19. disegno e immagine la fotografia come “testimone...

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Ghisi Grütter 19. Disegno e immagine La fotografia come “testimone” della città e del territorio Parte prima Joel Meyerowitz, Truro, Massachusetts, 1976 20 ottobre 2015 Codice ISSN 2420-8442

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Ghisi Grütter

19. Disegno e immagine

La fotografia come “testimone” della città e del territorio

Parte prima

Joel Meyerowitz, Truro, Massachusetts, 1976

20 ottobre 2015 Codice ISSN 2420-8442

Nonostante la quantità di informazioni e notizie in tempo realealle quali abbiamo accesso tramite i media e internet, le imma-gini fotografiche hanno sempre e comunque un notevole impat-to sulla nostra mente. Le foto riescono spesso a conferire unadimensione iconica a fatti e avvenimenti, così le modalità di rap-presentazione riescono a influenzare l’opinione su un evento o suun personaggio. È di pochi giorni fa la foto del piccolo Alan tro-vato senza vita sulla spiaggia turca di Bodrum che ha fatto il girodel mondo e ha commosso più della quantità di immagini dimigrazioni di massa cui stiamo assistendo in questo periodo.Sempre di pochi giorni fa nel corso di una bella intervista al foto-giornalista Paolo Pellegrin - noto Associato della Magnum - aproposito dell’incidenza che una fotografia può avere nella poli-tica mondiale. Così risponde alla domanda “se una foto puòcambiare la storia”: «Io non credo di potere cambiare la testa anessuno, e non è questo il compito che mi sento addosso. lovoglio far parte di un mondo dove le fotografie entrano in un cir-cuito sociale, cariche di informazioni e di emozioni, acquistanonel loro vagare anche una vita propria, possono incontrare per-sone e coscienze e far nascere qualcosa. Una fotografia non èun'ideologia che stravolge le menti, è un seme: se sposta qual-cosa lo fa piano, crescendo dentro chi la guarda. A questocredo ancora, lo dico da fotografo ma anche da lettore, per-ché nessuna fotografia esiste davvero se non incontra unacoscienza che la accoglie e la completa» 1.Diversa quindi la sua posizione da quella di chi fissa con l’obiet-tivo il momento della disgrazia e spettacolarizza il dolore che

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LA FOTOGRAFIA COME “TESTIMONE” DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO

PARTE PRIMA di Ghisi Grütter

Paolo Pellegrin, terremotoin Giappone del 2011

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sicuramente è di grandeimpatto, commuove ma noninduce a pensare né a ragio-nare oltre. Le foto di PaoloPellegrin sono spesso scatta-te un attimo prima o un atti-mo dopo l’evento, come unfotogramma estratto da unfilmato che chiede a chiosserva di ricostruire la storiae di rifletterci sopra.Ciò che qui interessa pren-dere in esame è la fotocome testimone di realtàurbane e territoriali. Fin dallasua nascita la fotografia harappresentato la città e testi-moniato il suo mutare.Analogamente a quanto

accade con gli avvenimenti e le persone, gli scatti possono cam-biare notevolmente la percezione degli spazi urbani e della mani-festazione dei fenomeni a essi correlati, particolarmente nei sog-getti che non li conoscono direttamente. La fotografia paesaggi-stica e quella di architettura, sono branche specializzate che for-niscono una testimonianza diretta quanto mirata del paesaggiourbano contemporaneo. A tale proposito grande rilevanzahanno alcuni fotografi particolari come ad esempio GabrieleBasilico, con un background da architetto, che ha documentatogli stravolgimenti operati dalla guerra civile libanese su Beirut neglianni tra il 1975 e il 1990.2 Un altro fondamentale contributo vieneda Eugène Atget che ha ripreso gli imponenti lavori di documen-tazione della città di Parigi,3 tra la fine del ‘800 e inizio del ’900.

Oltre a questi casi esistetutto un mondo di fotografieche hanno altri soggetti ealtre finalità espressive, mache indirettamente forni-scono un’immagine parti-colare e fortemente inter-pretativa della città e deisuoi fenomeni. Ciò avvieneanche attraverso la fotogra-fia amatoriale e occasiona-le, fenomeno in costantesviluppo grazie alle attualitecnologie e alla grandediffusione di massa di mezzifotografici e dei social net??

Paolo Pellegrin: sopra dopol’uragano Katrina del 2005, sotto una fotografiadella serie “DesperateCrossing” in “New YorkTimes” Magazine interactive,3 settembre 2015

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works. Altre volte la fotografia dei paesaggi urbani (e dei soggettiche in essi vivono) ha le caratteristiche di una rappresentazioneindiretta e tuttavia manifesta delle finalità ben dichiarate di forni-re un’immagine precisa, come ad esempio i reportages di denun-cia di Walker Evans negli Stati Uniti per conto della Farm Security

Administration, durante la crisi economica degli anni Venti.4 Inquesti casi, oltre alla sensibilità e consapevolezza dell’occhio die-tro all’apparecchio, fondamentale importanza hanno la tecnicae la tecnologia, poiché la padronanza della macchina fotografi-ca (sia essa digitale o analogica, professionale o usa e getta) èfondamentale per raggiungere precisi obiettivi espressivi. Si vogliono prendere in esame alcuni grandi fotografi attuali comeprima campionatura (è l’inizio di una ricerca nella quale sonoattualmente impegnata come responsabile scientifico) per analiz-zare come abbiano rappresentato il concetto di città e di territo-rio (nelle varie declina-ioni di ambiente e dipaesaggio), e in chemodo e in quale misu-ra la tecnica e la sensi-bilità del fotografoinfluiscano sul risultatodell’immagine, sia essomirato o inconsapevo-le.

Gregory Crewdson èun artista rinomato perle foto che rappresen-tano la vita americananelle piccole città. Lasua ricerca scava afondo nella vita comu-ne e familiare fino atrovare immagini chesono ossessionanti, sur-reali e spaventose.Crewdson per scattarele foto allestisce set

cinematografici anchese ciò che realizza è unsolo fotogramma.Naturalmente questotipo di lavoro richiedel'intervento di una cor-posa troupe formatada assistenti, tecnici,

Gregory Crewdson, foto-grafie Untitled scattate tra

il 1998 e il 2001

truccatori, addetti alle luci,comparse e montatori perla post-produzione. L'usodella luce è scenografico:quasi sempre al crepuscolo,fende lo spazio conferendodrammaticità alla scena. Lesue fotografie sembrano dei“fermo-immagine” ad altarisoluzione tratti da film.Crewdson ha indicato tra gliartisti cui s’ispira, DavidLynch, in particolare il filmBlue velvet. Costruite secon-do una attenta composizio-ne e fissate in un’atmosferaal contempo densa e rare-fatta, le immagini di Gregory

Crewdson sono slegate da un particolare contesto e solo la libe-ra interpretazione dell’osservatore può tentare di ricostruirel’evento che le connota. Le scene, ambientate nella provinciastatunitense, sono cariche di un’atmosfera inquietante e oniricae sembrano impersonare le paure e i fantasmi dell’inconscioamericano. Le fotografie di Crewdson rivelano infatti il lato inombra dell’American dream che da sogno diventa incubo: alposto della scalata al successo e dell’ascesa sociale, una disce-sa negli inferi dell’animo umano, nel vuoto e nella solitudine. Glieroi di Crewdson sono figure isolate, che nella loro iconicità sicaricano di valore simbolico. «Le opere di Crewdson sono tutta-via il risultato di complessi montaggi digitali. La perfetta messa afuoco di tutti gli elementi e dei diversi piani spaziali è ottenuta

attraverso l’assemblaggio diporzioni di immagini diverse,dotate di specifiche messea fuoco. L’identica profondi-tà estesa a tutto il campofigurativo conferisce ugualerilevanza ed evidenza atutte le diverse parti dellascena, producendo uneffetto di iperrealtà e di“ipervisività”: ogni singolodettaglio presente nell’im-magine è colto nitidamentecome se fosse un’opera pit-torica. Pur basando il propriolavoro su queste contamina-zioni di generi, possiamo direche Crewdson è un fotogra-

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Gregory Crewdson, fotogra-fie Untitled scattate tra il1998 e il 2001

5fo nel senso letterale del termine, laddove “foto-grafia” significa“disegnare con la luce”, che possiamo considerare come l’evi-dente protagonista del suo mondo visivo. È così che egli riescead alterare e manipolare l’atmosfera di banali luoghi della vitaquotidiana o di cittàdella provincia ameri-cana aprendo anuove visioni chevanno al di là di ciòche vediamo e chesono caricate di inedi-ti e profondi valori psi-cologici e concettua-li».5

La piccola città diven-ta il sogno Americanorealizzato, ma cosac’è dietro? Scaviamodentro le solitudini,così come fa EdwardHopper nei suoi qua-dri, e troviamo dellesituazioni strane e per-sone border-line. Sonofotografie che denunciano una situazionealienante e alienata.

Olivo Barbieri è interessato alla forma dellacittà. Al MAXXI di Roma una mostra di foto-grafie illustra il percorso artistico del fotogra-fo dalla fine degli anni Settanta a oggi; visono anche dei filmati che sottolineano lasua costante attenzione al tema delleattuali realtà urbane e, nelle foto, il temadella percezione, della capacità di vederee interpretare la realtà. Mediante la tecni-ca del “fuoco selettivo” Barbieri trasformauna foto oggettiva in un’immagine sogget-tiva, talvolta facendo coesistere il negativoe il positivo. Oggi Barbieri va nelle grandicittà, sia in oriente sia in occidente; filma escatta dopo aver volato in elicottero pertutta l’area metropolitana, ma più che rac-contare il fenomeno urbano ne fissa i puntiirreali. Ma l’attenzione di Barbieri ventennericade sull’egemonia delle icone della cul-tura americana. Tra le sue foto dell’epocala serie Flippers 1977/78, frammenti ritrovati

Olivo Barbieri,Sabbioneta,Mantova, 1982 e

sotto Flippers 1977/78

in una fabbrica rappresentati come reperti del moderno. Infatti,la difformità tra mondo reale e la sua rappresentazione neimedia, è un elemento che Olivo Barbieri percepisce fin da gio-vane. Tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta riprende la pro-vincia italiana, le periferie, il paesaggio “minore, ciò che all’epo-ca sembrava irrilevante. Lo sguardo sul paesaggio reale e la suarappresentazione, il superamento del luogo comune e dello ste-reotipo sono temi su cui - nello stesso momento - s’interroganodiversi fotografi: Basilico, Cresci, Jodice, Guidi, Barbieri, Fossatiche, assieme ad altri, si riuniranno attorno alla figura di Luigi Ghirri

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Olivo Barbieri sopra fotografaCanton, China, 1998sotto Osaka nel 1992 eLinYi, China, 2001 daNotSoFarEast 2001

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Olivo Barbieri, sitespecific:

Houston e LasVegas

per il progetto Viaggio in Italia del1984), un’esperienza estrema-mente significativa per la fotografia italiana e per l’idea stessa dipaesaggio. Le fotografie di quegli anni restituiscono l'atmosferaquieta e familiare di quei luoghi: ritraggono un ambiente appa-rentemente immutabile che si avviava inconsapevole verso letrasformazioni della globalizzazione.

Joel Meyerowitz è nato a New York nel 1938 ed è stato uno deiprimi fotografi a utilizzare pellicole a colori. Ha iniziato a fotogra-fare negli anni Sessanta ispirato dalle fotografie di Robert Frank,e dopo aver lavorato come come art director. All’epoca c’eraancora molta diffidenza nei confronti del colore in fotografia,nonostante fosse comparso già nella seconda metàdell’Ottocento: le difficoltà tecniche, i costi alti e l’abitudine ascattare in bianco e nero avevano abituato la visione alla scaladi grigi. Meyerowitz intuì subito la potenza comunicativa deicolori e trasformò il colore in linguaggio. Ha collaborato condiversi importanti autori – come Garry Winogrand, Tony Ray-Jones, Lee Friedlander, Tod Papageorge e Diane Arbus – e tenu-

Olivio Barbieri fotografa Pisa, sotto Joel Meyerowitz, RedInterior, Provincetown,Massachusetts 1977 e Ground Zero New York, 2001

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I “non-luoghi” fotografatida Joel Meyerowitz,

sotto Dairyland,Provincetown

1976

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to corsi di fotografia. La macchina fotografica 35 mm gli hapermesso di attraversare varie città, in particolare New York, edi comportarsi come un vero e proprio street photographer

registrando eventi casuali, dettagli minimi e rivelatori, volti e

Joel Meyerowitz LosAngeles Airport,California1976,sotto New York

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paesaggi urbani. Meyerowitz si è avvicinato poi al grande formatofino ad arrivare all’importante lavoro dopo l’11 settembre 2001. Luil’unico autorizzato a fotografare da vicino Ground Zero subito dopogli attentati. Molte di queste fotografie sono state raccolte nel libroAftermath: World Trade Center Archive.

Gli oggetti delle sue foto sembrano essere quelli che hanno ispiranomolti film di Wim Wenders girati negli Stati Uniti. Meyerowitz può esse-re considerato un fotografo di "luoghi". Ogni "luogo" per lui racchiu-de una storia che una volta è accaduta o che accadrà e cheattende solo di essere narrata. I "luoghi" da lui osservati sono spessoreliquie del presente o rovine del nostro tempo come i drive-in

abbandonati che non custodiscono memoria, né portano tradizio-ne, talvolta non hanno ancora accumulato tempo, o sono rovine findalla nascita, come le stazioni di servizio vicino alle highways, i motel(shed decorati li chiamava Robert Venturi) vicino al mare o la follametropolitana (così come descritta da Leonard Cohen nella canzo-ne Please don’t pass me by). Perfino la New York post 11 settembrediventa per Meyerowitz un non-luogo.

Joel Meyerowitz e lo sky-line di New York

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Luigi Ghirri nasce aScandiano in provin-cia di Reggio Emilianel 1943. Oltre aessere uno dei mae-stri italiani piùinfluenti è stato unteorico, un docente,un curatore, un edi-tore e un critico.Oltre alla ricerca delrapporto traambiente e uomo,elabora una rappre-sentazione di unItalia “magica” inbilico tra realtà e fin-zione. Un paio digiorni fa un mio

amico ed esimio collega affermava che Ghirri “era più pittoreche fotografo”. Mi sembra una bella osservazione che fa riflette-re sulla poeticità delle sue foto. Le città che fotografa spessosono lette da un dettaglio, l’individualità e specificità di un luogoè spesso relegata a un particolare, o a un determinato colore oa una luce specifica. Negli anni ’60 il fermento culturale dellaprovincia emiliana, la ripresa economica e il clima del dopo-guerra, sono tutti elementi autorevoli che accompagnano lo svi-luppo della personalità di Luigi Ghirri fortemente curiosa e sensi-bile ai mutamenti. Lo stretto legame con i luoghi e le situazionirappresentato da registi come Fellini, Antonioni e Zavattini, loinfluenzano e lo spingeranno, più tardi, a lasciare la sua profes-

sione di geometraper ampliare la pro-pria visione delmondo. Affermeràpiù tardi «Il lavoro di

geometra mi aveva

insegnato molte

cose sullo spazio, il

paesaggio, la

costruzione pietra su

pietra d’un ambien-

te a partire da un

progetto. Il progetto

è un dato che per-

mette di strutturare il

lavoro d’un indivi-

duo. E’ necessario

avere un progetto

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Luighi Ghirri, Argine AgostaComacchio del 1989,sotto Marina di Ravenna, del1986, dalla serie Paesaggioitaliano

sia per la costruzione di una casa

quanto e soprattutto per la realiz-

zazione di un’opera d’arte (…)

Soltanto all’interno di questo è

consentito il rischio e la libertà del

gesto».Contemporaneamente alla for-mazione tecnica, Ghirri sviluppala passione per la lettura, per lamusica, per la storia dell’arte, eaffina il gusto per l’objet trouvé

approdando alla fotografiacome strumento per guardaredentro e oltre le cose. Mediantecampionatura e alle voltemediante la “messa in sequenza”di superfici o dettagli del costruito– muri, porte, finestre o serrande –analizza la ripetitività caratteristi-ca della la cultura contempora-nea.Frequenta gli artisti concettualimodenesi, ma contemporanea-mente è attento allo scenariointernazionale dell’arte contem-poranea. Ama e studia fotograficome Eugène Atget, AugustSander, Walker Evans, RobertFrank, Lee Freedlander o WilliamEggleston, che lo portano a concepire il lavoro fotograficocome progetto di ricerca espressiva, dove ogni immagine simisura sul piano dei suoi stessi contenuti. Ghirri spesso costruiscele sue immagini con oggetti trovati in strada sviluppando cosìuna prima ricerca cui dà il titolo Paesaggi di cartone. Il fotogra-fo reggiano pone al centro della sua ricerca “il guardare”, ossiala capacità razionale ed emotiva di decifrare i dati raccoltiattraverso la percezione, trasformandoli in pensiero visivo. Nellamaggior parte dei casi il suo universo di stimoli è l’anonima peri-feria dietro casa, il paesaggio a lui più familiare. Colazione sul-

l’erba è un suo lavoro di ricerca sul rapporto tra natura e artificioattraverso i giardini condominiali e le villette unifamiliari dellaperiferia. Alla fine degli anni ’70 inizia un nuovo percorso con laserie Still-Life. Negli anni conosce e frequenta architetti, urbanisti, filosofi, con-vinti dell’istanza di una nuova iconografia del paesaggio italia-no, e con attenzione crescente agli spazi dell’habitat contem-poraneo, caratterizzato da un miscuglio di tradizione e moderni-tà. Il famoso libro di Christian Norberg-Schulz pubblicato nel 1979da Electa con il titolo Genius loci. Paesaggio Ambiente

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Luigi Ghirri, Roncocesi 1992

Architettura, lo spinge a occuparsi e ricercare sempre più lo“spirito del luogo e il senso dell’abitare. La sua ricerca sul temadell’architettura e del paesaggio diventa sempre più intensa eaffronta sempre nuovi punti di approfondimento. Lo studio dellaluce e del colore diventano elementi costitutivi essenziali nellalettura e nell’interpretazione di quei luoghi, proponendosi come

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Luighi Ghirri: sopra Parigidel 1972, sotto Tellaro del1982/85.

esito di un’attenzione particolare. Porta avanti due lavori che glipermettono di approfondire la sua ricerca introspettiva: uno dedi-cato alla natura morta (il suo rapporto con Giorgio Morandi) e l’al-tro alle “case sparse”, le case isolate che punteggiano l’orizzontedella pianura padana. L’ultima immagine rimasta impressa sulla suapellicola è un’immagine di nebbia nella campagna.6 Muoreimprovvisamente a Roncocesi nel febbraio del 1992.Vorrei chiudere qui questa prima parte di campionatura di fotogra-fi, scelti prevalentemente per opportunità (mostre viste recente-mente) e/o seguendo un gusto personale rimandando le conclusio-ni a ricerca conclusa.

Note1 Quando una foto cambia la storia, intervista di Michele Smargiassi in “La dome-nica cult di Repubblica”, 27 settembre 2015.2 Beirut 1991, Baldini Castoldi Dalai editore, Ottobre 2003.3 Eugène Atget, Paris 1898-1924, Frits Gierstberg, Carlos Gollonet, FrancoiseReynaud, Guillaume Le Gall, Geoff Dyer, Thomas Michael Gunther, Anne Cartier-Bresson, Marsha Sirven, T.F. Editores, S.L.C. , Dicembre 2011.4 Walker Evans, Maria Morris Hambourg, Jeff Rosenheim, Douglas Eklund, MiaFineman, editore Princeton University Press - The Metropolitan Museum of Art, 2000.5 “Realtà manipolate, come le immagini ridefiniscono il mondo”, mostra dal25.09.2009 al 17.01.2010 nel sitohttp://www.strozzina.org/manipulatingreality/crewdson.php#content:cfr. Elena Re, It’s beautiful here, isn’t it… a cura di Melissa Harris e Paola Ghirri,Aperture 2008.

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Luighi Ghirri,Scandiano in pro-

vincia di ReggioEmilia del 1971