantirne la correttezza sostanziale e l'utilizzabilità. Bisogna in qualche
modo introdurre ulteriori controlli sulla validità sperimentale degli assiomi e delle ipotesi di
lavoro, precisare il contesto dell'analisi e specificarne gli obiettivi.
La costruzione di teorie svincolate dall'esperienza e la cui formalizzazione ostacola
l'individuazione della ragion d'essere degli sviluppi stessi, è riconosciuto dai moderni
epistemologi come uno dei maggiori pericoli insiti nei metodi attuali di ricerca [4], [6], [7].
III. CONSIDERAZIONI SULLO SVILUPPO DELLE TEORIE NELLE SCIENZE FISICHE E
NELL'INGEGNERIA
La sequenza temporale dei passi logici compiuti nella costruzione di una teoria in ambito
tecnico-scientifico non trova riscontro, di solito, nelle modalità con cui la stessa teoria verrà
presentata in un congresso o in un'aula didattica. L'applicazione pratica della stessa teoria
seguirà prassi ancora diverse, ma tutte perfettamente spiegabili alla luce delle proprietà della
formalizzazione matematica.Bisogna innanzitutto avere ben chiaro che una teoria non nasce per caso, ma è spinta da
bisogni diffusi (o anche, talvolta, da motivazioni personali) ed è soggetta al livello generale
della conoscenza tecnico-scientifica del momento.
Lo sviluppo della fisica tende storicamente ad unificare teorie separate, inserendole in
un'architettura logico-matematica comune. L'obiettivo è quello di descrivere i fenomeni
naturali con la massima compattezza delle equazioni per una data precisione.
L'intuizione, il semplice desiderio di perfezione, la sintesi di dati sperimentali e l'introduzione
di nuovi strumenti di indagine (il telescopio, il calcolatore, il satellite artificiale, ma anche il
calcolo differenziale e variazionale, la teoria della probabilità e dell'informazione) consentono
ad un certo momento storico di scoprire una nuova legge fisica, che, formalizzata in un
sistema di equazioni, diviene l'assioma per la costruzione di una teoria [7]. La deduzione
matematica definisce il contesto ed i risultati attesi per le prove sperimentali, a cui sole spetta
il compito di validare la teoria.
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Esempi storici esemplari di questo processo sono stati la teoria della gravitazione di Isaac
Newton (1642-1727) [8], la teoria delle interazioni elettromagnetiche di James Clerk Maxwell
(1831-1879) [9], la teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955), la teoria dei quanti di
Planck, Heisenberg ed altri, [10], e le recenti teorie di Grande Unificazione.
Al contrario della fisica, le teorie usate nell'ingegneria tendono invece a diventare sempre piùspecializzate nel tempo, pur usando strumenti metodologici comuni, a causa di vincoli tecnici,
economici e culturali, quali:
a) la necessità di ripartire il lavoro industriale su più persone contemporaneamente
( parcellizzazione o taylorizzazione), per fronteggiare la mole di lavoro necessaria per i
grossi progetti, in modo che ciascun tecnico possa concentrare l'attenzione ed essere
responsabilizzato su pochi aspetti del sistema per volta;
b) l'esigenza di ridurre i costi e i tempi di formazione del personale: il processo di
apprendimento sarà tanto più rapido quanto più la conoscenza è mirata. Inoltre è
chiaramente più facile ottenere una elevata qualificazione in un settore ristretto di attività;
c) l'obiettivo di standardizzare le procedure: la specializzazione assicura una grande
prevedibilità dei risultati, dal momento che il medesimo gruppo di persone si occuperàdelle stesse parti (circuiti elettronici, antenne, meccanica, alimentazione di potenza,
compatibilità elettromagnetica, ecc...) in diversi progetti consecutivi, affinando la propria
esperienza. In più, una formalizzazione matematica comune permette lo sviluppo di
importanti strumenti di “moltiplicazione di forza” (programmi CAD per matematica come
Matlab, per esempio), la cui qualità può essere garantita dal controllo continuo imposto
dall’impiego simultaneo presso numerosi utilizzatori, che possono concentrarsi più
facilmente sulla soluzione dei problemi specialistici.
Le teorie dell'ingegneria definiscono spesso i propri assiomi a partire da risultati particolari
delle leggi fisiche fondamentali per mezzo di un processo matematico di approssimazione
locale (espansione in serie di potenze, integrazione rettangolare, linearizzazione...), oppure di
estrapolazione al limite (formulazione di ipotesi come l’assenza di rumore termico, le costanti
circuitali concentrate, l’uniformità della qualità dei beni immessi sul mercato...). Lo sviluppo
deduttivo delle teoria avviene quindi sulla base delle proprietà formali di queste soluzioni
particolari, senza più alcun riferimento esplicito alla realtà fisica originaria4.
L’estensione del campo di validità di una teoria specializzata risulta quindi legata alla bontà
fisica delle assunzioni e a quella matematico-statistica delle approssimazioni messe in atto, lacui scelta presenta di solito un buon margine di discrezionalità. Tuttavia, il rigore dello
sviluppo matematico formale (dimostrazioni di convergenza, regolarità, chiusura) è spesso
una buona garanzia per la validità sperimentale e l’estendibilità dei risultati.
III. 1 Le credenze.
La derivazione della teoria soggiace non solo alle regole logico-matematiche sopra accennate,
ma anche a criteri (credenze) [6] indotti dalla esperienza soggettiva dei ricercatori o imposti
dai vincoli tecnologici e operativi. Queste idee-guida non hanno certo valore universale, ma
sono un utile strumento per definire gli obiettivi e giudicare dell'applicabilità della teoria.
Ricordiamo, fra i criteri che hanno dimostrato un grande valore per gli sviluppi tecnico-
scientifici contemporanei:
4
Per esempio, nella Teoria dei Circuiti elettrici si studiano le proprietà dei grafi, delle funzioni di trasferimento
razionali, la sensibilità e la chiusura dei sistemi di equazioni ai tagli fondamentali, ma ci si preoccupa ben pocodei problemi termodinamici e della soluzione unica delle equazioni di Maxwell, che è data per scontata.
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a) la minimizzazione della lunghezza di descrizione (o di codice) della teoria, che sarà tanto
più comprensibile e disseminabile quanto ridotto è il numero di assiomi e teoremi
necessari per giungere alle conclusioni [11];
b) la minimizzazione del supporto matematico e dei contributi di altre teorie per la
derivazione dei risultati (teorie self-contained ), per semplificarne l'apprendimento e
l'impiego;c) la minimizzazione della profondità logica: dagli assiomi si derivano dei teoremi, che di
solito non generano risultati utilizzabili direttamente, se non attraverso ulteriori
elaborazioni. Le difficoltà di costruire, verificare e di disseminare la teoria crescono
esponenzialmente con i livelli gerarchici di teoremi necessari per giungere alle
conclusioni5. Queste considerazioni spingono alla costruzione di teorie specialistiche, che
usano come assiomi dei concetti intermedi, ovvero dei risultati particolari di una teoria più
generale, che però può essere benissimo ignorata negli sviluppi matematici, nella
formazione e nell'applicazione6.
d) la massimizzazione della robustezza: i risultati della teoria devono soddisfare la verifica
sperimentale entro limiti dello stesso ordine di grandezza rispetto alle approssimazioni
originarie, per evitare errori catastrofici causati dalla precisione finita dei calcoliprogettuali e dalle tolleranze delle lavorazioni;
e) la generalizzazione: una teoria può spiegare i risultati di varie teorie ad hoc già esistenti,
inserendoli in una nuova struttura matematica logicamente coerente. Gli assiomi delle
teorie particolari divengono tesi di teoremi nella teoria generale;
f) la cross-fertilizzazione : i concetti intermedi e i metodi matematici usati nella derivazione
di una teoria vengono trasferiti in un'altra teoria preesistente, riducendone la complessità a
vantaggio dell'eleganza e della concisione.
Osservazione: Come si può intuire, alcune delle idee-guida qui esposte possono essere
reciprocamente in contraddizione. Per esempio, la generalizzazione non sempre riduce la
complessità rispetto all'insieme delle teorie specialistiche o può riguardare campi troppo
lontani per essere di qualche utilità pratica7. Lo stesso può dirsi per la cross-fertilizzazione,
oggi una vera moda nella letteratura, che viene giustificata dalla nascita di nuovi strumenti di
indagine, come il calcolatore elettronico, che traggono vantaggio da una impostazione
matematica comune.
III.2 I modelli matematici standard .Una abitudine attualmente molto diffusa nella letteratura tecnico-scientifica è quello di
costruire modelli matematici standard per l'analisi di un certo problema.
Il modello consiste in un sistema di equazioni, che ha come obiettivo la descrizione o la
manipolazione di una classe di sistemi fisici o economici. Le equazioni costituiscono le basiassiomatiche di una teoria, che usa i metodi deduttivi propri della matematica per derivare
delle leggi che permettono di descrivere il comportamento del sistema osservato.
Questa prassi è assai comoda, perché consente di confrontare più teorie a partire da una base
comune e di trascurare le osservazioni empiriche da un certo punto in poi dello studio. 5
Assai spesso la teoria ha lo scopo di inquadrare logicamente dei risultati già scoperti con l'intuizione ed
ampiamente utilizzati nella pratica, conferendo loro un solido fondamento matematico-deduttivo.6 Esempi banali di questi concetti intermedi sono la funzione di trasferimento di un circuito, i valori attesi delle
distribuzioni di variabili aleatorie, il criterio di massima verosimiglianza nella teoria della stima e le librerie di
porte logiche usate per la realizzazione di circuiti integrati.7
Si può affermare un po' causticamente che l'ingegneria e la ricerca richiedono applicazioni complesse e
raffinate di teorie assai specialistiche, mentre la formazione scientifica di solito sviluppa la capacità di ricavarerisultati semplici da teorie molto generali ed articolate.
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In più, il modello serve per la costruzione di programmi di simulazione automatica,
progettazione assistitaal calcolatore (CAD) e tecniche di validazione (testing) dei risultati,
che sono le basi delle moderne procedure industriali e di ricerca teorica.
Nel processo di modellamento si possono distinguere diverse fasi fondamentali:
1. Definizione degli obiettivi del modello matematico;
2. Collezione ed analisi dei risultati degli esperimenti, costruiti sulla base delle ipotesi dilavoro e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche del momento;
3. Sintesi dei dati sperimentali, principalmente mediante gli strumenti offerti dalla statistica
e dalla matematica applicate (interpolazione, regressione, approssimazione,
classificazione, ...);
4. Astrazione del modello: normalmente, numerose formalizzazioni matematiche consentono
di spiegare gli esperimenti con un sufficiente grado di accuratezza. Pertanto, ad un certo
punto occorre effettuare una selezione competitiva fra i modelli, sulla base di criteri sia
oggettivi (complessità matematica del modello, rapporto fra qualità dei risultati e costo
della ricerca), sia soggettivi (eleganza matematica, comprensibilità degli sviluppi da parte
degli altri ricercatori della stessa disciplina e idoneità a scopi di formazione). Da questa
procedura di selezione, a volte condotta da apposite commissioni internazionali, emergeun modello standard , che la maggior parte dei ricercatori userà per gli sviluppi successivi;
5. Sviluppo della teoria, cioè creazione di un insieme di procedure di calcolo o algoritmi
capaci non solo di predire, a partire dalle equazioni del modello standard, i risultati degli
esperimenti eseguiti, ma anche di costruirne di nuovi per mettere alla prova la bontà del
modello;
6. Validazione della teoria attraverso l'esecuzione di nuovi esperimenti per confermarne o no
le conclusioni. Se la teoria supera la verifica sperimentale, viene accettata dalla comunità
tecnico-scientifica ed entra nella fase successiva di:
7. Raffinamento e disseminazione. La teoria viene riordinata, selezionando gli algoritmi
migliori8, inquadrandoli nelle conoscenze precedenti ed inserendoli nei percorsi di
formazione. Le ricerche successive saranno rivolte alla semplificazione formale,
all'unificazione dei concetti e alla stesura dei manuali, che descrivono le procedure
operative per l'applicazione dei risultati teorici.
Base sperimentale
Creazioneassiomi
Teoriaformalizzata
DisseminazioneFormazione
Induzione
Deduzione
Validazione Affinamento
Figura 3: Processo di formazione di una teoria
8
La proliferazione e la convivenza di molti algoritmi aventi il medesimo obiettivo è in generale sintomo discarsa comprensione delle proprietà del modello ed è tipica della fase "giovanile" di una teoria.
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Si può notare come, a differenza della natura deduttiva della teoria finale, la maggior parte dei
passi sopra elencati richiede un approccio di tipo sintetico-induttivo, che fa leva su doti
personali dei ricercatori, quali l'intuito, l'esperienza, la sensibilità matematica e formale,
insieme alla capacità di organizzare una corretta pianificazione logica, economica e temporale
degli sviluppi.
La teoria esposta nei manuali è una immagine statica e fredda del processo dinamico che l'hacreata e che può definirsi a ragione come genetico-evolutivo. Le idee nascono a ruota libera
sui tavoli dei ricercatori, poi vengono analizzate, discusse, corrette, confrontate sulla
letteratura e nell'applicazione industriale. Molti sviluppi scompaiono o perché sono
inutilmente complicati, ridondanti e di scarsa utilità pratica, o perché vengono ad un certo
punto definitivamente soppiantati da approcci più raffinati e conclusivi9.
III.3 Il problema della verifica sperimentale.
Nel corso degli ultimi venti anni è in atto in tutto il mondo un profondo ripensamento sui
metodi e gli indirizzi della ricerca di base ed applicata, che pongono l’accento sulla verifica
sperimentale diretta e quantitativa dei risultati analitici ottenuti da modelli complessi. Questo
travaglio si è concretizzato nella definizione di nuovi strumenti di indagine esploratoria, fra iquali sono particolarmente degni di menzione i concetti di lunghezza di descrizione dei
modelli [11] e di robustezza statistica [12]. Essi hanno un fondamento solido nelle teorie della
probabilità e dell’informazione, ma sono oggi impiegati in maniera euristica per indagare due
problemi assai spinosi della ricerca attuale: la cosiddetta “maledizione” della dimensionalità,
(curse of dimensionality) che si manifesta al progredire della conoscenza scientifica, e la
selezione ottima dei modelli matematici, fra più alternative possibili. Entrambe le questioni
sono collegate alla possibilità di una efficace verifica sperimentale dei risultati teorici.
Normalmente il progresso scientifico è accompagnato dall’inclusione formale di nuovi
termini nelle equazioni, che inevitabilmente ne accrescono la complessità, intesa come
numero di parametri indipendentemente specificabili. La verifica sperimentale riguarda
inizialmente sistemi assai semplici (toy problems), su cui è possibile:
a) ricavare la soluzione delle equazioni del modello per via analitica o comunque con
elevata precisione matematicamente garantita;
b) ripetere in condizioni controllate l’esperimento fino a raggiungere il livello voluto di
confidenza statistica.
Una nuova teoria soppianta quelle precedenti quando dimostra di poterne correggere meglio
gli errori sperimentali.Questo progresso trova un limite nella realizzabilità di un sistema di prova realmente
affidabile (costi elevati, tempi della sperimentazione, eccessive energie in gioco, emissione di
radiazioni pericolose, limiti dei sensori, conoscenza imprecisa delle equazioni costitutive,
deviazioni delle distribuzioni dei dati da quelle assunte, complessità del progetto, errori diarrotondamento nei calcoli, microinstabilità ed invecchiamento dei componenti del sistema).
Inevitabilmente il numero degli esperimenti che è possibile eseguire in condizioni controllate
e ripetibili risulta limitato superiormente [14] e gli errori di previsione vanno attribuiti in parte
all’inadeguatezza del modello matematico, in parte agli errori nel calcolo della soluzione
matematica ed in parte alla imprecisione delle misure e al trattamento statistico dei dati
sperimentali.
In molti casi di interesse, è possibile definire formalmente una lunghezza di descrizione del
modello (DL, Description Length), la quale cresce linearmente con il numero dei parametri
9
L'utilità operativa della teoria si intravede di solito solo al termine di lunghi sviluppi matematici, quando,invece, è stata la motivazione e l'obiettivo di tutta la costruzione.
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indipendenti [11] presenti nelle equazioni. Gli errori congiunti delle misure e dei calcoli
accrescono anch’essi la lunghezza di descrizione, proporzionalmente alla propria varianza.
Il miglioramento del modello, evidenziato dalla riduzione statistica degli scostamenti fra
previsioni e misure, e la crescita del numero di osservazioni impiegabili per la validazione
accorciano, ovviamente, la lunghezza di descrizione stessa.
Secondo il concetto MDL ( Minimum Description Length) [11] o altri similari, oggi molto in
voga (l’AIC o criterio di Akaike, il “rasoio di Occam”), il modello ottimo è quello che
minimizza la lunghezza totale di descrizione, ovvero quello che è in grado di stabilire il
migliore compromesso statistico fra complessità a priori del modello (numero dei parametri
liberi) e qualità delle previsioni a posteriori.
L’introduzione di questi criteri di ottimalità nella ricerca scientifica rappresenta
indubbiamente una credenza, a dispetto della impostazione teorico-deduttiva rigorosa, ma sta
portando ad un profondo ripensamento sulle metodologie di conduzione della ricerca e,
soprattutto, di valutazione dei risultati scientifici.
La ricerca di base classica puntava all’eliminazione delle discrepanze sistematiche fra risultati
teorici ed esperimenti, ovvero, in termini statistici, ad una riduzione della polarizzazione delmodello [14]. I modelli più elaborati riducono quasi sempre la polarizzazione rispetto a quelli
più semplici.
Nel criterio MDL l’accento è invece posto sulla varianza che possiamo raggiungere durante la
misura dei parametri liberi del modello con un numero di osservazioni limitato a priori.
In un confronto sperimentale fra due modelli teorici, quello più semplice potrebbe ottenere un
accordo leggermente inferiore fra le previsioni ed i risultati empirici, ma l’incertezza
complessiva delle misure potrebbe più che compensare i “migliori” risultati del modello più
complesso, rendendo di nuovo probabilisticamente incerto l’esito della competizione [11]!
Nella pratica, introducendo queste considerazioni probabilistiche, il modello più semplice
finisce sempre per prevalere, a meno che non sia palesemente inferiore nella qualità delle
previsioni rispetto a quello più complesso.
Si può anche osservare, a sostegno della validità del concetto MDL, che le teorie fisiche si
sono evolute fino ad oggi nel sostanziale rispetto del principio di minima lunghezza di
descrizione.
Il problema della complessità ed il vincolo della finitezza dei campioni sperimentali è ancor
più sentito nell’ingegneria, per svariati motivi:a) lo sviluppo dei nuovi prodotti, delle problematiche teoriche e delle procedure di collaudo
procedono parallelamente, spesso con una ridotta base di conoscenze alle spalle;
b) i prodotti stessi dell’ingegneria tendono a diventare tremendamente complessi, ed una
spiegazione teorica completa del loro funzionamento a partire dalle leggi fisichefondamentali è ragionevolmente impossibile (e probabilmente fuorviante rispetto agli
obiettivi), comunque imponenti siano le risorse umane e finanziarie devolute allo scopo;
c) la funzionalità del prodotto è e deve rimanere l’obiettivo prioritario: tanto per fare un
esempio, lo studio della meccanica quantistica ha permesso grandi miglioramenti nei
componenti elementari ottici ed elettronici, ma è fuor di luogo pensare di analizzare,
costruire ed ottimizzare con questa teoria un microprocessore con cinque milioni di
transistor, il cui compito è, peraltro, quello di eseguire calcoli logici e aritmetici;
d) molti prodotti avanzati dell’ingegneria operano in ambienti ostili e largamente ignoti a
priori. Spesso possiedono dispositivi atti a modificare il proprio funzionamento per reagire
alle sollecitazioni ambientali, dipendenti dai pochi dati acquisiti forzatamente entro un
breve lasso di tempo da un insieme di sensori. Un modello matematico con pochi
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14
parametri significativi diventa in questi casi un prerequisito per l’affidabilità operativa, dal
momento che questi potranno essere stimati con un’incertezza adeguatamente ridotta (la
varianza complessiva degli errori di previsione è determinata approssimativamente dal
rapporto fra il numero totale dei parametri e quello delle osservazioni sperimentali). A
questo proposito, bisogna anche ricordare che le equazioni definite su un dominio
continuo hanno un numero infinito di parametri liberi, creando problemi non facilmenterisolvibili durante l’analisi di complessità.
Gli anni Novanta hanno segnato una rivoluzione nel progresso tecnologico, che pone in
evidenza i compromessi fra costi e benefici e l’ottimizzazione di ogni aspetto tecnico ed
economico. In questo ambito la produzione industriale ad alta tecnologia pone obiettivi ben
definiti alla ricerca di base:
a) disseminazione del patrimonio delle conoscenze, selezionate sulla base dell’intensità della
loro applicazione e dell’effetto positivo sulla sensibilità progettuale dei lavoratori
(eliminazione di errori sistematici, rapidità di sviluppo);
b) isolamento ed impostazione teoricamente corretta dei problemi di progetto;
c) sviluppo di modelli matematici atti a renderne possibile la soluzione: particolare cura vadedicata alla messa a punto di programmi simulatori e delle tecniche di ottimizzazione
numerica per la progettazione assistita da calcolatore;
d) estrapolazione dal modello teorico, dai risultati delle simulazioni e dalle prove
sperimentali delle direzioni di possibile miglioramento delle prestazioni, insieme alla
definizione dei limiti fisici di questo progresso10
.
IV. L'APPROCCIO CIRCUITALE
Quello di circuito è un concetto primitivo, indipendente dalla natura dei sistemi elettrici, e
deriva piuttosto dalla naturale tendenza della mente umana a decomporre i grandi problemi in
tanti sottoproblemi più piccoli per padroneggiarli meglio.
L'idea circuitale appartiene dunque alla classe di quelle che abbiamo definito credenze della
ricerca scientifica ed è caratterizzata dall'approccio geometrico-deterministico all'analisi dei
fenomeni fisici e al loro confinamento all'interno di “blocchi sigillati matematicamente” e
specializzati per funzione. I blocchi sono poi virtualmente interconnessi in modo da creare
modelli di sistemi complessi. Come tutte le altre credenze, l'approccio circuitale deve essere
giudicato esclusivamente valutando i risultati tecnici, economici e formativi che ha prodottonella ricerca di base e nell'ingegneria.
Osservare un “circuito” elettrico realizzato industrialmente è forse la maniera migliore per
comprenderne la natura. Su una piastra di circuito stampato estratta, per esempio, da untelevisore si notano tanti blocchetti (componenti), collegati fra di loro da sottili fili di rame
( piste), depositati su un supporto (substrato) di fibra di vetro o di altro materiale isolante.
In generale, l'idea del circuito può essere sintetizzata nella seguente:
Definizione: Un circuito è la connessione di blocchi, appartenenti a pochi tipi
fondamentali, ognuno dei quali è caratterizzato da equazioni dipendenti da un numero finito di costanti numeriche consistentemente misurabili (dette anche parametri circuitali).
10
Lo scopo di questa richiesta non è certamente l’interesse scientifico, ma la necessità di evitare investimentisenza ritorno, pur mantenendo la competitività tecnico-economica del prodotto.
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Ciascuno dei concetti presenti in questa definizione possiede una precisa formalizzazione
matematica. Infatti, durante lo sviluppo della Teoria dei Circuiti bisogna sempre ricordare che
un circuito non coincide con un sistema fisico, ma è la sua rappresentazione sotto forma di
modello matematico.
Le componenti fondamentali di un modello circuitale sono quindi i blocchi funzionali e la rete
di interconnessione, descritta da un apposito grafo.
IV.1 Il blocco circuitale
Il blocco circuitale modella matematicamente un sistema aperto a scambi energetici.
Ogni blocco possiede un certo numero N di terminali o porte, che sono numerati da un indice
intero k = 1, 2, ..., N, e sono le uniche vie di passaggio virtuali per i flussi energetici.
Su ciascun terminale è definito un insieme di opportune variabili di interfaccia X k = xik , i=1,
2, ..., Mk .
E' da rimarcare che il numero (Mk ) ed il tipo delle variabili di interfaccia possono essere
benissimo diverse da terminale a terminale.
A scopo di formalizzazione, i valori assunti all'istante t dalle variabili di interfaccia, indicati
con mik (xik ,t ), possono essere ordinati in un vettore g(t ) = [ mik (t ), i=1,..., Mk , k=1,..., N ].Le variabili di interfaccia sono collegate fra loro da un sistema di equazioni costitutive del
blocco, contenenti un insieme di P parametri circuitali, ordinati nel vettore a = [ a j, j=1, 2, ...,
P ]. Le componenti del vettore a sono assunte indipendenti dal tempo (modello permanente o
stazionario).
Il legame costitutivo del blocco è formalmente descritto da una equazione implicita di tipo
vettoriale, del tipo:
F(g(τ), -∞ < τ < t , a) = 0 11. (1)
z - 3*x + 2*y = 0
y - 0.5*x - log z = 0
1
2
3
y
x z
Variabile di
interfaccia
Terminaleetichettato
Figura 4: Blocco circuitale non direzionale
In un modello circuitale, gli effetti dei fenomeni energetici si manifestano esclusivamenteattraverso la equazioni costitutive dei blocchi, ma restano quantitativamente indeterminati
finché il blocco non viene connesso insieme con altri a formare il circuito.
11
Una definizione formale così generica ha un significato operativo solo se la storia passata delle variabili
d’interfaccia è riassumibile in un numero finito di equazioni (ottenute, per esempio, per mezzo di unarappresentazione ricorsiva alle variabili di stato [13]).
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Esempio 3: Un attuatore elettromeccanico è caratterizzato come un blocco circuitale a due
terminali. Il primo rappresenta l'ingresso di controllo, che è un segnale12
elettrico
caratterizzato dalla tensione elettrica v, espressa in Volt, il cui valore è funzione dello
spostamento angolare Θ0 che l'attuatore dovrà imprimere al suo braccio meccanico. Il secondo
terminale ha come grandezza di interfaccia lo spostamento angolare Θ effettivamentecompiuto dal braccio meccanico in risposta allo stimolo della tensione di controllo. Θ è
ovviamente misurato in radianti.
Il vettore di interfaccia g è:
g(t ) = [ v(t ), Θ(t ) ] ; (2)
L'equazione costitutiva implicita del blocco è la seguente:
0tKd
dBd
dJ 2
2
=−Θ+Θ+Θ v(t))(t (t)
t (t) ; (3)
Il vettore dei parametri circuitali del blocco è a = [ J B K ].
Questo esempio dimostra alcuni aspetti peculiari del modellamento circuitale, che sono alla
base delle sue potenzialità pratiche:
a) Il tipo di fenomeni fisici coinvolti nel "blocco attuatore" non ha nessuna influenza sulla
rappresentazione circuitale. Qualsiasi sistema, meccanico, pneumatico, elettrico che
possegga la stessa equazione costitutiva e le stesse variabili di interfaccia è sostituibile
all'attuatore originario, senza che la rappresentazione matematica del circuito cambi.
b) L'utilizzatore può quindi tranquillamente ignorare la natura fisica del sottosistemarappresentato dal blocco e rimanere in grado di impiegarlo proficuamente, nell’ambito di
validità delle equazioni costitutive.
c) Come conseguenza dei punti precedenti, si può affermare che l'approccio circuitale è
indipendente dalla tecnologia e permette di inserire nuovi dispositivi nel modello
matematico di sistemi complessi senza stravolgerlo.
d) I parametri circuitali appaiono nel modello come costanti. Nella realtà essi sono variabili
aleatorie [14], caratterizzate da una propria distribuzione: ogni attuatore costruito avrà dei
parametri [ J B K ] differenti dall'altro. Tuttavia, se la deviazione standard di ciascuna
distribuzione è ragionevolmente piccola (~10-20%) rispetto al suo valor medio, possiamo
usare quest'ultimo come valore nominale del parametro per i calcoli progettuali e
recuperare l'aspetto probabilistico della trattazione rigorosa mediante un'analisi locale di
sensibilità delle equazioni costitutive13
espanse in serie di Taylor di basso ordine [13].
Questa procedura accelera la progettazione e, soprattutto, consente di distinguere
immediatamente (ad occhio) l'influenza degli errori di ciascun parametro sul risultato
finale.
12
Un segnale è la rappresentazione matematico-funzionale di una grandezza fisica rispetto al tempo.13 I casi di deviazione standard elevata rispetto alla media del parametro oppure di parametri statisticamente
dipendenti dall'andamento temporale delle variabili di interfaccia esulano dallo spirito e dalle finalità
dell'approccio circuitale e vanno trattati da un punto di vista probabilistico. Tuttavia, modelli aventi queste
proprietà derivano generalmente da problemi mal posti (ipersensibili), non formalmente chiusi e/o fortementenon lineari (saturazione), quindi di problematica trattabilità ed utilità.
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e) Una volta note le equazioni costitutive, i parametri circuitali del blocco possono essere in
linea di principio caratterizzati o identificati dall'esterno, mediante misure delle sole
variabili di interfaccia in opportune situazioni sperimentali. La supposta costanza ed
indipendenza statistica delle costanti circuitali rispetto alle variabili di interfaccia
assicurano che l'identificazione dei parametri è consistente (con incertezza statistica
tendente a zero all'aumentare del numero delle misure verso l'infinito) [14].
IV.2 Il grafo
La seconda componente caratteristica della rappresentazione circuitale è la connessione dei
vari blocchi mediante un grafo, ovvero un insieme di tratti di curve (rami), talvolta orientate
(archi), definite in un opportuno spazio multidimensionale, che collegano fra loro i terminali
(morsetti) dei blocchi circuitali.
Ciascun arco impone sempre l'omogeneità (stessa unità di misura) e la continuità (stesso
valore) alle variabili di interfaccia in corrispondenza dei terminali dei blocchi collegati ai suoi
estremi. Queste proprietà restano verificate per ogni istante di tempo (assenza di ritardi o di
memoria nella propagazione dell'energia) e generano equazioni di vincolo, una per ciascun
arco, che si aggiungono a quelle costitutive dei blocchi interconnessi a formare il sistemarisolvente del circuito.
Talvolta, per simboleggiare equazioni di continuità di flussi (come, per esempio, la corrente
elettrica) si introducono nei grafi i nodi, che sono speciali blocchi a più di due terminali. A
tutti i morsetti del nodo è associata una variabile di interfaccia del medesimo tipo del quale si
vuole imporre la continuità. L'equazione costitutiva del nodo uguaglia a zero la somma
algebrica di queste variabili di interfaccia su tutti i morsetti.
A seconda del particolare modello circuitale, i rami del grafo possono imporre altre equazioni
di vincolo, oltre alla continuità. In particolare, nel caso dei circuiti elettrici, la presenza di
percorsi chiusi formati da un sottoinsieme di archi (maglie) genera equazioni di equilibrio
determinate dalla legge di Kirchhoff sulle tensioni [13].
Le equazioni di continuità e di equilibrio, che dipendono solo dalla geometria delle
connessioni, ma non dai blocchi funzionali effettivamente presenti, sono dette anche vincoli
topologici del circuito.
Nota: una condizione indispensabile per la validità del modello circuitale è quella che tutti i
fenomeni energetici del sistema fra loro correlati siano modellati da opportuni blocchi
interconnessi (sorgenti, pozzi e trasformatori di energia). Infatti, il circuito nel suo complessorappresenta un sistema isolato, per il quale è sempre possibile definire un'equazione globale
di conservazione dell'energia. Il mancato modellamento di parti del sistema o di flussi
energetici esogeni forza in ogni caso, ma in maniera sostanzialmente scorretta, questo
principio di conservazione, conducendo ad analisi errate
14
.Le analisi di sensibilità [13] e di robustezza [12] applicate al modello matematico servono
anche a stabilire i margini entro i quali è assicurato il mantenimento della funzionalità del
sistema fisico in presenza, rispettivamente, di piccole deviazioni rispetto alle assunzioni del
modello e di errori grossolani in alcuni parametri circuitali (guadagno in corrente dei
transistor BJT nei circuiti elettronici, per esempio).
14
E' chiaramente impossibile, per motivi sia teorici, sia pratici, rispettare alla lettera questa prescrizione. Tuttavia
è un compito fondamentale della ricerca stabilire l'importanza relativa dei vari fenomeni che il modello dovràrappresentare.
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IV.3 Risoluzione o analisi del circuito
Le equazioni costitutive e topologiche traducono nel linguaggio universale della matematica i
comportamenti di un sistema fisico, che possono essere così analizzati "a tavolino" o
riprodotti al calcolatore (modello simulatore) a scopo di sperimentazione, in tutta comodità,
con bassi costi e perdite di tempo.
Più il modello è accurato, più sarà facile progettare e costruire manufatti di elevata qualità.Anche le proprietà matematiche del modello circuitale possono essere strettamente correlate
all'impegno necessario per il progetto e la costruzione e ai relativi costi.
Le equazioni topologiche e costitutive, insieme ai vincoli derivanti dalle condizioniiniziali, da quelle al contorno e dagli andamenti imposti da cause esogene ad alcune
grandezze di interfaccia, formano il sistema risolvente del circuito.
Risolvere un circuito significa calcolare gli andamenti temporali di tutte le variabili diinterfaccia. Questo obiettivo è possibile solo se il sistema risolvente del circuito ammette
una soluzione unica per ogni istante di tempo.
IV. 4 La chiusura del sistema risolvente.Nella fisica e nell'elaborazione del segnale, il sistema risolvente generato da un modello
circuitale ammette molto spesso infinite soluzioni (sistema indeterminato o sottodeterminato),
a causa dell'impossibilità di caratterizzare dall'esterno certi blocchi (presenza di risposte
inosservabili oppure non eccitabili). In questo caso, bisogna aggiungere alle equazioni del
sistema risolvente altri vincoli derivanti da ipotesi di lavoro plausibili o credenze esogene
(regolarità matematica della soluzione, minima varianza, ecc...) per raggiungere l'unicità
della soluzione, che va pur sempre validata da un punto di vista sperimentale.
Viceversa, gli insiemi di misure sperimentali per la caratterizzazione di un blocco circuitale,
essendo affetti da errori casuali, generano certamente sistemi di equazioni incompatibili o
sovradeterminati (più equazioni che incognite). Questi sistemi vanno affrontati con i metodi
della ricerca operativa e della statistica (minimi quadrati, massima verosimiglianza, inferenza
bayesiana) che esulano dalla trattazione presente.
Si incontrano anche sistemi risolventi che sono indeterminati solo in certi istanti dell'analisi.
Questi punti, che al più possono costituire un insieme numerabile sull'intero asse dei tempi,
sono detti punti di ramificazione o di biforcazione. L'esperienza porta ad avvertire che queste
anomalie matematiche dei sistemi risolventi sono raramente il risultato di errori nel processo
di formalizzazione, anzi quasi sempre sono il segnale di mancanza d'informazione(inosservabilità, incompletezza o inadeguatezza delle leggi costitutive) e di comportamenti
instabili o ipersensibili dell'oggetto modellato, che sono indesiderabili in qualsiasi
realizzazione industriale o predizione economica.
IV.5 Circuiti direzionali e non direzionali
I modelli circuitali possono essere distinti in due classi fondamentali, a seconda della natura
del sistema risolvente e della conseguente tecnica di soluzione: circuiti non direzionali e
circuiti (uni-)direzionali.
I circuiti non direzionali sono quelli in cui la direzione degli scambi energetici è indeterminata
e non è stabilito alcun rapporto oggettivo di causa-effetto fra le variabili d'interfaccia prima
della soluzione del circuito. Il sistema risolvente calcola congiuntamente tutte le variabili di
interfaccia, che dipendono significativamente da tutti i blocchi interconnessi. Questa influenza
reciproca rende più onerosa e sensibile la soluzione del sistema stesso e complica la
costruzione (sintesi) di un circuito che debba rispondere a specifiche predeterminate. Il blocco
riportato in figura 4 è di tipo chiaramente non-direzionale. I circuiti non direzionali derivano
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in genere dal modellamento di campi ondulatori. Le reti elettriche appartengono proprio a
questa categoria di circuiti.
I circuiti direzionali sono invece quelli in cui è stabilita a priori una relazione causa-effetto fra
le varie variabili di interfaccia [13]. Per esempio, l'attuatore dell'esempio 3 è un blocco
direzionale, in cui la tensione di controllo è la causa, mentre l'angolo di rotazione del braccio
è l'effetto prodotto dalla stessa causa.Il funzionamento dei vari blocchi è disaccoppiato nei circuiti direzionali, così che il sistema
risolvente può essere risolto sequenzialmente, dopo aver esplicitato l'equazione costitutiva di
ciascun blocco rispetto all'effetto, identificato dal vettore di interfaccia y:
y(t ) = G(x(τ), −∞ < τ < t , a) . (4)
La funzione G nell'equazione (4) è detta funzione di trasferimento fra le variabili di ingresso
x(t ) e le variabili d'uscita y(t )15
.
I circuiti digitali, oggi molto in voga, e le cosiddette reti neurali appartengono tutti alla
famiglia dei circuiti direzionali.
In particolare, consideriamo la figura 5. Essa rappresenta un circuito, detto rete neuralemultistrato (o perceptron), che in origine aveva lo scopo di modellare la struttura di un organo
sensoriale biologico, come la retina umana.
La rete neurale illustrata è formata da strati di tanti piccoli blocchi circuitali direzionali, detti
neuroni per analogia con la terminologia biologica. Tutti gli archi del grafo associato
all'architettura in figura 5 sono orientati dagli ingressi a sinistra verso le uscite a destra.
Ciascun neurone è a sua volta costituito da una connessione di più (sotto)blocchi, collegati
come in figura 6. Esso possiede inoltre P porte di ingresso numerate, caratterizzate dalle P
variabili di interfaccia xi(t ), i=1,2,..., P, ed una di uscita, la cui variabile di interfaccia è
y(t ). I parametri liberi (invarianti rispetto alle variabili d’interfaccia) sono costituiti dai pesi
wi, i=1,2,..., P con cui sono combinate linearmente le variabili d’ingresso. La funzione
costitutiva del neurone riportato in figura 6 è evidentemente:
= ∑
=
3
1i
ii )t ( xw f )t ( y . (5)
Chiaramente i circuiti direzionali, che introducono i concetti di funzione di trasferimento e
rapporto causa-effetto, si pongono ad un livello di astrazione superiore rispetto ai modelli
non-direzionali, che risentono ancora fortemente della natura distribuita delle leggi fisiche.
Oggi i circuiti direzionali, come quello riportato in figura 5, hanno una grande importanza
nell'ingegneria, per l'eleganza del modello e per il loro legame diretto con il grafo di flusso di
un algoritmo implementato su calcolatore. In particolare, i blocchi circuitali possono
diventare dei sottoprogrammi ( procedure, subroutine, function), che hanno le variabili di
interfaccia16 come parametri formali.
15 Nella Teoria dei Circuiti lineari si preferisce definire la funzione di trasferimento a partire dalla trasformata di
Laplace dell'equazione (4) [13]. La definizione data copre invece un maggior numero di casi di effettiva utilità
pratica.16 Gli algoritmi che discendono da modelli direzionali mantengono la struttura paratattica del circuito originale
(stessa importanza assegnata a ciascun blocco). Essi risultano pertanto estremamente adatti all'uso su macchine
di calcolo parallele e circuiti integrati dedicati (VLSI) [15]. La classica programmazione strutturata (o quella ad oggetti) conduce invece a strutturare l'algoritmo gerarchicamente (ipotassi).
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20
Σ
Σ
Σ
f
f
f
Σ
Σ f
f
X1
W 1 W 2
Y1 X2 X3Y2
ingressi uscite
bias
bias
Figura 5: esempio di circuito direzionale (rete neurale multistrato)
Σf(u)
z3=x3*w3
x3
z1=x1*w1
x1
z2=x2*w2
x2
z1
z2
z3u y
Figura 6: Neurone (blocco direzionale) isolato
IV.6 La definizione del confine del circuito.
Il modellamento circuitale parte, come si è detto, da un processo di idealizzazione e di
particolarizzazione delle leggi fisiche rispetto ad una classe di sistemi. In più, il sistema
risolvente impone una credenza di isolamento energetico dei blocchi circuitali interconnessi
rispetto al resto dell’universo, che è generalmente falsa [6].D’altra parte, l’evidenza empirica del funzionamento e la particolare struttura di molti
manufatti suggerisce che:
• la violazione dell’ipotesi di isolamento energetico non comporti necessariamente effettipratici catastrofici;
• l’adozione di provvedimenti locali di natura ingegneristica (dimensionamento ed
orientazione dei componenti, scelta dei materiali, aggiunta di schermature e di sospensioni
meccaniche) possa spesso restituire validità sostanziale alle assunzioni del modello;
• la natura delle soluzioni particolari ottenute da un modello circuitale ben fatto non
dipenda rigidamente dalle assunzioni del modello, ed in particolare dalle condizioni
iniziali ed al contorno.
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21
Come diretta conseguenza di questi fatti, nelle applicazioni pratiche il confine del circuito non
è quasi mai univocamente definito. Anzi, in molti casi risulta conveniente escludere dal
modello matematico alcune interazioni, per ridurre la complessità e migliorare la funzionalità.
Sebbene queste operazioni delicate debbano essere sempre giustificate da un punto di vista
matematico e statistico, il loro uso non soggiace apparentemente ad alcuna regola e resta
legato alla sensibilità del ricercatore ed alla qualità della sperimentazione.La mera possibilità di poter variare senza troppi affanni il confine del sistema analizzato deve
essere tuttavia spiegabile a partire dalle proprietà intrinseche di un (buon) modellamento
circuitale.
IV.7 La robustezza dei modelli circuitali.
La nozione di robustezza è una delle più recenti elaborate dalla statistica [12], essendo stata
definita pienamente negli anni Ottanta, ed è intimamente legata all’incertezza ineliminabile da
cui sono affette le misure sperimentali.
Per quanto attiene allo sviluppo della teoria (classica) dei circuiti elettrici, è opportuno
riformulare appropriatamente qui una definizione di robustezza qualitativa, la quale tornerà
assai utile nel seguito.La cosiddetta robustezza quantitativa [12], sebbene sia di importanza fondamentale per la
comprensione delle proprietà della caratterizzazione esterna dei parametri circuitali al variare
delle assunzioni e degli algoritmi di ottimizzazione usati per la sintesi, esula dalle finalità
della trattazione presente.
La robustezza qualitativa attiene all’insensibilità strutturale delle variabili d’interfaccia e di
misura delle costanti circuitali rispetto a ragionevoli errori locali di specificazione delle
condizioni al contorno, delle leggi costitutive e del dominio di supporto.
Sia dato un insieme di funzioni di punto (scalari, vettoriali, tensoriali) xi(t , r), i=1,2,..., N,
definite su un dominio spaziale Ω. A partire da queste funzioni di punto, si costruisca una
nuova funzione u(t , r) nel seguente modo:
( ) ( )r'rr'xru i ,t, , , , ,Gt τ=τ= N1,2,...,i),( D , (P1)
t , , <τ<−∞⊆∈∈ ΩDr'r ;
Si suppone anche che sia stata definita una metrica opportuna [12] in Ω per stabilire il grado
di “vicinanza” tra due funzioni di punto xi’(t , r) e xi(t , r), che vengono assunte assolutamente
sommabili sul dominio Ω stesso per ogni istante t 17
. Nella fisica e nell’ingegneria, queste
funzioni di punto possono rappresentare, per esempio, la soluzione formale di un sistema di
equazioni differenziali alle derivate parziali.
Definizione: u(t , r) è qualitativamente robusta se si mantiene limitata per ogni andamentoammissibile di xi(t , r) e continua quando la stessa xi(t , r) viene deformata continuamente
verso funzioni vicine xi’(t , r), secondo la metrica prescelta (cfr. [12]).
Se restringiamo la nostra attenzione a funzioni lineari delle grandezze xi(t, r) è facile
dimostrare il seguente:
Teorema: Le funzioni integrali del tipo:
17
Nel caso di domini di supporto aventi misura infinita, la sommabilità può essere ridefinita per mezzo diopportune estensioni al limite e normalizzazione delle funzioni di punto [14].
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22
τ
τ•τ= ∑ ∫ ∫
= ∞− Ω⊆
d)d()(),(1
N
i
t
D
ii , ,t , ,t r'r'xr'rKru (P2)
soddisfano ai requisiti di robustezza qualitativa, se e solo se i nuclei Ki(r, r’, t , τ) sono
continui e limitati in norma per ogni valore delle variabili (r, r’, t , τ). La dimostrazione dellasufficienza della forma (P2) per la robustezza qualitativa è ovvia. La necessità della continuità
e della limitatezza dei nuclei integrali deriva invece (sulla falsariga di quanto riportato in [12])
dal fatto che possono essere costruite particolari funzioni ammissibili xi, composte da un
insieme di impulsi matematici strategicamente disposti, capaci di invalidare la tesi per forme
non integrali e nuclei discontinui o non limitati in Ω.
Alcuni operatori integrali possono soddisfare anche al più stringente requisito di robustezza
quantitativa, che sancisce in sostanza l’insensibilità al primo ordine di u(t , r) rispetto a
perturbazioni delle xi e/o dei nuclei Ki [12].
Un sistema risolvente non patologico che leghi variabili d’interfaccia definite da formule
integrali del tipo (P2) sarà quindi soggetto ad una variazione continua e controllabile dellesue soluzioni rispetto ad errori nella definizione dei nuclei e delle condizioni al contorno.
I modelli circuitali, che fanno esclusivo uso di variabili di interfaccia definite da funzioni
integrali e posseggono per definizione un numero finito e ridotto di parametri liberi, risultano
quindi ideali in tutti quei casi, in cui il sistema e l’ambiente sono descritti fisicamente in
maniera incerta e/o incompleta.
Viceversa, un modello basato su equazioni non qualitativamente robuste e affetto dalla
maledizione della dimensionalità (poche misure e molti parametri liberi), creerà
invariabilmente grossi problemi nella verifica sperimentale18 e nelle applicazioni pratiche.
V. DERIVAZIONE DEL MODELLO CIRCUITALE ELETTRICO DALLA TEORIA DEI CAMPI
La discussione precedente ci permette ora di seguire in dettaglio il processo di derivazione
dalle equazioni di Maxwell dei risultati intermedi, che costituiscono gli assiomi della Teoria
dei Circuiti, rappresentati rispettivamente dalle due leggi di Kirchhoff e dalla espressione
della potenza elettrica istantanea.
Il campo elettromagnetico ha natura tensoriale dipendente dal punto P(r). Il vettore r = [ x, y,
z ] contiene le coordinate spaziali di P, definite in un opportuno sistema di riferimento. L'uso
di variabili di interfaccia tensoriali è assai scomodo in pratica, dal momento che gli strumenti
di misura, indispensabili per la caratterizzazione dei blocchi circuitali, osservano
invariabilmente delle grandezze integrali del campo nell'intorno di un punto (flussi o integrali
di linea). Oltre a tutto, per le considerazioni esposte nel precedente paragrafo, una funzione
integrale del campo è quasi certamente continua e regolare rispetto alla posizione delle curve
o delle superfici nello spazio, semplificando i problemi matematici connessi con il
modellamento.
Per tutti questi motivi, la scrittura delle equazioni di Maxwell in forma integrale risulta il
punto di partenza migliore per l'analisi dei fenomeni elettrici.
18 La robustezza qualitativa e anch'essa una credenza, se pur teoricamente giustificabile. La limitazione dei
modelli integrali risiede di solito nella gamma di frequenze/energie che è possibile trattare. Tuttavia la Teoria dei
Segnali [14][15][17] sottolinea la possibilità di analizzare moltissimi fenomeni localmente in tempo o frequenza,
mediante l'uso di espansioni locali delle soluzioni formali, [14], senza inficiare la qualità della previsioneglobale.
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23
Nel seguito, i vettori dei campi elettromagnetici saranno indicati con lettere maiuscole in
grassetto, i vettori della statica e della dinamica (posizione r, velocità v, forza specifica f ) in
lettere minuscole in grassetto e, infine, le grandezze scalari (tempo t ) con lettere minuscole.
Definizioni:
E(r,t ) : vettore del campo elettrico nel punto P(r);
D(r,t ) : vettore dell'induzione elettrica (risposta del mezzo materiale eccitato dal campo E);
H(r,t ) : vettore del campo magnetico nel punto P(r);
B(r,t ) : vettore dell'induzione magnetica (risposta del mezzo materiale eccitato dal campo H);
J(r,t ) : vettore della densità della corrente elettrica nel punto P(r);
ρ(r,t ) : densità di carica elettrica nel punto P(r);
ρlib(r,t ) : densità di carica elettrica libera nel punto P(r);
ρ+(r,t ) : densità di carica elettrica positiva nel punto P(r);
ρ−(r,t ) : densità di carica elettrica negativa nel punto P(r);
n(r) : vettore normale con direzione uscente dalla generica superficie S nel punto P(r);
dS : elemento infinitesimo della generica superficie S, orientato secondo n;
t(r) : vettore tangente alla generica curva chiusa orientata γ nel punto P(r);
dl : lunghezza dell'elemento infinitesimo della generica curva γ ;dV: elemento infinitesimo di volume;
Sv : superficie che racchiude il volume V;
Sγ : porzione di una superficie arbitraria che ha per base la curva chiusa orientata γ :
Ove inessenziale, nel seguito si ometteranno i parametri tra parentesi, che esprimono le
dipendenze dalle coordinate spaziali e dal tempo.
Equazioni di Maxwell in forma integrale (relazioni topologiche):
∫∫ ∫∫∫ ρ=•Sv V
libdVdSnD ; (M1)
0dSSv
=•∫∫ nB ; (M2)
∫ ∫∫ γ γ
•∂∂
−=•S
dSt
dl nB
tE ; (M3)
∫ ∫∫ ∫∫ γ γ γ
•∂∂
+•=•SS
dSt
dSdl nD
nJtH . (M4)
Equazioni di Maxwell in forma differenziale:
lib)( ρ=Ddiv ; (M1’)
0)( =Bdiv ; (M2’)
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24
t rot
∂∂
−=B
E)( ; (M3’)
t rot
∂∂
+=D
JH)( . (M4’)
Equazioni costitutive generiche dei materiali:
D = ε(E) ; (C1)
B = µ(H) ; (C2)
J = σ(E, r) = ρ+<v+>+ρ-<v->19 ; (C3)
f = ρ E + J ^ B ; (C4)
Indichiamo ora con il pedice "0" la componente dei vettori impressa da sorgenti esterne
(generatori) e con il pedice "c" le componenti derivanti dalle interazioni elettromagnetiche.
Per esempio, Ec è il campo elettrico propriamente detto, mentre E0 è un campo elettromotore
di origine esogena. Otteniamo:
J = J0 + Jc ; (P1)
E = E0 + Ec ; (P2)
D = D0 + Dc ; (P3)
B = B0 + Bc ; (P4)
H = H0 + Hc . (P5)
V.1 Legge di Kirchhoff alle tensioni (LKT)
La tensione v(P1, P2) esistente fra due punti arbitrari dello spazio P1 e P2 viene definita in
elettrotecnica dalla formula:
∫ •−=2
1
P
P
21 dl)PP(v tE , . (6)
Il segno (-) è nuovamente del tutto convenzionale, e i membri dell'equazione (6) hanno
dimensione [Volt]. A differenza del caso elettrostatico, però, il campo elettrico non è
vincolato ad essere conservativo. Per questo motivo bisogna indicare di volta in volta qual è il
percorso di integrazione prescelto.
19 La funzione σ è detta funzione di conducibilità del materiale; similmente ε è la funzione di permettività
elettrica e µ è la funzione di permeabilità magnetica. Le equazioni sono scritte per un sistema in quiete rispetto
ad un sistema di riferimento inerziale.
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25
Consideriamo quindi un sistema fisico sede di fenomeni elettromagnetici e scegliamo al suo
interno una generica curva γ chiusa e fissa nello spazio come percorso dell'integrazione.
Inseriamo in (M3) tutti i contributi elencati in precedenza e, dopo facili passaggi, otteniamo:
0
0
0 =•∂
∂
−•∂
∂
−•−•− ∫∫ ∫ ∫∫ ∫ γ γ γ γ S
c
Sc dSt dSt ld dl n
B
n
B
tEtE . (7)
Il primo termine rappresenta il contributo di tensione vg dovuto ad eccitazioni impresse
dall'esterno. Il secondo termine, che chiameremo (vR+vc), descrive il campo che deve
sussistere in un conduttore per sostenere la corrente elettrica e tiene conto anche della densità
di corrente di spostamento Jsp rappresentata dall'ultimo termine di (M4), che genera i
cosiddetti effetti capacitivi, dovuti all'accumulo delle cariche elettriche.
Il terzo termine (vM) indica il contributo dei campi magnetici esterni concatenati con la curva
γ che provocano effetti di mutua induzione. Il quarto (vL), infine, descrive la componente del
campo magnetico autoindotto dalla densità di corrente J. L'equazione (7) con le posizioni
fatte diviene una forma della nota legge di Kirchhoff alle tensioni lungo il percorso chiuso γ ,detto anche maglia nella terminologia dei circuiti [13]:
vM + vR + vL+ vc + vg = 020; (8)
Anche se è possibile scendere maggiormente nel dettaglio dei contributi degli integrali della
formula (7), si vede immediatamente che:
• l'espressione (8) dipende solo da espressioni integrali e (potenzialmente) robuste dei
campi elettromagnetici;
• gli integrali dipendono dalla forma della curva chiusa γ prefissata che attraversa il sistema,
ma l'espressione (8) resta sempre formalmente valida per qualsiasi configurazione dei
campi e per qualsiasi frequenza.
V.2 Legge di Kirchhoff alle correnti (LKI)
Per procedere nel ragionamento, conviene definire anche la corrente elettrica iSλ come flusso
di J attraverso una superficie Sλ che ha per base la generica curva chiusa λ. In questo modo
abbiamo a disposizione una seconda grandezza integrale per rappresentare
macroscopicamente le cariche elettriche in moto:
∫∫ λ
λ •=S
S dSI nJ . (9)
Dalla quarta equazione di Maxwell (M4’), scritta in forma differenziale, si ricava l'espressione
della continuità della corrente elettrica, applicando ad entrambi i membri l'operatore
divergenza ed integrando su un volume prefissato V, racchiuso dalla superficie Sv:
0))(( =∂ρ∂
+•= ∫∫∫ ∫∫ ∫∫∫ V SvV
dV t
dSdV rot div nJH (10)
20
I segni sono nuovamente convenzionali. Per le definizioni in uso nell’Elettrotecnica si rimanda ai successiviparagrafi V.4-V.6.
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26
La superficie di integrazione Sv può essere suddivisa in un insieme S = Si, i=1, 2, ..., M di
aree mutuamente disgiunte e tali da ricoprirla completamente. Il flusso della corrente elettrica
attraverso ciascuna delle aree Si definisce, secondo l'equazione (9), la corrente Ii. L'ultimo
termine della espressione (10) è la cosiddetta corrente di spostamento Isp e rappresenta il
contributo alla corrente totale dovuto dalla accumulazione della carica elettrica Q racchiusa
nel volume V. Con queste posizioni, l'equazione (10) può essere riscritta esclusivamente permezzo di grandezze integrali21, ottenendo:
dt
dQII sp
M
1i
i −=−=∑=
(11)
L'espressione (11) costituisce una forma generale della legge di Kirchhoff alle correnti [13].
Nelle figure 7 e 8 sono presentati alcuni casi particolari della formula di continuità della
corrente elettrica. In particolare, la figura 7 rappresenta la diramazione della corrente elettrica
su più conduttori. La superficie di integrazione Sv dell'equazione (10), la cui proiezione sul
piano di sezione appare come una linea tratteggiata nella figura 7, è detta superficie di taglio erappresenta un concetto fondamentale per l'analisi di circuiti elettrici in cui possono essere
definite più maglie contemporaneamente.
n
σ<>0
I1
I3
I2I1 + I2 + I3 = 0
σ
Figura 7: Equilibrio di correnti su un taglio
E' da rimarcare come non sia stata fatta alcuna approssimazione per ricavare entrambe le
leggi di Kirchhoff da quelle di Maxwell. Le forme (8) e (11) possono essere impiegate (ed in
effetti spesso lo sono) anche in applicazioni ad alta frequenza. Sia le equazioni di Kirchhoff che quelle di Maxwell sono però incapaci di chiudere il sistema risolvente, senza far uso delle
relazioni costitutive dei materiali e delle informazioni sulla configurazione geometrica del
sistema. La costruzione del modello circuitale classico22
richiede, inoltre, l'indipendenza della
soluzione dalla configurazione fisico-geometrica del dispositivo elettrico [13], che è un
vincolo di robustezza sul modello teoricamente difficile da assicurare. Da un punto di vista
21
Per le applicazioni circuitali, il segno di derivata parziale rispetto al tempo può essere sostituito da quello di
derivata totale.22 Nel seguito sarà seguita una forma classica della derivazione del modello circuitale a costanti concentrate. Per
particolari applicazioni (alta frequenza, propagazione multimodo in linee di trasmissione,...), sarà tuttavia
possibile costruire differenti modelli circuitali imponendo approssimazioni leggermente diverse alle equazioni(6) e (7).
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27
tecnico-progettuale, però, questa condizione ci assicura ragionevolmente il mantenimento
della funzionalità di un circuito elettrico fisico al cambiare della disposizione dei componenti
e della geometria delle interconnessioni.
La condizione di robustezza non è certamente verificata a priori dalle equazioni (8) e (11).
Risulta quindi necessario concentrare i fenomeni elettromagnetici all'interno di regioni,
conformate in maniera opportuna, per ridurre gli effetti degli accoppiamenti elettromagneticiindesiderati con campi di origine esogena.
I1
Isp
I2
σ=0
σ<>0
I1 = -I2 = Isp n1
n2
Figura 8: equilibri di corrente in un condensatore
V.3 Il processo di concentrazione dei blocchi
Perché possa definirsi un modello circuitale astratto, bisogna ancora:
• definire i blocchi circuitali e la loro equazione costitutiva;
• assicurarsi che l'equazione di ciascun blocco sia ampiamente insensibile alla scelta del
percorso di integrazione γ (robustezza) e sia caratterizzabile in termini di grandezze
integrali dei campi.
• definire la struttura della connessione.
I passi fondamentali del processo di concentrazione delle costanti circuitali derivano da una
serie di argomentazioni semi-euristiche:
Argomento 1. Perché i flussi siano robusti, il materiale con caratteristiche elettriche
significativamente diverse da quelle del vuoto dovrebbe essere disposto in una sorta di
corda stretta attorno alla curva γ presa come riferimento, piuttosto che occupare una
regione estesa e di forma arbitraria nello spazio.
Argomento 2. Dalla formula degli integrali di linea, si può immaginare che i particolari
contributi del campo siano concentrati in specifici tratti della maglia, piuttosto che essere
distribuiti omogeneamente su tutto il percorso γ . Se necessario, questa localizzazione dei
fenomeni elettromagnetici può essere assicurata da una costruzione opportuna del circuito
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28
reale23
. Ciascun tratto o regione della curva è idealmente sede di un unico tipo di
fenomeno elettromagnetico. Le regioni sede di componenti impresse dei campi elettrici e
magnetici danno luogo ai blocchi generatori di tensione e generatori di corrente,
rispettivamente. La regione in cui esistono fenomeni di autoinduzione definisce il blocco
(auto-)induttore. La regione sede esclusiva di fenomeni di conduzione costituisce il blocco
resistore. La regione ove è presente solo corrente di spostamento definisce il bloccocondensatore, e così via di questo passo [13];
Argomento 3. La curva γ finora è stata immaginata passante attraverso la regione attiva della
corda, entro la quale hanno prevalentemente luogo i fenomeni elettromagnetici presi in
esame. Tuttavia, se si immagina che il circuito elettrico è immerso nel vuoto ideale,
ovvero una regione dove tutte le induzioni D e B (ma non i campi E ed H), come pure la
densità di corrente J, sono nulle, è facile vedere che poco cambierebbe nel calcolo dei
flussi e degli integrali di linea se la curva di integrazione originale γ fosse sostituita da una
opportuna curva γ 1, che la interseca solo in corrispondenza dei confini delle singole
regioni (figura 9). Il vantaggio è che i campi elettrici e magnetici lungo la nuova curva γ 1sono irrotazionali e quindi è possibile ridefinire la tensione (6) come differenza di un
potenziale opportuno [13];
Argomento 4. Nulla cambia per gli integrali nella espressione (7) se i blocchi attivi sono
congiunti da regioni arbitrarie circondate dal vuoto e riempite di materiale conduttore
perfetto (di conducibilità idealmente infinita), così che la tensione è ovunque costante (E
= 0) e la continuità della corrente è conservata. Le superfici di contatto fra blocchi attivi e
blocchi perfettamente conduttivi si chiamano terminali o morsetti o poli, mentre il
conduttore perfetto è simboleggiato nella rappresentazione grafica del circuito elettrico da
un tratto di linea che interconnette i morsetti di due blocchi.
Argomento 5. I parametri circuitali di ciascuna regione possono essere descritti da funzioni
integrali robuste e caratterizzabili solo se i campi elettromagnetici della regione sono
lentamente variabili rispetto alle coordinate spaziali. In termini più matematici, i campistessi devono poter essere approssimati localmente nel senso di Hilbert da una espansione
in serie rapidamente convergente, definita su una base opportuna di funzioni continue e
limitate in norma. Date le soluzioni analitiche dell'equazione d'onda ottenuta dalle
equazione di Maxwell [16], questa condizione implica che il tempo di attraversamento
dell'onda attraverso il blocco debba essere (molto) inferiore al periodo minimo delle
componenti significative del segnale di tensione [13]. In particolare, a basse frequenze ed
in assenza di brusche discontinuità spaziali della funzione di conducibilità σ e della
funzione di permeabilità elettrica ε, il contributo della corrente di spostamento può essere
trascurato nell'equazione (11).
Per evidenziare il contributo di questi argomenti, seguiamo in dettaglio la derivazione di unmodello idealizzato a costanti concentrate per un blocco conduttivo, detto nella terminologia
elettrotecnica resistore.
23
Questa argomentazione può apparire sofistica e non-fisica, ma l'obiettivo della derivazione è proprio quello di
giustificare un certo modo operativamente valido di costruire i circuiti elettrici, non certo quello di ottenere unatrattazione generale del comportamento elettromagnetico dei materiali!
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29
γ 1
γ
Vuoto
Figura 9: Curve di integrazione possibili in una maglia di circuito
V.4 Concentrazione del blocco resistore
Si consideri un blocco di materiale conduttore di forma arbitraria e si individuino su di esso
due aree perfettamente conduttive S1 e S2 che ne costituiscono i morsetti.
Per semplicità si può assumere che i morsetti sono parte di una superficie di taglio Sv che
racchiude il blocco conduttivo. Le superfici dei morsetti S1 e S2 misurano, rispettivamente, A1
e A2.
Si ritengono trascurabili i fenomeni di accumulo di carica e quelli dovuti a campi
elettromagnetici impressi o indotti. Questo può essere assicurato dall’uso di schermature e dieccitazioni di prova costanti nel tempo (in continua). Se il materiale all'interno del blocco
conduttore è supposto lineare, isotropo, permanente ed omogeneo, l'equazione costitutiva per
la densità di corrente è una semplice proporzione, [16]:
Jc = σEc . (12)
Con riferimento alla figura 10, si definiscano due punti P1 e P2, appartenenti rispettivamente
alle superfici S1 e S2, e si congiungano con il tratto di curva γ , di lunghezza L, su cui si calcola
la tensione globale vR:
LEP
P
dlv 0R
2
1
=•−= ∫ tE . (13)
E0 è un opportuno valore del campo elettrico tangente alla curva γ . Nello scrivere l'equazione
(13) si è fatto uso del teorema della media per gli integrali definiti. Allo stesso modo, si può
calcolare la corrente IR calcolando il flusso di J attraverso la superficie S124
:
24
Si è scelta la superficie S1 in accordo con la convenzione dell'Elettrotecnica riguardo alla definizione dei versicoordinati di tensione e corrente sui blocchi circuitali a due terminali, detti anche bipoli [11].
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30
11
1
R AE
S
dSI σ=•= ∫∫ nJ . (14)
Ancora una volta è stato applicato il teorema della media, che è ovviamente valido per
qualsiasi configurazione dei campi e distribuzione spaziale della conducibilità. Il rapporto fra
tensione e corrente è detto resistenza R del resistore e ne costituisce il solo parametro
circuitale (legge di Ohm):
1
R
11
0
R
R
A
LK
A
L
E
E
I
vR
σ=
σ
== . (15)
Da notare che il coefficiente adimensionale KR, detto fattore di forma, dipende dalla
configurazione del campo elettrico. Se questo fosse perfettamente uniforme all'interno del
resistore e se il blocco avesse forma di parallelepipedo, KR sarebbe pari esattamente all'unità.
Per forme arbitrarie, occorre risolvere le equazioni di Maxwell con le adatte condizioni al
contorno per calcolare teoricamente il valore di KR.
Tuttavia, il carattere integrale delle espressioni (13) e (14) suggerisce che, anche se i campi
non fossero costanti, il valore della resistenza varierebbe assai poco in molti casi di pratico
interesse, come evidenziato dai seguenti argomenti:
• Sviluppando i campi spazialmente in serie di Fourier, si scopre che il contributo dei modispaziali fortemente oscillanti, corrispondenti alle armoniche elevate di J ed E, tende a
smorzarsi rapidamente, in assenza di brusche discontinuità strutturali;
• Il teorema della media fornisce un risultato esatto non solo se i campi sono costanti
(integrazione rettangolare), ma anche se questi posseggono una componente lineare non
prevista rispetto alle coordinate spaziali. In altre parole, l'errore commesso nel valutare gliintegrali (13) e (14) è un infinitesimo del secondo ordine rispetto alle dimensioni
dell'oggetto, confermando la robustezza del modello semplice. Non ci aspettiamo, quindi,
particolari criticità realizzative, come è del resto confermato dai bassissimi costi dei
resistori commerciali.
Per la maggior parte delle applicazioni, che tollerano errori dell'1%-5% sul valore della
resistenza, questo modello semplificato del resistore fornisce una precisione sufficiente. Per
usi particolari è possibile selezionare i resistori fisici, per mezzo di una procedura di
caratterizzazione esterna. Alternativamente, i resistori possono essere calibrati, aggiustando
finemente il valore di R mediante la rimozione controllata di materiale dal blocco, effettuata
di solito a mezzo laser.
Procedura basica di caratterizzazione: si applica al resistore una tensione continua nota V
con un generatore e si misura la corrente IR che scorre nella maglia che contiene il generatore
di tensione ed il resistore incognito25. La misura viene ripetuta più volte, alternando
eventualmente diversi generatori per ridurre l'effetto di errori sistematici. Si ottiene, così, una
serie di N misure, che vengono raccolte nei vettori v ed i, rispettivamente.
Infine, il valore di R viene stimato in maniera statisticamente consistente26
[14] applicando
una procedura di ottimizzazione, che ricerca la soluzione fisicamente più plausibile al sistema
25
Occorre evitare dispersioni di correnti su maglie conduttive parassite.26 Errore nullo in media con varianza tendente a zero almeno con la quantità (1/N) [12].
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sovradeterminato (e di per sé incompatibile!) v = Ri. Molto spesso questa soluzione viene
trovata minimizzando rispetto al parametro incognito r la norma euclidea del vettore e degli
errori che rendono inconsistente il sistema (metodo dei minimi quadrati):
( ) ( )
22
22 rrrrR ive −==
minarg
)(
minarg
(16)
Sv
P2
P1
J
vR
Etγ
S1
S2
iR
n
σ=0
σ<>0
Figura 10: Blocco resistore
La concentrazione dei blocchi induttore (caratterizzato solo fenomeni di autoinduzione
magnetica) e condensatore (solo corrente di spostamento) si ottiene riapplicando il processo
descritto in questo capitolo rispettivamente al primo ed al terzo termine dell'espressione (11).
V.5 Concentrazione del blocco condensatore. Il blocco detto condensatore (ideale) è sede
esclusivamente di fenomeni dovuti alla corrente di spostamento che dipende da accumuli di
cariche elettriche in presenza di brusche variazioni spaziali della conducibilità, secondo
l'espressione (11). Un condensatore ideale è costituito da due armature piane perfettamente
conduttive, con interposto un materiale dielettrico lineare con σ=0. Si ipotizza che la corrente
di spostamento (e quindi l'induzione elettrica Dc) sia significativa solo nello spazio compresofra le armature, ciascuna delle quali ha superficie A.
Se il dielettrico è lineare, isotropo ed omogeneo, la relazione costitutiva (C1) esprime la
proporzionalità fra campo ed induzione elettrica. Il fattore di proporzionalità ε è detto
permettività elettrica del dielettrico [16]:
Dc = εEc . (17)
Con riferimento alla figura 11 e ripetendo i ragionamenti svolti per il resistore, la tensione vc
fra i morsetti del condensatore può essere espressa come:
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LEP
P
dlv 0c
2
1
=•−= ∫ tE . (18)
La corrente elettrica Ic obbedisce all'equazione di Kirchoff (11), che va particolarizzata come:
( )AEd
ddSI 1c ε=•
∂∂
−= ∫∫ t t Sv
nD
. (19)
Nell'equazione (19), E1 rappresenta come sempre un opportuno valore del campo elettrico
derivante dall'applicazione del teorema della media all'integrale che calcola il flusso di D.
Si procede quindi all'eliminazione, attraverso l'ausilio del fattore di forma KC=E1 /E0, dei
termini che hanno la dimensione di un campo elettrico [Vm-1
] nelle le espressioni (18) e
(19)27.
L'equazione costitutiva, nell'ipotesi di invarianza rispetto al tempo ( permanenza) di tutte le
dimensioni ed i parametri del dielettrico, diventa la classica [13]:
dt
dvCI c
c = , (20)
dove il coefficiente C è detto capacità del condensatore.
Ic
σ→∞
L
Sv
nE
D
γ
A
vc
P1P2
σ→0
Figura 11: Campi elettromagnetici in un condensatore
27
Curiosamente, questa procedura in matematica e statistica viene spesso definita concentrazione delle variabili
di un sistema di equazioni. Nel caso della Teoria dei Circuiti, il termine concentrazione viene invece inteso nelsenso spaziale sopra esposto.
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V.6 Concentrazione del blocco induttore. L'induttore ideale è un dispositivo a due terminali, o
bipolo, in cui hanno idealmente luogo esclusivamente fenomeni di autoinduzione magnetica,
provocati dalla corrente IL che percorre la medesima maglia del circuito. Per poter provocare
induzione, la corrente elettrica deve percorrere delle spire conduttrici (o avvolgimenti) avvolte
a spirale su un supporto di materiale magnetico. Come per il resistore ed il condensatore, si
suppone una perfetta stabilità dimensionale (assai problematica da realizzarsi in pratica pereffetto delle forze agenti sugli avvolgimenti stessi), in modo che le linee e le superfici di
integrazione non varino rispetto al tempo. La disposizione dei campi elettromagnetici e delle
superfici di integrazione più convenienti è descritta in figura 12.
β
E
tβ
IL
nγ tγ
H
γ Sγ
VL
P1
P2
l
nβ
Figura 12: Campi elettromagnetici in un induttore
Il campo magnetico H generato dalla corrente IL è significativamente diverso da zero solo
nello spazio compreso fra gli avvolgimenti coassiali. Il numero degli avvolgimenti è N e la
profondità totale di questi è l. Sia A la superficie delimitata da ciascun avvolgimento e
proiettata su un piano perpendicolare all'asse dell'induttore. La corrente di spostamento è
ipotizzata trascurabile. La curva γ si svolge nella regione ove si verificano i fenomeni
magnetici di interesse, ovvero all’esterno dell’avvolgimento (supposto costituito da un
conduttore ideale), ma sufficientemente vicino ad esso. Se i versi della corrente e del percorso
di integrazione lungo la curva γ sono scelti congruenti con quelli della figura 12, la quarta
equazione di Maxwell fornisce direttamente:
H0l = NIL. (21)
Il vettore induzione magnetica B, sotto le ipotesi semplificative di linearità, omogeneità ed
isotropia del materiale magnetico, è ovunque proporzionale al campo magnetico H:
B = µH. (22)
La costante µ è detta permeabilità magneticadel mezzo [16]. La tensione vL dell'induttore
dovrebbe essere calcolata secondo le espressioni (7) e (8) lungo una curva
β,prossima agli
avvolgimenti conduttori, come illustrato in figura 12. La terza equazione di Maxwell fornisce
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la tensione ai capi degli avvolgimenti in funzione della derivata temporale del flusso di B
attraverso una superficie Sβ avente per base proprio la curva β. Questa integrazione è assai
difficile da visualizzare, dal momento che una superficie siffatta assomiglia ad una scala a
chiocciola a N giri, osservata in pianta.
Tuttavia possiamo fare appello al principio di robustezza delle funzioni integrali sopra
enunciato per affermare che l'integrale in oggetto non si discosta significativamente da:
( )AHdt
dNdS
tv 1
S
bL µ≅•∂∂
= ∫∫ β
nB
. (23)
Ancora una volta, le quantità H0 ed H1, ottenute dall'applicazione del teorema della media,
hanno dimensione [Am-1
] e possono essere legate da un fattore di forma KL=H1 /H0.
Sostituendo l'espressione (23) nella (21) e raggruppando in una coefficiente di autoinduzione
L i termini non dipendenti dal tempo (per l'ipotesi di permanenza), si ottiene immediatamente
l'equazione costitutiva dell'induttore ideale:
dt
Idv L
L L= . (24)
Con lo stesso metodo è possibile derivare il modello circuitale a costanti concentrate di altri
dispositivi di tipo elettrico più complessi o comprendenti equazioni diverse da quelle del
campo elettromagnetico. Le problematiche relative alla ricerca ed alla caratterizzazione dei
modelli circuitali parametrici sono sviluppate nella teoria della stima, che sarà oggetto di
corsi futuri.
V.7 Generalizzazione e astrazione del modello circuitale elettrico. Le ipotesi sotto cui sono
state ricavate le equazioni costitutive dei bipoli elettrotecnici classici appaiono alquanto
stringenti, ma il pregio fondamentale di questa analisi semplificata consiste nel mostrare che
semplici equazioni integro-differenziali possono modellare accettabilmente alcuni fenomeni
elettromagnetici. Nulla vieta di introdurre relazioni più complesse per estendere l'applicabilità
del modello circuitale a casi più generali (linee di trasmissione, effetto pelle, isteresi, guide
d'onda...). Tuttavia questa generalizzazione non si fonda più sull'analogia fisica, bensì sulle
capacità matematiche di certe famiglie di funzioni (per esempio, i polinomi, le funzioni
razionali, le sigmoidi...) di approssimare rapidamente (ovvero con pochi parametri liberi) e
robustamente le equazioni topologiche, quelle costitutive e le soluzioni finali. La
formalizzazione del modello finale può quindi discostarsi notevolmente dalle equazioni
tradizionali della fisica, introducendo nuove rappresentazioni matematiche del fenomenostesso, che, come sempre, dovranno essere valutate per via sperimentale e sotto il profilo della
complessità matematica e computazionale.
Nell’ottica circuitale, lo studio fisico-matematico di base fornisce essenzialmente quelle
indicazioni qualitative sulle soluzioni (proprietà di unicità, regolarità matematica e di
invarianza statistica soprattutto), necessarie per la concezione del modello e per la messa a
punto delle procedure di identificazione dei parametri circuitali invarianti via via introdotti.
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VI. LA POTENZA ELETTRICA
La potenza nella dinamica è, come noto, il prodotto scalare della forza per la velocità. Nel
caso elettromagnetico, la potenza elettrica specifica p(r,t) può essere definita partendo dalle
equazioni della forza specifica (C4) e della corrente (C3) e prendendo a riferimento la figura
10. La potenza spesa dal campo elettrico per mantenere la densità di corrente elettrica J vale,nel caso di portatori di carica tutti positivi:
JEvEvf r •=ρ•=•=t),(p . (25)
La potenza dissipata28 in calore per unità di volume nella regione conduttiva eguaglia pure
questa quantità. E' facile convincersi che integrando la (25) sul volume V, delimitato da Sv,
in figura 10 e cambiando il segno si ottiene la potenza elettrica P fornita al (vale a dire
entrante nel) resistore dal resto del circuito e trasformata irreversibilmente per effetto Joule:
PR(t) = vR(t)*IR(t) . (26)
Questa relazione costituisce il terzo assioma della Teoria dei Circuiti, che si aggiunge alle due
leggi di Kirchhoff per le tensioni e per le correnti [13] ed è valida per ogni blocco a due
terminali. Esistono altre maniere per giustificare l'espressione (26) della potenza elettrica, ma
quella riportata ha il pregio di presentare un legame diretto con un fenomeno fisico ben noto.
Generalizzazione del concetto di potenza elettrica. E' possibile generalizzare il concetto di
potenza ad altre regioni, caratterizzate da correnti e campi impressi ed indotti, introducendo il
cosiddetto vettore di Poynting P [16]:
P = E ∧ H . (27)
Calcolando la divergenza di P e sostituendo le equazioni di Maxwell si ottiene:
div(P) = H • rot(E) - E • rot(H); (28a)
tt)(div
∂∂
•−•−∂∂
•−=D
EJEB
HP . (28b)
Calcolando il flusso uscente di P attraverso la superficie chiusa Sv che delimita un volume V
si trova una espressione generalizzata rispetto alla (26) che può essere interpretata come
potenza “perduta” istantaneamente dalla regione contenuta nel volume V29. L’espressione(28b) costituisce il risultato del cosiddetto Teorema di Poynting. Il primo termine
dell'espressione (28b) rappresenta la densità di potenza magnetica ed il terzo la densità di
potenza associata alla corrente di spostamento. Definendo le opportune tensioni è ancora
possibile riottenere l'espressione (26) [16], che, ricordiamolo, rappresenta un assioma nella
Teoria dei Circuiti elettrici.
28
Un flusso di energia uscente dal resistore è considerato positivo.29
Da qui il segno opposto rispetto all'espressione (25), che esprime invece la potenza assorbita e trasformata dalcampo elettromagnetico.
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La trattazione circuitale è possibile anche per altri fenomeni di tipo distribuito (meccanici,
acustici, idraulici, ecc...) e rappresenta un approccio metodologico assai efficiente che, come
vedremo del capitolo seguente, può sostituire vantaggiosamente le soluzioni ottenibili
risolvendo sistemi di equazioni differenziali, soprattutto nei casi non lineari (assetto dei
satelliti, distorsione negli altoparlanti e così via).
VII. MODELLI CIRCUITALI DI CAMPI SPAZIALMENTE DISCRETIZZATI30
Soluzioni analitiche delle equazioni di Maxwell sono disponibili solo per geometrie molto
semplici. Lo sfruttamento applicativo dei fenomeni elettromagnetici dipende, invece,
dall'abilità di calcolare con precisione e di manipolare i campi in situazioni complesse, in
modo da produrre quegli effetti che si desiderano (diffusione acustica, telerilevamento,
trasmissione dell’informazione).
L'uso del calcolatore rende possibile trattare in breve tempo grandi quantità di dati, ma è poco
efficace in presenza di operatori simbolici e funzioni continue. Per risolvere con un
calcolatore elettronico problemi di campo, le funzioni e le loro derivate devono essere perforza approssimate su una griglia discreta di punti del continuo spazio-temporale, oppure
espanse in serie su una base opportuna di funzioni approssimanti (metodi agli
autocoefficienti) [13].
Di conseguenza, la soluzione numerica delle equazioni di Maxwell è affetta da una certa
imprecisione intrinseca, imputabile in parte all'accumulo di errori di arrotondamento nei
calcoli ed in parte alla discretizzazione spaziale. La precisione raggiungibile è, d’altra parte,
nettamente insufficiente per molte applicazioni nelle telecomunicazioni e nel telerilevamento
(propagazione su raggi multipli, acustica applicata, schermature elettriche e magnetiche di
forma complessa, calcolo dei parametri circuitali parassiti), quando sono richieste valutazioni
quantitative per il progetto di manufatti.
Si potrebbe pensare allora di elaborare un metodo generale per modellare sistemi
elettromagnetici complessi, decomponendo spazialmente il sistema stesso in tante piccole
parti e creando per ciascuna di esse un modello integrale (circuitale) di elevata precisione.
Una volta trovate le equazioni costitutive di ciascun blocco, il sistema risolvente del circuito
globale sarebbe in grado di fornire un valore del campo su un insieme discreto di punti dello
spazio. I valori in punti diversi da quelli considerati nel modello circuitale potrebbero essere
ricavati per interpolazione spazio-temporale fra i valori calcolati.
Tutte le procedure sarebbero perfettamente formalizzabili come programmi di calcoloautomatico. Tecniche sofisticate di questo tipo sono effettivamente state sviluppate ed usate,
specialmente nella progettazione di antenne, nello studio della propagazione delle onde
elettromagnetiche e sonore e nell’elaborazione del segnale proveniente da schiere di sensorispazialmente distribuiti (array processing) [17]. L'esperienza dimostra che questo approccio
può portare facilmente nelle applicazioni a risultati migliori della soluzione numerica delle
equazioni di Maxwell, proprio per la maggiore stabilità delle espressioni integrali rispetto a
quelle differenziali31
.
30
Un insieme discreto è un insieme numerabile (o anche a cardinalità finita) derivato da un insieme denso
secondo una regola prefissata, detta operazione di campionamento.31 L'errore sui campi con i metodi che approssimano direttamente le equazioni di Maxwell sono tipicamente
dell'ordine dell'1%. Alcuni metodi numerici basati su approcci circuitali, applicati ad antenne caratterizzate e
calibrate, raggiungono invece precisioni da cento a mille volte superiori, molto prossime ai limiti statistici diindeterminazione!
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Infine, molti dei modelli circuitali per lo studio dei campi sono di tipo unidirezionale, cosa
che mette in evidenza e permette di sfruttare efficacemente nelle applicazioni le relazioni
causa-effetto fra i fenomeni elettromagnetici coinvolti.
VIII. CONCLUSIONE
La Teoria dei Circuiti elettrici è stata formalizzata piuttosto di recente (a partire dagli anni
Trenta) ed ha raggiunto il massimo della sua espansione negli anni Sessanta e Settanta, con la
realizzazione dei maggiori programmi per l'analisi e la sintesi dei circuiti analogici, come il
famosissimo SPICE dell'Università di Berkeley in California.
Nei successivi due decenni, poi, la Teoria dei Circuiti si è specializzata in una moltitudine di
branche differenti, che hanno per oggetto i dispositivi elettronici, i circuiti digitali tempo-
discreto, i circuiti VLSI per il calcolo parallelo superveloce, le reti booleane, i controlli
automatici, l'elaborazione del segnale, le reti neurali e così via.
Queste nuove discipline hanno incorporato rapidamente i recenti contributi offerti dalla fisica
teorica, dalla Teoria Statistica dell'Informazione, dall'analisi numerica e dall'algebra lineare.Tuttavia, il tipo di analisi esterna ed indipendente dalla tecnologia, propria dell'approccio
circuitale, è stato mantenuto e consente oggi di costruire dei modelli comportamentali
ragionevolmente semplici e caratterizzabili di dispositivi altrimenti complicatissimi da
descrivere e gestire.
La Teoria dei Circuiti elettrici rimane un esempio da manuale di come sia possibile derivare
una teoria utile a partire da leggi fisiche generali e considerazioni semi-empiriche, avendo
come obiettivo il dominio pratico dei fenomeni elettromagnetici e come idee guida la
semplicità, la compattezza, l'eleganza e la versatilità dello sviluppo teorico.
BIBLIOGRAFIA
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