20 di passioni

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20 di passioni Racconti di Pulsatilla Illustrazioni di Carlo Stanga

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eBay festeggia il suo ventesimo compleanno con "20 anni di passioni” un libro per raccontare 20 anni di successi attraverso le storie ispirate alle esperienze di 20 utenti italiani. Un tributo a tutte le persone che hanno contribuito a scrivere la storia di eBay. #eBay20

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20 di passioni

Racconti di PulsatillaIllustrazioni di Carlo Stanga

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INDICE CHIEDI ALLA POLVERE5

SPICCARE IL VOLO25

PADRE ROBIOLA7

UN PEZZETTO DI MARE27

IL REGALO CHE NON HAI CHIESTO9

MIO PAPÀ29

COSE CHE RESTANO UGUALI11

LASCIARE ANDARE31

IL GRANDE MAZINGER13

LA MOGLIE IN VACANZA33

FORMICHE AFRICANE15

VIVERE DI GUSTO37

LA TRAMA DELLA VITA17

L’ODORE DELLA CARTA39

L’AMORE LIBERA19

ALLEGRIA ALL’ASTA41

MEMORIE ROSA21

STRADE INCROCIATE43

BUFALI NEL GARAGE23

SAMBA45

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Prima di iniziare a usare eBay non avevo mai comprato niente online. Nemmeno un paio di scarpe, nemmeno una canzone. Nella mia vita non ho mai scaricato un film pirata, se è per questo; e non perché sia dotata di qualche levatura morale, ma perché l’idea di fare una cosa diversamente da come l’ho sempre fatta mi spaventa. Ho recepito come traumatico anche l’arrivo delle macchinette in stazione: interagire con il bigliettaio pelato dietro la tapparellina mi dava un senso di sicurezza. Fondamentalmente, ho una mente reazionaria. Se penso alla parola «videogiochi», la prima cosa che mi viene in mente è mettermi in macchina e farmi 15 chilometri sull’Ardeatina per andare a prenderli nel primo negozio in cui nella vita ho comprato videogiochi, perché per me i videogiochi si comprano soltanto lì. Questo vale anche per «pannolini», «orologio», «lavatrice» e qualsiasi altra categoria merceologica. Più che reazionaria, sono pazza. Non sono neanche sui social network, quindi sono reazionaria, pazza e antisociale. Insomma, l’ultima al mondo a cui affidare un lavoro

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per il ventennale di eBay. La cosa buona è che mi piacciono le persone. E mi piace scrivere di loro. Perciò inventare venti racconti partendo dalle vicende degli utenti eBay mi è sembrata una proposta irresistibile e l’ho accettata per questo motivo. Prima di iniziare il lavoro mi sono aperta un account anch’io. Adesso ho la fissa opposta, vedo roba da vendere praticamente ovunque. Mentre il mio ragazzo mangia, gli levo il piatto da sotto il mento dicendo «Aspetta, forse questo lo possiamo vendere su eBay». Praticamente ho imparato a convertire la mia nevrosi secolare - buttare - in contocorrente. Quello che ho comprato lo scoprirete in fondo al libro, nell’ultimo racconto. Gli altri diciannove sono ispirati agli acquisti e alle vendite di altrettanti utenti scelti fra i 157 milioni che compongono questa eclettica e colorata comunità. Una comunità nata quasi per caso, nel 1995, quando un programmatore decise di dare una seconda vita al suo puntatore laser rotto sviluppando una piattaforma dove vendere oggetti per comprarne altri. Un’idea semplice. Dopo quel puntatore sono stati venduti su eBay centinaia di milioni di altri articoli. Di qualsiasi tipo. A oggi sono per lo più oggetti nuovi. Ma ce ne sono anche di usati, di rari, di assolutamente introvabili. Provengono dai quattro angoli del pianeta, si acquistano in pochi minuti e arrivano direttamente sul pianerottolo, senza dover attraversare l’Ardeatina, l’Italia e neppure l’oceano. Alcuni abitanti di questa comunità, come avrete modo di scoprire, hanno storie straordinarie. Altri hanno storie qualsiasi, che però raccontate da loro mi sono sembrate incredibili. Sono storie vere, sempre nei limiti in cui può essere vero un testo maneggiato da uno scrittore (mai del tutto vero, cioè). Di vero c’è sicuramente che queste persone hanno un nome, una passione per un certo tipo di oggetti, un’inclinazione per un certo tipo di esperienze, o una vocazione per un certo tipo di causa. Sono, soprattutto, persone che hanno dedicato parte del loro tempo per parlarmi di sé, e questa è la cosa più vera di tutte. Vera quanto il bigliettaio pelato che alzava la tapparellina e mi allungava un biglietto ferroviario lungo come un lenzuolo. Vera così. Verissima, quindi. Del tempo messo a disposizione, e della verità che hanno condiviso, più di ogni altra cosa li ringrazio.

Pulsatilla

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CHIEDIALLAPOLVERE

QUESTO RACCONTO È ISPIRATO ALLA STORIA DI UN UTENTE EBAY

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Mi chiamo Tommy, come l’album degli Who, la prima opera rock della storia. Trama: Tommy è un bambino nato alla fine della prima guerra mondiale che assiste all’omicidio dell’amante della madre da parte del padre; da allora rimane sordo, muto e cieco. Come ciliegina sulla torta subisce

violenze da parte dello zio e atti di bullismo da parte del cugino. Una persona dotata di buon senso non chiamerebbe il figlio Tommy, ma negli anni ‘70, si sa, il buon senso non era il piatto forte della casa. Il piatto forte era il rock, e Tommy è una grande opera rock. Dunque mi chiamarono così. Con un nome che non aveva nessuno. Essere diverso è sempre stata la mia croce e la mia specificità. A sei anni, ad esempio, mi sono innamorato degli aspirapolvere. Dev’essere stato quel videoclip che mandavano in televisione che plasmò il mio senso dell’umorismo e la mia estetica. Freddy Mercury aveva gli orecchini a pendaglio e una cofana di capelli come la casalinga frustrata di una soap opera anni ‘60. E passava un aspirapolvere. Poi ballava a torso nudo e libero si lanciava a petto di colombo con addosso una tutina muccata. Sembrava nuovo, molto più eversivo del rock cupo dei miei genitori e di quella gabbia grigia e opprimente che stava sulla copertina di Tommy. «I want to break free», cantava Freddy Mercury. Voglio essere libero. Dev’essere per questo che ho sviluppato una vocazione per il pop, per i colori e per gli aspirapolvere. Soprattutto quelli d’epoca, con le linee aerodinamiche, le cromature sgargianti, l’intenzione estetica così decisa e stravagante. Così pop. Una collezione di aspirapolvere suscita sempre più stupore di una raccolta di francobolli, di monete o di riviste. Ma ormai ho fatto pace con l’idea di stupire, la considero una risorsa e ne ho fatto anche un lavoro. Sono un interior designer e mi sono specializzato in vendita di arredi e opere del XX secolo. La mia raccolta di aspirapolvere, che ho iniziato nel 1986 con l’affettuosa compiacenza dei genitori rocchettari, conta ormai più di 350 pezzi, che conservo religiosamente in un capannone dove amo passare molte ore del mio tempo libero. I primi esemplari mi sono stati donati, gli altri li ho setacciati da rigattieri o nei negozi dell’usato, sempre scontrandomi con l’incuria e la scarsa reperibilità a cui questi oggetti sembravano condannati. Con l’arrivo di Internet la collezione ha spiccato il volo. L’ho arricchita di apparecchi in perfetto stato provenienti da tutto il mondo, a volte introvabili. È l’emozione di riuscire a fare un buon affare, o di trovare un modello a cui sono affezionato in condizioni migliori di quello che possiedo. Ogni volta che apro un pacco contenente un aspirapolvere per me è Natale, e da quando c’è eBay è Natale molto spesso. Internet ha rappresentato più di tutto l’uscita da un isolamento: la scoperta che non siamo sperduti, ma che ci sono migliaia di persone come noi, che condividono le nostre stesse passioni, che convivono ogni giorno con la loro, a volte faticosa, unicità.

20 DI PASSIONI 5 CHIEDI ALLA POLVERE

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ROBIOLAPADRE

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Ok, lo ammetto: prima di diventare padre non sapevo niente di bambini. Addirittura pensavo - questo è l’aneddoto preferito di mia moglie - che i bambini, appena nati, già gattonassero (come ama dire lei: «Si aspettava che uscendo dall’ospedale nostro figlio fosse in grado di tornare a casa

sulle sue gambe»: e tutti ridono). Sono diventato padre due settimane dopo il parto, il giorno in cui mia moglie per la prima volta è scesa in farmacia a comprare le coppette. Avevo in braccio questo fagotto a cui cascava il collo, che non appena la mamma uscì di casa mi vomitò una chiazza di caglio sull’avambraccio e iniziò a gridare come un velociraptor. Giravo avanti e indietro per il soggiorno senza capire quale fosse il problema: fame, sete, caldo, freddo, sonno, coliche, voglia di ciuccio o generica disarmonia esistenziale. Fatto sta che quando mia moglie rincasò ci trovò entrambi madidi, paonazzi e completamente stremati. Cosa più grave, suo marito puzzava di robiola andata a male. Inutile dire che le bastò snudare una mammella perché nella nostra casa tornasse a regnare la pace. La totale perifericità del mio ruolo era estesa anche al funzionamento di quella galassia di accessori enigmatici che ruotavano attorno al bebè. Il «trio» - l’infernale ensemble carrozzino-passeggino-ovetto al cui donatore (mia cognata) mandavo vibranti maledizioni - mi condusse più volte sull’orlo di chiamare la ditta per ventilare una querela. Quella specie di SUV chiamato passeggino non entrava in nessun ascensore. Il montaggio del tiralatte prevedeva un dottorato in fisica delle particelle che mia moglie aveva evidentemente conseguito a mia insaputa. Con lodevole sistematicità tornavo sempre a casa con un tipo di pannolino diverso da quello che mi era stato ordinato, e per punizione (autoinflitta) passavo ore sul fasciatoio a cercare di capire se l’ippopotamo andava avanti o dietro. Per mesi io e mia moglie abbiamo fatto i turni su tutto: per mangiare, per dormire e perfino per lavarci. L’unico indizio di aver mai avuto un’intimità coniugale era dato dal fatto che avevamo una figlia insieme; per il resto, facevamo la vita romantica di due spaccalegna ai lavori forzati. In confronto al primo, il secondo figlio fu una scampagnata. Frullavo pappe di miglio con la mano sinistra mentre con la destra facevo una torre di Lego mentre col piede spingevo nel freezer vasetti di minestrone, il tutto dando telefonicamente ragione a mia suocera su scottanti temi di puericultura. Quando nel 2013 mia moglie pensò di arrotondare le entrate aprendosi un’attività dedicata alla prima infanzia, avevo abbastanza know-how in fatto di nani da poter diventare capitano d’industria. E infatti così è stato. Da allora mi occupo con lei (non necessariamente a turno) della vendita online di prodotti per bambini: abbigliamento, giocattoli in legno, detergenti ecologici, pannolini lavabili e biodegradabili. Da quando ho perso il lavoro - cosa che tutto sommato non mi dispiace -, questa è diventata la mia attività a tempo pieno: dare ai papà gli strumenti più semplici, versatili e accessibili con cui affrontare il mare aperto della paternità. Giorno dopo giorno, grazie a eBay i fatturati crescono. Crescono a vista d’occhio. Per fortuna. E anche i nostri figli.

20 DI PASSIONI 7 PADRE ROBIOLA

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CHIESTO

ILHAI CHENON

REGALO

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Ho scoperto di essere incinta nel gennaio del 2010, nel bagno di casa. Non potevo credere ai miei occhi: le lineette del test di gravidanza schizzarono su in un lampo. Io e il mio compagno avevamo aspettato questo momento per una vita, eravamo letteralmente al settimo cielo. Nel secondo trimestre, durante una visita di controllo, quando ormai già sapevamo di aspettare

una bambina, pensai di mostrare alla mia ginecologa un nodulo sul seno che avevo notato qualche sera prima, mentre mi spalmavo l’olio per le smagliature. Immaginavo che fosse uno dei tanti cambiamenti che il mio corpo stava attraversando. La dottoressa sbiancò. Mi consigliò di consultare immediatamente un suo collega oncologo. Ovviamente telefonammo subito, spiegammo la situazione e ottenemmo un appuntamento per il giorno dopo. Il medico ritenne che la situazione fosse piuttosto grave e ordinò una biopsia. Il risultato arrivò qualche giorno dopo come una doccia scozzese: carcinoma triplo alla mammella. Fu un colpo. Mi dissero che avevo la facoltà di interrompere la gravidanza per sottopormi alla chemioterapia, ma il pensiero di farmi strappare mia figlia dal grembo nemmeno mi sfiorò. Dopo ore di disperazione assoluta, uno specialista molto preparato e sensibile mi disse di non scoraggiarmi: era stato messo a punto un metodo dolce, chiamato «induzione continua», che mi avrebbe garantito alte probabilità di guarigione senza compromettere la salute della bambina. Per prima cosa mi sottopose a un tempestivo intervento di chirurgia per asportare le cellule malate. Grazie al cielo andò bene. Dopo l’operazione iniziai il primo ciclo di antitumorali con questo dispositivo sottocutaneo che mandava in circolo i farmaci a ciclo continuo e a velocità costante. La somministrazione a rilascio continuo aumentava l’efficacia della terapia e riduceva gli effetti collaterali a carico del feto. E potevo farla da casa. Dopo due cicli, la bambina è stata fatta nascere pre-termine in modo che io potessi continuare le cure da sola. Separarmi da lei è stata durissima. L’abbiamo chiamata Ninfa, perché era piccola, candida e bellissima. Come tutti i bambini prematuri, anche Ninfa ha avuto bisogno di attenzioni particolari per respirare, nutrirsi e termoregolarsi, ma stava bene; dopo un paio di settimane era già a casa con noi. Ho continuato a fare altri cinque cicli di farmaci antitumorali e un ciclo di radioterapia. Adesso faccio i miei controlli di routine. E stiamo tutti bene. Ci piacerebbe avere un altro bambino: i medici mi hanno detto che potrei anche allattarlo dal seno. Ninfa ha cinque anni, è vivace, spigliata e radiosa. Siccome ama molto le Barbie, a gennaio le abbiamo comprato un giocattolo speciale: uno dei dieci esemplari al mondo di una Barbie da collezione che Luisaviaroma.com ha messo all’asta su eBay. I proventi della vendita sono stati donati ad Anastacia Fund, la fondazione istituita da Anastacia per sostenere la ricerca della Breast Cancer Research Fundation. Luisaviaroma è un prestigioso negozio fiorentino di moda e design: infatti la nostra Barbie è una bambola raffinatissima, tutta vestita d’oro, con il ventaglio, lo strascico e i fiori nei capelli, ispirata ai disegni dell’artista Hiroyuki Kikuchi. Il mio compagno proponeva di tenerla nella scatola e lasciarla sullo scaffale, perché Ninfa è ancora piccola e potrebbe rovinarla. Ma io credo che la vita è una e vada vissuta, non possiamo lasciare quello che ci piace a prendere polvere su uno scaffale. Preferisco che Ninfa ci giochi. Che ci giochi adesso, perché è adesso che le piacciono le Barbie. Vorrei passarle questo, il valore del presente. L’esperienza della malattia mi ha insegnato a vivere qui, adesso. Anche se suona strano da dire, il tumore è stato un regalo. Perché la vita è sempre un regalo, secondo me. Solo che, qualche volta, non è il regalo che avevamo chiesto.

20 DI PASSIONI 9 IL REGALO CHE NON HAI CHIESTO

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COSE

UGUALI

CHE

RESTANO

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Non sono una persona dotata di fantasia.Non ho mai creduto di averla. Però penso di essere un buon consigliere.Dev’essere una cosa di famiglia.

Anche mio padre lo era. E anche il nonno. Il nonno all’inizio aveva una conceria, lavorava e vendeva pellami.Erano gli anni Quaranta, la guerra era appena finita. All’epoca Trieste era il baluardo dell’Occidente.Il nonno aveva rapporti con la Russia e con l’Est.Con i suoi guanti andava di casa in casa.Era un bravo consigliere.Mio padre, a un certo punto, ha iniziato ad andare con lui. Oppure restava in città e gli teneva aperto il negozio.Infatti è diventato a sua volta un bravo consigliere.Poi il nonno è morto, e papà ha preso in mano l’azienda.Io ho seguito mio padre ovunque, in macchina, sui treni. Macinavamo chilometri insieme.Caricare, scaricare, scegliere, ordinare.Sono diventato un bravo consigliere anch’io.Facciamo accessori dagli anni Quaranta. Il Made in Italy, si chiama adesso.Guanti, cravatte, sciarpine, foulard, cinture. Piccoli oggetti di pregio che la crisi ha travolto. Per questo ho portato la nostra azienda su Internet. Per salvarla. Era la cosa giusta da fare.Ha funzionato, infatti.Siamo riusciti ad abbattere i costi mantenendo alta la qualità.Certo, non prendo più treni, non prendo più la macchina.Non vado più dai clienti.Non consiglio più.Su eBay ci si auto-consiglia. Il mondo è cambiato. Ma alcune cose sono rimaste le stesse.Il laboratorio del nonno, ad esempio, è rimasto praticamente identico. Ogni giorno, nel laboratorio del nonno, arrivavano le pezze di tessuto.Lino, cotone, lana, seta. Il nonno si faceva arrivare le migliori sete sul mercato. Sete che erano state dipanate dalle mani piccole e veloci delle filerine che lavoravano cantando.Che erano state battute dalle tessitrici che per tutto il giorno ordivano, orlavano, cimavano. Accarezzava queste stoffe bellissime e faceva a sé stesso una promessa.Che l’oggetto che avrebbe poi venduto di casa in casa avrebbe reso merito al lavoro di tutte queste donne.E che avrebbe portato un salario giusto per tutti.Alcune cose, tipo questa, sono rimaste uguali.

20 DI PASSIONI 11 COSE CHE RESTANO UGUALI

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GRANDEIL

MAZINGER

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Ok - Sei la solita prepotente. - Che c’hai stavolta?- Lo sai benissimo. - Ma cosa?

- Lo sai benissimo.- Guarda, non ho voglia di passare il pomeriggio a fare gli indovinelli. O parli, o me ne vado. - Ti ho visto, «m************a», ti ho riconosciuto nonostante gli asterischi: Martina Marotta. Ieri notte. Su eBay.- Mbè? - Sei entrata un attimo prima che scadesse l’inserzione e ti sei accaparrata il mio smart watch.- Ah, eri tu? - Sì, ero io. E quello era il mio smart watch. Lo stavo seguendo da tre giorni.- Bè, il mio smart watch, visto che me lo sono per l’appunto accaparrato io. - Sei odiosa.- Tanto a te cosa cambia, domani ne trovi un altro. Io sabato devo partire.- Sei una viziatella prepotente. - Ma dai, che palle, sempre in competizione. Nemmeno mi ero accorta che eri tu.- È da quando sei nata che ti prendi tutte le mie cose. - Veramente le tue cose mi fanno schifo. - Prima la mia camera, poi i miei giocattoli, poi i miei amici. Ti sei presa anche il giorno di Natale. - Che vuoi da me, se sono nata a Natale. - Vuoi tutte le attenzioni, sempre. Devi fare sempre la superstar. Sono stufo. Sono trent’anni. - Veramente io sono su eBay da prima di te.- Questo non ti dà il diritto di prenderti le cose che seguo io. - Ma chi le vuole, le cose che segui tu. Guarda qua: solo tu puoi comprarti un boccale di birra alto 45 cm pensando di avere in casa una chicca. Posso chiederti quanto l’hai pagato?- Era già successo con la maglia del Chelsea.- Ma cosa. - Che me l’hai fottuta all’ultimo.- Che c’entra, quella era per papà. - Appunto, gliela volevo regalare io. - Va bene, senti, vuoi il mio orologio? Appena mi arriva te lo porto. Basta che la finisci. - Sei sempre lì davanti allo schermo come una iena, pronta ad inserire il tuo prezzo di un centesimo superiore al precedente.- Certo, si chiama comprare all’asta. Ti rode perché sono più brava di te. - Va bene, sei più brava di me. Sei la più brava, la più bella e sei la cocca di mamma. - Tieni, cretino, ti ho preso questo. - Cos’è? - Un regalo. - Perché?- Perché sono la più brava, la più bella e anche la più buona. - Noo! Il Grande Mazinger! - L’ho beccato al volo. A proposito di piazzare offerte all’ultimo secondo. È uguale a quello che avevi, no?- Sì. Per essere precisi, uguale a quello che tu hai rotto. - Ma che dici, l’avevi perso tu, sulla spiaggia a Sabaudia. - Ma che perso. Me l’avevi fregato tu, poi gli hai rotto un braccio e l’hai rimesso dov’era facendo finta di niente. Me lo ricordo benissimo. - Ti confondi con He-Man. Mazinger l’hai perso quando sei andato in vacanza con la zia.- Ah, è vero, He-Man. Non farmici pensare, va’, sempre a mettere mano fra le mie cose.

20 DI PASSIONI 13 IL GRANDE MAZINGER

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FORMICHEAFRICANE

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Mi chiamo Adoaga, ho otto figli e tre nipoti di cui mi prendo cura. Sono vedova. E sono affamata. Tutto quello che io e la mia famiglia abbiamo mangiato ieri sera è stata una boule - della farina di mais stemperata con acqua - insieme a un po’ di foglie bollite. Come molte

donne qui a Louga, indosso vestiti larghi in modo da nascondere quanto sono magra. Come molte donne qui a Louga, anch’io mi sono ridotta a cercare i semi nei formicai. Ci metto cinque ore per andare ai formicai e tornare a Louga. Scavo alla ricerca di semi di erba selvatica che le formiche hanno raccolto e messo da parte. Ci metto mezza giornata per raggranellare pochi semi, quando va bene, con le formiche che si arrampicano sulle mani per mordermi. Formiche come me, che avvistano un territorio, lo setacciano da cima a fondo e portano via tutto quello che trovano nella speranza di sfamare la colonia. Una volta tornata al villaggio, mi servono altre ore per cuocere i semi: prima li scrollo come meglio posso per togliere il grosso dello sporco, poi li faccio bollire a lungo in modo che la terra vada a fondo, li scolo, li faccio essiccare e infine li frantumo per produrre la farina necessaria a preparare un pasto. La notte resto insonne a pensare a cosa darò da mangiare ai miei bambini l’indomani. Quando non ho cibo, cerco di calmarli con una ninna nanna: li metto a dormire dicendo che troverò qualcosa da mangiare il giorno successivo. Oxfam ha fatto costruire un pozzo nel villaggio e adesso, se non altro, abbiamo accesso all’acqua potabile e non dobbiamo più bere l’acqua di fiume. Ci hanno promesso che con il ricavato della prossima asta su eBay di beneficenza provvederanno a distribuire mais, fagioli, olio e sale a migliaia di famiglie nella regione del Guéra. Ogni volta che mi portano del cibo lo divido con le altre donne del villaggio, perché non riesco a mangiare se so che i miei amici hanno fame. I bambini mangiano finché non sono pieni. Io mangio quello che avanza. Poi vado a letto e, se so che tutti hanno la pancia piena, finalmente riesco ad addormentarmi.

20 DI PASSIONI 15 FORMICHE AFRICANE

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TRAMALADELLAVITA

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Quest’isola è un posto strano. Ti può capitare di essere svegliato all’alba dal vociare dai pescatori sulle tonnare che escono in mare cantando ancora le stesse «cialome», le stesse preghiere di secoli fa. Le scogliere hanno un aspetto feroce. D’estate c’è qualche turista, ma d’inverno

non passa neanche un gatto. Sul fondale turchese ci sono relitti e coralli. È un posto incantevole, specialmente se sai che te ne andrai. Io sono tra quelli che non se ne vanno. Io sono tra quelli che stanno. Sono stato portato qui da piccolo e non ho lasciato l’isola per quarant’anni, salvo poche eccezioni. Non mi piace attraversare il mare, neanche per poco. Non mi fido delle barche. E comunque, in generale, non ho mai amato viaggiare, e nemmeno nuotare. Ho una pasticceria da cui passa un sacco di gente e mi nutro delle storie degli altri. In un certo senso, sono come un mercante di tappeti orientali. L’incredibile arte dei tappeti mi fu spiegata per la prima volta da un italiano vagabondo che era appena stato a Istanbul. Mi disse che i mercanti, durante una trattativa, ti offrono sempre il tè, perché nella cultura del deserto, quando il viandante si fermava in un’oasi, gli uomini della tribù gli davano ristoro affinché lui raccontasse la sua storia; in cambio gli vendevano un tappeto, che era esso stesso una storia, un racconto scritto nella trama. Guardando un tappeto puoi capire il suo luogo d’origine, l’età, la provenienza. Ogni famiglia possiede disegni e motivi che vengono trasmessi di generazione in generazione e hanno un simbolismo preciso. Il viaggiatore che veniva da Istanbul aveva condotto una lunga trattativa per portarsi a casa un tappeto realizzato per metà quando la tessitrice era ancora nubile, per metà dopo che la tessitrice si era sposata. Me lo mostrò. Al centro del vello, i colori improvvisamente cambiavano: da chiari diventavano scuri. E non perché la donna avesse finito i fili di quel colore, ma perché a metà tappeto era finita la sua spensieratezza, perché aveva smesso di essere giovane. In mezzo a quell’incrocio di nodi ho visto il segno del cambiamento, ma anche della continuità, della vita che si trasforma ma resta unita. Qui non si trovano tappeti del genere. Siccome non navigo volentieri in mare, ho iniziato a navigare in Internet. Su eBay ho comprato i miei primi persiani. E in breve tempo sono diventato un cercatore di tappeti anch’io. Poi sono arrivati i batik, le sete, gli arazzi, i cuscini. Dall’Indonesia, dall’Africa, dalla Cina. Nella mia casa sull’isola è entrato il mondo. L’oggetto più bello che ho comprato è una sacca da cammello in kilim, che era stata di proprietà di un viaggiatore del Turkmenistan. Lateralmente porta un decoro di conchiglie. Ogni volta che il nomade ha raggiunto il mare attraversando il deserto, ha attaccato una conchiglia sulla borsa. Ce ne sono sei da un lato, sei dall’altro. Ogni volta che le guardo, sogno anch’io di aver attraversato il deserto e di aver raggiunto il mare. E penso che forse prima o poi troverò il coraggio di mettermi in viaggio. Attraverserò il mare e magari raggiungerò il deserto, cambiando di punto in bianco l’ordito della mia vita.

20 DI PASSIONI 17 LA TRAMA DELLA VITA

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AMOREL’

LIBERA

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Il nostro primo appuntamento è stato in quel ristorante arabo sul viale, quello con i canapé in velluto e le luci gialle soffuse. Il tempo della cena l’ho passato a guardarti. Tu parlavi e io non mangiavo. Poi hai detto qualcosa, non ricordo esattamente cosa, e sei sprofondata in una risata incontenibile.

Ridevi tanto che avevi le lacrime agli occhi e ti sei aggrappata alla mia mano come per risalire alla superficie della realtà. Quella è stata la prima volta che ti ho toccata. Poi un mese dopo abbiamo fatto l’amore e da allora mi sono convinto che il tuo corpo fosse un dono per me. Solo per me. Che fosse di mia proprietà. Se qualcuno ti guardava, io impazzivo. La volta che quel tipo ti abbordò - io ero a qualche metro di distanza - e tu sorridendo ti smarcasti, non ho potuto fare a meno di pensare che fosse colpa tua, che quella bellezza fosse una tua responsabilità. Non riuscivo ad accettare che avessi degli uomini come amici, che fossi in buoni rapporti con i tuoi ex, che fossi così estroversa, solare. Desiderabile. Non riuscivo neppure ad accettare quella passione per Eros Ramazzotti. Me ne parlavi spesso, mi facevi ascoltare le sue canzoni e le commentavi. Lo descrivevi come un dio. E io storcevo il naso. Non riuscivo a togliermi dalla testa che tu, potendo scegliere, avresti preferito lui a me. Una volta mi hai convinto ad andare ad un suo concerto, e nel mezzo di un coro ti ho sentito urlare: «Ti adoro!». Mi è sembrato di perdere la testa, quella come un milione di altre volte. E tu, pur di tenermi, ti sei costretta ad andare nel mondo a testa bassa, sei appassita e alla fine mi hai odiato. Un milione di volte mi hai odiato. Finché non hai deciso di lasciarmi. Da allora ho provato a chiamarti ogni giorno. Per mesi. Una volta hai risposto ed è stata l’ultima. Ti ho chiesto: «Chi c’è con te?». Tu hai riattaccato. Da quel giorno, lentamente, ha iniziato a farsi strada in me un sospetto atroce: che io dell’amore non avevo capito niente. Qualche settimana fa sfogliavo una rivista e c’era la foto di una giovane donna asiatica. Era nuda, gli occhi bassi e un braccio a coprirsi il petto. «My body, my rights», recitava la pubblicità. Questo è il mio corpo, questi i miei diritti. In quella ragazza ho visto una come te. E nella causa della sua disperazione ho visto uno come me. Quell’immagine mi ha perseguitato per giorni, poi ho capito: mi stava cercando. Si trattava di una campagna contro la violenza sulle donne, collegata al progetto di raccolta fondi su eBay “Desideri All’Asta” promosso da Amnesty. Chi si aggiudicava l’asta poteva portarsi a casa un oggetto di pregio o incontrare un personaggio famoso. All’asta c’era anche «Un aperitivo con Eros Ramazzotti». Ho fatto di tutto per vincere e alla fine ci sono riuscito. Il regalo è per te. È un modo per chiederti scusa, forse fuori tempo massimo. Amore mio, goditi il tempo di questo aperitivo e tutto il tempo della tua vita. Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo. Quello che hai condiviso con me è stato il vero regalo che mi hai fatto. Di questo ti ringrazio. E ti ringrazio di avermi fatto capire qualcosa in più sull’amore. L’amore non chiede, offre. L’amore non giudica, ascolta. L’amore non ingabbia, libera. Amare vuol dire lasciare liberi: me l’hai detto tante volte ma non avevo orecchie per ascoltare. Adesso, finalmente, posso dire che ti amo.

20 DI PASSIONI 19 L’AMORE LIBERA

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MEMORIEROSA

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Se è vero che prima di morire rivediamo il film della nostra vita, sono sicura che io vedrò maiali. Mio marito ha fatto per oltre trent’anni il veterinario suiatra. È il lavoro che ha sempre sognato di fare. Così, quando iniziò la sua carriera, gli portai da Venezia una famigliola di maiali in vetro di Murano,

per rendere più allegra la sua scrivania. Ci piacevano così tanto che dallo studio li portammo a casa, e tutto iniziò così. Ben presto decidemmo di dar loro degli amici, così arrivarono il maiale di porcellana del Cacciapuoti che portammo dall’Inghilterra e la suina in bronzo con i suinetti che facemmo fare in una fonderia in Tailandia. E lo spazzacamino col maiale in braccio, che secondo la tradizione austriaca è un portafortuna, e che per scaramanzia saluto ogni volta che ci passo davanti. Ci piace viaggiare. E da ogni viaggio torniamo con una borsata di maiali. Con il nostro primo account eBay prendemmo un giocattolo vintage, un maialino di legno con rotelle che si tira con la corda, senza dircelo un ricordo della nostra infanzia. E poi due maiali in legno che facevano parte di una giostra italiana di inizio secolo, con la vernice un po’ scrostata, bellissimi. Abbiamo fatto anche un ricongiungimento familiare: due porcellini sale e pepe abbracciati, comprati a distanza di anni in due aste separate: il pepe dalla Francia, il sale dall’America. Penserò al maiale in latta riciclata a grandezza naturale, opera di un artista ghanese, che arrivò tutto avvolto in bende come una mummia, e che il corriere espresso scaricò sulla porta dicendo: «Ho qui una bestia per lei!». E quel bellissimo vassoio di cristallo che ci preoccupava tanto farci spedire: poi scoprimmo che il venditore abitava a meno di un chilometro di distanza da casa nostra; andammo a ritirarlo di persona e prendemmo anche il caffè in quella casa semplice e accogliente. Ricorderò la signora che dopo aver abitato 35 anni in Birmania tornava in Scozia e non aveva più spazio dove mettere la sua piccola collezione, ma non voleva separarsene: ce la affidò sapendo quanto eravamo appassionati di maiali, e si raccomandò che se durante il viaggio ci fossero stati dei «feriti» mio marito se ne sarebbe dovuto occupare, e infatti arrivati a casa «curò» una zampetta di ceramica. Rivedrò la faccia che fece l’architetto quando gli chiedemmo di costruire una «sala maiali». Rivedrò i diecimila i pezzi che io e Silvio incartammo insieme: ci volle un anno per imballarli e un altro anno per sistemarli nel migliore dei modi dopo il trasloco. Ripenserò a quell’artigiana inglese che quando scoprì che eravamo amanti della pizza - oltre che dei maiali - realizzò un ditale da cucito con sopra un maialino che mangia la pizza. E prima di chiudere gli occhi ripenserò a quel pacco di maialini in arrivo dall’Inghilterra, che dopo un mese ancora non arrivava, e poi una mattina finalmente arrivò, lo aprimmo e trovammo un biglietto della dogana australiana in cui stava scritto: «Abbiamo ispezionato la merce e non abbiamo trovato nulla di anomalo». Mi chiederò per l’ennesima volta per quale strano motivo un pacco che va da Londra a Mantova debba passare per l’Australia, poi penserò alla faccia che deve aver fatto l’ispettore della dogana, e sorriderò.

20 DI PASSIONI 21 MEMORIE ROSA

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GARAGENELBUFALI

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V-8 vuol dire otto cilindri disposti a V. Ogni cilindro è grande quanto un’acqua minerale da mezzo litro. Il rombo del vuotto sembra un gyser sotto pressione. Quando sono fermo al semaforo, l’asfalto trema. Se tu sei al semaforo e hai un vuotto a fianco, ti vibrano i finestrini, ti sembra

di poter esplodere. Perciò non è il caso di stare accanto a un vuotto: bisogna fare in modo di starci dentro. Altrimenti è meglio girare alla larga. Un vuotto è un grande cane fedele. Non urla come una Ferrari isterica. Un vuotto non ha bisogno di urlare. È come un bufalo. Infatti viene dagli Stati Uniti. Io ho la fortuna di abitare in aperta val padana, quindi posso permettermi di tenere un animale del genere e farlo andare. Usciamo insieme come bestie nella prateria, scassiamo forte la terra, solleviamo le zolle, formiamo vortici ribelli. Quando riporto il mio vuotto in garage, accarezzo il suo cofano da cobra e penso che è proprio vero che certi amori nascono su Internet. E poi penso che l’ho pagato quanto una Smart. Ma questo non lo dico a nessuno.

20 DI PASSIONI 23 BUFALI NEL GARAGE

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SPICCAREIL VOLO

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Ne parlavo spesso, ne parlavo con tutti: «Vorrei aprire un negozio su Internet». Quindici anni fa venivo deriso. Perché quindici anni fa, aprire un’attività di eCommerce in Italia era considerato un po’ come fare il venditore ambulante di bassa qualità. Eppure non mi mettevo a discutere. A me discutere non

piace. A me piace costruire. Anche se ormai le mie macchine hanno fatto strada e io sono un leader nel settore informatico, ancora oggi quando sono nel mio laboratorio e metto le mani sul telaio di un drone mi sento euforico. E anche terribilmente impaurito, perché finché non ho messo insieme tutti i pezzi, finché non ho trovato gli incastri perfetti, finché non ho stretto l’ultima vite, non so se la mia macchina volerà. E anche quando le mie macchine le vedo volare, ancora mi chiedo come sia possibile questo miracolo. Sono piccoli velivoli radiocomandati, si chiamano droni. Sono agili e precisi, restano in volo per molto tempo in perfetta stabilità. Se ci monti su una macchina fotografica, possono regalarti riprese stupefacenti. Durante una cena arriva sempre il momento in cui qualcuno mi chiede: e tu di cosa ti occupi? Io realizzo e vendo droni. Ma credo che nessuno possa realmente comprendere cosa questo significhi per me. Perciò evito di scendere troppo nei dettagli e semplicemente rispondo: «Faccio l’imprenditore. Vendo applicazioni tecnologiche in tutto il mondo. Specialmente su eBay». Pochi sanno cosa si prova a costruire un drone e a vederlo volare. Ma tutti sanno cos’è un imprenditore. E tutti sanno cos’è eBay. E poi a me non piace parlare. Quindi sono a posto così.

20 DI PASSIONI 25 SPICCARE IL VOLO

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PEZZETTOUN

DI

MARE

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Da bambina trascorrevo l’estate con i miei genitori. Stavamo in un posto bellissimo, sulla costa di Amalfi, dove avevamo una piccola casa in affitto. Di pomeriggio, mentre i miei dormivano, io stavo col muso alla finestra a guardare le onde che si infrangevano sugli scogli a picco.

Qualche estate fa ci sono tornata e ho visto che sul mare galleggiavano dei pezzi di plastica bianca. Solo allora ho visto come tutto ciò che non riutilizziamo si decompone e finisce sotto i nostri piedi, nell’aria che respiriamo, nel mare in cui nuotiamo, nel pesce che ordiniamo al ristorante. Siamo circondati da rifiuti: tonnellate di cose utilizzate per qualche ora e poi subito accartocciate. Cose di cui crediamo di liberarci nel momento in cui le gettiamo nell’immondizia ma con cui saremo condannati a vivere in eterno. Niente, in realtà, viene mai distrutto. Quando ho visto il mio mare ridotto così ho capito che prima di agire bisogna pensare alla cosa giusta da fare. Mi chiamo Nora, sono di Napoli e forse sono un po’ animista, perché credo nella seconda vita degli oggetti. Ho sempre vissuto di passioni passeggere e accumulato un sacco di cose. Sono dei Gemelli, sono una che si entusiasma ma dopo un po’ si stanca, sono fatta così, incostante. Ma adesso quello che non uso più, lo vendo. Ho venduto l’impossibile: scrivanie, mobili, vecchi computer. Telefoni rotti, andati a ruba da chi cercava pezzi di ricambio ormai introvabili. Libri che non rileggerò più, CD che ho smesso di ascoltare. Per un po’ ho avuto la passione dei comodini: li dipingevo, li decoravo e dopo averli avuti tra i piedi per qualche tempo non sapevo più che farmene. Adesso li compro su eBay, li decoro e li rivendo su eBay. Sono riuscita a vendere persino delle teste da parrucchiere: dimenticate qui per sbaglio al mio agriturismo da un meeting di parrucchieri, usate dalle mie bambine per fare scherzi e prove con le forbici; le ho messe all’asta ridotte in condizioni pessime, completamente rasate, e una ragazza me le ha prese per cinque euro l’una. Qualche settimana dopo mi ha mandato un’email con la foto di tutte le teste mozzate sul tavolo. Era una ricercatrice per il teatro e mi spiegò che le aveva truccate e impiegate per un allestimento. È incredibile, ma io trovo sempre qualcuno a cui i miei oggetti servono. E ogni volta che riesco a vendere una cosa che altrimenti finirebbe nel cestino sono felice, perché ho la sensazione di essermi presa cura di un pezzettino di mare, forse proprio quel pezzettino che guardavo per ore affacciata alla finestra.

20 DI PASSIONI 27 UN PEZZETTO DI MARE

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MIOPAPÀ

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Quando papà torna dal lavoro io gli chiedo tutte le sere se ci possiamo mettere al computer per comprare i giochi su eBay. Bisogna guardare sempre l’icona del carrello perché lì c’è scritto il numero che ti dice quanti soldi possiamo spendere. Io al massimo posso spendere 50 euro, invece

papà può spendere molto di più perché è grande, ma quando siamo insieme anche lui può spendere solo 50 euro. Su eBay abbiamo comprato il fumetto di Topolino numero 1000. Non è un Topolino qualunque, questo è il numero 1000. Papà lo leggeva col nonno, poi però è rimasto nella soffitta e non si trova più. Lo abbiamo ritrovato su eBay uguale uguale. Anche se l’abbiamo letto un sacco di volte e so tutte le storie a memoria mi piace sempre sfogliarlo. La mia storia preferita è «Paperino ammiraglio» che racconta la storia di Paperino che per sbaglio diventa ammiraglio di una nave da guerra. Lui all’inizio fa tutto giusto e vince la guerra contro i nemici, però poi scoprono che lui non è un ammiraglio vero, e allora lo fanno diventare un mozzo semplice. Poi Paperino si sveglia sul suo divano e si capisce che stava solo sognando. Mio papà di mestiere fa il docente universitario. Significa che è esperto di marcheting e spiega marcheting ai grandi. Quando papà torna da lavoro è sempre stanco e la prima cosa che fa quando arriva a casa è togliersi le scarpe, dare un bacio prima a mamma e poi a me mi dice: e allora? Mi fa sempre ridere quando mi dice: e allora? Mangio sempre in fretta la cena così poi andiamo presto nello studio di papà e abbiamo più tempo per andare su eBay. Una sera abbiamo cercato il Commodore 64 che era il computer di quando papà era piccolo. Praticamente è solo una tastiera. E poi c’è un registratore per mettere le cassette, che è dove girano i giochi. I giochi per il Commodore 64 non si scaricano perché quando papà era piccolo non c’era ancora Internet. Si compravano le cassette in edicola. Quella sera papà ha comprato su eBay anche un gioco che si chiama Babol Babol dove c’è un draghetto che invece di sputare fuoco sputa le bolle di sapone. Bisogna colpire con le bolle i nemici. Io ero felice perché vedevo mio papà felice ma poi ho guardato il numero sul carrello e gli ho detto che stavamo già a 66 euro. Papà ha detto che una volta tanto uno strappo si può fare. Io questa cosa dello strappo non l’ho capita tanto bene, ma lui dice che è esperto di marcheting e lo sa.

20 DI PASSIONI 29 MIO PAPÀ

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LASCIAREANDARE

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Mi hai lasciato che eravamo per strada. Hai sfilato la tua mano dalla mia e mi hai mollato lì. Ti ho vista andare via senza neppure voltarti, fredda come una lama; hai troncato così. Se avessi avuto un sacco l’avrei colpito con tutta la mia forza, invece sono tornato a casa e ho colpito la porta

d’ingresso, scardinandola. Ho visto il posacenere dove avevi spento l’ultima sigaretta, l’ho scagliato per terra e l’ho preso a calci. Ho pianto tutte le lacrime quando ho ricordato la tua bocca, i tuoi denti piccoli e quella scena al mare quando ti ho detto «Vorrei baciarti» e mi hai baciato tu. Ho provato gratitudine perché mi hai fatto vedere un mondo nuovo, il tuo. Mi ci hai portato dentro e mi hai indicato gli alberi con i frutti più buoni. Quei frutti sono miei per sempre, anche se tu non ci sei più. E quello che ti ho dato te l’ho dato col cuore, lo puoi tenere, è tuo. Tue sono anche le responsabilità di quel che è successo, quelle te le lascio. Io mi prendo le mie. Mi restano quelle, e tutti gli oggetti che ti sono appartenuti. Sei ancora incarnata qui, su questo cuscino, su questa sedia, su questa tazza smaltata di azzurro in cui mangiavi i cereali la mattina. Sei nello specchio del bagno dove mettevi il mascara e sull’attaccapanni all’ingresso dove appendevi il tuo cappellino di finta ciniglia. Sei sotto il copriletto che hai rimboccato, sull’orlo della pellicola da cucina che hai tagliato con i denti, nei braccioli che hai riempito con il fiato. Metterò all’asta su eBay gli oggetti che mi ricordano la nostra storia. Tutti. Con il ricavato riempirò le stanze di oggetti che una storia ancora non ce l’hanno, a cui affiderò nuovi ricordi. Magari viaggerò, cambierò casa. Comprerò una pietra da mettere al dito di qualcun’altra. Ma ricordati sempre una cosa: tu avrai un posto dentro di me, comunque. Quello non è in vendita.

20 DI PASSIONI 31 LASCIARE ANDARE

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VACANZA

LA

INMOGLIE

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Da quando è in pensione, mia moglie mi ha insignito del ruolo di suo facchino personale. Tra le mie principali mansioni figurano: pagare le bollette, portare fuori l’immondizia, annaffiare le piante secondo rigorosi criteri di stagionalità, andare in paese a prendere il pane agli 8 cereali che

le piace tanto, svuotare la lavastoviglie, apparecchiare, sparecchiare e portare a spasso Bimba (un barboncino la cui adozione, come dico sempre, è stata scelta all’unanimità da lei). Mentre svolgo tutte queste funzioni ancillari, mia moglie - per dirla con un’espressione a lei cara - «spiccia la casa». Ovvero: lucida il cristallo del tavolino fino a lussarsi i polsi; batte i tappeti; smonta, lava e rimonta tende che a qualsiasi avventore apparirebbero già pulite e, soprattutto, impossibili da smontare; pulisce le fughe fra le mattonelle della veranda con l’idropulitrice; ed altre operazioni che spaziano dal perfettamente inutile al palesemente controproducente. Raramente si muove di casa. Lo fa solo per andare a Trento, a far visita a nostro figlio Mario, attività che naturalmente si svolge contro il volere di Mario. Quando Sonia va a Trento, portandosi grazie a Dio anche Bimba, io sono finalmente in vacanza. Non vi dico che pacchia svegliarsi la mattina alle dieci e non avere niente da fare. Cosa faccio oggi? Niente. Sentite come suona bene? Niente. Niente, erogena parola che scandisco ad alta voce mentre mi rado davanti allo specchio del bagno. La mattina del 17 aprile 2013, poche ore dopo che mia moglie ha preso il treno, proclamo ufficialmente iniziate le mie ferie. Esco di casa per comprarmi il giornale, mi faccio una coppa di granita di gelsi da Ciro Snack Bar, faccio quattro chiacchiere vacue sulla panchina in piazzetta con i miei ex colleghi, e oso perfino fare una cosa altamente immorale come pranzare con un rustico mozzarella e prosciutto. Alle quattro di pomeriggio ritorno verso casa, percorro il vialetto d’ingresso e percepisco immediatamente che è successo qualcosa. Noi maggiordomi abbiamo una specie di sesto senso sulla casa. Mentre salgo gli scalini che portano alla veranda, noto che la porta è socchiusa. Mi chiedo: hai inserito l’antifurto, vero, imbecille? La risposta, purtroppo, è no. Preso dall’euforia della vacanza, sono uscito tirandomi semplicemente la porta alle spalle, violando quindi uno dei punti fondamentali del decalogo che Sonia ha lasciato sul frigo (il punto 4, quello che sta tra «chiudere il gas» e «scongelare la lasagnetta»): «inserire l’antifurto prima di uscire». Sulla porta non ci sono segni di scasso: la spingo. Mi si para davanti l’orrore. Il pavimento è un lago di oggetti. Il televisore 32 pollici schermo piatto che era appeso al muro del soggiorno non c’è più: al suo posto un grande vuoto rettangolare. Inizio a vagare per le stanze

20 DI PASSIONI 33 LA MOGLIE IN VACANZA

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con aria disperata. Badate bene, non mi preoccupo che i malfattori possano stare ancora in giro per la casa, magari armati: l’unico pensiero che mi terrorizza è che mia moglie fra una settimana tornerà e si abbatterà su di me come una calamità naturale. La cassaforte, per fortuna, è salva, dal momento che per recuperare la combinazione di Sonia bisogna: 1) prendere la chiave sul fondo dell’armadio in camera da letto; 2) con quella aprire il cassetto della madia del salone; 3) dalla madia prendere il badge che apre il garage; 4) recuperare dal garage il biglietto depositato nel cestello della vecchia lavatrice in disuso; 5) tornare di sopra, staccare l’arazzo indiano davanti alla cassaforte e digitare la combinazione riportata sul biglietto. Insomma, i ladri ci hanno rinunciato: li capisco. In compenso hanno portato via tutto ciò che hanno trovato a tiro: il televisore, il forno a microonde, la piantana di Artemide, la macchina per il pane, quel brutto quadro col pagliaccio triste che ci regalò mia sorella, il portafrutta di Limoges, il Folletto, il tablet, suppellettili assortite (n. 5 fermacarte, n. 2 pastorelli dell’Arcadia, n. 1 giovane flautista bucolico, n. 17 angioletti pensosi di Thun, n. 3 coppie di amanti avvinghiati in varie salse, n. 1 riproduzione in scala 1:100 della basilica di Sant’Oronzo, n. 4 piatti in ceramica di Deruta, n. 7 uova di alabastro), il computer, il set di valigie Samsonite che comprammo per il viaggio di nozze, tutte le cornici d’argento sul caminetto, le matrioske che ci portarono da Mosca, il collo di lapin appeso all’ingresso, il portalampada liberty che prendemmo dal rigattiere pazzo a Viterbo, tutta l’enciclopedia della UTET. Mentre vago per la casa e guardo con orrore gli spazi saccheggiati, penso che ho sei giorni di tempo per rimediare: un tempo ragionevole per ricomprare il ricomprabile. Chiamo mio figlio e con voce lievemente incrinata dal panico gli racconto l’accaduto. Il bastardo gongola. Dice che il posto migliore dove trovare oggetti di seconda mano e nuovi è Internet, e non essendo io propriamente un mago dell’informatica, sono immediatamente ricattabile: sì, certo, mi aiuterà, a patto che impedisca a sua madre di tornare a Trento per il prossimo anno solare. Gli giuro sul mio onore (quindi sul niente) che lo farò: affare fatto. Mi insedio all’Internet Point e seguo le istruzioni per entrare sul profilo eBay di Mario. Passo la giornata a sfogliare categorie, tra oggetti nuovissimi e altri che, con mio sommo stupore, mi confermano che al mondo esiste una copia di qualsiasi cosa. Penso che porterò fiori freschi e statue votive sull’altare dell’uomo che ha inventato eBay per il resto della mia vita. Ficco nel carrello

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92 oggetti perfettamente identici agli originali, che iniziano ad arrivarmi a casa dal giorno successivo, alla spicciolata, dozzine di pezzi al giorno. Ogni volta che citofona il corriere espresso, gli butto le braccia al collo come un fratello. Allungo una mazzetta alla donna delle pulizie per farle rimettere a posto la casa senza spifferare niente a Sonia. Riesco perfino a farmi fare da mio cognato una copia delle foto di Mario piccolo da rimettere nelle cornici sul caminetto. Dopo una settimana di lavoro sfiancante, la casa torna quella di prima, e purtroppo torna anche mia moglie. Conto sul fatto che, con tutta la roba che ha in casa, nemmeno lei si ricordi bene quali sono tutti i suoi oggetti. Appena varca la soglia, mi scruta e dice: «È successo qualcosa?». «Niente», bofonchio. Carezzo la testolina della cagnetta con fare svenevole. «Hai un brutto colorito. Si vede che stare una settimana senza far niente ti fa male. Vammi a prendere la scala e lo straccio che ti faccio fare un po’ di pulizie».

20 DI PASSIONI 35 LA MOGLIE IN VACANZA

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DIVIVEREGUSTO

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La gente mi considera una specie di filosofo, uno di quei pensatori greci che praticavano l’arte dell’imperturbabilità. Io non lo so se sono un filosofo però ho capito che la vita è solo una e che il tempo per godersela è poco. Per questo non avrei potuto lavorare in un ufficio, stare ore chiuso dentro

una stanza, rinunciare alla compagnia di mia moglie e bere per tutto il giorno le ciofeche liofilizzate del distributore. Certo, ho detto di no ad alcune comodità: nessuno mi paga le ferie e non giro in Mercedes. In compenso, mi concedo altri lussi. Mi alzo con comodo la mattina, passo molto tempo con i miei figli e non ho un capo a cui rendere conto. E se si tratta di preparami un piatto di spaghetti, questi spaghetti devono essere come Dio comanda, con la pasta giusta e con i pomodori giusti. Se mi incontrassi in giro per la città, probabilmente mi vedresti al tavolino di un bar a discutere con gli amici. Se venissi a farmi visita a casa, probabilmente mi vedresti seduto a lavorare alla scrivania a sorseggiare un buon caffè, quello che si fa con la moka e con l’acqua buona - l’acqua di Napoli; quello che si gira lentamente e si beve con altrettanta calma. Se avessi anche tu voglia di un buon caffè, sarei felicissimo di offrirtelo. Mi alzerei dalla sedia e ti inviterei a seguirmi. Ti farei vedere casa mia, ti farei entrare nel salotto e ti indicherei la mia poltrona preferita, quella dove si possono stendere le gambe per riposare di pomeriggio, tranne la domenica quando gioca il Napoli. Ti farei entrare in cucina e ti chiederei se per caso insieme al caffè gradisci pure un mustacciuolo, un dolce morbido ricoperto di cioccolato e che dentro sa di miele. Se mi chiedessi che lavoro faccio ti direi: faccio in modo che la gente possa gustarsi queste cose, ovunque essa si trovi. Vendo prodotti tipici campani di alta qualità in tutto il mondo e lo faccio da casa tramite eBay. Lo vedi quel barattolo lì? Contiene pomodorini vesuviani interi, confezionati con acqua e sale. Sono genuini, si conservano naturalmente per via della buccia spessa. Ti va uno spaghetto? Vedi amico mio, qui sei di casa, e voglio trattarti come si trattano gli ospiti. Quindi rilassati, siediti e goditi la vita.

20 DI PASSIONI 37 VIVERE DI GUSTO

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CARTAODOREL’DELLA

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Amo l’odore della carta. Se porto al naso questo foglio, le immagini arrivano da lontano. Zio Armando mi porge un francobollo. Me lo porge come una reliquia e io lo conservo, dentro una busta da lettere gialla. Durante il giorno la apro continuamente e mi assicuro che il francobollo sia ancora lì.

Poi ci infilo dentro il dito e delicatamente estraggo il sacro rettangolino di carta. Con amore osservo la sua dentellatura e mi assicuro che i dentini siano tutti al loro posto perché lo zio dice che un francobollo, se veramente lo vuoi collezionare, deve avere tutti i dentini in ordine. Una rosa è una rosa, un francobollo non è un francobollo. Gli oggetti hanno visto e hanno sentito. E ciò che hanno visto, ricordano. Ciò che hanno sentito, te lo fanno sentire. Così come questa stilografica che ora fruscia sul foglio bianco, intaglia con precisione la carta, riduce di parola in parola lo spazio bianco che rimane. Una Montblanc, un pezzo unico fatto su misura per un emiro arabo. Porta i colori del suo regno. Questa penna fende la cellulosa mentre il suo inchiostro scorre attraverso il capillare. Questa penna non è solo una penna, la sua storia è scritta dentro ciascuno degli atomi che la compongono. Per questo vi dico: non vendo oggetti, io da vent’anni vendo storie. Con eBay queste storie viaggiano nel mondo e si fermano fra le dita di un ambasciatore o al polso di un attore. Tutte hanno avuto un inizio, forse nessuna avrà una fine. L’inizio della mia lo posso ritrovare ogni volta che riapro quella busta gialla e conto uno per uno i dentini del mio primo francobollo. Se loro sono in ordine, io ho una storia da raccontare.

20 DI PASSIONI 39 L’ODORE DELLA CARTA

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ASTAALL’ALLEGRIA

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Avevo pensato perfino di mettere all’asta il mio corpo, ma non avrebbe fatto gola a molti. Quindi mi arrovellai per un po’. Che cosa può offrire di spiritoso, di utile, un conduttore radiofonico? L’idea di raccogliere fondi per una buona causa dev’essermi venuta per il fatto che sono inglese. Nella

cultura britannica è usanza, sotto Natale, che radio e mass media si spendano per una buona causa. Mi sembra una cosa giusta, dovuta, e anche natalizia. Per dare un tocco di contemporaneità era necessario coinvolgere il mondo online, così ci venne in mente l’asta su eBay: il ricavato sarebbe andato in beneficienza, niente di più facile. Il difficile era capire cosa mettere all’asta. Luca Viscardi, fulmine a ciel sereno, se ne uscì con: «Mettiamo all’asta la nostra trasmissione». Era l’uovo di Colombo. Chi si fosse aggiudicato l’asta avrebbe ospitato la trasmissione in diretta. Iniziammo a mobilitare i radioascoltatori. Il ricavato sarebbe stato devoluto al centro di ricerca per leucemia infantile dell’ospedale San Gerardo di Monza. Man mano che passavano i giorni vedevamo le offerte aumentare. Famiglie, bar, ristoranti, uffici, fabbriche misero sul piatto le loro piccole o grandi somme. Ricevemmo un’offerta perfino dagli uomini radar di una torre di controllo di Malpensa. Nokia Italia si aggiudicò l’asta con un’offerta di 2.705 euro. E così io e Luca Viscardi, in una fredda notte di dicembre, ci preparammo a traslocare lo studio radiofonico alla Nokia. La diretta sarebbe inziata la mattina alle nove, quindi la giornata cominciò molto presto, col buio. Mancavano pochi giorni al Natale, faceva un freddo cane. Ci incontrammo in un Autogrill appena fuori Milano; io arrivavo da Lugano, Luca da Bergamo. I ragazzi del nostro staff tecnico ci aspettavano in un furgoncino parcheggiato davanti alla Nokia. Non c’era un’anima viva, a parte il guardiano che ci stava aspettando. «Grant Benson e Luca Viscardi di Radio Number One?», «In persona». Ci fece strada nei meandri di questi uffici supertecnologici e ci mise a disposizione un’enorme sala meeting. Poco dopo arrivarono i ragazzi della Nokia, che ci portarono palloncini, decorazioni natalizie e un magnifico buffet. Avevamo con noi Melita Toniolo e parecchi ospiti in collegamento: gli Zero Assoluto, Omar Fantini, Chiara Galiazzo. Era il venerdì prima di Natale, c’era l’atmosfera stupenda da ultimo giorno di scuola, quando senti che stanno per iniziare le feste. Ci siamo collegati più volte col nostro inviato dall’ospedale che ha intervistato i medici per informare gli ascoltatori sui progressi della ricerca. Ma la cosa che ricordo di più è la voce dei bambini: bambini euforici, che mandavano i saluti al compagno di banco o all’amichetto di scuola. Bambini malati di leucemia, ma bambini qualunque, bambini con l’allegria dei bambini.

20 DI PASSIONI 41 ALLEGRIA ALL’ASTA

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INCROCIATESTRADE

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Ho la fama del grande collezionista perché sul mio cammino ho incontrato molti oggetti. Dopotutto, raccogliere e selezionare oggetti è uno dei primissimi istinti umani, come confermano l’archeologia e l’antropologia. Le prime tombe vennero identificate perché di fianco allo scheletro

trovarono una selezione di conchiglie: l’amore per gli oggetti è insito nell’animo umano. Ma al contrario dei collezionisti veri, io cerco di separarmi il prima possibile da quello che ho trovato, perché il senso del possesso disperato mi sembra odioso. Non voglio diventare un ossessivo-compulsivo. Quando guardo gli oggetti, non cerco una forma di identificazione in grado di rispondere alle mie inquietudini. Ho con loro un rapporto d’uso: se mi servono delle conchiglie strane per un edificio che sto progettando, per un certo periodo accumulo conchiglie; poi, quando ho finito il lavoro, me ne separo, le affido a qualcun altro, qualcuno a cui possano servire. Se mettessi i miei oggetti in un magazzino e tornassi lì di continuo per guardarli, per incantarmi, per continuare a scrutarli senza stancarmene, sentirei che sono loro a possedere me. Credo - parafrasando lo storico dell’arte Jean Clair - che solo quando hai depurato gli oggetti da ogni traccia di umanità, quando hai risciacquato via gli umori, le aspettative, le lacrime, solo allora gli oggetti possono essere fino in fondo sé stessi, cioè oggetti. Autonomi, liberi di raccontarci qualcosa: lo stato minerale da cui sono emersi, le mani attraverso cui sono passati, la demolizione o la rigenerazione a cui vanno incontro, le profezie che portano con sé. Mi piace eBay perché permette agli oggetti di fare quello che devono fare, cioè circolare liberamente. Da tempo sto cercando il costume del robot di Metropolis, il film di Fritz Lang. Incarna bene le trasformazioni verso cui stiamo andando, le protesi applicate sul corpo, il potenziamento delle prestazioni, l’indifferenziazione sessuale. Un androide sopravvissuto al rogo dei suoi carnefici e al collasso della civiltà. Finite le riprese del film, nessuno ha più parlato di questo oggetto mitico, eppure sono sicuro che da qualche parte esiste ancora. Magari un giorno lo troveremo. Magari sarò io a trovarlo. Magari sarà lui a trovare me. Faremo insieme quello che dovremo fare, e poi torneremo alla vita. Ognuno per la propria strada.

20 DI PASSIONI 43 STRADE INCROCIATE

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SAMBA

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Ho un gatto. O meglio, un gatto ha me, per essere onesti. Ha il pelo ramato, il muso lungo, le orecchie troppo grandi, la codina mozza. Appena ho aperto la porta mi è venuto a rigare la caviglia, mi ha spinto il musetto tra le gambe. Quando l’ho preso in braccio si è appigliato a me con tutti

i suoi piccoli artigli e ha iniziato delle fusa festose. Mi è venuto spontaneo: «Samba». Mentre gli accarezzavo la pancia calda ho avuto la sensazione che gradisse il nome. E allora ho deciso: Samba. Lo prendo. È mio. O meglio, io sono sua. Sapevo che in quel gattile avrei trovato il gatto che faceva per me. È sgraziato, ha chissà quante macerie alle spalle, ma vuole farsi amare. Ci siamo trovati, forse un po’ ci somigliamo. Mentre il mio fidanzato guidava verso casa, Samba mi stava acciottolato in grembo, vigile, con quegli occhi gialli e tondi puntati sul mondo come fari. Con la mano libera sono andata sul telefono e ho cercato su eBay gli oggetti di prima necessità. Sono stata un buon quarto d’ora a lambiccarmi se fosse meglio la ciotola col pesciolino disegnato o senza pesciolino disegnato, il trasportino rigido o il semirigido, la lettiera tradizionale o quella automatizzata, il tiragraffi verticale o il topino a molla. Alla fine ho preso tutto quello che era in offerta promozionale, immediatamente disponibile e con consegna immediata: un bastimento di oggetti in arrivo da Berlino. Appena arrivati a casa ho abbassato le tapparelle e ho messo Samba sul letto. Lui miagolava per scendere, come una principessa sulla torre. Gli ho accarezzato la testolina e gli ho detto: «Devi avere un po’ di pazienza. La tua casa arriva fra poco». Due giorni dopo sono arrivati questo, questo e quest’altro: il rigido, il semirigido, il pesce e il non pesce. Questo era fatto così e quest’altro era fatto cosà. Samba ha aspettato che scartassi e sistemassi tutti i suoi accessori e poi è andato a dormire nello scatolone vuoto. Perché si sa, a un gatto non puoi mai dire cosa fare. Nemmeno se è tuo. O tu sei sua.

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Settembre 2015

Testi: PulsatillaCopertina ed illustrazioni: Carlo Stanga

Un ringraziamento particolare a Amnesty International, Benson & Viscardi, Carmine Sarzano, Cravattamania, Eleonora Albanese, Fabrizio Zerbini, Giovanni Marotta, Martina Marotta, Il mondo baby, Italo Rota, Luca Ambrosini, Luisaviaroma, MarteModena, Matteo Caccia, NonSoloDroni, Oxfam Italia, Sonia Misul, Susanna e Silvio Visioli, Tommy Demartis, Valeria di Napoli, You Dream Italy.

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Questo libro è un tributo a tutte le persone che hanno contribuito alla storia del nostro successo.

#eBay20

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