22 gennaio 2015 - teatro remigio paone - formia g iovanni d e v ita deontologia professionale e...
TRANSCRIPT
22 gennaio 2015 - Teatro Remigio Paone - Formia
GIOVANNI DE VITA
Deontologia professionale e nuovo welfare
LE PROFESSIONI DEL SOCIALE
NELL’ITALIA CHE CAMBIA
L’antropologia che si tende a praticare ha alcuni punti fermi; tra questi si ritiene di dover insistere, in questa sede, sulla dimensione delle contestualità.
Il contesto.
Si vuol dire che nella scienza, nelle materie, in tutte le discipline non c’è, non esiste, non è ipotizzabile un sapere fisso, statico, immobile sempre uguale a se stesso.
Il sapere, la conoscenza, la scienza cambiano a seconda dei tempi e dei luoghi in cui vengono praticati.
Cambiano, appunto, a seconda dei contesti.
Legge n. 328 /08.11.2000
Legge quadro per larealizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
I CAMBIAMENTI APPORTATI
Essa ha innanzitutto segnato il passaggio dalla concezione di utente quale portatore di un bisogno specialistico a quella di persona nella sua totalità costituita anche dalle sue risorse e dal suo contesto familiare e territoriale; quindi il passaggio da una accezione tradizionale di assistenza, come luogo di realizzazione di interventi meramente riparativi del disagio, ad una di protezione sociale attiva, luogo di rimozione delle cause di disagio ma soprattutto luogo di prevenzione e promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità.
L’attenzione con tale legge (n. 328 /08.11.2000) si è spostata poi:
• dalla prestazione disarticolata al progetto di intervento e al percorso accompagnato;
• dalle prestazioni monetarie volte a risolvere problemi di natura esclusivamente economica a interventi complessi che intendono rispondere ad una molteplicità di bisogni;
• dall’azione esclusiva dell’ente pubblico a una azione svolta da una pluralità di attori quali quelli del terzo settore.
CODICE DEONTOLOGICOapprovato il 17.07.2009 – in vigore da 01.09.2009
• Titolo 1: Definizione e potestà disciplinare
• Titolo 2: Principi
• Titolo 3: Responsabilità dell’AS nei confronti della persona utente e cliente
• Titolo 4: Responsabilità dell’AS nei confronti della società
• Titolo 5: Responsabilità dell’AS nei confronti di colleghi ed altri professionisti
• Titolo 6: Responsabilità dell’AS nei confronti dell’organizzazione di lavoro
• Titolo 7: Responsabilità dell’AS nei confronti della professione
OMS: Salute/malattia
ovvero ben-essere/mal-essere
Il concetto di salute formulato nel 1948
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è ancora
oggi alla base della definizione ufficiale del termine
‘salute’. La definizione formulata dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità è da più di 65 anni la seguente:
«La salute è uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e non consiste soltanto in una
assenza di malattia o di infermità».
La salute è dunque percepita come
risorsa della vita quotidiana e non
come il fine della vita: è un concetto
positivo che mette in valore le risorse
sociali e individuali, come le capacità
fisiche.
Così, la promozione della salute non è
legata soltanto al settore sanitario:
supera gli stili di vita per mirare al
benessere.
Salute/malattia , ovvero ben-essere/mal-essere
Potrebbe essere necessario percorrere un itinerario che non dia per scontato il concetto di scienza medica ma che, invece, tenti di problematizzarlo.
La prima proposta da avanzare sarebbe quella di accantonare il concetto di salute-malattia, sostituendolo con quello di benessere-malessere. Non è solo la salute che si cerca. Si cerca un più generico “stare bene” che coinvolge più piani, quello somatico, quello biologico, ma anche quello psichico, quello emotivo. Si hanno alcune tecniche atte a reintegrare questi piani ogni volta che essi siano insidiati dal malessere. Abbiamo, così, un primo allargamento concettuale: non si tratta più di “come guarire”, intendendo la malattia un incidente di percorso della condizione di salute, ma di “come stare bene”.
Fabio Folgheraiter, Sorella crisi. La ricchezza di un welfare povero, Trento, Erickson, 2012
Zygmunt Bauman, Le vespe di Panama. Una riflessione su centro e periferia, Bari-Roma, Laterza, 2007
Zygmunt Bauman
Le vespe di Panama.
Una riflessione sucentro e periferia
Editori Laterza
Sorella crisi. La ricchezza di un welfare povero
Capitolo 1
La crisi come opportunitàLa logica del denaro e la logica delle relazioni
Capitolo 2
Terapie povere ma belleDalla tecnologia dell’umano al fronteggiamento sociale
Le due dimensioni del welfare istituzionale
Per comprendere le complicate questioni in gioco e non avvitare i ragionamenti, è bene tener distinti due ordini di realtà: il welfare teso alla sopravvivenza e quello teso al senso del vivere.
Il primo è un ambito in cui il denaro può svolgere una funzione diretta, cioè andare a risolvere i problemi sul tappeto per esclusiva forza propria.
Il secondo è un ambito più sofisticato e indefinito, dove il denaro continua a essere importante ma esprime necessariamente una funzione ancillare e propulsiva rispetto ad altre energie primarie non tangibili.
Qualora, come spesso accade, il rapporto venga invertito, per sventatezza o inerzia, cioè qualora il denaro sia ritenuto primario ed esclusivo, esso cannibalizza quelle stesse risorse che lo possono far fruttare.
F. Folgheraiter, Sorella crisi, p. 19
Ovviamente i soldi servono e a volte sono
un’autentica manna. Allo stesso modo
servono le prestazioni che queste risorse ci
consentono di ottenere. Ma occorre avviarsi a
comprendere che non è mai possibile
convertire le risorse tangibili in vero well
being al di fuori di una mediazione umana
profonda. Pretendere di star bene perché si
posseggono i soldi per ‘comprarlo’, senza
ulteriormente ragionare e interrogarsi sul
senso di tutto ciò, si rivela al dunque
un’insostenibile «arroganza».F. Folgheraiter, Sorella crisi, pp. 29-30
Il benessere non è un affare
mercantilistico: quelli che vogliono
lucrare su di noi e le nostre ansie di star
bene non si occupano di noi, ma per
l’appunto dei loro utili. Non è neppure una
partita tecnocratica: quelli che credono di
sapere scientificamente come manipolarci
per il nostro presunto bene non si occupano
davvero di noi ma della gratificazione del
loro Io.
Il benessere è costruito con pazienza e
umiltà dagli stessi esseri umani che in
diverso grado lo fruiscono.F. Folgheraiter, Sorella crisi, pp. 34-35
Le vespe di Panama
Per gli studiosi, l’assioma degli istinti di socializzazione limitati ad «amici e parenti» o «alla comunità di appartenenza» era «logico», per la gente comune era «sensato». Non che mancassero gli strumenti per rispondere alla domanda: era la domanda ad essere giudicata immotivata. Grandi fondi e grandi energie sono stati invece profusi dagli enti di ricerca per cercare di capire come facessero gli insetti sociali a individuare un estraneo in mezzo a loro: lo riconoscevano tramite la vista? Tramite l’udito? Tramite l’odorato? Tramite lievi sfumature nel comportamento? L’interrogativo che intrigava i ricercatori era come riuscissero gli insetti a gestire con successo un compito che gli esseri umani, con tutte le loro sofisticate armi e strumentazioni, riescono a svolgere solo parzialmente [e cioè] mantenere ermeticamente chiusi i confini della «comunità» e conservare efficacemente la separazione fra «noi» e «loro».
Quello che passa per «logica» (nel suo ruolo
di autorità suprema che emette e accetta
giudizi incontestabili) o per «buon senso»
(nel suo ruolo di giudizi precostituiti, mai o
quasi mai contestati) tende sempre a
cambiare con il tempo. Cambia insieme alla
condizione umana e alle sfide che propone. Si
tratta di convinzioni «prassomorfiche», che
vedono il mondo attraverso la lente delle prassi
umane, attraverso ciò che gli uomini
comunemente fanno, sanno come fare e
tendono a fare.Z. Bauman, Le vespe di Panama, pp. 6-7
Contrariamente a tutto quello che si sapeva o si riteneva di sapere da secoli, i ricercatori londinesi hanno scoperto a Panama che una larga maggioranza di «vespe operaie», il 56%, cambiano alveare nel corso della loro vita: e non semplicemente traslocando in altre colonie in qualità di visitatori temporanei, male accetti, discriminati e marginalizzati, a volte attivamente perseguitati, e comunque sempre guardati con ostilità, bensì in qualità di membri effettivi (si sarebbe tentati di dire «a pieno titolo») della «comunità» adottiva, che provvedono, al pari delle operaie «autoctone», a raccogliere cibo e a nutrire e accudire la nidiata locale. La conclusione che si ricava da questa scoperta è che gli alveari su cui è stata condotta la ricerca sono normalmente «popolazioni miste», con vespe native e vespe immigrate che vivono e lavorano guancia a guancia e spalla a spalla, divenendo, almeno per gli osservatori umani, indistinguibili le une dalle altre se non con l’ausilio degli identificatori elettronici.
Quello che le notizie in arrivo da
Panama ci svelano è innanzitutto uno
sbalorditivo rovesciamento di
prospettiva: quello che fino a non
molto tempo fa era ritenuto lo
«stato di natura», si è rivelato,
guardandolo in retrospettiva,
nient’altro che una proiezione
sugli insetti di prassi fin troppo
umane.
Per sintetizzare: la differenza tra le «mappe cognitive»
che si portavano dietro nella loro testa gli entomologi di
vecchia generazione e quelle acquisite/ adottate dalle
generazioni più giovani riflette il passaggio, nella storia
degli Stati moderni, dalla fase del nation-building alla
fase «multiculturale». Più in generale il passaggio dalla modernità «solida», dedita a trincerare e
fortificare il principio della sovranità territoriale, esclusiva
e indivisibile, e a circondare i territori sovrani con frontiere impermeabili, alla modernità «liquida»,
con le sue linee di confine sfocate e altamente
permeabili, un’inarrestabile (anche se lamentata,
malvista, combattuta) svalorizzazione del territorio e un
intenso traffico umano attraverso qualsiasi tipo di
frontiera.
Già, il traffico umano … che scorre in entrambe le
direzioni
E all’orizzonte non si vedevano «centri» in grado di
regolare il traffico degli insetti (né di qualsiasi altra
cosa).
Ogni alveare doveva sbrogliarsela più o meno per
conto proprio con le incombenze della vita, anche se
gli alti livelli di «turnover del personale»
probabilmente garantivano che il know-how
acquisito da un nido potesse (come effettivamente
accadeva) viaggiare liberamente e contribuire alla
sopravvivenza di tutti gli altri alveari.
La «centralità» del centro è stata smantellata, e il
legame fra ambiti strettamente connessi e
coordinati fra loro è stato (forse irreparabilmente)
spezzato …
Smantellata la centralità, rimane la
convinzione che ciascuno – nel suo
piccolo o nel suo grande – svolge un ruolo
decisivo e determinante, ragion per cui
diventa inutile continuare a cercare
qualche capro espiatorio (lo stato, il
governo, la criminalità organizzata, il
‘capo’) su cui scaricare la responsabilità
del mio mancato impegno e della mia
mancata realizzazione. Forse un po’ dipende
da me !