14-processi di produzione e lavorazione del cioccolato

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     percentuale di acqua, perfetto per essere addizionato alla massa di cacao.

    Per migliorare la consistenza del cioccolato in bocca è necessario ridurre la grandezza delle particelle solide sotto i 30 micron. In più il cioccolato inventato da Fry era amaro e acido perla presenza di varie sostanze formatesi durante la lavorazione del cacao. Pochi anni più tardi,nel 1879, Rudolph Lindt perfeziona ulteriormente il cioccolato introducendo nel processo di

     produzione una fase chiamata “concaggio” in cui dei rulli di granito passavano avanti eindietro anche per giorni sulla massa di cioccolato, riducendo le dimensioni delle particelle dicacao ed eliminando parzialmente le sostanze acide, migliorandone il sapore e la consistenza.Lindt produce il primo cioccolato fondente (prima infatti la tavoletta di cioccolato andavamasticata, mentre ora si scioglie in bocca).

     Il cacao

    La coltivazione dell’albero di cacao (Theobroma cacao, ovvero "cibo degli dei"), è limitataalle zone tropicali e subtropicali dell’America, dell’Africa e dell’Asia. I semi (fave) sono

    contenuti dentro un frutto grande come un melone (cabosse). Si distinguono tre varietà di piante di cacao:

    •  il Criollo, piante pregiate del Venezuela, della Colombia e del Messico, con fave(cotiledoni) tondeggianti, chiare (bianche e rosate), dal sapore dolce con fondoleggermente amarognolo.

    •  il Forastero, originario dell'alta Amazzonia, è coltivata principalmente in Africa e inBrasile, e presenta fave un po' più piatte, violacee con gusto forte ed amaro, bucciaspessa, con maggior contenuto di tannini. La capacità produttiva è maggiore di quelladel Criollo.

    • 

    il Trinitario, ibrido diffuso principalmente nell'isola di Trinidad (a seguito di unacatastrofe che distrusse le piante locali di Criollio furono seminate piante di varietàForastero) che unisce una parte delle proprietà aromatiche del Criollo con la buonaresa produttiva del Forastero.

    Il primo produttore mondiale di cacao è la Costa d’Avorio con il 38% della produzione,seguono il Ghana con il 21% e l’Indonesia con il 13%. Il Brasile, che una volta era un grandeesportatore di cacao, dopo la distruzione delle sue piantagioni ad opera di un fungo ora ne

     produce solo il 4%, e viene utilizzato quasi tutto in loco.

    L'albero del cacao è delicato e fragile. Necessita di protezione dal vento e, nella maggioranza

    dei casi, di un buon riparo dal sole, soprattutto nel periodo che va dai due ai quattro anni. Una piantina appena nata trova solitamente riparo all'ombra di banani o palme da cocco. Una volta

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     però cresciuto, l'albero può vivere anche in pieno sole, purché viva in zone dal terreno fertile e ben drenato, condizione fondamentale insieme alla distribuzione costante di piogge. L'alberoha un tronco sottile, fogliame molto decorativo che passa per tutti i toni del rosso, del marronee del bronzo. Allo stato spontaneo raggiunge anche i 10 metri, ma per facilitarne il raccolto,nelle piantagioni è tenuto sui 5/6 metri di altezza.

    Il cacao comprende i tre principali componenti delle sostanze alimentari, cioè grassi,carboidrati e proteine, in modo equilibrato ed in forma concentrata. La composizione tipicadel cacao è la seguente:

    Semi di cacao  Bucce 

    grezzi %  tost.interi %  tost. sgusciati %  % 

    Acqua  7.93  6.79  5.58  11.73 

    Proteine  14.19  14.13  14.13  13.95 

    Teobromina1  1.43  1.58  1.55  0.73 

    Grasso 

    45.57 

    46.19 

    50.09 

    4.66 Amido  23.92  24.10  22.68  43.29 

    Cellulosa  4.78  4.63  3.93  16.02 

    Ceneri  4.61  4.16  3.59  10.71 

    Tali dati rappresentano valori medi che possono subire anche notevoli variazioni a secondadella qualità, dell’annata e della provenienza geografica.

     Il burro di cacao

    Il burro di cacao è il grasso contenuto nel cioccolato responsabile delle sue proprietà fisiche.Come altri grassi e oli, siano essi vegetali o animali, è composto principalmente datrigliceridi, cioè molecole di glicerolo (chiamato anche glicerina) a cui sono legati tre acidigrassi. Gli acidi grassi nei trigliceridi possono essere i più diversi e in varie combinazioni,anche se quelli a 16, 18 e 20 atomi di carbonio sono i più comuni. La maggior parte dei grassiin natura contiene una miscela complessa di trigliceridi diversi. Il burro di cacao invececontiene quasi esclusivamente quelli formati da acido oleico (32-36%), un grasso insaturo a18 atomi di carbonio presente in grande quantità nell’olio di oliva, da acido palmitico (24-

     

    1 La teobromina è l'alcaloide tipico del cacao. Si tratta quindi di una sostanza naturale, dotata di una blanda

    azione diuretica, cardiotonica e vasodilatatoria, soprattutto a livello coronarico; non a caso, dunque, venivautilizzata come farmaco utile per combattere l'angina. I ben noti effetti stimolanti del cacao sono legati proprioalla presenza di teobromina (contenuta in misura del 2% circa), congiuntamente alla caffeina (0,6-0,8%). Diconseguenza, in una barretta al cioccolato fondente da 100 grammi, ritroviamo 600-1800 mg di teobromina e 20-60 mg di caffeina. Si tratta comunque di valori generali, che possono variare - anche considerevolmente - inrelazione al tipo di semi, alle tecniche colturali e al processo di fermentazione a cui vengono sottoposti prima diessere torrefatti. Nel cioccolato al latte il contenuto in teobromina è ridotto (perché minore è la percentuale dicacao), mentre è praticamente nullo in quello bianco.

    La teobromina, quando viene consumata in grandi quantità, è particolarmente tossica per i cani. In un esemplareda 10 kg, 200 grammi di cioccolato sono sufficienti per provocare vomito, diarrea, irrequietezza, tremori

    muscolari, respirazione affannosa e convulsioni, fino alla morte nei casi più gravi; in particolare, la dose letale èdi 330 mg di teobromina per kg di peso.

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    27%), un grasso saturo a 16 atomi di carbonio, e da acido stearico (32-36%), un grasso saturoa 18 atomi di carbonio. Il trigliceride più comune nel burro di cacao è quello chiamato POS(35-40%) perché alla molecola di glicerolo sono legati l’acido palmitico, l’oleico e lo stearicoin quest’ordine.

    Vi sono poi altri due trigliceridi presenti in percentuali rilevanti: il POP (Palmitico-Oleico-Palmitico 13-20%) e l’SOS (Stearico-Oleico-Stearico, 23-25%). Altri trigliceridi, molto piùcomuni in altri grassi come il burro o l’olio di oliva, sono presenti solo in tracce nel burro dicacao. Poiché i tre trigliceridi hanno una struttura molto simile riescono a formare un reticolocristallino solido molto compatto.

    Una piccola percentuale di trigliceridi (1-2%) non contiene acido oleico, ma solo palmitico ostearico. Essendo grassi saturi il punto di fusione è più alto. La presenza invece di trigliceridicon molecole di acido oleico abbassa il punto di fusione.

    L’esatta composizione di questa miscela di grassi dipende dal luogo di origine del cacao e dacome è stato coltivato.

    La particolare composizione del burro di cacao lo rende poco compatibile con altri tipi digrasso. Un’eccezione sono i trigliceridi presenti nel latte. Questi, solitamente costituiti da unacido a catena lunga e due a catena corta, si mescolano perfettamente con i grassi del cacao edanno luogo al “cioccolato al latte”. I grassi del latte aumentano la percentuale di trigliceridicon molecole di acido oleico, e questo abbassa il punto di fusione. Ecco perché il cioccolato allatte si scioglie prima e più facilmente.

     Negli anni ’50 venne scoperto che i grassi di alcuni vegetali contengono gli stessi triglicerididel burro di cacao. Nel 1956 la Unilever brevettò un metodo per ottenere un grasso quasiidentico al burro di cacao partendo da altre fonti vegetali: si tratta di ottenere le molecole

    POP, POS e SOS e mescolarle nella giusta proporzione per ottenere un CBE (Cocoa Butter Equivalent , burro di cacao equivalente). La loro aggiunta non modifica significativamente le proprietà del burro di cacao presente. Questi grassi possono essere utilizzati per motivazionieconomiche, dato che il burro di cacao è una materia prima costosa, usata anche dall’industriacosmetica e farmaceutica, ma anche per variare le caratteristiche del prodotto finale, adesempio ammorbidendo o indurendo il cioccolato o, in generale, donargli proprietà utili adesempio nei climi caldi, dove vi è la necessità di non far rammollire il prodotto esposto in unnegozio.

    Sino al 2000 in molti paesi europei il cioccolato non poteva contenere nessun grasso che nonfosse burro di cacao ed eventualmente i grassi del latte, nel cioccolato al latte. In alcuni paesiinvece (Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Svezia, Portogallo, Finlandia e Austria) era

     possibile aggiungere sino al 10% di altri grassi. Una direttiva comunitaria volta adarmonizzare il settore, recepita in Italia nel 2003, permette ora in tutti i paesi della UE

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    l’aggiunta di altri grassi vegetali oltre al burro di cacao, entro un limite massimo del 5% del prodotto finito. I grassi vegetali che vengono aggiunti sono esclusivamente quelli indicatidalla direttiva comunitaria: il burro di illipé, l’olio di palma, il grasso e la stearina di shorearobusta, il burro di karité, il burro di kokum, il nocciolo di mango e l’olio di cocco(quest’ultimo solo per la copertura di gelati e di prodotti simili). Devono essere

    obbligatoriamente indicati in etichetta. In Italia non sono praticamente utilizzati. Il produttoreItaliano che voglia sottolineare l’assenza di questi grassi può scrivere “cioccolato puro”sull’etichetta.

    Polimorfismo

    Il grasso contenuto nel cioccolato, il burro di cacao, può cristallizzare in sei strutturedifferenti, ma solo una, chiamata forma V, o β(V), è quella che fornisce al cioccolato lalucentezza, la rigidità, e la capacità di sciogliersi in bocca avendo una temperatura di fusionedi poco inferiore alla temperatura corporea. Le sei forme cristalline (più correttamenteandrebbero chiamate fasi) hanno tutte temperature di fusione diverse, e il cioccolato solidificain una di queste forme a seconda di come viene trattato.

    Forma  Come si ottiene  Punto di fusione 

    I γ  raffreddamento rapido 16-18 °C

    II α  raffreddamento rapido a 2 °C.1 ora a 0 °C

    22-24 °C

    III β2’ mista solidificazione a 5-10 °C[Dalla II a 5-10 °C] 24-26 °C

    IV β1’ Solidificazione a 16-21 °C[Dalla III a 16-21 °C]

    26-28 °C

    V β2 Per temperaForma desiderata. Lucida e compatta.

    32-34 °C

    VI β1 Dalla V, 4 mesi a temperatura ambiente 35-36 °C

    -  Forme I, II e III: Raffreddando rapidamente in frigorifero del cioccolato fuso siforma la fase I, con un punto di fusione medio di 17°C, che si trasforma rapidamentenelle fasi II e III, che fondono attorno ai 25°C. Queste sono tutte forme indesiderate

     perché rimangono opache, poco rigide, con basso punto di fusione. Nel cioccolato allatte a causa della presenza di grassi diversi dal burro di cacao le temperature possonoessere di qualche grado inferiori, a seconda della percentuale di latte aggiunto. Tuttequeste fasi cristalline bassofondenti si formano raffreddando il cioccolato fuso tropporapidamente e a temperature troppo basse. Con il tempo, lasciate a temperature di 16-21°C si trasformano nella forma IV.

    -  Forme IV e V: Lasciando raffreddare il cioccolato fuso a temperatura ambiente si

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    ottiene una miscela di cristalli della forma IV, che fonde attorno a 27°C, e della formaV, che fonde circa a 33°C. Tuttavia è solamente la forma V che interessa in

     pasticceria: si scioglie in bocca, è lucida e ha una buona rigidità. Come possiamoottenere la forma V? Visto che la forma IV fonde a 27°C si potrebbe pensare cheraffreddando del cioccolato fuso sino a 30°C, ad esempio, questo cristallizzi

    automaticamente nella forma desiderata. Non è così purtroppo. Studi recenti hannodimostrato come la cristallizzazione della fase V in condizioni statiche (cioè senzaagitare, stendere, pressare, mescolare etc…), semplicemente portando il sistema allatemperatura di cristallizzazione, è praticamente impossibile. E’ per questo che si devericorrere ad una procedura un poco più complicata, chiamata tempera o tempra. Una

     proprietà della forma V, molto utile al pasticciere, è che grazie alla sua formacristallina molto compatta solidificando si restringe un poco, e quindi è facile estrarreil cioccolato ben temperato dagli stampi in cui è stato fatto solidificare.

    -  Forma VI: La forma VI è quella termodinamicamente più stabile a temperaturaambiente, ma non è quella con le proprietà che desideriamo il cioccolato abbia. Anche

    il cioccolato temperato nel modo migliore, presto o tardi, si trasforma nella forma VI.Solitamente occorrono vari mesi a temperatura ambiente, ma la trasformazione è piùveloce se viene conservato a temperature troppo elevate. Questa trasformazione èspesso accompagnata dalla formazione di una patina biancastra indesiderata sullasuperficie del cioccolato: è burro di cacao libero. Una buona tempera riduce la

     probabilità di questa “fioritura” bianca. Curiosamente il cioccolato al latte è esente daquesto problema perché i grassi del latte impediscono al burro di cacao di migraresulla superficie. Poiché la temperatura di fusione della forma VI è di circa 36°C, siscioglie molto meno facilmente in bocca, risultando quindi non molto apprezzabile dalconsumatore. Alcuni dei cristalli si sciolgono addirittura a temperature superiori, e al

     palato si sentono dei piccoli grumi. E’ per questo che il cioccolato vecchio o

    conservato male si riconosce facilmente al palato.

     L’acqua e il cioccolato

    La composizione del cioccolato è alla base del comportamento che si può riscontrare durantela lavorazione di tale prodotto.

    Si consideri ad esempio di stare sciogliendo del cioccolato per creare una ricopertura. Siscaldi il cioccolato a bagnomaria utilizzando due recipienti l’uno sopra l’altro: quello inferiorecontiene l’acqua che verrà scaldata mentre il recipiente sovrastante, contenente il cioccolato, èappoggiato ma non tocca direttamente l’acqua. Il vapore scioglie il cioccolato ridotto in

     piccoli pezzi per facilitare la fusione.

    Si supponga che all’improvviso una goccia d’acqua, forse il risultato del vapore condensato,

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    cada nel cioccolato fuso. Entro pochi secondi il cioccolato diventa molto viscoso, comincia arapprendere, appaiono dei grumi, non è più fluido.

    Che cosa è successo? Il cioccolato fuso consiste di una fase grassa continua, il burro di cacao,in cui sono disperse delle particelle solide di cacao insieme a piccolissimi cristalli di zuccheroricoperti di lecitina per migliorarne la dispersione. Lo zucchero è infatti idrofilo, cioè amal’acqua. Tutto il contrario del burro di cacao, un grasso, e delle particelle solide di cacao, che

    invece la rifuggono. Lo zucchero è disperso nel grasso con cristalli troppo piccoli per poterlisentire in bocca.

    Quando poca acqua entra in contatto con il cioccolato fuso questa forma delle piccolegoccioline che non si mescolano con il grasso. Lo zucchero ne viene immediatamente attrattoe si aggrega attorno alle goccioline di acqua. Tuttavia l’acqua è troppo poca per poterdissolvere la grande quantità di zucchero solitamente presente nel cioccolato. Ecco quindi chesi formano dei grumi.

    È esattamente lo stesso fenomeno che possiamo osservare quando una goccia di caffè

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    inavvertitamente cade nella zuccheriera, oppure quando riponiamo un cucchiaino bagnatonello zucchero: si formano dei grumi.

    La poca lecitina presente nel cioccolato ora non è più sufficiente per tenere dispersi questigrumi di zucchero bagnato, che si è ormai separato dal grasso, rendendo inutilizzabile ilcioccolato per gli scopi che si avevano in mente.

    Scaldare ulteriormente sperando che il calore possa sciogliere la massa rappresa. è inutile e sirischierebbe solamente di bruciare il cioccolato. Cosa si può fare? Ritornando all’esempiodella zuccheriera, i grumi si formano solamente quando l’acqua è insufficiente per scioglieretutto lo zucchero presente. Ecco quindi la soluzione che sembra paradossale: poca acqua hacausato il problema, ma aggiungendone ancora possiamo porvi rimedio. Senza scaldareulteriormente si può aggiungere dell’acqua tiepida e mescolare dopo ogni aggiunta. Ben ilcioccolato ritorna fluido.

    L’acqua ora ha sciolto lo zucchero e ha “invertito” l’emulsione: dove prima si aveva delgrasso con disperso lo zucchero, ora si ha una fase continua acquosa, con dello zuccherodisciolto. Ora sono le goccioline di grasso ad essere disperse, sempre con l’aiuto dellalecitina. Purtroppo, avendo aggiunto acqua, non si può più usare il cioccolato per quelle

     preparazioni dove serviva puro. Più il cioccolato è ricco di cacao più contiene grassi e quindi più acqua servirà per creare l’emulsione. Un cioccolato fondente al 70% può richiedere molta più acqua di un cioccolato al 45%.

    Il cioccolato contiene pochissima acqua, minore dell’1.5%. Se si raggiunge il 2%-4% accadeil disastro, come abbiamo visto, e solo dopo aver aggiunto ulteriore acqua, almeno il 20%-

    30% si riesce a rimediare e a ricreare una emulsione. C’è quindi una “zona di pericolo” dovel’acqua è troppo poca per evitare che il cioccolato rapprenda. Questo significa che le ricette

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    che richiedono ingredienti contenenti acqua aggiunti al cioccolato devono prevedere unaquantità di acqua sufficiente (occorre ricordare che anche ingredienti come le uova e il burrocontengono acqua). Più la percentuale di cacao nel cioccolato è alta e più acqua serve. Questospiega perché può succedere che una ricetta che ha sempre funzionato con un cioccolato al45% possa fallire miseramente usando un cioccolato al 70%: l’acqua contenuta non è più

    sufficiente.Una preparazione in cui si usa una percentuale molto elevata di acqua è quella del cioccolatoChantilly.

    Le mousse sono preparazioni soffici, a volte persino spumose, ottenute unendo l’ingredientecaratterizzante il sapore ad uno o più ingredienti montati che ne determinano la consistenza.Spesso è impiegata la panna montata, ma si può far ricorso anche all’albume montato a neve,al tuorlo montato o altro. Nella preparazione tradizionale la panna viene montata e mescolataal cioccolato sciolto, spesso miscelato a dei tuorli d’uovo che, oltre ad arricchirne il sapore,hanno anche una funzione emulsionante, permettendo al burro di cacao contenuto nelcioccolato di mescolarsi con l’acqua contenuta nella panna e permettere al tutto di inglobare

    l’aria. In questa preparazione il gusto del cioccolato fondente è parzialmente modificato dalla presenza della panna e del tuorlo. E’ possibile montare il cioccolato come se fosse pannasenza aggiungere ingredienti che ne alterino il sapore? La panna è una emulsione di grassi – circa il 35%– in acqua. I globuli di grasso sono circondati da una membrana di proteine,fosfolipidi, trigliceridi e colesterolo. Questa membrana mantiene il grasso in soluzione,attraverso le proprietà emulsionanti dei fosfolipidi. Quando montiamo la panna inglobiamoaria, i globuli di grasso di uniscono tra loro, circondando le bollicine d’aria, e formano unaschiuma che intrappola l’aria.

     Nel 1995 il chimico francese Hervè This fu il primo a rendersi conto che anche il cioccolato poteva essere montato: contiene una percentuale consistente di grassi, come la panna, e come

    la panna contiene anche un emulsionante, la lecitina di soia, normalmente aggiunta alcioccolato fondente per miscelare meglio lo zucchero aggiunto. Se aggiungiamo acqua nella proporzione opportuna e raffreddiamo, come per montare la panna, possiamo ottenere unamousse di cioccolato puro. La ricetta proposta prevede di unire 100 grammi di cioccolatofondente al 70% di cacao a 115 grammi di acqua. I grammi di acqua sono calcolati in mododa avere circa il 34% di grasso rispetto all’acqua presente, leggendo la percentuale di grassidalla tabella nutrizionale della confezione della tavoletta.

    Occorre non confondere la percentuale di cacao presente (nel caso in esame il 70%) con la percentuale di grassi (nel caso in esame 39.4%). Quest’ultima può variare da produttore a produttore anche a parità di cacao presente. Quindi per calcolare la quantità di acqua ogni 100grammi di cioccolato si fa il seguente calcolo: grammi di acqua = 39.4·100/34 = 115.8.

    This chiama questa ricetta “Cioccolato Chantilly” perché in Francia Chantilly èsemplicemente panna montata con dello zucchero. In Italia invece con crema Chantilly siintende una miscela 50% panna montata e 50% crema pasticciera. La consistenza è diversa daquella della panna montata: meno morbida e più spalmabile. Si mantiene benissimo infrigorifero anche per qualche giorno.

    Un’altra questione da tenere presente quando si lavora con il cioccolato è l’ordine con cuivengono mescolati gli ingredienti. Per evitare la formazione di grumi bisogna evitare tuttequelle situazioni dove una quantità insufficiente di acqua è a contatto con il cioccolato, anchese questo accade per pochi secondi. Aggiungendo liquidi acquosi al cioccolato è semprenecessario mescolare vigorosamente e aggiungere in fretta i liquidi per raggiungerevelocemente la percentuale minima di “sicurezza” di acqua. La procedura opposta, aggiungereil cioccolato ai liquidi, è da preferire perché evita di trovarsi nella situazione di avere troppa

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     poca acqua. Un’altra soluzione, spesso consigliata da molti pasticceri, è quella di fondere ilcioccolato direttamente nei liquidi acquosi (panna, burro, latte, ecc.) per eliminare alla radiceil problema.

     DefinizioniDi seguito vengono riportate le definizioni adottate nell'Unione Europea:

    • Burro di cacao: la sostanza grassa ottenuta da semi di cacao o da parti di semi di cacao.

    • Cacao in polvere o cacao: il prodotto ottenuto mediante trasformazione in polvere di semi dicacao puliti, decorticati e torrefatti e che presenta un tenore minimo di burro di cacao del 20%(percentuale calcolata sul peso della sostanza secca) e un tenore massimo di acqua del 9%.

    • Cacao magro in polvere o cacao magro: è cacao in polvere con un tenore di burro di cacaoinferiore al 20%.

    • Cioccolato in polvere: un miscuglio di cacao in polvere e zuccheri, contenente non meno del

    32% di cacao in polvere.• Cioccolato comune in polvere o cacao zuccherato: un miscuglio di cacao in polvere ezuccheri, contenente non meno del 25% di cacao in polvere; si aggiunge il termine "magro" seil prodotto sia magro o fortemente sgrassato ai sensi della definizione precedente.

    • Cioccolato: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri che presenta un tenoreminimo di sostanza secca totale di cacao del 35%, di cui non meno del 18% di burro di cacaoe non meno del 14% di cacao secco sgrassato.

    • Cioccolato al latte: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti a basedi latte e che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 25%, di sostanza

    secca del latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 3,5%, digrassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%.

    • Cioccolato comune al latte: il prodotto ottenuto da cacao, zuccheri e da latte o da prodotti a base di latte, che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 20%, disostanza secca del latte del 20%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 5%,e di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%. Il Regno Unito, l'Irlanda e Malta

     possono autorizzare l'uso nel loro territorio del termine milk chocolate  per questo tipo dicioccolato a condizione che tale termine sia accompagnato dall'indicazione del tenore disostanza secca di latte nella forma «sostanza secca di latte: …% minimo».

    • Cioccolato bianco: il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte o prodotti a base di latte e

    zuccheri, e che contiene non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca dellatte; burro o grassi del latte devono essere presenti in quantità pari almeno al 3,5%.

    Processo produttivo

    Gli alberi di cacao iniziano a dar frutti (cabosse) quando hanno tre/cinque anni di età: i frutti(dalla forma allungata ed appuntiti alle due estremità, colore marrone, e lunghezza di 15/20centimetri, con una buccia che a maturazione è dura come il cuoio) si raccolgono due volteall'anno, prima e dopo la stagione delle piogge: il raccolto principale e quello secondario, confrutti di qualità inferiore. Normalmente il raccolto si effettua in periodi che variano molto dianno in anno a seconda delle condizioni climatiche.

    Il frutto del cacao viene aperto con un colpo netto di macete, in grado di fendere il guscio.

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    Dall'interno vengono estratti i semi, solitamente una quarantina (fave di cacao) avvolti in unamucillaggine biancastra composta da zuccheri. L'ammasso viene messo in tinozze di legno,cesti, o avvolto in foglie di banano e messo sotto terra, a seconda delle zone, in modo che si

     possa dare inizio alla fermentazione.

    La fermentazione  è un passaggio fondamentale per produrre quelle sostanze chesuccessivamente, sottoposte alla tostatura, doneranno aroma al cioccolato. Durante lafermentazione si formano acidi ed etanolo. Questo attiva dei microorganismi che trasformanol’etanolo in acido acetico. La temperatura aumenta drasticamente (a 40-50°C), acidi e alcool

     penetrano nel seme, che non germina più e muore. La morte del seme scatena il rilascio dienzimi che decompongono le sue riserve di nutrimento formando zuccheri e acidi, precursoridegli aromi del cioccolato. Si chiamano “precursori” perché in questo stadio non hannoassolutamente l’aroma che associamo al cacao, e in alcuni casi non hanno proprio nessunaroma. Il risultato finale della fermentazione sarà quello di aver eliminato la polpa residua edaver ridotto il sapore amaro ed astringente delle fave, oltre a quello di aver sviluppato gli oliessenziali. Per ottenere una buona fermentazione, le fave vengono ruotate tutti i giorni.

    Attualmente la fase di fermentazione è condotta in armadi, su plance in legno di cedro in stratida circa 80 centimetri che consentono un controllo della temperatura più accurato, con ilrisultato di un prodotto fermentato in maniera più omogenea ed esente da muffe. Dopo un

     periodo che varia dai tre (per alcune varietà di Criollo) ai 5/6 giorni la fermentazione èavvenuta, i batteri e i lieviti hanno iniziato la produzione dei precursori dei 500 aromi presentinel cacao.

    Come ogni frutto contenente umidità, le fave per essere conservate devono subire un procedimento di essiccazione. In alcune nazioni il cacao viene semplicemente steso al sole sugraticci o su speciali "cassettoni" che vengono ritirati all'interno in caso di pioggia. Doveinvece il clima umido non permette l'asciugatura al sole, si utilizzano dei metodi artificiali,impiegando un flusso di aria calda. In caso di tempo favorevole, il processo di essiccazione

    dura diversi giorni, durante i quali i coltivatori mescolano le fave per ottenere un risultatoomogeneo, mentre eliminano gli eventuali corpi estranei o cacao di scarto. Risultato di tale

     processo sono delle fave che hanno perduto la metà circa del loro peso e che sono denominate"cacao verde".

    Le fave vengono poi messe in sacchi di juta e spediti nei centri di distribuzione, dove icompratori si recheranno a controllare il prodotto, testandolo a campione. Lo stoccaggioavviene in condizioni rigide e controllate per evitare che il cacao, che assorbe gli odori comeuna spugna, venga a contatto con delle sostanze sgradevoli.

    Le fave sono quindi spedite nei luoghi di tostatura  dove vengono pulite da eventualiimpurità, miscelate (solo pochi sono i produttori di CRU, ovvero cioccolati derivati da unasola specie di pianta) e tostate a 120-140°C per un periodo che varia da produttore a

     produttore a seconda del risultato finale che si vuole ottenere.  Gli scopi della torrefazionesono diversi: eliminare l’umidità e gli acidi volatili, sterilizzare i semi, ottenere una parzialedecomposizione delle sostanze tanniche, rendere più fragile la cellulosa e le bucce, ed infinesviluppare l’aroma. Una tostatura sbagliata od eccessiva può causare dei problemiirrimediabili al risultato finale conferendo al cacao un’amarezza spiccata che, insiemeall'eccessiva acidità e all'astringenza, rappresenta uno dei difetti del cioccolato.

    Il cacao così tostato passa dentro delle macine che frangono le fave (molitura  ogranellatura) ed eliminano le bucce, ottenendo la granella di cacao, un composto checontiene circa il 54% di burro di cacao ed il 46% di parte "magra", contenente ancora dall'8 al

    26% di burro, detto pannello o torta di cacao (utilizzato per produrre i surrogati di cioccolato,creme da spalmare, prodotti da solubilizzare per bevande, creme per ripieni di cioccolattini o

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    wafer).

    Il passaggio successivo è quello della macinatura del cacao, che in realtà macinatura non è inquanto il cacao durante questa operazione fonde (il burro di cacao fonde a 34°C) in particelleda 100 micron e si ottiene così la cosiddetta "massa" o "pasta di cacao" o "liquore". Questafase è molto importante: le cellule vengono danneggiate e in parte distrutte, ed il grasso

     presente all’interno viene liberato. Questo ricopre parzialmente le particelle solide presenti(cellulosa, amidi e proteine) in modo da dare plasticità e fluidità alla massa di cacao. Nel farquesto è anche aiutato dalla lecitina, un emulsionante, naturalmente presente nel cacao in

     piccole quantità. Più grasso viene liberato e più il liquore di cacao viene fluidificato.

    La massa di cacao viene quindi pressata ad alte pressioni, e parte del burro di cacao vieneseparato dalla polvere di cacao, secca, che quindi contiene meno grasso del cacao di partenza:dal 10% al 20%. Dopo l’eventuale aggiunta di zuccheri viene immesso sul mercato comecacao in polvere.

    A questo punto, per ottenere i vari tipi di cioccolato (fondente, al latte, bianco,…) simescolano in varie proporzioni il liquore di cacao, il burro di cacao, la polvere di cacao, lozucchero e, nel caso del cioccolato al latte, del latte in polvere o condensato. Le ricette diriferimento per il cioccolato sono le seguenti:

    CIOCCOLATO

    FONDENTE CIOCCOLATO AL

    LATTE CIOCCOLATO GIANDUIA 

    Zucchero 54% Zucchero 45% Zucchero 47%Massa di cacao 36% Massa di cacao 15% Massa di cacao 17,5%Burro di cacao 10% Burro di cacao 18% Burro di cacao 9%

    Latte in polvere 22% Latte in polvere 6,5%Pasta di nocciole tostate 20%

    Le suddette ricette vengono completate con lecitina di soia fino ad un massimo consentitodalla legge dello 0.5% e da 0.1% di vanillina (aromatizzante). Ovviamente ogni azienda

     produttrice mette a punto ricette peculiari basate anche sulla qualità del cacao a disposizione.

    La percentuale di cacao espressa in etichetta di una tavoletta di cioccolato è relativa alquantitativo di massa derivante da fave di cacao contenuta nel prodotto. Dunque un 70% dicacao ci dice che ci sono fave di cacao per il 70% della sua composizione, mentre il restante30% della tavoletta è costituito da zucchero e dalla lecitina di soia. Se in etichetta c’è scrittoanche burro di cacao, significa che esso è stato aggiunto per aumentare la scioglievolezza al

     palato. Una tavoletta al latte conterrà oltre a questi due elementi anche del latte in polvere.Una tavoletta di cioccolato bianco, invece, sarà composta esclusivamente da burro di cacao,zucchero e latte in polvere.

    I mescolatori sono disponibili in diverse capacità, per diverse potenzialità produttive. Possonoessere di tipo rotatorio su un piano orizzontale, con pesanti rulli, oppure con due alberiorizzontali a spirali elicoidali contrapposte, oppure ad aspi, e vasca semicilindrica o biconcava(questo tipo è attualmente molto più usato del precedente). Gli alberi sono comandati da unmotoriduttore. Alcuni mescolatori possono lavorare sottovuoto, così da ridurre l’aciditàvolatile e l’umidità ancora presente. Tutti i mescolatori hanno una camicia di riscaldamento etermostatazione: nel caso di cioccolato al latte, si opera intorno a 40°C, mentre con cioccolatofondente si può arrivare anche a 70°C.

    La pasta ottenuta miscelando i vari ingredienti ha ancora un sapore “grezzo”, con punte acide,e di consistenza grossolana. Per affinarlo al meglio deve ancora subire il processo di

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    concaggio, preceduto da una fase di raffinazione, consistente nella riduzione dellagranulometria del prodotto. Il concaggio consiste in un mescolamento continuo del cioccolatoa temperatura controllata che fa si che si ottengano i seguenti risultati:

    -   plastificazione della massa in arrivo dalle raffinatrici, che comporta il graduale passaggio da una fase grumoso - polverulenta, ad una fase fluido - plastica dallecaratteristiche reologiche opportune, in particolare con l’aggiunta di piccole

     percentuali (0.2 - 0.3%) di lecitina di soia, che abbassa la tensione superficiale, equindi la viscosità, del burro di cacao;

    -  deumidificazione e deacidificazione del cioccolato, con l’eliminazione medianteevaporazione dell’umidità residua e delle sostanze volatili con aroma sgradevole(generalmente assimilabili all’acido acetico);

    -  sviluppo del caratteristico aroma, grazie ad alcune reazioni chimiche specifiche(ossidazione di sostanze astringenti), al passaggio nel burro di cacao di sostanzearomatiche e al processo di deacidificazione (di cui sopra);

    completamento della ricetta, con l’aggiunta degli altri ingredienti.Il raggiungimento di tali obiettivi viene ottenuto trasferendo energia al prodotto, mediante unintenso lavoro meccanico di taglio, mescolazione ed impasto. Questa azione deve esserecontrollata per evitare danni al prodotto, legati ad un eccessivo surriscaldamento. Le originidel processo, come si intende oggi, risalgono al 1879, quando il signor Lindt rilevò unnotevole arricchimento di aroma dovuto alla persistente agitazione del cioccolato per lungotempo. Le prime macchine consistevano in vasche longitudinali di granito, dove un rullo,sempre di granito, veniva fatto scorrere sul fondo, con movimento alternativo, per un periododi circa quattro giorni.

    La necessità di ridurre i tempi e di incrementare la produzione ha portato allo sviluppo didiversi tipi di macchine, prima con l’uso di conche rotative, più efficienti e razionali, poi conl’introduzione del concaggio a secco, che ha consentito di ridurre i tempi. Il processo odiernosi sviluppa attraverso le seguenti fasi:

    -  carico,

    -  fase a secco

    -  fase plastica e aggiustamento reologico,

    completamento ricetta, fase liquida e scarico.

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    Il carico  non è una fase fondamentale, ma deve essere eseguito con precisione, purmantenendo una certa velocità di alimentazione dei componenti: il prodotto sotto forma difiocchi polverulenti provenienti dalla raffinazione, viene pesato e trasferito nella concamediante un nastro di alimentazione. Gli altri componenti usualmente aggiunti sono la lecitinaed il grasso.

    La  fase a secco  è quella in cui, nel prodotto in lavorazione, è presenta solo la quantità digrasso minima per provocare l’impasto ed il mantenimento di una struttura zollosa. In questo

     passaggio avvengono le trasformazioni chimico - fisiche che provocano le caratteristichefinali del prodotto. In primo luogo si verificano variazioni della composizione della frazionearomatica: si elimina la maggior aliquota di acqua (si passa da 1 - 1.5% a 0.4 - 0.8% infunzione del tipo di cioccolato e del trattamento), si riduce la quantità delle sostanze volatiliacide (dal 30 al 50% dell’acido acetico presente), si ha la formazione di nuovi compostiaromatici derivati da reazioni che coinvolgono zuccheri semplici ed amminoacidi. Il risultatoè quello di migliorare il taglio aromatico rispetto ad un prodotto non concato.

    L’azione meccanica di mescolamento permette una graduale ed efficace omogeneizzazione

    della massa, per cui il grasso presente viene ridistribuito sulle superfici delle nuove particellecreate dalla precedente raffinazione. Se, quindi. a livello “chimico” si produce un riequilibriodella frazione aromatica globale, a livello fisico si realizza il passaggio da una massa

     pulverulenta ad una massa plastica, omogenea. I due effetti risultano determinanti per lecaratteristiche finali del prodotto. Queste evoluzioni avvengono sostanzialmente grazieall’energia meccanica trasferita al prodotto dall’azione di taglio, che viene in buona misuratrasformata in energia termica.

    La quantità di grasso totale presente nel cioccolato in questa fase deriva sia dal tenore ingrasso della polvere raffinata, sia da eventuali aggiunte effettuate già durante il carico el’inizio del concaggio a secco, necessarie per conferire al prodotto le corrette caratteristiche

    reologiche. Frazionando le aggiunte in piccoli step  in funzione della potenza misurata, è possibile dosare correttamente la quantità di grasso o di lecitina.

    Il concaggio a secco può terminare quando la massa è completamente plastificata, oppuredopo un tempo prefissato, e si passa alla  fase plastica. In questo momento il prodotto haraggiunto una consistenza tale da formare una superficie continua, più o meno liscia,corrispondente al livello del prodotto stesso. Questa trasformazione rende normalmente moltomeno efficace il trasferimento di energia dovuto all’azione meccanica. E’ quindi necessarioaumentare la velocità di rotazione degli organi di mescolazione in modo da mantenere illavoro eseguito a livelli tali da far proseguire la modificazione, ormai soprattutto a livellofisico, delle caratteristiche del prodotto. La viscosità del prodotto, in questa fase, tende adiminuire considerevolmente nel tempo.

    Le conche possono essere dotate di un dispositivo per la variazione continua della velocità dirotazione degli agitatori, in modo da poter seguire la progressiva trasformazione reologica del

     prodotto, mantenendo il livello di energia trasferito alla massa il più possibile costante neltempo. In questo modo è possibile ottenere una riduzione sensibile del tempo di concaggio.

    Al termine della fase plastica, la cui durata può essere “a tempo” o stabilita in funzione dellaviscosità (misurata attraverso valori di potenza), si procede all’aggiunta della partecomplementare dei grassi e degli emulsionanti presenti dalla ricetta, oltre agli eventuali aromi.Può essere prevista una fase di riduzione della temperatura della massa fino a 60-65°C, inmodo da non compromettere l’efficacia dell’emulsionante (in genere lecitina di soia) che atemperature superiori tende a degradarsi. L’uso della lecitina, come emulsionante, riduce laquantità di burro di cacao necessario per la completa lubrificazione dello zucchero. Il suo usorisale agli anni ’30 e tipicamente una parte di lecitina sostituisce 10 parti di grasso. E’

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     particolarmente importante per miscelare bene lo zucchero. Questo infatti non ha affinità peril grasso. Le molecole di lecitina circondano i cristalli di zucchero e permettono al grasso diinglobare lo zucchero più facilmente. La lecitina aumenta la fluidità del cioccolato e permettedi operare un concaggio a temperature inferiori, migliorando lo sviluppo dell'aroma delcioccolato. La lecitina riesce inoltre a ridurre l'effetto di "blooming" (affioramento) del burro

    di cacao.Dopo un periodo di omogeneizzazione finale di circa 1 h, si procede allo scarico dellamacchina, inviando il prodotto ai serbatoi di stoccaggio.

    L’ultimo stadio della lavorazione del cioccolato, la tempera, serve a dare al cioccolatol’aspetto e la consistenza finale che tutti conosciamo: lucido, rigido e quando si spezza lo fa inmodo netto. Il temperaggio serve per ottenere un cioccolato dalle caratteristiche fisiche bendefinite e durevoli nel tempo, grazie alle quali il prodotto possa conservarsi a lungo. Per farquesto è necessaria una cristallizzazione del burro di cacao in cristalli in forma stabile. Il

     burro di cacao ha infatti la caratteristica di solidificarsi in differenti tipi di cristalli. Lo scopodel temperaggio è quello di far solidificare il burro di cacao orientando la cristallizzazione in

    una forma stabile per evitare quindi i cristalli che con il passar del tempo affiorassero conconseguente imbianchimento delle tavolette di cioccolato. Inoltre, con il temperaggio si puòottenere un cioccolato lucido, che si spezza con facilità, si stacca perfettamente dagli stampi,non si scioglie tra le dita, ma lo fa subito a contatto con il palato.

    Lo scopo del temperaggio è quello di arrivare ad ottenere i cristalli di burro di cacaounicamente in forma V. Per fare ciò vengono utilizzati degli scambiatori di calore a superficieraschiata che inizialmente fanno arrivare il cioccolato ad una temperatura di 50°C,successivamente si ha un raffreddamento a 27°C, dove si ottengono cristalli in forma IV e V,ed infine per ottenere tutti cristalli in forma V si ha un innalzamento della temperatura a32°C.

    Il cioccolato liquido sarà poi versato in stampi di acciaio che verranno fatti avanzare su un

    nastro sottoposto a vibrazioni continue con lo scopo di eliminare più possibile le bolle di ariaall'interno della tavoletta, ed infine le forme attraverseranno un tunnel di raffreddamento in

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    cui il cioccolato solidificandosi si contrarrà ottenendo una massa fredda ben lucida e che sistaccherà con facilità dagli stampi.

    Durante la conservazione il principale problema è dato dallo “sugar-bloom”. Come il fat- bloom provoca anch’esso una patina superficiale biancastra. In questo caso però la patinasuperficiale è sabbiosa al tatto ed è dovuta a condensazione di acqua sulla superficie cherichiama lo zucchero dagli strati interni. Quando l’acqua evapora nuovamente il saccarosiotorna alla forma cristallina originando la patina biancastra. Il continuo passaggio da ambienticaldi ad ambienti freddi favorisce lo sugar-bloom.

    Altro problema è costituito dal “fat-bloom”, che potrebbe svilupparsi durante laconservazione. Il fat-bloom consiste nel fatto che il burro di cacao potrebbe fondere durante laconservazione e diffondere verso l’esterno della tavoletta ricristallizzando e causando degliimbiancamenti superficiali. Le cause del fat-bloom sono i lunghi tempi di stoccaggio e glishock termici sopra i 30°C.

     Nelle pagine seguenti sono mostrati uno schema di un impianto completo per la produzione di prodotti colati in cioccolato, il dettaglio della sezione di concaggio e della sezione ditemperaggio, nonché il dettaglio di una apparecchiatura per il temperaggio.

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     Il cioccolato di Modica

    La cittadina di Modica, in Sicilia, è famosa per la produzione del suo particolare cioccolato, probabilmente simile al cioccolato della fine del ‘700 e inizi dell’800. La fase del concaggionon viene eseguita, e lo zucchero viene mescolato ad una temperatura moderata (attorno ai36°C) alla pasta di cacao, senza aggiunte di burro di cacao. Verrà poi modellata a freddo perottenere le forme desiderate. In questo modo i cristalli di zucchero, che non vengonosminuzzati e ricoperti dal burro di cacao, si sentono benissimo in bocca e si vedono ad occhionudo, C’è chi sostiene che saltando la fase del concaggio si mantengono degli aromi chealtrimenti si volatilizzerebbero. Questo in parte è vero, ma è anche vero che il concaggioelimina anche degli aromi indesiderati e diminuisce l’acidità del cioccolato. In più, nondimentichiamoci che le alte temperature che si possono raggiungere nel concaggio possonoanche produrre nuove sostanze aromatiche.

     Reologia del cioccolato

    Il cioccolato richiede una forza minima per essere messo in moto ( yield stress). Diconseguenza si potrebbe ipotizzare che per trattare le proprietà reologiche del cioccolato siasufficiente ricorrere al modello di Bingham, ma l’andamento dello sforzo di taglio in funzionedel gradiente di velocità, dopo il valore di yield stress mostra un andamento curvilineo di tipo

     pseudoplastico, anziché rettilineo come nel caso del modello di Bingham.

    Per questo motivo il modello che rappresenta meglio il comportamento reologico delcioccolato fuso è il modello di Casson che, scritto per un sistema di riferimento  xy in cui ilfluido scorre lungo l’asse x  si presenta nella forma:

    12

    12

    0 1 x

     yx

    dvk k 

    dy

    τ ⎛ ⎞

    = + −⎜ ⎟

    ⎝ ⎠

     

    dove compaiono i due parametri k 0  e k 1, il quadrato del primo corrisponde a τ CA, ovvero ilCasson yield stress, mentre il secondo elevato al quadrato si può indicare come η CA, ovvero laviscosità di Casson. Ovviamente anche in questo caso τ CA  rappresenta il valore limite al disotto del quale il fluido non si mette in moto. Tipici valori di η CA  per il cioccolato sonocompresi tra 1 e 20 Pa·s, mentre si hanno valori compresi tra 10 e 200 Pa per lo yield stress.

    Per alcuni tipi di cioccolato si possono ottenere risultati migliori utilizzando un esponentediverso da 0.5, secondo il modello di Casson generalizzato:

    0 1

    m

    m  x

     yx

    dvk k 

    dyτ 

    ⎛ ⎞

    = + −⎜ ⎟⎝ ⎠ 

    In alcuni casi si sono ottenuti buoni risultati utilizzando valori di m compresi tra 0.6 e 0.7;ovviamente, in questo caso la trattazione analitica del modello diventa più complessa.

    Dal 2001 l’ International Office of Cocoa, Chocolate and Sugar Confectionery suggerì diutilizzare il modello di Windhab:

    ( )0 1 0 *1 exp

     x

     x

     yx

     x

    dv

    dydv

    dy dv

    dy

    τ τ η τ τ  ∞

    ⎧ ⎫⎡ ⎤⎛ ⎞−⎪ ⎪⎢ ⎥⎜ ⎟⎛ ⎞   ⎪ ⎪⎝ ⎠⎢ ⎥= + − + − − −⎨ ⎬⎜ ⎟   ⎢ ⎥⎛ ⎞⎝ ⎠   ⎪ ⎪⎢ ⎥−⎜ ⎟⎪ ⎪⎢ ⎥⎝ ⎠⎣ ⎦⎩ ⎭

     

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      XIV-22

     Nell’espressione compaiono:

    -  il limite di scorrimento 0τ   (quando 0 x

    dv

    dy= ),

    -  lo stress di taglio 1τ  ,

    -  il gradiente di velocità*

     xdv

    dy

    ⎛ ⎞−⎜ ⎟

    ⎝ ⎠ quando ( )* 0 1 0

    11

     yx yxe

    τ τ τ τ τ  ⎛ ⎞= = + − −⎜ ⎟⎝ ⎠

     ,

    -  η ∞  può essere identificata come la viscosità plastica: per x

    dv

    dy→ ∞  si ha che:

    ( )   [ ]{ }0 1 0 11 exp x x yxdv dv

    dy dyτ τ η τ τ τ η  ∞ ∞

    ⎛ ⎞ ⎛ ⎞= + − + − − −∞ = + −⎜ ⎟ ⎜ ⎟

    ⎝ ⎠ ⎝ ⎠ 

    Le proprietà reologiche del cioccolato sono influenzate da vari fattori, come il contenuto digrassi, di emulsionante (ad es. la lecitina) e di umidità, la distribuzione delle dimensioni delle

     particelle solide, la temperatura.

    Al riguardo è noto che la diluizione di una sospensione con il liquido che forma la fasecontinua (nel caso del cioccolato: burro di cacao con o senza burro di latte) riduce la viscosità,mentre entrambi i parametri di Casson (τ CA e η CA) diminuiscono con l’aggiunta di grasso adun cioccolato privo di lecitina.

    Le figure seguenti mostrano l’andamento dei parametri di Casson per due tipi di cioccolato allatte contenenti lo 0.255% di lecitina, uno raffinato contenente il 5.7% di particelle oltre i 20µm di diametro (1) ed un altro piuttosto grezzo contenente il 16% di particelle oltre i 20 µm didiametro (2). Si può notare che il contenuto di grasso ha una maggiore influenza sullecaratteristiche reologiche del cioccolato più raffinato.

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     Influenza della lecitina e di altri emulsionanti

    Piccole quantità di tensioattivi possono produrre una decisa diminuzione della viscosità.L’aggiunta di 0.1-0.3% di lecitina di soia ha lo stesso effetto riducente sulla viscosità di unaumento di dieci volte della quantità di burro di cacao e questo è un fatto di rilevanteimportanza economica. Quando la quantità di lecitina è superiore allo 0.3-0.5% si ottiene unispessimento del cioccolato, dovuto all’aumento di τ CA. L’azione della lecitina è molto debolesu soluzioni di cacao puro e molto più forte quanto si ha la presenza di zucchero e burro dicacao, essendo tale azione principalmente legata all’interazione della lecitina con le particelledi zucchero. Si ritiene infatti che la lecitina aderisca alla superficie dello zucchero

     principalmente nella forma di uno strato monomolecolare.

    Le figure seguenti mostrano l’influenza della lecitina su due tipi di cioccolati fondenti, il primo contenente il 39.5% di grasso e lo 0.8% di acqua (1), mentre il secondo contenente il33.5% di grasso e l’1.1% di acqua (2).

    (2)

    (1)(1)

    (2)

     

    La lecitina di soia è un fosfolipide, ed è l’agente tensioattivo usato per ridurre la viscosità delcioccolato conosciuto da più tempo. Recentemente sono stati sviluppati nuovi agenti perridurre la viscosità del cioccolato, ad es. una lecitina sintetica che ha il vantaggio di essere più

    costante nella composizione e nell’efficienza rispetto a quella naturale, con un aroma piùtenue e neutro.

    (1)

    (2)

    (2)

    (1)

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     Influenza dell’umidità

    L’aggiunta di acqua al cioccolato provoca un marcato aumento della viscosità apparente. Siritiene che si formino strati di melassa attorno alle particelle, provocando un aumentodell’attrito tra di esse. L’influenza sui due parametri di Casson non è comunque chiara.

     Influenza della distribuzione della dimensione delle particelle

    Il cioccolato è una sospensione di particelle di zucchero, cacao e latte all’interno di una fasegrassa. Alla fine della lavorazione, ogni particella solida dovrebbe essere circondata da unsottile strato di grasso, tale da assicurare una buona lubrificazione. La distribuzione delladimensione delle particelle è molto importante: se le particelle sono piccole la loro superficiespecifica è molto grande e, di conseguenza è necessaria una maggiore quantità di grasso perassicurare una buona lubrificazione; al contrario, se le particelle sono grandi, la superficiespecifica è inferiore ed è richiesto meno grasso.

     Normalmente si considera un cioccolato come grossolano se più del 20% delle particelle

    hanno una dimensione maggiore di 20 µm. L’andamento dei parametri di Casson al variaredella presenza di particelle di dimensione maggiore di 20 µm riferito a due cioccolati al latte,il primo contenente il 30% di grasso (1), il secondo contenente il 32% di grasso (2) vieneevidenziato nei grafici seguenti.

    Il parametro τ CA è molto più influenzato rispetto al parametro η CA man mano che il cioccolatodiviene più grossolano. La tensione di soglia è particolarmente elevata perché con particelle didimensione inferiori aumentano gli attriti ed i legami tra di esse. Il parametro di viscosità diCasson presenta un minimo nel suo andamento. In seguito a esperimenti eseguiti susospensioni costitute esclusivamente da zucchero in burro di cacao in un caso, e cacao in

     burro di cacao nell’altro, si è osservato che nel primo caso η CA diminuisce all’aumentare dellagranulometria delle particelle, mentre nel secondo diminuisce. Per questo motivo la viscositàdi Casson ha una scarsa variabilità nel caso del cioccolato che è una combinazione dei due

     precedenti sistemi presi in esame.

     Influenza della temperaturaAll’aumentare della temperatura si osservano due fenomeni sia nel cioccolato al latte che

    (2)

    (1)

    (1)

    (2)

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      XIV-25

    fondente:

    ‐  la viscosità di Casson diminuisce;

    ‐  la tensione di soglia può aumentare, specialmente nel cioccolato privo di lecitina:questo ispessimento può essere ridotto mediante addizione di lecitina, specialmente

    nel caso del cioccolato fondente.Le figure seguenti mostrano l’influenza della temperatura sui parametri di Casson su alcunitipi di cioccolato al latte, il primo con il 34% di grasso, senza lecitina (1), il secondo con il30% di grasso e lo 0.15% di lecitina (2).

    Le figure seguenti mostrano cosa accade in due cioccolati fondenti, il primo contenente il34% di grasso, senza lecitina (1), il secondo con il 30% di grasso e lo 0.15% di lecitina (2).

     Influenza di altri fattori

    Altri fattori influenzano la viscosità, legati soprattutto ai processi di lavorazione delcioccolato. Una delle lavorazioni che influenza maggiormente le proprietà reologiche delcioccolato è il processo del concaggio: infatti all’inizio del concaggio solamente poche

     particelle solide sono ricoperte dal grasso e quindi la viscosità apparente è molto elevata e

    (1)

    (2)(1)

    (2)

    (2)

    (2)(1)

    (2)

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    diminuisce all’avanzare del processo. L’influenza del tempo di concaggio è rilevantesoprattutto per quanto riguarda il parametro di tensione di soglia, che subisce un fortedecremento, specialmente nelle prime ore di concaggio. L’effetto sulla viscosità di Cassonnon è molto chiaro, in quanto dipende dal tipo di apparecchiatura utilizzata per il processo,tanto che può subire sia un incremento che un decremento. Il grafico seguente mostra

    l’andamento della tensione di soglia in funzione del tempo di concaggio di un cioccolato allatte.

     Nel caso di cioccolati molto densi può anche verificarsi il fenomeno della tissotropia. Quandoil cioccolato viene agitato dopo un lungo riposo, la tensione di taglio, molto alta all’inizio,tende a diminuire fino a quando raggiunge un valore stabile dopo un certo intervallo di tempo.

    Anche la vibrazione che il cioccolato può subire nei vari processi può provocare unadiminuzione della viscosità apparente tanto maggiore è l’ampiezza delle vibrazioni. Si ritieneche forti vibrazioni provochino un forte abbassamento fino a quasi un annullamento dellatensione di soglia. Per questo la vibrazione può essere utile per svuotare i serbatoi del

     prodotto, facilitandone lo scorrimento attraverso la via di uscita.