35 gemma galgani (testimone del soprannaturale)

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NELLA STESSA COLLANA SONO USCITI:

l. FAUSTO POZZI c.P. S. Gabriele dell'Addolorata studente passionista; con Prefazione di Mons. S. A. Battistelli c.P. S. Gabriele 1973, pp. 292, esaurito.

2. PIERGIOVANNI BONARDI c.P. "Con l'Amore Crocifisso» . S. Gemma Galgani; a cura di Gabriele Pollice c.P.; con Prefazione di Divo Barsotti. S. Gabriele 1975, pp. 252.

3. FILIPPO D'AMANDO c.P. Accanto a due Papi: P. Luigi Besi passionista: con Prefazione del Prof. Pau I Droulers S.l. S. Gabriele 1975, pp. 525.

4. AA.VV. Spiritualità della Croce: Antologia di profili e testi spirituali dal 1900 ad oggi. I. (1903·1926); con Introduzione di Carmelo A. Naselli c.P. S. Gabriele 1976, pp. 478, 20 iII. esaurito.

5. FILIPPO D'AMANDO c.P. UI1 prul10 dalle banche dolci: P. Stal1islao Mal/eucci passiol1ista; con Pre· sentazione di Mons.~sare Pagani, vescovo di Città di Castello e Gubbio. S. Gabriele 1976, pp. M2.

6. AA vv Spiritualità della Croce ... , II. (1928-1946). S. Gabriele l Q76, pp. 486.

7. CARLA RONCI Diario, Lettere e Scrilli spirituali; con Introduzione, note e testimonianze a cura di Filippo D'Amando c.P. S. Gabriele 1977, pp. 335.

8. AA.VV. Spiritualità della Croce ... , III. (1948-1956); con Prefazione di Mons. S.A. Bat­tistelli c.P., S. Gabriele 1977, pp. 385.

9. AA vv. Spiritualilà della Croce ... , III. (1948-1956); con Prefazione del Prof. Massi­mo Petrocchi. S. Gabriele 1978. PP. 392.

lO. GERARDO M. SCIARRETTA C.P. "elarilas Passionis». Appul1ti di meditazione sulla Passione; con Introdu­zione di Tito P. Zecca e A. Di Bonaventura c.P. S. 1978, pp. 96.

11. CARMELO A. NASELLI c.P. "Sorella mia ... ». S. Gemma Galgani e S. Gabriele dell'Addolorata Ira il vi­sibile e l'il1visibile; con Prefazione di Antonio M. Artola c.P. S. Gabriele 1978, pp. 92.

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12. LUIGI FIZZOTTI c.P. Il segreto di Teresa Palmiflota. La dire:.i(me spiritI/alI' di I/na grande mi­stica; a Cl~ra di Carmelo A. Naselli c.P. S. Gabriele 1979, pp .. 246.

13. AA.VV.

Spiritualità della Croce ... , V. (1967 -1976); con Prefazione di Divo Barsol li. S. Gabriele 1980, pp. 424.

14. AA.VV.

Come hanno testimoniato. Profili e testi spiritI/ali di alCI/ne religiose del· l'Istitlllo Suore Passioniste di s. Paolo della Croce (1879-1973); con Prefa­zione di M. Edoarda Achille e Inlroduzione di Carmelo A. Naselli c.P. S. Gabriele 1980, pp. 436.

15. J. PASTOR-G. ARINTERO Al centro dell'Amore. Corrispondenza spiritI/aIe (1922-1928), a cura di Ar­turo Alonso Lobo O.P. Co-edizione" Pro Sanclilale» - "Eco», Roma·S. Ga­briele 1981, pp. 423, esaurilo.

16. CARMELO A. NASELLI c.P. Amore e candore: Sr. Tarsilla Osti; con Prefazione di M. Celeslina Tolaro. S. Gabriele 1982, pp. 100

17. AA.VV

"Mettimi la mano SI/l cuore». Camhicnte spiritI/aIe di I,I/cia Mangano; con Introduzione di Pielro Schiavone S.J. S. Gabriele 1982, pp. 205.

18. MARTIN BIALAS c.P. La Passione di GesIÌ in S. Paolo della Croce, a cura di Fabiano Gio!'gini c.P., con Presentazione del Prof. Jurgen Mollmann. S. Gabriele 1982, pp. 222.

19. CARLA RONCI Lettere, con Presentazione e note di Mons. Dol!. Giacomo Drago. S. Ga­briele 1983, pp. 220.

20. GERARDO M. SelARRETTA c.P. Diario, a cura di Tarcisio Silvetti e Filippo D'Amando c.P., l. voI. (1965-1967). S. Gabriele 1983, pp. 367, esaurilo.

21. DANIELA MARGHERITA MERLO Maria Maddalena Frescobaldi, fondatrice delle Suore Passionistc di S. Paolo della Croce, S. Gabriele 1984, pp. 285.

22. CORNELIO FABRO Gemma Galgani, TcstimOflC del soprannaturale, pp. 484.

23. MADDALENA MARCUCCI, c.P. La santità è amore. Invito alla santità per la via dell'amore, pp. 291

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Cornelio Fabro

GEMMA GALGANI TESTIM_ONE

DEL SOPRANNATURALE

Editrice CIPI Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13 - 00184 Roma

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Alla pia memoria di mia sorella Alma Teresina (+ 27 luglio 1985) anima di fede semplice e forte

R1989

© Monastero delle Passioniste Fuori Porta Elisa, 55100 LUCCA

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PRESENTAZIONE

Un 'altra biografia di S. Gemma Galgani? No. Hai in mano una contemplazione-studio di Gemma come qua­lificata testimone del « soprannaturale ». Gli altri bio­grafi, cominciando da Germano, suo direttore spiritua­le e primo biografo, ad Antonelli, a Zoffoli, a Bonardi, a Mons. Agresti, a Villepelée, hanno parlato del sopran­naturale di cui è piena la vita di Gemma. Ma [J,èr sottoli­neare o un dono mistico in più o un aspetto di brova spi­rituale a cui il Signore sottoponeva la sua se'r'Va.

Fabro, con acuta investigazione filosofica e teolo­gica, unita ad amore e riverenza, si avvicina a Gemma per scoprire il mondo in cui viveva. La grazia redenti­va trasforma Gemma in una nuova creatura raccolta totalmente su Gesù crocifisso. Gemma vive solo di Ge­sù crocifisso, brucia del suo amore ed anela a collabo­rare perché il fine della passione di Gesù diventi realtà nella salvezza di ogni persona.

Le visite di Gesù, della Madonna, la presenza del­l'Angelo custode, di S. Gabriele dell'Addolorata, anche il tenebroso muoversi del demonio, sono studiati non tanto come un semplice dono mistico o come una pro­va spirituale in più che Gemma riceve, ma come un aspetto della sua missione. Dio ha voluto, attraverso questi interventi di esseri veri del mondo invisibile, rendere Gemma testimone del soprannaturale in un 'e­poca in cui il razionalismo tenta di ridurre il mondo della persona umana al solo fenomeno del visto e del sentito. Il card. Gasquet affermava in proposito: « Per noi che viviamo in quest'epoca materialistica all'ecces­so, che solo alla ragione presta fede, ed in cui il sopran­naturale o viene costantemente negato, o, esposto alla

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così detta critica, vien messo in dubbio, è cosa confor­tante» leggere gli scritti di Gemma (vedi p. 6).

La radice di questo aspetto peculiare della missio­ne di Gemma viene individuata però nella reale e pro­fonda partecipazione della medesima alla passione di Cristo ed alla causa della stessa passione, cioè il pecca­to del mondo. L'autore guida il lettore attraverso l'ana­lisi degli scritti della Santa a capire qualche cosa dell'i­neffabile e terribile esperienza di Gemma. « Il suo cam­mino è a doppio binario: è fulgori di grazia, che la tra­sfigurano in un 'atmosfera di continuo "stupore" per lei anzilutto, ed il crescente amore-stupore per il senso della sua indegnità davanti a Dio e al prossimo. L'orro­re infinito per il peccato, che ha crocifisso Gesù, diven­ta la misura infinita del suo amore per Gesù crocifisso ed il sigillo per essere crocifissa con Gesù» (vedi p. 454).

Ma fu realtà o fantasia? L'autore nel capitolo quin­to scruta Gemma nella sua umana vivacità, consapevo­lezza e tenerezza e conclude: Gemma era dotata di una «normalità supernormale» per cui, nonostante tante pene di corpo e di spirito, tante tentazioni diaboliche, mai sprofondava nella malinconia propria dei nevroti­ci, ma sapeva mantenersi nella serenità e nella oggetti­vità. Quindi è una testimone credibile circa il mondo soprannaturale. Esso, accolto nell'obbedienza della fe­de a Dio, trasforma e potenzia la persona umana senza estraniarla dalla realtà temporale in cui vive.

L'abbondanza delle citazioni degli scritti di Gem­ma, anche dei pochi ancora inediti, l'uso dei « voti» dei due teologi richiesti da Pio XI e finora inediti e riporta­ti in appendice, le note che allargano l'orizzonte con ri­mandi ai Processi di canonizzazione della Santa, ad esperienze di altri mistici o ad affermazioni di filosofi rendono il libro non solo più apprezzabile, ma aiutano a capire meglio Gemma e la sua missione. Ci si può me­glio rendere conto dell'abbondanza dei doni della s"cienza e della sapienza che lo Spirito Santo ha effuso sulla « povera Gemma ».

Fabiano Giorgini, c.P.

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PROLOGO

La realtà della vita e missione di S. Gemma Gal­gani come «testimone del soprannaturale» si presen­ta nella forma di un'esperienza immediata, cioè intensiva e diretta, di un itinerarium crucis fra bale­namenti di cielo e sussulti d'inferno, nella totale con­formità ai dolori di Cristo nella sua Passione e Morte. È vero che Gemma è stata dichiarata santa dalla Chiesa non per i suoi carismi singolari ma per la pratica eroica delle virtù cristiane, testimoniata nei Processi da quanti l'hanno conosciuta nella sua breve vita, nascosta in Dio e in Cristo. Ma anche i carismi eccezionali, di cui fu investita, hanno il preci­so significato di rivelare agli uomini l'esistenza di un «altro mondo», aldilà e al di sopra di questo nostro mondo umbratile.

Gemma bramava di seppellirsi in un chiostro ed essere la «serva di tutti »: Dio dispose diversamente e la destinò ad essere «luce di tutti» con la testimo­nianza dei dolori di Cristo, stampati con fervore di amore nelle sue carni verginali. È in questo «spazio teologico », che la fede apre all'anima, dove Gemma ha operato all'inizio del nostro secolo la sua missione ecclesiale di eccezione.

Lo ha dichiarato espressamente S. Pio X, il Papa che ha firmato l'introduzione della Causa di canoniz­zazione, come l'ha testimoniato ... a rovescio il sacer­dote Farnocchia, segretario di Mons. G. Volpi, con

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esplicito riferimento al Santo Pontefice che condan­nò il modernismo negato re del Soprannaturale: «Ri­cordo di aver sentito, più probabilmente letto, che Pio X era molto consolato dai fatti soprannaturali così straordinari e così numerosi che si dicono di Gemma da sperare che fosse uno dei mezzi suscitati da Dio per richiamare il mondo al Soprannaturale dallo stato molto materiale a cui si è ridotto» (Proc. Apost. Pisano, fol. 451; citato nelle «Animadversio­nes» del Promotore gen. della fede, nr. 32, p. 46). Il detto Farnocchia, ninfa egeria del confessore Mons. Volpi, si è mostrato sempre avversario della Santa. Il confessore poi, solo pochi anni prima della sua morte avvenuta a Roma nel 1931, ritrattò il suo scet­ticismo circa il carattere soprannaturale dei «feno­meni» di Gemma.

Luminosa, in questo contesto, è la testimonianza del benedettino inglese Card. A. Gasquet: «... È ben difficile trovare un altro esempio così prodigiosQ del­l'azione di Dio Onnipotente in un'anima che si era data interamente in balìa della sua grazia divina. Per noi che viviamo in quest'epoca materialistica all'ec­cesso, che solo alla ragione presta fede, ed in cui il soprannaturale o viene costantemente negato addirit­tura,o, esposto alla così detta critica, vien messo in dubbio, è cosa confortante leggere un libro, che ci riporta a Dio, e ce lo mostra vicino a questo povero mondo. Quanto a me personalmente, non conosco la vita di alcun santo, in qualunque epoca della Chiesa, che abbia ravvicinato al mio spirito il soprannaturale, con maggior spontaneità e con maggior pienezza, del­la vita di Gemma Galgani» (Introduzione alla trad. inglese della Vita di S. G., scritta da P. Germano, a cura del benedettino A. N. O' Sullivan, London, Her-

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der, s.d., p. XXIV. - È riportata nella «Positio super revisione scriptorum », p. 22 - corsivo nostro)(1).

Anche oggi, nell'agitazione dilagante in molte parti della Chiesa del post-Concilio, in campo sia dogmatico come morale, la testimonianza del So­prannaturale, vissuto dall'umile vergine lucchese, torna ad essere di forte luce di verità e di ardente stimolo di santità.

Roma, Festa dell'Annunciazione 1987.

(1) A questa eccezionale testimonianza fa eco quella del card. Idel­fonso Schuster, anch'egli benedettino, che riportiamo in appendice.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Questi nostri appunti si fondano quasi unicamente sulle fonti dirette ed in primo luogo sugli scritti e sulle parole di Gemma, raccolte nelle edizioni a cura della Postulazione dei PP. Passionisti.

I) Lettere di S. Gemma Galgani, rist. dell' ed. 1941 a cura del P. Giacinto del SS. Crocifisso. Il volume è diviso in 3 parti.

1) Lettere al P. Germano, direttore straordinario (sono in tutte 131 e formano il blocco più importante poiché in essa l'anima della Santa si effonde con tut­ta la spontaneità e vivezza dei sentimenti raggiungen­do spesso vertici espressivi eccezionali). Esistono presso la Postulazione alcune lettere ancora inedite, messe a disposizione di questa nostra silloge.

2) Lettere a Mons. Volpi confessore ordinario (sono 67 e gli editori dicono che sono le «più impor­tan ti »: p. 310). Alcune sono brevi biglietti, ma le altre non cedono in densità e profondità spirituale rispet­to a quelle dirette a P. Germano: fra tutte eccelle la 55 a del 1901 con l'estasi di Gesù Bambino che le tra­smette per Monsignore il messaggio: « ... Assicuralo che sono io, Gesù che ti parlo e che fra qualche anno per opera mia tu sarai Santa, farai miracoli, e sarai agli onori degli altari» (p. 384).

3) Lettere a persone diverse fra le quali vanno segnalate le lO dirette alla passioni sta di Tarquinia sr. Maria Giuseppa (Armellini) e le 9 alla Sig.a Giu­seppina Imperiali di Roma (La «Serafina »): per l'im­peto, il fervore e la delicatezza dei sentimenti esse attingono spesso momenti di profonda commozione

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spirituale e mistica nello « ... struggimento della lon­tananza» delle destinatarie.

L'edizione si presenta eccellente ed è preceduta dalla splendida Introduzione scritta dal concittadino della Santa il cardinale E. Pellegrinetti. Si desidera perciò un'edizione critica integrale che comprenda anche quelle ancora giacenti presso l'Archivio della postulazione con i frammenti.

II) Estasi - Diario - Autobiografia - Scritti vari, rist. della II edizione, Roma 1975 (Anche questo volume è preceduto da una degna prefazione del Cardinale Pellegrinetti).

Le Estasi sono in tutto 141 ed anche ogni lettore si meraviglierà dell'esiguo numero quando si pensa che andarono perdute tutte le Estasi avute in fami­glia e nei periodi di vacanza e che durante i quasi 4 anni che Gemma rimase ospite in casa Giannini aveva estasi pressocché tutti i giorni e qualche gior­no anche più volte. Poi Gemma in estasi parlava pia­no, quasi sussurrando, con un filo di voce: ma non si sarà mai abbastanza grati ai Giannini per quanto hanno potuto fare nel raccogliere queste vere «gem­me di Gemma» in un linguaggio di comunicazione ce­lestiale che attendono ancora di essere studiate a fondo.

Il Diario che descrive giornalmente i favori cele­sti dal Giovedì 19 Luglio al Lunedì 3 Settembre 1900 meriterebbe di essere confrontato con le rispettive Lettere ed Estasi contemporanee per avere un qual­che concetto del tipo di unità e continuità nella vita spirituale della coscienza di Gemma.

L'Autobiografia, che va dalla prima infanzia alla venuta di P. Germano nell'estate del 1900, sta a sé

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come un tutto unitario e). Essa è un gioiello nel suo genere per la freschezza toscana dello stile e per la trasfigurazione spirituale che vi ricevono gli eventi nell'avanzare dell'opera della grazia nell'anima di Gemma: l'ambiente e le disgrazie familiari, le pene per la malattia e la morte della mamma e del babbo, le sofferenze per la condotta del fratello Ettore e del­la sorella Angelina, l'affetto celestiale per il fratello chierico Gino e la sorellina Giulia che la precedono in cielo; le gravi malattie e la miracolosa guarigione del 3 marzo 1899, soprattutto l'esperienza del Croci­fisso. In particolare poi la descrizione della «grazia grandissima» dell'impressione delle Stimmate (8 giu­gno 1899), in stile diretto e con espressione immedia­ta: la Santa vi condensa, con termini di rara effica­cia, non solo la solenne grandezza dell'evento, ma insieme la natura della sua missione come «figlia della Passione ».

Gli Scritti vari, importanti per conoscere lo spiri­to della Santa, sono: Relazione della guarigione (9 marzo 1899, scritta sei giorni dopo la guarigione); Ap­punti di Diario (anno 1899); Rivelazione avuta da Ge­sù sulla Madre Giuseppa, monaca Passionista (Di­cembre 1899); Risposte ad alcune domande di P. Germano (circa il 7 settembre 1900), sono in preva­lenza di argomento teologico-spirituale: La Flagella-

(2) Nell'edizione alle pagine 223 e 226 si segnalano [con puntini] due omissioni. Il ricorso al Manoscritto originale fa conoscere due episo­di nell'ambiente familiare che devono aver turbato il pudore della Gem­ma ancora bambina (vedi al riguardo a p. 242 la sofferenza che provò per l'ispezione medica circa i disturbi renali e per l'intervento chirurgico a cui fu sottoposta). È vero che il testo dell'Autobiografia (o «Confessio­ne ») era destinato al solo P. Germano ... «< che lo bruci subito »): ma l'inse­rimento, in una prossima edizione, dei due incisi, ci sembra gioverà a integrare il quadro della sua anima ed a comprendere meglio l'attualità del suo esempio, come modello di mortificazione e purezza per l'educa­zione cristiana della gioventù del nostro tempo.

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zio ne - le due corone (Giovedì 7 febbraio 1901); sul mistero dell' Incarnazione (Spiegazione avuta dall' An­gelo Custode il 25 marzo 1901). Seguono: Propositi e Promesse - Versi (anelando al chiostro) - Affetti a Gesù - Sentenze e aspirazioni - Giaculatorie per ogni circostanza.

Il giudizio di Gemma sui suoi scritti è molto seve­roe): «Ma quanto soffro nel dovere scrivere certe cose! La ripugnanza che provavo sul principio, anzi­ché diminuirmi, assai più si va a crescere, ed io provo una pena da morire. Quante volte oggi ho tentato di cercarli e bruciarli tutti (i miei scritti)! e poi? tu for­se, o Dio mio, vorresti che scrivessi anche quelle cose occulte(4), che mi fai conoscere per tua bontà, per sempre più tenermi bassa e umiliarmi? Se lo vuoi, o Gesù, son pronta a fare anche quello: fà conoscere la tua volontà. Ma questi scritti a che gioveranno poi? Per tua maggior gloria, o Gesù, o per farmi sempre più cadere nei peccati? Tu che hai voluto che faccia così, io l'ho fatto. Tu pensaci: nella piaga del tuo S. Costato, o Gesù, nascondo ogni mia parola» (Estasi... p. 200). Al P. Germano scrive: «Non leggo ciò che ho scritto, poiché mi vergogno» (Lett. 101 a, p. 243).

Scritti perduti - Alcuni furono distrutti da Gem­ma stessa: Lett. 112 a al P. Germano «Di tutti gli ap­punti che buttai via ... » (p. 264). «Ma questi scritti a

(3) Entusiasta invece e profondo è il giudizio cit. della autorevole Civiltà Cattolica.

(4) Chissà poi se quelle « cose occulte» di cui parla la Santa, sono state mai scritte? La teste Sr. Cecilia Bertini dichiara ancora: «Mi ricor­do che mio cugino facendomi vedere un taccuino scritto a [da) Gemma mi disse: « Ci sono tante belle cose qui, dove si vede la santità di Gemma: ma non faccio vedere a nessuno, finché Gemma non sia morta ». « Mio cugino, aggiunge la suora, poco dopo morì e non so cosa sia stato di quel taccuino» (Lucana, Positio super virtutibus, Testis XXXIII, p. 232 s.).

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che gioveranno poi? » (p. 200). E anche andata smarri­ta la lettera scritta a S. Gabriele e consegnata all'An­gelo (Estasi ... p. 212 s.). Perduta è andata la lettera a P. Germano del 14 luglio 1901 e forse altre ancora. L'Autobiografia ricorda un «piccolo libretto» in cui dall'inizio del 1896 la Santa scriveva i suoi propositi (p. 235). E stata ritrovata invece presso il Ritiro di S. Eutizio la lettera alla Signora Rosa Colucci, appar­tenente al Collegio di Gesù, che è un sublime invito alla sofferenza per amore di Gesù Crocifisso (La cau­sa di questa perdita è stata la riservatezza stessa di Gemma). Per tutto questo valga la dichiarazione di Eufemia Giannini: «Questo suo contegno riservato, questo suo silenzio specialmente di cose che la ri­guardavano, ci ha fatto perdere molte notizie e chi sa quanto importanti» (Nova Positio ... , Lucana, p. 2).

L'edizione ultima dei due volumi (Lettere e Scrit­ti vari) è pregevole, soprattutto per l'apparato delle note che riportano spesso ampi stralci di corrispon­denza specialmente del P. Germano con Gemma, con Mons. Volpi, con Cecilia Giannini e delle loro rispo­ste, utili a chiarire lo sfondo o contesto del testo del­la Santa.

Una preziosa informazione nei Processi della si­gnora Tecla Natali ci fa presentire che le perdite de­gli scritti di Gemma sono notevoli. L'occasione, a quanto sembra, è la pubblicazione della «Vita» di Gemma a cura di P. Germano: «Ho letto la vita stam­pata di Gemma Galgani ed altri scritti stampati ed ho letto una lettera che deposito; lessi anche altre let­tere, dove dava tanti buoni consigli ad una ragazzina, un po' depravetta, richiamandola ad una vita buona; l'esortava proprio tanto e le diceva che pregava pro­prio tanto per lei per ottenere che si fosse rimessa

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sulla buona via; ma è morta ed è morta bene questa figliola, la quale avrebbe avuto tante lettere da pre­sentare, ed anche tante cose da dire, perché lei da Gemma ci andava tutti i giorni, ce l'ho trovata an­ch'io: Gemma era ammalata e non si poteva muovere e le diceva, proprio piangendo: «fammi questa cosa: vatti a confessare e sarai più contenta, ed otterrai anche le grazie che desideri» (Ibid., Nr. II, Catalogus testium, Testis XVII, p. 19). È stata ora pubblicata dal P. G. Mucci, S. J. una lettera inedita alla Sig.ra Giuseppina Imperiali, penitente di P. Germano e membro del «Collegio di Gesù ». Gemma le scrive per consolarla per la perdita di un bimbo (La Civiltà Cat­tolica, Nr. 3284, 1987, p. 150 s.).

III) Processi - I) Lucana I: S. D. Gemmae Galgani Po­sitio super virtutibus, Roma 1927 (p. 111 + 913 + 47 + 135).

Lucana II - Positio super revisione scriptorum (S. Rituum Congregatio, Romae 1917 che contiene (pp. 160) le adnotationes del Sub. Promotor Fidei e le osser­vazioni del teologo censore (pp. 3-66) con le risposte del P. Postulatore della causa P. Luigi Besi (pp. 1-168).

Gli scritti della Santa, come presentati dal Postu­latore, sono divisi in ben dieci serie, compresi quelli che sono stati omessi nei due volumi dell'ed. corren­te, ad eccezione delle lettere. Il teologo mostra di aver percorso con impegno e responsabilità gli scritti (il voto porta la data del 15 settembre 1913) e l'A. mo­stra di aver capito l'indole di rara semplicità e pro­fondità dell'anima di Gemma: egli è rimasto colpito soprattutto dal «linguaggio celeste» delle Estasi (det­te qui «Colloqui »: p. 8). Le osservazioni sono divise in due classi: 1) Cose ed espressioni che sembrano contrarie alla dottrina cattolica. E risponde: «Sono pochissime ed ancora tali che senza sforzo si possono

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interpretare in un senso accettabile ed ortodosso» (p. 8). Il lettore, che ha una buona familiarità con gli scritti della Santa, non potrà che trovarsi d'accordo. 2) Cose ed espressioni singolari e straordinarie le qua­li però non contengono niente di contrario né alla fede, né ai buoni costumi (p. lO). Quanto poi alle lettere al P. Germano « ... (esse) esibiscono un tal carattere di sincerità, di umiltà e di fiducia nel Direttore Spiritua­le, che non permette al lettore (non già prevenuto con­tro la Serva di Dio) di pensarne male o tenerla per una illusa. E lo stesso vale anche per le altre lettere già esaminate fin qui o che seguono ancora» (p. 41). Il pa­rere finale (Votum) conferma le osservazioni prece­denti: «Letti con attenzione tutti gli scritti della Serva di Dio a me consegnati e avendo riflettuto con diligen­za anche su quelle cose che sopra ho notato come sin­golari e straordinarie all'apparenza in contrasto con la fede e la verità, dichiaro davanti a Dio di non aver trovato nulla che meriti una nota teologica men che buona, anzi di aver trovato molte cose che attestano la santità della Serva di Dio» (p. 66).

La Commissione dei Cardinali della S.c. dei Riti il 9 dicembre 1913 giudicò opportuno (forse perché sembrò troppo benevolo?) di sottoporre il lavoro e la conclusione del teologo censore ad un ulteriore esame che il Promotore della Fede giudicò opportu­no affidare al Postulatore stesso della causa, il P. Luigi Besi, Consigliere Gen. della Congregazione Pas­sionista, per la sua singolare conoscenza degli scritti di Gemma. Il suo studio è denso di osservazioni teo­logiche, storiche ed agiografiche e conferma punto per punto, approfondendole, le osservazioni e le con­clusioni del teologo censore(5). Fra le testimonianze

(5) Lucana. Beatificationis et Canonizationis Dei famulae Gemmae Galgani, Virginis, Positio super revisione scriptorum, Romae 1917 (pp. 168).

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a favore emergono quelle del Card. P. Gasparri fer­vente devoto della Galgani, del Card. G. Della Chiesa (poi Benedetto XV, compagno di studi del P. Besi al Collegio Capranica) e quelle venute dalle terre di missione. Fra queste ricordiamo quella entusiastica del dr. E. Sugita dell'Università di Tokio per il quale « ... la serafica vergine di Lucca sembra essere stata posta in questo mondo per opporre il suo candore e la sua umiltà ai sofismi della moderna filosofia, in­venzione del demonio)} (p. 21). Più avanti è riportata la recensione magistrale apparsa sulla Civiltà Catto­lica (riportata a p. 45 ss.) del gesuita p. Celi sugli scritti della Galgani (Anno 1909, voI. II, p. 727) e della Ciencia Tomista dei domenicani spagnoli (n. VI, 1915, p. 122, riportate a p. 47 s.). Nella nota 1 di p. 49 s. si legge un'entusiastica recensione di L'Araldo Catto­lico, a. III, n. 9 et a p. 50, sempre nella stessa nota, un ampio elenco di riviste e giornali italiani ed esteri che hanno riportato giudizi «egregi)} (egregie) sulla vita e sugli scritti di Gemma. Piace riportare il giudi­zio esatto ed equilibrato del (già citato) Card. bene­dettino inglese A. Gasquet: «In questo libro tutto mi sembra ammirevole e misterioso, e nel leggerlo si sente la presenza di Dio, di Maria SS.ma, e degli An­geli, nel mondo: e sopra tutto rimane la viva impres­sione dei patimenti per noi sofferti dal N.S.G.C.)} (p. 51). Questo lavoro paziente ed acuto del P. Besi, ec­cellente teologo, ha costituito con la vita scritta da P. Germano la piattaforma per il riconoscimento del­la santità della Galgani: esso si raccomanda anche per l'ampiezza della documentazione e la profondità della conoscenza della letteratura mistica e agio­grafica.

Sotto il profilo teologico il P. Besi mette in rilie-

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vo, come il precedente censore, che non si può sem­pre esigere da Gemma la precisione perfetta della terminologia teologica, ma che per il contenuto della sua dottrina è esatto e profondo, come anche noi avremo occasione di ricordare. Il P. Besi ricorre an­che alle testimonianze del Summarium della Causa (p. es. p. 124 ss.).

III. - Nova Positio super virtutibus, Roma 1928 (pp. 27, 132, 78, 448, 124). Va segnalato il Voto, qui incluso (di p. 78) del Rev.mo Mons. G. Antonelli, dot­tore e professore di scienze naturali, sui fatti straor­dinari di Gemma: «Se i fatti straordinari di Gemma Galgani si possano attribuire a cause patologiche o diaboliche o alla forza dell'immaginazione e dell'au­tosuggestione». La risposta, solidamente ragionata come conviene ad un uomo di scienza, è sempre net­tamente negativa: «Tutti i fatti straordinari (sono) di natura divina e quindi provengono da Dio che volle decorare la sua Serva con tante e così grandi grazie singolari, ad eccezione probabilmente del sudore di sangue» (p. 74). Per quest'ultima eccezione: vedi p. 68 ss., a p. 71 si fa un confronto fra i fenomeni di Gemma e di quelli di Teresa Neumann, lasciando sub iudice il caso della veggente tedesca poiché non era stato esaminato ancora. Il voto del prof. Antonelli è stato pubblicato anche separatamente: Le Estasi e le Stimmate della beata Gemma Galgani (Isola del Liri 1933). L'Antonelli ha creduto opportuno premettere alcune nozioni generali sulle estasi e sulle stimmate, che Dio ha concesso a diversi santi, affinché siano apprezzati nella giusta luce i doni soprannaturali del­la Galgani.

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N.B. - 1. I riferimenti biografici sono presi dalla mo­numentale trattazione del P. Enrico Zoffoli, C.P., La povera Gemma, II ed., Roma, 1957: la parte storica s'intreccia con l'alta teologia.

2. Le «lettere inedite », in gran parte spezzoni, mi furono gentilmente comunicate dal P. Federico del­l'Addolorata, Postulatore dei Passionisti ed ora pas­sato all'eternità, che mi fu largo di consigli e indica­zioni preziose. A lui debbo anche una fotocopia della «Confessione generale» od «Autobiografia» il cui originale è conservato nella foresteria dei Santi Gio­vanni e Paolo in Roma. È in buona parte merito suo se questi appunti vedono ora la luce(6).

(6) Devo un particolare ringraziamento al Rev.mo P. Fabiano Gior· gini, c.P., che ha accettato di rivedere il testo e di stendere la presenta· zione, assieme alla prof. Sr. Rosa Goglia per la revisione delle bozze di stampa. La stesura di questi appunti ha impegnato l'autore per più di tre lustri e, nel nuovo clima del naturalismo post-conciliare, ha dovuto bussare alla porta, ma invano, degli editori cattolici italiani più quali­ficati.

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INTRODUZIONE

IL PROGETTO DI DIO (Il mondo di Gemma)

«Il mio cuore è sempre unito a Gesù, e Gesù con­tinua a consumarmi. Caro mio Dio, vorrei in mezzo alle vostre fiamme struggere tutta» (Lett. 111 a al P. Germano)(l).

Sembra che hltti noi abbiamo lo stesso mondo: il mondo della natura e della storia che ci circonda e ci contiene. È il mondo dei giorni e delle notti, del circolare delle stagioni e dello scorrere degli anni. È il mondo delle vicende terrene di ciascuno nella fa­miglia, nella società, nella patria che gli diedero lo spazio per muoversi incontro all'avventura enigmati­ca della vita. È questo il mondo in cui ci incontriamo e ci conosciamo: è il circolo dei pensieri e degli affet­ti che ci muovono e ci agitano; l'alternarsi dei proget­ti e l'accendersi delle speranze. È il mondo insomma delle gioie e dei dolori che ci inseguono nella corsa del tempo che è fatta e intessuta di evidenze e di mi­steri. Ma sembra anche che ognuno abbia il «suo» mondo. E questo non solo perché «quand'ero bambi­no partavo come bambino, pensavo da bambino, ra­gionavo da bambino» (I Cor., 13, Il), perché diverso

(1) La lettera è del 22 giugno 1902 (p. 260), a meno di un anno pri­ma del suo beato transito (11 aprile 1903).

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è il mondo del bambino e dell'adulto, ma anche per­ché la coscienza infantile si sviluppa diversamente da bambino a bambino così che ognuno si porta con sé nella vita lo sfondo della propria infanzia - e ve­dremo con quale intensità questo appare nella nostra Santa - e resta in attesa delle nostre scelte.

Ed è in funzione di queste scelte che ognuno si fa il proprio mondo, lo fa e lo disfà, perché è un mondo che si costruisce nello spazio sempre aperto della li­bertà: tanto più è proprio e speciale, vorremmo dire isolato, il mondo dei santi, quanto più essi furono dota­ti di carismi particolari ed eccezionali, com'è il caso della nostra Gemma. Lei stessa l'ha avvertito, come cer­cheremo di vedere nelle seguenti annotazioni, e qual­che volta ne fu sgomenta fino allo smarrimento come un uccellino travolto nel turbine di una tempesta.

Del tutto speciale quindi è il mondo del cristiano. Esso non è solo spettacolo dei sensi, non soltanto og­getto della investigazione scientifica e tecnica, non solo il campo del suo lavoro, com'è per ogni uomo. È anzitutto il mondo della creazione avvenuta in prin­cipio, fuori del tempo, e ciò significa che per il cri­stiano il mondo che abitiamo ha una figura che passa (I Coro 7, 31), cioè ha il suo senso primo ed ultimo al di là di sé, in Dio, nel Principio che l'ha tratto dal nulla e continua a conservarlo e guidarlo con mirabi­le Provvidenza. È soprattutto il mondo della Reden­zione, avvenuta nel tempo per riparare al peccato del­l'uomo, accaduto al principio del tempo e divenuto oggetto del mistero della misericordia di Dio in Cri­sto, cioè dell'entrata di Dio nel mondo e nel tempo per aiutare l'uomo a salvarsi dal peccato ch'egli conti­nua a commettere nel mondo e nel tempo.

Il mondo dei santi, cioè delle anime che si lascia-

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no attirare da Dio è ancora più speciale: non perché sia un altro mondo cioè diverso da quello offerto e presente a ogni anima grazie al lume della fede, ma perché questo lume è accolto e vissuto con intensità maggiore e più alta. E più intenso diventa il mondo dell'anima e più alto è il suo volo.

Dobbiamo dire allora che l'unico mondo vero è quello del cristiano, perché illuminato, dalla sua ori­gine fino al termine dei secoli, dalla luce della fede che svela l'inserzione del tempo nell'eternità con la creazione e dell'eternità nel tempo con l'Incarnazio­ne, dipanando il guazzabuglio della storia, dei suoi errori e orrori, come una trama di storia sacra qual è il progetto «nascosto dai secoli in Dio» (Et. 3, 9). Più vero di tutti è il mondo dei Santi, perché penetra­to dalla divina grazia che trasporta l'anima alla parte­cipazione della stessa vita divina, in un flusso e ri­flusso di amorosa corrispondenza anche se avvolta nel mistero - un mistero che diventa sempre più acu­to nei Santi - e Gemma l'ha sentito fino ai vertici del dubbio e dello scoramento, come leggeremo presto.

Parlare del mondo di Gemma lo poteva solo Gem­ma. Ed essa l'ha fatto, con umiltà, per ordine dei suoi direttori di spirito, soprattutto nelle Lettere e negli Scritti autobiografici, che hanno avuto varie edizioni sempre più curate nei riferimenti storici e di ambien­te. Ma sono ancora inedite le lettere indirizzate a Gemma (ed a Cecilia Giannini) da parte di P. Germa­no, di Mons. Volpi e degli altri corrispondenti. Le ci­tazioni che leggiamo nelle note alle recenti edizioni delle Lettere e degli Scritti ci fanno desiderare l'inte­ro testo per ricomporre la trama del dialogo fra la santa fanciulla e i suoi fortunati interlocutori. Sem-

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bra poi che Gemma stessa abbia distrutti appunti e scritti vari, assorbiti forse per la maggior parte nella stesura dell'Autobiografia. Si parla anche di alcune lettere rimaste ancora inedite: non c'è da meravigliarsi che, in oltre tre quarti di secolo che ci separano dalla sua morte, nei quali la figura del mondo è così profon­damente cambiata, sia andato smarrito del materiale forse anche importante. Ma anche così come l'abbia­mo, quello che ci resta costituisce un tesoro fra i più notevoli della spiritualità cristiana. ~altra fonte, certa­mente di altro livello e quasi riflesso, sono le testimo­nianze raccolte nei Processi informativi: anche se fra­zionate secondo lo schema teologico delle virtù cristiane, esse forse ci danno, con toni più immediati e accessibili, il mondo storico e quotidiano di Gemma.

Il primo effetto dello Spirito Santo nell'anima della Beata Vergine, come preparazione alla Materni­tà divina, è stato (secondo S. Tommaso) quello di «produrre nella sua anima - ch'era già esente da ogni peccato - uno stato di raccoglimento tota­le »(2). Di Gemma possiamo dire che la concentra­zione della sua anima crebbe di anno in anno in dire­zione di questa unità vitale, ma che l'unum era la coscienza dolorosa dei suoi peccati e la compassione dei dolori di Cristo. Quando nel gennaio 1900 p. Ger­mano assume, accanto al confessore mons. Volpi, la direzione della sua anima, Gemma era già conforma­ta a Cristo crocifisso e spasimante di vivere crocifissa con lui. A fondamento di questa sua missione e testi­monianza nella Chiesa di Dio è la convinzione che Cristo è venuto al mondo, ha patito ed è morto, e con­tinua a patire per i peccati degli uomini - d'ac-

(2) Lespressione latina, bellissima, è quasi intraducibile: « ••• men­tem eius magis in unum colligens et a multitudine sustollens» (5. Th. ma, q. 27, a. 3 ad 3um).

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cordo con Cristo stesso quando afferma che il « Figlio dell'uomo è venuto a cercare e salvare ciò ch'era per­duto» (Luc. 19, 10). Con San Paolo: «Cristo venne nel mondo a salvare i peccatori di cui io sono il primo» (I Tim. 1, 15). Con Sant'Agostino che commenta il te­sto lucano: «Dunque, se l'uomo non avesse peccato, il Figlio dell'uomo non sarebbe venuto »(3) e con la Glossa secondo la quale « ... non c'era nessuna causa che Cristo Signore venisse se non per salvare i pecca­tori. Togli la malattia, togli le ferite e non c'è più biso­gno nessuno della medicina» (4

).

Ma in Gemma, come del resto in ogni anima misti­ca e soprattutto negli stigmatizzati, questa convinzio­ne è diventata una realtà vissuta di dolore e di amore, una convinzione profonda - si badi bene, poiché ci sembra consistere in questo la peculiarità della loro esperienza mistica e insieme (di conseguenza) della lo­ro missione ecclesiale - ch'essa, Gemma, è la più grande peccatrice, che ha peccato più di tutti gli uo­mini, come diremo. Di qui il secondo momento della sua esperienza ch'è la «presenza viva» nella sua ani­ma dei dolori di Cristo nella «presentazione in atto », (e non sempre «rappresentazione di fantasia », anche se si tratta di estasi)(5), dei principali tormenti fisici e morali della Passione di Cristo. Il terzo momento

(3) Sermones ad populum, Sermo 174, c. 2 (P.L., 38, col. 940). (4) Testi citati da San Tommaso: S. Th. III", q. 1, a. 3, Sed contra. (5) Le estasi nell'ordine soprannaturale sono eventi nel tempo cioè

comunicazioni reali di Dio all'uomo; esse accompagnano la rivelazione divina sia nel Vecchio come nel Nuovo Testamento e si distinguono tanto per l'oggetto, altamente spirituale e morale, come per l'origine prima ch'è la potenza di Dio elevante la creatura ad una sfera di vita superiore con tale intensità di unione con Dio da togliere ogni sensibilità al corpo con la totale assenza alla realtà dell'ambiente (Cfr.: T. ALVAREZ, Estasi, in Di­zionario Enciclopedico di Spiritualità, Roma 1975, pp. 728-732). Per le estasi di Gemma, secondo le testimonianze dei Processi apostolici, vedi: E. ZOFFOLI, La povera Gemma, ed. citata, pp. 406 ss.

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è la partecipazione stessa di Gemma alle sofferenze di Cristo in una crescente tensione di repulsione -attrazione ch'è il conflitto umiliante in ciascuno di noi fra la natura corrotta e i movimenti misericordio­si, operanti in noi, delle comunicazioni della grazia.

Conosciamo la precoce «esperienza del Crocifis­so» di Gemma che lei fa risalire alla sua prima età quand'era accanto alla sua santa mamma (<< quando ero piccina» dice nell'Autobiografia) e che rimase nel­la sua anima come un fuoco sotterraneo e apparve la sostanza della sua predestinazione e vocazione. Questo fuoco cominciò a divampare e venire allo sco­perto, a invaderla tutta, dopo la guarigione del marzo 1899 e pertanto nel fiore dell'età e della salute mira­colosamente riacquistata. La grave e dolorosa malat­tia le aveva dato - alla sensibilità, dotata di eccezio­nale profondità, della sua anima - l'esperienza del nulla della vita, del vuoto dei suoi piaceri e miraggi e della liberazione agognata nella meditazione della morte. Quando arrivò p. Germano, la sua missione fu soprattutto quella di «difendere» Gemma, già total­mente immersa nel mistero della Passione di Cristo, dai pericoli e dall'incomprensione dell'ambiente e dai crescenti assalti dello spirito del male.

I suoi veri maestri alla scuola del Crocifisso, do­po le prime (decisive tuttavia) impressioni infantili, prima con la mamma e poi con le buone suore di s. Zita (sr. Camilla Vagliensi prima e sr. Giulia Sestini poi) sono stati la Madonna, l'Angelo Custode e san Ga­briele, soprattutto Gesù stesso. La Santa infatti con­fessa: «Una volta sola ho veduto Gesù sdegnato con me, e mille volte desidererei soffrire le pene dell'in­ferno in vita, che trovarmi davanti a Gesù inquietato e pormi davanti agli occhi il quadro orribile dell'ani-

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ma mia» (6). Quando, già signorina, all'età di 19 anni le muore il babbo affettuosissimo con lei e lei premu­rosissima nell'assisterlo nella terribile malattia fino aH morteC), è Gesù che interviene: «Gesù in quei giorni di dolore si faceva tanto più sentire nell'anima mia ... così che trassi una forza [sì] grande che soppor­tai l'acerba disgrazia assai tranquilla. E il giorno che morì, Gesù mi proibì di perdermi in urli e pianti inu­tili e lo passai pregando e rassegnata assai al volere di Dio che in quell'istante prendeva Lui le veci di Pa­dre Celeste e Padre Terreno» (Autob. p. 239). Quel « ... perdermi in urli e pianti inutili» indica da sé la matu­rità dell'esperienza della Croce. Anche prima leggia­mo, quando maturava la vocazione religiosa, che Ge­sù le «dava lumi chiari» (Autob. p. 235). Un episodio, pochi mesi prima dell'impressione delle Stimmate, dell'aprile 1899: Gemma - così lei racconta - aveva partecipato a un discorso un po' frivolo con due ra­gazze, amiche di una sua sorella: «Ma la mattina Ge­sù me ne fece un rimprovero sì forte, che il terrore mio fu tanto grande che avrei desiderato non parlar più e non vedere più nessuno». Il magistero di Gesù era continuo: «Gesù continuava intanto a farsi sentire ogni giorno di più all'anima mia e riempirmi di con­solazioni, e io al contrario a voltargli le spalle e offen­derlo senza dolore alcuno» (Autob., p. 255). Alla prima apparizione dell'Angelo Custode, (8), Gemma è già di­ciottenne e la prima lezione è l'ammonizione al di­stacco da tutte le cose terrene (<< ... l'orologio d'oro con

(6) Autobiografia, p. 238. C) MorÌ il giorno 11 novembre 1897 sembra per un cancro alla

gola. (8) Sui rapporti, che diventano sempre più familiari e affettuosi, con

l'Angelo Custode, vedi: E. ZOFFOLl, La povera Gemma, ed. cito pp. 459 s.

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la catena)} che le era stato regalato dalla madrina, la contessa Guinigi): «Ricordati che i monili preziosi che abbellano una sposa di un Re Crocifisso, altri non possono essere che le spine e la croce)}. Parole e ap­parizione che le fecero «paura)}, ma obbedì, si levò pure un anello che aveva al dito « ... e da quel giorno non ho più avuto nulla)} (Autob., p. 235).

L Angelo la sorregge e la conforta durante gli scoraggiamenti della terribile malattia. In particola­re ... «Una sera, inquieta più del solito, mi lamentavo con Gesù, dicendo che non avrei più pregato e chiede­vo a Lui in che modo mi faceva stare così malata)}. Ed ecco l'intervento celeste: «L Angelo mi rispose co­sì: Se Gesù ti affligge nel corpo, fa per sempre più purificarti nello spirito. Sii buona!)} E osserva con umile candore: «O quante volte nella mia lunga ma­lattia mi faceva sentire al cuore parole consolanti! ma mai ne facevo conto)} (Autob., p. 243).

E dopo la guarigione l'Angelo le sta accanto, di­venta il suo maestro di vita spirituale: la rimprovera - confessa la Santa - per ogni più piccola mancan­za, esorta a parlar poco e solo quando veniva interro­gata e le insegna come doveva stare alla presenza di Dio. E usava la maniera forte: «Una volta che quelli di casa parlavano di una persona e non ne dicevano tanto bene, io volli metterci bocca, e l'Angelo bello forte mi fece un gran rimprovero. M'insegnava a tene­re gli occhi bassi, e fino in Chiesa bello forte mi rim­proverava, dicendomi: «Si sta così alla presenza di Dio?)}. E altre volte mi gridava in questo modo: «Se tu non sei buona, io non mi farò più vedere da te)} (Autob., p. 251). L Angelo l'assiste nell'Ora di agonia, fatta privatamente, il Venerdì Santo 31 marzo 1899: « ... Non fui sola: venne con me l'Angelo mio Custode e pregammo insieme; assistemmo Gesù in tutte le sue pene, compatimmo la Mamma nostra nei suoi dolori.

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Non mancò però il mio Angelo di farmi un dolce rim­provero, dicendomi che non piangessi quando avevo da fare qualche sacrificio a Gesù, ma ringraziassi quelli che mi davano occasione di farmeli fare ». Quando entra p. Germano a dirigerla e le ordina di scrivere la «Confessione generale» (l'Autobiografia) e lei pensava di limitarsi ai peccati; ecco che « '" l'Ange­lo suo [di p. Germano] mi ha rimproverato dicendomi che obbedisca ... » Intanto: «l'Angelo mi ha promesso di aiutarmi a farmi venire in mente ogni cosa» (p. 221). Mentre, nella sua umiltà, continua ad accusarsi di nuovi peccati e che Gesù non era contento «di lei, tuttavia mi consolava, mandava l'Angelo custode a farmi da guida in tutto» (Autob., pp. 253 s.). ~ Angelo esige da lei obbedienza assoluta al confessore e inter­viene per farle togliere la fune, tolta dal pozzo e anno­data, di cui si era cinta la vita, perché mancava il per­messo del confessore (pp. 255 s.). E l'Angelo è presente all'impressione delle Stimmate, alla destra della Madonna, il quale « ... per il primo mi comandò di recitare l'atto di contrizione ». Avvenuta la divina comunicazione della partecipazione cruenta alla Pas­sione di Cristo, è ancora l'Angelo che le accorre in aiuto: «Mi coprii alla meglio quelle parti, e poi, aiuta­ta dall'Angelo mio, potei montare sul letto ». E, nella nuova vita, è l'Angelo sempre pronto a stimolarla quando (secondo lei) si rilassava: «~Angelo più volte mi avvisava, dicendomi che se ne sarebbe partito per non farsi più vedere, se avessi continuato in quel mo­do; io non obbedii ed esso se ne andò, ovvero si nasco­se per più tempo »(9).

(9) E un periodo prima; «Non miglioravo punto, ogni giorno com­mettevo peccati senza numero. disobbedienze, al Confessore non gli ero mai nulla sincera e sempre nascondevo qualche cosa» (Autob., p. 263).

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Già sappiamo che nella stesura della « Confessio­ne generale» o Autobiografia l'Angelo le detta « parola per parola» (p. 237).

La dimestichezza di Gemma con l'Angelo suo, con l'Angelo di S. Gabriele e di P. Germano: gli Angeli riempiono il mondo celestiale di Gemma. Nel diario del luglio-settembre 1900, l'Angelo le è sempre accan­to: la conforta «per rimettermi in pace» dopo una tentazione, la protegge con le sue «ali spiegate», la rimprovera e «il mio Angelo Custode non mi manca», l'esorta a soffrire: «Tu sei degna solo di essere di­sprezzata, perché hai offeso Gesù». E deliziosamente, con una scena di Paradiso che bisogna riportare nel testo originale: «Poi [l'Angelo] mi fece tornare quieta; si mise a sedere accanto a me, e mi diceva ammodino ammodino: «O figlia, ma non sai che tu devi essere in tutto conforme alla vita di Gesù? Egli patì tanto per te, e tu non sai che devi in ogni occasione patire per Lui? E poi perché dai questo dispiacere a Gesù? Egli patì tanto per te, e tu non sai che devi in ~gni occasione patire per Lui? E poi perché dai questo di­spiacere a Gesù, di lasciare ogni giorno, la meditazio­ne sopra la Passione? ». Era vero: mi ricordai che la meditazione sulla Passione la faccio solo il Venerdì e Giovedì: «Devi farla ogni giorno, ricordatelo». Infi­ne mi diceva: «Coraggio, coraggio! questo mondo non è mica il luogo del riposo: il riposo sarà dopo morte; ora tu devi patire, e patire ogni cosa, per impedire a qualche anima la morte eterna ». Lo pregai tanto che dicesse alla Mamma mia di venire un po' da me, che avrei tante cose da dirgli; mi disse di sì. Stasera però non è venuta» (p. 181)( lO). Linvoca per liberarsi

(IO) Altri rimproveri dell'Angelo: giovedì 9 agosto (p. 191), il 2 set­tembre (p. 217: scena deliziosa!). Anche prima: « mi rimproverò anzitutto della svogliatezza nella preghiera; parecchie altre cose mi ricordò: tutto

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dal diavolo: «Chiamai l'Angelo Custode, aprì le sue ali, si posò accanto a me, mi benedì e berliffo scappò. Sia ringraziato Gesù» (p. 184). Ma l'Angelo assolve con impegno il suo dovere: «r..; Angelo Custode, ogni volta che faccio male una cosa, mi castiga: non passa sera che non ne abbia» e la minaccia che se non dice tutto al confessore verrà il diavolo (p. 176).

In questo magistero di assistenza angelica Gem­ma supera forse le storie dell'agiografia più ardita. Il 29 agosto aspetta invano Gesù: «Solo l'Angelo Cu­stode non cessa di vigilarmi, di istruirmi e darmi dei savi consigli. Più volte al giorno mi si fa vedere e mi parla. Ieri mi tenne compagnia mentre mangiavo, pe­rò non mi forzava, come fanno gli altri. Dopo che ebbi mangiato, non mi sentivo niente bene; allora lui mi porse una tazzina di caffé sì buono, che guarii subito, e poi mi fece anche un po' riposare. Tante volte gli faccio chiedere a Gesù se lo lascia tutta la notte con me; va a dirglielo, poi torna e non mi lascia fino alla mattina, se Gesù glielo permette» (p. 213 s.) r..; Angelo l'aiuta a prepararsi alla confessione e, quando la Ma­donna si allontana, si mantiene con lei «... affabile e allegro fino alla mattina» (p. 209). E alle volte ella parla ore intere «con l'Angelo» (p. 215).

Si può dire, e anche l'Epistolario ne è una con-

sempre riguardo agli occhi, minacciandomi severamente. Ieri sera in chie­sa di nuovo mi ricordò ciò che mi aveva detto il giorno, dicendomi che dovevo poi renderne conto a Gesù. Infine, prima di andare a letto, nell'atto di chiedergli la benedizione, mi avvisò che Gesù oggi, 20 agosto, voleva farmi dare un assalto dal demonio, e questo perché ero stata per qualche giorno trascurata nella preghiera. Mi avvisò che il demonio avrebbe fatto ogni sforzo per impedirmi di pregare, massime con la mente per tutt'oggi, e mi avrebbe privata anche delle sue visite (voglio dire dell'Angelo Custo­de), ma solo per oggi" (p. 202). La guarda « ... con un viso cosÌ severo da spaventare [ ... l Mi lanciava certi sguardi sÌ severi ... » (p. 210).

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ferma, che ormai la vita di Gemma ,è un continuo traffico angelico: « Quando la sig.a Cecilia si assenta, scrive a Mons. Volpi, l'Angelo Custode ne prende le veci» e lei teme che gli altri di casa lo vedano: « ...

se mai ci pensi Lei a dirgli che stia nascosto» (Lett. 36 a, p. 361)! Ed è l'Angelo pronto a sorreggerla quan· do un fratello (I \ ), si mise a bestemmiare (Lett. 44 a,

p. 372 s.). E c'è anche il « caro Angelo» di P. Germano e an­

che qui una scena di Paradiso: « Oggi è comparso pu­re il suo Angelo. Quanto era bello! La stella lucente che sempre posa sul Suo Capo, quanto risplendeva di più! Si figuri, è venuto in cucina mentre Mea faceva le polpette! lo ero a vederle fare, e pensavo ... pensavo (io sa, babbo mio, credo, senta cervello piccino, credo che quello che soffro sia tanto; si immagini, è un po' di cuore che si vorrebbe allargare, e vorrebbe rom­persi) a Gesù e lo ringraziavo cosÌ: "O Gesù, io vi rin­grazio; io soffro, ma poi mi farete venire in Paradiso, è vero?". Ho sentito allora posarmi una mano sulla fronte e alzarmi il capo. Era l'Angelo Suo, e mi ha detto: "Dunque, figlia, se hai la dolce speranza di re­gnare un giorno con Gesù e Maria in Cielo, perché non soffri, e fatichi con un po' più di forza e corag­gio?". Terminate queste parole, mi ha baciata, e se n'è andato via, e mi ha lasciata contenta contenta. lo dico che proprio Mea non se ne sia avveduta, perché dopo non mi ha accennato a nulla» (Lett. 61 a, pp. 163). Nel­la bellissima lettera 114 a, verso il 20 luglio 1902, leg­giamo che l'Angelo le tiene compagnia «per due gior­ni di fila» (il 14 e il 15) ed ecco, fra l'altro, quel che accade: « Alla presenza del buon Angelo feci quasi

(11) Sembra fosse il fratello Ettore, di cui daremo una testimonian­za di uno dei figli tuttora vivente.

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tutta (dirò così) la confessione. Quanto bene mi dimo­strò di volermi! Mi guardava sì affettuosamente!. .. E quando fu per partire (ché mi accorsi, perché mi si avvicinò e mi baciò in fronte), lo pregai a non lasciar­mi ancora, ed Esso: "Bisogna che vada". "Va pure, - gli dissi - saluta Gesù". Mi dette un ultimo sguar­do dicendomi: «Non voglio più che tu intraprenda di­scorsi con le creature: quando vuoi parlare, parla con Gesù e con l'Angelo tuo» (p. 273)(l2).

In questo «commercio angelico» le estasi non so­no da meno. Nell'Estasi 1S a li invoca: « ... Angeli del cielo, inchinatevi tutti con me, per la Passione di Ge­SÙ» (p. 23). Chiede all'Angelo Custode di inviarle Con­fratel Gabriele (E. 43 a, p. 68). ~apice di questo magi­stero angelico per l'amore della croce è forse nella Lett. S4 a a p. Germano del Venerdì Santo, 5 aprile 1901: «O quanto mi voleva bene l'Angelo Suo! Mi dice­va che fossi contenta, che Gesù sta nel mio cuore che avrò da patire tanto tanto ... E a queste parole, senza avvedermene, mi venivano le lacrime agli occhi. La carnaccia si vuoI sempre rivoltare, ma l'addomesti­cherei bene io, se potessi ottenere da Lei di... fare. ~Angelo mi ha benedetta e se n'è andato gridando: "Viva Gesù! Viva la croce di Gesù!" (p. 147)(l3).

~ Angelo porta le lettere a p. Germano, le detta la mirabile considerazione 'sull'Annunciazione quale abbiamo riferita. Così possiamo dire che gli Angeli creano, purtroppo assieme al diavolo e ai diavoli,

(12) LAngelo suo non è così severo - scrive quasi compiaciuta -come quelIo di p. Germano e, dopo che lui è partito, viene ogni sera a benedirla! (Lett. 13 a, p. 38).

(13) Perciò supplica: « Mandi spesso l'Angelo» (Lett. 68 a, p. 181). Nel­l'Estasi 54 a Gemma conversa con l'Angelo di p. Germano e gli dice di prepararsi « ••• a una belIa sgridatina », perché lei era in castigo! (p. 84).

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l'atmosfera esistenziale in cui si è svolta questa ecce­zionale vita di testimonianza del soprannaturale.

Maestro prediletto della sua vita spirituale e del­la consacrazione alla Croce è stato però Confratel Ga­briele dell'Addolorata (14 ) (allora Venerabile), guida celeste della sua vocazione passionista.

Egli fa il suo ingresso nella vita della Santa in modo occasionale durante la grave malattia del 1898-99. Fu una signora, ch'era solita farle visita, che le portò la vita alla quale però essa non diede allora nessuna considerazione. Anzi l'Autobiografia nello sti­le realistico proprio di Gemma ci dice: «Quasi con disprezzo lo presi e lo posi sotto il capezzale ». Quella signora le suggerì di raccomandarsi a lui e in casa lo pregavano per la sua guarigione. Ella si scosse solo in occasione di una grande tentazione nella quale il diavolo la lusingava che se andava con lui l'avrebbe guarita e lui... «avrebbe fatto tutto quello che avessi voluto ». La poveretta stava per cedere, ma si ricordò del Ven. Gabriele e gridò forte: «Prima l'anima e poi il corpo! ». Ma la tentazione tornò alla carica e questa volta la povera Gemma implorò il soccorso di Confra­tel Gabriele e « ... col suo aiuto vinsi; tornai in me, feci il segno della S. Croce e in un quarto d'ora tornai a unirmi col mio Dio, da me tanto disprezzato. Mi ri­cordo che quella sera stessa cominciai a leggere la vita di C. (Confratel) Gabriele. La lessi più volte: non mi saziavo mai di rileggerla e ammirare le sue virtù e i suoi esempi» (p. 244).

(14) Queste note erano già redatte quando, verso la fine del 1978, uscì il pregevole studio di Carmelo Naselli c.P. «Sorella mia ... », S. Gem­ma Galgani e S. Gabriele dell'Addolorata. Tra il visibile e l'Invisibile (Ed. Eco, Teramo 1978), al quale rimandiamo chi volesse seguire, passo per passo, questa eccezionale «super-direzione spirituale» che rivela tutta la semplicità dell'anima di Gemma ma insieme nasconde la profondità anco­ra inesplorata (e forse inesplorabile) della sua vocazione alla singolare conformità con la Passione di Cristo.

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Così Gemma aveva trovato il suo « Protettore », co­m'ella lo chiama, prima ancora di conoscere i Passio­nisti. Difatti una notte se lo vide comparire: Gemma aveva già fatto il voto di verginità e il santo la esorta: «Gemma, fai pure il voto di essere religiosa, ma non ci aggiungere altro» (15). Ed ecco il seguito di questa scena profetica, come noi oggi la possiamo capire: «Perché?» domandai. E Lui mi rispose facendomi una carezza sulla fronte. « Sorella mia!» mi disse guardandomi e sorridendo. Non capivo nulla di tutto questo; per ringraziarlo gli baciai l'abito; si tolse il cuore, quello di legno [che i Passionisti portano sul petto], me lo fece baciare, e me lo pose sul petto sopra i lenzuoli, e di nuovo mi ripeté: « Sorella mia! ». Sparì (Autob., p. 246). Ed è san Gabriele che nei giorni della novena alla beata Margherita Maria per ottenere la guarigione veniva « ogni sera» e le posava la mano sulla fronte e recitava insieme le preghiere. Lassisten­za di san Gabriele le è di particolare efficacia contro le tentazioni del diavolo. A Mons. Volpi nella Le·tt. 40 a

scrive: «La Madonna prima mi aveva detto: I Eccoti all'assalto. Durerà fino che non hai potuto avere nelle mani l'immagine di Confratel Gabriele '. È stato vero; ho faticato per averlo, ma l'ho potuto dire, e sono ri­masta libera» (p. 367)( 16). Il Santo poi l'assicura,

(15) La riserva, suggerita da san Gabriele, si mostrerà quanto mai opportuna nel seguito della vita della Santa che passerà di delusione in delusione nella sua ardente aspirazione, apparentemente confermata anzi garantita dalle voci celesti, di seppellirsi in un monastero di Suore Passio­niste da fondarsi in Lucca (vedi l'eccellente esposizione di C. Naselli, « So­rella mia » ... , cito spec. III. p. 57 ss.) - Il problema però, a nostro debole avviso, nasconde ancora non poche oscurità, almeno dal punto di vista della fenomenologia religiosa.

(16) Anche nella seguente Lett. 41', nella quale S. Gabriele appare assieme ad un «vecchio passionista» (S. Paolo della Croce, secondo gli editori) e vien trattato prima l'affare delle tentazioni del diavolo e poi la faccenda del convento (p. 369).

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scrive a Mons. Volpi nella Lett. 43 a, che l'avrebbe libe­rata da tutte le specie di tentazioni e vessazioni dia­boliche (p. 372) e nella precedente Lett. 42 a il Santo le mette (<< mi parve ») una mano sul capo e le fa ripe­tere per tre volte: Ab insidiis diaboli, libera nos, Do­mine, mi parve che mi benedisse [sic!] e mi lasciò li­bera (dalle vessazioni). Le infestazioni diaboliche sa­rebbero cessate solo se fosse entrata in convento (p. 370). Anche nel Diario del 23 luglio 1900, durante una vessazione del « ... solito ornino nero, piccino piccino» viene Confratel Gabriele che la benedice: « ... con cer­te parole latine che mi sono rimaste in mente» (17) e le promette per il sabato una visita della Madonna e il dono della cintola (p. 173).

Gemma è tutta trasferita in questo mondo di visi­te e personaggi celesti - Gesù, la Madonna, l'Angelo Custode, San Gabriele ... - coi quali discute i proble­mi della sua anima e della sua devozione. Sappiamo ancora dal Diario che Gesù, la Madonna e San Ga­briele li vede in estasi (<< via con la testa»), mentre « ...

quando viene l'Angelo Custode, sono svegliata» (p. 182): così il 31 luglio, e l'espressione è ripetuta il mer­coledì e giovedì 1 o e 2 agosto: «Di quando in quando il mio Angelo Custode mi diceva qualche cosa, ma sempre però svegliata» (ibid.).

Nella Lett. 1 a a p. Germano il richiamo alla voca­zione passioni sta da parte di San Gabriele è ancora più esplicito: «Non temere, sarai Passionista ... » e glie­lo continua a ripetere: « ... tutte le sere» quando le appare dalle Il alla mezzanotte, fino a presentarle le 7 persone (e ne riconobbe tre che avrebbero dato ini­zio alla fondazione di Lucca [ ... tra 21 mesi!] assie-

(17) Forse quelle della Letl. 42' a Mons. Volpi.

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me alla signorina che avrebbe poi dato l'ultimo colpo) (p. 7)(18). Sappiamo già che, malgrado le esplicite as­sicurazioni del Santo all'ansiosa fanciulla, le cose an­darono diversamente e Gesù stesso del resto la mise subito in guardia: «Ma sai, figlia mia, che vi è una vita ancor più beata di quella in convento?» (Lett. 7 a,

p. 23). E il santo continua ad accenderla nel desiderio del convento, come scrive nella Lett. lOa: «Avesse ve­duto come parlava! e con quanta forza! Gli occhi gli sfavillavano, sembravano due lumi [ .. .]. Mi parlò assai del nuovo convento. Quanto si lamenta di lei, e ancora del P. Ignazio e anche di un certo P. Consultore, che non so chi sia, perché ve ne state lassù senza neppur pensare che presto ... » (p. 31).

Tale il mondo di Gemma: i doni singolari e le di­vine comunicazioni diventano prova della sua fede e tappe del suo martirio che le rimarrà nascosto, eppu­re sempre più presente e intenso fino alla morte; an­che le promesse divine, più categoriche, per lei faran­no apparentemente fallimento. E, soprattutto, questo costituisce l'attualità-inattuale del suo magistero spi­rituale. Il suo mondo cosÌ irreale, perché apparente­mente fuori di questo mondo, è attraversato di conti­nuo da umani eventi spesso meschini di questo mon­do, e la volontà di Dio dichiarata nel modo più esplicito è ostacolata dall'incrociarsi confuso della fiacca volontà degli uomini, cosÌ permettendo Iddio. CosÌ il suo vero maestro, sul piano esistenziale, è sta­to il dolore col fallimento della sua aspirazione più ardente, cioè quella del convento con la destinazione a «convento ben più alto» di purificazione, come Gemma stessa riconosce, ch'è il magistero vivo del Christus patiens.

(18) Non si sa chi fosse questa signorina.

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CAPITOLO PRIMO

IL MISTERO SALVIFICO DELLA PASSIONE DI CRISTO

1. La Passione di Cristo, fonte della vita sopranna­turale

L'insidia più grave nella vita dei cristiani, ed an­che nella teologia, è quando il soprannaturale sem­bra bandito o perlomeno ignorato: si può dire pertan­to, e senza esagerare, che la ({ crisi del soprannatura­le» ha toccato negli ultimi tempi uno dei vertici più acuti nella storia della chiesa, a causa della cosiddet­ta ({ svolta antropologica» cioè al ritorno di fiamma del modernismo che S. Pio X aveva cercato di debel­lare all'inizio del secolo, seguito dai suoi successori.

a) - La Passione di Cristo, fonte della partecipazio­ne soprannaturale alla grazia e alla gloria.

Dobbiamo allo stravagante segretario del confes­sore di Gemma, come si è visto, la preziosa testimo­nianza che S. Pio X vedeva nelle virtù e nei carismi straordinari dell'umile vergine di Lucca un potente richiamo per il soprannaturale, offuscato anche nel mondo cattolico per l'insidiosa penetrazione del sog­gettivismo moderno con un ritorno al naturalismo. La prima conseguenza era l'offuscamento della stes­sa dignità naturale dell'uomo.

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L'uomo in virtù dell'anima spirituale, ch'è stata crea ta ad «immagine e somiglianza di Dio» (Cen. l, 27)(1), partecipa a suo modo, cioè quello di creatura finita, alla vita divina ch'è l'intendere e il volere. Di più ancora: mentre le altre creature si limitano a mo­strare una similitudine di Dio con l'uno o con l'altro degli attributi propri della divinità, la creatura spiri­tuale è invece «capace di Dio », qualora Dio stesso si degni di elevarla a sé, e dice ordine immediato a Dio come al termine e compimento della propria perfe­zione e felicità. S. Tommaso riassume lucidamente la tradizione teologica: «Solamente la creatura raziona­le è capace di Dio perché essa sola lo può conoscere e amare esplicitamente» (De Veritate, q. 22, a. 2, ad 5). «Solamente la creatura razionale ha un ordina­mento immediato a Dio ... » (S. Th. IP-Ipe, q. 2, a. 3). Di qui anche si può capire in qualche modo (post fac­tu m) la congruenza dell'Incarnazione ossia dell'unio­ne personale del Verbo con la natura umana in Cri­sto (S. Th. IIP, q. IV, a. 1 ad 2).

In virtù della sua spiritualità allora l'anima ha una specie di destinazione virtuale al possesso di Dio ed a partecipare della sua vita nell'eternità. Questa partecipazione è già comunicata qui in terra median­te la grazia santificante, che ci è stata meritata dalla Passione di Cristo. Il concetto che l'uomo per la sua natura spirituale fosse affine a Dio non era scono­sciuto al paganesimo(2); ma la grazia è sopra la na-

(1) Dal che procede, secondo S. Tommaso, che in questo dipende da S. Giovanni Damasceno, che l'uomo « ... è principio delle sue opere in quanto ha il libero arbitrio ed il potere delle sue azioni» (S. Th. p_Ila, Prologus). Cfr.: lo. Damascenus, De Fide Orthodoxa, lib. II, c. 12; ed. B. Kotter, Berlin-New York 1973, p. 76, bI. 19-21).

(2) Lo ricorda S. Paolo nel discorso all'Areopago: «E non è già ch'egli sia lontano da ciascuno di noi, poiché in lui noi abbiamo la vita, il movimento e l'essere, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Noi siamo progenie di lui» (Atti 17, 28). Gli editori rimandano ad Arato (Phaen, 5). Si può ricordare anche Cleante: «Il più glorioso degli Immor-

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tura umana. La grazia pertanto, mentre restituisce all'anima l'immagine di Dio deformata dal peccato, eleva l'anima stessa alla partecipazione del modo di­vino di essere e di operare e questo per le virtù teolo­gali e i doni dello Spirito Santo che sono fondati sul­la grazia stessa. Così per la grazia santificante l'ani­ma «... diventa partecipe del Verbo divino e dell' Amore procedente così da poter liberamente co­noscere Dio in verità ed amarlo con rettitudine nel modo che resta in suo potere » ... godere della persona divina e fare uso del suo affetto e) cioè produrre operazioni divine. E questa è la santità cioè il modo di operare divino che Dio concede, con le operazioni misteriose dell'Umanità di Cristo presente nei Sacra­menti, alle anime in grazia.

E Cristo, Verbo Incarnato, ci ha meritato il per­dono dei peccati e la vita della grazia mediante la sua Passione e Morte, secondo la mirabile dichiara­zione dell'Angelico: «Fu conveniente che l'uomo fos­se liberato mediante la Passione di Cristo e alla mise­ricordia e alla giustizia. Alla giustizia invero, perché con la sua Passione Cristo soddisfece per i peccati dell'uman genere e così l'uomo è stato liberato me­diante la giustizia di Cristo; alla misericordia poi perché non potendo l'uomo soddisfare da se stesso

tali, tu che sei invocato sotto tanti nomi, eternamente onnipotente. [ ... ] lo ti saluto: poiché ogni uomo, senza empietà, può indirizzarti la parola: poiché è da te che noi viviamo ... » (Stobeo, Eclog. I 1,12; Stoicorum Vete­rum Fragmenta, ed. lo, von Arnim, Teubner, rist. Stuttgardiae 1964, t. I, nr. 537, p. 121 - Cfr.: A. I. Festugiere, La Revelation d'Hermigès Trimégi­ste, Il. Le Dieu cosmique, Paris 1949, p. 311).

(3) S. Th. la, q. 38, a. 1. Per altri testi di questa mirabile riflessione tomistica sul testo petrino che chiama i rigenerati in Cristo « partecipi della divina natura» (II Petr. 1,4) vedi: La nozione metafisica di partecipa­zione, ed. cit., p. 304 s.

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al peccato di rulla la natura umana, Dio gli diede il suo Figlio per dare soddisfazione» (4 ). S. Tommaso insiste quindi nella corruzione fondamentale del « ... peccato comune di tutta la natura umana »(5) e que­sto ci apre uno spiraglio per chiarire quel senso del peccato che dilania i santi e che si riscontra nella no­stra Gemma in una forma di dolore e pentimento, di brama di espiazione per sé e per gli altri peccatori, senza misura. Ed è all'interno della Passione di Cri­sto, che S. Tommaso, con la guida di S. Agostino, illu­stra le consolazioni che vengono all'anima: poiché per il fatto che Dio stesso in Cristo ha patito ed è morto per noi - 1 ° l'uomo conosce nella Passione quanto Dio ami l'uomo, - 2° come Cristo ci abbia da­to nella Passione l'esempio di obbedienza, umiltà, co­stanza, giustizia e di tutte le altre virtù necessarie per la salvezza, - 3° la Passione ci ha meritato la gra­zia nella giustificazione e la gloria della beatitudi­ne(6), - 4° l'orrore dei dolori della Passione deve maggiormente spingere l'uomo ad evitare il peccato pensando che Cristo ha sparso il suo sangue per la­vario dal peccato, - 5° con la sua Passione e morte Cristo ha vinto il diavolo che aveva ingannato il pri­mo uomo ed ha vinto la morte portata dal peccato. Questa liberazione dal potere del diavolo ha un signi­ficato speciale per l'espiazione dolorosa che Dio ha chiesto a Gemma. Il diavolo infatti, spiega S. Tomma­so, aveva per il peccato acquistato il diritto di tener schiavo l'uomo: «Benché il diavolo si sia impossessa-

(4) S. Th. III a, q. 46, a. l, ad 3. (5) Anche più sotto e con maggiore compiutezza: «C'è un doppio

peccato ... Uno comune di tutta la natura umana, ch'è il peccato del primo uomo. ( ... ) L'altro è il peccato speciale di ogni singola persona» (S. Th. ma, q. 49, a. 5).

(6) L'Angelico sviluppa questo punto nella sego q. 48.

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to dell'uomo ingiustamente, tuttavia l'uomo a causa del peccato fu giustamente abbandonato da Dio sotto la schiavitù del diavolo. E perciò fu più conveniente che l'uomo fosse liberato dalla schiavitù del diavolo mediante la soddisfazione che Cristo ha dato per lui con la sua Passione» (7). Le spaventose vessazioni diaboliche che Dio ha permesso affliggessero la «po­vera Gemma», specialmente negli ultimi anni e fin sul letto di morte, sono forse la parte più misteriosa e dolorosa della sua partecipazione alla Passione di Cristo.

Nella sua analisi formale, eppure commovente, dei dolori di Cristo l'Angelico mostra come tutta la sua natura umana nei sensi esterni ed interni e nel­l'anima stessa fu subissata di sofferenze di ogni gene­re. Egli parla perciò di un vero dolore esteriore e sen­sibile per il male fisico e di un dolore interiore ch'è la tristezza per il male morale, ambedue furono in Cristo al grado massimo. Per il dolore sensibile, S. Tommaso nomina specialmente i dolori del senso del tatto: la flagellazione, le ferite dei chiodi, «confitti nei luoghi nervosi più sensibili, cioè nelle mani e nei piedi». Per il dolore interiore è ricordata l'infinita tri­stezza di Cristo « ... per tutti i peccati del genere uma­no ... , una tristezza la più grande di tutte (maxima): un dolore quello di Cristo, che ha superato quello di

(7) S. Th. IIP, q. 46, a. 3. - Verso la fine del suo pontificato Paolo VI aveva messo in guardia i cristiani contro «il fumo di Satana» ch'era entrato nella Chiesa con i movimenti eterodossi seguiti al Concilio Vati­cano II. L'argomento è stato ripreso con maggiore ampiezza da Giovanni Paolo II nella catechesi pubblica del 20 agosto 1986 nella quale ha ricor­dato « la nostra fede per quanto riguarda la verità sul maligno o Satana, non certamente voluto da Dio, sommo Amore e Santità, la cui Provviden­za sapiente e forte sa condurre la nostra esistenza alla vittoria sul princi­pe delle tenebre» (Osserv. Romano, 21 agosto 1986, p. 5, col. 1).

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qualsiasi penitente »(8). Anche S. Gemma prima di partecipare al dolore indicibile delle Stimmate, ebbe dalla Madonna la grazia di un dolore dei peccati che quasi la portava a morire se non fosse stata sorretta da una speciale assistenza divina. E si ricordi ancora che gli stigmatizzati, come Gemma, ottengono la so­miglianza più alta con Cristo perché la più dolorosa e perciò essi ottengono più di qualsiasi anima in gra­zia una maggiore unione con Cristo e realizzano per­ciò più di tutti - come i martiri - il principio teolo­gico-mistico dell'unione con Cristo: «Il Capo e le membra sono come una sola persona mistica »(9). Ed è questo il fondamento della vita mistica in cui per diversi modi fiorisce, sepolta in Cristo, ogni au­tentica vita cristiana.

Pertanto, mediante questa unione delle anime con Cristo, Dio « ... perdona tutte le offese del genere umano, perciò - si badi bene - per coloro che si congiungono a Cristo paziente (Christo passo)) ovve­ro per coloro che « ... comunicano alla sua Passione

(8) S. Th. III", q. 46, a. 6 ad 2. - Tuttavia S. Tommaso sa precisare il significato esatto della «chenosi divina» nella Passione e Morte di Cri­sto e si appella alla formula di S. Cirillo al Concilio di Efeso: «La Passio­ne va attribuita al supposito [personal della natura divina non a causa della natura divina, la quale è impassibile, ma a causa della natura uma­na» (S. Th. III", q. 46, a. 12). Vedi anche ad 1 e soprattutto ad 2 dove ricorre, forse per la prima volta in teologia, il termine di «morte di Dio" con un nuovo richiamo al Concilio di Efeso: « La morte di Cristo, divenu­ta come la morte di Dio cioè per l'unione nella persona (divina), distrusse la morte; poiché Colui che soffriva era Dio e uomo ». Anche l'ad _~: «I giudei non crocifissero un semplice uomo, ma lanciarono a Dio le loro offese ». (Conc. Eph., P. III, c. lO; Mansi V, 216). La citazione è presa dal sermone di Teodoto di Ancira al Concilio di Efeso (In Natalem Salv., homo II; P.G. 77, 1384).

(9) «Il Capo e le membra sono come una sola persona mistica» (S. Th. III", q. 48, a. 2). Anche un po' più sotto: «Tutta la Chiesa, ch'è il Corpo di Cristo mistico, si considera come una sola Persona col suo Capo che è Cristo» (q. 49, a. l).

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mediante la fede, la carità e i Sacramenti della fe­de» (l0). E sono i mistici stigmatizzati - come Fran­cesco, Caterina da Siena, Gemma Galgani, P. Pio da Pietrelcina e molti altri nella Chiesa di Cristo - che sono più assetati dei sacramenti del sangue di Cristo, quali sono la Penitenza e l'Eucaristia.

Per questo ogni autentico discepolo di Cristo cor­se con tutto il trasporto dell'anima dietro la Croce, preso dalla «follia della Croce» ch'è la follia dell'a­more per Cristo crocifisso per noi. Anche Gemma, co­me sappiamo dai processi e si è detto, faceva l'im­pressione di una stupidella ai contemporanei e perfi­no ad ecclesiastici e religiosi, sull'esempio di Gesù che fu deriso e preso per pazzo da Erode (Le. 23, Il). La via crucis, la via della Croce, è sempre stata, nel­l'economia della vita cristiana, ch'è anelito di santità, la via dell'amore: il passaggio obbligato, colmo di oscurità e di orrore, per la purificazione finale dell'a­nima ch'è prima la notte dei sensi e poi quella dello spirito.

Per i pagani la Croce era follia e supremo tor­mento: per i Giudei, si sa, è stata di scandalo (I Coro 1, 22 s.); per l'attesa religiosa del popolo che aspetta­va finalmente il trionfo del Regno di Dio, la Croce fu di «scandalo» (skandalon) e l'epilogo del rifiuto. Per i Greci, e per quanti vivevano nella luce folgoran­te della loro cultura, che toccò i vertici supremi del­l'arte e della filosofia (1\), la Croce di Cristo dovette

(IO) S. Th. lira, q. 49, a. 5. (II) Ed ecco perciò S. Paolo che ammonisce i fedeli di Colossi:

« Nessuno vi inganni con la filosofia o con un vuoto inganno» (Col. 2,8), cioè con la sofistica in cui cade ogni filosofia che pretende di dare l'ulti­mo senso della vita.

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apparire « follia» (moria)( 12): un mondo capovolto e un modo inaudito per attingere la verità ed il senso della vita. Anche il mondo greco, è vero, conosceva la sofferenza purificatrice ma nell'ambito irrazionale del fato e non come parte del piano di amore di Dio stesso, come l'annunzia il Cristianesimo che fa della Croce il segno di benedizione e di salvezza e la fonte soprattutto di una superiore certezza di speranza di vi ta eterna.

Questo perché se l'essere e la vita esprimono la partecipazione che la creatura ha dell'essere e delle perfezioni di Dio, le tribolazioni del corpo e le angu­stie dell'anima sono la partecipazone, come abbando­no di amore che la grazia opera nell'anima, alla Cro­ce di Cristo. Per Platone e per i Platonici ciò che con­tava e costituiva la verità era la oggettività delle Idee « separate» e sottratte ai casi del divenire, perciò eterne e compiute: di queste soltanto c'è la conoscen­za e verità( 13). Per Aristotele, che identifica il .reale esistente con il concreto sensibile, parlare di « Idee separate» è un « parlare a vuoto» (kenologhein) cioè un parlare a vanvera e senza senso. Perciò conclude la sua diatriba contro la trascendenza della forma e della specie, ché parlare di « partecipare» del sensibi­le all'intelligibile superato « ... è nulla» (ouden

(12) I Coro 1,24. - A questo contesto si richiama anche Heidegger, ma per segnalare l'incongruenza dell'alleanza della teologia cristiana con la filosofia greca (Einleitung zu "Was ist Metaphysik?", "Wegmarken", Frankfurt a. M. 1967, p. 208).

(13) Metaph. 1,9,992 a 32 sS. - Aristotele aveva già respinto questa « separazione" del concreto dall'astratto (il Ewwbp.os platonico) poco pri­ma: «Dire: che le cose sensibili sono «modelli" (paradeigmata) e che le cose sensibili «partecipano" (metechein) significa parlare a vuoto e far uso di mere immagini poetiche» (Metaph. 1,9,991 a 19 ss.).

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estin)( 14). Così il pensiero greco, giunto al vertice del suo sviluppo, per la concezione del reale si fran­tumava in due posizioni antitetiche. È vero che dopo più di un millennio S. Tommaso seppe recuperare l'aspetto di verità dell'uno e dell'altro ossia della realtà della partecipazone come fondamento e della concretezza dell'essere come realtà; ma l'Angelico operava ormai in una cultura ch'era saldamente cri­stiana. Per S. Tommaso, come per S. Agostino, le Idee (o «modelli ») primordiali delle cose sono in Dio e più precisamente nel suo Verbo eterno « ... per mez­zo del quale è stato fatto tutto ciò che è stato fatto ... » (Cv. 1, 2-3). Secondo la fede cristiana la realtà delle cose è quella che noi osserviamo nella natura creata da Dio ed insieme tutta la natura resta in Dio in cui continua ad essere secondo i modelli perfetti del Ver­bo eterno, modelli permanenti di creazione e conser­vazione; « modelli di discesa» si potrebbero dire da cui l'uomo può con la ragione ascendere a Dio.

Con l'avvento e l'evento della redenzione dell'uo­mo dal peccato, è il Verbo eterno e il Figlio unigenito del Padre che discende sulla terra ed entra nel tempo a « partecipare» della natura umana e della intera condizione mortale per redimere l'uomo dal peccato e dalla morte, partecipando all'intera sua situazione terrena ed accettando per lui la morte di Croce(1S).

(14) Metaph. I, 9, 992 a 29. Com'è noto, per Aristotele il reale in prima istanza è il mondo sensibile ed anche la natura dell'uomo è quella di «animai rationale» (De Anima, III, Il,434 a Il) cioè di un essere intel­ligente ma anche vivente senziente, ossia legato alla realtà della « natu­ra» di questo mondo. Di qui l'estrema difficoltà (o impossibilità) di trova­re in Aristotele un'affermazione esplicita dell'immortalità ossia della so­pravvivenza dell'anima individuale dopo la morte.

(15) Perciò S. Paolo (I Coro I, 20) può ritorcere alla sapienza monda­na l'accusa di follia: « Non ha forse Dio resa stolta la sapienza del mon­do?» (M. Heidegger, Was ist Metahysik? V Aufl., Frankfurt a. M. 1949, p. 18 e Wegmarken, l. c. - Vedi anche: Einfiihrung in die Metaphysik,

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Così ora l'uomo, creato dal nulla ad immagine di Dio nella creazione secondo un processo di discendenza, non si può salvare dall'abisso del peccato senza con­formarsi al nuovo Modello che non è più soltanto un'Idea eterna ma ch'è diventato il Verbo incarnato, il Cristo paziente e la Croce non è soltanto un simbo­lo o l'immagine di un evento passato nella storia, ma l'impronta viva che il cristiano ha ricevuto nel batte­simo per conformarsi a Cristo e seguire il suo cam­mino di umiliazione e sofferenza, senza compromessi con la saggezza mondana e con la concupiscenza del­la carne. Ora il «Modello» è Cristo, e come Egli ci ha redenti con la morte in Croce ch'è il paradigma intensivo della sintesi del Dio-Uomo; una sintesi mi­steriosa di eternità e tempo, di fragilità e di onnipo­tenza, di umiliazione e di gloria, di misericordia e di giustizia ... Così l'uomo, caduto nel peccato e nella morte, si trova ora sollevato a «partecipare» della grazia di Cristo e con essa della natura stessa di Dio (II Pt. 1,4)(16). Però soltanto se guarda alla Croce, se prende per modello e vanto Cristo crocifisso e si la­scia configgere con Lui come S. Paolo (Gal. 2,19) per conformarsi a Lui nel suo breve viaggio terreno. Sen­za la risurrezione di Cristo dalla morte, non era pos­sibile la salvezza dal peccato e dalla morte: ma la ri­surrezione di Cristo è stata preceduta dalla Passione durissima e dalla Morte crudelissima in Croce. È qui

Ttibingen 1953, p. 6). Ma Heidegger non ammette una «filosofia cristia­na », poiché la filosofia non va oltre l'avventura del tempo cioè della « presenza del presente »: i mistici, a suo avviso, non parlano e descrivono al più, come i profeti antichi, la presenza del Presente allivello dell'espe­rienza di Dio.

(16) Ha studiato a fondo questo principio teologico della natura della grazia, lasciato finora quasi nell'ombra, M. Sanchez Sorondo (Cfr.: La Gmcia como participaciòn de la natumleza divina, Buenos Aires -1979).

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sulla Croce, crocifiggendo la sua ragione, che ogni cristiano deve seguirlo, ed i mistici, in particolare gli stigmatizzati come la nostra Gemma, sono quelli che sono saliti più in alto sulla croce di Cristo rimanen­done trafitti e piagati come Lui.

La «follia della Croce» di Gemma è follia che si potrebbe dire alla «seconda potenza ». Follia è ogni amore spasimante(17); quello di Gemma era tutto spasimi infuocati in continuo crescendo di amore per Cristo che finì per assorbire ogni sua capacità di vi­ta. E ciò ch'è mirabile è il fatto che in questo ultimo e supremo consumarsi l'anima di Gemma diventa sempre più positiva e realista, padrona dei suoi sen­timenti fino a non credere anch'essa alla realtà dei fenomeni mistici di cui era stata e veniva colmata, come sappiamo dalle ultime lettere a P. Germano. Così il suo equilibrio psichico e spirituale si rivelò e confermò nel momento più arduo e delicato(18): l'argomento dell'equilibrio mentale dei mistici è sta­to già studiato a fondo; ma riguardo a Gemma - an­che dopo la esplicita dichiarazione della Bolla di ca­nonizzazione - essa è considerata ancora da non po­chi (anche fra i sacerdoti e religiosi) un'esaltata per non dire un'isterica, un'illusa. I fenomeni mistici so­no da Gemma, anche i più straordinari, accolti e vis-

(17) Anche i filosofi antichi avevano intravisto la forza purificatrice di siffatta «follia» (furor), a giudicare da un frammento che si riferisce ad Empedocle (Cf. Die Fragmente der Vorsokratiker, ed. H. Diels-Kranz, Berlin 1934; 31 A 98, Bd. I, p. 307, 34-37). Qui turor (J1.Cxv!a) sembra il superamento del Ào-y6ç e accenna all'elemento dionisiaco, ovviamente sul piano puramente naturalistico.

(18) È stato giustamente osservato da un maestro moderno di vita spirituale, ma è dottrina antica: «La Folie de la Croix démande à se gref­fer sur des natures parfaitement saines» (R. Plus, La Folie de la Croix, Toulouse 1929, p. 13. - Più avanti l'Autore indugia sulla dottrina, detta appunto dai primi editori Theologia Crucis, della Beata Angela da Foli­gno: spec. p. 55 ss. È noto l'influsso della dottrina di questa eccezionale figura mistica sulle scuole pietistiche fra i Protestanti.

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suti con semplicità, anzi con sorpresa e con senti­mento crescente della propria indegnità: sono goduti sì, ma anche sofferti con l'unica intenzione di conso­lare Gesù e di salvare le anime dei peccatori. Bisogna riconoscere - se proprio non si vuole insistere in un partito preso - che il fatto o la delusione, se così si vuoI chiamare, della sua breve vita, ch'è l'assicura­zione celeste del compimento della sua vocazione passionista, è stata da lei sofferta, intesa e interpre­tata con un equilibrio di fede e con una fortezza d'a­nimo e, diciamo anche, con una chiarezza teologica che stupisce e rivela (com'essa stessa afferma) la gui­da diretta di Gesù.

In questo Gemma è un modello limpido e incisi­vo, senza fronzoli o dottrinarismi superflui, del tota­le abbandono dell'anima alla volontà di Dio: ed è ciò che vale per tutti con o senza speciali carismi.

Un'altra grande mistica, che ha influito profon­damente sulla Theologia Crucis tedesca, la beata An­gela da Foligno, formatasi alla scuola di S. France­sco, passa attraverso prove simili, mostrando gli stessi sentimenti di Gemma e quasi ne anticipa perfi­no le espressioni. Nel «sesto passo» (19), ch' è stato il penultimo della sua ascesa spirituale, Angela, trat­tando dell'umiltà e della superbia, presenta una si­tuazione che lascia esterrefatti e forse supera per drammaticità e crudo realismo quella della stessa Gemma quando è lasciata in balia dei demoni: «Nella mia anima era in lotta una certa umiltà con una cer­ta superbia, che mi dava molta molestia. L'umiltà de-

(19) Il libro della Beata Angela da Foligno, Versione di M. Castiglio­ne Humani, Introduzione e note di Antonio Blasucci, Prefazione di Gio­vanni Ioergensen, Roma 1950. Vedi ora nell'ed. critica di Ludger Thier e A. Calufetti, Grottaferrata 1985, p. 349 ss.

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riva da che mi vedo scaduta da ogni bene, lontana dalla virtù, priva della grazia. Vedo in me solo pecca­to e difetti in misura tale, che non posso pensare che Dio voglia ormai avere misericordia di me. Mi rico­nosco abitazione del demonio, operatrice discepola dei demoni, quasi fossi loro figlia. Mi vedo fuori di ogni rettitudine, di ogni virtù, meritevole solo del più profondo, ultimo inferno» (p. 99 s.). Ma non è questa un'umiltà che consola e avvicina al Signore scuoten­do l'anima a penitenza, piuttosto l'abbandona quasi all'indifferenza: « Tale umiltà non è la stessa che sen­to altre volte, quella che porta all'anima gioia, e la solleva alla cognizione della bontà divina; questa, in­vece, non reca che mali senza numero. Ho l'impres­sione che l'anima sia circondata dai demoni, e scorgo difetti nell'anima e nel corpo. Dio mi appare chiuso e occulto in ogni parte, fino a più non sovvenirmi di Lui, né della sua memoria, né che Egli permette que­sto. Vedendomi condannata alla dannazione, non me ne preoccupo, ma più curo e mi dolgo che offesi il mio Creatore, che pure non avrei voluto mai oltrag­giare, né per tutti i beni, né per tutti i mali che posso­no nominarsi» (p. 100).

In un siffatto stato, che la Beata dovette soppor­tare per oltre due anni, malgrado essa lottasse con ogni potere contro i demoni, non trova « né un pas­saggio od una feritoia per evadere, né alcun rimedio per sollevarsi ». Poi scende in campo la superbia e l'anima diventa allora « ... tutta ira, tristezza amaris­sima e tronfia », senza sapere per quale ragione Dio permise tutto questo. L'anima è diventata impermea­bile ad ogni consolazione celeste al punto che « ... se Dio stesso mi parlasse, a meno che Egli non muti ed operi diversamente nell'anima, da nessuno riceverei

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consolazione, né rimedio ai miei mali, e neppure po­trei credere a loro ». Probabilmente si tratta di ciò che S. Giovanni della Croce chiamerà, tre secoli do­po, la notte oscura. Poi la Beata passerà al «settimo passo» e tornerà alle celesti consolazioni, quasi un preludio della vita e visione beatifica (20).

Benché Angela in un'apparizione di S. Francesco si senta dire: «Tu sei la sola nata da me» (p. 234), ella torna alla denunzia spietata delle sue colpe così da sentire il bisogno di gridare a tutti: «Ecco quella vilissima donna, piena di malizia e di simulazione, sentina di tutti i vizi e di tutti i· mali ». Fra le enormi­tà di cui si accusa la principale è di essere « ... più che superba e figlia della superbia, e come sono in­gannata e ipocrita - anche lei come Gemma sulla fine della vita - anzi l'abominazione di Dio; mi davo a vedere per una donna di preghiere, ed ero figlia dell'ira, dell'orgoglio e di Satana ». E ritorna, come poi in Gemma, la sarabanda dei demoni: «Non vo­gliate più credermi, non vedete come sono indemo­niata? Voi che venite chiamati miei figli, supplicate la giustizia di Dio, che l'anima mia sia liberata dai demoni, ed essi manifestino le pessime mie opere, perché Dio non sia più offeso per me ». E continua ad infierire contro se stessa al di là (così sembra a noi!) di ogni misura: «Non vi accorgete che ogni cosa che vi dissi era falsa?(2I) ... Non vogliate più creder­mi, cessate di adorare quest'idolo, poiché in esso è

(20) Tuttavia l'esperienza radicale del peccato ritorna anche in que­sto periodo: «Quando vengo fuori da questo alto stato ... allora mi scopro piena di colpe, obbediente al peccato, obliqua e immonda, tutta menzo­gna ed errore)} (p. 119).

(21) La confessione è indirizzata ai discepoli. E un po' sopra aveva detto: «sono fatta cieca, ottenebrata e senza la verità. Perciò, miei figli abbiate sospetto di tutto quello che ricevete da me, come proveniente da persona maligna)} (p. 219).

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il diavolo ed ogni mia parola fu simulativa e diaboli­ca ». E continua, spietata e fremente, su questo tono, per concludere umile e dolente: «La testa si spezza, il corpo vien meno per il molto pianto e le membra si disgiungono, ché sono incapace a manifestare le malizie e le menzogne dell'anima mia. Solo mi ralle­gro che già incomincino alquanto a rivelarsi ». La fi­nale: «lo ero ancora piccina e già commettevo il ma­le »(22). Anche prima aveva confessato ai suoi figli spirituali, mentre li esortava a venire alla Croce e a piangere con lei il Cristo « .. , che vi morì per le nostre iniquità », non esita quindi ad invitare anche «coloro che non offesero Dio di tutto se stessi, come me che sono tutta peccato» (23).

Ma sono ancora i Santi, e soprattutto i grandi mistici come Angela e «la povera Gemma» a ricor­darci che Gesù è salito sul Calvario per espiare i no­stri peccati e mostrarci che quella è la via dell'amo­re, la via regale della santa Croce. Pochi, come la no­stra umile trasfigurata creatura, hanno accettato con incondizionata accettazione, il mistero di grazia del­l'annientamento a tutte le cose visibili e della vita del tempo. Noi ci scandalizziamo del mistero del male, non osiamo guardare in faccia il mostro orrendo del peccato che ci appartiene e ci avvinghia con una mor­sa d'ipocrisia e d'inganno: volentieri lo scarichiamo sugli «altri », invece di persuaderci che ci appartiene in proprio, a ciascuno. No, anche questo non è esatto: sarebbe una formula filosofica e perciò estranea al­l'amore bruciante dei Santi i quali, sull'esempio del Redentore divino, si assumevano il peccato del mon-

(22) Op. cit., pp. 235-238 (passim). (23) Op. cit., p. 183 (corsivo nostro).

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do, i peccati di tutti gli uomini e si sentivano, in una continua pena d'amore, fatti peccato in un'infinita miseria.

Anche S. Caterina da Siena, come S. Gemma che, innocente, si considerava la più grande peccatrice, ha preso quasi come suo motto: «Peccavi domino (al­tre volte: «domine »), miserere mei!» e si presenta quasi singhiozzando specialmente nelle preghiere: «lo, miseria e miserabile ». E si confessa, nello stra­zio dell'anima: « ... perché le tenebre della perversa legge, la quale io ho sempre seguita, ha obfuscato l'occhio dell'intelletto mio» (Or. VII, p. 72). Ed osa perfino sospirare: «O dolcissimo amore, io non ti amai in tutto il tempo della vita mia» (Or. VIII, p. 94). E con uno stile di sdegno implorante: «Confesso, Dio eterno, che io sempre ho amato quello che tu odi e odiato quello che tu ami. Ma oggi grido dinanzi alla misericordia tua che tu mi dia a seguitare la verità tua con cuore schietto» (Or. XIX, p. 212).

Non sorprende allora che Gemma, nella doloran­te consapevolezza di essere piena di peccati, fosse tanto desiderosa di presentarsi al Sacramento della penitenza, sollecitata anche dall' Angelo custode(24).

(24) Cfr.: Diario, martedì 28 agosto (1900), p. 211. Vedi anche la te­stimonianza di Cecilia nei Processi (Summar. super virtutibus, n. XI, 8, p. 506).

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2. La contemporaneità di Gemma alla Passione di Cristo

La nascita della vocazione di Gemma a seguire Gesù Crocifisso, per espiare i peccati degli uomini, sembra risalire al 1896 (come si è detto) ed è ancora collegata alla « esperienza del Crocifisso ». La Santa era appena diciottenne ma già maturata dalle soffe­renze fisiche e morali, mentre altre nuove e più gravi l'attendevano. Non è un'apparizione, ma una forte commozione: « In questo stesso anno 1896 cominciò anche in me un altro desiderio: in me sentivo cresce­re una brama di amare tanto Gesù Crocifisso e insie­me a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori. Un giorno fui presa da tanto dolore nel guardare, cioè nel fissare cogli occhi, il Crocifisso che caddi in terra svenuta» e). C'è qui ormai la si­tuazione ch'esprime la missione straordinaria della vita di Gemma: l'aspirazione ad amare Gesù Crocifis­so e la brama di patire e - un « e» che significa « per» - aiutare Gesù nei suoi dolorie).

(I) Estasi ...• p. 236. I testi sono citati secondo l'ultima edizione a cura della Postulazione dei Padri Passionisti. I testi della Positio super virtutibus e della Nova Positio sono presi dall'edizione ufficiale della S.C. dei Riti (1927 e 1928). Similmente per l'importante Positio super revisione scriptorum dell'allora Postulatore il celebre P. Luigi Besi (S.c. de Riti 1917).

(2) Le seguenti riflessioni sono state suggerite dalla nuova tempe­rie fenomenologico-esistenziale e vanno quindi considerate e prese come un modesto tentativo ad experimentum per interpretare la partecipazio­ne nella realtà vissuta. Il loro scopo è soprattutto quello di accentuare

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Si tratta quindi di una «contemporaneità» nel senso biblico-kierkegaardianoe) e agli antipodi di quello heideggeriano (se mi è consentito il termine) di «presenza del presente »(4) cosmico, di Gemma alla Passione di Cristo. L'espressione umile e profon­da di «aiutare Gesù nei suoi dolori» esprime il senso del nostro problema: Gesù soffre sempre, soffre an­cora, soffre ora ... per i peccati degli uomini; quindi soffre e soffrirà ogni volta che gli uomini peccano, che ciascuno di noi pecca, fino alla fine del mondo.

C'è una lettera di Gemma a P. Germano (del 22 aprile 1901) che forse ci può illuminare un po'. Alle

da una parte - sul piano esistenziale - il rapporto della «contempora· neità doppia" di Cristo all'uomo, ad ogni Singolo, e dell'uomo, di ogni Singolo, a Cristo l'Uomo·Dio nel momento della decisione pro o contro Dio, pro o contro Cristo, nel rifiuto o accettazione consapevole della gra­zia della salvezza.

(3) È la dialettica cristiana di Kierkegaard nei due momenti del­l'uomo di fronte a Dio, nella sfera dell'essere, e dell'uomo di fronte a Cristo, nell'arco aperto della storia di salvezza: «Un io di fronte a Cristo è un io potenziato da un'immensa concessione di Dio, potenziato per l'im­portanza immensa che gli viene concessa dal fatto che Dio anche per amore di quest'io si degnò di nascere, s'incarnò, soffrì e morÌ. Come si è detto sopra, più idea di Dio, più io, anche qui bisogna dire: più idea di Cristo, più io. Un io è qualitativamente ciò ch'è la sua misura. Nel fatto che Cristo è la mia misura, si esprime da parte di Dio con la massi­ma evidenza l'immensa realtà che ha l'io; perché soltanto in Cristo è vero che Dio è meta e misura, ovvero misura e meta dell'uomo. Ma più io, e più intensivo il peccato» (S. Kierkegaard, La malattia mortale. P. II, trad. it. Sansoni 1965, p. 344; ed. 1972, p. 682 ab.).

(4) L'espressione (Anwesenheit des Anwesenden) ch'è l'essente (Seiende) indica in H. il suo distacco dalle filosofie essenzialistiche oblio­se dell'essere come atto di presenza e significa perciò: «Non nascondi­mento" (Unverborgenheit), «apertura» o meglio «aperità» (Offenheit), il «lì» (Da) dell'essere (Da-sein) e quindi il darsi del mondo (Welt) all'uomo (Cfr. p. es. Kant und das Problem der Metaphysik, § 44, p. 216 s. Per altre riferenze, vedi: H. Feich, lndex zu Heideggers », «Sein und Zeit", Tiibingen 1961. p. 5). Siamo agli antipodi della realtà che Gemma ci pre­senta e l'accostamento vale soltanto per indicare la «immediatezza di presenza» dell'evento, poiché mentre quella della ontologia fenomenolo­gica è senza dimensioni, quella di Gemma è carica dell'intensità della trascendenza teologica e mistica. Saranno le stesse parole della nostra Santa a mostrarlo con ben altra penetrazione della presenza dell'essere dell'Essente.

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domande della Santa: Gesù « ... risponde, sì, ma ha le lacrime agli occhi. Quando mi metto a pregare, qualunque preghiera faccio, mi guarda e piange (cioè mi sembra(S) di vedergli gli occhi lacrimosi) ». Ed ora un tentativo di dialogo: «Mai ho il coraggio di domandargli nulla. Ieri mattina, costretta per obbe­dienza a domandarglielo, gli dissi: 'Gesù, perché piangete?' ed esso: 'Figlia mia, non me lo chiedere .. .' Mi fece piangere anche me ... mi sembrò che mi strin­gesse a Lui più forte del solito, e mi dette un bacio in fronte».

La Santa si mette a riflettere e ad umiliarsi di fronte a Cristo sofferente: «Non gli ho domandato nulla, ma continua sempre a piangere ». E subito si commuove: «Se fossi stata io, babbo mio, che faccio piangere così tanto Gesù(6). Che farò? [ ... ] Chi più peggiore di me? E anche ho il coraggio di dire: 'Che avrà Gesù che piange?' Mi umilierò tanto tanto, per­ché mi riconosco colpevole di mille iniquità, ma però non vo' disperarmi perché, se è inquieto Gesù, vado dalla Mamma mia, e la prego che dica a Gesù che sarò buona e non lo farò più piangere ». Si tratta quindi di un evento, il pianto di Cristo per i peccati degli uomini, che la Santa vede nel presente perché (dice che) l'ha causato lei stessa ed essa ne ha l'espe-

(5) Si presti attenzione: i «mi sembra», «parmi», «mi è parso», «mi pareva » ... ed altre simili espressioni, frequenti in Gemma, non sono dubitative, poiché la Santa intende riferire la realtà del fatto, cioè del fenomeno, che ha presente; sono espressioni «cautelative» per l'umile concetto che ha di sé e rispetto al dubbio degli altri, soprattutto del con­fessore Mons. Volpi.

(6) Già nella letto 54 a del 5 aprile (venerdì santo) aveva scritto: « ... stamani circa le lO, il cuore cercava ... cercava ... mi sono sentita manca­re ... Ma ciò che veniva innanzi a tutto e che tutto precedeva, era il dolore dei peccati: com'è forte quel dolore! Se fosse maggiore, non potrei so­pravvivere» (p. 146). Anche nell'Autobiografia: «L'orrore al peccato sem­pre lo provavo» (p. 234).

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rienza nel presente: « ... anche che abbia fatto piange­re Gesù, pure Esso mi vuole sempre bene, e mi si fa sempre sentire. Anche troppo forte ... ».

L'effetto che Gemma si sente crescere nell'animo è lo slancio a farsi santa e ad acuire in sé la compas­sione per i dolori di Gesù assieme alla comprensione per i suoi peccati. È la chiusura di questa mirabile lettera: «Dopo tanti peccati io riconosco in Gesù un vero Padre, pieno di misericordia! [ ... ] Oh! quando ve­do piangere Gesù, mi trafigge proprio il cuore: pen­so ... penso ... che col peccato gli ho aggravato l'op­pressione che fu ricolmato nel far l'orazione nell'Or­to ... In quel momento Gesù vide tutti i miei peccati, tutte le mie mancanze e insieme il posto che avrei occupato nell'inferno, se il cuore di Gesù (tuo) non mi avesse impetrato il perdono» (p. 152 ss.). E la si­tuazione si ripete, sotto altra forma, nella seguente lettera 58 a dopo aver esposto l'affanno di trovarsi so­la o con estranei quando vengono i fenomeni dolorosi della partecipazione e invoca l'assistenza di Cecilia: «O babbo mio, mi aiuti. Da ogni parte vedo avverarsi tante parole sue. Continuamente piango, Gesù pian­ge, la mamma mia [Cecilia] piange. Sento, babbo mio, che se ancora continua così, io morirò e anderò ... » (p. 155).

Ed eccoci ancora al nocciolo, cioè il fatto che Cristo, in quelle apparizioni, appare realmente soffe­rente: «Povero Gesù! Mi fece stare circa un'ora sola, ma poi venne e si presentò a questo modo, tutto san­gue (corsivo nostro) dicendomi: 'Sono il Gesù di P. Germano'. Non ci credevo, e perché? Temo sempre sempre» (Diario, 1-2 agosto 1900, p. 183). Gemma è presente a se stessa e non è affatto allucinata. Più sintomatica ancora è l'apparizione del mercoledì san-

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to 1899, quasI ID preparazione alla comunicazione delle stimmate, durante l'Ora Santa: «Passai l'ora in­tera pregando e piangendo; infine, stanca com'ero, mi misi a sedere; il dolore continuava. Mi sentii poco dopo raccogliermi tutta e, dopo poco, quasi tutto ad un tempo, mi vennero a mancare le forze! [ .. .]. Mi mi­si in terra con la fronte, e così stetti per più ore. 'Fi­glia mia - mi disse - vedi, queste piaghe le avevi tutte aperte per i tuoi peccati, ma ora consolati, ché le hai tutte chiuse col tuo dolore. Non mi offendere più. Amami, come io ti ho sempre amato. Amami!' mi ripeté più volte» (p. 252 s.).

Pare, a giudicare almeno dagli Appunti di Diario secondo la cronologia degli editori, che un fenomeno del tutto simile era accaduto anche il lunedì santo 27 marzo dello stesso 1899. Gemma è in casa ed ha appena finito di recitare la penitenza della confessio­ne quando si sente scuotere ed ode una voce: «Guar­da in che stato avevi ridotto Gesù per i tuoi peccati ». «Alzai gli occhi - continua la santa - e mi parve di vedere ... Gesù crocifisso, tutto sangue e ricoperto di piaghe [ ... ]. La stessa voce: ' ... ma che ti faceva di male Gesù? Perché lo trattavi così? Guarda quante piaghe gli avevi aperto con i tuoi peccati. Povero Ge­sù! per aver l'anima tua quanto sangue ha voluto ver­sare! Ha voluto patire tanto Gesù per amore tuo, e tu?!» La sera del venerdì (santo) ode la stessa voce: «Guarda tutte le piaghe che avevi aperto a Gesù coi tuoi peccati, le hai tutte risanate col tuo dolore ». (p. 283).

Sintomatica in questo contesto è la lettera 49 a

dell'ottobre 1900 al confessore. Gemma resiste a Ge­sù che le vuole dare le piaghe perché ha avuto la proibizione dal Volpi che teme si tratti di allucinazio-

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ni diaboliche. La Santa continua: «E Gesù: 'Lo farò vedere chi sono, non temere'. E ho tanta paura an­ch'io - 'Tu poi, diceva Gesù, di che temi? Più volte ti ho fatto conoscere chi sono. Che credi? A me di­spiacciono i tuoi dubbi' - 'Ma io - risposi - dubito perché dubitano gli altri' - ecco la dialettica della tensione -; 'ma per carità, se tu sei Gesù proprio, fatti conoscere ammodo; ci credi? non possiamo più andare avanti, né io né il confessore, né quelli che sanno queste cose'. E, con un incredibile paradosso, quasi temendo di scambiare Gesù col diavolo: 'Temo tanto, o Gesù, perché ho paura di essere ingannata dal diavolo, e anche ho paura d'ingannare gli altri'. E la conclusione diventa drammatica: 'lo parlavo e Gesu mi guardava, e voleva pure che io guardassi le sue piaghe, che versavano tutte Sangue, e mi diceva: 'Vieni, avvicinati, guarda queste piaghe, toccale. No, assicurati, non t'inganno ... ». Piangevo, ma non mi av­vicinai; e spesso ripeteva: «No, non t'inganno, stai si­cura. Dì al confessore che faccia pure [ciò] che vuole. lo da ora sono pronto a fargli conoscere le cose sì chiare, da non aver più dubbio alcuno ». Poi si mise a parlare, ma nel vedere Gesù in quello stato, stavo tanto male, e mi pareva di sentirmi qualche cosa nel­le mani e i piedi; ma appena me ne avvidi, mi alzai, scappai subito, lasciai Gesù, e così obbedii e fui con­tenta» (p. 378).

Riteniamo la realtà del fenomeno delle piaghe aperte e l'invito a toccarle: quindi si tratta di una realtà presente di attestazione sensibile: «Guarda queste piaghe, toccale» - quindi è una realtà [ester­na], presente all'estatica che scappa per non mancare all'obbedienza. Erano «fenomeni» che in Gemma, a partire dal giugno 1899, si ripetevano in forma più

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o meno complessa, specialmente tutti i giovedì e ve­nerdì, ma negli anni 1901-1903 quasi tutti i giorni e sia di giorno come di notte, come sappiamo dai testi­moni, come anche e più direttamente dal resoconto delle Estasi, dell'Autobiografia e del Diario ... Non c'è quasi lettera e soprattutto Estasi che non presenti Gesù sofferente che attira la fanciulla a partecipare ai suoi dolori: « Povero Gesù ... Quanti colpi, povero Gesù! Non mancano, Gesù, quei cattivi, ma non man­ca in te la pazienza - Lasciatelo stare Gesù ... Batte­temi me, Gesù no. Perché vendicarvi sopra Gesù? Vendicatevi sopra di me» (E. 30 a p. 45).

Il significato realistico del fenomeno è chiaro: per Gemma si tratta di un fatto, di dolori reali di Ge­sù, che ella chiede per sé. - La natura e lo scopo di tale dolore di Gemma ce lo fa capire (in qualche mo­do!) la prima parte della descrizione della impressio­ne delle Stimmate, dove il rapporto della costellazio­ne amorosa: ricordo dei peccati e dei patimenti di Gesù, dolore di compassione e brama di espiazione ... crea nella Santa la disposizione alla « partecipazione totale della Passione di Cristo »(7). Il fenomeno pre­senta tre momenti principali che stanno in un rap­porto di causalità e di partecipazione da parte dell'a­nima sbigottita:

1) (Il dolore dei peccati) « Eravamo alla sera: tutto ad un tratto, più presto del solito, mi sento un inter­no dolore dei miei peccati; ma lo provai così forte, che non l'ho più sentito; quel dolore mi ridusse quasi direi lì lì per monre ».

(1) Autobiografia, p. 261 s.

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2) (La partecipazione delle potenze dell'anima) {( Dopo questo mi sento raccogliere Wtte le potenze dell'a­nima: l'intelletto non conosceva che i miei peccati e l'offesa di Dio; la memoria tutti me li ricordava, e mi faceva vedere tutti i tormenti che Gesù aveva patito per salvarmi; la volontà me li faceva tutti detestare e promettere di voler tutto soffrire per espiarli ».

3) (La conformità totale dell'anima) {( Un mucchio di pensieri si volsero tutti alla mente: erano pensieri di dolore, di amore, di timore, di speranza e di conforto ».

La lucidità della mente è pari - e questo è l'a­spetto sorprendente - all'intensità dell'esperienza che si rinnovava ogni volta che si ripetevano le Stim­mate, cioè tra il giovedì e il venerdì. È la Santa ad attestarlo precisando che il «dolore mentale» supe­rava ormai quello delle ferite sul corpo: {( Trascorsi intanto parecchio tempo, e ogni giovedì, circa le '8 e prima, sentivo i soliti dolori; ogni volta che mi acca­deva in questo modo, sentivo prima di tutto un dolo­re così forte e intenso dei miei peccati che quello mi cagionava più dolore che i dolori delle mie mani e dei piedi, del capo e del cuore; questo dolore dei pec­cati mi riduceva a uno stato di tristezza da morire» (p. 263). La sobrietà dello stile di Gemma ci fa rim­piangere il vantaggio del suo ammaestramento che fosse un po' più accessibile a quanti - e siamo (pen­so!) la maggior parte - non godono dei {( fenomeni della partecipazione attuale» alla Passione di Cristo.

Un'osservazione pertinente e singolare, per affer­mare il carattere esistenziale della partecipazione di Gemma alla Passione di Cristo, è ch'essa parla di pre-

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valenza dei « suoi» peccati, che si considera la « più grande peccatrice » ... : « Se fossi stata io che ho fatto tanto piangere Gesù? che farò? .. Chi è peggiore di me? E anche ho il coraggio di dire: t Che avrà Gesù che piange?'». Colui che, come Gemma, è immerso nella Passione di Cristo, non guarda agli altri fuori di sé, richiama su di sé la colpa di tutti, così fa Gem­ma, per aver il privilegio di soffrire per Gesù e di consolare Gesù per tutti, di assumere in sé il dolore di tutti per consolare Gesù.

Allora che dire? Ci troviamo nel momento esi­stenziale più intimo della manifestazione della Pas­sione del Verbo Incarnato alla sua Chiesa, che è la Società dei Santi, ma che sulla terra è formata so­prattutto di peccatori. Allora quando i mistici e S. Gemma affermano di vedere Gesù sofferente, che porta la Croce, che ha le piaghe aperte, ~he è gron­dante sangue, ecc., intendono riferirsi a un presente reale e non a una semplice immagine o a un ricordo del passato. Sarà un « presente mistico», ma deve pur essere sempre reale com' è reale su di un altro piano - quello sacramentale - la rinnovazione del Sacrificio della Croce nella consacrazione del pane e del vino nella S. Messa: rinnovazione mistica. Pos­siamo allora parlare anche di « dolori mistici» e quin­di reali quelli che Gesù soffre ancora per i peccati che gli uomini continuano a commettere a valanga ed alle volte con esplicito disprezzo della Morte re­dentrice di Cristo? Non ci sembra che quest'interpre­tazione (sia stata e) sia da condannare, se si vuole da­re un senso plausibile alla concezione del peccato tramandato dalla spiritualità cristiana ed alle appa-

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rizioni attestate dai mistici ed in particolare, come si è visto, dalla nostra Gemma(8).

C'è un testo sintomatico proprio di Gemma che sembra ricondurci alla spiegazione tradizionale. Ri­leggiamo per intero la lettera 57 a (22 aprile 1901) al P. Germano dove la Santa scrive che Gesù « ... non le risponde più allegro come prima; ora mi risponde, sÌ, ma ha le lacrime agli occhi. Quando mi metto a pregare, qualunque preghiera faccia, mi guarda e piange (cioè mi sembra di vedergli gli occhi lacrimo­si). Mai ho il coraggio di domandargli nulla. Ieri mat­tina, costretta per obbedienza a domandarglielo, gli dissi: I Gesù, perché piangete?' Ed Esso: I Figlia, non me lo chiedere ... '. Mi fece piangere tanto anche me ... Non gli ho più domandato nulla, ma continua sempre a piangere. Non è vero, babbo mio, che a star uniti con Gesù direi quasi di gustare una gioia del Paradi­so? Se fossi stata io, babbo mio, che faccio piangere cosÌ tanto Gesù? Che farò? .. Purtroppo lo conosco che sono stata debole, ingrata verso Gesù: non ho os­servato come dovevo le sue leggi: non ho mai adempi­to ai propositi fatti nelle confessioni; mi riconosco priva di meriti, perché sprecai le grazie che Gesù mi faceva: mi vedo piena di demeriti per i miei inutili pensieri e parole inutili: non so per niente mortifica­re gli occhi. Chi è più peggiore di me? E anche ho il coraggio di dire: I Che avrà Gesù che piange?' Mi

(8) Nel primo foglio del Diario, giovedì 19 luglio (1900), si legge: « ... Al raccoglimento mi successe come molte altre volte; mi andò via il capo e mi trovai con Gesù che soffriva pene terribili. Come veder soffrire Gesù e 110n aiutarlo? Mi sentii allora tutta in un gran desiderio di patire per aiutarlo, e chiesi a Gesù di farmi questa grazia. Mi contentò subito, e fece come aveva fatto altre volte: mi si avvicinò, si tolse dal suo capo la corona di spine e la pose sul mio ... » (p. 165 s.) - Cf. anche pp. 167, 177, 183: « ... mi si presentò tutto sangue », p. 192, 205 ... ).

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umilierò tanto tanto, perché mi riconosco colpevole di mille iniquità, ma però non VO' disperarmi perché, se è inquietato Gesù, vado dalla Mamma mia e la pre­go che dica a Gesù che sarò buona e non lo farò più piangere». Ed ora la spiegazione, se così si può chia­mare: « Oh! quando vedo piangere Gesù, mi trafigge proprio il cuore; penso ... penso ... che col peccato gli ho aggravato l'oppressione che fu ricolmato nel fare orazione nell'Orto ... In quel momento Gesù vide tutti i miei peccati, tutte le mie mancanze e insieme vide il posto che avrei occupato nell'inferno, se il Cuore di Gesù (tuo) non mi avesse impetrato perdono. Gesù, Gesù, Gesù no, non accarezzerò più me stessa, perché voglio con la tua grazia tener soggetto [il corpo] alla mia volontà ... Insomma, oh Gesù, (ecco la mia pre­ghiera) perdonami: ti risarcirò, o Gesù, col trattare me stessa [da] tua schiava, e sottoporre le mie spalle alla tua croce ... O Gesù, mio Dio, conosco che chi vuoI salire in alto, presto sdrucciola, e cade di nuovo nel pantano. Babbo mio, smetto» (p. 152, S.)(9).

Ma il problema del significato di quel singolare fenomeno di Gesù che appare hic et nunc sofferente, grondande sangue, piangente ... per i peccati che gli uomini, disprezzando la sua grazia, continuano a

(9) Anche nell'Autobiografia: « Ogni giovedì continuavo a fare la Ora Santa, ma mi accadeva alle volte che quest'ora durasse circa le 2, perché me ne stavo con Gesù e quasi sempre mi faceva parte di quella tristezza che provò nell'Orto alla vista di tanti peccati miei e di tutto il mondo: una triste'zza tale che può ben paragonarsi all'agonia della mor­te" (p. 256).

Questa esperienza della contemporaneità al dolore reale di Cristo nella sua Passione risale almeno fino ad Ori gene il quale nelle Omelie in Leviticum scrive: « Salvator meus luget etiam nunc peccata mea" (Ra­mi!. VII, § 2; P.G. XIII, co!. 477). Il testo è citato anche da Kierkegaard nelle riflessioni cristologiche del Diario della maturità (X 4 A 131; trad. it. nr. 3425, t. VIII, p. 227 s.). La fonte prossima è Fr. B6hringer, Die Kir­che Christi und ihre Zeugen, P.I, p.189).

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commettere, resta ancora da decifrare. Gemma scri­ve, d'accordo con la tradizione che « ... Gesù vide tutti i miei peccati ... e vide il posto che avrei occupato nel­l'inferno» - è certo che non solo come il Verbo eter­no, ma anche come l'Uomo-Dio glorificato alla destra del Padre, Cristo abbraccia dall'inizio alla fine la sto­ria non solo dell'umanità ma di ogni individuo parti­colare. Si può anche credere-ma il Vangelo non lo dice - che il Cristo nell'orto ha (ante) visto i peccati di tutti gli uomini ed ha sofferto per essi il sudore di sangue ... Per questo Cristo vuole che Gemma ripeta in sé le sofferenze fisiche e morali della sua Passione: « Gesù continuava: 'Se è vero l'affetto che tante volte mi hai detto di serbarmi nel tuo cuore, io voglio che tu porti in te scolpita la mia immagine. Guardami: mi vedrai trafitto, deriso da tutti, morto in croce e io t'in­vito tu pure a morire in croce con me' »(10). Allora il Cristo che appare piangente, sofferente fino a versare sangue, crocifisso... rinnova misticamente, quindi realmente (?), i dolori della passione per i nostri pec­cati. Quindi anche ad ogni peccato dell'uomo Gesù soffre misticamente, e perciò realmente (?) anche og­gi, come soffrì ieri e come soffrirà domani. Si tratta allora che per Cristo Uomo-Dio - sintesi reale di fini­to e d'Infinito, di tempo e di eternità ... - le dimensio­ni del tempo non si rapportano come in noi: infatti ne­gli uomini il presente deve, per realizzarsi, staccare e staccarsi dal passato e accostarsi al futuro.

In Cristo, come l'umanità è congiunta alla divini­tà, così il tempo della storia umana è congiunto real­mente all'eternità in cui si compie l'escatologia divi­na dell'esistenza e della storia. A questo modo si può

(IO) Lett. 64" a p. Germano, p. 169.

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(si potrebbe?) allora dire che i tre elementi (dimen­sioni, parti ... ) del tempo coesistono distinti e insieme simultanei nelle coscienza umana di Cristo glorioso, anche se Cristo come Dio e Verbo divino vede tutto dall'alto in aree aeternitatis(ll). Quindi Cristo, come Redentore, continua misticamente e quindi realmen­te la sua redenzione e perciò anche a soffrire mistica­mente e quindi realmente per i peccati degli uomini? Per Cristo l'evolversi della storia umana, ed in parti­colare della storia della Chiesa, non è uno spettacolo indifferente quasi come il proiettarsi di una pellicola già bell'è montata, ma rimane e si presenta ad ogni momento come il conto della libertà dell'uomo che la grazia divina continua a stimolare e a rispettare.

Quindi allora Cristo come uomo continua a sof­frire? Od è soltanto la scena dei mistici, un'immagine retrospettiva? Ma non sarebbe obbligato allora il mi­stico a dichiararlo per primo? Perché allora tutti i mistici insistono nel descrivere il « fenomeno» in ter­mini di presenza reale alla quale « partecipano» con il proprio dolore ed i propri patimenti? Insomma: il problema, cosÌ posto, ha un senso? A me sembra di sÌ, ma dubito di riuscire a dargli una prospettiva suf­ficiente: mi auguro che riesca qualche altro più pro­fondo e soprattutto dotato di senso più spirituale. Il nostro modesto tentativo s'ispira ad un tipo di anali­si esistenziale del tempo come « spazio» della libertà inteso nel senso, se cosÌ posso esprimermi, di conte-

(11) La bellissima espressione è di s. Tommaso ed ha significato metafisico: «Sed Deus est omnino extra ordinem temporis, quasi in arce aeternitatis constitutus, quae est tota simul, cui subiacet totius temporis decursus secundum unum et simplicem eius intuitum» (Comm. in Peri­herm, lib. I, c. IX, lect. 14; ed. Leon., t. I, fol. 70 a). Ci dispiace di non poter approfondire qui questa profonda dottrina dell'Angelico.

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nente attivo della possibilità di cui la libertà è princi­pio per ciascuno di noi dalla nascita alla morte. CosÌ, sul piano esistenziale - non certo, ovviamente, su quello metafisico - ogni decisione è scelta di libertà sempre nuova da parte dell'uomo, cioè di ogni sin­golo.

Viene qui spontaneo il richiamo all'espressione improvvisa che esce nell'insuperato commento all'a­gonia di Gesù nell'orto ch'è Le mystère de Jésus di Pascal(12). Nelle altre fasi della Passione sono gli uomini che tormentano Gesù, qui - dice Pascal -nell'Orto è Gesù che tormenta se stesso; cerca conso­lazione dai tre amici più cari, ma questi dormono: cosÌ si sente abbandonato da tutti nell'orrore della notte alla collera del Padre. Ed ecco l'espressione im­provvisa: « Jésus sera en agonie jusqu'à la fin du mon­de: il ne faut pas dormir pendant ce temps-Ià ». Secon­do l'esegeta più recente il testo è suscettibile di una doppia spiegazione:

l) benché l'agonia di Gesù sia un fatto localizzato nel passato tanto nel tempo come nello spazio, tutta­via essa, per la sua portata, è coestensiva a tutta la storia dell'umanità;

2) benché Gesù sia l'unico Salvatore, Egli non pro­lunga meno la sua agonia nei suoi discepoli, come lo dimostrano tante esperienze, a cominciare da quella di S. Paolo(13). Che dire? Si sarebbe quasi

(12) Pensées et Opuscules, ed. L. Brunschvicg, Paris 1917, nr. 553, p. 574 ss. (con fotocopia della I p. dell'originale che contiene la frase che ci interessa).

(13) A. Feuillet, L'Agonie de Gethsémani, Enquète exégetique et théologique suivie d'une étude du «Mystère de Jésus» de Pascal, Paris 1977, p. 280. A differenza di Gemma e P. Pio, nel «Mystère de Jésus» secondo Steinmann « ... les images sont inexistantes, perdues dans la

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tentati di appoggiarsi alla prima, se l'Autore non aggiungesse come spiegazione: « ... Gesù è morto ed ha sofferto per i peccati di tutti gli uomini e di tutti i tempi ». Ma Gemma dice che Gesù « ora}) - nell'ora del tempo della sua estasi - Gesù sof­fre, piange, si lamenta, si appena ... quando gli uo­mini peccano e perché continuano a peccare, co­me si è visto.

Ci sembra invece più fedele (anche nella lettera) al ritmo profondo del testo pascaliano, ch'è espressa­mente ricordato, ma ovviamente non citato, quanto si legge in una lettera del P. Pio da Pietrelcina (in data 19.3.1913) al suo direttore spirituale: data l'im­portanza eccezionale del testo per la somiglianza con la situazione della mistica di Lucca che l'aveva prece­duto con espressioni ancor più veementi, la mite Gemma, secondo una testimonianza della zia Cecilia: « I Noi in Chiesa, ammoniva Gemma, non si sta come ci si dovrebbe stare. Se vedesse come ci stanno gli Angeli ed i Serafini intorno all'Altare, non si farebbe così!' - Una volta mi disse che Gesù voleva che pre­gassi tanto per i Sacerdoti e una mattina le aveva detto: I Figlia mia, vedi, se non fosse per rispetto a questi Angeli che mi stanno d'attorno, quanti ne ful­minerei all'altare! E voleva dire nel tempo che dico­no la Messa. E pregava molto per i Sacerdoti tanto che è arrivata a sudar sangue, un mese sano, l'ago­sto. Mi diceva qualche volta: I Lo vedesse, come li (lo?) trascinano con le funi i Sacerdoti, ora di qua

nuit. Jésus·Christ n'est pas vu. Il est seulement entendu» (J. Steinmann, Les trois nuits de Pasca!, Paris 1962, p. 51). Ma non c'è in Pascal la rap­presentazione degli Apostoli dormienti, il ricordo di Cristo del tutto solo e della notte che avvolge cose e persone ... ?

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ora di là! ed era un continuo pregare per essi, i Sa­cerdoti(I4)' ».

Crediamo opportuno riportare la testimonianza di P. Pio per intero dividendola in 4 paragrafi seguen­do, come per Gemma, il ritmo profondo del testo.

1) La visione: «Venerdì mattina ero ancora a letto quando mi appare Gesù. Era tutto malconcio e sfi­gurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi di­gnitari ecclesiastici. Di questi, chi stava celebran­do, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena. Nessuna risposta ne ebbi. Però il suo sguardo si riportava verso quei sacerdoti e, come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguar­do ed allorché lo alzò verso di me, con grande mio orrore, due lagrime gli solcavano le gote. Si allon­tanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto e di disprezzo sul volto gridando: I Macellai' »( 15).

(14) Summ. nr. VII: De heroica in Deum caritate. nr. 18 S., p. 332. L'argomento è stato approfondito nella Responsio ad animadversiones ... Nova positio, p. 90 ss. con riferimento alle rivelazioni di S. Brigida, S. M. Maddalena de' Pazzi, S. Paolo della Croce ... - Ancora nei processi la zia Cecilia attesta che Gemma un giorno le disse: «Zia, preghi per un povero sacerdote che tace un peccato grave in confessione e pur celebra la S. Messa; e so ancora che ne parlò a Mons. Volpi, il quale, quando quel sacerdote tornò a confessarsi, finita la solita accusa, gli chiese se avesse altro da accusarsi e quello negando, il Volpi gli osservò: 'Eppure un'anima santa mi ha detto che lei confessandosi tace sempre un peccato grave per vergogna'. Allora il sacerdote ruppe in un dirotto pianto e fece regolarmente la sua confessione» (nr. IX, De heroica prudentia, § IX, p. 461 s.).

(15) Lett. 132 a p. Agostino di S. Maria in Lamis, ediz. S. Giovanni Rotondo, 1973 p. 351 s.

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2) La spiegazione di Gesù: «E a me rivolto disse: 'Fi­glio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no, io sarò, per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia fino alla fine del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L'anima mia va in cer­ca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimé mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza(16). L'ingratitudine e il sonno dei miei ministri mi ren­dono più gravosa l'agonia. Ohimé! Come corri­spondono male al mio amore! Ciò che mi affligge è che costoro alla loro indifferenza aggiungono il disprezzo e l'incredulità. Quante volte ero lì per fulminarli, se non fossi stato trattenuto dagli An­geli e dalle anime di me innamorate ... Scrivi al Pa­dre tuo e narragli ciò che hai visto ed hai sentito da me questa mattina».

3) Parte segreta del messaggio: «Gesù continuò anco­ra, ma quello che disse non potrò giammai rivelar­lo a creatura alcuna di questo mondo».

4) Partecipazione ed apprensione di P. Pio: «Questa apparizione mi cagionò tale dolore nel corpo, ma più ancora nell'anima, che per tutta la giornata fui prostrato ed avrei creduto di morirne se il dol­cissimo Gesù non mi avesse già rivelato ... Gesù ha ragione. Questi disgraziati nostri fratelli corri­spondono all'amore di Gesù col buttarsi a braccia aperte nell'infame setta della massoneria. Pre­ghiamo per costoro acciocché il Signore illumini le loro menti e tocchi loro il cuore». Seguono pa­role d'incoraggiamento per il P. Provinciale per la

(16) Qui la somiglianza col testo pascaliano diventa letterale.

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sua opera di riordinamento della Provincia Cap­puccina: « Il bene della nostra Provincia dev'esse­re la sua aspirazione, a questo devono essere indi­rizzate le nostre preghiere». Ed anche: « ... se non potranno mancare al Provinciale le difficoltà, le fatiche, le molestie, si guardi bene dal perdersi d'animo. Gesù lo sosterrà». E conclude: « La guer­ra di quei cosacci si va sempre più intensificando, ma non li temerò con l'aiuto di Dio». Quindi credo si possa dire che Pascal, Gemma e P. Pio si man­tengono nella stessa linea di una realtà intensiva di presenza attuale che potremmo chiamare della « contemporaneità doppia»:

a) la contemporaneità, ossia presenza di Cristo al­la storia umana: Gesù è sofferente per e con noi fino alla fine del mondo quando il Figlio dell'uomo farà il giudi­zio della storia e il « principe di questo mondo» sarà cacciato fuori, quando « Babilonia la gran­de» sarà abbattuta per sempre e scenderà dal cielo la « nuova Gerusalemme» ( 17);

b) la contemporaneità, ovvero presenza dei cre­denti, di ciascuno di noi, alle sofferenze che Cri­sto ha patito per i nostri peccati e per quelli di tutti gli uomini. In Cristo è una contempora­neità di solidarietà e di misericordia per i pec­cati del mondo come una continuazione nel senso esistenziale di una «ripetizione» (reale­mistica) della sua Passione. In noi credenti è una contemporaneità di pentimento e di espia­zione per i peccati nostri e del mondo intero

(17) Apoc. 18,2 55.

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e pertanto in conformità attuale della sua Passio­ne, ossia di una nostra «partecipazione» come presenza attiva riparatrice.

La verità teologica della divina trascendenza e della impassibilità di Dio ci sembra resti salva ed an­che, di conseguenza, quella di Cristo come Verbo eterno nella sua nascita eterna (Gv 1,1). Nella secon­da e terza nascita, ossia in quella ch'è avvenuta una volta sola nel parto verginale di Maria ed in quella che avviene in ogni anima che passa dal peccato alla grazia, secondo la profonda esposizione di Ekhardt ripresa da Taulero, quando trascendenza e immanen­za, ossia Dio e le creature, vengono a contatto e quasi s'intersecano: «Quia videlicet nullam ipse tam capa­cem creaturam habet, fundumque essentiae suae ita perfecte effundere atque inscribere queat, sicut in opere illo facit, in quo spiritualiter seipsum in quali­bet anima sancta generat. Haec autem Dei in anima generati o, ut ante saepius dixi, nihil aliud est quam ipsius in nova quadam cognitione et intelligenti a, no­voque modo in anima manifestatio »(18). Ma per Cri­sto vale una ragione speciale: con l'Incarnazione e con i singoli misteri della sua Vita il Verbo eterno ha contratto in Cristo una particolare «situazione di appartenenza al tempo» ch'è la storia umana, la qua­le costituisce per l'appunto il «tempo opportuno» (Km ~~s) della salvezza. Questa «situazione nuova» è una novità sia nel Verbo incarnato, destinato alla Passione, per salvare l'uomo, sia nell'uomo chiamato

(18) D. Joannis Thauleri, Sermones de Tempore et de Sanctis reli­quaque eius Opera Omnia a R.F. Surio Cartusiano in latinum Sermonem translata, Coloniae et denuo Maceratae 1603. In Nativitate Domini, Ser­mo 1, p. 45 - Cf. anche p. 40, spec. p. 309.

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alla salvezza mediante la libertà, ossia la sua parteci-. pazione libera alla Passione di Cristo. Questa dottri­na è pacifica: è mediante la sua Passione e Morte che Cristo ha liberato l'uomo dal peccato ed è mediante la conformità del Christus patiens che il peccatore viene liberato dal peccato ed espia la pena dovuta al­la propria colpa.

La nuova considerazione esistenziale - che nel nostro caso ci è stata suggerita dai «fenomeni» di Gemma, ma vale per tutti i fenomeni mistici similari - intende proporre, o piuttosto parlare, come già la pietà cristiana spontanea della catechesi tradiziona­le, della conformità al Christus patiens e questo in considerazione sia di una riflessione più approfondi­ta e concreta dell'originalità di essere che compete alla libertà umana e sia, di conseguenza, della quali­tà nuova che il tempo umano come «spazio nuovo della libertà» ha assunto con la venuta di Cristo. La « storia di Cristo» non è come quella di qualsiasi per­sonalità del passato (Alessandro, Socrate, Napoleo­ne ... ) che abbia scosso il mondo, ma ora è passata ed è uscita dalla storia, come già si è sopra riconosciu­to: esse finiscono nel tempo e per esse vale il princi­pio di Lessing, che «verità contingenti non possono diventare il punto di partenza per una decisione eter­na ». Gli eventi della storia profana «divengono» per una decisione dell'uomo e una volta divenuti non di­ventano più, sono passati per sempre e devono lascia­re il posto ad altra storia, cioè ad altri eventi ad ope­ra di altri protagonisti. Gli eventi della storia sacra hanno invece per protagonisti la libertà di Dio e la libertà dell'uomo, Dio con l'uomo e l'uomo con Dio, l'Uomo-Dio redentore e l'uomo peccatore che s'incon­trano nel «tempo opportuno» della redenzione e del-

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la conversione. L'irruzione della libertà nel tempo rompe la continuità del tempo e impedisce che il tempo sia coestensivo dell'essere e s'identifichi con esso(19). Anche questo è pacifico.

Il punto più delicato, ed anche più suggestivo, è quello di chiederci se questa continua presenza ope­rante di Cristo usque ad consummationem saeculi non sia semplicemente ridotta (sic!) ad una presenza, effettiva certamente, ma considerata soltanto come già «avvenuta ». Ma si può dire anche in qualche mo­do che, grazie all'intreccio d'immanenza e trasCf~n­denza ... nella forma soprattutto dell'incontro-scomro di due libertà, la divina e l'umana, che la Passione di Cristo, a causa dei continui peccati degli uomini, continua in qualche modo (<< misticamente e realmen­te ») in Cristo, perché gli uomini continuano a pecca­re ed a qualificare la storia con il novum delle pro­prie scelte di ribellarsi a Dio.

In parole semplici si tratta di chiarire un po' che la «storia sacra» è un divenire del «piano di salvez­za» fino alla fine del mondo e che questo divenire è opera di libertà che dà all'uomo la possibilità del­l'alternativa pro o contro Dio, pro o contro Cristo. Cristo, come Uomo-Dio e Redentore, non è certamen­te indifferente alla qualità delle scelte dell'uomo e perciò gode se essa è per Dio e soffre invece se è con­tro Dio. Si tratta ora di chiederci se è possibile man-

(19) A differenza di quanto accade nel pensiero moderno il quale, specialmente dopo Kant, procede a dissolvere l'essere nell'apparire e ar­riva, con Heidegger, a identificare l'essere con il tempo, togliendo cioè sopprimendo alla fine anche l'ultima e decisiva qualità che è la libertà. In Heidegger, infatti, la « essenza della verità è la libertà », cioè la « pre­senza del presente» (Die Anwesenheit des Anwesenden), ch'è il lasciar es­sere l'essente ossia l'apparire come identico all'essere (Cf.: Vom Wesen der Wahrheit, Frankfurt a. M. 1949, p. 18 s.).

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tenere ancora Cristo «implicato» nel tempo nella sto­ria umana, ossia di quella che continua a scorrere nell'apertura della libertà e quindi resta aperta a tut­te le possibilità della libertà stessa ch'è l'unico prin­cipio nuovo ad emergere sopra la natura: una novità - diciamola d'« indipendenza esistenziale» eD) -che Dio stesso rispetta perché l'ha creata tale e che rispettò fin nella futura Madre del suo Verbo, la qua­le attese a riflettere prima di dare il fiat del suo con­senso come «ancella del Signore» (Le 1,26 ss.).

Infatti al primo annuncio dell'Angelo, Maria « ... turbata est in sermone eius et cogitabat qualis esset ista salutatio» (v. 22). Conosciuto poi lo scopo della visita angelica, parla direttamente al Celeste messag­gero, presentandogli il dubbio di fondo sul manteni­mento della sua verginità: «Quomodo fiet istud quo­niam virum non cognosco?» (v. 34). E solo dopo aver avuta l'assicurazione dell' Angelo, Maria dà il suo consenso: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum» (v. 38). Certamente, secondo il n0stro modo di parlare e anche di capire, Dio ha goduto del consenso di Maria: perché allora a fortiori (in senso esistenziale) non ammettere che Cristo, l'Uomo-Dio glorificato, non possa «come uomo}} nella sua peren­ne presenza allo scorrere del tempo, godere quando un'anima con l'amore va a Lui e invece rattristarsi,

(lO) È chiaro che sotto l'aspetto metafisica anche la libertà creata dipende dalla causalità divina, come la causa seconda dalla causa prima: però dipende come causa libera cioè per essere libera, per agire libera­mente ed anche per liberarsi e per diventare sempre più libera nel sacrifi­cio per l'indipendenza della libertà, secondo l'insegnamento di Cristo: «Veritas liberavit vas» (Gv. 8,32). Cioè, per essere più espliciti, mentre per gli effetti delle cause naturali, l'influsso divino cade sulla loro «natu­ralità », per gli esseri spirituali esso cade sulla loro libertà. Anche la gra­zia, secondo S. Tommaso, è data per rafforzare, per rendere « più libera» la libertà (Cfr. S. Th. L, II, q. 109, spec. aa. 2.3.6 ... ). Questo si fonda sulla «ratio imaginis» di Dio nell'anima.

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e ancora soffrire, quando l'uomo col peccato si al­lontana?

Senza voler aprire un discorso troppo tecnico e complesso, qual è quello sulla natura e struttura del tempo, penso non offra più difficoltà la distinzione fra tempo fisico e tempo storico, fra tempo cosmico e tempo umano ed (aggiungiamo) fra tempo naturale e tempo soprannaturale. La distinzione emerge dalla diversa « qualità» dei due campi, della natura e della grazia, nel senso cioè che il tempo fisico si presenta come il susseguirsi nel corso dello sviluppo dei feno­meni naturali, secondo l'articolarsi del « prima» e del « poi» nella continuità del divenire dei processi fisici, mentre il tempo umano si attua nella storia dei popo­li e dei singoli uomini in virtù della « qualità» delle decisioni della libertà: quindi esso procede per strap­pi, mediante la rottura dei progetti dell'azione e le crisi di « decisione» della scelta. È un procedere a strappi anche a causa delle contese, lotte, rivoluzio­ni ... di cui è intessuta la storia umana, ch'è perciò continua e discontinua, perché il suo tempo umano è incluso nel tempo fisico; discontinua, per l'irrom­pere delle decisioni della libertà.

Con la venuta di Cristo il tempo umano acquista un nuovo rapporto interiore, cioè s'inserisce nell'e­ternità che è proprio della divinità. Di conseguenza (credo si possa dire), con lo scomparire della presen­za esteriore della Persona di Cristo dalla scena della storia del mondo, non può essere annullata la sua presenza reale - anche se invisibile - al mondo ed al tempo umano e quindi Egli non è mai assente agli eventi della storia. Questo sembra pacifico: perciò pare anche opportuno e legittimo concludere che co-

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me il nunc reale della presenza continua (-ta) di Cri­sto alla Chiesa, nelle vicende della sua realtà storica, non è tolta ma sostenuta dall'eternità in cui anche l'umanità di Cristo è stata assunta e glorificata, cosÌ questa gloria non nega né distrugge, ma sostiene ed illumina sul piano soteriologico una presenza e par­tecipazione di una «nuova e reale» sofferenza del Cristo-uomo per i peccati che gli uomini ancora com­mettono e continuano a commettere fino alla fine dell'eone storico che sarà chiuso con l'ultimo Giudi­zio.

Ora già nella promessa di Cristo ch'Egli, pur sa­lendo al Padre, resta sempre presente nella sua Chie­sa (Mt 28,20), sembra implicito ch'Egli possa soffrire ancora in qualche modo per i peccati del mondo e soprattutto dei cristiani. Allora, poiché questi pecca­ti attingono dal tempo l'Uomo-Dio che vive nell'eter­nità e meritano una pena di eterna dannazione, cosÌ essi realizzano - se cosÌ si può dire - un nuovo tipo di «presenza esistenziale », nella quale il tempo uma­no attinge l'eternità e l'azione perversa dell'uomo ef­fettivamente offende non solo Dio, ma anche (e so­prattutto, se cosÌ si potesse dire) l'Uomo-Dio. Gesù Cristo, ch'è veramente uomo anche nella gloria, in virtù della sua Umanità attinge il tempo storico e partecipa all'eone in corso di sviluppo della storia umana e di quella di ogni cristiano, non semplice­mente come spettatore indifferente, ma come Salva­tore nella realtà della sua natura umana. Gesù resta in attesa della risposta dell'uomo e di ogni uomo alla sua grazia e, come Egli gode se l'uomo l'ama e Gli rimane fedele, cosÌ soffre quando l'uomo l'offende. Si può dire perciò, come dicono i mistici, che Gesù

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soffre quando l'uomo lo offende, poiché è nel tempo storico che l'uomo offende Dio e Cristo, ch'è il tempo esistenziale concreto dell'esercizio della libertà di ogni uomo durante la sua esistenza terrena.

Anche se in altro senso, cioè in quello dell'asso­luta perfezione e perciò dell'onniscienza di Dio, ogni cosa ed evento sono «presenti» al suo sguardo per­ché nulla potrebbe mai essere e accadere senza l'in­flusso della sua onnipotenza, resta il fatto (ed è an­che verità di fede per il credente) che l'uomo può sce­gliere fra il bene e il male, come ha mostrato del resto la storia dell'uomo fin dal suo inizio catastrofi­co. Bisogna riconoscere, come nel fiat di Maria al­l'Annunciazione dell' Angelo (Le. 2), che la decisione della creatura libera ha un suo proprio spessore on­tologico, il «momento della decisione», la «possibili­tà attiva» appunto della libertà.

L'atto dell'offesa del peccato allora l'uomo lo po­ne nel momento della sua libera decisione, l'offesa prima non c'era: è in quel momento del tempo (in illo tempore) che allora si compie l'offesa non prima. Si ri­fletta ancora che dal punto di vista teologico-mistico, il peccato è l'unica cosa che l'uomo ha in proprio e col quale egli si ribella a Dio, lo sfida, lo disgusta, lo di­sprezza e disprezza la Passione di Cristo che pur l'ha redento dal peccato. Il fatto allora che l'anima di Cri­sto (nell'Orto) mediante la scienza infusa abbia potuto conoscere tutti i peccati di tutta l'umanità fino all'e­saurimento della storia, questo non elimina ma sup­pone la «qualità propria» del disordine del peccato singolo ed agisce anche con la sua novità, ossia che esso accade solo « ora» ed in «questo» ora: ciò signifi­ca non solo che poteva accadere prima od anche dopo, ma soprattutto che poteva anche non accadere.

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Per questo l'uomo diventa responsabile merite­vole e colpevole «ora», nel momento in cui egli pone, esprime ed attua la sua decisione.

Quindi sembra una soluzione minimistica negare che in realtà per il «peccato» dell'uomo, Cristo or­mai (glorioso) più non soffra come uomo, perché ha già sofferto per tutti i peccati della storia umana ch'Egli aveva già previsti uno per uno ... ; i miei (come dice Gemma), i tuoi, quelli di ciascuno e con la spe­ciale malizia di ciascuno(2'). Ma questa malizia è in atto solo nel momento stesso del peccato e si tratta di un atto libero che poteva (e doveva) non esserci e della cui esistenza hic et nunc è causa responsabile solo il peccatore. Ma, come il peccato è un atto, ch'è bensì posto nel tempo da una volontà finita, la quale però attinge l'eterno con la sua ribellione: così l'Uo­mo-Dio, che in quanto Uomo-Dio appartiene sempre all'eone dello sviluppo della storia umana, attende dall'uomo nel tempo la corrispondenza alla sua re­denzione. Pertanto, come Cristo gioisce quando fiori­scono i santi, così anche soffre quando infestano i peccatori. Quella presenza dei peccati nell'Orto era una pre-visione rappresentativa, ma non ancora (sembra) una contemporaneità di scientia visionis, che corrisponde allo svolgersi in atto fino all'esaurir­si, nel piano della divina Provvidenza, della storia del mondo e della Chiesa. Pertanto la visione che Cristo

(lI) «Come» l'Uomo-Dio nella gloria possa, nella sua natura uma­na, soffrire ancora a causa dei peccati dell'uomo, l'uomo non lo può spie­gare, ma questa è la convinzione espressa nel linguaggio abituale della pietà cristiana ed è Cristo stesso che di continuo lo dice ai mistici: qui si vuoI salvare la «verità oggettiva» di ciò che i mistici dicono di vedere e di sentire immediatamente da e in Gesù stesso in siffatte visioni e co­municazioni partecipando ai dolori mentali e corporali ch'Egli dice e mo­stra di soffrire davanti ai loro sguardi e chiede insieme di essere consola­to con la loro partecipazione.

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ha ora, ed in ogni momento, dell'atto della libertà dell'uomo che l'ama o che pecca ha sempre carattere reale e presentativo.

In conclusione: allora l'Uomo-Dio nella gloria soffre ancora? (22). Come Dio, certamente no. Come Uomo-Dio, i Santi e i mistici lo vedono soffrire anco­ra per i peccati degli uomini, lo sentono invocare la riparazione e chiedere di essere confortato ... Soprat­tutto con la rivelazione del culto del S. Cuore, me­diante le visioni (riconosciuta dalla Chiesa) di S. Mar­gherita M. Alacoque (la quale ha avuto tanta parte nella vocazione e crescita spirituale di Gemma), que­sta realtà presenziale di Cristo nella storia delle ani­me sembra fuori dubbio. Infatti, perché non ammet­tere che qui abbiamo un «tempo nuovo» ed una «presenza nuova» di Cristo, in virtù dell'atto nuovo, che l'uomo pone, di peccato e di amore? La presenza esistenziale ed il tempo esistenziale appartenente al­la realtà umana ed alla sua presenza al Corpo misti­co dell'Uomo-Dio? L'Emanuele ch'è Dio con noi? Per­ciò la storia umana ed ogni atto libero, sia dei Santi come dei peccatori, è presente a Cristo in un modo estensivo e intensivo cosÌ che ogni atto gli è presente nella qualità propria del «momento» del suo reale accadere: lo tocca ancora e lo toccherà fino alla fine dei tempi con una nuova spina di dolore o con una nuova goccia di conforto. Tale ci sembra il folgoran­te messaggio cristologico ed ecclesiale dell'umile ver­gine lucchese.

(22) Così anche Gesù secondo la rivelazione ad un'estatica contem­poranea: «E oltre la sua gloria ancora [Gesù] soffrirà nel suo spirito di Amore nel vedere che l'Umanità calpesta il suo Amore. Voi non potete capire per ora» (Maria Valtorta, Poema dell'Uomo-Dio, Edizioni Pisani 1970, val. VII, p. 1399). Qualcuno, più esperto nella letteratura mistica, potrà trovare altre testimonianze analoghe.

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Gemma oggi? Che senso cioè può avere la sua vi­ta di missione per l'uomo d'oggi? Quale rilevanza può avere dopo il Concilio Vaticano II, la sua singola­re partecipazione alla Passione di Cristo per il cri­stiano d'oggi, cioè del post-concilio che, per una erra­ta apertura di secolarismo ed ecumenismo, ha visto scomparire nel popolo l'una dopo l'altra le devozioni più care alla tradizione cattolica: quali la Passione di Cristo, l'Eucarestia, la Beata Vergine Madre di Dio, gli Angeli messaggeri di Dio, i Santi nostri fra­telli e modelli presso Dio? Tutti sappiamo - basta sfogliare le riviste di predicazione e di spiritualtià -che oggi i Santi e le devozioni non godono buona stampa - anzi né buona né cattiva, poiché sono igno­rati o al più, ma anche questo sta diventando sempre più raro, rispolverati per ricerche erudite o per qual­che festa paesana. Ma se scompaiono i modelli, scom­pare anche il Modello e difatti mai la Cristologia ha avuto, ed è tuttora in corso, una crisi così profonda come nell'attuale momento. Veramente il «fumo di Satana », denunciato e deprecato da Paolo VI, ha con­fuso un po' (e più che un po') tutto e tutti, dogma e morale, gerarchia e fedeli ... come non si vedeva dai tempi di Pelagio e di Nestorio, dello scisma di Fozio, della Riforma specialmente di Lutero, che ha strap­pato alla Chiesa metà della cristianità e della bufera del deismo e dell'illuminismo dei secoli XVII-XVIII e del loro erede il modernismo all'inizio del nostro secolo, di cui l'attuale marasma nella Chiesa(23) non è che la reviviscenza e la continuazione. Fino a quan­do?

(23) Cfr., per alcune indicazioni fondamentali, i nostri studi: Intro· duzione all'ateismo moderno, II ed., Roma 1969, e La preghiera nel pen­siero moderno2, Roma 1983.

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Cosa può dire oggi, nella vita della Chiesa del post-Concilio, una vita di eccezione e di nascondi­mento totale in Cristo, come quella della Galgani?

Se l'esperienza mistica di Gemma, come prima quelle di S. Francesco, di S. Caterina da Siena e degli altri stigmatizzati (ed a suo modo anche l'intuizione mistica di Pascal nella festa di S. Clemente) sono, co­me viene da pensare, esperienze reali ed appartengo­no atla sfera di possibilità, ossia di apertura della li­bertà umana; la tesi moderna invece riduce lo spazio e il tempo a fenomeni, forme a priori della sensibilità e pretende di affermare il totale vuoto di essere in cui si agita la vita e il pensiero dell'uomo nella sto­ria. Non si salva soprattutto la realtà della vita quoti­diana abbassando il tempo a livello di fenomeno che resta sull'uscio della verità, come fanno con indirizzo opposto sia il razionalismo come l'empirismo(24), né elevandolo a forma, ossia a principio costitutivo del­l'unità sensibile dei fenomeni e a piattaforma della dinamica delle categorie come invece propone Kant(2S) e meno ancora, anche se con manifesta vo­lontà di coerenza, identificando il tempo con l'essere concreto, cioè storico, della realtà umana, come ha fatto l'idealismo in modo velato e poi apertamente

( 4 ) Giustamente osserva Kant che a questo modo Leibniz, «to­gliendo la differenza» e costruendo un sistema intellettuale del mondo ... ha intellettualizzato i fenomeni, mentre Locke con un «sistema delle idee» (Noogonie) ha sensificato (sensifizirt) i concetti dell'intelletto (Kri­tik der reinen Vernunft, Transz. Analytik I, A270, B326 s; ed. R. Schmidt2

,

Leipzig 1930, p. 316 s.). eS) Kant privilegia espressamente il tempo a confronto dello spa­

zio poiché, se in una prima riflessione lo spazio è la forma dei sensi ester­ni ed il tempo la forma dei sensi interni, poi il tempo abbraccia (cioè informa) l'uno e l'altro (Kritik der reinen Vernunft, Transz. Aesthetik, 6 A34, BSI; ed. R. Schmidt2 , Lipzig 1930, p. 77).

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lo stonClsmo posthegeliano ed esistenzialista(26). Il «fenomeno mistico» è una testimonianza di realtà, non solo presente all'interno della fede, ma anche quale oggetto di osservazione della riflessione ogget­tiva fenomenologica: nella distinzione ed insieme con la solidarietà, cioè appartenenza del fenomeno alla realtà. Infatti il fenomeno (le apparizioni, le esperien­ze mistiche, i fenomeni straordinari ... ) non solo è rea­le, ma si presenta pregnante e decisivo nella realtà della vita del mistico, anche se il giudizio ultimo di valore per la comunità dei fedeli resta affidato all'au­torità della Chiesa. La realtà di siffatti fenomeni straordinari è tanto più significativa negli stigmatiz­zati per la conformità reale, cioè fisica, con la Passio­ne di Cristo, nel senso oggettivo di una esperienza e partecipazione reale e visibile che diventa per la Chiesa e per i fedeli una «testimonianza viva del so­prannaturale ». Il carisma od i vari carismi della par­tecipazione reale dei dolori della Passione di Cristo fa dello stigmatizzato, in senso visibile, un altro Chri­stus patiens.

La realtà del tempo terreno, ovvero dell'esisten­za quotidiana, nel mistico sembra alle volte quasi dissolta, benché non sia ancora nel possesso definiti­vo della presenza ferma della realtà divina, e per questo il fenomeno mistico di solito si dice «ec-sta­si ». Infatti, poiché il mistico si trova a sperimentare la massima vicinanza alla realtà divina è perciò nella

(26) La filosofia contemporanea nelle sue varie direzioni (marxismo compreso) ha eliminato la originalità della qualità dell'essere come quali­tà derivando con Hegel dalla quantità la qualità ed allineandosi in questo alla dissoluzione dell'Assoluto e della trascendenza teologica operato dal­la coincidenza di essere e tempo in M. Heidegger, secondo il quale «il tempo è l'orizzonte per la comprensione dell'essere» «< als Horizont des Seinsverstàndnisses »: - Cf.: Sein und Zeit, ed. cit., spec. §§ 65, 68, 69c, 80, 83, p. 323 ss. Sulla concezione hegeliana del tempo: § 82, p. 478 ss.).

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massima tensiOlle uel tempo che si avvicina e quasi si conforma all'eternità: proprio per questo la sua esperienza tanto più si distingue, ma insieme si di­stacca, dalla fenomenicità e intensifica la verità della propria realtà. Le stimmate, le ferite, il sudore di sangue e gli altri fenomeni mistici sono fatti: non so­lo così sono altrettanto reali, ma lo sono più ancora delle ferite ordinarie e di consimili fenomeni doloro­si di cui l'esperienza personale conosce la dura realtà e la ricerca clinica ne studia le cause. Lo stesso com­portamento dei soggetti di tali fatti mistici, rispetto ad eventi naturali o patologici similari che seguono il corso delle leggi naturali, indicano nel fenomeno mistico una qualità ancor più positiva di realtà dello stesso fenomeno naturale similare: si pensi subito al modo «autonomo» di comparire e di scomparire dei fenomeni mistici di Gemma. Il rapporto nell'ideali­smo moderno di esterno-interno, di fenomeno-nou­meno, di apparenza-realtà e pertanto anche di istante ed eternità ... nel senso di elevazione del secondo ter­mine sul primo e di declassamento di questo rispetto a quello, non ha più senso nei fenomeni mistici, anzi è apertamente sconfessato. Il fenomeno mistico, ben­ché esso sorprenda, è reale di una realtà superiore non solo a qualsiasi altro fenomeno, ma anche a qualsiasi realtà ovvia e lo è, non soltanto per la sin­golarità e rarità, quanto e soprattutto per la sua «ec­cedenza» d'intenzionalità ontologica - ci sia per­messa l'espressione - ossia per lo «splendore» sem­pre nuovo nell'imporsi e manifestarsi in esso di una Realtà proveniente - non solo per l'eventuale spetta­tore, ma per il mistico stesso - da regioni od emisfe­ri dell'essere che sono altri dal «quotidiano », cioè di­versi da quelli del mondo fenomenale e sensibi.le.

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Ritornando alla considerazione dialettica del tempo, Heidegger critica giustamente Hegel per il «livellamento» a cui sottopone lo «ora» (Jetzt) del presente ch'è destinato cosÌ a svanire nella realtà del tutto ch'è l'eternità(27). Ma anche in Heidegger, ca­povolgendo la situazione e facendo del tempo «una successione di momenti» (als Jetztfolge), cioè ritor­nando al tempo aristotelico come «movimento-suc­cessione (indefinita) del momento », il tempo è piani­ficato nella inarrestabile scorrente irrequietezza del momento stesso e cosÌ esso è dequalificato proprio per questo suo scorrere continuo indifferente. Occor­re dunque che il tempo umano, poiché è di questo che si parla, si agganci all'eternità ma non s'identifi­chi con essa, come voleva Hegel, poiché altrimenti il tempo, in quanto umano, (il «nostro tempo ») svani­sce nella pura fenomenicità. E ciò è inammissibile, poiché il tempo deve per l'uomo diventare lo «spazio reale» dell'attuarsi della sua libertà, come già si è accennato e come giustamente ha insistito l'esisten­zialismo cristiano di Kierkegaard(2S).

Pertanto - e mi sembra che si tratti proprio del­la «conseguenza» del fin qui detto - anche l'eterni­tà, non quella di Dio uno e trino nella sua trascen­denza assoluta sul tempo (prima-durante-dopo la creazione e redenzione), ma quella dell'Uomo-Dio

(27) {( Die w-ahrhafte Gegenwart ist somit die Ewigheit" (Hegel, En­zyklop. d. philos. Wiss., § 259 Zusatz).

(28) Per il cristiano infatti è nel {( tempo che l'uomo deve fare la sua scelta che deciderà dell'eternità» (è il problema di Lessing discusso anche nelle Briciole e nella Postilla di Jo. Climacus e risolto nella Malat­tia mortale e nell'Esercizio del Cristianesimo di Anti-Climacus). Perciò l'uomo, che è sintesi di tempo e di eternità, deve saper cogliere « il tempo della grazia" (Diario X2 A 219) e non lasciarsi ingolfare nella finitezza per abbandonare la realtà cristiana come ha fatto il Protestantesimo (Diario XI> A 121).

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ch'è vissuto ed ha operato nel tempo ed è il Salvatore di quanti combattono nel tempo per raggiungere la vita eterna, ha (<< deve avere »), per poter salvarci, un rapporto reale al tempo storico ove gli uomini af­frontano il rischio e le prove della salvezza.

Questo rapporto reale non tocca (forse?) la realtà di Cristo in quanto Dio e in quanto Persona divina, quasi questa perdesse qualcosa della divinità nell'ab­bassamento dell'Incarnazione (secondo l'odierna teo­logia antropologica); ma può toccare e interessare (la persona di) Cristo in quanto uomo, cioè dotato di una vera natura umana «ancora» sensibile, Cristo ora è certamente glorificato e glorioso e «non è più» passi­bile al modo diretto e indicativo. Sembra(29) però che la sua santa umanità, anche se glorificata e glo­riosa, si mantenga ancora partecipe di tutta la tensio­ne esistenziale della storia umana della salvezza e pertanto anche della lotta nelle anime singole come negli eventi di bene e di male nella Chiesa e nel mon­do: Cristo quindi non solo non è indifferente al com­portamento della libertà dell'uomo, ma ne sente i contraccolpi nella sua umanità e sensibilità e li può perciò anche «manifestare », come sembra accadere appunto negli stati e fenomeni dei mistici. In questi fenomeni straordinari delle apparizioni dolorose di Cristo che appare ancora sotto la Croce, con le ferite sanguinanti... e dei Crocifissi e immagini sacre anche sanguinanti e le corrispondenti partecipazioni di do­lore di Cristo da parte dei misticieO) (stimmate, co-

(29) Dico anch'io «sembra », sull'esempio sopra riferito di S. Gemma! (30) In Italia, dopo i fenomeni di Gemma e di P. Pio (che sembra

fosse devoto di S. Gemma), fenomeni simili si riferiscono della M. Aiello (Cfr.: F. Spadafora, Sr. Elena Aiello, Il ed. Roma 1964) e Teresa Museo, morta il 19 agosto 1976 (Cf.: G. Roschini, Teresa Museo, Crocifissa col Crocifisso - Caserta 1979). Ed ora anche P. Gino Burresi O.M.V.

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rona di spine, flagellazione ... ) Cristo «chiede» all'uo­mo la partecipazione ai dolori della sua Passione a titolo di compassione verso di lui e di espiazione per i peccati che gli uomini continuano a commettere: l'invito di Cristo ai suoi privilegiati è fatto certamen­te con la parola, ossia con l'espressa dichiarazione della sua sofferenza reale, ma soprattutto col mo­strare ad essi visibile, in modi vari e cangianti, la sua stessa attuale sofferenza per i peccati attuali che gli uomini continuano anche 'oggi' a commettere. E questo per eccitare la commozione del mistico e, quindi (come si è già detto), la sua reale partecipazio­ne e conformità con la Passione di Cristo: per conso­larlo, per alleviargli la sofferenza.

Un'ultima osservazione ontico-fenomenologica, fondata sulla teologia classica. È vero che l'umanità di Cristo, con la Risurrezione e Ascensione, è stata «tolta agli sguardi degli uomini» (Atti 1, lO). Ma non bisogna lasciarsi soverchiare dalla fantasia empirica nel concepire in modo statico il rapporto fra lo spiri­to e la materia, fra l'anima e il corpo, fra il tempo e l'eternità e quindi fra Dio e la creatura. Già S. Pao­lo aveva ricordato agli Aeropagiti di Atene che Dio non è lontano dall'uomo ma « in Lui noi tutti viviamo, ci moviamo e siamo» (Atti 17,28) e quindi se noi sia­mo dentro di Lui, Dio non è né resta fuori di noi. E S. Tommaso da pari suo aggiunge l'analogia dell'a­nima rispetto al corpo: «Spiritualia continent ea in quibus sunt, sicut anima continet corpus. Unde et Deus est in rebus sicut continens res »(31).

(3\) S. Th. P, q. VIII (De existentia Dei in rebus), a. l ad 2. E l'Aqui­nate lo spiega con la formula più profonda dell'immanentismo metafisi­ca: «Hoc ad maximam virtutem Dei pertinet quod immediate in omnibus agito Unde nihil est distans ab eo, quasi in se i/lud non ha beat » (ibid. ad. 3). È già nel Commento alle Sentenze la causalità divina, fondamento

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Perciò non deve sorprendere l'estensione feno­menologica dello «oggi» dei dolori di Cristo, presen­te nella sua eternità di gloria acquisita con i dolori della Passione e Morte, causati dai peccati che gli uo­mini per debolezza di passioni ed orgoglio di mente continuano e continueranno a commettere. Ogni vol­ta allora che l'uomo nello scorrere del tempo rinnova col peccato la eausa di quei dolori, «rivivono» e ri­tornano misticamente in Cristo gli effetti che sono le sue pene e i suoi dolori ed Egli, misericordioso sempre, si degna mostrarli ai suoi prediletti perché lo compatiscano cioè l'amino al punto che patiscano «come» Lui e patiscano con Lui - che pur nella Pas­sione aveva, sulla via del Calvario, detto alle pie don­ne: « ... Non piangete su di me ma sopra di voi stesse e sui vostri figli!» (Le. 23,28).

della presenza di Dio nelle cose, è detta «immediatissima Il (In I Sent., d. 27, q. I, a. l, spec. ad 4). Nell'art. 2, S. T. aggiunge due modi nuovi della presenza di Dio nelle anime in grazia e della presenza speciale in Cristo «per unionem» ossia « secundum esse hypostasis» della Passione del Verbo (Mandonnet I, 860 s.).

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3. La conformità al « patire con Gesù solo»

Se l'espiare per le colpe e procurare la salvezza altrui è un atto di squisita carità per il prossimo, il soffrire in unione con i dolori di Cristo è l'espressio­ne cristiana più alta dell'amore di Dio. La santa fa risalire questo suo proposito, almeno in forma espli­cita, al 1896: «In questo stesso anno 1896 cominciò anche in me un altro desiderio: in me sentivo cresce­re una brama di amare tanto Gesù crocifisso, e insie­me a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori ». Ed ora un nuovo incontro decisivo col Crocifisso: « Un giorno fui presa da tanto dolore nel guardare, cioè fissare con gli occhi il Crocifisso, che caddi in terra svenuta; si trovava in casa il babbo per appunto, e cominciò a contendermi, dicendo che mi faceva male a stare sempre in casa, e a uscir presto la mattina (erano due mattine che non mi faceva an­dare alla Messa). Risposi arrabbiata: « A me mi fa ma­le a stare lontana da Gesù Sacramentato ». La reazio­ne del padre e quella della figlia stanno agli antipodi: « S'inquietò tanto per quella risposta, che ne ebbi una forte sgridata; mi nascosi in camera, e fu allora per la prima volta che sfogai il mio dolore con Gesù solo ». E forma il proposito: « Ti vò seguire a costo di qualsiasi dolore, e ti vò seguire fervorosamente; no, Gesù, non vò più darti nausea con operare timi­damente, come ho fatto fino a ora: sarebbe venire da te a recarti disgusto. Dunque propongo: Orazione più

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devota, Comunione più frequente. Gesù, io voglio pa­tire e patire tanto per te» e). È ormai questo il pro­posito della sua vocazione: «Ogni giorno, in mezzo ai miei tanti peccati di ogni specie, chiedevo a Gesù di patire e patire tanto» (Autob. p. 236 s.).

E Gesù la prende in parola. La Santa si esprime con un linguaggio incredibile: «Gesù dopo tanto mi consolò (!): mi mandò un male in un piede. Lo tenni segreto per diverso tempo, ma il dolore si fece for­te ... » e dovette essere operatae). Di lì a poco so­praggiungerà la grave malattia (morbo di Pott) che la terrà immobile in letto per quasi un anno, tra il 1898 e il 1899, fino alla guarigione miracolosa. Per Gemma quindi la consolazione è nel soffrire e noi sappiamo già quale fu il suo itinerario sempre in ascesa di partecipazione alla Croce, soprattutto a partire dall'impressione delle Stimmate dell'8 giugno 1899. La «conformità» con i dolori di Cristo è al cen­tro di quest'aspirazione.

A. - A Mons. Volpi.

Lett. 2 a - È la lettera-programma della sua immo­lazione sulla Croce. Impaziente, dopo la guarigione miracolosa di «entrare nella Compagnia delle Passio­niste» come la Madonna le aveva «comandato », ri­solve di andare via da sé: «Le parole della Vergine sosterranno il mio coraggio. Anderò via così come so-

(1) La Santa confida a questo proposito: « Babbo mio, io delle paro­le non me ne ricordo, ma l'Angelo mio è qui, che parola per parola me le detta» (p. 237).

(2) Qui Gemma scrive: « Mi ricordo che mentre fui operata, piansi, urlai ... » (p. 237). I testimoni nei Processi dicono invece che Gemma « mai emise un lamento né prima, né durante, né dopo l'operazione» e che uno dei medici, il Dott. Gianni, esclamò dopo l'operazione: 'Brava Gemma! Hai avuto un gran coraggio! '. Gemma rispose ancora al medico con un altro sorriso» (ibid. n. 2).

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no, senza niente; non mi ripugna niente il soffrire qualunque cosa: non arriverò mai a soffrire quanto ha sofferto Gesù» (p. 311). È questa la misura e la luce del suo soffrire, Sett. 6 - (È del 12 settembre 1899, dopo lo smacco della visita medica delle Stimmate, voluta da Mons. Volpi). Gli comunica che al confesso­re Gesù darà qualsiasi segno « ... purché sia solo: mi basta che Lui solo sia certo che non è una malattia, come l'hanno creduta, e non è opera tua; però devi dirgli che io a te ti manderò tante croci ». Ma non basta: «che invece di ricevere amore, riceverò odio e disprezzo, e per giunta sarò anche abbandonata da Gesù »(3). E Gesù le comunica anche la «ragione teologica », ch'è quella scelta come guida nella nostra lettura: «Però quando Gesù mi avrà messo in questo stato, io non devo pensare alla fine: ma devo prepa­rarmi a delle altre croci e sostenerle fortemente ». E spiega subito qual'è la tecnica di Gesù per possedere le anime: «Mi ha detto poi Gesù: I Sai, figlia mia, in che maniera io mi diverto a mandare croci alle anime a me care? lo desidero possedere l'anima loro, ma intera, e per questo la circondo di croci, e la chiudo nelle tribolazioni, perché non mi scappi di mano; e per questo io spargo le sue cose di spine, perché non si affezioni a nessuno, ma provi ogni suo contento in me solo. È l'unica via per vincere il demonio e giungere a salvezza: Figlia mia, quanti mi avrebbero

(3) Riporteremo più avanti, dagli appunti di Diario a Mons. Volpi, una terrificante rivelazione di Gesù sulle prove che l'aspettano. Il conte­sto mistico di Gemma è chiaro: conformarsi alla Passione di Gesù con la partecipazione a tutti i suoi dolori e soffrire per la conversione dei peccatori. È questo il tema continuo delle lettere e delle estasi: «Sfogati con me. Voglio essere tutta vittima per i peccatori, voglio vivere vittima, voglio morire vittima» (E. 9 a , p. 18). Ancora « Chi è Gesù che ti dà tanti dolori ? .. O Gesù, i peccati, i peccati! Che farei per impedire i peccati!. .. O Gesù, farei tanto per impedirli, ma non son capace. Gesù, per il tuo sangue, per i tuoi dolori ... » (E. 36 a , p. 56).

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abbandonato, se non li avessi crocifissi! La croce è un dono troppo prezioso, e da esso si apprende molte virtù' ».

Alla preghiera di Gemma di concederle la grazia di amarlo tanto tanto, ecco la risposta di Gesù: «O anima a me cara, se veramente vuoi amarmi, eccoti il mio calice: puoi beverlo fino all'ultima stilla. In quel medesimo calice lo ho posto le mie labbra, e tu stessa voglio che tu beva». Gemma si mostra rasse­gnata (<< Ho risposto a Gesù che faccia di me quello che vuole») e Gesù le comunica il progetto del cam­mino che l'attende: «E poi mi diceva: Tu questa croce che io ti ho mandato, non l'hai tanto cara, anzi è con­traria al tuo cuore, e quanto più è contraria, è più simile alla mia. Non ti parrebbe cosa orrenda vedere un padre tra i dolori, e la figlia tra i godimenti? Quando sarò tuo sposo di sangue - diceva Gesù -io ti vorrò, ma crocifissa; mostrami tu l'amor tuo verso di me, come io l'ho mostrato verso di te, e sai come? Soffrendo pene e croci senza numero. Devi pe­rò tenerti onorata, se ti tratto così e se ti conduco per vie aspre e dolorose; permetto che ti tormenti il demonio, che ti disgusti il mondo, che ti affliggano le persone a te più care, e con quotidiano martirio e occulto permetto che l'anima tua sia purificata e provata. E tu, figlia mia, pensa solo in questo tempo ad esercitare grandi virtù, ché questo è il momento; corri per le vie del divino volere, e umiliati, e stai sicura che se ti tengo in croce, ti amo ». E chiude asciutta e distaccata: «Gli chiedo la sua Benedizio­ne », con l'aggiunta che già conosciamo: «Non creda a niente, perché è la mia testa» (p. 317)(4).

(4) E già nella lett. lOa (sett.-ottobre 1899) la Santa comunica al confessore la formula - se così possiamo chiamarla - della sua sequela Christi: «Il soffrire per te, o Gesù, è un godere; si gode soffrendo» (p. 325: corsivo nostro).

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Il tema della croce diventa ormai costante: «Ab­braccia la croce, figlia mia; stà sicura che mentre tu ti sazi di patire, sazi il Cuor mio, e ricordati: quanto più la croce è amara al tuo cuore, allora è più confor­me alla mia. lo, vedi - mi dice Gesù - ho compas­sione della tua debolezza, ti mando a stille l'amaro calice della mia Passione, e ti visito con una piccola parte del patire per volta». La Santa sente ripugnan­za (<< ... mi sento curiosa e non vorrei soffrire stase­ra»), ma è l'Angelo custode che la richiama: « ... mi dice che stia contenta, perché il patire prende la mi­sura del peso, che gli dà la mano di Gesù, in propor­zione di quello che vuoI farlo sentire; e così ordina le circostanze della cosa, e disporrà il mio cuore a riceverlo. E poi non è mica il dolore che deve confor­marsi a noi, siamo noi che dobbiamo conformarci al dolore» (Lett. 14 a , p. 330). Incitata da Gesù, la Santa vuoI essere nella via della croce, per piacerGli: «Quando Gesù mi ebbe detto così, mi venne una gran voglia di patire tanto tanto di più». Ed al lamento di Gesù per le offese di tanti peccati ... , «pregai Gesù che avesse pazienza e sfogasse pure con me, con far­mi soffrire tanto di più ché mi parrebbe di aver for­za». E qui Gesù, come sopra abbiamo esposto, le dice che « ... il diavolo avrebbe sempre di più il permesso di battermi» e le ordina «tutta una serie di aspre pe­nitenze» (Lett. 19 a , p. 337).

È fra ottobre e dicembre del 1900 che si compie l'annuncio di questo progetto: «O figlia, siccome l'a­more mi si dimostra col dolore, tu d'ora in poi lo sen­tirai acuto nello spirito e più tardi acuto nel corpo» (Lett. soa, p. 380). La Santa confessa candidamente di non aver capito nulla, ma Gesù torna presto a spie­garsi con estrema chiarezza e la Santa riporta il tre-

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mendo messaggio con perfetto distacco, senza com­menti, come se non si trattasse di lei: {( Una mattina dopo ricevuta la SS. Comunione, mi sembrò che Gesù mi dicesse queste parole: {( Già il tuo Confessore se ne deve essere avveduto, che lo ti voglio far passare tutta la fila della via mistica. Già la prima parte della tua vita è trascorsa; presentemente siamo alla fine del dolore amoroso, sopraggiungerà il dolore doloro­so, ed in fine notte scura scura: e questa sarà la se­conda e l'ultima parte della tua vita; e al termine di questa, o mia figlia, ti condurrò ... in Cielo ». Viva Ge­sù!» (Lett. 51 a, p. 380).

Ma il messaggio divino dell'appartenenza essen­ziale di amore-dolore e che l'amore, come ha insegna­to anche S. Caterina da Siena, si consuma sulla Cro­ce, è già esplicito nella letto 13 a (ottobre 1899): {( Di­mandavo poi a Gesù che lo volevo amare tanto, ma ho il cuore piccolo e non so fare. Gesù allora mi si è fatto vedere tutto piaghe, e mi ha detto: Figlia mia, guardami e impara come si ama: non sai che me mi ha ucciso l'amore? Vedi, queste piaghe, questo san­gue, queste lividure, questa croce, è tutta opera di amore. Guardami, figlia mia, e impara come si ama. Ho detto: {( Ma, Gesù mio, dunque se io soffro, è se­gno che vi amo? » la risposta toglie ogni dubbio: {( Ge­sù mi ha risposto che il segno più chiaro, che può dare ad un'anima che a Lui gli è cara, è di soffrire e di farla camminare per la via del Calvario: {( La Cro­ce - diceva Gesù - è la scala del Paradiso, ed è il Patrimonio di tutti gli Eletti in questa vita. Ti dispia­cerebbe - mi diceva Gesù - se io ti dassi a bere il calice mio fino all'ultima goccia? Ma non ora, ha detto Gesù, quando sarò in convento. Ho risposto: {( Gesù; sia fatta la tua SS. Volontà» (p. 329).

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E l'esortazione alla Croce continua fino in fondo. Proprio la letto 55 a del marzo 1901, ove la «povera Gemma» annunziava all'incerto Prelato la sua futura glorificazione, segna il messaggio di nuove croci, sof­ferenze, tenebre: «In quanto a te, stai contenta, ché ti conduco come a me meglio mi piace e per vie aspre e dolorose; ti sembra che ti manchi sotto i piedi la terra, sotto gli occhi il Cielo, ma tu non mancar di fede, di amore, di speranza. Attendi solo a guadagnar meriti coll'esercizio delle virtù, disprezza le dicerie del mondo, e a dispetto de' tuoi nemici corri per la via del Divino Volere; stringiti forte con Gesù, umi­liati dinanzi a Lui, ricorri in tutti i momenti alla sua Infinita Bontà, e sappi giovarti di questi mezzi, che il demonio tende per rovinarti. Figlia mia - mi dice­va Gesù - se veramente mi ami, mi ami ancor tra le tenebre. Si delizia il Signore e scherza con le ani­me a Lui più care, e scherza per amore: ora le conso­la, ora le mette in venerazione presso gli uomini, ora permette che diventino il ludibrio del mondo, ora 'le fa coraggiose a tutto l'inferno, ora le lascia atterrire da un nulla. Chi crede di patire, ha poca luce; chi soffre e se ne crede lontano, è illuminato. Chi sta sot­to terra, sta in Cielo e vive in Croce; chi ha il primo luogo in terra, ha l'ultimo innanzi a Dio» (p. 385). E dopo qualche mese nella letto 60 a (maggio 1901) Gesù, dopo che la Santa si era svegliata (dall'estasi), le ripe­te il programma della Croce: «Soffri, rassegnati, con­solati ... unisci le tue pene alle mie, ricevi come un beneficio grande quello che ti ho tolto, abbraccia al­legramente questa croce, se mi vuoi compiacere. Ec­co il tempo, figlia mia, di praticare grandi virtù ». E la lettera ha un finale drammatico e inatteso: «Quan­do ebbe detto così, Gesù mi disse che dicessi a Lei

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che si ricordasse queste parole: « Gesù, quando vuole innalzare un'anima, prima l'umilia tanto. Ora tocca a te ad essere umiliata (me lo diceva a me); dopo poi, quando sarà tempo, saranno umiliati gli altri ». Andò via subito Gesù, e ora eccomi sola; che farò? Mi met­ta in convento» (p. 390). È l'accorata inutile invoca­zione del cuore.

B. - Al padre Germano

Già nella lettera 3 a del 25 marzo 1900, mentre lo ringrazia dell'aiuto e della gioia che le procurano i « suoi santi consigli» perché « le sue parole mi danno coraggio », gli confessa che « ... quando arrivò la pri­ma, creda ero al punto di non averne maggior biso­gno» (p. 13). E la Santa ripete al Direttore lontano quanto ha già comunicato al Confessore, solo lo stile è più vivace nell'umile effusione: « Ma lo amerò pro­prio davvero Gesù? Ho un forte desiderio di amarlo, questo sì, vorrei struggermi per amarlo, ma ... Più vol­te ho dimandato a Gesù che m'insegni Lui il vero mo­do di amarlo, e Gesù allora mi pare che mi faccia ve­dere tutte le sue SS. Piaghe aperte e mi dica: « Guar­da, figlia mia, guarda quanto ho patito. Vedi questa croce, questi chiodi, queste spine? tutto è opera di amore. Guarda e impara come si ama ». Alle volte poi mi dice: « Vedi, figlia mia; il regalo più grosso che lo posso fare ad un'anima, che a me sia molto cara, è di darle da patire ». Allora non posso stare senza get­tarmi ai piedi di Gesù e ringraziarlo tanto, perché mi pare che anche a me mi dia qualche piccola cosa da patire. Ma come le sopporto io queste cosette, che Ge­sù per sua bontà mi manda? Male» (p. 15)(5).

(5) Nella lettera 15" l'informa che ogni giorno fa la meditazione sulla Passione (p. 42).

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Infatti non teme di confessare nella lettera 100 a

dell'8 febbraio 1902, quindi all'ultimo scorcio della vita, la sua ripugnanza a soffrire e teme perciò di non amare più Gesù: « E perché alle anime veramente innamorate ogni cosa è facile, e a me un piccolo sa­crificio, l'ombra del patire mi riesce tanto penosa? Segno chiaro di non amar Gesù: non è vero? - Glielo dico a Gesù che io non posso, come i Santi, chiedere patire e patire. Il patire, babbo mio, mi sbalordisce» (p. 242). E sbalordisce più noi una siffatta dichiara­zione al pensare alla sua vita di crocifissa con Cristo. Tale è infatti la sua aspirazione al punto che, dopo le percosse delle vessazioni diaboliche (che non vuole manifestare alla zia Cecilia), dichiara: «... non dico nulla: soffro troppo bene con Gesù solo e zitto ». E aggiunge subito: « Chiedo a Gesù che mi dia croce e pazienza; che mi dia anime da potere colla preghiera e col patire dare a Gesù» (lett. 18 a , p. 53).

E qui bisognerebbe riportare almeno metà <;lel­l'Epistolario. Spigoliamo: « (Gesù) diceva: 'Quale cre­di che sia la grazia più grande che ti faccio qui sulla terra?' Non sapevo che rispondere. 'Te lo dirò io': ha detto - 'di tenerti sul Calvario'. Nel sentire dire Calvario ho cominciato a capire qualcosa. Evviva!» (Lett. 35 a , p. 102). E, dopo aver offerto due anni di vita per la signora Giustina Giannini e per la Serafi­na di Roma: « Due per Serafina e due per la mamma, e di più se ve ne occorrono », aggiunge: 'Quel Gesù ha sempre in mano due fiamme, e mi spiega che sono una di amore e una di dolore' (Lett. 31 a, p. 105). La sofferenza della visita medica è cocente e c'è la mi­naccia di una nuova visita e, dopo aver avuto la visita del segretario di Mons. Volpi apertamente maldispo­sto, sbotta sincera: « O, babbo mio, quanto soffrii!!

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A Gesù quanto gli dispiacquero queste cose! Di que­sto benedetto Monsignore Gesù non è contento. Ebbi un'umiliazione grandissima, babbo mio: nel cuore di quel segretario si scatenò una tempesta di pensieri e di dubbi, mi manifestò anche a quei di casa, e se vedesse la zia che cambiamento! »(6).

E nell'animo della poverina si alternano scora­mento, rassegnazione umile, fiducia in Dio, felicità di soffrire: {( Monsignore è per le cattive ... O babbo mio, vedesse quella zia! è seria, seria, perché sono cattiva (sic.0. [ ... ] lo sono contenta ma Gesù mi sembra di no dell'accaduto ... E ora vedesse; tutti di questa casa sono curiosi! non hanno più nessuna premura ». Non occorre esser raffinati psicologi per capire l'am­bascia di una situazione precipitata nel pettegolezzo più meschino e questo a causa delle persone a lei più care: Mons. Volpi, zia Cecilia e l'intera famiglia Gian­nini, suoi benefattori. Eppure commenta con l'umile usitata fierezza: {( Come sono felice con Gesù solo!» (Lett. 50 a , p. 135 s.). È stata questa certamente la sof­ferenza maggiore provata da Gemma nei suoi rappor­ti col mondo esterno, quando si pensa che la respon­sabilità principale era del Confessore ch'era poi un vescovo pio e fervoroso(7)!

(~) Anche la zia Cecilia era penitente di Mons. Volpi. e) Gli Editori riportano in nota (p. 136 s.) una lettera di P. Germa­

no a Mons. Volpi di deciso, sia pur rispettoso, richiamo alla verità delle cose. C'è a questo proposito anche la testimonianza del Rettore di S. Ma­ria della Rosa, che portò la S. Comunione a Gemma negli ultimi giorni e che la visitò, con Mons. Volpi, mentre era in agonia e tormentata dal diavolo: {( Devo confessare che anche io come un altro sacerdote ch'era presente, Mons. Volpi, fummo ingannati attribuendo a fantasia cioè allu­cinazione fantastica la visione ch'ella diceva di aver del demonio e quindi non le si doveva prestare tanta fede. Per dir tutta la verità, debbo confes­sare sinceramente adesso che questo nostro inganno fu certamente per­messo da Dio, perché si verificasse più sensibilmente l'abbandono nel quale in quel momento si trovava Gemma" (Summ. nr. XVIII, De pretio­so obitu, § 16, p. 809).

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E la tempesta intorno a lei stenta a placarsi, ma Gemma quasi neppur ci bada e si addolora solo dei suoi peccati: {( Sì, aveva ben ragione di rimproverar­mi: ogni giorno vado di male in peggio, a peccati ag­giungo peccati e forse mi perderò ». Vi ritorna con angoscia nella letto 53 a : «Io ho tanta paura dell'ani­ma mia, ho paura, paura, paura di dannarmi, perché ieri sentii raccontare da un prete, che era venuto a vedere la mamma, che c'era una monaca che aveva i segni nelle mani, nei piedi, nella testa e nel cuore; andava in estasi ed era tutto inganno e così sarò io, o babbo mio. Se fosse inganno, anderei all'inferno» (p. 142). Dall'altra parte l'Angelo le annunzia nuove sofferenze che presenta sotto il simbolo (nienteme­no!) della croce di P. Germano: dalle rose spuntano le spine e ... in fondo vi è del fiele: {( È la croce che ti presenta il babbo tuo: è un libro questa croce, che ogni giorno leggerai... questa croce la porterai con amore e l'avrai cara più di tutte le gioie del mondo ». Ma la Santa si preoccupa per gli altri, e per la' zia anzitutto: {( Vedesse, babbo mio, che burrasca ha nel cuore, non so il perché» - {( Soffro tanto babbo mio, non mica per quei colpetti che mi dà Gesù, ma per altre cose; non per me, soffro per gli altri. Viva Ge­sù! » E delicatissima: {( Vorrei che gli altri non fosse­ro afflitti per cagione mia e invece sono a tutti occa­sione di dispiacere» (Lett. 52 a , p. 140 s.). Certo, in questo. intersecarsi contorto di fenomeni celesti e di pasticci umani in un groviglio di {( fenomeni» inestri­cabile, c'era da perdere la testa e da ribellarsi in tut­te le direzioni. Certamente l'assistenza di P. Germano fu provvidenziale; ma si ha quasi l'impressione che la donna forte è lei, Gemma, e che in fondo e in modo mirabile a tanta distanza da Lucca a Roma, sia lei

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- per segrete mOt.lOni del divino spirito - a guidare la sua guida.

Venerdì Santo, 5 aprile 190 1 (è la mirabile letto 54 a, degli «Evviva Gesù»). Gesù desidera che tutto si metta in pace con la zia Cecilia. Torna l'Angelo Cu­stode ed il patire assume una forma del tutto nuova che angustia in modo indicibile l'anima smarrita, con un nuovo «conflitto di fenomeni» ch'è proprio del­l'alta mistica: «La giornata l'ho passata come l'obbe­dienza voleva, ma secondo la mia povera mente con assai dispiacere a Gesù; non ho patito, è vero, dolori, con segni esterni, ma ... babbo, babbo mio, il mio cuo­re è piccolo, ha bisogno di allargarsi e non trova spa­zio ... Vorrebbe ... ma io son piccola. Gesù è infinito ... E sa: che crede, che soffrissi più in certi giorni quan­do mi sembrava che patissi nella testa, nelle mani, ne' piedi e nel corpo tutto, oppure ora che non soffro, ma soffro perché non posso soffrire? »(8). Ma ecco che verso le 10 si sente mancare - è il secondo mo­mento dell'esperienza di questo eccezionale Venerdì Santo: « ... Al dolore acuto del cuore, è successo un dolore si forte in tutte le membra; ma ciò che veniva innanzi tutto e che tutto precedeva, era il dolore dei peccati: come è forte quel dolore! se fosse maggiore, non potrei sopravviverci, e egualmente non potrei so­pravvivere (mi sembra) al colpo forte che provai una sera di Venerdì, 21 giorni stasera. Evviva Gesù».

Ed ora la terza tappa di questo Venerdì di dolore e di sangue: le riflessioni e il dialogo che la Santa fa con l'Angelo di P. Germano. La pagina celestiale mostra all'evidenza, la «contemporaneità» dei feno­meni opposti e l'intervista con lo spirito celeste è tan-

(8) Viene spontaneo il richiamo al grido-lamento di S. Teresa d'Avi­la: «Muero porque no muero ».

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to più significativa poiché è avvenuta in un periodo in cui la Santa aveva la proibizione d'intrattenersi con le visioni celesti. Ma era l'Angelo di P. Germano, quindi doveva avere il permesso ed il messaggio non poteva essere che il soffrire. Apre il colloquio un ri­chiamo delizioso dell'Angelo a Gesù, nascosto nel cuore di Gemma: «Mi vergognavo pure alla sua [del­l'Angelo] presenza! lo gli chiedevo con istanza di Ge­sù, gli ripetevo: «Dov'è Gesù?» E Lui: «Nel tuo cuo­re ». Sentii un po' - Ci ho avvicinato la mano, e Gesù stava racchiuso nel mio miserabile cuore. Povero Ge­sù! » Ed ora il tema dell'intervista dell'Angelo a Gem­ma (chiedo scusa di usare questo termine troppo pro­fano): «Qual' è la cosa che più piace a Gesù?» mi do­mandava. «Di patire », ho risposto. «E tu vuoi piacergli? vuoi patire, e quanto? ». «Tanto », ha rispo­sto lo spirito, mentre la carne si ribellava. Ha sog­giunto: «Vuoi patire sola o con la mamma tua? ». Ho risposto per tre volte: «È lo stesso »; ma il mio cuore non diceva il vero, ed Esso mi ha obbligato a rispon­dere la verità, ed ho dovuto rispondere: «Sola no» Viva Gesù».

Ma la pia fanciulla, devota all'obbedienza, non teme di rimproverare l'Angelo ... «perchè credevo che fosse venuto senza il permesso di Gesù, e l'ho prepa­rato ad una sgridata; perché, se Gesù non voleva, ave­va fatto male ». L'Angelo subito la tranquillizza e il dialogo finale ha il candore delle nevi immacolate ma, per ragioni di spazio, devo tralasciarlo. Riporto la conclusione che diventa drammatica e ritorna alla tematica del patire: «O quanto mi voleva bene l'Ange­lo Suo! Mi diceva che fossi contenta, che Gesù sta nel mio cuore, che avrò da patire tanto tanto ... E a queste parole, senza avvedermene, mi venivano le la-

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crime agli occhi. La carnaccia si vuoI sempre rivolta­re, ma l'addomesticherei bene io, se potessi ottenere da Lei di ... fare. L'Angelo mi ha benedetta e se n'è andato gridando: «Viva Gesù! Viva la croce di Ge­sù!»(p. 147: corsivo di G.).

Il mistero della vocazione al dolore di Gemma: è espresso con straordinaria efficacia da lei stessa nell'aggiunta alla letto 103 a del 14 febbraio 1902 (il testo è stato già ricordato) che accenna alla solitudi­ne in cui è lasciata: «Nell'amore ... godo ... nel dolore, quando mi sembra che l'anima mi si divida dal cor­po, che mi par di morire; allora poi piango. Viva Ge­sù!» (p. 247). Confessa di non riuscire a spiegarsi questa contemporaneità di amore e dolore nel suo cuore, quando Gesù si fa sentire: «Ci sono dei giorni che Gesù allora sta con me tanto tanto e mi si fa sem­pre sentire nel cuore e allora il mio cuoretto(9) pic­cino, che non è capace a nulla, si smuove tutto e mi fa soffrire infinitamente, e allora via col pensiero al Paradiso ». E con angelica semplicità, aggiunge: «Be­ne, babbo mio, in Paradiso! Vede: se io avessi un cuo­re grosso grosso, che Gesù ci stasse largo, io non mi sentirei mai male e poi io non lo so, babbo mio, non mi so spiegare, mi ha capito?». E cerca (lett. 57 a ) di spiegare questa coesistenza di estrema sofferenza e gioia in questi trasporti con Gesù: «Viva Gesù! Ma Gesù mi fa soffrire assai, sa; sono contenta, non mi lascia mai un minuto. Non mi griderebbe mica, bab­bo mio, se avessi il desiderio di consumarmi di amo­re per il nostro Gesù? O quanto mi sarebbe cara un'agonia dolorosa, procurata nell'amore e nel piace­re a Gesù! Ma mi sarebbe infinitamente più caro mo-

(9) Corsivo di Gemma.

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rire per Voi, o Gesù, che vivere facendo una vita feli­ce per me ». E finisce umiliandosi: {( Quante belle pa­role! è vero, babbo mio? e quante espressioni! Per carità, che non vengano poi smentite dalla mia con­dotta!» (p. 149).

Il godere e il soffrire, l'abbiamo già sentito da Gemma, si appartengono ed essa lo segnava nel Dia­rio di giovedì 30 agosto 1900, dopo l'esperienza per piu di 6 ore della corona di spine: {( Mi fece un po' soffrire, ma che dico soffrire, godere. È un godere quel soffrire» (Diario: p. 214). Nell'ultima fase della sua vita del primo trimestre del 1903, fino alla morte silenziosa del primo pomeriggio di quel Sabato Santo (11 aprile), rimarrà il puro soffrire, nella totale aridi­tà e nel vuoto dell'anima.

C. - Estasi

La trascrizione delle estasi in Casa Giannini co­mincia martedì 5 settembre 1899, quando la Santa è entrata nel 22° anno di età ed ha già ricevuto i' se­gni della Passione. Possiamo dire che le estasi, più ancora delle lettere, non sono che colloqui sul tema dominante dell'amore-dolore e invocazioni di miseri­cordia per sé e per i peccatori.

La Santa, nella sua umiltà, non teme di confessa­re la sua debolezza ed il suo terrore di fronte al pati­re nella tensione della sua libertà. Commovente la te­stimonianza dell'estasi 14 a : {( Quanto mi lamentai ie­ri, Gesù, perché mi doleva la testa! Ieri col capo, oggi colla croce, domani colle piaghe ... Se dobbiamo sof­frire, soffriamo insieme. Chi avrà sofferto di più, te per amor mio, o io per amor tuo? Oggi la croce e domani le piaghe: che spettacolo, Gesù, che sta per comparir dinanzi! Se sei crocifisso, soffro con te ».

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Ed ora segue lo sgomento: «Oh! ma quasi sempre, Gesù, quando io ti cerco, ti trovo sempre sulla cro­ce ... Meditar la tua Passione, o Gesù, è stato sempre un sollievo per le anime sante, e io ... perché mi sgo­menta il soffrire? Tante volte, o Gesù!. .. O croce san­ta!» (p. 22). È importante osservare come, in perfetta coerenza fra l'estasi e la veglia, che anche nelle estasi il tema dell'espiazione-conversione dei peccatori e della conformità alla Passione e Croce di Cristo s'in­trecciano in continuità. Basteranno ormai alcuni ri­chiami che sono inevitabilmente degli strappi nell'u­nità di esperienza in cui la Santa è immersa.

- E. 19 a (sabato 7 aprile 1900): è di scena la B.V. Addolorata di cui la Santa era devotissima, anche per il suo spirituale sodalizio con S. Gabriele. L'estasi sembra svolgersi in quattro momenti.

l a. (La Madonna ai piedi della croce): «Mamma mia, dove ti trovo? sempre ai piedi della croce di Ge­sù ... Che sospiro, Mamma mia, quando vedesti morto Gesù!.. quando lo vedesti mettere nella tomba e quando ti dovesti separare!».

2 o. (Sentimento di compunzione e desiderio della «propria» croce): «Possibile? Come si fa che hai tanto sofferto per mia cagione, Mamma mia? Come facesti, o Mamma mia, come facesti? .. Povero Gesù!. .. Dim­melo, come facesti ... a veder Gesù inchiodato sulla croce? .. Mamma mia, fammi conoscere la croce; ma non mica quella di Gesù... ma quella che dovrò ab­bracciare; fammela conoscere, che possa dire: Anche di più, o Gesù, di più, di più ... di più ... di più, Gesù! ».

3 o. (Intercede per la conversione dei peccatori): Mamma mia ... o Mamma mia, e i peccatori? Di chi son figli? son figli tuoi. Ogni cosa, ogni cosa, Mamma mia, che passerò in questa settimana ... tutto per loro:

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ci siamo giunti. Sei madre dei peccatori; via, fatti co­noscere, Mamma mia. Chi non ti compatisce, Mam­ma mia? Lo vedo, non ti sazi di guardar quelle pia­ghe? Possibile non amarti te, che hai patito tanto per me? Chi è che non ti compatisce? Potessi!. .. ».

4°. (Sentimento di profonda compassione per la Madre di Dio): {( O che pena fu la tua!. .. Gesù non si riconosce più. Che faresti? .. O Dio!. .. Gesù è morto, la mamma piange, ed io sola devo restare insensibi­le? .. lo non vedo più un sacrificio solo, ne vedo due: uno per Gesù, uno per Maria!' .. O Mamma mia, chi ti vedesse con Gesù, non lo saprebbe dire chi è il pri­mo a spirare: sei te o Gesù?» (p. 29 S.)(IO).

Questo può essere considerato un testo-chiave, ma qui ogni scelta è ad un tempo facile e difficile: la partecipazione ai dolori di Cristo è come un'onda che s'innalza e l'invade da principio alla fine. Racco­gliamo:

- E. 1 a: {( Mandami pure da patire; così potrò dire che ti saprò amare. Una goccia del sangue tuo metti­la sul cuore mio; poi vedrai che ti amo tanto per amor tuo ». E insiste: {( Ti ha ucciso proprio l'amore! Gesù, fammi morire anche me di amore ... Sarebbe un tormento la vita: non c'è una persona nel mondo che possa consolare gli affetti miei, che tu. Le spine, la croce, i chiodi, tutto è opera di amore» (p. 3). Anche

(l0) La Madonna Addolorata era già apparsa nell'estasi 16 a (sabato del precedente 31 marzo) che mostra un tono ancor più commosso e di umile partecipazione: {( Dimmelo, Mamma mia, che facesti quando vede­sti il tuo Gesù coronato? che facesti, che provò il tuo cuore? .. Ah, inten­do, intendo: è dolore troppo grande ... Che differenza dal tuo cuore al mio!. .. Fu un gran dolore ... O che farò, oggi qui io? .. Gesù è morto, e tu, Mamma mia, piangi. O che farò? Perché piangi? ... quale è la causa che ti fa piangere? Se piangi perché offendono Gesù, Mamma mia, conso­lati: io farò di tutto perché non venga offeso: farò di tutto perché lascino stare Gesù» (p. 24). La presenza della Madonna è frequente (p. e. E. 19 a ,

p. 29, 23 a , p. 34, 33 a , p. 51...).

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le estasi, nell'anima trasparente di Gemma, rifletto­no ovviamente la burrasca della verifica delle stim­mate: ne parlano espressamente le estasi 3 a , 4 a , sa

di cui daremo una breve analisi in appendice. Intanto diciamo che - per incredibile che possa sembrare - per Gemma non c'è stato nessun dramma: l'unica sua preoccupasione è che Gesù consoli, tranquilliz­zi ... il Confessore cioè il principale responsabile della malaugurara visita medica. La Santa riprende con Gesù il tema preferito dell'amore-dolore.

- E. 7 a : «Dunque, Gesù, per imparare ad amare bisogna soffrire. Anche tutto il Sangue tuo, Gesù, è opera di amore» (p. 13).

- E. 9 a : «Mi dici sempre che chi soffre ama; dun­que stasera (che) ho sofferto, ti ho amato. Gesù, Ge­sù, la croce la dai a chi ami! Tu tratti me come trattò te il Papà tuo» (p. 17).

- E. 12 a: «La croce la sopporto, perché croce tua. I patimenti sono tuoi» (p. 20). E il giovedì 20 marzo, oppressa ormai dai fenomeni della Passione e anelan­te a immergersi nelle sofferenze del Christus patiens, pensa e si umilia al confronto fra quel che ha soffer­to Gesù e il suo attuale patire: «O Gesù, Gesù, senti che domanda dice il Confessore: «O che fai quando sei davanti a Gesù? ». Se sono con Gesù Crocifisso, soffro; e se in Sacramento amo ». E affettuosamente: «Quanto s'ingannano coloro che credono che il pati­re ... ». E invoca tutt'ardente: «Stanotte, Gesù, voglio soffrir tutto io; o se vuoi soffrire anche tu, soffrire-

'mo insieme. Vogliamo essere una vittima sola: sei contento, Gesù? Preparami forza» (p. 22). È sempre il segreto mistero della Croce che Gemma vuole pe­netrare e vivere accanto a Gesù.

- E. 21 a: «Passione di Gesù, io ti amo! Angeli del

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cielo, venite tutti: adoriamo tutti la Passione di Gesù. - O Gesù, chi è stato che ti ha ridotto così?» - Sof­frirei tanto per te! Non posso di più(1'), Gesù, è po­co due ore sole; io vorrei offrire tutti i momenti ». E la scena si aggrava: « O quanto sangue! O croce, perché ti vendichi sempre sopra di Gesù? Sopra di Gesù non più; sopra di me. O croce vicina a te mi sento forte» (p. 32). E insieme l'impeto cresce: « Gesù, Gesù forza, perché le prove mi crescono; ma col mio .GesÙ saprò vincere. Ma mi sgomento, Gesù; ho paura e piango. Chi sa, Gesù, quante ne dovrò passare! Sei tu stesso oggi che mi dici quante ci avrò da passar­ne» (E. 27 a, p. 41). A questo si aggiunge, come nell' A­postolo, la sofferenza del dualismo di anima e corpo.

- E. 30 a (Si lamenta soprattutto del mal di capo ch'essa soffriva il mercoledì, in unione con la corona­zione di spine, che doveva essere assai acerbo): « ...

Ho pensato alle pene del capo ... Sì lo spirito è pronto, ma è il mio corpo che si lamenta. Sì, il mio spirito è pronto, ma il mio corpo è stanco» [ ... l. Ti vorrei dire che domani tu mi accrescessi il dolore, ma è il mio corpo che non vuole. È il dolore più forte quello delle spine; ma è anche il più lungo. [ ... l Vorrebbe piangere il mio corpo, Gesù ... vorrebbe piangere, quando pen­sa al dolore che deve sopportare nel capo ... » Anche nell'E. 26 a del giovedì 26 aprile 1900: « O Gesù, son tutte pene che le soffro volentieri ... Ma quella del ca­po, se tu non mi aiuti è un tormento» (p. 38). E nell'E. 46 a: « Mi sento la testa, ma non è il dolore di Gesù»

(") Aveva la proibizione del Confessore Mons. Volpi: «Ma soffro di più cosÌ », dice nell'E. 22" (p. 32) e lo ripete nelle Lett. 54" e 59" già ricor­date.

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(p. 72)(12). Gesù, rompila la catena che mi tiene uni­ta al corpo, Gesù ... » (p. 46)( 13). E il giorno dopo, mercoledì 2 maggio, il dolore è pronto all'appunta­mento e la paziente creatura non nasconde il suo strazio: «O Gesù!. .. o mio Gesù!. .. Tu solo Gesù, puoi intendere che pena sia ... O Dio! Sì, tu solo, Gesù ... Gesù, tu solo ... O Dio ... il mio capo, Gesù ... Perdona, Gesù, a tutti quelli che ti hanno coronato ... O Dio! Gesù » ... Gesù, io muoio ... Gesù, io muoio ... Dio mio!» E si sprofonda nell'umiltà: «Ma non vedi Gesù, che sono tutta piena di peccati e non ho altro che fred­dezza!» (p. 48). Ed implora coraggio all'annunzio « ... che mi si prepara un gran brutto avvenire» (Ibid.). Lo dice anche alla Madonna nell'E. 38 a : «Lo vedi, Mamma mia, tanti dolori mi si preparano» (p. 59).

- E. 48 a (la sua vocazione alla Croce e al dolore): «Non son venuta io al mondo per piangere sempre? Tutti i giorni sono sparsi di croci. O croce santa, ti ho abbracciata! » E affiorano i ricordi: «È vero, Gesù, se vado pensando a ciò che ho passato da piccola, da grande, ho sempre avuto croci; ma quanto si sbaglia­no quelli che dicono che il patire sia una sventura!»

(12) L'origine di questo dolore, che le riusciva insopportabile, è spiegato nella lett. 24 a a Mons. Volpi, del febbraio 1900: «Sabato sera andai a fare una visita al SS. Crocifisso; mi venne una gran voglia di patire, e proprio con tutto il cuore lo chiesi a Gesù. E Gesù da quella sera mi ha fatto sempre avere un dolore di capo, ma forte, forte, e quasi sempre mi viene sangue; ma sono quasi disperata, perché ho paura di non potere resistere. Stanotte ho sofferto tutta la notte; ho pregato Gesù che volevo un po' di pace; infatti me l'ha data» (p. 345).

(13) Anche nell'E. 34 a : «Rompila presto, questa catena che mi tiene unita al corpo; che non soffra più tanto, se ti allontani Gesù» (p. 52). Sublime l'E. 6S a del desiderio della morte per andare con Gesù: «O Gesù, questa povera anima, essendo legata a questo povero e vilissimo corpo, e non potendo a te volare, batte le sue ali e si solleva come può per venire a te più vicina; si solleva con lo spirito, poiché non è legato al corpo » ... (p. 93).

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(p. 76). E chiede fiduciosa: «Lasciamelo dire ancora: io cerco il tuo amore, cerco le pene, cerco i dolori. Le dolcezze no, non le merito» (E. 69 a, p. 90). È il 30 giugno che la Santa giunge al vertice della sua consacrazione al dolore di Cristo ... , come leggiamo nella E. 100a: «Signore mio Gesù, quando le mie lab­bra si avvicineranno alle tue per baciarti, fammi sen­tire il tuo fiele. Quando le mie spalle si appoggeran­no alle tue, fammi sentire i tuoi flagelli. Quando la carne tua si comunicherà alla mia, fammi sentire la tua Passione. Quando la mia testa si avvicinerà alla tua, fammi sentire le tue spine. Quando il mio costa­to si accosterà al tuo, fammi sentire la lancia» (p. 123). E la donazione si purifica nella solitudine e ab­bandono delle creature: «Tu sia benedetto, Gesù, per­ché hai quasi ordinato alle creature di abbandonar­mi, perché io fossi sempre più vicina a te» (E. 128 a,

p. 150). Tale è stata la vita di Gemma nell'ultimo periodo

della sua consacrazione e purificazione suprema: una tensione di opposti fino all'esasperazione. Tensione di certezze e dubbi, di gioie e pene, di luci folgoranti e di abissi di oscurità, di bruciante fervore e di deso­lante aridità, di docile abbandono e di momenti di desolazione se non proprio d'impeti di ribellione ... È Gesù stesso, che, all'inizio di quest'ultima corsa e prima ancora di conoscere P. Germano, l'istruisce con un preciso messaggio senza data ma probabil­mente della primavera 1899, certamente dopo la gra­zia delle Stimmate. Si trova negli «Appunti di Dia­rio» scritti per Mons. Volpi. Il principio della parte­cipazione che abbiamo chiamato della «conformità» con Cristo non ha forse avuto mai un'espressione co-

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sì potente e terrificante: la fenomenologia è quella della « notte scura» della mistica classica.

A. - « Dopo l'Ora Santa Gesù mi fece conoscere tutto quello che devo soffrire nel corso della mia vi­ta; mi disse che presto metterebbe a prova la mia vir­tù, se veramente lo ami e se l'offerta che gli ho fatto sia vera. Mi ha detto che lo conoscerà quando il mio cuore mi parrà diventato un macigno; quando mi tro­verò arida, afflitta, tentata; quando tutti i sensi si ri­belleranno, e saranno come tante bestie affamate »: - ed ora il testo che Gemma stessa mette fra lineette e riporta perciò il discorso diretto (il corsivo è no­stro):

B. - « Sarai [soggiungevaJ sempre inclinata al ma­le; ti torneranno in mente i piaceri della terra; la me­moria ti porterà in mente tutto ciò che non vorresti; sempre avrai davanti tutto quello che è contrario a Dio; tutto ciò che è di Dio, più non lo sentirai; non permetterò mai che il tuo cuore abbia nessun confor­to. I demoni con la licenza mia faranno continui sfor­zi per abbatterti l'anima; ti metteranno in mente cat­tivi pensieri, un odio grande contro l'orazione; terro­ri e timori ne avrai sempre tanti, e mai ti mancheranno. Non ti mancheranno oltraggi e ingiu­rie, nessuno poi ti crederà. Da nessuno avrai mai al­cun conforto, neppure dai tuoi superiori; anzi tutti ti mortificheranno, e sempre ti troverai in gran con­fusione; quello che ti darà maggior pena, sarà che il Cielo diverrà per te di bronzo, Gesù comparirà ai tuoi occhi tanto severo; anderai a fare orazione, e ti sembrerà di non poterla fare; quando cercherai Ge­sù, mai lo troverai; anzi ti parrà che ti scacci e si

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allontani da te; vorrai raccoglierti, e ti distrarrai, chiamerai Maria SS., i santi; ma nessuno avrà pietà di te; ti parrà di essere da tutti abbandonata. Quando poi andrai per ricevere Gesù, ovvero per confessarti, non sentirai niente e diverranno cose tutte noiose; praticherai tutti gli esercizi di devozione, ma tutto per necessità, quasi fuori di te, e ti sembrerà tutto tempo perduto; nondimeno crederai, ma come tu non credessi; sempre spererai, ma come tu non sperassi; amerai Gesù, ma come tu non lo amassi, perché in questo tempo mai si farà sentire; di più ti verrà a noia la vita, e avrai paura della morte, e ti mancherà perfino lo sfogo di poter piangere».

C. - Segue la motivazione, quella che già cono­sciamo, della conformità con Cristo: « Quando poi ero per terminare l'Ora Santa, Gesù mi ha detto che vuoI trattarmi nella stessa maniera che trattò Lui il suo Padre Celeste». La reazione della Santa è di gran­de smarrimento ma è consolata dall'Angelo: « lo. mi sono messa a piangere, a pensare a tutte queste cose, che non ci capisco nulla; allora il mio Angelo Custode mi ha detto che mi faccia coraggio, ché dopo la tem­pesta torna la calma; che il gran patire è necessario all'anima mia; per ora non lo conosco, ma un giorno verrò a scoprire il gran segreto. Per ora [soggiunge­va] sappi che è vicino il tempo della tua visitazione, e sappi approfittarne. Se il calice è amaro, ricordati che Gesù l'ha consumato fino all'ultima stilla; rasse­gnati intanto al patire, e rallegrati e ringrazia Gesù, che solo per amore ti dà la sua croce». Sul pianto di Gemma abbiamo già detto qualcosa.

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4. Il carisma delle Stimmate e dei dolori della Pas­sione

Gemma si sente, nella sua vocazione di vittima, come rapita alla vita di questo mondo. Il mondo, an­che quello semplice del suo ambiente al quale essa dedica, con umile diligenza, i suoi servizi, resta di­stante: in casa Giannini, negli ultimi anni, quando i carismi l'assorbivano quasi completamente, visse quasi sconosciuta. Essa vive, se possiamo usare l'e­spressione, una specie di trascendenza totale: biolo­gica, psicologica, sociologica. Le necessità della vita sembrano in lei - come in altri grandi mistici -quasi sospese e alle volte persino ribelli. Servizievole e gentile con tutti - e specialmente con i piccoli, con i deboli, con quelli più distanti da Dio - schivava la curiosità e la presenza del pubblico: voleva essere soltanto la «Gemma di Gesù », la «povera Gemma ».

Come in Paolo, anche negli scritti di Gemma - e spe­cialmente nelle estasi - il nome di Gesù (come di­remo) scintilla quasi in ogni periodo e frase, illumina ogni pagina, infiamma ogni perorazione. Si sente che Gemma vive altrove, nel mondo vero, è tutta struggi­menti per arrivare al Sabato che non conosce tra­monto. I suoi interlocutori abituali diventano Gesù, la Madonna, san Gabriele dell'Addolorata, gli Angeli e ... i diavoli!, come vedremo. Certo ci sono anche i suoi confidenti cioè Mons. Volpi, P. Germano, la si­gnora Cecilia ... ma soltanto per consegnare loro -

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come voleva Gesù stesso - i messaggi che da quelli riceveva.

L'unico suo interesse era quello di pregare ed espiare per la conversione dei peccatori, che Gesù, con rivelazioni interiori, s'incarica di comunicarle. E il risultato? A lei sembra catastrofico e, candida e umile, lo confessa, poco prima di morire, al pio diret­tore spirituale: « ... Ma non mi ci raccapezzo; in me vi è del mistero ». Un mistero di annientamento del­l'Io che rasenta la disperazione, come dichiara (e lo vedremo) Gemma stessa. Nell'intimo e sull'ultimo Gemma poteva essere certa di voler amare Dio e nella stessa lettera afferma: «Babbo mio, non ce l'ho la volontà di dispiacere a Dio, a Lei e agli altri; ci crede che non ce l'ho »(1). È un gemito di protesta e un'invocazione di conforto. Gemma è, nei suoi rap­porti, nella sua vita e nei suoi scritti, semplice e tra­sparente; ma la sua è una semplicità di trasparenza essenziale cioè quella che, con la terminologia bi­blica di Kierkegaard, in ogni incontro con l'altro (il «tutt'altro» esistenziale), si «pone davanti a Dio »(2) senza smancerie e debolezze umane. Aveva Gemma un fisico robusto e resistente e il dr. Lorenzo del Frate attesta in data 27 dicembre 1899, quando Gemma aveva già ricevute le Stimmate, ch'è «sana e non ha alcuna malattia comunicabile per quanto mi è dato conoscere secondo la mia scienza e co­scienza »(3). Ma questo non spiega come il suo orga­nismo, che quasi rifiutava il cibo o ne assorbiva assai poco, potesse riparare immediatamente le copiose e continue perdite di sangue causate dalle stimmate,

(l) Lettere, lett. 125 a al P. Germano, p. 294. (l) Cf.: La malattia mortale, spec. p.l; tr. it. Firenze 1965, p. 302. (3) Proc. ord. Pis. in: «Summarium", § III, p. 107.

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dalla Corona di spine, dalle flagellazioni ... E non si comprende la velocità di rimarginazione delle ferite, né la quasi totale assenza di sonno e riposo poiché la notte era dedicata alle celesti comunicazioni e alla preparazione alla SS. Comunione del giorno dopo -quando Gemma non era, come non di rado accadeva, vessata e tormentata dal diavolo. La fisiologia di Gemma - come quella di san Francesco, santa Cate­rina, P. Pio ... - non era del tutto come la nostra: il loro corpo era spesso a completo servizio dei movi­menti dell'anima e l'anima era tutta trasferita in Dio per Cristo in un'economia di forze arcane che a noi sfuggono e che c'inteneriscono di stupore e di gioia.

Un discorso analogo, e ancora più pertinente, si potrebbe fare per la vita psichica cioè per il gioco delle rappresentazioni e dei pensieri, come per il mo­vimento degli intimi affetti, dove la trascendenza o astra,zione dello stigmatizzato presenta (sembra) una qualità nuova rispetto a quella di qualsiasi altro sem­plice contemplativo, ch'è precisamente la conformità diretta alle sofferenze della Passione di Cristo. Una partecipazione integrale alle sofferenze, sia fisiche come morali di Cristo di compresenza intensiva, se cosÌ possiamo esprimerci: ma, dette da noi, queste espressioni restano quasi senza senso. Lo stigmatiz­zato può essere detto « martire », ma non per opera dei nemici di Cristo benSÌ per la partecipazione di­retta di Cristo stesso che opera dall'interno le vibra­zioni di dolore supremo nel corpo e nell'anima. CosÌ lo stigmatizzato vive una dialettica esistenziale dop­pia: quella della fede, comune a tutti i cristiani, e quella della partecipazione reale alla Passione che mette la prova della fede in continua tensione. CosÌ certamente di Gemma.

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In questa singolare partecipazione alla Passione, propria degli stigmatizzati che è certamente la più misteriosa e dolorosa delle grazie gratis datae, sem­bra non abbia senso chiamare Gemma un modello o un esempio: essa è modello, e la Chiesa lo ha dichia­rato, nell'esercizio eroico delle virtù cristiane nella vita quotidiana cioè dello «essere-neI-mondo» (In­der- Welt-sein) nella sequela di Cristo. Le stigmate portano invece la creatura a vivere dentro lo «spazio salvifico» dell'esperienza dolorosa sofferta da Cristo per i peccati del mondo di cui l'uomo, dentro e fuori la Chiesa, travaglia la sua storia. Lo stigmatizzato è piuttosto, abbiamo detto, un martire di contempora­neità cioè un testimone che attesta in se stesso, nella propria carne, la presenza attuale della Passione di Cristo. In questa partecipazione possiamo vedere, se è lecito esprimersi ancora appoggiandosi al termine di partecipazione, l'attuazione esistenziale più intima e operativa nella oeconomia salutis che sia concessa a una creatura cioè a un'anima rigenerata alla gra­zia. Nello stigmatizzato il mysterium salutis ch'è il mysterium crucis si ripete, sanguinante di dolore nel corpo e terrificante di dolore nello spirito, per of­frire una testimonianza al mondo e alla Chiesa. La connessione intima, l'appartenenza costitutiva ed esi­stenziale fra il mysterium salutis e la partecipazione al mysterium crucis, ha quasi il suo metro misterioso in quella che la buona pietà cristiana chiama la co­Scienza del peccato, la compunzione del cuore, il do­lore che «l'amore non è amato »(4) e che il sangue di Cristo sia stato versato invano. Certamente, come vedremo brevemente a suo luogo, esaltando la parti-

(4) È la nota espressione di S. Maria Maddalena de' Pazzi.

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colare gratia Passionis - ch'è del tutto singolare -non s'intende di abbassare la grazia santificante alla quale tutti possiamo aspirare e nella quale tutti dob­biamo vivere in timore e tremore.

Ciò che si vuoI dire e mettere in risalto è ap­punto la funzione di testimonianza dello stigmatiz­zato nel senso di una «presenza» particolare nella Chiesa, rinnovata e continuata, del Christus patiens ... propter nos homines et propter nostram salutem. Così lo stigmatizzato, testimone cooperante di sofferenza della presenza della Passione di Cristo nel mondo per la salvezza delle anime, è portatore al mondo di una singolare certezza di consolazione: quella, già accen­nata, della presenza storica in atto e ostensiva in una fragile natura della Passio Christi salvifica anzi dello stesso Christus patiens et Salvator noster poiché un simile «fenomeno» opera - ed ogni espressione non può risultare che inadeguata - il riferimento ovvero l'intenzionalità, secondo la filosofia più recente, d'immanenza più intima di dolore e amore dell'a­nima privilegiata con Cristo. Tale sembra il messag­gio incomparabile dello stigmatizzato e della nostra Gemma, la sua eccezionale testimonianza del sopran­naturale che è l'argomento di queste note che ve­niamo raccogliendo nel mistero di predestinazione della Galgani.

L'unica autentica rivoluzione esistenziale è al­lora quella che si compie nell'anima in grazia, perché elevata a partecipare alla vita stessa di Dio in Cristo. L'attuazione esistenziale più intima e totale di sif­fatta elevazione sembra quindi quella di coloro che sono chiamati, per singolare grazia, a « ripetere» (nel senso della «ripresa», la Gjentagelse kierkegaar­diana) nei dolori del proprio corpo e nelle pene del

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proprio spirito, le sofferenze che Cristo ha patito per l'espiazione dei peccati dell'uomo, nel proprio corpo e nella propria anima, dal Getsemani alla morte di croce.

Così possiamo ora anche arrischiare un accosta­mento più impegnativo: come la buona teologia inse­gna che nella S. Messa si rinnova «misticamente» ma realmente nella Chiesa, con l'ampiezza e l'infinità dei meriti, il sacrificio compiuto per noi da Cristo sulla Croce; così nello stigmatizzato si ripetono e rinno­vano realmente, con l'ampiezza di partecipazione ch'è possibile in una fragile creatura, le sofferenze della Passione di Cristo. Lo stigmatizzato diventa e si presenta perciò come il testimone operante e pro­ducente in sé la presenza di Cristo in una forma -del tutto singolare e misteriosa - di sacramento di salute. È col martire e con lo stigmatizzato allora che si attua la theologia Crucis autentica ed è soprattutto in funzione della loro testimonianza - che il martire dà al mondo e lo stigmatizzato alla Chiesa - ché si può qui parlare con proprietà di una «antropologia teologica». La effusione del sangue, che essi soffrono e offrono per Cristo, scuote i cardini stessi della sto­ria e «ripete» per la coscienza degli uomini lo scon­volgimento tellurico operato da Cristo sul Calvario al momento della morte. Così il nucleo esistenziale mondano di «essere-per-Ia-morte» (Sein-zum-Tode) viene radicalizzato e capovolto, se così si può dire, perché nel martire e nello stigmatizzato esso è inse­rito nella Passione e Morte di Cristo il quale è en­trato nella storia per patire e morire da Uomo-Dio la morte più disumana e così operare la nostra sal­vezza. Infatti, grazie alla Passione e Morte di Cristo, la storia umana intera ha fatto un «salto di qualità»

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in quanto essa è diventata «storia di salvezza» sal­vando il tempo dallo scorrere e ripetersi uniforme del «panta rei» eracliteo mediante la decisione della fede nell'evento salvifico unico del Cristo che ogni uomo deve porre per suo conto.

Per il cristiano il «male» del peccato non è il semplice limite negativo come per il pensiero mo­derno, né solo una privazione categoriale come per il pensiero classico: l'unico vero male per il cristiano, che ha per misura Dio e Cristo(5), è il peccato ch'è opera dell'uomo, mentre l'uomo moderno prende se stesso a misura e scopo delle sue scelte e perciò in­globa nel divenire del mondo lo stesso Dio e Cristo. Ed è qui che si fa avanti la testimonianza del martire e dello stigmatizzato: il martire testimonia la Morte e Passione redentrice del Cristo dentro il tempo che è finito e dentro un mondo che non crede e respinge la fede, mentre lo stigmatizzato la testimonia nella sua carne per un mondo o che «ha creduto» o che afferma e «dice» di credere in Cristo ma non vive più in conformità della fede.

n momento cruciale pertanto, in ambedue le si­tuazioni le quali, per quanto possano essere diverse nell'esteriore - popoli pagani senza fede da una parte e popoli cristiani ma ormai mondanizzati dal­l'altra - convengono nel rifiuto dello «scandalo della Croce ».

Iacopone da Todi celebrava nell'impressione delle Stimmate la vittoria di Dio su Satana mediante il suo eletto Francesco che ritolse al nemico l'impero del mondo con l'istituzione di una nuova cavalleria con un «guidatore ben ammaestrato» ch'è lo stesso

(5) Cfr.: S. Kierkegaard, La malattia mortale, P. II, c. I; tr. it., p. 297 SS.

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Francesco. Di lui poi si occupa Dio medesimo, che imprime nel suo corpo i suoi «Segni» cioè le Stim­mate: «Armase lo guidatore - de l'arme de lo Si­gnore: segnalo per grann'amore, - de soi signi l'ha adornato »(6).

La descrizione della miracolosa impressione delle Stimmate, da parte del Serafino alato, si legge nella precedente Laude LXI come ultima delle Sette apparizioni della croce in cui J acopone vede mistica­mente il simbolo della progressiva trasformazione amorosa di Francesco in Cristo stesso. Riportiamo l'ultima strofa, la più vivace e commossa, che de­scrive la ferita del costato: «La piaga laterale como rosa vermeglia; - lo pianto c'era tale a quella mera­viglia, - vederla en la semeglia de Cristo crucifisso, - lo cor era un abisso veder tale specchiato »(7).

La spiegazione c'è già nel Celano: «L'uomo nuovo Francesco si rese famoso per un nuovo e stu­pendo miracolo, quando apparve insignito di un sin­golare privilegio, mai concesso nei secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle sacre Stimmate e reso somigliante in questo corpo mortale al corpo del Cro­cifisso. [ .. ,J. Non c'è da chiedersi la ragione di tale evento, perché fu cosa miracolosa, né da ricercar al­tro esempio, perché unico »(8). Ora l'agiografia cri­stiana conosce molti stigmatizzati: fra i più recenti è facile ricordare la nostra Gemma e P. Pio da Pie­trelcina nei quali la partecipazione delle Stimmate fu il segno evidente della partecipazione ai dolori della

(6) Lauda LXII (in: « Fonti Francescane", I rist., Assisi 1978, Sez. II, nr. 2033, p. 1675).

(1) Fonti Francescane, ed. cit., Sez. II, nr. 2030, p. 1671. (8) Tommaso da Celano, Trattato dei miracoli di San Francesco, c.

2: l'impressione delle stimmate figura al primo posto (Fonti Francescane, Sez. Il, ed. cit., nr. 825, p. 738 s.)

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Passione di Cristo per l'espiazione dei peccati degli uomini ed il risveglio del soprannaturale.

Quanto alla nostra Gemma, la colletta della Messa della sua festa riprende in forma più succinta il tema centrale della preghiera di S. Francesco: « O Dio, che hai reso la santa vergine Gemma Galgani, immagine del tuo Figlio crocifisso, donaci per sua in­tercessione di partecipare ai patimenti di Cristo per meritare di essere associati alla sua gloria ». Partico­larmente intensa è l'espressione che la Galgani fu « immagine del tuo Figlio crocifisso », ch'è ancora più comprensiva del « sacra stigmata» per S. Francesco, poiché la vergine lucchese alcune volte partecipò an­che agli altri patimenti del Crocifisso quali il sudore di sangue, la coronazione di spine, la flagellazione, la sete ardente... Pio XII nella Bolla di Canonizza­zione ricorda che tra i favori divini a lei concessi « ...

singolarissimo fu quello per cui Gemma ripresenta, nella sua carne verginale, una viva immagine di Gesù Cristo» (segue la descrizione) « fatta misteriosamente partecipe dei singoli tormenti della sua Passione, sentendosi trafitta da chiodi, per arcano fenomeno, le mani e i piedi e ferito da acuta lancia il costato, e apparendone a volte visibili le cicatrici delle piaghe cioè le stimmate» - le quali, assieme agli altri fa­vori, come le apparizioni dello stesso Signore Gesù e della Madonna, come pure la familiarità del suo Angelo Custode e altre straordinarie manifestazioni di divini carismi, « sembrano provare ad evidenza che l'unione di mente e di cuore fu talmente singo­lare da poter dire con l'Apostolo Paolo: « Sono croci­fisso con Cristo e non sono più io che vivo ma Cristo vive in me» (Gal. 2, 20)(9).

(9) AAS, XXXIII (19M), p. 99 s.

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Certamente, la conformità con Cristo che mostra lo stigmatizzato sembra la più soprendente; come an­che sorprende, e non è stato ancora spiegato, perché le stimmate abbiano atteso a manifestarsi per la prima volta in una fragile creatura umana (in S. Francesco!) alla distanza di più di un millennio dalla Passione e Morte di Cristo e che invece in questi ul­timi tempi sembrano singolarmente frequenti; certa­mente tale manifestazione divina è per il sostegno della Chiesa e il conforto della nostra fede. È stata giustamente rilevata la differenza, in questo, fra la pietà della Chiesa orientale e quella della Chiesa la­tina, in quanto la prima intende la presenza di Cristo in una forma di gloriosa trasfigurazione, mentre gli occidentali la conoscono soprattutto nella partecipa­zione dolorosa alla Passione di Gesù. Così « ... la mi­stica di Gemma è mistica della Passione: essa vive l'unione con Dio in quanto si trasforma in Gesù Cri­sto »(10). La caratteristica degli stigmatizzati è il loro innalzarsi ai dolori fisici e mentali della Pas­sione di Cristo con tutta la loro crudezza corporale e psichica, in una misura che già la sola narrazione ci sconvolge. A livello strettamente teologico viene da chiedersi: perché allora tanto patire? Non è bastata la Passione e Morte di Cristo? È per un dono di sin­golare amore che Cristo attira sulla croce lo stigma­tizzato ed è con slancio di singolare amore ancora che Egli « stampa» (1 l) le impronte vive e doloranti delle sue Piaghe nella sua carne: non solo ma lo

('0) D. Barsotti, nella Prefazione al pregevole studio di P. G. Bo­nardi, "Con l'amore crocifisso »: Gemma Galgani, Ed. Eco, Teramo 1975, p. 6.

(") L'espressione è stata usata da Paolo VI a proposito di P. Pio da Pietrelcina.

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rende partecipe nell'anima dell'abbandono del Padre sulla Croce. La teologia risponde, richiamandosi a S. Paolo: «Compio in me ciò che manca alla Passione di Cristo» (Coloss. 1, 24). Ma cosa può «mancare» alla Passione di Cristo? È qui che spunta il problema esistenziale della «realtà» della «partecipazione mi­stica» alle sofferenze del Verbo incarnato e della «missione ecclesiale» propria dello stigmatizzato, che si presenta così come l'eletto a vivere nel centro del mistero di Cristo per essere come un punto di riferimento per tutti i membri del Corpo mistico.

Gemma aveva già sperimentato all'apice della sofferenza il suo «essere-neI-corpo» con le gravi ma­lattie patite nell'infanzia e nella giovinezza fino a portarla col morbo di Pott sulla soglia della morte: questo, per operare il suo distacco dalla natura. Per operare poi il distacco da se stessa Gesù le offre le sue piaghe: «Domandavo a Gesù che lo volevo amare tanto ... Gesù allora mi si è fatto vedere tutto piaghe e mi ha detto: il Figlia mia, guardami e impara come si ama: non sai che me mi ha ucciso l'amore? Vedi, queste piaghe, questo sangue, queste lividure, questa croce, è tutta opera di amore! Guardami, figlia mia, e impara come si ama" »(12). Quindi Gemma sente cioè «esiste >~ nel suo corpo avvertendo non più i do­lori della sua vita naturale, ma i dolori del corpo e dell'anima di Gesù, ossia essa nel suo corpo ora «ec­siste» in Gesù ossia nei patimenti della Passione di Gesù. Perciò in un'estasi esclama: «O Gesù, Gesù, senti che domanda dice il confessore: il O che fai quando sei davanti a Gesù?". Se sono con Gesù croci­fisso, soffro; e se in Sacramento, amo ». Ed ecco il

(12) Lettera 13" a Mons. Volpi, p. 329.

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suo nuovo essere-neI-corpo con le sofferenze di Cri­sto: ({ Quanto mi lamentai ieri, Gesù, perché mi do­leva la testa! Ieri col capo, oggi con la croce, do­mani(I3) colle piaghe ... Se dobbiamo soffrire, sof­friamo insieme. Chi avrà sofferto di più, te per amor mio, o io per amor tuo? Oggi la croce e domani la piaghe: che spettacolo. Gesù che sta per comparir di­nanzi! Se sei crocifisso, soffro con te» (14). Gemma ora parla col tempo presente e questo esprime la con­temporaneità del nuovo essere-nel-corpo mediante il soffrire di lei con Cristo come risposta - e perciò si potrebbe quasi parlare di una ({ contemporaneità doppia» - al soffrire di Cristo con lei.

Si badi bene: Gemma non sogna, non inventa ... ma sperimenta realmente cioè essa soffre diretta­mente nel suo corpo dolori reali, avverte un nuovo ({ essere-nel-suo-corpo» in sintonia con i dolori di Gesù fino a lamentarsene: ({ Quanto mi lamentai ieri, Gesù, perché mi doleva la testa» (la coronazione di spine). La partecipazione di Gemma alla Passione di Cristo, la trasfigurazione esistenziale fondamentale del suo essere-neI-corpo, è a sua volta di una comu­nanza doppia cioè nello spazio e nel tempo: Gemma soffre nelle stesse parti del corpo in cui ha sofferto Gesù (il capo, le mani, i piedi, le spalle e il cuore) e soffre quando soffre Gesù: ({ Se dobbiamo soffrire, soffriamo insieme ... ». E con audacia impensata in­fatti l'estasi citata conclude: ({ Stanotte(IS), Gesù, vo­glio soffrir tutto io; o se vuoi soffrire anche tu, soffri­remo insieme. Vogliamo essere una vittima sola; sei

(13) È giovedì 29 marzo 1900 e, com'è noto, dal giovedì al venerdì la Santa soffriva la comparsa delle stimmate e degli altri patimenti della Passione.

('4) Estasi 14", p. 22. ('5) Quella appunto più dolorosa, tra il giovedì ed il venerdì.

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contento, Gesù? Preparami forza, Gesù; non ti chiedo altro» Ma ci si può subito chiedere ed è la domanda alla quale daremo maggior attenzione: come può Cri­sto ancora soffrire nel suo corpo ora ch'esso è glorifi­cato ed è impassibile in cielo? D'altra parte si può anche osservare ed è l'osservazione sulla quale si fonderà la nostra modesta risposta o piuttosto un tentativo di risposta: non è soltanto a questo modo cioè mediante l'indicata contemporaneità doppia di tempo e spazio nella partecipazione della Passione di Cristo da parte dello stigmatizzato che si compie la comunione effettiva per l'espiazione e la salvezza del peccato? Cristo è veramente ancora e sempre l'Uomo-Dio ed entrando nell'eternità ha mantenuto il suo essere-neI-mondo come mantiene il suo essere­nel-corpo ch'è proprio dell'uomo, benché non al modo dell'uomo mortale. Ed è ancora in quest'estasi 14a , che abbiamo presa per guida, che Gemma stessa insiste nel modo più esplicito su questa contempora­neità per indicare la realtà di questa partecipazione singolare ma insieme « paradigmatica». L'indica­zione - chiamiamola così - percorre vari momenti abbastanza distinti:

a) (La contemporaneità con Cristo Crocifisso) « Oh quasi sempre, Gesù, quando io ti cerco, ti trovo sem­pre sulla croce ... Meditar la tua Passione, o Gesù, è stato sempre un sollievo per le anime sante e io ... perché mi sgomenta il soffrire? Tante volte, o Gesù!. ... O croce santa!» - « Perché mi sgomenta il soffrire?». Ecco l'autenticità dello essere-neI-corpo come orrore del soffrire e come percezione che il sof­frire attesta il corpo contro il corpo e questo nel mi­stico - almeno come lo mostra Gemma - in una forma di soffrire ancora più acuta e lancinante che

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nell'uomo naturale. L'argomento meriterebbe ulte­riori riflessioni anche dal punto di vista di un con­fronto della situazione, certamente originale, di Gemma, con quella degli altri mistici soprattutto de­gli ultimi secoli, dopo la rivelazione speciale della de­vozione al Cuore di Gesù (come si è già accennato), fatta a S. Margherita Maria che guarì Gemma dalla misteriosa malattia( 16). L'incontro non è stato casuale.

b) (La visione di Cristo Uomo-Dio e la nostalgia della morte come liberazione) «Quanto sei bello, o Gesù!. .. Ma se tu ti lasciassi vedere come sei nel cielo, io morirei. O dimmi, Gesù, non sarebbe una bella morte? .. Rompi presto questa catena, che mi tiene avvinta al mondo» - Benché non viva del e per il mondo, Gemma ancora si sente legata al mondo cioè stretta nei suoi limiti oppressivi di spazio e tempo e sospira di rompere il filo dei rapporti della quotidiani tà.

c) (L'accettazione del dolore come profferta d'a­more) «Oggi la croce, domani... Quando, quando Gesù? Perché lamentarmi? Troppo m'è caro quel che mi viene dalle tue mani!. .. Troppo s'ingannano quelli che credono il patire ... » - È la dialettica dell'inver­sione, propria della vita dello spirito e proprio per questo anche la unica via del trascendimento della vita immediata, cioè dell'egoismo, scoperto o segreto che sia. Ma, come si dirà, è più proprio dell'anima femminile il donarsi senza riserve come l'unica via, quella dell'oblio totale di sé nel rischio supremo. È quanto la Santa esprime nell'estasi seguente del ve-

(16) Cf. Autobiografia. in «Estasi. Diario". ed. cit.. p. 217 s.

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nerdì 30 marzo, al centro della sua partecipazione alla Passione.

d) (Essere tutti accanto alla croce a raccogliere il Sangue di Gesù) «Passione di Gesù!... Angeli del cielo, inchinatevi tutti con me, per la Passione di Gesù. Raccogliamo insieme il sangue di Gesù ... » L'a­spirazione si fa più intensa: «Chi più fortunato di me ... Gesù? ... Passione di Gesù! ... Fra me e te soli .. . Andiamo tutti da Gesù in croce ... Un Dio crocifisso! .. . Eppure, o Gesù, ho cuore di resistere a te? ... Vicini a te non si soffre più ... Via, venite tutti a raccogliere il sangue di Gesù che ne ha sparso tanto; ed io, ultima dei tuoi servi, neppure una goccia» - Ma Gemma è dalla Festa del S. Cuore del precedente anno 1899 che sparge il suo sangue per Cristo.

e) (Aspirazione a partecipare completamente alla Passione di Cristo) « Adoro, Gesù, quel tuo sangue versato e sparso, o Gesù, che non l'avrai versato inu­tilmente per me» - E nell'accrescimento dell'amo­rosa compassione: «O Dio! Gesù muore! Gesù, voglio morire con te ... (17). O spine, o croce, o chiodi, quante volte ve l'ho a dire? vendicatevi sopra di me, non più sopra Gesù». - Chiude con uno slancio di umile gratitudine: «Muore Gesù, ma a me mi dà la vita. Passione di Gesù ... » (p. 23).

(17) Forse è un'eco della strofetta composta da S. Alfonso come ri­tornello dalla I alla XII Stazione della Via Crucis: « Caro Gesù, a morire - Tu vai per amor mio, - Voglio morire anch'io, - Voglio morir con Te» (Kierkegaard giudica questa strofetta « deliziosa ». Diamo anche la strofa seguente, dalla Stazione XII alla XIV: «Caro Gesù, già morto -Sei Tu per amor mio - Voglio morire anch'io - Voglio morir con Te! » (Kierkegaard, Diario 1849, X l A 353; nr 2272, t. V, p. 230. Il testo alfon­siano è preso dall'ed. critica: Opere ascetiche, Roma 1934, T.V., pp. 438, 442). .

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L'esistenziale dello stigmatizzato è pertanto un «essere-neI-mondo» che ha crocifisso Gesù. L'appar­tenenza allo spazio ed al tempo non solo non è ri­mossa o trasferita come nella contemplazione del­l'immanenza panteistica, ma viene intensificata e realizzata quasi in una forma di «ritorno» dello spa­zio e del tempo della salvezza e perciò in una rinno­vazione dell'evento della Passione di Cristo, nel suo Corpo Mistico, per permettere allo stigmatizzato di realizzare una «partecipazione di compassione» in forma reale. Sulla realtà di questa partecipazione, che costituisce per i teologi un serio grattacapo (come toccheremo a suo tempo), le dichiarazioni di Gemma e l'esperienza di tutti gli stigmatizzati non lasciano invece alcun dubbio. È in questo, d'altronde, che consiste il significato ed il messaggio di risveglio che il «fenomeno» delle stimmate significa per la Chiesa.

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CAPITOLO SECONDO

LA PARTECIPAZIONE DI GEMMA AL PECCATO UNIVERSALE

1. L'uomo moderno e l'oblio del senso del peccato

Il nucleo operante nell'esperienza mIstIca di Gemma Galgani è la sua eccezionale conformità alla Passione di Cristo. Eccezionale, perché dotata ed ac­compagnata dall'impressione fisica delle Stimmate e da quasi tutti gli altri fenomeni dolorosi: quali la co­rona di spine, la flagellazione, il peso della Croce e i «dolori mentali» come il peso di tutti i peccati, la vessazione diaboliche, l'agonia nell'Orto e l'abbando­no dello spirito ... Al fondo di questi fenomeni, come situazione che li anima e li contiene, sta la duplice esperienza intensiva e comprensiva dei dolori di Cri­sto, i quali per singolare grazia le apparivano al vivo nella contemporaneità della storia umana e, dall'al­tra parte, l'esperienza altrettanto forte ed opprimen­te della malizia del peccato come dell'unico vero ma­le nel mondo.

Ma ciò ch'è ancor più singolare in Gemma, come vedremo nel suo crudo e realistico linguaggio, è ch'essa riferisce le sofferenze di Cristo alla malizia dei suoi peccati: il fatto cioè di considerarsi non solo peccatrice, ma la più grande peccatrice di tutti i te m-

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pi, colei che ha fatto piangere di più Gesù. Di questa singolare «impressione» (Stimmung) non c'è spiega­zione, né teologica né psicologica: Gemma sapeva di avere sempre aspirato al Paradiso e ad una vita di purezza - e neppure si tratta di un'espressione sola­mente teologica, poiché ogni cristiano è chiamato an­zitutto e soprattutto a pentirsi ed a riparare i propri peccati.

È in gioco allora il senso profondo della libertà e l'impegno della persona. La «coscienza del pecca­to» - chiamandola col suo termine - è solidale del­la memoria qualitativa in cui si conserva la realtà dello spirito secondo la qualità morale cioè di bene e di male, e quindi di merito e di colpa che le compe­te dall'uso della libertà. L'effetto immediato di que­sta «coscienza del peccato» nell'anima cristiana, che intende vivere la propra fede, è il pentimento o dolo­re dei peccati commessi: per questo il Sacramento amministrato nella Chiesa per rimettere i peccati è chiamato anche «Penitenza »(1) in cui l'amore di Dio offeso per l'uomo e dell'uomo pentito per Dio s'incontrano in un abbraccio di amore.

Non così per il pensiero moderno che ha preteso di restituire all'uomo l'autonomia della coscienza ca­povolgendo l'asse dello spirito, che diventa arbitro di se stesso, e privilegiando la scala delle virtù umane che hanno per unico metro l'affermazione della ra­gione della coscienza dell'Io o, comunque si voglia chiamare, il principi9 dell'autogenesi o autocostitu­zione del soggetto. L'esperienza mistica, come quella di Gemma, cresce al vertice della più intensa vita di

(1) «Secundam post naufragium deperditae gratiae tabulam, sancti Patres apte concuparunt» (Cone. Trid., Sect. VI, c. 14; OS. nr. 1542).

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fede e quindi come riconoscimento si combatte la lot­ta suprema per la verità che salva, non fra sistema e sistema, ma fra l'accettazione od il rifiuto del mes­saggio della Croce e del dono di Dio per la salvezza. La filosofia moderna, ch'è antropologia radicale o trascendentale in continuo sviluppo, non sa che far­sene di un tale dono; respinge quindi in anticipo ogni coscienza di colpa e di peccato, rifiuta il richiamo dei profeti e di Cristo alla penitenza. Siamo agli anti­podi del richiamo cristiano. Mi si permetta solo qual­che accenno.

1. - Spinoza usa una crudezza di linguaggio che resta ancora insuperatae), ma sempre istruttiva per chi vuole andare al fondo dei problemi dello spi­rito: a) Carattere spurio della penitenza e della coscienza del peccato in generale: «Il pentimento non è una vir­tù, ossia non deriva dalla ragione; ma chi si pente di ciò che ha fatto è doppiamente misero ossia impo­tente» (Gentile-Radetti, p. 507)(3). Già nella proposi­zione LUI Spinoza aveva condannata come irraziona­le l'umiltà che per lui coincide con la tristezza che deriva - secondo lui - dalla coscienza della propria impotenza ossia dall'incoscienza della potenza della

(2) I testi si trovano ora indicati e raccolti da E. Giancotti Bosche­rini, Lexikon Spinozanum (Archives Internationales d'histoire des Idées, 28), The Hague, 1970, t. II, p. 842. Le citazioni rimandano al testo dell'ed. C. Gebhard, Opera, Heidelberg 1924).

Ha messo in luce l'importanza di Spinoza, per il nostro problema, soprattutto M. Scheler nel saggio del suo periodo cattolico: Reue und Widergeburt (Pentimento e Rinascita) che apre l'opera complessiva di fi­losofia della religione: Vom Ewigen im Menschen (Dell'eterno nell'uomo), IV ed., hrsg. M. Scheler, Bern 1954. Il richiamo a Spinoza è a p. 43. Il testo principale si trova nella Ethica, Pars IV, Prop. UV (seguiamo la trad. i1. di Gentile-Radetti, Firenze 1963).

(3) « Poenitentia virtus non est, si ex ratione non oritur; sed is qui facti poenitet, bis miser, seu impotens est» (Gebhardt, II, p. 230).

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ragione e volta lJérciò le spalle, come afferma nella Prop. 100, alla «soddisfazione di sé stesso (acquie­scentia sui) che può derivare dalla ragione o solo quella soddisfazione che deriva dalla ragione è la più grande che si possa dare» (p. 505). Non tocca a noi in questo preambolo teoriço, di cui chiediamo perdo­no a Gemma, seguire le sottili derivazione che Spino­za propone nella genesi di queste situazioni della co­scienza che egli respinge perché le giudica basse e indegne dell'uomo razionale, poiché non si può rico­noscere altro assoluto che la ragione stessa o mens. Il fatto poi ch'egli attribuisce il pentimento alla pra­va cupiditas, che poi si risolve in tristitia(4), mostra all'evidenza l'assenza di ogni rapporto personale fra Dio e l'uomo che può non solo riscattare il valore po­sitivo e catartico cioè purificante del pentimento ma anche elevarlo al rapporto più alto dell'uomo a Dio che è quello di figlio al Padre come nella parabola evangelica.

Invece Spinoza si scaglia nello Scolion con' fine ironia - e duole un po' che lo stesso M. Scheler non l'abbia avvertito - contro l'umiltà e il pentimento il cui unico effetto è di infiacchire l'animo degli uo­mini e perciò di renderli più proclivi a farsi guidare da altri a vivere secondo ragione. Diamo la seconda e terza parte del testo che ha un senso di attualità nell'infuriare delle psicologie di massa, della coscien­za e lotta di classe, dei collettivi e degli assembleari­smi... Spinoza però, come poi Nietzsche, respinge con sdegno ogni massificazione:« Se infatti gli uomini di animo impotente fossero tutti ugualmente superbi, se non si vergognassero e non avessero paura di nul-

(4) Nella demonstratio che subito segue (ibid.).

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la, come potrebbero essere congiunti e stretti insie­me con vincoli? ». Segue lo stravolgimento del mes­saggio di salvezza dei profeti, che sono abbassati a furbi politicanti: «Il volgo è terribile se non ha pau­ra; non è perciò da stupirsi se i Profeti, i quali bada­vano non all'utilità comune, abbiano tanto raccoman­dato l'umiltà, il pentimento e il rispetto »(5).

La conclusione diventa d'improvviso positiva, ma solo dopo aver svuotato il pentimento del suo og­getto, ch'è appunto il peccato come traviamento con­sapevole e perciò colpevole dell'uomo davanti a Dio, quindi come rottura del rapporto con Dio, quindi co­me il massimo di tutti i mali perché allontana e sepa­ra l'uomo da Dio ch'è il principio di ogni bene e nel­l'ambito propriamente cristiano - perché col pecca­to, come ci dirà Gemma, l'uomo torna a far soffrire ancora Cristo rinnovando i dolori della sua Passione. Col trasferimento dell' Assoluto personale teologico al monismo della Ragione assoluta, sfumava invece ogni rilevanza del rapporto personale del singolo a Dio che non sia quello dell'affermazione della vita nel tutto del cosmo (Deus sive natura)(6).

2. - La distorsione totale del pentimento da parte dell'immanentismo moderno si compie in Schopen­hauer che elimina senz'altro il momento della memo­ria ossia il riferimento della coscienza al «ciò che ho fatto ». Il pentimento appartiene alla sfera del cono­scere: «Il pentimento (Reue) non sorge mai dal fatto che si è cambiata la volontà (ciò ch'è impossibile), ma la conoscenza. Ciò ch' è essenziale e proprio è che quel ch'io ho voluto, lo devo anche volere: poiché io

(5) Ethica, I.e.: Seolion; trad. eit., p. 509. (6) C. Fabro, Introduzione all'ateismo moderno, II ed., Roma 1969,

t. I, p. 161 55 (eit.).

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stesso sono questa volontà che si trova fuori del tem­po e della mutazione (1). Non posso pertanto pentir­mi di ciò che ho voluto, bensì di ciò che ho fatto: poi­ché, guidato da falsi concetti, ho fatto qualcosa d'al­tro di ciò che era conforme alla mia volontà. L'apprensione di questo, con una conoscenza più esatta, è il pentimento »(8). La spiegazione corre tut­ta sul filo di questo razionalismo radicale secondo il principio socratico che l'errante non è tanto un col­pevole quanto un ignorante cioè uno che si è lasciato traviare da motivi egoistici, da rappresentazioni esa­gerate sulle mie necessità, dall'astuzia, falsità e catti­veria degli altri e dal fatto ch'io ho agito troppo fret­tolosamente e sotto l'impressione del momento e del­l'affettività più che della ragione. Il ritorno della riflessione (Besinnung) è qui, conclude Schopen­hauer, l'unica conoscenza giustificata da cui può pro­cedere il pentimento: questo procede quindi sempre da una conoscenza più precisa, non dal mutamento della volontà che come tale - si badi bene - è 'im­possibile. Il pentimento non ha perciò nulla a che fa­re con «l'angoscia della coscienza» (Gewissensangst) per ciò che riguarda il passato, poiché la coscienza attuale in cui si dovrebbe attuare il pentimento non può rendersi presente il passato che è non più.

Di conseguenza il pentimento non ha nessuna ri­levanza morale, è l'effetto di una svista che impedi­sce all'intelletto la visione degli opposti motivi e

(1) È la formula radicale del principio moderno d'immanenza come «circolo» assoluto di essere e agire ossia d'intelletto e volontà nella tota­lità dell'Io (trascendentale) che ritorna in se stesso, come pura identità.

(8) A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, IV Buch, Bejahung und Verneinung des Willes, § 55; ed. J. Frauenstadt, Leipzig 1916, Bd. II, p. 349. È la prima trattazione filosofica specifica sul «penti­mento» (Reue) come tale.

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quindi la scelta giusta: quando poi, cioè riflettendoci, l'intelletto si accorge del passo falso, sorge il penti­mento cioè il rammarico dell'errore fatto: «Tutte queste azioni perciò, conclude Schopenhauer, sorgo­no sul fondamento di una relativa debolezza dell'in­telletto, in quanto, questo si lascia soverchiare dalla volontà [ ... ]. La veemenza della volontà è pertanto so­lo mediatamente la causa in quanto cioè essa ostaco­la l'intelletto e quindi prepara il pentimento »(9). Strano però questo pentimento che non comporta al­cun dolore, che si riferisce non ad una colpa propria di cui la volontà sia responsabile, ma solo ad un erro­re dell'intelletto, ad un difetto o debolezza di discer­nimento del giudizio. Giustamente perciò M. Scheler, malgrado alcune concessioni (discutibili) alla teoria di Schopenhauer, ammette che « ... questa concézione distrugge tutto il senso del pentimento» poiché si fenna alla sfera (statica, direbbe Kierkegaard che S. stranamente ignora) dell'essere del pensiero ed igno­ra il divenire come sfera propria della libertà. Tutta­via riconosce che il pentimento si riferisce alla libera azione della nostra «persona totale» (Gesamtperson) alla quale appartengono quei gradi di raccoglimento e di concentrazione o varianti costitutive dell'Io da cui scaturisce l'azione a cui si riferisce il pentimento. Lo Scheler ha in questo modo facilmente ragione del­l'intellettualismo di comodo di Schopenhauer riven­dicando che « ... l'atto del pentimento più profondo ottiene però la sua completa comprensione per que­sto che una simile mutazione causata liberamente dal livello di raccoglimento di tutta la nostra esisten­za interiore è un fenomeno concomitante» (p. 40).

(9) Die Welt ... Erganzungen zum vierten Buch, Kap. 47; ed. cit., Bd. III, p.682.

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Ma allora, ci sembra di poter osservare, il penti­mento stesso che ne è l'effetto non attinge il centro della persona stessa; né vediamo la ragione perché Scheler parli a questo proposito dell'« aspetto più mi­sterioso di questo più profondo vivente atto di penti­mento »(10), quando il pentimento, dal primo sorge­re della coscienza infantile fino all'età matura, ap­partiene alla coscienza morale ordinaria della vita del Singolo. Il pentimento ha il suo senso in quanto è collegato all'amore profondo per la persona che amiamo dal profondo e che abbiamo coscienza di aver offeso, disgustato, amareggiato.

3. - L'espulsione del pentimento dalla coscienza, come atteggiamento spurio, già programmata da Spi­noza e sviluppata dall'immanentismo moderno col­l'approfondirsi dell'ateismo radicale in Schopen­hauer, trova in Nietzsche l'enfasi rettorica della pro­clamazione del «rovesciamento di tutti i valori» (Umwertung aller Werte) ed in particolare dei «valori supremi: la filosofia, la religione, la morale, l'arte ecc. Egli ha proclamato perciò «la liberazione da ogni colpa» (die ErlOsung vom aller Schuld) ove i «valori morali» lasciano il posto ai «valori naturali­stici» e la metafisica e la religione alla «dottrina del­l'eterno ritorno» (ewige Wiederkunftslehre)(ll).

La profonda e sotterranea affinità fra Spinoza e Nietzsche si vede soprattutto nella demolizione spie­tata in entrambi della morale cristiana, nella perdita o rifiuto della coscienza del peccato e quindi nel ri-

(IO) « Dieses geheimnisvollste des lebendigen tieferen Reuueakts» (p. 41).

(11) F. Nietzsche, Aus dem Nachlass der Achzigerjahre, Werke, ed. K. Schlechta, Miinchen 1958, Bd. III, p. 560.

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torno, implicito in Spinoza (ed in gradi e forme diver­se nel pensiero seguente: deismo, illuminismo, ideali­smo ... ) ed esplicito in Nietzsche, al paganesimo, al­l'innocenza naturalistica. La denunzia è drastica: «Pagano-Cristiano. È paganesimo l'accettazione del naturale, il sentimento d'innocenza in ciò ch'è natu­rale, la "naturalità". Cristianesimo è il rifiuto di ciò ch'è naturale, il sentimento d'indegnità per ciò ch'è naturale, l'opposizione alla natura [l'antinaturali­tà] » (12). È il compendio della lotta senza quartiere che Nietzsche ha dichiarato al Cristianesimo con cre­scente veemenza, una lotta mortale e appassionata fi­no a minarne le facoltà mentali: destino emblematico e quasi profetico per noi oggi che assistiamo alla pro­gressiva distruzione della natura da parte dell'uomo e della violenza montante dell'uomo sull'uomo ossia dello scatenamento di quell'« ira» (Rache) che ha avu­to ancora in Nietzsche il suo teorico più acceso. Non sorprende allora che Nietzsche tratti con singolare insistenza del «sentimento di colpa» (Schuldgefiihl) assieme cioè l'accomuni alla cattiva coscienza(l3) che è una malattia, la volontà di automaltrattamento, perdita dell'Io, negazione di sé, sacrificio di sé ed in­somma un esercizio di crudeltà.

E Nietzsche ammette che il sentimento di colpa verso Dio, sorto all'interno delle società aristocrati­che, non ha cessato di crescere per molti secoli. La venuta poi del Dio cristiano, come il Dio supremo che finora sia stato concepito, ha portato pertanto il

(12) « Heidnisch-christlich. Heidnisch ist das J asagen zum Natiirli­chen, das Unschuldsgefiihl im Natiirlichen, das Unwiirdigkeitsgefiihl im Natiirlichen, die Widernatiirlichleit" (Op. cit., p. 566).

(13) Zur Genealogie der Moral. II. Abteilung, ed. Schlechta, Bd. II, p. 799 ss.: « Schuld », « Schechtes Gewissen und Verwandtes ».

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maximum del concetto di colpa che sia apparso sulla terra. E osserva con pertinenza che l'inarrestabile decadenza della fede nel Dio cristiano comporta an­che una grave decadenza della coscienza della colpa. Ed ecco il risultato finale: «La perfetta e definitiva vittoria dell'ateismo potrà liberare l'umanità da tut­to questo sentimento della colpa verso il suo Princi­pio, verso la sua causa prima. L'ateismo ed una spe­cie di seconda innocenza vanno insieme» (14).

Ma ovviamente allora per Nietzsche il vero maxi­mum di questo concetto di colpa è il concetto cristia­no del peccato ossia quello legato alla maledizione biblica della caduta (intervento del diavolo, imma­nente alla natura) ed alla redenzione del peccato: Dio stesso che si sacrifica per la colpa dell'uomo, Dio stesso che si fa mallevadore, Dio stesso che può redi­mere ciò che per l'uomo stesso è diventato non redi­mibile» (p. 832.). Questa, commenta Nietzsche, è una specie di follia della volontà nella crudeltà dell'ani­ma che non ha l'eguale (e questo è vero anche per il cristianesimo, che l'ha appreso da S. Paolo: I Coro 1,23)(15): « la volontà dell'uomo di trovarsi colpevole e reprobo fino alla irremissibilità, la sua volontà di pensarsi punito senza che la pena si possa pensare equivalente alla colpa, la sua volontà di infettare ed avvelenare l'ultimo fondamento delle cose col proble­ma della pena e della colpa ». È di qui che sorge per l'uomo il sentimento della sua indegnità assoluta:

(14) «Der vollkommne und endgiiltige Sieg des Atheismus die Men­schheit von diesem ganzen GefUhl, Schulden gegen ihren Anfang, ihre causa prima zu haben, l6sen diirfte. Atheismus und eine Art zweiter Un­schuld geh6ren zueinander» (Op. cit., II Abt. § 20; ed. cit., t. II, p. 831).

(15) Vedi il richiamo preciso anche di M. Heidegger, profondo co­noscitore di Nietzsche, che riferisce la definizione che costui ha dato del Cristianesimo come « un platonismo per il popolo» (Einfuhrung in die Metaphysik, Tiibingen 1953, p. 80.

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per Nietzsche tutto questo è una «malattia », la più terribile malattia che finora abbia infierito sull'uo­mo, p. 834).

Tutto questo, cioè la condanna e la perdita da parte del Cristianesimo della bellezza e del piacere, è la più bassa forma di «decadentismo» contro la quale bisogna proclamare la dignità degli istinti e il primato della vita e tutta quella concezione prece­dente della coscienza della colpa non è stato che un processo patologico: «lo ho scoperto la vita come nuova, mi ci sono impegnato, ho gustato tutte le cose buone anche le piccole che gli altri non facilmente possono gustare - io faccio la mia filosofia della mia volontà per la sanità, per la vita ». E conclude che un uomo così formato « ... non crede né alla "infelici­tà" né alla "colpa" (16). E questo è anche il supera­mento del pessimismo di Schopenhauer ed il rifiuto radicale del Cristianesimo.

Si tratta di proclamare «la liberazione da ogni colpa» (Die Erlosung von aller Schuld) e pertanto da ogni coscienza di risentimento, quale si osserva negli atei in Russia, da ogni immagine di capro espiatorio, da ogni idea di responsabilità. Ed il bersaglio torna ad essere il Cristianesimo al quale si richiamavano gli stessi specialisti (di allora!). È il Cristianesimo, continua Nietzsche, che ci ha abituati al concetto su­perstizioso di «anima» (Seele), dell'anima-monade, dell'anima immortale: «In realtà è stato anzitutto il Cristianesimo che ha posto l'esigenza dell'individuo, di progettarlo come giudice di tutto e di ogni cosa, la follia più grande è per lui diventata quasi un dove­re ». E c'è un'altra idea storta, conclude, ch'è pene-

(16) F. Nietzsche, Ecce Homo (Warum ich so weise bini, § 2; ed. cit., Bd. II, p. 1072 s.

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trata molto profondamente nella carne della moder­nità: il concetto della «eguaglianza delle anime da­vanti a Dio» (Gleichheit der Seelen vor Gott - corsivo di N.). In esso è contenuto il prototipo di tutte le teo­rie dei diritti uguali: si è cominciato con l'insegnare all'umanità che il principio di uguaglianza ha un'ori­gine religiosa e più tardi da questo si è costruito una morale(17).

Nietzsche è stato contemporaneo di Gemma: le loro linee di sviluppo divergono all'infinito - ma la sofferenza che Gemma accettò e visse in totale abne­gazione di amore non sono forse quell'autentica fol­lia di amore che la fede mostra al cristiano nella Pas­sione e Morte di Cristo?

4. - Da questa indicazione sostanziale dei vertici della concezione moderna del pentimento si ricava ch'esso è spazzato via dall'autonomia dell'Io assoluto trascendentale e relegato senza rilevanza di valore nella sfera dell'individuo empirico. E giustamente in linea di coerenza, poiché il pentimento o «dolore dei peccati », secondo l'espressione cristiana, è la conclu­sione di tutta la costellazione operante nella sfera pratica di fronte a Dio, nell'atto di scelta fra il bene e il male. Sul piano metafisico essa suppone la crea­zione e perciò la dipendenza totale dell'uomo da Dio e quindi l'umiltà della «anima» di fronte alla vita ed alla morte. Sul piano etico richiama la libertà ossia la distinzione del bene dal male e quindi la libertà

(17) F. Nietzsche, Aus dem Nachlass ... , ed. cit., Bd. III, p. 821 s. L'intera costellazione della distruzione della teologia cristiana nella se­quela di Nietzsche - Heidegger - Rahner, già esaminata nel mio: La svolta antropologica di Karl Rahner (Milano 1974). La situazione è diventata preoccupante nel post-concilio perché ha raggiunto, a quanto sembra, gli stessi (alcuni almeno) vertici del magistero.

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come capacità di scelta con la conseguente responsa­bilità. Sul piano teologico essa suppone la caduta ori­ginale tuttora operante (come fomes concupiscentiae) al fondo della libertà da cui scaturisce la possibilità immanente del peccato, come insidia permanente del male. Sul piano mistico-spirituale la deformazione morale del peccato è il rifiuto dell'amore divino per l'amore creato ossia come emergenza e sfida dell'Io finito contro Dio - aversio a Deo et conversio ad creaturas - afferrata non per mediazione di concetti ma mediante una visione (quasi diretta) dell'amore di Dio in Cristo nella redenzione e per una partecipa­zione (quasi) diretta alla malizia del peccatore.

Coscienza della colpa e coscienza del peccato so­no in realtà lo stesso movimento nei due momenti soggettivo e oggettivo. La dialettica dell'imperativo categorico kantiano è puramente formale e astratta sia perché non attinge l'azione concreta del singolo, sia perché affida la distinzione del bene dal male alla differenza utilitaristica di ciò che conviene (o non conviene) del rapporto fra uomo e uomo e non anzi­tutto al rapporto originario e costitutivo dell'uomo a Dio(18).

(18) Kant chiama l'imperativo categorico « legge fondamentale della ragione pratica pura» (Grundgesetz der praktischen Vernunft) e la formu· la: « Agisci in modo che la massima della tua volontà possa insieme vale· re come principio di una legislazione universale» (Kritik der praktischen Vernunft, l Teil, § 7; Cassirer V, p. 35). Nel « Fondamento della metafisi­ca dei costumi» (1785) Kant esamina ampiamente il concetto di « impera­tivo categorico » nella sfera morale e lo definisce: « quello che rappresen­ta un'azione per se stessa, senza relazione ad un altro scopo, come ogget­tivamente necessaria ». La formulazione dell'imperativo è simile alla precedente ma con una leggera flessione positivistica: « Agisci in modo come se la massima della tua azione dovesse diventare mediante la tua volontà la legge universale della natura» (Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, II Abschnitt; Cassirer IV, pp. 271 e 279). Cfr.: C. Fabro, La negazione assurda, nel secondo centenario della I ed. della « Kritik der reinen Vernunft» (Riga 1781). Genova (1981).

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È il princIpIO d'immanenza moderno applicato all'agire, come aveva ben visto Kierkegaard: «L'auto­raddoppiamento effettivo, senza un terzo che stia fuori e che costringa, riduce ogni esistenza consimile a illusione, ad uno sperimentare ». Kant pensa che l'uomo sia a se stesso la sua legge, cioè che si leghi alla legge ch'egli stesso si è data. Ma con ciò si pone in sostanza, nel senso più radicale, la mancanza di ogni legge ed il puro sperimentare. Questa diventerà una cosa così poco seria, come i colpi che Sancio Panza si dà sulla schiena. La situazione è evidente. « È impossibile, spiega Kierkegaard, che in A io possa essere effettivamente più severo di quel ch'io sono in B o che possa desiderare a me stesso di esserlo. Se ciò che lega, non è qualcosa di più alto dell'Io stesso e tocca a me legare me stesso, dove allora co­me A (colui che lega) dovrei prendere la severità che non ho come B (colui che dev'essere legato), una vol­ta che A e B sono il medesimo lo? ». E continua que­sta parte teoretica della contestazione: «Specialmen­te ora questo si manifesta in tutti i campi della reli­giosità. La trasformazione dell'immediatezza a spirito; questo morire, non è fatta sul serio, diventa un'illusione e un puro sperimentare se non c'è di mezzo un terzo, qualcosa che costringa senz'essere l'individuo stesso »(19).

Così Kant dà la sterzata decisiva alla svolta an-

(19) Diario 1849-1850, X2 A 396;tr. it. nr. 2771, t. VII, p. 69 ss. Per­ciò, senza un Dio trascendente, l'uomo nella filosofia moderna manca di morale e «si riduce a vivere in un'illusione, in un'immaginazione ed in un arbitrario sperimentare. È la disgrazia più grande" (ibid.). Il disan­coramento totale dell'azione dalla morale diventa esplicito nell'ideali­smo, specialmente in Hegel (Cfr. C. Fabro, Kierkegaard critico di Hegel, nel voI.: «Incidenza di Hegel", Napoli 1970, p. 497 ss.).

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tropologica della substantia causa sui di Spinoza(2°) e respinge ogni atteggiamento mistico. Perciò non sorprende che in Kant siano pressoché assenti i con­cetti cristiani di peccato, di colpa, di dolore dei pec­cati e di rimorso ... , i quali non hanno senso al di fuo­ri di un autentico rapporto personale dell'uomo a Dio. È impressionante, e sempre più evidente nella coscienza dell'uomo moderno, che l'impegno per l'autenticità dell'uomo sia cercato a spese della per­dita, e spesso del ripudio esplicito, del suo rapporto a Dio. Così il messaggio di salvezza che Cristo ha of­ferto con la sua Passione e Morte e Risurrezione, vie­ne capovolto nella negazione del peccato e nella pro­clamazione della sufficienza delle categorie storiche con la vittoria definitiva sul peccato. Tattiche, ossia progetti, di secolarizzazione delle verità e virtù cri­stiane, corteggiate oggi anche da larghe fasce di teo­logia post-conciliare impaziente di camminare, come il pelagianesimo ed il nominalismo modernista, al passo con mondo. La « via regia sanctae crucis », che Dio fa risplendere di continuo con l'esempio dei santi ed in particolare dei mistici, è la risposta veemente dello spirito di Dio al livello di un essere-neI-mondo capovolto e trasfigurato in Dio, come si vede nella nostra Gemma.

(20) «Per causam sui intelligo id, cuius essentia involvit existen­tiam, sive id, cuius natura non potest concipi nisi existens» (Ethica, Def. I; Gebhardt II, p. 45). Gentile-Radetti trovano questo concetto riferito da Suarez (Disp. Metaph. XXVII, sez. I) e certamente era noto a Spinoza che da esso prende lo spunto per la sua prova ontologica dell'esistenza di Dio (Ethica, Firenze 1963m p. 662 s.). Una coincidenza simile è causa di conseguenze altrettanto gravi, è il richiamo di Hegel al celebre argo­mento ontologico di S. Anselmo che confuta l'argomento dei 100 talleri di Kant (Vorlesungen iiber die Philosophie der Religion, Lasson III, 1,43: «Also Anselms Gedanke [ist] ganz richtig »). Nella più conosciuta «Storia della Filosofia », Hegel chiama la prova anselmiania « ... la prima prova veramente metafisica dell'esistenza di Dio» (ed. K. L. Michelet, Berlin 1844, III Theil, p. 147).

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2. La coscienza del peccato universale (<< la grazia più grande che mi ha fatto Gesù »)( I)

Il primo problema allora è quello del senso del peccato che Gemma ebbe quanto mai profondo, lace­rante, straziante - come abbiamo sopra riferito. Il problema sembra che sia il seguente e cercherò di esprimerlo con la formula più ovvia. Da una parte, cioè dalla parte di Gemma, essa si considera pecca­trice, una grande peccatrice ... ed è Gesù stesso che le dice, durante l'Ora Santa, mentre è in estasi: «lo mi voglio servire appunto di te, perché sei la più po­vera, la più peccatrice di tutte le mie creature; tu non meriteresti altro che ti mandassi all'inferno, ma inve­ce voglio che tu sia una vittima ... » (Lett. 27 a a Mons. Volpi, p. 350). E lo ripete la Santa stessa nella se­guente letto 28 a : «Gesù stesso mi dice spesso che do­vrei vergognarmi a farmi vedere, perché sono pro­prio la peggio di tutte le sue creature» (Lett. 28 a, p. 351). E si rileggano alcuni testi che abbiamo già citati al principio: si può dire che Gemma si sentiva im­mersa nel peccato, fatta peccato. Ma dall'altra parte sappiamo, da quanti ossia da tutti quelli che la co­nobbero e dalle dichiarazioni della stessa Gemma, ch'essa non offese e non volle mai offendere il Signo­re con peccato grave e sembra neppure con peccati

(1) Autobiografia, p. 253 (l'espressione è da Gemma messa fra pa­rentesi).

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veniali deliberati e). Il problema allora sembra que­sto: «Come poteva Gemma dire in verità davanti a Dio cioè con verità di aver fatto quei peccati e ... tutti i peccati di tutto il mondo, quelli passati e quelli fu­turi, se in realtà essa non li aveva fatti né poteva averli fatti? di essere quella grande peccatrice? perfi­no di essere nata peccatrice? di essere un ... abisso di peccato? .. un letamaio? ». Simili confessioni non vanno contro la verità? non sono anzi contro il debito di gratitudine verso Dio per le grazie ricevute?(3).

Le risposte a questi interrogativi possono essere varie. Dato che Gemma stessa in altre occasioni af­ferma di non aver voluto mai offendere Dio delibera­tamente e, comunque, di averli sempre confessati i (presunti) suoi peccati e di volerne fare penitenza: ci si chiede quale significato allora potevano avere quelle sue espressioni cioè quale «verità»? Non cer­to una verità oggettiva nel senso ordinario che si dà al termine «oggettività» che qui è quello di verità di fatto e perciò di corrispondenza al concetto ordina­rio di realtà. Bisogna allora pensare ad un «altro» piano di realtà al quale il Signore eleva con particola­re lume la coscienza delle anime privilegiate come Gemma.

(2) Basti la stessa dichiarazione di Gesù: "Questa figlia (è Gemma stessa) mi chiede sempre amore e purità e io, che sono il vero amore e la vera purità, tanta gliene ho concessa quanta creatura umana può capirne» (Lett. 118 a a P. Germano, p. 283 s.). I Processi sono espliciti su questa materia, ma è ovvio che al primo posto viene la Madre di Dio, come afferma la stessa Gemma.

(3) Riprende quasi le stesse espressioni di Gemma una mistica dei nostri tempi: «Sono un nulla ... Sono la più grande peccatrice del mon­do ... Sono lo scandalo del mio paese ... lo san solo capace di commettere pasticci ... Tutti i peccati che esistono li ho fatti ... Merito solo l'inferno ... Sono un letamaio» (Cf.: Gabriele M. Roschini, Teresa Museo, 1943-1976, ed. cit., p. 131). Queste confessioni di profonda indegnità sono frequenti - e si tratta allora di un problema di fondo - nell'agiografia cristiana.

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Si può pensare - c lo suggerisce un'espressione ben conosciuta di S. Teresa del Bambino Gesù - che questo sentimento di forte compunzione dei peccati nasca nei Santi dalla considerazione non tanto dei propri. peccati reali (non commessi), ma di quelli « possibili» cioè dal riconoscimento umile della pro­pria fragilità e peccaminosità in Adamo dalla quale Iddio avrebbe preservato e difeso tali anime con par­ticolari grazie. Questo sembra il caso della coetanea carmelitana; ma non sembra sia quello di Gemma che si professa e confessa, con spietata insistenza, peccatrice e gran peccatrice. Si potrebbe anche os­servare che Gemma parli così di sé perché « ingrandi­sce» cioè esagera (per un complesso di colpa!) le sue presunte mancanze ... : una spiegazione verosimile, an­zi ovvia, dal punto di vista della psicologia normale. Ma questo non è il caso Gemma che per tutto il resto si mostra sempre equilibrata e discreta, portata a parlare sempre bene degli altri e ... sempre male di sé: come mai? Tanto più che è Gesù stesso - e q]..le­sto sembra ancor più sconcertante - che la procla­ma, come anche sopra si è visto, la « peggio di tutte le creature ». Ma è lo stesso Gesù poi che celebra, in altre estasi (e Gemma stessa è pronta a riconoscere), le meraviglie di grazie che opera in lei e le predice la glorificazione degli altari.

Dobbiamo forse pensare a qualcosa di più alto, ad una situazione di spirito più profonda al di là di ogni valutazione finita, cioè di carattere totale e tut­t'abbracciante(4). Si potrebbe forse parlare di una « situazione-carisma» del senso del peccato ossia di

(4) Simile, ma in tutt'altro contesto, a quelle che laspers chiama le «situazioni-limite» le quali esigono una decisione radicale (Cfr.: K. la­spers, Philosophie 3, Bd. II, 201 ss. e 261 sS.; Bd. III, 218 ss.).

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un senso-totale della malizia del peccato stesso ch'è abbracciato dall'anima nella sua pienezza di malizia, dalla sua prima origine lungo tutto il corso della sto­ria umana ch'è storia di prevaricazione continuata e di ribellioni sempre in atto dell'uomo contro Dio. Ora il santo, come il figlio di Adamo da una parte e dall'altra per il lume divino speciale ricevuto, si sente coinvolto e immerso in questo torrente limac­cioso e fetente della storia e quindi anch'egli si con­fessa reo e correo.

Questa è certamente una situazione nuova e spe­ciale, è un trascendere il lume normale della ragione e della morale e i dati effettivi e reali della memoria storica: si potrebbe forse parlare di un elevarsi alla memoria cordis in un dolore di compassione infinita e universale. Ma anche questa è un'espressione che non rende, a mio avviso, la densità di « realtà» delle espressioni di Gemma. Invece di un « elevarsi », un termine certamente poco adatto ad esprimere l'appe­narsi e la partecipazione dolorosa della Santa, si po­trebbe parlare di uno sprofondarsi e di un'inabissar­si - per un particolare lume di grazia - aldilà dello stesso proprio nulla della creazione, ossia di uno sprofondarsi nella percezione intima e vissuta del peccato radicale come peccato reale ossia come suo proprio peccato. Come quando Gemma esclama: « O Gesù, in tutti i giorni della mia vita io ho sempre pec­cato: molte offese le ho già piante; ma quel che è peg­gio, è che ne faccio sempre di nuove» (Estasi 78 a, p. 103).

In questa considerazione viene oltrepassata per­tanto la sfera del proprio peccato « storico» secondo la personale responsabilità dell'evento, nel suo isola­mento di particolarità individuale che può aver com-

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messo o «potrebbe» anche aver commesso ... - se­condo la spiegazione precedente. Nella considerazio­ne del peccato storico individuale, il senso di colpa ed il pentimento corrispondente partono dalla parti­colarità dei singoli atti - e sono questi che accusia­mo nella confessione ed è di essi che proponiamo di emendarci. Nella coscienza più illuminata della pec­caminosità radicale il santo e il mistico pensano alla «possibilità» - e perciò al pericolo sempre incom­bente - di cadere e peccare come gli altri ed anche peggio degli altri. .. Allora la situazione di Gemma -e dei santi della sua stessa vocazione riparatrice -sembra diversa, e quasi di un'altra qualità della no­stra comune, e questo per tre caratteri o motivi:

1. - Per estensione: si parla espressamente di tutti i peccati: l'anima confessa di averli commessi (e di continuare a commetterli) «tutti »: Gemma lo dice apertamente con insistenza.

2. - Per intensità: l'anima si attribuisce la massima gravità cioè la più profonda malizia, la più nera ingratitudine, un'indegnità abissale ... meritevole dell'inferno, mentre l'anima anela ardentemente all'unione con Dio. Anche questo leggiamo in Gemma.

3. - Una spiegazione approssimativa della ecceziona­le situazione - soltanto un umile tentativo -si potrebbe ancora tentare nella linea di chiarifi­cazione esistenziale, ossia mediante la considera­zione della solidarietà morale che lega insieme tutti gli uomini come un sol uomo e ciascuno di noi con tutti, e anche e soprattutto nella sfera di libertà. Questo concetto fu espresso in forma speculativa da Boezio secondo il quale «i molti

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uomini mediante la partecipazione sono un solo uomo », e la formula viene dal neoplatonico Por­firio(5): essa ha significato reale e non indica soltanto una «Communitas» nazionale politica e astratta, come poi farà il nominalismo distrutto­re della teologia. Tale communitas reale sta a in­dicare la solidarietà che hanno i partecipanti (gli individui singoli) verso il partecipato (il genere umano nella sua realtà storica) come ad un'unità ed, in certo modo, (quello della partecipazione per l'appunto), ad un'entità di ordine superiore ai singoli, dalla quale questi in qualche modo di­pendono. Questo richiama ovviamente la situa­zione del peccato originale ed è a proposito di questo che per esempio S. Tommaso si richiama alla formula della partecipazione predicamenta­le di Porfirio-Boezio(6).

Applicata al peccato originale la formula della partecipazione diventa l'affermazione della solidarie­tà e appartenenza di tutti gli uomini al peccato di Adamo: tolto il peccato originale, mediante la grazia di Cristo nel battesimo, rimangono tuttavia le sue conseguenze cioè l'inclinazione al peccato, la pecca­minosità: il fomes concupiscentiae. Ora l'anima misti-

(5) Isagoge, ed .Busse, Berlino 1887, p. 6, l. 21 ss. (Cfr.: C. Fabro, La nozione metafisica di partecipazione, III ed. Torino 1963, p. 106).

(6) «Omnes homines qui nascuntur ex Adam possunt considerari ut unus homo, in quantum conveniunt in natura qua m a primo parente accipiunt, secundum quod in civilibus omnes homines qui sunt unius communitatis, reputantur quasi unum corpus et tota communitas quasi unus homo, sicut etiam Porphyrius dicit quod participatione plures ho­mines sunt unus homo» (S. Th. la_Ila, 81, 1). Questa, nel preciso e origina­le contesto tomistico, si può chiamare «partecipazione predicamentale» poiché è il rapporto degli individui alla specie e delle specie al genere comune, mentre la partecipazione degli enti allo ipsum esse costituisce la partecipazione trascendentale (Cfr. al riguardo: C. Fabro, La nozione metafisica di partecipazione, III ed., Torino 1963, spec. p. 145 ss.).

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ca, illuminata dalla divina grazia, afferra la realtà di siffatta corruzione profonda della natura causata dal primo peccato, come appartenente tutta a se stessa in quanto partecipe di tale natura. Di qui il sentimen­to di responsabilità e corresponsabilità, non solo dei propri, ma anche dei peccati altrui e non solo dei peccati passati ma anche di quelli futuri, di tutti, di quelli di tutti gli uomini: l'orrore per tutti gli errori ed orrori che l'uomo ha commessi e commetterà nel­la sua storia di peccato fino alla fine del mondo. Per questo il santo si offre in espiazione ed accetta, come Gemma, la vocazione di vittima dei peccati del mon­do ch'essa sente come suoi, come commessi da lei: anche se non li ha commessi, né li commetterà mai per divina misericordia, né li potrebbe commettere (tutti) come persona singola. Quindi si potrebbe par­lare, forse, in questo caso - ed è quelo tipico di Gemma - di un'esperienza totale del peccato virtua­le, ch'è esperienza reale del peccato reale in atto e non puramente del peccato possibile C).

Quest'esperienza ha il suo fondamento nella soli­darietà del male che ogni uomo ha con la corruzione sempre attuale, anche nel santo, della natura umana per via del fomite della concupiscenza, pena ed effet­to del peccato originale; ed ha il suo movente e scopo nella solidarietà del bene di riparare ed espiare per gli altri fratelli, di ottenere anche per essi la grazia della misericordia della conversione - come faceva con tanta peria Gemma - quindi la partecipazione alla vita divina mediante il Sangue di Cristo. S. Pao-

(1) Nel senso di {( peccaminosità reale» di cui il santo sente la dolo­rosa pressione nella vita quotidiana, nei rapporti col mondo e nei turba­menti e conflitti continui delle potenze dell'anima: quasi un senso di {( in­degnità totale» davanti a Dio e a Cristo. Così certamente fu per Gemma.

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lo, spiegando a quei di Corinto la sua missione di Apostolo, presentava l'opera salvifica di Cristo in questo contesto di peccato, anche se Cristo non aveva peccato né poteva peccare, ma era Lui stesso l'unica salvezza dell'uomo dal peccato: «Colui che non cono­sceva il peccato, per noi [Dio] lo ha fatto peccato af­finché noi in lui diventassimo giustizia di Dio» (II Coro 5,21).

Il Santo è quindi riparatore e intercessore fra i fratelli peccatori e Cristo: è Cristo stesso - come leggiamo continuamente nelle comunicazioni ed esta­si di Gemma - che le chiede questa riparazione per placare il Padre suo. I testi che sopra abbiamo ripor­tati sulla sua coscienza del peccato richiamano per­ciò un tipo di esperienza di ordine superiore e questo almeno a doppio titolo: a) della perversione radicale e totale della natura umana a causa del peccato, b) della continua sua presenza insidiante in ogni uomo ed ad ogni momento, c) dell'orrore del peccato stesso in quanto offesa di Dio e disprezzo del Sangue reden­tore di Cristo da parte dei peccatori. Di qui la soffe­renza dei Santi che si offrono in riparazione dei pec­cati dei fratelli onde ottenere la divina misericordia. Sentiamo ancora Gemma:

A - A Mons. Volpi; «Per queste cose accadute, era qualche giorno che non pensavo più ai peccatori. Ge­sù mi ha conteso e mi ha detto che non devo pensare che ai poveri peccatori» (Lett. 8 a, p 320). Gesù le ave­va detto, come già, a S. Margherita Maria: «Guarda, in che modo mi trattano oggi le persone del mondo. lo sono fortemente sdegnato con quelli che mi offen­dono». E Gemma: «Pregai Gesù che avesse pazienza e sfogasse pure con me, con farmi soffrire tanto di più, ché mi parrebbe di aver forza. E Gesù mi disse

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che il demonio avrebbe sempre più il permesso di battermi» (Lett. 19 a , p. 337).

Durante il carnevale del 1900 Gesù si lamenta con lei ... {( dei tanti brutti peccati, che io non posso più resistere. Tu col tuo soffrire trattieni il castigo che il Padre mio ha preparato per i tanti poveri pec­catori. E non lo fai volentieri? ». E Gemma pronta: {( Ho risposto di sì, ma ho paura di non resistere. Ge­sù mi ha detto: {Non temere io ti farò soffrire, ma ti darò anche la forza'» (Lett. 24 a , p. 346). Un saggio, e del più crudo realismo, la Santa lo offre nella lette­ra seguente che presentiamo in progressione.

a) (Il primo attacco del diavolo) - {( Ieri sera, quan­do uscii di confessionario, stetti tanto male: il diavo­lo mi cominciò a dire tante brutte cose di Lei, be­stemmie, cose sudicie; mi diceva che la notte mi avrebbe fatta a pezzi, se non avessi acconsentito a quello che lui mi diceva. Mi aveva messo tanta paura, che ero proprio disperata, e ci mancò poco che per la strada non cedessi a quello che mi diceva; però dicevo tante casacce, dissi fino arrabbiata che volevo morire, perché ero stanca di passare quelle brutte nottate. Ne avevo tante in mente anche di peggio; ci mancò poco che ... ».

b) (Visita di S. Gabriele che la sgrida e l'invita a sopportare) - {( Perché tu ricusi il patire, mentre Gesù ha patito tanto per te? perché lamentarti di ciò che è disposizione di Dio? se il patire ti sembra lungo, la ricompensa poi sarà eterna. Se la tentazione mette in sussulto il tuo cuore e l'anima tua è sul punto di cedere al nemico, ricorri a me: san pronto ad aiutar­ti; fidati a me, e non avrai a temere cadute ».

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c) (Gesù, passata la tentazione, le chiede di ripara­re le offese dei peccatori) - «Appena è uscito Lui, è venuto quel cattivo, solo; voleva che facessi quello che faceva lui; io mai. Mi ha picchiata forte forte; fi­nalmente ho vinto io per mezzo di Gesù. Sono poi an­data a fare la SS. Comunione, ho sentito venire Gesù e mi diceva (perché io gli dicevo che era tanto che l'aspettavo): 'Tutta la notte sono stato con te e conta­vo tutti i momenti che ci erano, sempre per venire dentro di te. Lascia pure che tanti cattivi mi offenda­no; ma tu vieni vicina a me, ché sempre ti aiuterò; vieni a cibarti di Me stesso, e così mi ricompenserai delle loro sconoscenze. Stamani ti voglio far sentire i palpiti del mio cuore ... '. Avesse sentito come faceva­no! Non so come spiegarmi ... » (p. 346 s.). Qui, come altrove, la Santa ha sperimentato al vivo quella «pec­caminosità radicale» ( ... ci mancò poco che ... ) che ab­biamo indicato come «esperienza del peccato totale virtuale ».

B - Estasi - L'espiazione per i peccatori è fra i temi più costanti:

a) (Li raccomanda tutti, ma uno in particolare) -«Sai, Gesù, oggi le tre ore le faccio con te, perché tu salvi tutti i peccatori; perché a me mi stanno mol­to a cuore. Lo sai, Gesù, qual'è quello che mi sta più a cuore: oggi me lo devi dire, voglio sapere se è sal­vo ... Per tutti, ma per quello in particolare ... San tutti figli tuoi: salvali tutti» (E. 2 a, venerdì 8 settembre 1899, p. 4).

b) (Nel mezzo della bufera per la verifica medica delle Stimmate, si offre per i peccatori) - «Ma nel pen­sare male di me t'ha offeso nessuno? lo devo pensare soltanto ai peccatori... lo non devo pensare che ai

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peccatori; al resto pensaci tu. Ma mi chiedi dei sacri­fizi? Quanti ne vuoi, ne faccio. Tutta la mia vita deve essere un continuo sacrifizio; sopporterò tutto. Se lo so, Gesù! quanto più è contraria a me la croce, tanto più è simile alla tua» (E. 6 a , settembre 1899, p. 14).

c) (Supplica per i peccatori e si offre vittima per essi: abbiamo già riportato la seconda parte. Qui l'e­spressione diventa più incisiva della prima) - «Dun­que, Gesù, questi poveri peccatori non li abbandona­re. Sono pronta io a fare qualunque cosa. Te sei mor­to sulla croce; fammici morire anche me. Son tutti figli tuoi; se son figli tuoi, non li abbandonare. lo, Gesù, li voglio salvare tutti. Se tu li abbandoni, Gesù, allora non c'è più speranza» (E. 9 a , p. 17). E conclu­de: «Dunque, Gesù, non ne puoi proprio più? Sfogati con me. Voglio essere vittima per i peccatori, voglio vivere vittima e voglio morire vittima» (p. 18).

E per la conversione dei peccatori, anche per i religiosi e i sacerdoti, la Santa si è offerta ed ha sof­ferto sin sul letto di morte assumendo su di sé i pec­cati dei suoi fratelli più miseri che sono i peccatori e offrendosi vittima, come Gesù e con una singolare partecipazione alla sua Passione, per la loro conver­sione.

Questo dilagare del sentimento di colpa e di pec­cato è la nota dominante delle comunicazioni di Gemma, quasi un bisogno ossessivo di distruggere in espiazione se stessa davanti a Dio, sdegnato per i peccati degli uomini. Senza tentare riflessioni com­plicate, forse è meglio rifarsi subito all'Autobiografia per il suo stile immediato e diretto. Sentiamo intanto il suo stato d'animo nelle lettere contemporanee a P. Germano.

Nell'aggiunta alla Lett. 46 a (verso la metà di feb-

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braio 1901) la Santa scalpita: «Di scrivere la confes­sione generale, io, babbo mio, non ne ho voglia. Se ne faccia da sé un 'idea: tutti i peccati che si possono commettere nel mondo, io li ho commessi, di ogni specie: bugie, disobbedienze, il più grosso già lo sa: ho guastato apposta vigilie, insomma tutti i peccati del mondo li ho fatti tutti» (p. 127). Possiamo subito dire che questa è la formula ovvero la convinzione di fondo che Gemma, soprattutto nell'ultimo scorcio della sua vita, si è formata dello stato della sua ani­ma. Non a caso questo scritto mandò sulle furie il diavolo, il quale si sfogò col sottrarlo e bistrattarlo, come si può ancora vedere nel parlatorio del Ritiro dei Santi Giovanni e Paolo in Roma. La redazione del­lo scritto, per il quale la Santa confessa all'inizio di essere stata aiutata dall'Angelo(8), sembra sia stata assai rapida se - cominciato certamente dopo la lette­ra ora citata - è già alla fine alla metà di aprile(9).

Subito fin dall'apertura dello scritto - nella chia­ve prediletta del disprezzo di sé, del sentimento scon­finato della propria indegnità ... : «E poi penso anche, babbo mio: quando lei avrà letto questo scritto e avrà sentito i peccati, si arrabbierà e non vorrà più essere babbo mio! Allora sì... Ma vorrà essere, spero. Si pre­pari dunque a sentirne di ogni specie e peccati di ogni genere ». Di quali peccati poi si tratti, in questa fanciullezza e adolescenza così segnate dalla croce e dalle grazie di Cristo, ogni lettore è in grado di giudi­care. Essa si accusa di impertinenze (IO), di trascura-

(8) Nel testo che già conosciamo della Autobiografia: «L'Angelo mi ha promesso di aiutarmi e farmi venire in mente ogni cosa, perché, glielo dico chiaro, ho anche pianto, perché questa cosa non la volevo fare: mi sgomentava a farmi tornare in mente tutto, ma l'Angelo mi ha assicurato di aiutarmi" (p. 221).

(9) Cf. la letto 55 a , p. 148. (lO) Per es. l'episodio del cugino, presso la zia a S. Gennaro, fatto

cadere da cavallo con uno spintone di Gemma (p. 225), ch'è però ridimen­sionato nei Processi.

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tezza nella preghiera, ecc. ecc. Soprattutto della sua superbia: ma contro le sue dichiarazioni, com'è stato ormai messo al sicuro, stanno le testimonianze fatte nei Processi da quanti la conobbero direttamente a cominciare dalle sue educatrici e insegnanti. Basti leggere la dichiarazione iniziale riguardo al «bel ca­priccio» per l'allungamento delle preghiere da parte della buona mamma(11), ch'essa era solita pregare «svogliatamente e senza attenzione» commentando fra parentesi: «In tutto il tempo della mia vita non ho mai atteso alla preghiera» (p. 223)! La realtà è che Gemma leggeva la sua vita in una luce di misteriose profondità a noi ignote.

Ignorante in religione, cattiva, disobbediente -secondo lei - con tutti: «Tornata in famiglia - dopo la I Comunione in cui Gesù l'aveva avvinta a sé dan­dole il desiderio grande di essere religiosa» - di­chiara di aver dopo un anno dimenticato i propositi fatti, i buoni consigli e di essere diventata peggiore di prima. Più ancora: «Gesù si faceva sentire sempre più, più volte mi fece gustare consolazioni grandissi­me; ma come presto lo lasciai, cominciai a divenire superba, disobbediente più di prima, di cattivo esem­pio alle compagne, di scandalo a tutti». E continua «Alla scuola non passava un giorno che non fossi pu­nita, non sapevo le lezioni e poco mancò che non fos­si cacciata via. In casa non lasciavo trovar pace a nessuno(12), ogni giorno volevo andare a passeggia-

(II) Fu la mamma gravemente ammalata, leggiamo, nell'Autobio­grafia che le mise in animo una nostalgia struggente del Paradiso: «E se ancora - commenta con affettuosa ironia - lo desidero e ci voglio andare, ho delle belle gridate e un bel no mi sento rispondere» (p. 223) cioè dalle sue guide spirituali.

(12) Un po' più sotto si legge: « La peggiore di tutti [in famiglia] fui sempre io, e chi sa (lo) stretto conto che dovrò rendere al Signore per il cattivo esempio dato ai fratelli e compagni!» (p. 331).

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re, e vestiti sempre nuovi ... Tralasciavo ogni mattina e ogni sera di fare le solite mie orazioni ... » (p. 229). Eppure è la Santa stessa che ci ha informati come proprio in quegli anni della fanciullezza, alla scuola della fervente Sr. Camilla Vagliensi, essa ormai vive­va «l'esperienza» di Cristo Crocifisso al punto che (diciottenne) nel 1896 sviene dal dolore al guardare appunto il Crocifisso e, nauseata del mondo, trova «l'unica consolazione nello sfogare il suo dolore con Gesù solo ». Di qui anche il proponimento che sarà il suo programma di vita: «Gesù io voglio patire e patire tanto per te» (p. 237). E Gesù, con malattie gravi e misteriose e con interventi chirurgici assai dolorosi, la prese subito in parola: «Altre pene mi mandò Gesù, e posso ben dire con verità che, appena morta la mamma mia, non ho mai passato un giorno senza aver patito qualche piccola cosa per Gesù» (p. 238).

Ma questo non la trattiene dal continuarè a infie­rire su di sé. Presa in casa, dopo la morte del babbo (1897), da una zia di Camaiore (Gemma è ormai ven­tenne), qui si compie l'evento della malattia mortale (la spinite), che la tormenta per un anno per poi gua­rire miracolosamente, come ella stessa racconta nel­l'Autobiografia. Il suo giudizio però sulla permanen­za a Camaiore è sintomantico, nello stile abituale: «Cominciai a dimenticarmi di Gesù, la preghiera la cominciai a lasciare, e cominciai di nuovo ad amare i divertimenti »(13). Intanto fa amicizia con «una ne­pote, che la zia teneva presso di sé ... e per cattiveria - nota subito - si andava perfettamente d'accor­do ». Ora il bilancio: «Il pensiero di quei mesi tra-

(13) Sintomatico questo « cominciai », ripetuto tre volte come accu­sa di colpevolezza vissuta e dolente.

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scorsi nel peccato mi faceva tremare; ne aveva fatte di ogni specie: pensieri anche impuri mi balenavano per la mente; avevo ascoltato cattivi discorsi, invece di sfuggirli; avevo dette bugie alla zia per ricoprire la mia compagna: insomma vedevo l'inferno aperto per me» (p. 240). Ma, come hanno solidamente docu­mentato gli editori attingendo dai Processi, proprio la domestica della zia, certa Alessandra Balsuani e il cugino Luigi Bartelloni danno una versione com­pletamente diversa delle cose: «lo non mi sono mai accorta che Gemma sia caduta in peccati mortali e neppure in veniali deliberati; amava Iddio in una ma­niera straordinaria, come possono amarlo gli Ange­li ... Gemma fu pura come un Angelo» - cosÌ In Balsua­ni. E il cugino: «Non credo che [Gemma] sia caduta in colpe mortali e neppure veniali deliberate. Gemma fu sempre unita al suo Dio ... Tutti i discorsi di Gem­ma erano rivolti a Dio: non parlava che di Dio e delle cose sacre» (p. 241, nota). La concordanza delle due testimonianze è perfino letterale! Come fu eroica la sua pazienza durante la tremenda e dolorosa malat­tia, mentre la Santa - ricordando le cure dei familia­ri - riassume con solito piglio di autoaccusa: «Ogni cura l'avevano per me, ed io al contrario non avevo per loro che cattive maniere e rispostacce» (p. 242). Ma anche questa volta è smentita dalla sua antica maestra Suor Giulia Sestini delle Zitine, da suor Ma­ria Angela Ghiselli delle Barbantine, dalla zia Elisa che la assistettero nella malattia, come documentano i testi dei Processi(14).

Non sorprende allora lo stile crudo e spietato che la Santa usa, per autoaccusarsi, nella corrispon-

(14) Vedi le testimonianze riportate dagli Editori in: Estasi ... a p. 242 s., nota 4.

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denza col confessore e col Direttore spirituale; la se­lezione che ora daremo ci riempie di sgomento e sia­mo noi ad essere quasi portati alla disperazione se volessimo solo tentare il più timido e lontano con­fronto con la vita e le prove di purificazione dell'an­gelica creatura: angelica non per natura, neppure lei, ma per ferrea volontà sostenuta dalla divina grazia con una corrispondenza che ebbe forse qualche oscil­lazione ma che mai - almeno nelle testimonianze di chi le aveva gli occhi addosso - venne meno. Ed ora torniamo a sentirla dilaniarsi.

A. A Mons. Giovanni Volpi. - Lett. 3 a: «(Gesù) mi dice sempre che devo vergo­

gnarmi di farIl)i vedere da qualunque persona, per­ché l'anima mia è piena di difetti. Se vedesse com'è brutta l'anima mia! Gesù me l'ha fatta vedere» (p. 312).

- Lett. lOa: (Al termine di un'apparizione del de­monio che l'incitava a ribellarsi, com'è stato già ri­cordato sopra): «O Gesù mio, dissi, ho sofferto tanto con la bestia dell'inferno, e poi sono carica di pecca­ti, e poi ti avrò offeso ». E qui è Gesù stesso che la smentisce: «Figlia mia, non mi hai offeso niente, per­ché tu non hai mai acconsentito» (p. 324). Però ecco che nella Lett. 27 a è Gesù stesso che nell'assumerla a vittima per i peccatori mentre ella si schermisce: «perché non sono buona a nulla », le dichiara: «Tu fai quello che puoi. lo mi voglio appunto servire di te, perché sei la più povera, la più peccatrice di tutte le creature; tu non meriteresti altro che ti mandassi all'inferno, ma invece voglio che tu sia una vittima» (p. 350). E qui è Gesù stesso che parla, al quale la Santa risponde con spirito d'indifferenza e non senza un sottile humor: «Gesù mio, fate un po' quel che

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vi pare, io sono contenta}) (p. 350). E Gesù torna alla carica:

- Lett. 28 a : «Gesù stesso mi dice spesso che do­vrei vergognarmi a farmi vedere, perché sono pro­prio la peggio di tutte le creature}) (p. 351).

- Lett. 34 a : «lo non le voglio queste visioni: vorrei solo che Gesù mi perdonasse quelle cose: Lei le sa}) (p. 359). Anche nella Lett. 40: «Non le voglio nean­ch'io, sa, queste cose, vorrei solo pentirmi dei peccati e nulla di più}) (p. 367).

- Lett. 42 a: «Bisogna che venga a confessarmi, perché ne ho troppi di peccati}) (p. 371).

- Lett. 48 a : «Tutto sta nella mia cattiva volontà e nella mia inclinazione al peccato» (p. 377). E qui, prima di passare a P. Germano, inseriamo le dichia­razioni angosciate ad altri corrispondenti.

- P.E. Pelliccia, Capp.: «Avrei tanto bisogno delle sue preghiere: che Gesù faccia di me ciò che più gli aggrada: dia un po' di pace alla mia coscienza, ché il gran numero dei peccati me ne turbano la pace. Ma ... non mi perdo di coraggio, perché mi riconosco la creatura più bisognosa}) (p. 407). Ma del tutto sin­golare è la seguente dichiarazione.

- Alla sua maestra Sr. G. Sestini, poco dopo la miracolosa guarigione: «Mi prendono anche certi momenti ... che mi sgomenterei davvero ... Mi pare che una voce interna mi dica che m'inganno, che la gioia che provo non viene dal Cuore di Gesù, perché (que­sto lo dico io) è vero che Gesù è pieno di misericordia che perdona tutti i peccati, ma è possibile che me li perdoni a me che in 19 anni ne ho fatti sempre dei nuovi? Aveva voglia Monsignore di affaticarsi e dir­mi che almeno migliorassi, ma io non l'ho proprio mai obbedito. Ogni volta che mi andavo a confessare,

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ci avevo sempre un maggior numero di peccati e grossi, e di tutte le specie, e in ricambio Gesù mi fa essere contenta, e di più ha voluto darmi la salute tutta in un tempo. Ma se almeno mi fossi ravveduta! Invece sempre nuovi peccati! Che ne sarà di me poi non lo so, se non smetto di offendere Gesù ». E non si lascia sfuggire l'occasione di sfogarsi con la buona maestra: « Di una cosa mi affliggo ... , ci sono molte persone che mi dicono: E tu hai ricevuta la grazia, è segno che la meritavi ». Quando sento queste paro­le, mi pare di vergognarmi davanti a Gesù; e vorrei che ci fosse Monsignore a dire quello che sono. E poi se ne ricorda, suor Giulia? lo sono stata sempre su­perba, non è vero? Mi ricordo, quando ero a scuola da lei, che fece tanto per liberarmi da questo brutto difetto ( 15), ma le fu sempre impossibile: il vizio in me cresceva sempre, e ora s'immagini Lei. Superba a quel modo! Quando mi dicono quelle parole, vorrei che tutti sapessero chi sono e i miei peccati, e che Gesù mi ha fatto guarire nell'anima e poi nel corpo» (p. 410 s).

- Alla Madre M. Giuseppa, Passionista - Lett. 1 a

(è tutta un'effusione di umile pentimento con la buo­na religiosa distante, tanto venerata e amata): « Mi di­ce, Madre mia, che preghi. O non glielo ha anche det­to P. Germano che non so fare a pregare? E non so proprio fare. E poi, anche quando sapessi fare, come può Gesù esaudirmi, che vede che non mi emendo mai dei miei tanti peccati, anzi ogni giorno ne com­metto di nuovi? Povero Gesù, da me tanto offeso [ ... ] Povero Gesù! Stamani pure si è abbassato a venirsi a sporcare le mani con me. [ ... ] Gli ho detto a Gesù

(15) Su questo particolare, vedi l'Autobiografia, pp. 231-233.

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che non vò più fare peccati. [ ... ] E Gesù lo sa quanto sia inclinata al male» (p. 414). Ma ritorna lo sgo­mento:

- Lett. 2 a : «Ho paura, la mia vita passata mi fa tremare. Povero Gesù! proprio fa come Lei, Gesù non si vergogna a sporcarsi le mani in questo povero leta­maio mio» (corsivo di G.)(I6). L'espressione sembra sia stata suggerita a Gemma da P. Germano, come si rileva dalla letto 40 a del 20 gennaio 1901: «Non ho mica detto, babbo mio, come m'insegnò lei: I Gesù, non vi sporcate le mani in questo letame '; ma ho det­to: I Gesù, non vi facciano paura i miei peccati, non vi faccia ribrezzo la mia freddezza ... '» (p. 112). Ma l'espressione è ripresa nella lettera 42 a con umile te­nerezza: «È vero, babbo mio? Gesù non ha ancora smesso di sporcarsi le mani in questo letamaio mio (corsivo ancora di G.), e se non vuoI capire (!), che ci devo fare? Quanto è mai buono Gesù!» (p. 119). E nei «Colloqui» avuti in estasi con Gesù, in risposta ad alcune domande di P. Germano, in un contesto di profonda teologia come sono tutte queste risposte, implora: «Fa che ti possa avere, Gesù: allora ti lode­rò. Ma gli dissi che si sporcasse pure le mani in me; Lui sÌ, ma il diavolo no ». E, umilissima, riporta il colloquio seguito con Gesù: «Mio Gesù, se tu volevi una corrispondenza da me che eguagliasse i favori che mi hai fatti, questi favori che mi hai fatti, questi favori Gesù dovevi farmeli adagio, non in copia cosÌ abbondante. Che vuoi e che puoi aspettarti da questo letamaio, capace solo di offenderti?» - «Non ti chi e-

(16) Si ricordi l'identica espressione di Teresa Museo, che abbiamo già riportata; l'eccellente biografo della mistica di Caserta non fa alcun accenno a S. Gemma, ma neppure parla delle letture spirituali di quell'a­nima.

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do che amore» (p. 291). Ed ha paura che venendola a conoscere qual'è, P. Germano non le scriva più (p. 41S). Né ha maggiori riguardi nelle lettere seguenti: «(Sono) un frutto del peccato (come mi chiama il mio confessore) (che) non può tenere in sé Gesù» (Lett. 3 a p. 420). Nella letto 4 a si dichiara incapace di scri­vere è «un essere avvilito (questo è il mio nome) » ... (E Gesù) «mi ama, perché sono una povera creatura, e poi finalmente mi vuole bene perché sono cattivet­ta, e dinanzi a Gesù sono meglio accolti i cattivi che i buoni. È proprio vero, sa?» (p. 422).

Ad un anno poi prima della morte nella Lett. 6 a

la desolazione è al colmo: «O Madre mia, preghi con­tinuamente per me; sono talmente cieca, che non ve­do più neanche i peccati che sono sopra la mia co­scienza; sono molti, sono tanti; e pure non li vedo, quando faccio l'esame di coscienza. Se Gesù nella sua Misericordia non me li perdona, io mi dannerò, e allora saremo per sempre divise. Mio Gesù, non lo permettere!» [ ... ] E geme: «Il pensiero di tante con­fessioni e comunioni mal fatte in che confusione mi mettono! Mio Gesù, che abisso d'iniquità! E nondi­mento Gesù viene continuamente da me; preferisce una vile creatura ad un Angelo del Cielo, sceglie per sua abitazione un cuore immondo e sporco, invece di andare in Paradiso dove gli Angeli gli avrebbero preparato nicchie di pietre preziose» (p. 425). Con la fervente religiosa l'onda della confidenza si dilata, specialmente dopo una visita di P. Germano nel giu­gno 1902, come si legge nella Lett. sa. Gemma ha ri­trovato la pace: «Senza avvedermene, ho camminato per tanto tempo nelle tenebre, e mi trovavo strinta nei lacci del demonio... quel cosaccio del diavolo» che gli stava mettendo in cattiva luce P. Germano e

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la tiene ancora sotto il suo incubo ed essa, pur ab­bandonandosi alla fiducia, sente tutta la sua indegni­tà: Si sente « ... menzogna, imperfettissima, impura che sempre mi avvolgo nell'immondezza, frutto del peccato e ... piena di peccati» (p. 430). Un linguaggio incredibile di una pena indicibile: si accusa di essere stata « ... di scandalo, e ho cagionato danno col mio cattivo esempio» (Lett. 9 a ), di offendere Gesù «conti­nuamente» (Lett. lOa).

Parimenti alla «sorella» spirituale, la signora Giuseppina Imperiali di Roma (la «Serafina» dell'E­pistolario) anch'essa penitente di P. Germano, la San­ta non riesce a trattenere il suo tormento: «Parlo io di Paradiso, di Gesù, io che più di mille e cento volte ho disgustato il mio Dio! Ma dallo stesso Gesù, da me tanto disgustato e offeso, aspetto misericordia}} (Lett. 2 a, p. 442 s.). L'assillo continuo è sempre il ri­cordo dei suoi peccati e il pensiero della sua indegni­tà: «Già Gesù mi avrà fatta conoscere: sa chi sono? La più cattiva, la più scellerata delle figlie di Gesù» (Lett. 3 a , p. 444). E nella lettera seguente geme: «O se potessi col mio sangue lavare quei posti, dove ho dato scandalo, dove ho fatto tanti peccati! » (p. 445). Ancora, nell'angoscia di non aver corrisposto alle grazie ricevute: «Caro Gesù, che bel contraccambio ho saputo renderti per tutto quello che hai fatto per me! O amore di Gesù, da me tanto tradito! Che confu­sione! I peccati miei li ho tutti bene in mente. Gran Dio, misericordia!» (p. 447).

B. - A P. Germano - Al suo Direttore spirituale, al «babbo mio », designatole da Dio. Gemma manife­sta questa sua ambascia con un'insistenza così dolo­rosa e martellante che diventa un'invocazione di mi­sericordia e di protezione, come di chi si sente sul-

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l'orlo di un baratro. Data l'abbondanza del materiale, ci limitiamo alle espressioni più caratteristiche.

Ed ecco la prima uscita, ch'è del 22 giugno 1900 quando la Santa è già da più di un anno partecipe delle Stimmate e della Passione di Cristo: «Voglio dirgli qualche cosa del mio cuore, affinché lo possa conoscere. È un cuore pieno di peccati di ogni sorta; vi è una mescolam:a di affetti, vi sono continuamente pensieracci cattivi; pieno di rabbia e quest'ultima è la passione predominante, e spesso vi entra qualche po' d'invidia. Eccolo: così è il mio cuore. È tanto tem­po, sa, che desidero divenire buona, ma che! sempre in peggio. E Gesù mi sopporta ancora» (Lett. 7 a, p. 22). Queste «impressioni» sembrano sorgere dopo particolari illuminazioni e grazie. Ecco: «Gesù sta sempre con me, non mi ha ancora mai lasciata. A quale segno mai arriva la dolcezza e la bontà di Gesù, per quanto perfida e cattiva io sia! Viva sempre Ge­sù! Che farò io mai per corrispondere a tanta miseri­cordia di Gesù? Che renderò io mai a Gesù in ricam­bio di tanti benefici? Ci ho il cuore, ma è tutto pieno di peccati; ci ho pure l'anima, ma da tutte le parti è colpevole. Gesù mi risponde in questo momento: «Non mi offende l'indegnità tua; sei opera delle mie mani dammi ogni cosa, a me, ché tutta mi appartieni. Quante volte, se sapesse, ho cambiato Gesù per una cosa vile di questo mondo! Ma ora non lo voglio fare più» (p. 41). E in un momento di buio spirituale, con l'impressione lacerante che Gesù «è scappato ", sospi­ra: «Ma il mio Gesù, babbo mio, dov'è?, povero Gesù, ovvero povera io! [ .. .]. lo sono stata sempre ingrata a tante sue grazie, ho sempre messo impedimenti alle sue ispirazioni, ho aggiunto sempre peccati a peccati; non sarei neppure degna che Gesù mi guardasse. Ben

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me ne avvedo che son venuta a noia anche a Gesù: è scappato. Che mai ho fatto pei tanti peccati! Ho scacciato Gesù, e non mi vorrà più, non mi avrà più misericordia? Dio mio, misericordia!» (Lett. 16 a, p. 44). E rivolgendosi alla Madonna confessa di essere stata «scellerata e cattiva ... , di aver commesso tanti peccati» e di «aver perduto Gesù per i miei peccati» (p. 45). E nell'impeto di desiderio per il Paradiso, si trattiene dolorosa: «Ma che dico? Ma tanti miei pec­cati ? .. Il posto dei Santi non è per me. Mi perdoni, perché non sò che dico» (Lett. 21 a, p. 58).

Alle volte è lo sguardo dell' Angelo Custode che la spinge alla compunzione: «Sì, aveva ben ragione (l'Angelo) di rimproverarmi: ogni giorno vado di male in peggio, a peccati aggiungo peccati e forse mi per­derò» (Lett. 52 a , p. 141). E nella letto 105 a , citata già sopra, geme: «Sono cattiva, sono carica di peccati: qua in convento(17) ne ho trovati un mucchione. Pa­dre Martino [Vallini] mi assolve e addio: io sono di­sperata»» (p. 249).

L'incubo non cessa, ma sembra appesantirsi, nel­l'avvicinarsi al traguardo ormai vicino della sua bre­ve esistenza: «Se Lei non mi aiuta, vedrà presto ri­dursi in cenere, ma cenere di peccato» (Lett. 112 a,

p. 265)(18). Ancora: «Mi aiuti, perché solo Dio sa il

(17) Siamo nel marzo 1902 e la Santa si trova in ritiro presso le Suorine cioè le Mantellate.

(18) E, nello slancio di purificazione e umiliazione, conclude al P. Germano: « Presto andrà a Roma, vedrà di certo Serafina. La faccia tanto pregare per me, le palesi pure tutti i miei peccati; sono contenta; li dica pure a tutti: voglio essere tenuta per quella che sono» (l.c.). Ed alla mede­sima Serafina scrive: « Gesù mi ha fatto conoscere; non sa chi sono? La più cattiva, la più scellerata di tutte le figlie di Gesù! Ha dimenticato i miei peccati, e si ricorda solo della sua misericordia. O se potessi col mio sangue lavare quei posti, dove ho dato scandalo, dove ho fatto tanti peccati!» (lett. 4", p. 445).

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numero dei peccati che ho commessi e commetto: quanto la mia natura si risente ad ogni parola!» (p. 278). E alla fine di ottobre 1902, presaga della prossi­ma fine: « Caro babbo, ma il demonio, quanti sensi, quanti sentimenti, quante parti del corpo ho, tutte sono in peccato, e tutte corrotte, una cosa sola ... il cuore, sede di Gesù» (Lett. 120a , p. 286). Avvicinando­si alla fine, la purificazione s'intensifica: « Senta: Ge­sù mi ha lasciata sola nel mondo, io non devo curar­mi di nessuno: dovrei sempre conversare con lui, non dovrei mai entrare in nessuna cosa, e invece ... ; tut­t'altro che con Gesù passo i miei giorni. Ecco le mie occupazioni. Strani pensieri, tentazioni ... e, mai pen-so a cacciarli dal cuore e dalla memoria ... O Babbo! » (Lett. 123 a , p. 290). Straziante l'invocazione alla Ma­donna dell'ultima lettera del 18 marzo 1903: « O Ma­dre mia, preghi sempre Gesù per me; io desidero sì, che tutti ci contenti Gesù, ma io posso benissimo es­sermi ingannata. Cara madre mia, non sto mica bene, sa: la mia vita si spenge e ogni giorno consuma. E lo spirito? O Dio mio! Sono tormentata da brutti e sozzi pensieri; ma Gesù mi prega di rivolgermi a sua Madre ... e nonostante queste parole, mi perdo di ani­mo e piango» (Lett. 131 a, p. 306).

C - Estasi Quando si rivolge a Gesù per la conversione di

qualche peccatore Gemma mette avanti i suoi pecca­ti: « Te ne ha fatte tante, ma te ne ho fatte più io. Sàlvalo Gesù, sàlvalo! [ .. .]. Quando è che non ho fatto peccati? [ ... ]. Se tu sapessi (!) come san carica di pec­cati! » (E. 8 a , p. 16). Ancora: « Le vittime ci vogliono innocenti, ed io non sono mica innocente. Sàlvali, Ge­sù, sàlvali! » (E. 9 a , p. 17). E commossa: « Quel pecca­tore ha circondato il tuo cuore di peccati. lo, ti ricor-

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di quando ti facesti vedere a me crocifisso? lo ti ave­vo circondato tutto di peccati (pausa) ed avesti com­passione di me. Abbi anche per questo peccatore compassione, e come tu mi chiami la tua peccatrice, chiama anche lui il tuo peccatore. (E. lO a , p. 18 s.). Ed assume sopra le sue spalle la conversione di quel peccatore: «Sono io che ho peccato, tu sei innocente, sono io che ho fatto tanti peccati» (E. 24 a , p. 36). E prima ancora, certamente alludendo a sé: (( Ci avrei da raccomandarti un gran peccatore; ma non penso, Gesù, che prima ci avevo da raccomandarti una gran peccatrice» (E. 18 a , p. 29). Arriva a dire: «Quanti an­ni potevo amarti tanto, e non ho fatto che disprezzar­ti! ( ... ) Quanti peccati, o Gesù! Togline il peso: mi fan­no ribrezzo il gran numero» (E. 72 a, p. 97). E, chie­dendo, verso la fine di settembre del 1900, (( un dolore perfetto », geme confusa: (( Sì, ho fatto tanti peccati; direi quasi che ogni palpito del mio cuore ... Ma non l'ho più il cuore» (E. 49 a , p. 79) ... , perché la Madonna glielo ha preso e portato via con sé ..

E implora con rammarico, nell'estasi del lO giu­gno 1902, pensando alle predilezioni di Gesù per la sua anima: (( O Gesù, o Gesù, se io attentamente con­siderassi le tante premure che hai per me, come do­vrei distinguermi in tante virtù! È vero, sì, mi distin­guo, o Gesù, ma in che cosa? .. In peccati! Perdona­mi, o Gesù, tanta mia trascuratezza; perdona tanta mia ignoranza» (E. 92 a, p. 116). Nell'estasi 9S a del seguente 22 giugno supplica con impeto di alta teolo­gia: (( O Gesù, sei la calamita di tutti i miei affetti. Se il tuo genio, o Gesù, s'abbassa alla più vile di tutte le creature come sono io, deh! aiutami allora con ri­parare tutti i danni che hanno fatto i miei peccati. Mio Gesù!' .. » (E. 9S a , p. 117). Sintomatica l'effusione

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dell'estasi 78 a del 24 gennaio 1902: «O Gesù! ... La­scia, Gesù, che stamani ti apra tutto il mio cuore, ti scopra tutte le mie piaghe e versi nel tuo tutte le mie amarezze. O Gesù, in tutti i giorni della mia vita io ho sempre peccato: molte offese le ho già piante; ma quel che è peggio, che ne faccio sempre di nuove. Quanto sgomento, Gesù, stamani in questo mio pove­ro cuore!. .. O quando diventerò io migliore? quando riformerò tutta la mia vita?» (p. 103). E ammirando la misericordia infinita del Cuore di Gesù, arriva a dire nell'estasi del 2 luglio 1902: «È un bell'amare Gesù, amare chi non si adira mai con chi l'offende. [ ... ] Tutte le vuoI per sé in isconto dei miei peccati. È quasi una bella sorte per me essere nata peccatrice, perché le vene del mio Signore sono sempre aperte, piene di quel sangue sacramentato» (E. 103 a , p. 126). E poco dopo, il 9 luglio, scriveva a P. Germano: «Non le sembra che sia quasi una fortuna che io sia nata peccatrice? Perché le vene di Gesù, piene di sangue Sacramentato, stanno sempre aperte per i peccatori. Viva Gesù!» (lett. 113 a , p. 269).

Già nell'estasi del 27 giugno, aveva, concitata, esclamato: «A te i santi, o Gesù, e gli umili di cuore; non io, o Signore. A te tutti gli spiriti e le anime di tutti i giusti; non io Signore. A te tutti gli abitatori del cielo; io no ... Ti rendano tutti infinite lodi e rin­graziamenti. Ma, anch'io, anch'io, o Gesù ... Si, io vile ed indegna peccatrice» (E. 97 a, p. 119). Ammirata della divina misericordia esclama: «Il tuo amore, o Gesù, ha passato proprio i limiti. Sì, verso di me pas­sa i limiti, O che vuoi, Gesù? A una creatura, o mio Dio, che per idolatrare il piacere ti ha voltato le spal­le tante volte, fai così? .. mi fai stare sempre sotto il peso della tua divina ... [giustizia] ». (E. 96 a

, p. 118).

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Perciò, scrivendo a P. Germano, si raccomanda alla M. Maria Giuseppa: «Impiega, o Madre mia, un po' del tuo gran fervore, per impetrare all'anima mia, al­l'anima più infelice e più bisognosa, il perdono delle colpe» (Lett. 114 a , p. 271).

Le ultime estasi dell'estate 1902, specialmente a partire dalla seconda (123 a ) del 15 agosto, risentono della lettura che la Santa faceva delle Meditationes attribuite a S. Agostino(I9) come risulta (ci sembra) dalle seguenti espressioni: «Te ne ringrazio, Signore, che stamani mi hai dato lume per conoscere le mie iniquità. Te lo prometto di rinunziare a tutto quello che non è tua volontà, a tutte quelle opere che non hanno per centro il tuo cuore, e per fine il tuo divino volere» (E. 123 a, p. 145). E il lunedì 18 agosto: «O Dio ... Dio mio! ... Non ti sdegnare, se la mattina vengo così come sono. Lo vedi: l'anima mia è piena di pecca­ti, o per dir meglio è un'abitazione piena d'ogni sorta di bestie. E tu, giglio di purità, fonte di bellezza, co­me fai a vivere in tanta confusione?» (E. 124 11

, p. 146). Forse più evidente è la dipendenza nella secon­da estasi dello stesso giorno: «Mi affliggo, o Signore, perché penso... che se anche per anni e anni come gli Angeli mi preparassi, non sarei mai degna di rice­verti ... Eppure, lo vedi, vengo così mal disposta! ... Al­tra cosa che mi affligge ... Ti ricordi, o Signore? ci

(19) La Santa vi accenna nella lettera III a al P. Germano del 22 giugno (p. 260) e specialmente nella 113 a dove gli dà un saggio della sua capacità di traduttrice: «Sì, sì, so fare assai a tradurre S. Agostino» e cerca proprio un testo sulla compunzione dei peccati, cioè cap. I, pago 5: « Gesù mio, fa che il mio cuore ti desideri, desiderandoti ti cerchi, cer­candoti ti trovi, trovandoti ti ami, amandoti tu gli dia il perdono dei pec­cati, e, ottenuto, non li abbia a commettere più ». Segue un sentimento di forte compunzione: « O babbo mio, pochi momenti fa mi sono sentita tutta compresa da un forte dolore dei peccati miei che credevo di mori­re» (p. 268).

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fu un tempo che io avevo dimenticato affatto la tua infinita bellezza e preferivo la polvere della terra. O Gesù, rispondi alle mie domande ... Mi è dolce confes­sare le mie colpe davanti a te. Meglio di me tu lo sai. Sai pure ch'io ho contentato gli occhi in tutto e per tutto e che il mio cuore non l'ha privato di nulla ... Aiutami, o Signore (E. 12S a , p. 147). La compunzione è costante, ma l'espressione è addolcita nel miele agostiniano: «O Gesù, lascia che io mi stringa tutta a te. Lo sapevo che eri tu l'unico mio bene, e invece io disprezzavo il cielo per inchinarmi a indegne crea­ture. O che speravo? Forse fuori di te speravo di tro­vare più ricchezze, più attrattive? Perdona a tanta mia miseria, a tanta mia iniquità; non permettere che io mi stanchi agli amplessi del tuo amore. Per tanto tuo amore non permettere a me tanta ingratitudine» (E. 12S a , p. 150).

Questo stile è certamente nuovo per la Santa: si sente evidente l'influsso della lettura di S. Agostino.

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3. L'oscurità della via: Dio, la fantasia o il de­monio?

Indubbiamente la Galgani fu «trascinata» dalla grazia e la sua situazione nella Chiesa è assolutamen­te speciale nel senso che il suo progetto di vita, al lume della ragione naturale, sembra mancare di ogni coerenza che non sia quella per noi frastornante, e lo fu anche per la mite creatura,(1) della «regia via sanctae crucis »(2). Bisognerebbe tentare di rico­struire e ripetere la sua «situazione »: ma questo non è possibile senza «viverci dentro» cioè senza essere Gemma stessa per ripeterla a sè in noi. Ma chi ose­rebbe presumere tanto? Forse tutto ciò che il lettore e il credente può fare è di avvicinare un pò la. sua esperienza di Cristo crocifisso, quale è consegnata nei suoi «scritti» cioè nei testi che sono le Lettere, le Estasi, l'Autobiografia, il Diario ... Ma'anche questi testi disorientano poiché non si tratta di scritti nel senso abituale, neppure in quello più affine delle ani­me estatiche e stigmatizzate a lei più sorelle. Sembra - anche se ciò in realtà non è esatto - che in essi manchi quel filo dottrinale che alimenta nei mistici la meditazione e la trasformazione interiore com'è

(1) Il 27 luglio scriveva a P. Germano: «Sono stata due giorni un po' sossopra. Guardavo quelli di casa (Giannini), p. es. Annetta, Eufemia, e pensavo: come mi piacerebbe vivere come vivono esse, senza nessuna cosa straordinaria e mille idee)} (Lett. 115", p. 275).

(2) De imitatione Christi, lib. II, c. 12; ed. T. Lupo, Città del Vatica­no 1982, p. 121.

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evidente per esempio negli scritti della B. Angela da Foligno, in S. Caterina da Siena, nelle tre stelle del­l'Ordine carmelitano S. Giovanni della Croce, S. Te­resa di Gesù, S. Maria Maddalena de' Pazzi e, più vi­cina a noi, S. Teresa del B. G., (coetanea quasi di Gemma), la B. Elisabetta della SS. Trinità e lo stesso P. Pio da Pietrelcina ... vicino a Gemma nei carismi e nell'itinerario della sofferenza.

Perciò, forse più di tutti, Gemma si presta ad una considerazione esistenziale: la sua vita è un in­trecciarsi simultaneo e crescente di paradossi. Non solo lo stile del suo scrivere, ma soprattutto quello della sua vita, è un continuo passare dall'ingenuo al sublime e dal sereno alla tempesta e, più che un «passare », è un zampillare dall'identica sorgente mi­steriosa ch'è la sua partecipazione alla Croce di Cri­sto. Abbiamo detto che si tratta di scritti occasionali, stesi per obbedienza: Mons. Volpi voleva che P. Ger­mano sapesse tutto ciò che la povera figliola gli ma­nifestava in confessione delle celesti comunicazioni e sofferenze e P. Germano - fiancheggiato in questo da S. Gabriele e dall'Angelo Custode - la spingeva a dire tutto, assolutamente tutto, al pio - sempre dubbioso e incerto - confessore. E la Santa obbedi­va, un' obbedienza che le costava - come spesso con­fessa - non poca fatica e ripugnanza, arduo sforzo e quasi malessere qualche voltaC), ma che tuttavia eseguiva con slancio di umile sottomissione e ricono­scenza per le guide dell'anima sua. Una mortificazio­ne continua, insomma. Nata per comunicare con Dio, Gemma ha il dono insolito di comunicare con gli uo­mini con uno stile semplice e profondo, con espres-

(3) Nella 2a lettera al P. Germano: «Tutto quello che scrivo, lo scrivo solo per obbedienza, ma con grande fatica» (p. 9).

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sioni sobrie e colorite da grande scrittrice che sa ad­dentrarsi, delicata e insieme sicura, nei misteri del­l'uomo e di Dio. Sempre protagonista del contrasto di cui vive l'esistenza del cristiano e la libertà del­l'uomo.

Alla difficoltà principale, nell'avvicinare questi scritti, costituita da parte del lettore (certamente per me) dalla mancanza dell'esperienza ch'essi riflettono, se ne aggiungono altre non meno stupende e stupefa­centi, le quali, a modo loro (e in quale modo!) attira­no lo stupefatto lettore nella luce affascinante del mistero del suo martirio. Prima di tutte la semplici­tà: lo stile di Gemma è delizioso: essa scrive di fu­ria(4) quasi a getto continuo e la realtà che vuole trasmettere - per alta e misteriosa che sia - Gem­ma la presenta viva al lettore come per una comuni­cazione di grazia. Essa attesta che quando scriveva l'Autobiografia o confessione generale aveva vicino l'Angelo: «L'Angelo mi ha promesso di aiutarmi e far­mi venire in mente ogni cosa; perché glielo dico chia­ro, ho anche pianto, perché questa cosa non la volevo fare: mi sgomentavo a farmi tornare in mente tutto, ma l'Angelo mi ha assicurato di aiutarmi» (p. 221). Ma Gemma è una tremenda giustiziera di se stessa, bruciata da un risentimento crescente e implacabile verso di sé. La dedica dell'Autobiografia: «Al babbo mio che lo bruci subito» - è una raccomandazione ch'ella fa spesso per le lettere e gli altri suoi scritti allo stesso P. Germano e a Mons. Volpi, anche se per celeste intuizione sapeva che i due personaggi con­servavano tutto. Eppure Gemma (almeno a partire dalla guarigione miracolosa per intercessione di S.

(4) «Scrivo tanto con furia che non so se capirà» (Lett. 35 a a P. Germano, p. 102).

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M. Margherita Alacoque: 3 marzo 1899) crescendo con lei le comunicazioni di Gesù e della Vergine Ad­dolorata assieme alla compagnia degli Angeli e di S. Gabriele, capiva bene che la sua situazione spirituale diveniva singolare cioè causa di ingombro e di distur­bo nella famiglia e nella società in cui si trovava.

Esempi di questa semplicità? Le sue lettere co­minciano senza preamboli e finiscono spesso di col­po, anche quando hanno trattato i fenomeni più su­blimi e misteriosi. È soprattutto nella corrisponden­za con P. Germano, appena superata la prima distanza reverenziale del «M. Rev. Padre» e del «Pa­dre Germano », che l'affettuosa creatura esplode nel­la letto 12 a con il: «Babbo mio accanto a Gesù nel mio povero cuore ». Questo: «Babbo mio ... » l'accom­pagna come segno di fiducia totale per i tre anni che le restano di prove e di martirio(S). E quando la fi­ducia cresce, diventa ancora più affettuosa: «Babbo cattivo, cattivo », un «babbo curioso ... », ma ch'essa invoca nel luglio del 1902: «Babbo, babbo mio ... il mio tutto dopo Gesù »(6). E non manca l'affettuosa ironia quando il Padre si nasconde col nome di P. Bartolomeo di Santa Barbara: «Lei, Babbo mio catti­vo, se non vuole più scrivere faccia scrivere pure P. Bartolomeo di S. Barbara: le lettere di P. B. mi fanno lo stesso effetto delle sue, quasi direi che è Lei che si finge il nome» (!!) (Lett. 59 a , p. 158). E nella Lett. 61 a, purtroppo conservata mutila: «Scriva presto, ov­vero dal P. Bartolomeo. Ma sa che giorni sono ebbi una bella sgridata da Gesù. Gli chiesi: «Ditemi, Gesù, il babbo mio si è cambiato nome? a me mi pare il

(5) Un «Rev. Padre» spunta, non si sa perché, nella letto 90" (p. 226) del 17 novembre 1901.

(6) Lett. 115", p. 275.

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P. B. [Padre Bartolomeo] sia invece Lui ».GesÙ mi det­te questa risposta: «Taci subito, e non me lo diman­dare più. Cattiva!}} (p. 163). Ancora il 3 settembre 1901: « ... Babbo cattivo, perché non scrive? ( ... ) Quan­te cose vorrei dirgliene?}}. E il 12 dello stesso mese: «Babbo çattivo, o perché quando io gli mando l'Ange­lo a dirgli cose, Lei non mi dice niente?}} (p. 207).

Segno di questa semplicità è l'assenza di fronzo­li, come quando comincia ex abrupto: «Stia a senti­re ... }} (Lett. 14 a , Lett. 39 a , anche Lett. 24 a ... ). E nella Lett. 26 a : «Stia a sentire. Ma badi di non inquietarsi}} (p. 77). E quando rimprovera il buon Padre: «Scriva tanto, no infuriato come è solito ... }} (Lett. 91 a, p. 228) O gli chiede: «Ha bene capito?}} (Lett. 35 a, p. 103), «Babbo mio, m'intende?}}. E ... perfino: « M'intende almeno quando scrivo così senza nessun senso?)} (Lett. 21 a, p. 59) O quando è in attesa della nomina vaticana (a Consultore per le Reliquie): « Povero il babbo mio! Come è sossopra! O perché non sta un po' quieto? Gli prendono anche a Lei le smanie, ~ome prendono a me di quando in quando? A Gesù ci pen­serò io, non dubiti, e Lei pensi...: m'intende?)} (p. 231). E, umile, umile, lo supplica: « Sia buono, non mi mandi come nella risposta alla Serafina di Roma: « In quel biglietto ... voleva ch'io pregassi S. Rita da Cascia e S. Francesca Romana. Ma come devo fare che neppure le conosco?)} (Lett. 3 a, p. 443).

Anche con Mons. Volpi comincia: « Stia a sentire: io sono quasi sgomenta)} (Lett. 36 a , p. 360). Ma, dato il tipo del personaggio, le espressioni sono più guar­dinghe. Al confessore, incredulo sui suoi fenomeni, ch'essa però ha il dovere di manifestare, sembra con­senta: « Non creda niente, perché è la mia testa)} (Lett. 6 a, p. 371). « Queste cose, come gli ho sempre

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detto, sono tutte della mia testa, e però non ci creda» (Lett. 8 a, p. 320).

Però con ardita franchezza, lascia che la faccen­da se la sbrighino fra loro il Vescovo e Gesù: «Gesù poi mi fece conoscere che Lei non crede niente a tut­to quello che io nelle confessioni gli dico. « Ti dispia­ce?» disse Gesù. «O no, - dissi - Gesù, sono cose che le hai permesse tu'; tu l'hai fatte, e tu pensaci ... » (Lett. 17 a , p. 335). E dopo averlo ammonito che la de­ve mettere in convento, aggiunge: « È Gesù, ma lei non ci crede» (Lett. 20 a , p. 340). Indice della sua sem­plicità è il franco dissenso col confessore per la visi­ta del medico, voluta dal Volpi, per la verifica (!) del­le Stimmate (Lett. 5 a e 6 a ): con pari franchezza, aspettando P. Germano: « Allora anche Lei di certe cose resterà persuaso, perché ora è tanto angustiato: me lo ha detto Gesù» (Lett. 38 a , p. 365, anche Lett. 39 a , p. 366). Di solito, finito il racconto anche delle cose più straordinarie, chiude con un secco: « la po­vera Gemma » ... « Mi benedica e sono la povera Gem­ma ... e preghi per la sua povera Gemma ». E non ri­sparmia d'inviargli le ... minacce di Gesù: « Se Lui non obbedirà [per il convento] a ciò che gli dico io, male per Lui» (Lett. 55 a, p. 385). Ancora: « Se poi non fa questo, Gesù lo castiga. lo ho detto questo a Lei, per­ché me lo ha comandato Gesù; ma non ci creda, per­ché è la mia testa matta» (Lett. 63 a, p. 392)(7).

Semplice e ingenua, certamente, ma anche gioio­sa e intrepida quando deve attestare la verità. Qui la difficoltà è nel seguire il delicato intreccio dei sen-

(7) Si noti il passaggio dei sentimenti: prima afferma di trasmette­re un comando di Gesù e poi, com'è il suo stile, si ritira attribuendo il tutto alla sua «testa matta ». Uno stile, che manterrà fino all'ultimo come si dirà, di completa diffidenza di sé.

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timenti più opposti che rivelano i testi, come nella grande lettera 26 a al P. Germano che inizia col grido, «Babbo mio, Non più povera Gemma, ma evviva Gemma! ». E continua da autentica scrittrice: «Va be­ne così, babbo mio? lo giovedì sentii Gesù; Lei lo sen­tì? Aveva una voce così fina, che appena lo sentivo. Feci la SS. Comunione, e lo sentii venire: era Gesù. Ci crede? Piansi, ma erano tutte lacrime di conten­tezza di cuore; mille volte gli chiesi perdono dei pec­cati miei, e mi promise che se non ne avessi più com­messi, me li avrebbe perdonati assai volentieri. E poi? E poi come fare a ricordarmi di quei fortunati momenti, che ebbi la grazia di ascoltare l'amoroso invito di Gesù? Lui stesso mi ripeteva: «Gemma, non senti il tuo Gesù? e altra volta diceva (ma tutto la stessa mattina): «O chi sono io?» (p. 76). E, dopo tan­to impeto, la scena cambia e ripiega sul suo: «Viva Gesù! », e quasi disperata: «Il mio cuore sembra dive­nuto di ghiaccio: non si scuote, è sempre freddo. E ci può essere una cosa più grossa di questa che, dopo tante visitine che mi ha fatte Gesù, non abbia ancora imparato ad amarlo? Ogni mattina, che faccio la Co­munione, sembra che il mio cuore sempre più s'indu­ri. Non si accorge, babbo mio, che ci è bisogno di un miracolo di Gesù? Viva, viva Gesù, sempre Gesù! »

(p. 77). La tensione, fra le prove dei dolori al capo e per

tutto il corpo e l'assenza di Gesù, che si nasconde, cresce: «Oggi è sabato; i nervi si sono assai calmati, ma non tanto. Ieri e ieri l'altro, Giovedì e Venerdì, mi dettero assai noia: sentivo andarmi via le mani, e anche i piedi; la testa me la lasciarono, dalla parte del cuore poi mi tormentò assai. Ora vò vedere se mi riesce un po' spiegargli la storia di questa parte.

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Stia a sentire. Ma guardi di non inquietarsi. Sa pure, babbo mio, che Gesù si è nascosto; io lo cerco ogni momento, lo vorrei sempre con me, ma Lui sempre più si allontana; io lo cerco sempre, e delle volte lo cerco così forte, che mi sento male male, e mi sento andare tutta via. Non so dire altro; mi dice se ha ca­pito?» (p. 77).

Il confessore sembra voler rincarare la dose e la penitente reagisce con umiltà e grandezza da pari suo. Non possiamo riportare tutto, malgrado l'ecce­zionale valore spirituale ed anche letterario. La San­ta ha trovato l'equilibrio: « Finalmente mi sono ben persuasa che solo Dio mi può far contenta, e in Lui ho riposto tutte le mie speranze. Gesù non mi voglia pure, discacci pure, io lo cercherò sempre. È ora, proprio in questo tempo, che mi accorgo bene di non essere buona a nulla, neppure a formare un pensiero verso Gesù. Continuamente commetto peccati; ieri ne conobbi due nuovi: alle volte mi viene una dispera­zione grande, perché mi sembra impossibile che Ge­sù debba perdonarmi tanti peccati; altre volte mi pa­re impossibile che Gesù voglia perdermi, e allora scuoto le spalle, e de' peccati non ne faccio più conto. O che lavoro è questo? me lo spiega un po'? ». E le viene spontaneo il desiderio di morire: « Morire, o be­ne! andar da Gesù, essere sicuri di sempre volergli bene e non perderlo più, [ ... ] .. Ma mica ora, babbo mio, non s'inquieti: quando vuole Gesù» (p. 77 s.).

L'enigma della coesistenza degli opposti in Gem­ma ricorre dovunque, quasi un conflitto di luci oppo­ste che si accendono e spengono alternandosi nell'a­nima sgomenta e sbigottita. Tipica è l'esperienza del­la Lett. 21 a ancora a P. Germano: « ... Gesù è sempre con me, mi sento tutta con Lui, sono tanto contenta!

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Ma ho tanta paura di offenderlo e di perderlo! Quan­do sarà mai quel giorno, che anderò con Gesù, a star sempre con Lui, senza paura che più l'offenda? O se l'Angelo mio mi prestasse per un momento solo le sue ali, vorrei andare con Gesù! Ho pregato sempre e pregherò ancora che Gesù presto mi venga a pren­dere. Ma che dico? Ma tanti miei peccati! ... Il posto dei Santi non è per me. Mi perdoni, perché non so che dico; vorrei dire pure tanto ... Si faccia il volere di Gesù!» Dopo tanto scoramento, Gesù è pronto a consolarla « ... e mi regala tante cosine e, se non pian­go o mi lamento, allora viene a accarezzarmi ». E, do­po lo sgarbo avuto da un sacerdote - mentre atten­deva di confessarsi nella Chiesa di S. Michele - an­cora si umilia: «Gesù è tutto, e io nulla », per rialzarsi subito con volo d'aquila: «Ma una volta ci voglio uscire dal mio nulla, e voglio andare tutta in mezzo a Gesù e lo voglio amare tanto tanto; non vo' più essere in me stessa, vo' stare dentro di Gesù» (p. 58 s.).

Tanto riconoscente con Gesù da offrirgli ad ogni momento la sua povera e disprezzata vita; tanto umi­le da essere la prima a diffidare - con termini decisi e pittoreschi di sé e di quel che ha scritto, tormentata spesso dal dubbio di essere ingannata e di ingannare - Gemma, esempio raro (forse unico) fra i mistici, pensa che tutto sia opera della sua fantasia e del dia­volo. Le sue dichiarazioni sono implorazioni di umile annientamento [riporto alcune citazioni senza prete­sa di completezza]. Al P. Germano, già nella 2 a lettera del 17 febbraio 1900, nel raccontargli un colloquio di Cristo: «Ieri sera, nel trovarmi dinanzi a Gesù Sa­cramentato a pregare, fui chiamata (era la mia fanta­sia che mi faceva udire tali cose), mi parve che fosse

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Gesù (Padre, prima di continuare a leggere, lo prego per carità, non creda nulla, scrivo solo per ubbidire; di tutto il resto non avrei detto una parola)) (p. 9).

Quest'abbassamento di sé diventava più profon­do quando doveva comunicare messaggi severi e do­lorosi. Così rispetto ad una cert'anima (penitente di P. Germano) che aveva abbandonato la retta via: «Ora vengo a parlarle di una cosa, che a me assai dispiacque. Anzitutto non creda a nessuna delle mie parole, perché tutto lavoro della mia testa. [ ... ] Padre, mi raccomando non mi creda per niente, ma special­mente su questa ultima cosa; o al certo mi sono in­gannata! Quanto ci penso!» (Lett. lOa, p. 32). Anche nel dargli notizia, in coda alla lettera 25 a, del solleva­mento delle costole (constatato nell'autopsia dopo la morte): «Mi scordavo di dirgli delle costole; non lo so, ma si alzano spesso più alte di quelle della parte opposta, mi sembrano. Quanta fantasia! Non ci cre­da» (p. 73). E dopo una notte di un'esperienza simile di strette al cuore: «Tutta fantasia, babbo mio» (Lett. 31 a, p. 91). E sgomenta per sé e fiduciosa nel «bab­bo », nella lettera (72 a) del 18 luglio 1901 lo supplica di pregare Confr. Gabriele: «O Gemma, che ne sarà mai di Gemma? Tutte quelle cose che gli pare di ve­dere e sentire, da che parte vengono?» (p. 191).

A pochi mesi dalla fine, il 26 giugno 1902, il dub­bio diventa strazio e pena indicibile e la penna stessa freme: «Di tutti gli appunti che buttai via, non mi ricordo più nulla, ma la maggior parte si trattava di discorsi con Gesù, altri di tentazioni, ecc. (tutte a suo riguardo)(8). Viva Gesù! Ecco una cosa che Lei giu-

(8) Di che si tratterà? Di dubbi al riguardo di P. Germano? Forse. Probabilmente, come sembra da tutto il contesto, è il dubbio di avere (involontariamente) ingannato anche il P. Germano con il racconto delle « cose» straordinarie che le accadevano, respinte dal Confessore e accol­te invece dal pio passioni sta.

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dicherà. Stamattina per tempo, prima delle due, mi sono destata; tutto ad un tratto una moltitudine di pensieri sopra l'anima mia mi sono venuti a turbare. Pensieri di questa sorte: «E se io fossi ingannata? E se tutte queste cose che mi accadono, dovessero con­durmi alla rovina? E se, P.G. (Germano) fosse ingan­nato? » È vero che Gesù interviene: « Figlia, non teme­re. Chi opera in te sono io. Mai ti lascierò, vivi con­tenta» (p. 264). E il 27 luglio ancora del 1902, in ben tre aggiunte, infierisce con se stessa e tra i due essa si mette dalla parte dello scettico Mons. Volpi: «Mon­signore teme (per) fino dell' Angelo suo; ma sono vis­suta ingannata, babbo mio, è vero: Gesù non lo avreb­be fatto conoscere a Monsignore ... Babbo, se Monsi­gnore dice cosÌ, è segno che ne ha avuto lume da Dio ... Babbo mio, venga presto» (p. 276 s.). Anche del­la «zia», certamente influenzata da Monsignore suo confessore, la Santa dice: «E poi la sig.a Cecilia mi dice sempre che Lei(9) può benissimo ingannarsi; io prego Gesù continuamente, e mi assicura che non permetterà che debba ingannarsi. lo non dormo più(lO) e obbedisco assai». Tormento e gioia, luce e buio insieme. Nell'ultima lettera del 18 marzo 1903, quasi sulla soglia della morte, si rivolge accorata alla Madonna: «O Madre mia, preghi sempre Gesù per me; io desidero, sÌ, che tutti ci contenti Gesù, ma io posso benissimo essermi ingannata» (p. 306).

Echi di siffatta paradossale situazione, che sem­bra di totale disorientamento, si trovano anche nelle Estasi, dove questo timore angosciante di essere in­gannata sembra attribuirlo alla suggestione del de­monio. All'inizio dell'estasi 24 a di martedÌ 24 aprile

(9) Cioè il P. Germano stesso. (IO) «Dormire» per Gemma significa «andare in estasi ».

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1900 esclama: «O ... Dio ... Gesù, non per me, ma temo che il demonio mi abbia a ingannare. Non le voglio, Gesù, queste visioni; voglio solo che tu mi perdoni tutti i peccati. Non permettere che il demonio mi ab­bia a ingannare» (p. 36). E di lì a poco nell'estasi 26 a

del 26 aprile. «O Gesù ... temo di essere ingannata ... » e aggiunge con fiera risolutezza: «Non le voglio que­ste cose, non voglio nulla, Gesù. Quello soltanto che desidero, che tu mi dia tanto dolore dei peccati; ma le altre cose non voglio nulla: ho paura, ho paura di essere ingannata» (p. 39). «Oh, (il diavolo) m'ingan­na!. .. Come fare, Gesù, a non lasciarmi ingannare? .. Quel che mi voleva [il diavolo] far credere!. .. » (p. 58). E il timore è continuo: «Bada, Gesù, non permettere che il nemico mio m'inganni» (E. 49 a , p. 98).

Ancora più risolute le dichiarazioni a Mons. Vol­pi al quale, già dubbioso (anzi forse scettico e diffi­dente) chissà che impressione dovevano fare! E nella lettera 8 a del settembre 1899, quindi prima dell'ini­zio della corrispondenza con P. Germano, dichiara spiccia, spiccia: «Questo cose, come gli ho sempre detto, san tutte della mia testa, e però non ci creda; faccia lei come vuole Gesù, ché son sicura che Gesù qualche cosa gli avrà detto» (p. 320). E nella lettera seguente, con angelico candore, alla fine dello stesso settembre dopo l'accenno ad un'estasi con S. Gabrie­le dell' Addolorata: «lo gli ho scritto, questo per obbe­dire, se poi Lei non mi crede, io sono contenta lo stes­so. Avrei tante cose da dirgli, ma, siccome Lei non mi ha domandato più nulla, avevo paura di far male a dirglielo» (p. 321). E in un contesto simile, nell'apri­le 1901, dopo avergli comunicato due precisi ordini di Gesù: «Monsignore, (lo prego) faccia quello che Gesù gli dirà, senza dar retta alla mia testa» (p. 387).

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Con disarmante e sorprendente franchezza nella let­tera seguente (59 a), dopo avergli esposto gli effetti mirabili che Gesù operava in lei nella S. Comunione, si affretta a dichiarare: « Queste cose, che crede? mi sembrano impossibili anche a me, come sembrano a Lei» (p. 388). In una lettera (forse) della fine di luglio 1901 dove il nodo si fa più imbrogliato perché l'argo­mento è sempre la richiesta di entrare fra le Passio­niste, la Santa, riferendo le parole di Gesù ... rasenta le minacce: « lo ho detto a Gesù che glielo avrei detto, ma Lei mi pare che non ci creda. Gesù mi ha rispo­sto, che Lei invece ci crede che è proprio Gesù; mi ha ripetuto tante volte che pensi subito, perché impe­disce a Gesù di fare ciò che vuole, trattiene la sua grazia (qui non ho capito bene). [ ... ] Se poi non fa que­sto, Gesù lo castiga». Ma subito si affretta ad aggiun­gere con umiltà e distacco: « lo ho detto questo a Lei, perché me lo ha domandato Gesù, ma non ci credo perché è la mia testa matta» (p. 392). E ritornando sullo stesso argomento nella lettera seguente, verso la fine di marzo 1902: « Monsignore, mi perdoni se gli dico una cosa. lo so bene che è fantasia e non vor­rei confondermici, ma Gesù sembra che mi comandi di dirglielo, [ .. .]. lo non ci credo, perché so che la mia fantasia è capace di tutto» (p. 392 s.)c I).

E che non si trattasse di espressioni convenzio­nali, ma sincere, ce l'attesta anche il Diario che va dal 19 luglio al 3 settembre 1900, dove proprio la re­lazione sulla partecipazione alla incoronazione di spine termina secca, secca: « Soffrivo poi tanto a ogni

(Il) Ed in un biglietto dell'ottobre 1902, nell'angoscia di « essere nelle mani del diavolo », gli scrive chiamandolo per confortarla: « Sarà fantasia, ma è già due volte che sento in me un impulso che presto dovrò morire e vorrei riformare la mia vita» (p. 395).

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movimento che facevo: che poi era tutta mia fanta­sia» (p. 166). Anche più sotto, sabato 4 agosto: «Biso­gna ancora che dica, che al primo vedere queste cose, queste figure (che certamente potrei essere inganna­ta), mi sento subito presa da paura» (p. 186).

E il mercoledì 15 agosto, «il gran giorno» nell'e­stasi che finirà con la grazia singolare che la Madon­na le prenderà il cuore per portarlo in cielo, mentre comunica con la Passionista Madre M. Teresa che ha finito la purificazione del Purgatorio e « ... oggi deve andare in Paradiso », esce nella dichiarazione (fra pa­rentesi!) ufficiale e categorica: «Non creda chi legge queste cose a nulla, perché posso benissimo ingannar­mi: che Gesù mai lo permetta! Lo faccio per obbedien­za e mi sottometto a scrivere con gran ripugnanza ».

E tuttavia dichiara: «Tutto questo accadeva, mentre ero propriamente svegliata [quindi prima dell'estasi della Madonna] e in pieno conoscimento di me stes­sa» (p.; 195). Gemma è nel 23° anno, un'età che per la donna segna la raggiunta maturità. Eppure è così confusa di se stessa e di ciò che scrive: «E che avrò detto? .. Non leggo ciò che ho scritto, perché mi ver­gogno ... » (Lett. 101 a a P. Germano, p. 243).

Ed a un mese prima della morte, quasi facendo un bilancio del suo stato e sentendosi carica di pec­cati, esce in una implorazione-confessione. È in data 8 marzo 1902 (Lett. 105 a) e vale la pena di leggerla nel testo integrale: «O se potessi un po' ora dirgli una cosa. Glielo accennerò in poco tempo; la spiega­zione gliela darà Gesù. Vi è qui una buona Religiosa, che di tratto in tratto mi rivolge qualche parola affet­tuosa; essa mi vuole tanto bene, ma dalle parole mi avvedo che essa mi ha bene conosciuta. Sì, sì, mi ha conosciuta; Lei no, ha sbagliato di me e sopra di me,

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ha sbagliato: le mie cose non vengono da Dio, ma tut­to viene dal diavolo. Preghi Gesù: lume, lume, babbo mio: è tutto falsa devozione, me ne avvedo troppo be­ne; è tutta ipocrisia. Dunque lo prego a non parlare più di me a nessuno, se non per dire realmente chi sono io; mi umilierò, mi pentirò, e Gesù mi perdone­rà con la sua infinita misericordia. Mi tolga dal mon­do e mi chiuda in un buco strinto, da non vedere più nessuno; farò penitenza di tutti i miei peccati, e farò di tutto per salvarmi; cosÌ no, cosÌ va male. Dio mi perdoni! Preghi per la mia conversione» (p. 249).

Concludiamo con la dichiarazione categorica che si legge nella 1 a lettera a P. Germano che ci dà la formula più stridente e realistica della situazione pa­radossale. In apertura infatti lo mette subito sull'av­viso: «Ma eccomi al punto di scrivere, che mi sento presa quasi da timore, e sa il perché? Devo scrivergli certe cose curiose, che certo Lei stesso si meraviglie­rà. Glielo dico francamente: la mia testa è un po' mattuccia, e ora s'immagina di vedere e di sentire cose impossibili; dico impossibili, perché Gesù non ha mai parlato, né si è fatto mai vedere da certe ani­me, quale è la mia tanto cattiva» (p. 2). Ed entra subi­to in medias res: gli racconta la visione con la quale Gesù, accondiscese al suo desiderio di vederlo. Rac­conta: «Subito non mi contentò, ma dopo qualche giorno mi parve che mentre pregavo, di vedere un Passionista, che esso pure pregava davanti a Gesù Sacramentato e Gesù mi disse: «Vedi chi è P. Germa­no? ». Lo guardai, e sa come lo vidi? Era un po' gros­so, era in ginocchio fermo con le mani giunte, e mi pareva che avesse i capelli più bianchi che neri» (ibid.). Poi l'informa della guarigione miracolosa otte­nuta per l'intercessione di Santa (allora Beata) M.

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Margherita Alacoque, delle apparizioni del Confratel Gabriele che gli promette di venire ogni sera dalle 11 a mezzanotte, l'assicura della prossima fondazio­ne a Lucca del Convento delle Passioniste mostrando­le in visione le prime 7 future suore (<< ne conobbi tre ») e rivelando ... «il nome, il cognome, la città ove era nata e cresciuta» la Signorina che avrebbe dato «l'ultimo colpo all'opera ». Gemma si mantiene scet­tica: «lo però ero poco persuasa di tutto questo, e per ben tre volte di seguito mi è accaduto lo stesso, e l'ultima volta mi aggiunse: «Terminati i due anni, in giorno di Venerdì si comincierà ». « E io? » gli dissi. «Tu sarai Passioni sta ». Ed ora ripete la diffida di se stessa: «Che testa matta che sono, non lo nego, anzi ne son certa. lo ho scritto tutto questo a Lei, perché il Confessore me lo aveva ordinato; del resto quello che soffro, lo so solo io, perché tutto mi sembra im­possibile» (p. 7)(12).

Questo è il quadro e questa è la cornice della bre­ve vita di Gemma: figlia della Passione nella tensione dell'incertezza sulla natura dei «fenomeni» che l'ac­compagnerà, con punte quasi di disperazione, fino al­la morte. Una simile situazione sfugge ad ogni capa­cità di analisi e di descrizione che non siano le parole stesse della Santa con l'unico commento del suo stu­pore e della sua offerta all' Amore misericordioso.

Quindi oscurità, incertezza, estrema diffidenza di sé, del suo stato e dei fenomeni e questo in un avanzare della vita verso il buio che nella lettera del 15 dicembre 1902 le strapperà l'implorazione ango-

(12) La Santa, quando scrive questa lettera, aveva già ricevuto l'im­pressione delle Stimmate (8 giugno 1899, l'Ottava quell'anno del Corpus Domini e vigilia della festa del S. Cuore di Gesù. - Cfr. Autobiografia in: «Estasi », p. 261).

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sciata: «Dio mio! dimmelo: mi salverò o mi danne­rò?» (p. 291). E il diavolo, come per altri Santi, ma con una tecnica - se si può dire così - del tutto speciale, torturò nei modi più svariati questa creatu­ra celestiale: il punto è stato studiato a fondo dallo stesso P. Germano nella Vita cap. 22, p. 197 ss.

Capitolo oscuro, come si conviene allo spirito delle tenebre, questo dell'opera di purificazione della Galgani che attinge il suo fragile corpo con frequenti e abbondanti dosi di battiture e percosse quasi fino a stritolarla, ma soprattutto perché turba in conti­nuazione il suo spirito fino quasi a possederlo con orrende suggestioni, fenomeno ben conosciuto nella teologia mistica che fa rabbrividire. E, con le botte, le tentazioni più sudicie che facevano gemere l'ange­lica creatura: le lettere a P. Germano e a Mons. Volpi pullulano della presenza sinistra dello spirito del ma­le e la sua molesta apparizione può dirsi l'antitesi co­stante di quella di Gesù, della B. Vergine, degli Ange­li, di S. Gabriele ... Lasciando da parte l'aspetto più pittoresco e noto ai devoti della Santa, cerchiamo di rivelare il suo significato reale per la purificazione della sua anima ch'è riportata su questa dinamica del male, nella tensione e prova originaria della li­bertà per la scelta radicale. La Santa non ci dice quando è cominciato questo martirio: esso è certa­mente in atto nell' estate del 1899 quando Gemma go­de già della comunicazione delle Stimmate come si rileva dalla lettera lOa a Mons. Volpi, ch'è forse la più vivace e teologica su questo enigma: «Era già qualche giorno che il diavolo mi lasciava un po' in quiete, ma ora invece sono due giorni che mi tormen­ta tanto tanto». E descrive i fenomeni della tentazio­ne, le suggestioni contro la vocazione religiosa, l'u-

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nione con Dio, l'obbedienza al punto « ... ch'io mi sen­tivo dal diavolo proprio mordere dentro ». Al suo gri­do di: «Viva la croce, viva le pene! », il nemico molla la presa, la Santa riceve le Stimmate «con tanto dolo­re» e cerca di alzarsi per fare in ginocchio l'ora di guardia. Ma, anche in quello stato, il nemico può tor­nare alla carica - una scena che la Santa descrive con movenze dostojevskiane. La tentazione finalmen­te la lascia e la Santa può trattenersi in preghiera con Gesù; tutta timorosa di averlo offeso, ma il Sal­vatore la consola: «Figlia mia, non mi hai offeso, niente, niente perché tu non hai mai acconsenti­to(13). Ora però ti libero e non verrà più a disturbar­ti» (Lett. lOa a Mons. Volpi, p. 324 s.). Siamo, si badi, ancora nel 1899.

Una riflessione teologica su questa «situazione» demonologica o demoniaca, che dir si voglia, non ha un compito facile. Anzitutto prima la Santa viene as­sicurata da Gesù che il demonio non verrà più a di­sturbarla e poi di fatto il demonio continua a infieri­re di male in peggio. E non è tutto, ed è forse l'aspet­to più conturbante, perché sembra che sia Gesù stesso che non solo permette le vessazioni diaboliche, ma quasi si dà a disporle come «passaggi» all'ultima purificazione dell'anima. Che pensare di siffatta si­tuazione ossia che Gesù stesso incarichi il diavolo di provare i suoi eletti? Che Gesù ricorra al suo nemico per far soffrire i suoi amici? Ma questa sofferenza è intesa alla purificazione degli eletti come per Giob­be e anche Gemma non conosce e non dà altra rispo­sta. Così il suo patire diventa doppio: il dolore che Gesù sia rimasto offeso e la confusione di essere at-

(13) Come disse a S. Antonio Abate, a S. Caterina da Siena e ad al­tri Santi. Si legga fra poco la letto Il a a Mons. Volpi.

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taccata e messa sotto le grinfie del maligno che si presenta a lei nelle forme più laide. Certo, questo è per noi un discorso sbilenco e poco razionale, ma Dio non è tenuto a seguire la coerenza della nostra ragio­ne. Tanto più che simili infestazioni diaboliche ave­vano lo scopo di provare la fede della Santa ossia tendevano nell'intenzione del Maligno a dissuaderla soprattutto dal pregare per la conversione dei pecca­tori e di distorgliela dal proposito di farsi Passioni­sta. Ma è tutto qui? Certo, ma c'è anche qualcosa di più profondo cioè l'immolazione di Gemma, come vo­cazione di espiazione portata ad un vertice estremo del patire in conformità della Passione e Morte di Cristo.

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4. Gemma e il diavolo( l)

L'opera svolta dallo spirito del male nell'ascesa di Gemma alla santità è forse quella del protagonista principale: i particolari, pur tanto sobri e contenuti che la Santa riferisce nelle relazioni ai suoi Direttori di spirito, sono così terrificanti e di un così crudo realismo da porre problemi gravi di teologia, ai quali - almeno sul piano esistenziale - non ci sembra fa­cile rispondere. Comunque la realtà di Satana e delle sue vessazioni contro l'innocente fanciulla, danno forse una testimonianza così incisiva dalla realtà del soprannaturale che fa il «pendant» - per oppositam viam - con quella dei segni della Passione ed essa probabilmente è stata ancor più dolorosa.

Anzitutto non è facile capire, per la nostra sensi­bilità moderna, che sia Gesù stesso direttamente a minacciare Gemma, di rivolgersi al diavolo perché la castighi o la tenti in tutti i modi, come di fatto avven­ne alla poverina in una proporzione che l'avvicina ai Santi più tormentati direttamente dall'azione dello spirito del male cosÌ da essere paragonata in questo al S. Curato d'Arso E l'opera del diavolo su Gemma assunse le forme più ripugnanti tanto ch'essa stessa non osa descriverle, nelle relazioni ai suoi direttori

(l) Una trattazione complessiva è quella di C. Balducci, Gli inde­moniati, Roma, 1960. L'azione diretta del diavolo, con permissione di Dio, è attestata sia nel V. come nel N. Testamento (Cfr. Dizionario Enc. di spiritualità, Roma, 1975, s.v.: Demonio, t. I, p. 529 ss. a cura di E. Bortone).

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di spirito, nei particolari più schifosi. Insieme, però, almeno nei primi tempi, sembra che Gemma quasi si divertisse a canzonare il diavolo e ne fu redarguita da P. Germano. E lo spirito maligno non cessò di tor­mentarla fino in fondo. « ... (le tentazioni) che non cessano» (Lett. 124a , p. 291); «Ecco l'interno mio, ca­ro babbo. Vi è Gesù che mi suggerisce buoni pensie­ri; vi è il demonio che fa tutto il contrario» (Lett. 127 a del 15 gennaio 1903, p. 297). Nella Lett. 129 a

del 7 febbraio 1903 Gemma, prossima alla morte, an­cora si lamenta che la «tentano un po' quelle brutte tentazioni, immagini, pensieri, scosse da far tremare il letto, colpi, ecc. ecc. ».

Che il maligno, a causa del peccato originale, ab­bia ottenuto la permissione da Dio di tentare l'uomo, è una verità fondamentale della vita morale e mistica nel Cristianesimo e contenuta nella S. Scrittura sia nel Vecchio (specialmente il libro di Giobbe) sia nel Nuovo Testamento (Cfr. specialmente le tentazioni di Gesù). È un argomento ove la documentazione stod­ca è insieme ricchissima ed evanescente; perciò non crediamo che la vasta letteratura l'abbia esaurito, so­prattutto sul piano esistenziale ossia quello del rap­porto che può avere la supposta azione (quale che sia, esterna o interna) del diavolo per far prevaricare l'anima, diversa nei giusti e nei peccatori.

Qui vogliamo accennare soltanto ad un problema riscontrato anche in Gemma, quando Gesù la minac­cia d'incaricare il diavolo di punirla con le tentazioni e con quali tentazioni! Ma questa è una cosa degna di Dio ricorrere espressamente alla «collaborazione» del diavolo? E Gemma avrebbe dovuto patire tutte quelle tentazioni, vessazioni, percosse, ecc. ecc. per incarico di Gesù stesso? Ed allora a che prò gli esor-

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cismi che la Santa chiedeva fin sul letto di morte? È un argomento della fede della Santa nel potere del­le Chiavi della Chiesa.

È sintomatico infatti che solo dopo l'impressione delle Stimmate il diavolo sembra entrare in scena, e la terribile rivelazione che la Santa riceve delle pro­ve che l'attendono va collocata nel 1899, come voglio­no gli editori e, quindi, probabilmente alcun tempo dopo la Pasqua. Fra le tribolazioni che l'attendono per provare ... «se veramente Lo ami e se l'offerta che Gli ho fatta sia vera, saranno anzitutto l'indurimento del cuore e la ribellione dei sensi; l'inclinazione al male, l'aridità ... ». E continua: «I demoni con la licen­za mia faranno continui sforzi per abbatterti l'anima; ti metteranno in mente cattivi pensieri, un odio gran­de contro l'orazione; terrori e timori ne avrai sempre e mai ti mancheranno »(2). Di quest'incarico, dato da Gesù al maligno, c'è un cenno esplicito della San­ta nella Lettera al Confessore. Nella letto 6 a , esortan­dola a portare la croce, Gesù l'assicura: «Stai pure sicura che sotto la croce non ti perderai. Il demonio non ha forza contro quelle anime che per amor mio gemono sotto la croce ». E di lì a poco chiarisce il significato della croce che dovrà portare e del calice che dovrà bere e fra l'altro le indica: «Permetto che ti tormenti il demonio, che ti disgusti il mondo, che ti affliggano le persone a te più care, e con quotidia­no martirio e occulto permetto che l'anima tua sia purificata e provata» (p. 316). Esplicita ancora è la dichiarazione di Gesù nella letto lOa (sett. otto 1899) la quale fa supporre che il demonio la tormentasse già da tempo: «Era già qualche giorno che il diavolo

(l) Appunti di Diario, p. 285.

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mi lasciava un po' in quiete» ed ecco che per un pen­siero di compiacenza ... «Gesù mi rimproverò tanto, e mi disse che per castigarmi non mi avrebbe manda­to per qualche sera Confratel Gabriele, ed avrebbe dato il permesso al diavolo di tentarmi per più parti, e anche di picchiarmi; e tutto poi si è avverato» (p. 322). Anche nella letto 19 a : «Per far conoscere ancor più chiaro che sarai una delle figlie della Passione, ti ho fatto sottomettere alle battiture» (p. 337). Qual­che volta è la Santa che chiede alla Madonna stessa «in che maniera (Gesù) mi metteva nelle mani del diavolo» (Lett. 39 a , p. 366). E sembra che il diavolo abbia fatto del suo meglio, cioè del suo peggio, per assolvere questa consegna, come attestano ampia­mente le dichiarazioni della Santa. E la situazione teologica diventa assai intricata e di difficile spiega­zione, come diremo nella considerazione conclusiva. Anzitutto i fatti:

1. - Vessazione fisiche - La Santa si lamenta· con il Confessore che il diavolo la picchia (p. 358), la tira per i capelli ("mi ha stiantato i capelli", pp. 340, 361). Il Diario del sabato 21 luglio 1900 racconta che « ... il nemico, che già da qualche tempo stava nascosto, si fece vedere nella forma di."un uomo piccino, picci­no"; ma così brutto che fui presa tutta da spavento ... : tutto a un tempo cominciò a darmi dei colpi sulle spalle e poi giù ancora: me ne dette assai», e viene liberata dall' Angelo (p. 169). Anche il 22 luglio, e la scena diventa straziante: «Oggi poi, che credevo di essere affatto liberata da quella brutta bestia, invece mi ha bussato assai. lo ero andata proprio coll'inten­zione di dormire, tutt'altro invece: ha incominciato in certi colpi, che temevo proprio mi facesse morire. Era in forma di un grosso cane tutto nero, e mi met-

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teva le gambe sulle mie spalle; ma mi ha fatto assai male, perché mi ha fatto sentire tutti gli ossi. Alle volte perfino credo che me li tronchi; anzi una volta, tempo indietro, nel prender l'acqua santa, mi dette una torta tanto forte al braccio, che cascai in terra dal gran dolore, e allora mi levò l'osso proprio dal posto; ma mi ci tornò ben presto, perché me lo toccò Gesù, e fu fatto tutto» (p. 170). Al P. Germano manife­sta che il nemico ... « la tormenta di continuo, giorno e notte» (Lett. 3 a, p. 13); e « alle volte perché non pre­ghi, mi picchia» (Lett. 7 a, p. 23); per picchiarla pren­de perfino la figura di un operaio di casa Giannini. « È un uomo curioso e poi mi picchia» (Lett. 18 a, p. 52; anche Lett. 19 a , p. 54). Arriva anche a trascinarla per terra, come scrive al Confessore: il diavolo le è apparso di notte « in forma di un uomo tutto nero ed aveva avvolto ad un braccio un serpente» (lett. 26 a, p. 349).

Ancor più drammatica è la scena descritta nella lett. 41 a al confessore: « Ieri notte passai al solito una brutta nottata; il diavolo mi venne davanti come un uomo grosso grosso e lungo lungo, e mi picchiò tutta la notte; mi diceva: « Tu forse credi che Gesù ti voglia bene, invece ti ha abbandonata; per te non ci è spe­ranza che tu ti possa salvare: sei nelle mie mani ». Risposi che Dio è misericordioso, e non temevo nulla; allora lui arrabbiato disse dandomi un colpo forte al capo: « Maledetta te» e sparì ». Di lì a poco la descri­zione riprende, ma diventa più complicata: « Ieri sera mi sentivo tanto stanca, che mi venne detto a Gesù che mi facesse un po' riposare; infatti andai in came­ra, e ci trovai il solito uomo grosso e lungo; mi co­minciò a picchiare con una fune tutta nodi, e mi pic­chiava perché voleva che dassi retta a lui. lo dicevo

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di no, e lui bussava più forte; mi faceva battere la testa tanto forte per terra, che bisognò che dicessi: « Confratel Gabriele, aiutami ». Venne subito, ma pe­rò non era solo: era con un altro Passionista vecchio. Appena il diavolo l'ha veduto, è scappato, e mentre scappava ho veduto del fuoco; sono rimasta però sen­za forza per terra, ma Confratel Gabriele mi ha aiuta­to [ad] alzarmi, mi ha benedetta e mi diceva: « Gem­ma, sei stanca del diavolo? ». Ho risposto di no, che sono pronta fino che vuole Gesù; ho dimandato quan­to tempo ancora ci ho, e mi ha detto: « Sempre qual­che giorno, e ti tratterà [il diavolo] anche peggio, per­ché sei sull'ultimo; fatti coraggio, e chiamami quan­do mi vuoi, che vengo sempre» (p. 358)(3). Secondo la descrizione fatta dalla Santa alla signora Cecilia, una volta mentre stava sul letto, il diavolo la picchiò tanto « ... che credevo mi staccasse i polmoni »(4). Le descrizioni di questo tipo abbondano nelle relazio­ni al confessore e al direttore spirituale.

Però subito dopo, passato il fenomeno, quasi sempre la Santa si riprendeva. Alle volte, a seguito di siffatti trattamenti però restava come tramortita. Come racconta il Diario, dopo la vittoria sopra una tentazione impura con l'invocazione: «Eterno Padre, per il sangue di Gesù liberami!» la Santa continua: « Non so quello che è accaduto; quel cosaccio di dia­volo mi ha dato una spinta sì forte, mi ha tirato giù dal letto, mi ha fatto battere il capo con tanto impeto in terra, che ho sentito gran dolore; ho perduto i sen-

(3) Probabilmente si tratta della stessa vessazione narrata nel Dia-rio.

(4) Diario, Venerdì 3 agosto 1900, p. 184, s., nota 4. La testimonian­za di Cecilia è presa dal Summ. nr. XI, § 8, p. 506 s. e completa il testo del Diario (vedi p. 507 ss.) la testimonianza sulla modestia di Gemma durante le vessazioni anche le più violente.

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si e son rimasta pt~ [erra, fino a tanto che non mi sono riavuta, dopo assai tempo» (p. 203).

2. - Vessazioni spirituali. - Le tentazioni che più la turbavano erano quelle contro la castità. Sembra che fossero frequenti se stiamo al Diario, ed erano quelle che più angustiavano l'innocente creatura. Il Diario del 24 luglio è esplicito: « Ieri accadde al soli­to: ero andata per dormire, infatti mi addormentai, ma il demonio no, parve che non volesse. Mi si fece vedere in una maniera assai sudicia, mi tentava, ma fui forte. Mi raccomandavo dentro me stessa a Gesù che mi togliesse la vita [piuttosto] che offenderlo. Che tentazioni orribili che sono quelle lì! Tutte mi dispiacciono, ma quelle contro la S. Purità quanto mi fanno male!» (p. 173). A distanza di un mese, il 20 agosto, un attacco ancor peggiore, avuto in sogno: « O Dio, il momento dell'assalto è venuto; ma è stato for­te, anzi direi quasi terribile. Nessuna benedizione, nessun scapolare bastava a frenare la tentazione più brutta che si possa immaginare; era cosÌ orrendo [il demonio], che ho chiuso gli occhi, e non l'ho mai aperti, se non quando ero assolutamente libera »(5).

La tentazione forse più spaventosa in questa ma­teria è quella testimoniata nel Processo da Cecilia: « Una sera Gemma le parve che un uomo la prendesse e la portasse via e che le volesse fare delle cose catti­ve. Gemma disse che allora venne Gesù e quell'uomo fuggì... era il demonio in quelle forme» (Summ. nr. XI, § 8, p. 505). La suggestione più sottile è quella della letto IO a al Confessore: « Ecco di nuovo quella

(5) Diario, p. 202. Anche il 1 settembre, e la notazione è quasi di sfuggita: « Per tutto oggi sono stata senza nessuna tentazione; verso sera me n'è sopraggiunta una all'improvviso, nella maniera più brutta. E qui non credo bene di narrare, perché troppo ... » (p. 215).

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bestia in forma di un giovane e mi diceva all'orec­chio: «Che fai? sei pure stupida a metterti a pregare un malfattore, che vuole vendicarsi con te. Vedi quel­lo che ti fa: t'inchioda sulla croce come lui; vedi il male che ti fa. Calpestalo e digli che tu vuoi essere buona, e non un malfattore; lui ti crede cattiva e per questo t'inchioda sulla croce; sputagli in faccia, digli che ti lasci stare, ché ti guido io. Allora io baciai Ge­sù per dispetto a lui, e dissi tra me: «O Gesù, invece ti ringrazio di tante grazie, io ti voglio amar tanto» (p. 324). Anche nell'estasi 39 a : «Anch'io, Gesù!. .. Ma dunque, Gesù mio, non resti mai offeso, quando io faccio tutte quelle cosacce? ... Ma stamani, Gesù, hai veduto, Gesù mio, quelle che ho fatto in confessiona­rio?» (p. 61).

Un'altro tipo di vessazione spirituale consisteva nel mettere in cattiva luce i direttori della sua co­scienza. Scrive infatti al Volpi di quanto le accadde una volta, dopo uscita di confessionale: «Ieri ,sera quando uscii di confessionario, stetti tanto male: il diavolo mi cominciò a dire tante brutte cose di Lei, bestemmie, cose sudicie; mi diceva che la notte mi avrebbe fatta a pezzi, se non avessi acconsentito a quello che lui mi diceva. Mi aveva messo tanta paura, che ero proprio disperata, e ci mancò poco che ... » (Lett. 2S a , p. 346). Quanto a P. Germano, così Gemma descrive la sua ambascia, alla M. Giuseppa: «Avevo perduto affatto la fiducia nel babbo mio. Il mio nemi­co, quel cosaccio del diavolo, che è pieno d'infiniti inganni, mi faceva vedere così chiaro che P. G. [= P. Germano] voleva perdermi l'anima, che io ci avevo creduto così bene, che Esso stesso ha durato fatica a dissuadermi da questa cosa. Gesù mi ha illuminato, ho conosciuto me stessa, ho conosciuto lo stato mio.

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Ma mi avvedo che per la mia rovina sta lavorando e faticando ancora il diavolo; e Lei, mi raccomando, chieda a Gesù che lo faccia fuggire, e che lo disperda prima che mi divori» (Lett. 8 a, p. 429). E poco prima scrive allo stesso P. Germano con un candore com­movente: «Il demonio sapesse quante tentazioni mi dà sul suo conto. Ora mi fa credere che Lei sia un matto, un indovino, ecc. ecc.» (p. 252).

Sappiamo dalla stessa testimonianza della Santa che il diavolo per ingannarla ha usato lo stratagem­ma di prendere la figura del Crocifisso e dello stesso Mons. Volpi con tanto di mitria in testa seduto in confessionale ad ascoltarla, come la Santa descrive in modo pittoresco nell'ultima risposta alle domande di P. Germano (p. 292) e letto 6 a (p. 19); giunse anche a prendere la figura dell'Angelo Custode(6). E dalla testimonianza dei Giannini, soprattutto di Cecilia, sappiamo che il nemico torturò la povera Gemma fi­no sull'ultimo, come risulta anche dalle ultime lette­re a P. Germano (1l6 a , 117 a , 120 a , 124a , 130a ... ) e nel­la penultima (66 a ) al Volpi.

3. - Ossessioni-Possessioni. - Le ossessioni e pos­sessioni diaboliche, secondo la teologia mistica, non costituiscono di per sé peccato né castigo del pecca­to: anche se, per l'angustia della nostra mente, è dif-

(6) Per es. la letto 6" a P. Germano, p. 19 s.; Estasi 32", p. 49. Su queste apparizioni ha scritto e deposto ampiamente P. Germano nel Summ. nr. XI § 63-69, p. 538 ss. Vedi un'allusione esplicita anche nell'e­stasi 38": «Oh m'inganna!. .. Come fare, Gesù, a non lasciarmi inganna­re? .. Quel che mi voleva far credere!. .. Gesù, mi voleva far credere che tu sei un tiranno ... Il mio Gesù un tiranno ... Dunque, Dio mio, tutto il tem­po che ho speso nel pregare, è tutto perduto? Mi dice ancora che il confes­sore m'inganna; dunque per le parole del Confessore io dovrò perder­mi? .. Aiutami tu, o buon Gesù! Dimmelo!. .. » (p. 58). Il diavolo ritorna nel­l'estasi 44": «Non finger tanto, che ti conosco oggi: bugiardo!. .. Ahi!. .. te l'avevo detto che eri un bugiardo ... bugiardo ... bugiardo!» (p. 69).

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ficile capirne la finalità qualora non fosse quella di eccitare in noi l'orrore per il peccato. L'odio del ne­mico per Gemma era causato soprattutto per il suo zelo nella conversione dei peccatori, di espiare per loro. Le Lettere e le Estasi ne danno una testimonian­za di alta tensione e commozione, dando a capire che la conversione dei peccatori è quasi la «finalità eccle­siale» della prova d'amore che Gemma dà a Gesù con la partecipazione ai dolori della sua Passione: di qui la lotta del diavolo. È proprio al tempo della tempe­sta per la verifica medica delle Stimmate, nella letto 8 a al Confessore (settembre 1899), che Gemma si rad­drizza sotto il rimprovero di Gesù: «Per queste cose accadute, era qualche giorno che non pensavo più ai peccatori. Gesù mi ha conteso e mi ha detto che non dovevo pensare che ai poveri peccatori; alle altre co­se farà da sé» (p. 320). Gesù vuole che faccia « ... la disciplina due volte al giorno, una volta per i miei peccati e l'altra per i peccatori» (Lett. 19 a , pago 337). Durante il carnevale (febbraio 1899) Gesù si lamenta: «Figlia mia, anch'Io non ne posso più dai cattivi trat­tamenti che mi fanno: questo è proprio un momento di tanti brutti peccati, che io non posso più resistere. Tu col tuo soffrire trattieni il castigo, che il Padre mio ha preparato per tanti poveri peccatori. E non lo fai volentieri?» Ho risposto di sì» (Lett. 24 a, p. 346)(7). È per questo infatti, per la conversione dei peccatori, che Gemma sarà vittima e Cristo il sacrifi­catore: « ... per placare lo sdegno che il mio Padre ha verso i peccatori» (Lett. 27 a, p. 350). E questo di-

(1) Anche nella lettera seguente Gesù le confida di essere stato con lei tutta la notte e che contava i momenti per venire dentro di lei: «Lasci pure che tanti cattivi mi offendano; ma tu vieni vicina a me, ché sempre ti aiuterò; vieni a cibarti di Me stesso, e cosÌ mi ricompenserai delle loro sconoscenze» (p. 347).

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venta il tema dominante delle estasi: « La vittima di tutti i peccatori voglio essere io, Gesù. O dimmelo, Gesù, che li vuoi tutti salvi» (E. 9 a, p. 18). Di qui l'ira del diavolo.

Sembra che anche Gemma - alcune volte, come accadde ad altri servi di Dio - abbia per divina per­missione dovuto subire proprio ossessioni e posses­sioni diaboliche le quali però mai intaccarono il fon­do della sua anima e l'esercizio della sua libertà che rimase sempre unita con Dio. Infatti nella letto lOa al Confessore scrive che durante una tentazione del diavolo « ... dissi tanti spropositi, ma io non li volevo dire: mi venivano detti »(8). In quelle pietose condi­zioni il diavolo lo faceva fare atti da ossessa: si getta­va in terra, si avventava sulle persone, se queste le presentavano qualche oggetto di devozione, sputava addosso al Crocifisso e all'immagine di Maria. Nella stessa lettera leggiamo ancora che, mentre in uno di questi accessi la signora Cecilia e un Passionista pre­gavano per lei, « ... io mi sentivo dal diavolo mordere dentro; mi davano il Crocifisso, ma non potevo pren­derlo ».

E narrata la tentazione del « bel giovane» sopra indicato, aggiunge: « lo a tutte queste cose non ci avrei mai voluto acconsentire, ma mi venivano dette certe brutte cose contro il povero Gesù. - Dopo aver-

(8) Lett. p. 323 (Vedi l'ampia nota 2 degli editori. Verso la fine del­la sua vita Gemma racconta a P. Germano gli « ..• scherzi di Chiappino la mattina prima e dopo la S. Comunione: gli accessi così nervosi che mi prendono nella mattinata con scosse per tutto il corpo da far tremare il letto; un peso enorme posato sopra di me, da non potermi muovere, e cento altri scherzucci» (Lett. 130', p. 305). Diventava allora tanto pe­sante che occorrevano più persone per sollevarla. In uno di questi acces­si era presente il già nominato P. Provinciale P. Pietro Paolo e Gemma gli afferrò la corona del Rosario facendola in vari pezzi» (Cfr. Summ. nr. XVII, § 126, pago 779).

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mi detto tutte queste cose mi lasciò ». È chiaro quin­di ch'era una forza esteriore alla sua volontà che glie­le faceva pronunciare ed è Gesù stesso che subito la tranquillizza, come si legge anche per S. Caterina da Siena in un'occasione simile: « Figlia mia, non mi hai offeso niente perché tu non hai acconsentito» (p. 324). Infatti nella seguente letto Il a racconta il se­guente dialogo con Gesù, dopo essere uscita da una forte tentazione: « Gesù mio, dove eri tu, quando mi sentivo in quel modo? ». E Gesù: « Figlia mia, ero con te, e molto vicino ». « Dove?» gli dissi. « Nel cuore ». « O Gesù mio, se tu fossi stato con me, non avrei avu­to simili tentazioni. Chi sa mai, Dio mio, quanto ti avrò offeso? ». « Ma che ne avevi forse piacere? ». « Tanto tanto dolore invece ne avevo ». « Allora, figlia mia, consolati: non mi hai offeso per niente ». Gesù continuava a tenermi in braccio, e mi diceva; «Guar­dami ». lo non ho mai avuto coraggio di guardarlo, e mi diceva: «Se tentazioni anche più grosse ti man­dassi, tu che faresti? ». «Gesù, purché non ti offenda mai, e poi mandami quel che ti pare. Vedi, Gesù, -gli dissi - è il mio corpo che si risente, ma saprò io farlo stare zitto. Tante volte piange, non mi vor­rebbe dar retta, ma ci penso io. Ieri sera pareva che si volesse rivoltare, quando ero per fare la disciplina, ma lo feci poi chetare dandogli dei colpi assai sodi ». (p. 326 s.).

Il problema pertanto dell'innocenza e quindi del­la santità di Gemma è fuori discussione: ma quale alone di orrore e di terrore non evoca per noi questa situazione! Intanto ci occorre anche qui il superiore humor di Gemma quando, ormai affranta dalla ma­lattia, scrive a P. Germano: « ... tanto io che Lei col demonio ci siamo amici, è vero? Senza però imbratti l'anima» (Lett. 129 a , p. 302).

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4. - Il dramma esistenziale - Il problema che pone (per chi scrive, almeno) l'interrogativo più arduo non è quello che riguarda i rapporti esteriori di Gemma col diavolo i quali non hanno compromesso affatto, come si è visto, la sua libertà. Anche nella mirabile ultima lettera a P. Germano del 18 marzo 1903 (inte­stata alla Madonna: «Mamma mia! », come già abbia­mo osservato) Gemma dichiara con mano ferma: « Del resto del diavolo non ne ho quasi più paura nep­pure io, benché alle volte mi trovi sola, di notte, pie­na di spavento, con le convulsioni sul punto dei tra­vagli, con un peso enorme addosso da non potermi muovere, e mille altre cose. Eppure come non ho i sintomi dei travagli e dei dolori, sto zitta. Del resto grido, grido forte, e mi volgo a Gesù promettendogli amore, madre mia, amore per parte di tutti» (p. 306).

Il problema resta tutto per noi ed è il problema biblico e teologico generale del « concorso» del diavo­lo all'esecuzione del «piano di salvezza» (Heilsplan) della divina Provvidenza rispetto all'uomo, una volta che il diavolo che, secondo la fede, è l'Angelo ribelle, è diventato l'antagonista di Dio. Ed è per l'istigazione di Satana che anche l'uomo disobbedisce e si ribella a Dio che lo condanna ad andar ramingo sulla terra ed a fare la «sua» storia nel conflitto continuo della libertà come tensione per il bene e il male: il libro di Giobbe l'ha descritto in modo drammatico. Ma co­me per la tentazione dei primogenitori, il tentato re si presenta da sé ai due ignari: così anche per Giobbe il tentato re si presenta da sé a Dio per sfidarlo a met­tere in prova l'uomo ricco e felice. Ed anche per Cri­sto, Satana si presenta da sé. (9). Qui allora il pro-

(9) Mt. 4,1 SS.

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blema sembra puramente metafisico: quello della possibilità o capacità da parte di uno spirito finito, sia puro (angelo) sia incarnato (uomo), di compromet­tere e ostacolare perciò il piano e il volere di Dio. Un problema che, dal punto di vista intellettualistico, o non esiste o non ammette soluzioni (IO). Questo pro­blema esiste per ogni uomo; non è un problema spe­ciale di Gemma, ed è squisitamente esistenziale. Ci s'intenda bene: anche il problema del male in genera­le e dell'intervento del diavolo nella storia sacra (bi­blica) è di natura esistenziale: ma è di primo grado, se così si può dire, poiché - come già si è osservato - l'iniziativa (contro Dio) è presa (solo) dal diavolo. Resta sempre il problema - insolubile per via teore­tica, malgrado tutte le teodicee - perché Dio potendo impedire, non abbia impedito ed anzi l'abbia permes­so. E la stessa morte di Cristo in Croce sembra una vittoria, sia pure temporanea e apparente (ma, a qua­le prezzo per Cristo!) del «Principe di questo mondo ».

Il problema esistenziale di Gemma è di secondo grado cioè alla intensità della seconda potenza e si presenta arduo e complesso:

a) Qui è Gesù stesso, come si è visto, che la minaccia di ricorrere, ed effettivamente ricorre, ai «servizi abbominevoli» del diavolo per torturare l'umile vergine come castigo delle sue presunte man­canze.

('0) Non esiste tale problema nel razionalismo di tipo umanistico che risolve i diversi nell'identico; non ammette soluzione neppure nel ra­zionalismo volontaristico di tipo individualistico che fonda la realtà nella possibilità ch'è la libertà vista nella sua apertura infinita. Né Schleierma­cher nelle Reden aber Religion o nel Der christliche Glaube, né Hegel nelle Vorlesungen aber die Philosophie der Religion conoscono il demo­niaco personale teologico. Per Hegel infatti la distinzione di bene e di male si pone soltanto allivello della «Coscienza immediata» (unmitte/ba­res Bewusstsein, Dasein), non ancora riconciliata con se stessa nel «Con­cetto» (Phdnomen%gie des Geistes, ed. J o. Hoffmeister, Leipzig 1937, spec. p. 537 ss.).

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b) Queste torture diaboliche, pur risparmiando la perla della purezza della Santa, la mettevano però in uno stato di violenza attiva contro cose e perso­ne sacre, come si è visto.

Anche in questo, nella contesa a tu per tu col dia­volo, Gemma è stata testimone del soprannaturale ed ammessa per divina disposizione alla esperienza di­retta dell'orrido teologico nelle sue forme più insi­diose e ripugnanti, che chiarivano all'anima turbata, ma non sgomenta, la differenza abissale fra il bene e il male, fra la grazia e il peccato, fra il cielo e l'in­ferno ... , fra la santità e la malizia, fra la luce e le tenebre con una profondità e drammaticità di vita vissuta ben superiore a quella fantastica di Dante, Milton, Byron ... Siamo quindi agli antipodi del «sa­cro» teorizzato come numinoso dal teologo liberale Rudolf Otto all'inizio del nostro secolo sulla scorta di Lutero e delle religioni panteistiche orientali e di­spiegato nella nebulosità amorfa del mysterium tre­mendum, terrificante, superpotente, energico, fasci­noso, portentoso ... ch'è indicato, nella scia di Kant (<< Critica del giudizio ») come astratta categoria a priori accanto al «sublime» ("). Nel caso di Gemma, com'essa si trova in un contatto diretto con Gesù, la Madonna, gli Angeli e i Santi così la presenza tene­brosa del male e dello spirito perverso, il «sacro» dell'orrido diabolico riveste forme reali, di persone (omaccioni ... ) e di bestie reali (scimmie, gatti, cani...)

(") Cfr. R. Otto, Das Heilige. Uber das Irrationale in der Idee des Gottlichen und sein Verhiiltnis zum Rationalen, 26 bis 28 Auflage, Miin­chen 1947, specialmente cc. 4-9 e 16-19, p. 12 ss. e 132 ss., tr. it. di E. Buonaiuti, II ed., Milano 1966, p. 17 ss. e 163 ss. Il «terrore demoniaco» è ridotto ad un fenomeno di «autosuggestione, una specie di incubo di psicologia collettiva », ad un «momento dello stato grezzo» (das Rohe): c. 18, p. 153 ss., tr. it. p. 130 ss.

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che la tormentano in tempi reali (specialmente la not­te e fin sul letto di morte) con situazioni reali (percos­se, bestemmie, insinuazioni false, parvenze inganna­trici, perfino - come si è detto - assumendo la figura di Mons. Volpi nel confessionale di S. Michele ch'è an­cora conservato a Lucca). Il diavolo, nella figura di omaccione, l'accompagna borbottando per la strada, per spaventarla, ed essa riesce a liberarsi rifugiandosi presso le Suorine Barbantine. Gesù e il cielo, il diavo­lo e l'inferno sono per Gemma egualmente familiari ma lasciano l'animo del lettore sospeso e sorpreso.

Ora ci si può domandare - con tutto il rispetto per la teologia, anzi invocando il soccorso dei suoi lu­mi - se il momento a) cioè il fatto che Cristo prenda direttamente il diavolo come «collaboratore» nell'o­pera della purificazione dell'anima di Gemma non contrasti apertamente in generale con la santità di Dio ed in particolare, sul piano esistenziale, con l'A­more Misericordioso di Cristo nostro Salvatore: che ci può essere in comune fra Cristo e Belial?

Ed in secondo luogo - quanto al momento b)'che sotto l'aspetto esistenziale è forse ancor più contur­bante, anche se non ci sono state riferite le espressio­ni che Gemma pronunciava in quelli accessi di violen­za (<< mi venivano dette »); come si può spiegare che Dio e Gesù Cristo mettano direttamente Gemma nelle con­dizioni di pronunciare siffatte espressioni concitate e irriverenti, di esprimersi in atti violenti di repulsione contro cose e persone sacre? Queste domande si pos­sono anche variare e sviluppare al fine di mettee me­glio a fuoco il problema, e possono riguardare sia il diavolo, sia Gemma, sia Cristo e Dio stesso(12).

(12) Il diavolo è, secondo la fede cristiana, l'altro protagonista della storia sacra nella contesa per il possesso delle anime e la sua azione, nella vita degli individui e nella storia dei popoli, costituisce il myste­rium iniquitatis (II Thess. 2,7).

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1. - Non c'è motivo - la nostra ragione cioè non vede - perché Cristo, nell'opera della santificazione di un'anima, debba ricorrere all'opera del diavolo, che non può essere che perversa, cioè realmente cat­tiva, almeno estrinsecamente e nel caso di Gemma, come si è visto, ciò è evidente. Anche Gesù, è vero, è stato tentato (Matt. 4, 1 ss.): ma solo di cupidigia, orgoglio, ambizione, mai l'ha spinto contro Dio per­ché lui stesso era Dio! Può qui, nel caso di Gemma, affermarsi che il fine giustifica i mezzi? Poiché gli atti (parole, atteggiamenti violenti ... ) che il demonio faceva prendere a Gemma - certamente contro la volontà di Gemma che avvertiva la violenza del feno­meno - erano intrinsecamente riprovevoli. Riprove­vole era senza dubbio il contegno del diavolo con Gemma, quando si metteva a bestemmiare(13) ed a prendere atteggiamenti laidi e sconci fino a tentare di violentarla come si è detto. È vero, nei momenti più brutti Cristo spesso interveniva a liberarla. Ma che paura! dice spesso Gemma. E poi la natura per­versa del fenomeno diabolico, anche a questo modo, non cambia.

2. - Il diavolo, nel sentirsi chiamato a quest'impre­sa di poter tormentare fisicamente e mentalmente un angelo in carne, non può sentirsi che lusingato e pro­var piacere nell'esercitare la sua opera di perversio­ne. Si pensi al diavolo che può apparire a Gemma (con rappresentazione esterna ed interna) in figura di Cri­sto stesso, del Crocifisso tutto piagato ... o in figura

(13) Per le bestemmie, ricordiamo ancora la letto 22 a al Volpi (p. 342) e il Diario: « ••• il diavolo s'avvoltolava per terra, bestemmiava}} (p. 184).

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dell'Angelo custode(i4), di Confratel Gabriele o del Confessore ... : che pacchia per l'angelo ribelle! Giob­be aveva altercato direttamente con i tre amici, non a tu per tu col diavolo. Grazie alla sua ingenuità e innocenza alle volte, è vero, Gemma si è perfino di­vertita alle buffonate del maligno, punzecchiandolo con la sua fresca vena toscana - e ne ebbe la proibi­zione poi dai suoi direttori. Ma la realtà di «afferma­zione» dell'opera del diavolo, nell'ambito stesso della salvezza, resta. Ed è sconvolgente, anche per noi.

3. - Lo scontento e la pena di Gemma di fronte a siffatte vessazioni del demonio si mostravano, co­me si è visto, ai confini della disperazione.

È vero che Gesù le aveva predetto, nel panorama delle tribolazioni per la sua purificazione, l'opera dei demoni ma non al punto che avrebbero preso le sue sembianze. Stando sul piano esistenziale: data la te­nerezza e lo slancio devoto dell'anima di Gemma, non c'era pericolo che l'ingenua fanciulla cadesse nel tra­nello?(iS). Cosa doveva ovvero cosa poteva pensare Gemma di un Gesù che provava e «amministrava» i sentimenti più teneri del suo cuore verginale verso la sua Passione, e poi incaricava il diavolo a rappre­sentare - chiedo scusa del termine irriverente, ma

(14) La vuoi dissuadere dall'andare a confessarsi: « ... 'È perché? che ci vai a fare tanto spesso? non sai che è un imbroglione il tuo Confes­sore?'. E mi rinvenni di cosa si trattava; allora colpi da farmi scuotere. I! mio Angelo non mi parla mai in simile guisa ». (Diario, sabato 25 agosto 1900, p. 209).

(15) Qualche volta ci cadde, anche se in parte soltanto. È merito so­prattutto di P. Germano di averla guidata con mano sicura in quei fran­genti per smascherare il maligno il quale lo prende di mira come attesta la stessa Gemma nella citata letto 106 a : «E il demonio sapesse quante tentazioni mi dà sul conto Suo. Ora mi fa credere che Lei sia un matto, un indovino, ecc. ecc; altre volte mi fa risuonare all'orecchio queste paro­le: 'O sì, fidati di Lui, di quel pezzo di ciarlatano; o che si ha fatto mai credere!. .. ' Ora me lo presenta come finto, ecc. ecc» (p. 232).

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è la realtà - quelle pagliacclate sacrileghe? Comun­que, una grande prova della fed.e di Gemma.

Le stesse osservazioni possono riprendersi sotto al tro aspetto:

1. - Che pensare del fatto che Cristo stesso abbia permesso, anzi inviato lo spirito impuro a profanare il sacramento stesso della penitenza, assumendo il diavolo la figura del Volpi, mettendosi al suo posto nel confessionale di S. Michele per ascoltare la con­fessione di Gemma e ammannirle poi i suoi consigli gaglioffi? È probabile che fenomeni diabolici simili siano successi, cioè permessi, ad altre anime sante, ma per Gemma non è Gesù stesso - e chiediamo an­cora scusa ai lettori e perdono a Dio dell'espressione - che sembra farsi complice del «gioco sacrilego» di profanazione di un sacramento da parte del nemi­co di Dio e delle anime? L'unica risposta che taglie­rebbe la difficoltà alla radice, sarebbe l'attribuire ta­li «fenomeni» alla fantasia esaltata di Gemma, cioè negarli alla radice che sarebbe un negare la realtà dei fatti.

2. - Non si tratta pertanto di «gonfiare» dei fan­tasmi: i fenomeni delle vessazioni diaboliche di Gem­ma hanno avuto testimoni degni di fede che hanno deposto con giuramento nei processi. Che pensare al­lora del fatto che il diavolo stesso diventò pressapo­co il «protagonista» della storia di Gemma? dev' es­sersi compiaciuto assai il maligno, soprattutto quan­do - come risulta dalle testimonianze - più Gemma si avvicinava alla fine e più Gesù e gli aiuti del cielo si ritiravano e più il diavolo sembrava avesse la via libera. Sembra che anche il fallimento della agognata entrata in convento che aveva avuto (come diremo)

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tutte le garanzie del cielo, sia stata una vittoria di Satana(16). Ed è il diavolo ancora che le guasta i rapporti con Giulia, la sorella angelica e diletta ( 17). E sembra che anche tutto il guaio combinato da Mons. Volpi col dottor Pfanner per la verifica delle Stimmate, sia stata una macchinazione del maligno, a giudicare da quanto la Santa invoca nell'Estasi 39 a

(giugno 1900) «O Gesù, io da te oggi voglio una gra­zia, voglio che tu mi liberi da quel cattivo, senza che Monsignore faccia tutto quel che vuole fare. Non mi­ca per non soffrire ... ». E la poverina supplica Gesù come «prova d'amore» che lo mandi ... all'inferno: «Ma mi ami proprio, Gesù? Ma, se mi ami, liberami da quel birbante, prima che Monsignore faccia quel che vuoI fare; ma via, Gesù, assicurami di nuovo: Be­nedetto Gesù! Benedetta Maria!' .. lo soffro sempre, ma più poi quando quel birbante si avvicina. Via, mandaI o all'inferno ... » (p. 60 s.). Che pensare ancora di questi contrasti, anzi di queste contraddizioni esi­stenziali che sembrano volute da Gesù a bell'appo­sta?

3. - Gesù, fin dai primi giorni del 1903, sembra abbandonarla del tutto: cessano tutti i fenomeni straordinari, le dolcezze, le illuminazioni.. .. , salvo

(16) « Possibile che Gesù non voglia mantenere le sue parole? Ma dunque non mi vorrà Passionista? Sarò forse stata ingannata dal nemi­co? E se ciò fosse?» (lett. 3 a a P. Germano, p. 13).

(17) Vedi specialmente le lettere dei primi di luglio 1901 l. 70 a ,

71 a '" (p. 185 ss.). La buona sorella aveva ancor poco più di un mese di vita, poiché mori il 19 luglio (Lett. 116 a , p. 279). Nella letto 121 a del 27 ottobre del 1902 Gemma attribuisce a Giulia la grazia « di ravvedermi, di convertirmi e di prepararmi a morire. Che bella grazia! lo l'attribuisco a Giulia, che è andata in Paradiso sono ora 8 giorni» (p. 286). Era Giulia che difendeva in casa la sorella maggiore dalle sfuriate, come sappiamo dalla scena della zia arrabbiata: «stasera non ce l'hai la tua sorella a difenderti, che è Giulia» ch'essa racconta a Mons. Volpi (Lett. 16 a ,

p.332).

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sembra qualche sprazzo, ogni tanto. La situazione certamente era prevista da quando Gesù le aveva an­nunziato le tre fasi della sua purificazione: dolore amoroso, amore doloroso e notte scura scura... Ma non le era stato predetto che proprio il diavolo, pro­prio in quella notte della sua giovane vita, avrebbe avuto via ancor più libera! Le ultime lettere a P. Ger­mano hanno a questo riguardo espressioni strazianti: «Il demonio mi fa guerra accanita e chissà che non mi abbia tutta nelle sue mani» (Lett. 120 a , p. 285). Si sente svagata: «Ecco le mie occupazioni. Strani pen-sieri, tentazioni ... e mai penso a cacciarli dal cuore e dalla memoria ... O babbo! (Lett. 123 a , p. 290). È an-gosciata dalla salvezza: «Dio mio, dimmelo: mi salve­rò o mi dannerò? » (lett. 124 a, p. 291). È quasi dispera­ta(18), senza bussola ormai e rileggiamo ancora il te­sto più impressionante: «Ma non mi raccapezzo; in me vi è del mistero, è tutto opera di un diavolo, che mi ha trascinato all'inferno, e ci sono, sa, poco ci manca: le forze mi diminuiscono e sarò preda del dia­volo. La disperazione vorrebbe prendermi: ma, o Mamma ... Mater orphanorum» (Lett. 125 a , p. 294).

Tutto ormai è fallito e la povera inferma s'avvie­rà sola incontro alla morte fra il ghigno del diavolo che continuava, quello sì, a starle accanto e a tor­mentarla. È vero che nell'ultima lettera al caro bab­bo lontano, al quale già abbiamo fatto ricorso, la san­ta sembra abbia raggiunto la serenità di fondo, anche rispetto al diavolo: Madre mia, ho tante promesse da ricordare a Gesù; ma Gesù è nascosto, poco o nulla mi ama, mi vuole poco bene; del resto Lei lontana no, no, no. Il Nunc dimittis lo dirò io, ai miei ultimi

(18) L'aggettivo è di Gemma, come già abbiamo letto.

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istanti» (lett. 131 a, p. 306 s.)(IY). Sono espressioni di una tensione estrema di un'anima che cammina al buio fitto, della notte oscura per l'ultima purificazio­ne nel totale isolamento prima che cali il velo della morte.

(19) Espressioni simili, tenere e sofferenti, si leggono nella letto sa alla Serafina di Roma: «Che buio, sorella mia, ma un buio che non so come dire» (p. 452).

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CAPITOLO TERZO

L'OSCURA EVIDENZA DEL SOPRANNATURALE

1. Gemma sente, ma... non capisce

Mistica fra le più profonde dei nostri tempi, S. Gemma Galgani sfida o piuttosto scoraggia ogni dot­trinarismo e qualsiasi riduzione a qualche sistema di teologia mistica. La sua esperienza è del tutto singo­lare e, per esprimerci in termini un po' formali, non è propriamente né immediata né mediata, né diretta né indiretta: forse, se non fosse irrispettoso (ma Gemma, certamente, non se ne avrebbe a male) l'e­sperienza ch'essa descrive è «per direttissima! ». De­scrive quel che vive, quel che esperimenta di volta in volta nelle celesti comunicazioni e dice come lo vive e lo esperimenta. Ma così, alla svelta, senza pen­sarci sopra, senza indugi o rifiniture: lei stessa affer­ma che non rileggeva lo scritto e gli originali presen­tano rare correzioni, probabilmente immediate an­ch'esse. Più frequenti invece le brevi aggiunte, a lettera chiusa, per rinnovare le sollecitazioni, per im­plorare, per supplicare con espressioni più ardenti e accorate, per raccomandare ancora un'anima, per precisare qualche punto o dubbio o desiderio o pe­na ... in cui l'anima sua era immersa.

I caratteri che sembrano più evidenti del suo

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contatto col mondo soprannaturale sono sorprenden­ti e vorremmo quasi dire disorientanti: Gemma sente, ma non capisce. Il problema è quanto mai affascinan­te e l'unica via, ma è uno stretto sentiero per inol­trarci un po' nel suo labyrinthus animae, è ascoltarla e seguirla in qualche punto saliente della sua breve e fiammeggiante vita.

A. - Autobiografia. Ancora piccina, la santa mam­ma Aurelia prendendola in braccio, l'informa della malattia che presto l'avrebbe portata al sepolcro, e Gemma osserva: « lo capivo ben poco e piangevo, per­ché vedevo piangere la mamma ». - « E dove si an­drebbe?» - gli(1) chiedevo. - «In Paradiso, con Gesù, con gli Angeli ... » (p. 223). Questa impressione del Paradiso, avuta fra le braccia della mamma mala­ta, non si cancellerà più dalla sua anima. Anche, do­vendosi preparare alla Cresima, pensarono d'istruir­la « '" un po', perché non sapevo nulla» (ibid.): forse non frequentava ancora l'istituto delle Zitine o Obla­te dello Spirito Santo e qui non dice da chi fu istrui­ta, come invece dirà ampiamente per la Prima Comu­nione. Ma anche in quest'occasione confessa di esse­re « ... tra le molte la più negligente e la più distratta: ... ascoltavo le prediche, ma ben presto le dimentica­vo» (p. 227).

Ormai sui diciannove anni (Gemma scrive 15!) chiede al Confessore il permesso di fare il voto di verginità « ... ma non sapevo cosa fosse» (p. 238). An­che qmmdo S. Gabriele le appare in sogno e la chia­ma: «Sorella mia!», la Santa annota: «Non capivo nulla di tutto questo}} (p. 246). Quando le appare lo stesso Gesù tutto «grondante sangue >} e poi chiede

(l) Così scrive Gemma.

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al Confessore come fare ad amarlo, la risposta non la convince: «Non mi persuase questa risposta: non ne capii affatto niente» (p. 255). Ospite delle Salesia­ne per la festa della professione di 4 novizie, aspetta di essere chiamata in refettorio per il pranzo, ma vie­ne dimenticata: subito è consolata dall'Angelo ... e lei: «Non capii nessuna di quelle parole, ma sentii che consolarono il mio cuore» (p. 259). Questo «sentire» è proprio di Gemma e fa da controparte al suo «non capire ». Anche quando la Santa ha già avuto il segno delle Stimmate « ... che più tardi conobbi essere vere, ma per quel momento non capii» (p. 264).

B. - Anche nel Diario, nel testo della rivelazione circa il terribile cammino di sofferenze e d'incom­prensioni che l'attendeva e che Gesù l'avrebbe tratta­ta « ... nella stessa maniera che trattò Lui il Padre Ce­leste », Gemma, umile e tutta frastornata, commenta: « lo mi sono messa a piangere, a pensare tutte queste cose, che non ci capisco nulla» (p. 285), ma le viene subito in aiuto l'Angelo Custode. E, rispondendo ad alcune domande di P. Germano, ad una, riguardante i colloqui con Gesù, confessa la sua incapacità di pe­netrare i misteri di Dio: «Facendo poi alcun poco di riflessione capii (che) è impossibile capire la lode che ha Iddio per se stesso, ché nessuno la può capire. La mia mente ha principio, ha fine, ma la lode che Dio ha, non avrà mai fine» (p. 251).

E qui Gemma è anche buona teologa e fa eco al «comprendere di non comprendere» di Kierkegaard, circa l'oggetto della fede di origine agostiniana e an­che pascalianae).

(2) «Una definizione della fede, cioè il concetto cristiano della fe­de. Cos'è credere? È volere (ciò che si deve e perché si deve) in obbedien­za riverente e assoluta difendersi contro i pensieri vani di voler compre n-

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c. - Lettere. La Santa ha qui espressioni ancora più sconcertanti, trattandosi dei rapporti diretti con le guide della sua anima.

a) P. Germano. Informandolo del permesso avuto dal Confessore di corrispondere con lui circa le cose sue « ... anche le cose interne, ma non capisco quali siano. Forse sono queste: come mi sento verso il mio caro Gesù» (p. 30).

Ma verso la fine di questa letto lOa ritorna: «Vor­rei dirle tante cose dell'interno, ma non so quel che sono» e chiede che il Padre le faccia delle domande (p. 32). Nella letto 35 a il testo è più pregnante ed apre uno spiraglio sull'arduo problema. Dopo la Comunio­ne (il 17 dicembre 1900) alla domanda di Gesù - « ... dopo 18 giorni ha rimesso fuori la sua vocina più fina ancora» - come prima cosa: «Gemma, devo tirare avanti il lavoro mio?». Ho risposto di sì, senza sapere che volesse dire. «Mi conosci sempre?». «O babbo mio, Gesù ... Gesù ... rimpiattato mi domanda se anco­ra lo conosco. E poi quando era per sparire, sapesse quello che mi ha detto! Diceva così: 'Quale credi che sia la grazia più grande che ti faccio qui sulla terra?'. Non sapevo che rispondere. 'Te lo dirò io - ha detto - di tenerti sul Calvario '. «Nel sentir dire Calvario ho cominciato a capire qualcosa. Evviva!» (p. 102). Era infatti la sua vocazione di Figlia della Passione. Ma non è ancora entrata nel mondo della luce. Nella letto 40 a il contrasto diventa doppio: « ... Gesù è venu­to, ha fatto sempre al solito: in quel momento a me

dere e contro le vane immaginazioni di poter comprendere ». (Diario Xl A 368; III ed. Brescia 1981, t.V, nr 2285, p. 235). E «l'obbedienza della fede» di S. Paolo (Rom. 1,5). La fede dell'anima in grazia può avanzare in caligine fidei con i doni dell'intelletto e della sapienza che Gemma ebbe certamente in grado eminente.

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mi cresce il desiderio, e Gesù si nasconde nel mio cuore sì bene, che è impossibile trovarcelo (sic!). Per due volte mi ha ripetuto stamattina: i Amore vuole amore; fuoco vuole fuoco '. Che significano, babbo mio, queste parole? Quel benedetto Gesù da me non si fa mai capire». (p. 112 s.).

Ed ancora, agli ultimi di marzo 190 l, nella lett. 53 a, dopo aver espresso la sua gran paura di dannar­si ed è confortata prima dall' Angelo e poi da Gesti stesso: « Credi forse che io non sia capace di fare un miracolo, o sopra di te o sopra Monsignore? Non ca­pii nulla, babbo mio. Preghi Gesù che glielo spieghi». (p. 143).

b) Anche a Mons. Volpi, nella letto 50 a riferendo della sua vocazione al dolore, « prima acuto nello spi­rito e più tardi acuto nel corpo», commenta: « Di que­ste cose non so dire nulla, perché non le ho capite» (p. 380). E già prima, dopo un'estasi ch'era seguita ad una terribile tentazione e ad una carica di percos­se del diavolo da farla cascare per terra, osserva: « lo non capii nulla di tutto questo» (p. 359).

Gemma quindi è stata chiamata a vivere in un mondo fuori dal mondo ed è immersa in situazioni che « non capisce». In cosa consista, e la domanda non sembri strana, questo « non capire» di un'anima che era (quasi) di continuo immersa in Dio, occupata in visite e manifestazioni celestiali, non è facile spie­gare e prima ancora non è per niente possibile « capi­re». Esso costituisce il secretum cordis fra Gesù e Gemma, l'abisso di grazia della loro intesa, che Gem­ma « sentiva»: era quest'avvertenza del « sentire» il modo di essere di siffatte comunicazioni. Ma anche su questo le nostre parole, come forse presto vedre-

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mo, si dissipano nella medesima nube di luce della vocazione di Gemma a Figlia del Crocifisso.

Sorprende pertanto in Gemma, fra le molte altre cose, la quasi totale assenza di riflessione nel senso abituale e cioè di ritorno della mente sulle cose cono­sciute e di confronto dei loro rapporti per far opera­re la ragione. Gemma per suo conto, è un'espressione che ricorre di continuo, dice che «non capisce »(3) le cose che le si dicono e neppure spesso quando le dicono Gesù e le visioni: Gemma invece «sente» ed il rapporto con le visioni è quello di «sentire» quasi come l'animarsi di un organo preternaturale dell'ani­ma. Anche qui si rinnova la situazione di tensione, quella da una parte del non capire - che dava spesso agli astanti, che non la conoscevano nell'intimo, l'im­pressione di svagata e stupidella - e dall'altra l'ecce­zionale capacità di penetrare i misteri dell'anima e le verità della fede non «discorrendo» con la ragione elevata dalla fede ma quasi «correndo» al mistero per un'apprensione immediata del fundus animae; il­luminato dalla grazia.

«Non capisce ... » A. - L'Autobiografia è quasi il documento più esplicito e continuo di questa situa­zione paradossale.

1) Già nei primi ricordi, quando la mamma grave­mente malata e vicina a morire l'invita a seguirla in Paradiso, Gemma osserva: «lo capivo ben poco e pian­gevo, perché vedevo piangere la mamma ... » (p. 223).

(3) Forse questo «non capire» dei mistici significa che essi non rie­scono ad inserire nel corso delle componenti (sensazioni, immagini, con­cetti ... ) della vita ordinaria i contenuti (parole, immagini, concetti ... e so­prattutto esperienze) delle celesti comunicazioni.

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2) Ancora un ricordo della mamma per la devo­zione alla Passione: «La mamma, quand' ero piccina, mi faceva vedere il Crocifisso, e mi diceva ch'era morto in croce per gli uomini; più tardi poi lo sentii ripetere dalle maestre, ma mai avevo capito nulla ... » (p. 226).

3) Anche dopo il rimprovero dell'Angelo per l'at­to di vanità di portare l'orologio d'oro: «Queste paro­le mi fecero paura, come paura mi fece quell' Angelo: ma poco dopo riflettendo a dette parole, senza capir nulla, feci questo proponimento ... » (p. 235). Si badi bene: il passaggio al proponimento avviene con una riflessione d'amore e non di comprensione razionale.

4) A 15 (19) anni insiste col confessore per fare il voto di verginità ... «ma non sapevo che cosa fosse» (p. 237). Dopo aver fatto il voto di verginità, ottenuta la licenza dal confessore, la sera le appare confratel Gabriele che l'esorta a fare quello di essere religiosa e poi l'accarezza con un: «Sorella mia!» sorridendo. E lei: «Non capivo nulla di tutto questo» (p. 246).

5) Per aver saltato il pranzo - una dimenticanza da parte delle Mantellate dove si trovava - Gesù la castiga col non farsi sentire per alcuni giorni, ma poi le manda l'Angelo che la consola: «Felice tu, o figlia che meriti sì giusto castigol. .. » E lei, come già abbia­mo letto: «Non capii nessuna di quelle parole, ma sen­tii che consolarono il mio cuore» (p. 259).

6) Dopo le Stimmate, Gesù le fa un forte rimprove­ro (<< sei troppo querula nelle avversità, troppo perples­sa nelle tentazioni e troppo timida nel governo degli af­fetti ») con parole che più tardi conobbi essere adatte al vero, ma per quel momento non capii» (p. 264).

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7) Dopo la rivelazione di Gesù in un'Ora Santa del 1899, che le presentava il quadro orribile delle sofferenze che l'aspettavano, Gemma conclude scon­solata: «lo mi sono messa a piangere, a pensare a tut­te queste cose, che non ci capisco nulla ... » (p. 285).

8) Nella risposta già citata alla 5 a domanda di P. Germano (<< Che cosa hai detto a Gesù e che ti ha detto lui in questi tre giorni ... » aggiunge: «Facendo alcun poco di riflessione capii [che] è impossibile ca­pire la lode che ha Iddio per se stesso, ché nessuno lo può capire. La mia mente ha principio, ha fine; ma la lode che Dio ha, non avrà fine. E quando noi lo lodiamo non siamo noi, ma è Lui che si loda in se stesso. Fa' che ti possa avere, Gesù: allora ti loderò» (p. 291). Profonda lezione di teologia della grazia!

B) Al Padre Germano con il suo solito stile di­retto:

1) « ... Devo manifestargli ogni più piccola cosa. Anche le cose interne, ma non capisco quali siano. Forse sono queste: come mi sento verso il mio caro Gesù» (Lett. lOa, p. 30). E verso la fine: «Vorrei dirle tante cose dell'interno, ma non so quel che sono. Il Confessore avrebbe piacere che mi facesse delle do­mande e allora mi sarebbe forse più facile capire» (p. 32).

2) - È un testo capitale per l'esperienza del Deus absconditus: «Gesù dopo 18 giorni ha rimesso fuori la sua vocina più fina ancora. Mi ha domandato la prima cosa questa: I Gemma devo tirare avanti il mio lavoro?' Ho risposto di sì, senza sapere che volesse dire. (Lett. 35 a p. 101 s)!

3) Dopo la S. Comunione (20 gennaio 1901) Gesù

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le ripete: « Amore vuole amore; fuoco vuole fuoco». E Gemma: «Che significano, babbo mio, queste paro­le? Quel benedetto Gesù da me non si fa mai capire (Lett. 40 a , p. 113).

4) In un momento delicato con Mons. Volpi in un testo citato poco fa: «E Gesù mi disse al cuore: I Cre­di forse che io non sia capace di fare un miracolo o sopra di te o sopra Monsignore?' Non capii nulla, babbo mio. Preghi Gesù che glielo spieghi» (Lett. 53 a,

p. 143).

5) Nella mirabile lettera 63 a, Gemma si sente co­me bruciare dalle fiamme e legare «senza nessuna catena» a Gesù ... e smania: «Glielo dico chiaro: quel che desidero e voglio. Non lo so neppure io ... Cerco e non trovo, ma poi non so che cerco [ ... ]». E perfino: «Sento di amare, ma chi amo non lo intendo, non lo capisco ... Ma nella mia tanta ignoranza sento che v'è un bene immenso, un bene grande. È Gesù» (Lett. 63 a , p. 167).

C. - Anche allo scettico Mons. Volpi nel testo in parte già citato dell'ottobre 1900. Dopo un'esortazio­ne forte di Gesù sul tema abituale: «O figlia siccome l'amore mi si dimostra col dolore, tu d'ora in poi lo sentirai acuto nello spirito, e più tardi acuto nel cor­po», Gemma commenta: «Di queste cose non so dire nulla, perché non le ho capite» (p. 380).

E già prima nel giugno raccontando che in una visione del Cuore di Gesù il diavolo le appioppò « ... tre o quattro colpi così forti» e che essendosi rivolta a Gesù « ... sentii darmi una bastonata sì forte nella spalla sinistra, che cascai per terra, senza rompere nulla» - aggiunge: «lo non capii nulla di tutto que­sto» (Lett. 34 a , p. 359).

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Si ha pertanto l'impressione che Gemma viva contemporaneamente, all'interno delle stesse divine manifestazioni, quasi in due mondi: è inondata dalla luce e spesso anche dalla gioia del «fenomeno so­prannaturale», e insieme si sente immersa nell'oscu­rità del suo significato e del rapporto - ed è l'aspet­to più importante - ch'essa può e deve avere con la sua anima. Di qui anche le sue innocenti brame di stare vicina a P. Germano, come anche i lamenti per il «buio» dell'anima sua: «Quanto buio, è vero? sopra di me! Ma il babbo mio stia attento ... » Ed alla medesima Serafina di lì a non molto e con accento desolato e amoroso insieme: «Che buio! Sorella mia, ma un buio che non so come dire. Gesù non c'è per me; la Mamma sì, Lei mi vuole sempre bene, quasi ogni mattina mi guarda, mi bacia, ma quasi sempre piange. Povera Mamma mia!» (Lett. sa, p. 452). È ve­ro che il mondo soprannaturale la occupa continua­mente ma con tocchi interiori più che con disco,rsi, mediante «prensioni» (per dir così!) più che com­prensioni(4): è l'intelletto amoroso di compassione che opera prevalentemente in lei, è il suo cuore che «sente}} le voci arcane(S).

II. Ma sente ... A - Anche qui è l'Autobiografia che subito ci accompagna.

(4) Sono rare le elevazioni teologiche riflesse di Gemma (Trinità, Incarnazione, Eucaristia ... ).

(5) I corsivi seguenti per il sentire sono del compilatore. Questo « sentire» d'immediatezza soprannaturale (se così è permesso dire), va distinto dal « sentire » nel significato solito che ovviamente si trova anche in Gemma: p. es. nella postilla alla letto 2 a al P. Germano che proprio all'inizio porta il senso speciale, come vedremo: «Ogni volta che mi pare di sentire quelle parole ecc.» (p. Il).

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l) Dopo la S. Cresima (26 maggio 1885), mentre ascoltava la Messa e stava angustiata per la ma­lattia della mamma, ecco che « ... tutto ad un trat­to una voce al cuore mi disse: 'Me la vuoi dare a me la Mamma?' «Sì - risposi - ma se mi prendete anche me» - «No, - mi ripeté la stes­sa voce - dammela volentieri la mamma tua. Tu per ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in cielo, sai? Me la dai volentieri?» Fui costretta (!!) a rispondere di sì; finita la Messa, corsi a ca­sa. Mio Dio! Guardavo la mamma e piangevo; non potevo trattenermi » (p. 224). È il primo espli­cito incontro di Gemma col mondo soprannatu­rale e l'inizio del suo martirio: aveva allora 7 anni.

2) Dopo l'esperienza decisiva del Crocifisso, viene l'esperienza di Gesù Eucaristico e qui il «senti­re» attinge il fondo dell'anima della bambina che spasimava d'incontrare il suo Dio: «Furono alla fine appagati i miei sospiri. Intesi allora per la prima volta la promessa di Gesù: «Chi si ciba di me, vive della mia vita »(6) - Babbo mio, ciò che passò tra me e Gesù non so esprimerlo. Gesù si fece sentire forte forte alla misera anima mia. CapiiC) in quel momeno che le delizie del Cielo non sono come quelle della terra. Mi sentii presa dal desiderio di rendere continua quell'unione col mio Dio. Mi sentivo sempre più staccata dal mondo, e sempre più disposta al raccoglimento ». È il textus princeps del segreto della vita interio­re di Gemma: questo «sentire» copre e colma

(6) Autobiografia, p. 227. (1) Questo è un «capire », come risulta da tutto il contesto, di deri­

vazione esperienziale e non concettuale.

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l'assenza fenomenologica della conoscenza im­mediata trasferendo l'anima nel mondo vivente della grazia. Ed il «fenomeno» si ripeteva ad ogni Comunione: «Due o tre volte la settimana facevo la Comunione: Gesti si faceva sempre più sentire; più volte mi fece gustare consolazioni grandissime» (p. 229).

3) Alla prima apparizione di S. Gabriele ed alle suc­cessive, mentre stava leggendo la sua vita con immenso slancio dell'anima, ecco che comincia a vederselo vicino ... : «Qui, babbo mio, non sò spiegarmi: sentivo la sua presenza. In ognÌ atto, in ogni azione cattiva che avessi fatta, mi tornava alla mente confratel Gabriele» (p. 245).

4) In occasione della miracolosa guarigione il 23 febbraio 1899 «... pochi momenti prima della mezzanotte, sento dimenare una corona, e sento una mano posarmi sopra la fronte» (p. 247). Era S. Gabriele venuto a guarirla per l'intercess~one di S. M. Margherita Alacoque (3 marzo 1899).

5) Ora, specialmente dopo la guarigione miracolo­sa, le è spesso vicino l'Angelo Custode ed il Ve­nerdì Santo (31 marzo 1899) l'ammonisce di esse­re più forte e che non piangesse quando «aveva da fare qualche sacrificio a Gesti, ma ringraziassi quelli che mi davano occasione di farmeli fare ». E qui la Santa ancora: «Fu questa la prima volta e anche il primo venerdì che Cesu si fece sentire all'anima mia così forte ». Segue la comunione miracolosa: «... e benché non ricevessi, perché era impossibile(8), dalle mani del sacerdote Ge-

(8) Era infatti Venerdì Santo e fino alla nuova riforma liturgica po­teva comunicare (sotto le specie del pane) solo il Celebrante nella cosid­detta «Messa dei Presantificati ».

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sù vero, pure Gesù venne da sé e si comunicò a me» (p. 254). Tutto il seguito del testo non è me­no mirabile, non meno dell'umiltà della fanciulla che confessa tremante: «Gesù continuava intanto a farsi sentire ogni giorno di più all'anima mia e riempirmi di consolazioni» (p. 255).

6) Di qui il passo risoluto sulla via del patire ed è Ge­sù che le fa «sentire ... »: «Due sentimenti e due pensieri insieme mi nacquero nel mio cuore, dopo che per la prima volta Gesù si fece sentire e vedere grondante sangue. Il primo di amarlo, e di amarlo fino al sacrificio» (p. 255). [ ... ] L'altra cosa che mi nacque in cuore dopo aver veduto Gesù, fu un gran desiderio di patire qualcosa per Lui, veden­do che aveva patito tanto per me» (p. 255).

7) Di fronte all'apparizione del Crocifisso « ... mi sentii tutta internamente raccogliere ... » (p. 256). Per castigo di aver saltato il pranzo, per timidez­za (Gemma dice: «per la superbia! ») di avvisare le suore ... Gesù mi dette un castigo, cioè quello di non farsi sentire per più giorni» (p. 259). Quin­di il «sentire» Gesù era in Gemma un fenomeno quotidiano.

8) Il sentire sfolgora col pentimento dei peccati nel­la preparazione immediata all'impressione delle Stimmate: «Eravamo alla sera: tutt'a un tratto, più presto del solito, mi sento un interno dolore dei miei peccati; ma lo provai così forte che non l'ho più sentito; quel dolore mi ridusse quasi di­rei lì lì per morire. Dopo questo mi sento racco­gliere tutte le potenze dell'anima ... : erano pensie­ri di dolore, di amore, di timore, di speranza e di conforto» (p. 261) cioè ancora sentire!

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9) Dopo la guangIOne miracolosa, sente desiderio del Paradiso e avversione per il mondo: « Oh, co­me si sta male nel mondo, cioè al secolo! Dal mo­mento che mi alzai da letto, sento un'avversione per tutto che io non so dirlo; ho tanta paura, non mi so spiegare ... » (p. 278). Questo stato d'animo si ripeteva soprattutto quando voleva slanciarsi verso Gesù « ... con un gran desiderio di amarlo, di lodarlo. Ma la mia miseria allora si faceva I sentire' e ... come potrò, mio Dio, lodarti? E com­prende ch'è impossibile capire la lode che Iddio ha, non avrà mai fine» (p. 291).

10) Anche nel Diario l'espressione ritorna nei conte­sti soliti: 17 agosto 1900: « Gesù, appena è arriva­to sulla mia lingua (cagione tante volte di tanti peccati), mi si è fatto sentire. Non ero più in me, ma dentro di me Gesù ... » (p. 199). E già il 19 lu­glio nella prima relazione, mentre a letto pensa­va alla Crocifissione di Gesù: « Sul primo. non sentivo nulla. Dopo qualche momento mi sentii un po' di raccoglimento: Gesù era vicino ... e mi trovai con Gesù, che soffriva pene terribili... Mi sentii allora tutta in un gran desiderio di patire e chiesi a Gesù di farmi questa grazia» (p. 165). Anche sabato 28 luglio, dopo la S. Comunione « ... dopo quasi un mese Gesù si fece sentire» (p. 178). Due giorni dopo il 30 luglio, per essersi gin­gillata nel dubbio se fare o non la Comunione: « ... poi ha vinto Gesù, e l'ho fatta, ma come? Che freddezza! Gesù non l'ho sentito per niente» (p. 181). Cos'era mai allora questo « sentire»? Certa­mente un tactus intrinsecus all'anima di Gemma per realizzare la presenza e azione di Cristo in lei.

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B - Ovviamente l'espressione abbonda anche nel­la corrispondenza con P. Germano.

1) Già nella letto 2 a dell' Il febbraio 1900 Gemma postilla: «Stamani dopo la SS. Comunione, Gesù mi è parso che si è fatto sentire, Padre, che mo­menti! Ma per qualche tempo tutto è finito ». (p. Il). Nella letto 31 a (25 novembre 1900), dopo aver raccontato le esperienze dolorose quasi continue che non lasciavano riposare neppure la notte, fi­nisce: «Stanotte è stata una notte un po' brutta: non ho mai sentito Gesù, e ho sempre patito: sta­mani presto credevo ... » (p. 91). E invece venerdì Santo, 5 aprile 1901: « .. .la Comunione non si po­teva fare, pure Gesù a una certa ora della matti­na mi si è fatto sentire ... » (p. 145)(9).

2) Nella letto 57 a del 22 aprile 1901, mentre Gesù la muove a compunzione: «Ed ora, babbo mio, sentisse il mio cuore. Anche che abbia fatto pian­gere Gesù, pure Esso mi vuole sempre bene, e mi si fa sempre sentire. Anche troppo forte ... sentis­se la forza che debbo farmi, quando sono con persone e parlano di Gesù ... del Cielo ... » (p. 152). Nella letto 60 a del 10 maggio 1901, in un impeto di fervore provato in Chiesa davanti a Gesù Sa­cramentato esposto, chiede ingenuamente al

(9) In questo contesto si può ricordare {( l'esperienza del Sangue» [di Cristo] descritta nella lett. 42 a del 3 febbraio 190 l a P. Germano: {( Ieri sera il giorno della purificazione; la mattina me lo dette Lei tanto Sangue a bere? Dopo la Comunione mi sentii tutta la bocca piena di sangue. Co­m'era buono! Come mi faceva bene!» - e la Santa afferma di averne fatta l'esperienza per una settimana da venerdì a venerdì dell'ottobre passato (p. 119 s. - Vedi al riguardo la nota 2 degli Editori). Un'esperienza simile è raccontata nella lett. 41 a àl Volpi (p. 369 s.) che gli Editori data­no nell'agosto-settembre 1900, ma forse va riportata all'ottobre secondo la precedente indicazione della Santa.

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buon babbo: «Sentì nulla?» (corsivo di Gemma). Gesù, il potente Re dei cuori, sembra che ammol­lisca anche il mio duro cuore» (p. 159).

3) Nella letto 64 a del 12 giugno (una di quelle prese e portate dall'Angelo), mentre lo ringrazia della preghiera che gli ha lasciato, aggiunge: «Ed oh! babbo mio, quante volte in questo tempo, pro­prio con tutto il mio povero cuore (non sono pa­role mie però, sono parole di Gesù, che in certi momenti si faceva sentire all'anirria mia) ... » (p. 170). Un contesto simile nella letto 75 a del 18 ago­sto: «Padre, Padre, non posso più reggere ... dopo la Comunione; no, non posso più reggere e pensa­re che Gesù si fa sentire all'ultima sua creatura che gli si manifesta con tutti gli splendori del suo cuore ... » (p. 197). Il seguito della lettera lo spiega con gioiosa ampiezza.

4) Parimenti squillante per la sua trasformazione in Cristo è la letto 83 a del 5 ottobre 1901 ave, dopo aver raccomandato al buon babbo le angustie della «nostra sorella Carlotta» (Puccinelli ?), con­tinua di se stessa: «Me fortunata, ché Gesù si de­gna di accogliere una miserabile quale sono io! Sì, Gesù è in me, io sono tutta sua; aspetto la gra­zia però di essere tutta in Lui trasformata ... Po­vero Gesù! Ogni mattina dopo la Comunione Ge­sù, il mio buon Gesù, si fa sempre più sentire; mi chiede se l'amo [ ... ]. Se mi esamino poi, mi sento venire meno, mi sento mancarla ». E com­menta alla grande: «E quanto mi consola il mio caro Gesù! Non posso fare a meno di dire: 'Gesù, ogni volta che mi sono rivolta a te, è cessato, sempre in me l'interno affanno. La tua grandez-

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za, Signore, è senza termine: la tua bontà è senza difetto' (p. 213). Ecco l'effetto del sentire!

5) Un contesto di luce straripante, simile al prece­dente, è quello della letto 85 a : «A dì 13 ottobre 1901 ». Dopo un prologo sull'offerta alla Madon­na della sua fantasia, espone lo stato della sua anima: «Sono più giorni, che dopo la SS. Comu­nione Gesù si fa sentire in modo, che quasi direi di non reggere, e di morire; e mi parla di certe cose, che mi ci è voluto la volontà di Gesù per farmele capire» (p. 216). Segue l'implorazione di Gesù per la riparazione dei peccati. Il centro è quindi l'Eucarestia e da Lucca scrive a Roma, tutta infiammata: «Gesù sta ancora esposto sul­l'altare? Ci corra ... » [e l'informa di alcuni fatti strani, si lamenta di non aver avuto il permesso per gli Esercizi a Corneto ma si rassegna e con­clude:] «Corra da Gesù, sta ancora esposto, Lo sento. Gli dica che mi prenda nel suo Paradiso» (p. 245 s.).

6) Commovente per l'umiltà la confessione della letto 114 a del 20 luglio 1902, certamente fra le più profonde per la sublimazone di tutti i senti­menti: «Ma Gesù, il caro Gesù, mi ama anche in questo modo, continuamente si fa sentire all'ani­ma mia. Ho una cosa sola di buono, caro babbo, ed è la buona volontà; quella mi pare di sentirla ». Poi racconta come la mattina del 12, circa le 8 3/4 « ... sentii tutto a un tratto un'interno raccogli­mento e mi parve di sentire che Essa, M. Giusep­pa, chiamasse me» (p. 271). La Santa non aveva ancora perduta la speranza di essere accolta al Monastero delle Passioniste di Tarquinia, accan­to alla pia religiosa.

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c - Non diverso, anche se più contenuto, è il lin­guaggio col confessore. Qui abbondano, data l'incre­dulità del Volpi alla realtà soprannaturale dei feno­meni di Gemma, le cautele delle espressioni: «Mi è parso, ... mi pareva, ... mi sembrò» - che si trovano del resto anche nella corrispondenza con P. Ger­mano.

1) Nella prima lettera del maggio-giugno 1899 rac­conta che mentre si trovava in S. Michele, aspet­tando di confessarsi, prova una grande conten­tezza: «Stavo tanto bene che non credevo di esse­re nel mondo e neppure in chiesa: ero con Gesù». E aggiunge: «Stamani non l'ho neanche sentito». A questo proposito è importante la chiusa, per il suo atteggiamento di fronte ai «fenomeni» in cui si trova immersa, specialmente a partire dal­l'impressione delle Stimmate (8 giugno 1899) -questa lettera però sembra antecedente. Si tratta di una dichiarazione formale rispetto alle· sue «cose» che sente tanta ripugnanza a manifestare da disobbedire, come per l'impressione delle Stimmate, agli stessi ordini celesti e per le quali non troverà mai pace, temendo di essere ingan­nata fin sul letto di morte. Monsignore è scettico, ma Lei deve obbedire e ha l'ordine di dire tutto: « È già tempo che gli dico certe cose, e ora la ver­gogna mi dovrebbe essere passata; ma invece sento che ogni volta che devo scrivere e mi devo confessare, mi cresce; ma non è vergogna, non lo so come potrei dire, quasi paura» (p. 310). È la paura dell'incontro col Soprannaturale.

2) Bisogna arrivare alla lett; 49 (ottobre 1900) per ritrovare il «sentire» nel suo senso forte. La San-

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ta si trova davanti a Gesù che ha le Piaghe tutte aperte che versano Sangue. Gesù l'invita a parte­cipare: « ... Vieni, avvicinati, guarda queste pia­ghe, toccale ... » Ma Gemma, conscia dell'atteggia­mento negativo del Confessore, non osa: «Poi si smise di parlare, ma nel vedere Gesù in quello stato, stavo tanto male, e mi pareva di sentirmi qualche cosa nelle mani e nei piedi; ma, appena me ne avvidi [per obbedire al Confessore], mi al­zai, scappai subito, lasciai lì Gesù, e così obbedii e fui contenta ». E Gesù stesso è rimasto conten­to, poiché la sera Gemma torna a vedere e Gesù non c'era più. La mattina seguente, dopo la Co­munione, Gemma dichiara: « ... l'ho sentito: era contento, contento ... » (p. 378). Ma cos'è allora questo « sentire» di Gemma di fronte alle appari­zioni di Gesù e delle altre personalità e fenomeni soprannaturali ?

Abbiamo una risposta dalla stessa Gemma (circa il 7 settembre 1900) alla richiesta precisa pòstale da P. Germano: «Come (Gemma) veda e senta Gesù» (lO). La risposta insiste nel «senti­re» ed è tra i testi mistici più penetranti per farci accostare o intravvedere qualcosa oltre l'ultimo velo che ci nasconde il mistero del soprannatura­le. Bisogna perciò leggere il testo integrale, ba­dando con somma cura ai vari passaggi nella pre­sentazione di quella misteriosa Voce, come ripor­tiamo più sotto» (Il).

('0) La stampa ha: «Come la Santa ... » che non può essere certamen­te di P. Germano, ma il titoletto apposto dagli Editori. Gemma risponde che sente la voce di Gesù che la ferisce più di una spada. Dalle comunica­zioni che leggiamo nelle Lettere e nelle Estasi si deve ammettere che Gesù non si fermava alle «impressioni» ma che usava un discorso articolato e spesso la stessa Gemma lo trascrive e trasmette ai suoi Direttori.

(") Estasi ... p. 287.

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Il pensiero è integrato dalla risposta alla se­conda domanda: « Che cosa senta nell'essere con Gesù». Lo stile è sempre piano, ma l'anima sale di grado in grado fino a inabissarsi nel possesso di Gesù che ogni tanto fa emergere il ricordo e il dolore dei propri peccati: sempre lo sfondo del peccato!

a) Astrazione completa dei sensi: «Mi sento come fuori di me, non distinguo dove mi trovi, se sia fuori dei sensi oppure ... in una pace, in una tran­quillità, che mai ho provato. Mi sento come attrar­re da una forza; ma non è una forza fatta con fati­ca, è una forza dolce »(12).

b) Pienezza di amore di dolcezza: Quando poi mi tro­vo nella pienezza della dolcezza che sento di posse­dere Gesù, dimentico affatto se sia nel mondo: sento che la mente è piena, non ha che desiderare; il cuore non cerca più nulla, perché ha con sé un bene immenso, un bene infinito, che a nessuno può assomigliarsi, un bene senza misura, senza di­fetto; ed è Gesù che mi riempie ».

c) Completa quiete dell'anima: «Né prima né dopo mi viene poi fatto volontariamente di cercare e de­siderare alcuna cosa, perché è troppa la dolcezza che Gesù nella sua infinita bontà e carità mi fa gustare ».

(12) L'espressione «forza dolce" richiama - non certo da parte di Gemma! - la «gentle, kind force" con la quale Hume pretendeva spiega· re la connessione fra le idee o rappresentazioni della coscienza che gene­ra la « fede" (faith, belief) nella verità (Cfr: D. Hume, Treatise on Human Nature, A, I, 1, sect. IV; ed. Selby-Bigge, Oxford 1928, p. 12 e spec. l'Ap­pendix dove H. precisa la natura del belief (fede) come feeling (sentimen­to) che muove e guida \'immaginazione (p. 623 ss. - Cfr.: C. Fabro, La fenomenologia della percezione, II ed. Brescia 1961, p. 102 55.).

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d) Alle volte sente forte dolore dei peccati: «Non sempre però è amor di dolcezza; alle volte sono così compresa da un forte dolore dei miei peccati, che mi sembra ne abbia a morire »(13). Il «senti­re» di Gemma è quindi lo stadio supremo della unione della sua anima con Dio sulla terra, uno stato intensivo di abbandono totale per lasciare le creature e inabissarsi in Gesù che la riempie e possiede totalmente.

Un'ultima osservazione od obiezione. La Chiesa nella liturgia «commemora» i principali misteri del­la vita di Cristo: dall'Annunciazione ai vari momenti del Vangelo dell'infanzia, della vita pubblica ... - per­ché allora privilegiare la Passione e la «situazione del dolore» attribuendole una contemporaneità reale - sia pur mistica - all'offesa di Dio ch'è il peccato dell'uomo? La risposta sembra quella che col peccato c'è la «novità» di essere, rispetto al bene e al male da parte della libertà dell'uomo nel suo esercizio nel tempo e ciò non vale per gli altri misteri. Bisogna evitare come già osservato, certamente di pensare che in Cristo, Verbo incarnato ed ora glorificato, la sua natura umana sia in statu patiendi com'era du­rante la Passione e Morte in croce: altrimenti lo stato di chenosi rimarrebbe anche alla destra del Padre e la glorificazione allora, anzi la vittoria sul peccato con la risurrezione, sarebbe vanificata. Ammettiamo pure che Cristo nell'Orto abbia (pre-)visto tutti i pec­cati di tutti gli uomini e sofferto per ciascuno di es­si. .. Ma l'essere finito che compete ad ogni atto libero umano ha la sua verità reale solo nel presente della decisione e della sua esecuzione, ed è un presente fi-

(11) Estasi ... , p. 288.

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nito, ex parte hominis; essenzialmente in un certo punto del tempo: ed è rispetto a questo «punto del tempo» che va « riferito» il dolore di Cristo per i no­stri peccati. A questo ci porta il nuovo concetto esi­stenziale di tempo umano in funzione della libertà.

Ritornando a Gemma, che « sente e non capisce », è ovvio che si tratta di un sentire passivo, sopranna­turale, effetto speciale della vita di grazia, come ben conosce la teologia mistica. Lo ricorda anche S. Tom­maso come effetto del dono della sapienza citando lo Ps. Dionigi: «Ieroteo è stato istruito non solo con l'imparare ma anche col patire le cose divine »(14). È il magistero amoroso dell'anima con Dio ch'è offer­to a tutte le anime in grazia che vivono con fervore la vocazione alla santità. Sono queste le mozioni inti­me, a guisa «d'istinto divino », ch'è opera dei «doni» dello Spirito Santo(15) nell'anima in grazia come il fiore della suprema purificazione ed elevazione del­l'anima a Dio sulla terra.

(14) S. Th. P, q. 1, a. 6 ad 3. Cfr.: Ps. Dionigi, De divinis nominibus, c. 1, § 9 (P. G. 3, 648 B. Nel commento di S. Tommaso: c. I, lect. 4; Torino 1950, nr. 192, p. 59 e la nota critica 2 a, p. 60 s.).

(15) Cfr.: S. Th. p_IIac, q. 68, a. 1. L'anima mediante i doni dello Spirito viene meglio disposta a seguire le mozioni e gli impulsi della gra­zia quasi trascinata dall'istinto divino interiore.

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2. Il sentire sovrasensibile

Il programma di P. Germano, fin dall'inizio della direzione spirituale della Galgani, era che « Gemma dev'essere nascosta a Gemma» (Cfr.: Lett. 12 a , p. 35). Colpito dalla grandezza dei doni divini della sua ani­ma, il pio e dotto Passionista non favorì certamente la sete - non diciamo « curiosità » ... - che aveva la santa penitente di avere una chiara consapevolezza della strada su cui si trovava e del cammino arduo che stava facendo. Anzi, pur riconoscendo subito -a differenza di Mons. Volpi - il carattere sopranna­turale dei fenomeni straordinari di Gemma, egli volle da lei la prova che sapeva e poteva farne a meno e che riusciva perfino a disprezzarli. E Gemma obbedì, fino a respingere le apparizioni di Gesù, della Madon­na, dell' Angelo ... cioè di quel mondo che, per singola­re privilegio, era tantum suo: una prova di distacco, forse indispensabile, ma che fece soffrire molto e quasi disorientare la buona e semplice creatura. È difficile dire se la prova, come anche l'altra che fece P. Germano di interrompere per un anno intero tra il 1901 al 1902 la corrispondenza diretta con Gemma fosse l'espediente più adatto per comprendere e aiu­tare lo spirito di Gemma e per guidare le forze arca­ne che la muovevano. E la fine fu il compimento di questa « linea »: più il corpo si consumava nell'immo­lazione dei dolori per l'espiazione dei peccati, più an­che le luci dei fenomeni straordinari sembravano

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scomparire. La morte di Gemma costituisce una del­le pagine più sconvolgenti dell'agiografia cristiana e dà la misura di quel mondo «oscuro e tenebroso» che ci circonda nell'esilio terreno ed al quale la sua penna allude, spesso tremante, nella corrispondenza con i suoi direttori di spirito.

Morì infatti - così certamente permise Dio -abbandonata da loro e tormentata dal diavolo, l'uni­co rimasto al suo posto per straziare le fibre più deli­cate di quell'anima celestiale fino a strapparle il la­mento: «Ora proprio non ne posso più» - per chie­dere, supplice e umile come sempre, lei stessa la liberazione con la morte. E rivolgendosi ad un'imma­gine della Madonna, che pendeva incontro al letto, e con grande affetto, disse: «Mamma mia, raccoman­date voi a Gesù l'anima mia ». - Poi baciò il Crocifis­so, se lo strinse al cuore, chiuse gli occhi e così rima­ne come addormentata e sorridente, senza dare più alcun segno, che dimostrasse il momento in cui l'ani­ma sua se ne volò al cielo» (1).

Così la sua morte compì quella testimonianza del soprannaturale alla quale Dio aveva destinato, per singolare predestinazione, la breve sua vita fiammeg­giante del sangue e delle sofferenze della Passione di Cristo.

È stato riconosciuto ch'è impossibile oramai, nell' epoca della salvezza, trovare Dio senza Gesù Cri­sto. E Pascal ripete: «J ésus-Christ, J ésus-Christ. J e m'en suis séparé; je l'ai fui, renoncé, crucifié »(2). Ad un livello assai superiore lo ripetono i mistici so­prattutto l'innocente vergine lucchese. Ed è la sua ar­dente immolazione sulla Croce di Cristo per i pecca-

(1 Così Eufemia Giannini nei Processi: nr. XVIII, § 35, p. 821 s. (2) Pensées et Opuscules, ed. L. Brunschvieg, Paris 1917, p. 142.

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tori che ci spaventa e insieme c'incoraggia a sperare. Il messaggio di Gemma è in questo ritorno al {( sen­so» cristiano vissuto del soprannaturale. Gemma af­ferra tutto, l'intero mondo della vita soprannaturale, col {( sentire »: il suo sentire è {( vivere» le realtà mi­steriose dell'anima e della grazia dal loro profondo e questo suo sentire è come un essere afferrata e tra­sportata a vivere in quel mondo(3).

a) Il {( sentire sovrasensibile» CosÌ forse va presa la prima risposta già citata

ad alcune 'domande di P. Germano (<<In che modo ve­de e sente Gesù senza immagini e parole articolate »): {( Vedo Gesù, non cogli occhi del corpo, ma lo cono­sco distintamente, perché mi fa cadere in un dolce abbandono, e in quest'abbandono riconosco Lui ». Il medio conoscitivo è aldilà di ogni abilità creata e di possibilità operativa che non sia il lasciarsi prende­re. Il seguito spiega meglio e, più che spiegare, insi­nua e suggerisce il celestiale dialogo di comunicazio­ne mediante il {( sentire» tutto proprio di Gemma: {( la sua voce mi si fa sentire cosÌ forte, che più volte ho detto che mi ferisce più la voce di Gesù, che una spa­da a molti tagli, tanto mi penetra fino nell'animo; le sue parole sono parole di vita eterna ».

L'esperienza di Gemma non ha riscontro. Gesù che le si presenta è la trascendenza di pienezza della divinità, quasi come i massimi metafisici hanno adombrato la realtà senza confini del Primo Princi­pio. E Gemma lo vede come il Figlio di Dio: {( Quando vedo Gesù e lo sento (corsivo nostro), non mi sembra

(3) Le citazioni seguenti riportano le risposte di Gemma ad un que­stionario sulla sua vita spirituale redatto da P. Germano intorno al 7 settembre 1900 (Cfr.: Estasi, Diario ... , p. 287 e nota l).

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di vedere né bellezza di corpo, né figura, né un suono dolce, né un canto soave; ma quando vedo e sento Gesù, vedo (ma non mai cogli occhi) una luce, un be­ne immenso, una luce infinita, che da nessuni occhi mortali può essere veduta; una voce che nessun può udirla: non è voce articolata, ma è più forte e si fa più sentire (c.n.) al mio spirito, che se udissi parole pronunziate »(4).

Qui sembra non si tratti di una visione secondo nessuna delle sue forme classiche: né sensibile, né fantastico-immaginativa.

È piuttosto un contatto ineffabile col divino, co­me un'appartenenza e immersione nell'oceano infini­to della presenza dell'Amore infinito.

b) La «immersione totale» in Gesù, pienezza di tutte le perfezioni.

La Santa sa esprimersi in un modo egregio e af­fascinante, di molto superiore alle sue conoscenze teologiche e ciò si riscontra ovviamente anche nelle sue Lettere ed Estasi, ma qui è più condensato. Anti­cipiamo parte della risposta alla 3 a domanda (In qual modo faccia la meditazione): « Alle volte mi sem­bra di vedere in Gesù una luce divina e un Sole di chiarezza eterna. Un Dio grande, che non vi è nella terra e in Cielo cosa che non sia a Lui soggetta. Un Dio nel cui volere sta tutto il potere ». Il momento mistico si incontra con quello metafisico: « Dove maggiormente mi perdo, [è] nella sostanza di Gesù. Credo che sia una sostanza, che non vi sia né maggio­re né migliore. Tra i beni lo conosco il Sommo bene: un bene che da se stesso esiste. Ed essendo Gesù per-

(4) Vedi il commento di B. Matteucci, Pensieri di S. Gemma Galga­ni, Lucca 1961, p. 53 55.

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fetto, in Lui si trova ogni cosa. Mi perdo ancora nella sua bontà e qui quasi sempre la mente mi vola al Pa­radiso [ ... ]. L'anima mia ad altro non pensa che a scio­gliersi dalla carne» (p. 285). È .l'immersione totale.

c) L'alternarsi di dolcezza e di dolore. Dolcezza e dolore, amore e dolore, amor di dolo­

re e dolore di amore trasfigurano Gemma nell'amore e nel dolore del Verbo incarnato. Le Lettere e le Esta­si, con gli altri scritti di Gemma, non sono che un continuo, limpido, veemente rinnovarsi di questa esperienza dove, negli ultimi anni e specialmente, co­me si è visto, negli ultimi mesi, il dolore ha preso il sopravvento e l'abbandono di dolce attrazione ha ceduto il posto, per l'estrema prova di amore, all'ab­bandono di desolazione. È in questo salire con Cristo sulla Croce, in immolazione ed espiazione al Padre per i peccati del mondo - che Gemma continuerà a dire « suoi» - sarà l'ultima suprema testimonianza del soprannaturale vissuto ch'ella ci ha lasciato.

Questo Gemma l'aveva già manifestato nell'esta­si 68 a di giovedì 19 dicembre 1901 quando Gesù le manifesta che: « ... Ciò ch'egli più ama è la Croce ». E Gemma pronta: « La croce dunque sarà la mia con­solazione, la mia dolcezza, la gloria mia ». E spiega: « Allora gli feci la narrazione degli effetti che faceva in me la croce ». E qui il realismo dell'estatica mette i brividi: « Dissi che più volte gemerà il mio senso, si rattristerà l'amor proprio, fremeranno le mie pas­sioni, si risentirà la natura; ma il mio spirito fino da quel momento insieme alla mia volontà, confortata dalla grazia di Gesù, sarà forte »(5). Il seguito dell'e­stasi supera ancora l'attesa di questo preambolo.

(5) Estasi ... , p. 93. È l'unica estasi scritta dalla mano di Gemma per richiesta della signora Cecilia.

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L'altezza delle comunicazioni divine doveva quin­di in qualche modo bilanciare l'abisso della prova. Ecco: «Sempre irrequieta, sempre in cerca di un be­ne, di l,m bene grande, di un bene che mi acquieti, che mi consoli, che mi dia un po' di riposo ... )} (Lett. 92, p. 229). E, malgrado tanti spasimi, non sa come finirà e s'accorge che anche il suo «buon babbo)} non s'impegna ad aiutarla per entrare in convento: «Cer­to a me il luogo dove dovrò essere, (Gesù) me lo ha sempre nascosto)} (Lett. 99, p. 237).

S'ingannerebbe quindi chi la vedesse nuotare sempre in visioni e dolcezze paradisiache od anche l'immaginasse insensibile a tanti dolori fisici e mora­li: «lo mi son messa a piangere, a pensare a tutte queste cose)} cioè alla valanga di sofferenze, prove, tentazioni che Gesù le aveva predetto (p. 285)(6). L'Angelo si affretta a consolarla e a farle coraggio: « ... Ché dopo la tempesta torna la calma; che il gran patire è necessario all'anima mia; per ora non lo co­nosco, ma un giorno verrò a scoprire il gran segreto» (p. 286). E il segreto sarà che la sua vocazione è quel­la di assumere in sé, per quanto è possibile ad una fragile creatura, sotto l'irradiazione della grazia divi­na, tutti i dolori della Passione di Cristo.

Gemma sembra uscire fuori da tutti gli schemi della teologia e della mistica. Così il suo stile imme­diato e alle volte quasi infantile, specialmente con P. Germano, sa elevarsi con prosa solenne alle più pro­fonde considerazioni. Ecco, nell'ultimo scorcio della sua vita: «Babbo mio, e Gesù? Dovunque vada, mai

(6) È l'accenno di quanto Gemma ha già sentito da Gesù in un'Ora Santa negli « Appunti di Diario» (1899) circa le sofferenze orribili che l'attendono perché « Gesù ... vuoi trattarmi nella stessa maniera che trat· tò Lui il suo Padre Celeste» (p. 285).

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mi lascia, mai si scosta da me, perché certo ho cono­sciuto che senza di Lui non posso vivere; e alle volte penso e dico: Ma come, mio Dio, hai dimenticato tut­te le altre cose? non hai da guardare che me? E subi­to una luce mi si fa per la mente: che Gesù, nella luce immutabile della sua divina visione non cresca nel guardare solamente a una, a me sola, e neppure si diminuisce nel guardare a molte creature» (Lett. 111 a, p. 260)(1). Tale è stato lo spazio teologico di Gemma nel quale essa è entrata dolcemente fin dalla prima infanzia, quasi per assimilazione continua di un magistero segreto per singolare predestinazione.

La sua vita infatti si svolge su vari piani. Il primo è quello dell'ambiente familiare il quale, dopo la morte della santa mamma Aurelia, procurò spesso al suo spirito acute spine e gravi insidie: di qui forse quel suo dolorante senso del peccato, del guasto del­la vita come ancora l'ardore insaziabile di purezza e di espiazione. Poi l'ambiente religioso, veramente privilegiato, della Lucca del suo tempo: Mons. Volpi, la perla del clero lucchese ed esperto direttore di ani­me, delle religiose dell'Istituto di S. Zita fondato da quell'altra grande maestra di spirito che fu la B. Ele­na Guerra, guidarono l'anima di Gemma fin dai suoi primi anni. Infine il santuario segreto dello spirito di Gemma, ch'è lo spazio incomunicabile del suo mondo soprannaturale accoglie fin dai primi anni, soprattutto a partire dalla morte della mamma, co­municazioni di vita ineffabile che la stupiscono e la

(1) Eppure, benché elevata da Gesù stesso a tanta altezza di con­templazione, sappiamo che Gemma si serviva anche dei libri comuni di pietà come l'opuscolo dei Nove Vffizi del Sacro cuore di Gesù ed il cele­bre manuale «La Filotea» del canonico milanese Giuseppe Riva del quale imparò a mente (e poi trascrisse per Sr. Maria Bianchi) le «Giaculatorie per ogni circostanza» (Cf. Estasi ... , p. 306 ss.).

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segregano dal mondo e dalla stessa vita quotidiana. Gli squarci che ci offre l'Autobiografia fanno intrav­vedere spesso che Gemma, una ragazza di buona edu­cazione borghese, non ignorò le fiamme del male: protetta e difesa da una celestiale assistenza, non co­nobbe indugi nel realizzare quell'ideale d'immolazio­ne mistica che cresceva in lei da una fonte misterio­sa. Non stupisce allora il (ricordato) rapporto stretto che S. Pio X vedeva tra la testimonianza del sopran­naturale nella singolare vita di Gemma come contra­sto alla demolizione fatta dal modernismo mediante il principio moderno d'immanenza.

Nessuna meraviglia allora che, una volta ridotto l'Assoluto del dogma a semplice fenomeno culturale di un'epoca, anche i principi morali diventino mute­voli a seconda delle situazioni dell'« uomo storico» che pone se stesso perciò a «misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono »(8). Ed è strano, anzi gof­fo e ridicolo, che tanta smania di novità e originalità non sia che un ritorno al principio citato del relativi­smo scettico del V sec. a. C. Certamente per tutti co­storo - e sono legioni anche nella Chiesa del Post­concilio - il messaggio di Gemma fa sorridere, anzi esso urta ed irrita come un'offesa alla «dignità» cioè al principio moderno dell'autonomia dell'uomo. Se­colarizzazione radicale, quindi ch'è mondanità cioè «secolarismo» a tutto tondo(9).

(8) Diamo il noto testo di Protagora: «L'uomo misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono» (80 BI; Diels II, 263, 3-5).

(9) Heidegger, richiamandosi espressamente a S. Paolo, aveva mes­so in rilievo l'opposizione fra il concetto classico di «questo mondo» cioè un concetto di mondo completamente antropologizzato, con quello an­nunziato da Cristo, Figlio di Dio: il contrasto fra la «sapienza del mon­do» che si consuma nel tempo e l'attesa del mondo o epoca futura della

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Quanto a Gemma, sappiamo le ostilità che la pia fanciulla incontrò anche in una parte notevole del clero di Lucca e il corso dei Processi apostolici ne fa trapelare indizi inequivocabili: il demonio, suo ne­mico implacabile, non disarmava. Ma bisogna ricono­scere che la vita scritta da P. Germano operò il mira­colo di un'aurora di luce su tutta la Chiesa che si commosse e si confortò nella testimonianza di dolore e di amore riparato re dell'umile vergine lucchese. Stando alle testimonianze raccolte da P. Besi, la vita di Gemma del P. Germano (oltre le versioni nelle lin­gue europee) fu tradotta in giapponese dal P. Drouart de Lezey e, pubblicata in ben 5.000 esemplari, si esaurÌ in meno di due mesi. Il traduttore dichiara: «Giammai io avevo veduto un successo simile di libri nel Giappone! Viva Gemma! Questa Santa(lO) si è di primo colpo acquistato l'amore e l'ammirazione di tutti i cristiani Giapponesi; e quel che mi ha riempito di stupore, quello ancora di molti pagani, fra i quali vi sono studenti della Università Imperiale ».

Non stupisce allora di leggere nella lettera al P. Drouart del prof. Eugenio Sugita, docente nell'Uni­versità Imperiale, le seguenti entusiastiche dichiara­zioni che ripetono, certamente all'insaputa, il conte­sto di S. Pio X: «Che vita meravigliosa quella di que­sta Santa! Vittima di amore per Dio la serafica Vergine di Lucca sembra essere stata posta in questo

salvezza dove Cristo Salvatore sarà per l'uomo la vita, la verità e la luce. C'è quindi un mondo creato da Dio e che attesta Dio con la grandezza delle sue meraviglie e c'è il mondo delle mutevoli concezioni e passioni umane che non conosce e rifiuta Dio: è il mondo dei « dilectores mundi» di S. Agostino ossia di coloro che l'abitano « ... per mentis affectum» se­condo s. Tommaso (Vedi la citazione in: Heidegger, Vom Wesen des Grundes, III Aufl., Frankfurt a. M. 1949, p. 23 ss.).

(IO) A quest'epoca Gemma era solo Serva di Dio o Venerabile, se­condo la nomenclatura canonica del tempo.

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mondo per opporre il suo candore e la sua umiltà ai sofismi della moderna filosofia, invenzione del demo­nio (corsivo nostro!). Giammai bene più reale si è fat­to fra i nostri cattolici, quanto con la pubblicazione di questa biografia. Essa ha convertito dei cuori indu­riti, ha riaffermato la fede in altri e convertito buon numero di anime, come vorrà continuare per l'avveni­re. Ma la presenza di Gemma sembra ancor più im­portante, per il nostro clima ecumenico del post­concilio, e questo è l'elemento più inatteso della sua spiritualità come anche della sua missione ecclesiale: «E quel ch'è più rimarchevole - conferma il profes­sore giapponese - questa biografia, cotanto misti­caCI), ha potuto far riflettere certi dei nostri dotti pagani, che sono ormai stanchi delle cose troppo ter­rene. In verità la comparsa su questa terra di una san­ta come Gemma non è essa una prova di più della mi­sericordia di Dio verso la povera umanità? »(12).

Questa realtà è di evidenza solare per chi avvici­na gli scritti di Gemma ed era stata ben avvertita dai Testimoni dei Processi, anche da parte dei più umili: ma il suo «segreto» (quelle «cose occulte» che Gesù le rivelava, così come si legge anche di P. Pio)(13),

(11) Questa missione speciale di « risveglio del soprannaturale» nel­la vita di Gemma per sollevare le anime a distaccarsi dalle illusioni della vita terrena ed anelare ai beni celesti, è stata riconosciuta e mirabilmen­te descritta dal suo conterraneo il Card. Ermenegildo Pellegrinetti nelle due prefazioni all'ultima edizione (1941) delle Lettere, spec. p. XIII ss.; Estasi ... , p. VIII ss.

(12) I testi citati sono presi dal P. Besi: Responsio ad animadversio­nes R.mi D. Promotoris Fidei super revisione Scriptorum, ed. cit., p. 21 ss.

(13) « Poi continuò ancora, ma quello che disse, non potrò giammai rivelarlo a creatura alcuna di questo mondo. Questa apparizione mi ca­gionò tale dolore nel corpo, ma più ancora nell'animo, che per tutta la giornata fui prostrato ed avrei creduto di morirne se il dolcissimo Gesù non mi avesse già rivelato ... » (Epistolario, I, II ed. 1973, p. 351). L'ed. annota: «I puntini sono del padre Pio. Non è possibile determinare quale sia stato l'oggetto di questa rivelazione». Che Iddio gli abbia rivelato l'in­tensificazione dei carismi ed in particolare l'impressione delle stimmate, la santità nella conformità alla sua Passione e, come a Gemma, la futura glorificazione sugli altari?

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Gemma l'ha portato con sé. La copiosa letteratura at­torno alla sua disarmante personalità, a cominciare da quella gemma ch'è la biografia di Gemma di P. Germano, anch'essa - come qualsiasi scritto agio­grafico - si muove nell'orizzonte limitato del suo tempo.

Del resto Gemma stessa si lamenterà, come ve­dremo fra poco, che il suo « babbo» non capiva i mes­saggi che Lei gli inviava, i segreti che gli rivelava, né rispondeva sempre a tono ai problemi che gli po­neva accusandolo ... perfino di « scrivere a caso» (14). In realtà il buon Padre cercava di assolvere nel mi­glior modo la missione affidatagli da Dio e non era difetto suo (non tutto, almeno!) se la sua azione, co­me quèlla di Mons. Volpi, alle volte restava e cadeva più o meno « al di qua» del segno di Gemma cioè del­la trascendenza misteriosa del suo mondo. Le estasi, le rivelazioni, la comunicazione e familiarità quasi abituale con gli Esseri celesti, da parte di Gemma, specialmente nell'ultimo periodo della vita dopo l'im­pressione delle Stimmate, sono le nuove dimensioni della sua esistenza - i suoi « esistenziali». Gemma, e così sembra la condizione di ogni mistico, vive fuori e oltre il tempo benché la sua vita scorra nel tempo. L'astrazione dai sensi (l'estasi) è la perdita della pre­senza mondana del mondo, è il distacco dalla propria Umwelt, nel senso della fenomenologia moderna che segna l'ingresso della coscienza in quel mondo vero unico autentico per l'anima; è la coscienza messa in atto da Dio stesso, tramite l'attrazione del Verbo in-

(14) Gemma, da buona toscana, non ha tanti peli sulla lingua anche con il suo « buon babbo» (vedi al riguardo la nostra « Prefazione» al sag­gio esemplare di C. Naselli, La direzione spirituale di S. Gemma Galgani, Storia e criteri di discernimento dell'azione di P. Germano dz s. Stanzslao, Roma 1978, p. 7 s.).

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carnato, di una vita ch'è la partecipazione diretta -anche se poi l'anima rientra (come si vede bene an­che in Gemma) «in caligine fidei» - e questo per la prova suprema della fede. Che fu la prova suprema e più dolorosa di Gemma, sempre trepidante di esse­re ingannata e di ingannare.

Questo non contrasta con quanto dice Gemma stessa di «non capire nulla» e con la sua umile con­fessione che per lei la sua vita è tutta «un miste­ro »(15). Significativa, fra le tante, è la testimonianza della lett. 64 a del 22 maggio 1901, del tutto esplicita sul nostro problema: «Babbo, babbo mio, quante co­se vorrei dirgli, affinché mi potesse ben capire qual­che cosa di me! [si badi bene!]. Alle volte sono costret­ta ad esclamare: «Dove sono, dove mi trovo? Chi è mai vicino a me? Senza nessun fuoco vicino mi sento bruciare; senza nessuna catena addosso, a Gesù mi sento stretta e legata; da cento fiamme mi sento tutta struggere, che mi fanno vivere e mi fanno morire. Soffro, babbo mio, vivo e muoio continuamente ». (p. 166). E il fenomeno s'intensifica. Infatti nella lett. 117 a della fine di agosto 1902, ripresa il 3 settembre, Gemma comunica: «Sono circa 8 giorni che dalla parte del cuore sento un fuoco misterioso che non so capire. I primi giorni non ci facevo caso, perché poco o nulla mi dava noia, ma oggi è il terzo giorno che questo fuoco è cresciuto tanto tanto, quasi da non sopportarlo; avrei bisogno di diaccio per estin­guerlo, mi dà molta noia, m'impedisce di dormire, di mangiare, ecc. ecc. È un fuoco, babbo mio, misterio­so che si comunica al di fuori pure e sulla pelle vi

(15) Gemma, sul finire, nella letto a P. Germano del 26 genn. 1903 (Lett. 128') scrive: «Creda, caro babbo, è una gran scena la mia vita e i miei giorni» (p. 299).

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è un che di bruciato; è un fuoco che mi tormenta sa, mi diletta, ma mi finisce, mi consuma» (p. 280). Ed in mezzo a siffatti doni, l'umile creatura è sgomenta: «Preghi per l'anima mia, in pericolo di perdersi. O Dio, son pronta a tutto, non permettere» (p. 281). Sembrano situazioni incredibili e lo sono infatti a lu­me del nostro naso: ma è appunto questo il singolare messaggio di Gemma, che ce la rende tanto cara e amabile, quasi visibile accanto a noi nei tormenti del­lo spirito che ci assalgono senza tregua(16). Gli scritti di Gemma irradiano tenerezza e fiducia: il mi­stero ch'essa contempla e descrive diventa quasi visi­bile davanti all'anima di chi legge.

Il vertice di questa Vita, così insolita e straordi­naria quanto l'anima di Gemma era semplice e tra­sparente, lo troviamo forse nella letto lI8 a al P. Ger­mano (intorno al 12 settembre 1902). Gemma non sta bene ed il 21 settembre ricade ammalata per non ria­versi più. La lettera si diffonde nella narrazione del­l'estasi del 9 settembre e la santa stessa è consapevo­le della sua importanza e richiama espressamente l'attenzione del Padre: «Senta, babbo mio; prima di porsi a leggere questa lettera, preghi, preghi tanto e con fervore. Ha bisogno, prima di leggere, di essere illuminato: ho da descrivergli una cosa curiosa »(17). E poi, dopo aver protestato ch'essa detesta, rinunzia, non vuole siffatte cose straordinarie, ma «come Gesù

(16) Commuove il leggere che fra le lettere postulatorie indirizzate da centinaia di alti prelati al S. Padre per l'introduzione della Causa del­la Santa figura anche quella degli alunni del Seminario di Roremond in Olanda (Cf. P. L. Besi, Op. cit., p. 12) ch'è anche attualmente un semina­rio-modello, per numero e qualità di vocazioni e per impegno ecclesiasti­co, di tutta l'Olanda.

(17) Ci ritorna sopra alla fine della prima estasi: « Babbo, ci pensi bene a quello che legge. Gesù, spero, gli farà tutto capire» (p. 283).

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è stato l'Uomo dei dolori, e io voglio essere la figlia dei dolori »; passa a descrivere due estasi di cui una della Madonna che le apparve mentre si trovava a let­to ma ancora non dormiva - quindi si tratta di una visione sensibile, non immaginaria. Le diverse fasi si susseguono con un incanto paradisiaco alla presenza della Madonna:

a) (L'apparizione della Madonna) « Mi riposavo nel mio letto, ancora non dormivo; mi sembrò di vede­re una bella donna appressarsi, e fare atto di ba­ciarmi; gridai e chiamai la zia. Non so se venne, perché fui subito tratta fuori di me stessa ed io non fui più del mondo ». Gemma « sente» che è la Madonna, ma obbedisce ai suoi direttori di spi­rito.

b) (La protesta di Gemma) « Feci subito mille prote­ste, e la mia Mamma celeste mi guardava, sorride­va e mi diceva: I Cara Figlia, quanto incenso gradi­to tu mi dai!. .. ' Babbo mio, mi perdoni ... se forse cedetti troppo presto; ma lasciai fare alla mia Mamma ». Si noti il « crescendo)} dell'esperienza singolare: « Mi prese in braccio ... ebbi a morire, sì a morire per la troppa dolcezza ... Quante carez­ze!. .. mi vuole tanto bene!. .. e in mille modi si la­mentava, dicendomi che era venuta a prendere il mazzetta, intende? .. ».

c) (Il centro dall'apparizione) Gemma tace e ascolta e ciò è piuttosto singolare nelle estasi: « Mi trovò tanto povera, tanto povera, e mi animò alle virtù, in particolare all'umiltà e all'obbedienza. Proferì alcune parole poi, che non ho capite: « Figlia, raffì­nati, perfeziònati nello spirito, e presto ... » (corsi­vo nostro).

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d) (L'avvertenza di Gemma) «Qui quel che accade non so ... Quel 'presto' diede un moto sì violento a questo cuore, che la mia Mamma mi ci posò la sua bella mano; non potevo parlare, ma interna­mente gli chiedevo risposta; aprii gli occhi, con quelli l'interrogai».

e) (Avvertimento e promessa della Madonna) «'Dì al tuo babbo che, se non pensa a te, io presto ti con­durrò in paradiso'. Mi baciò dicendomi: 'Se no, presto, più presto ancora che esso non crede, sare­mo insieme'. Mi lasciò che l'anima mia nuotava nella gioia. O babbo, dopo siffatte cose, come ap­parisce il mondo! non so se abbia provato». Ed ora Gemma prende la parola per chiedere un

po' di salute, un altro po' di vita come segno se era veramente la Madre di Dio e la Madonna acconsente: infatti, attesta Gemma, riebbi il segno di salute lo stesso giorno che da 4 mesi era scomparso».

Siamo pertanto all'ultimo giro di boa della vita di Gemma e le potenze celesti affrettano i tempi: se non ci pensano gli uomini, ci penserà Iddio e Gemma l'avverte e l'anima si placa nell'accettazione del mi­stero della sua vita e conclude serena nelle sue pro­ve: «lo sono contenta; vivo soffrendo di continuo, ma in pace, in quiete; non glielo chiedo più di andare in convento, se un convento migliore mi attende!» (p. 283). Così la tensione ed aspirazione più tormentante della sua vita si dilegua e l'anima si concentra tutta nell'attesa della chiamata celeste.

Anche nella seconda estasi, narrata nella secon­da parte della lettera, Gemma tace: questa volta è Ge­sù che le parla dopo la Comunione ed è la dichiara­zione suprema d'amore con espressioni fra le più ar­dite della vita mistica che Gemma riferisce con la sua consueta semplicità.

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a) (Prologo: l'unione CO/il/lilla COIl Gesù) «Gesù, bab­bo mio continua: o se potesse vedere, gustare e provare i tanti doni che mi fa Gesù! Solo gli dico, babbo mio, che non passa minuto che non sento la sua cara presenza; si palesa sempre amorevo­le ». Ed ecco che le fa un «caro scherzetto»!

b) (La dichiarazione di Gesù: Gemma è la sua predi­letta) «Stamani nella Comunione mi si è fatto sen­tire quasi con un caro scherzetto: mi sembrava di averlo proprio accanto, e mi diceva: Vedi, Gemma, io nel mio cuore ci ho una figlietta che amo tanto, e che ne sono assai riamato. Questa figlia mi chie­de sempre amore e purità, e io, che sono il vero amore e la vera purità, tanta gliene ho concessa, quanto creatura umana possa capirne».

c) (La conferma dello sposalizio mistico) «A questa figlia ho sempre io stesso custodito la nettezza del suo cuore, come quello ch'è cuore di sposa eletta da celeste e divino sposo e custodita in quella pu­rità, come celeste giglio, nel mio puro amore ecc. ». Questo «ecc.», che tronca la divina dichia­razione, dice tutto l'umile stupore di Gemma che, invece di esaltarsi, non pensa che alla sua fragilità ed al male enorme che è il peccato anche quando sembra leggero.

d) (L'umile compunzione di Gemma) «O babbo mio, quanto è mai buono Gesù! Sempre cadrei, se non mi reggesse; sempre morirei, se non mi vivificas­se. Finalmente poi sì che ho potuto penetrare la gravezza di quei peccati, che al mondo sembrano leggeri; ma se vedesse, babbo mio, agli occhi di Dio! E però prego il Signore a smettere o porre termine a tante grazie». E conclude, ancora quasi

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sgomenta, quasi affogasse, dopo tanto tripudio di Paradiso: «Aiuto, aiuto, babbo mio! Mi benedica e mi tenga stretta per mano: la povera Gemma)} (p. 284).

Così gli scritti di Gemma, nella loro apparente semplicità, sono una continua sorpresa ed offrono sempre nuovi spunti di riflessione spirituale. Vi cir­cola sempre lo stesso tema: la brama d'inabissarsi in Dio, di bruciare d'amore per Gesù, di patire per la conversione dei peccatori ... , di struggersi per con­solare l'Amore che non è amato. E sono questi scritti, benché occasionali, che mostrano la «unità)} della vi­ta spirituale e della testimonianza celestiale di Gem­ma. Certamente altro è, per i giudizi della Causa ca­nonica di Gemma, il giudizio della pratica eroica del­le virtù e altro il giudizio sulla realtà dei fenomeni straordinari che essa presenta, al pari di altri Santi a cominciare da S. Francesco. Difatti nella discussio­ne e nel Decreto di approvazione dell'eserci~io delle virtù in grado eroico, emanato da Pio XI, non si parla di tali fenomeni. Ma prima di emanare il Decreto, il Papa - che non si era accontentato della discussione presso la S. C. dei Riti - incaricò personalmente il P. Marco Sales, O. P., Maestro dei Sacri Palazzi, ed il benedettino P. Idelfonso Schuster, abate di S. Pao­lo (poi Cardinale arcivescovo di Milano) di risponde­re ad alcune precise domande sulla natura dei feno­meni straordinari di Gemma: la risposta di ambedue fu nettamente favorevole, anche se diversamente an­golata. Più sobria, con qualche leggera riserva, quel­la del domenicano; più penetrante e spiritualmente sensibile, quella del grande studioso di spiritualità che fu l'abate benedettino(18).

(18) Pio XI, come mi è stato assicurato, letti i due voti, prese diret· tamente in mano la Causa, superò ogni incertezza e diede via libera alla conclusione della Causa.

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I fenomeni straordinari, cosÌ favorevolmente giu­dicati, sono accennati nel Decreto di beatificazione ed ampiamente poi ricordati nella Bolla di canonizza­zione di Pio XII esplicitamente nel senso che Gemma fu, nella sua carne, viva immagine di Gesù Cristo. Diamo il testo centrale: «Aborrendo dalle vanità del secolo, occupava buona parte della giornata a con­templare, con ardente trasporto di animo, la Passio­ne di Cristo, mantenendosi giorno e notte in intima unione con Dio. Molti testimoni attendibili narrano che la serva di Dio, Gemma, nei suoi ultimi anni di vita, era spesso rapita fuori di sé, favorita da Dio di lunghe e meravigliose estasi e d'insigni carismi, co­me si legge di molti Santi(I9). Tra questi favori divi­ni, singolarissimo fu quello per cui Gemma ripresen­tò nella sua carne verginale, una viva immagine di Gesù Cristo, fatta misericordiosamente partecipe dei singoli tormenti della sua Passione, sentendosi trafit­ta da chiodi, per arcano fenomeno, le mani ed i piedi e ferito da acuta lancia il costato, ed apparendone a volte visibili le cicatrici delle piaghe cioè le stim­mate. Si narra pure che fu favorita dall'apparizione dello stesso Signore Gesù e della Madonna, come pu­re della familiarità del suo Angelo custode, godendo­ne frequenti colloqui e che fu privilegiata di altre straordinarie manifestazioni di divini carismi ». Pro­fonda in particolare l'osservazione conclusiva: «Tali cose, descritte dettagliatamente dalla stessa Serva di Dio, per ordine del suo direttore spirituale, sembra­no provare ad evidenza che l'unione di mente e di cuore dell'eletta vergine Gemma con Cristo fu tal­mente singolare, da poter dire con l'apostolo Paolo:

(19) È la linea seguita sia dal P. M. Sales come dal Card. Schuster, ma ch'era stata già indicata da P. Besi (Cfr. Op. cit., p. 80 ss.).

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« Sono crocifisso con Cristo, e non sono pm io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal. 2,20)(20).

Ecco l'unità soprannaturale delle componenti della vita di Gemma nella quale, se si possono (e si devono, dal punto di vista teologico) distinguere vari piani, la Santa li vive in modo unitario: non però nel senso che li identifichi, tutt'altro. Essa non solo ob­bedisce con la massima docilità quando i direttori spirituali le ordinavano di respingerli, anzi dichiara spesso che sarebbe assai più contenta di farne a me­no: arriva perfino prima a dubitare che si tratti di suggestione diabolica e poi, sull'ultimo scorcio della vita, a dichiararlo espressamente - contro le stesse assicurazioni di P. Germano - e passando, se così si può dire, dalla parte del Farnocchia, di Mons. Vol­pi e degli altri (medici od ecclesiastici) che attribui­vano tali fenomeni a suggestione diabolica e ad iste­rismo. E così la « povera Gemma» morì davvero spo­glia di tutto, anche della consolazione della certezza di aver sofferto con Gesù le pene di Gesù. E così an­cora più conforme a Gesù che in Croce, pochi istanti prima di chinare il Capo nella morte, aveva dato nel lamento: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbando­nato?» (Matt. 27,46).

Probabilmente Gemma è stata fra i pochi, i po­chissimi Santi che sono giunti a questp grado di de­solazione e di abbandono. Vessata dal demonio perfi­no nelle ultime ore della vita, non riesce ad ottenere l'esorcismo né da Mons. Volpi né dal Rettore di S. Maria della Rosa, il sacerdote Roberto Andreuccetti.

(lO) Lettera Decretale di Pio XII: « Sanctitudinis culmen" (A.A.S. 33, 1941, p. 99s.). Il testo italiano qui riportato è quello inserito nella seconda lettura al Mattutino per il 16 maggio, festa liturgica della Santa, del breviario proprio dei Passionisti.

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Quest'ultimo che le amministrò il S. Viatico il Giove­dì Santo (9 aprile), trascurò di portarle la Comunione il Venerdì Santo, benché Gemma l'avesse chiesta con insistenza e l'avesse attesa a lungo, digiuna, con indi­cibile sofferenza (<< soffrendo terribilmente la sete »), come riconosce lo stesso Andreuccetti nei Proces­si(21): Gesù certamente non avrà mancato di conso­larla nell'intimo, ma la scena esterna fa rabbrividire e ci turba profondamente.

Attesta il pio Sacerdote: «La mattina del Sabato Santo fui chiamato di urgenza al capezzale di Gem­ma e vi andai subito. Trovai Gemma aggravata e cambiata nel volto, ma calma e rassegnata; solo ripe­tutamente diceva che aveva vicino il demonio e che lo vedeva visibilmente, mi sembra in forma di un ca­ne nero anche questa volta. Le rivolsi parole di con­forto, la rassicurai che il demonio l'avrebbe lasciata libera; volle che le dessi la benedizione e lo feci vo­lentieri, ma essa diceva che il demonio continuava ancora a tormentarla. Devo confessare che anch'io come un altro sacerdote ch'era presente, Mons. Vol­pi, fummo ingannati attribuendo a fantasia cioè allu­cinazione fantastica la visione che Gemma diceva di aver del demonio e quindi non le si doveva prestare tanta fede ». Ed ora l'umile confessione (già ricorda­ta) dell'errore: «Per dire tutta la verità, debbo con­fessare sinceramente adesso che questo nostro ingan­no fu certo permesso da Dio, perché si verificasse

(21) Nella sua più diffusa deposizione la zia Cecilia conferma sia la riluttanza dell'Andreuccetti a portarle il Viatico il Giovedì Santo e si de­cise a farlo solo sul tardi (<< quasi verso le nove »); sia che Gemma, come Gesù in Croce, « ... in questa attesa soffrì una terribile sete: lei non lo disse, ma io me ne accorgevo dalla lingua riarsa, che pareva si ritirasse »

(Processi, nr. XVIII, § 2, p. 808). E questa sete durò fino al momento della morte, a somiglianza del «sitio» di Gesù in Croce (Cv. 19,29).

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più sensibilmente l'abbandono nel quale in quel mo­mento si trovava Gemma »(22).

È una situazione che fa rabbrividire: quelli che dovrebbero esserle più vicini, si tengono più lontani: solo il demonio non la lascia. Sentiamo ancora la continuazione della deposizione di Cecilia ch'è più completa: « La notte del venerdì al sabato passò sem­pre subissata dal demonio col richiamo di tutti i di­spiaceri più grossi, persino col farle vedere i credito­ri che c'erano al fallimento in seguito alla morte del babbo »(23). Ed ora lo strano comportamento del confessore: « Il sabato mattina, Sabato Santo, Gem­ma desiderava Mons. Volpi, ma per quanto si girasse, non si trovò. Gemma voleva che le facesse gli esorci­smi. Dopo tanto, si trovò, ma venne ch'era quasi mez­zogiorno. lo mi ritirai. Gemma disse che voleva gli esorcismi e Monsignore, datale una Benedizione, le domandò: Ora sei contenta? E Gemma rispose di no».

La mattina a chi gli disse che Gemma lo cercava, il Volpi aveva risposto: « Se è per confessarla ci ver­rò: se è per assisterla ci sono i Curati ». Sentita que­sta risposta « ... Gemma prese il Crocifisso fra le due mani e tenendolo all'altezza degli occhi e guardando-

(22) Processi, nr. XVIII, § 15, p. 809. Anche Cecilia conferma che negli ultimi giorni Gemma « ... ebbe diverse volte come la visione di serpi, di cani ed altre bestie che la molestavano e che essa cercava di allontana­re; le comparivano degli incappati, col cataletto e le dicevano: - Devi venire qua dentro - Ed essa rispondeva: - « Ci verrò, ma quando avrò scontato tutti i miei peccati}). Sempre vivo e presente il pensiero dell'e­spiazione dei peccati: tale ci sembra il nucleo centrale dell'esperienza della Croce di Gemma ed il senso profondo della sua testimonianza del soprannaturale.

(23) Uno di costoro arrivò fino a frugare nelle tasche della desolata fanciulla per portarle via le « ultime palanche ». Sul letto di morte ritorna quindi la « ripetizione}) di uno dei dolori morali più strazianti della sua vita.

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lo disse: - Vedi, o Gesù, non ne posso più; se è volon­tà tua, pigliami: - poi alzò gli occhi al quadro di una Madonna appesa al muro davanti e soggiunse: -Mamma mia, raccomando l'anima mia a te; dì a Gesù che mi usi misericordia -. Baciò il Crocifisso, se lo pose sul cuore, chiuse gli occhi con la bocca aperta e con la lingua che si vedeva riarsa(24) e come riti­rata verso la gola, e stette così fin verso le 12 »(25). In punto di morte Gemma - secondo la deposizione della zia Elisa - chiese alla signora Giustina - e fu­rono (sembra!) le sue ultime parole: «- Mammina, accomodami i guanciali - ». E la signora Giustina l'accontentò con l'opera ancora delle Suore Barbanti­ne ... e ad un certo punto Gemma appoggiò il capo sopra la spalla della Signora Giustina, calma, serena, e in tale posizione serenamente spirò, mentre le cade­vano dagli occhi due lagrime» (26).

Gemma era morta col Crocifisso sul petto e la corona della nonna al collo. L'Andreuccetti attesta, conciso: «Nell'ultimo della vita fu abbandonata da ogni conforto umano, dicendo: - A me basta il Croci­fisso ed un sacerdote che mi assista in quegli estre-

(24) La stampa ha, per errore, «rialza ».

(25) Processi ... I. c., p. 804. Cecilia passa poi a descrivere la morte per assopimento, serenamente.

(26) Processi ... l. e. , § lO, p. 806 s. - Secondo la zia furono presen­ti alla morte, con lei e la signora Giustina Giannini, le due Suore Bar­bantini ed Eufemia figlia di Giustina. Era partito anche l'abate Angeli che le aveva amministrato l'Estrema Unzione. Secondo la deposizione di Giustina invece assistette alla morte anche l'abate Angeli (Processi ... l. c., § 27, p. 815) che fece la raccomandazione dell'anima e recitò il De profundis, appena si accorse che Gemma era morta.

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mI» (l. c., p. 808)(27) - ma doveva bastarle il Cro­cifisso(2S).

(27) La stessa espressione è riferita da Eufemia Giannini la quale conferma la presenza del parroco (l'abate Angeli). C'informa anche che, negli ultimi 15 giorni non potendo per la prostrazione di forze scendere alla Chiesa della Rosa, di fronte alla casa Giannini, dovette rimanere senza il conforto della Comunione (di qui il rimorso ... tardivo dell'An­dreuccetti!).

(28) Le deposizioni al Processo di Lucca di Eufemia Giannini, che pure fu testimone oculare, sembrano indicare che la Santa, dopo il Via­tico e l'Estrema Unzione, si sia ripresa (<< '" ma poi si riprese e ritornò anche ad alzarsi» - Processi, § XVIII, nr. 51, p. 829), mentre nel Proces­so di Gaeta anch'essa dichiara: «Fece sul letto di morte la Comunione il mercoledì Santo per viatico e al giovedì Santo per divozione, rimanen­do digiuna ». C'informa anche che « ... nel venerdì [Santo] soffrì. .. le tre ore di agonia come Gesù sulla croce ». Importante è la dichiarazione che precede: «Negli ultimi giorni, in preda a grande aridità di spirito, senza comunicazioni soprannaturali, si aiutava, in preparazione alla morte con la lettura dell'Apparecchio alla morte di S. Alfonso, e di prati­che di altri libri di pietà» (Processi, I. c., § 35, p. 821).

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3. L'esperienza del dolore e l'approfondimento del­la fede

Dall'Autobiografia e dalle testimonianze dei Pro­cessi conosciamo la solida formazione religiosa avu­ta da Gemma: prima dalla mamma e poi specialmen­te dalle Suore Zitine, in capo la fondatrice la beata Sr. Elena Guerra e tra esse specialmente Sr. Camilla Vagliensi prima e poi Sr. Giulia Sestini che intravvi­dero nella piccola Galgani un'allieva di eccezionale sensibilità spirituale. La sua anima fu curata da Sa­cerdoti esemplari e qui il primo posto spetta a Mons. Volpi che la prese ancor bambina e la condusse, con le crisi permesse da Dio a prova di entrambi, fino al supremo passaggio. Ricordiamo l'impressione 'pro­fonda che fece sulla bimba il predicatore degli Eser­cizi per la I Comunione (1895):-«E spesso, anzi ogni giorno, quel buon Predicatore diceva: «Chi si ciba di Gesù, vivrà della Sua vita. Queste parole mi riempi­vano di tanta consolazione, e così ragionavo tra me: 'Dunque quando Gesù sarà con me, io non vivrò più in me, perché in me vivrà Gesù'. E morivo dal deside­rio di arrivare presto a poter dire queste parole. Alle volte, nel meditare queste parole, passavo intere le notti, consumando il desiderio »(1). Sappiamo già la

(1) Autobiografia, p. 227. Il predicatore, come annotano gli Editori, era Don Raffaele Cianetti, parroco di S. Leonardo in Borgo di Lucca, il quale ha deposto nei Processi che (la Gemma) « ... era una bambina di poche parole, teneva un contegno da edificare chiunque la vedesse: il suo contengo era fra il serio e il dolce" (l.c., nota 4).

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commozione profonda che operò allora Gesù nell'ani­ma innocente.

Impressione profonda fecero su Gemma gli Eser­cizi del 1890, allora appena sulla soglia dell'adole­scenza, specialmente con le meditazioni sul peccato e sull'inferno: «Mi ricordo che quel buon sacerdote ripeteva: «Ricordiamoci che noi non siamo nulla, Dio è tutto. Dio è nostro Creatore, tutto quello che abbia­mo l'abbiamo da Dio ». Dopo qualche giorno mi ricor­do che il Predicatore ci fece fare la Meditazione so­pra il peccato. Allora sì che conobbi veramente, bab­bo mio, che ero degna che tutti mi disprezzassero: mi vedevo sì ingrata al mio Dio, e mi vedevo ricoper­ta di tanti peccati. Facemmo poi la Meditazione del­l'Inferno, che me ne riconobbi meritevole, e a questa meditazione feci questo proposito: Farò, anche tra giorno, atti di contrizione, specialmente se avrò com­messa qualche mancanza» (p. 232 S.)(2). Dal testo preciso dei propositi della Santa possiamo arguire ch'essa scriveva e conservava i suoi appunti che qui utilizza. Sappiamo già come proprio in questo tempo si sviluppò in lei la devozione alla Passione di Cristo; ma all'origine, non si deve dimenticare, sta l'influsso della santa mamma Aurelia Landi ed è con questo ri­cordo celestiale che Gemma inizia l'Autobiografia.

Ed è proprio qui, al tramonto della vita della gio­vane mamma consunta dalla t.b.c. ed allo sboccio della vita della bambina tanto desiderata che ora do­veva lasciare, che Gemma ebbe l'impressione dell'in­finita tristezza dell'umana esistenza e provò la strug-

(2) Gli Editori questa volta non ci dicono chi fosse il predicatore che Gemma chiama « quel buon sacerdote ». È probabile che, sia in que­sta come nell'altra volta, la scelta del predicatore fosse fatta dallo stesso Mons. Volpi.

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gente nostalgia del Paradiso che sempre l'accompa­gnò, con potente richiamo. Ed è una pagina davvero di Paradiso: «Per la prima cosa mi ricordo che la mamma mia, quando ero piccina (sotto ai 7 anni), era solita spesso prendermi in braccio e più volte, nel farlo, piangeva e mi ripeteva: «Ho pregato tanto, af­finché Gesù mi dasse una bimba; mi ha consolata, è vero, ma assai tardi. lo sono malata - mi ripeteva - e dovrò morire, ti dovrò lasciare; o se potessi con­durti con me! Verresti?» La risposta della p~ccola non fu di parole, ma dell'anima intera: «lo capivo ben poco e piangevo, perché vedevo pianger la mam­ma. «E dove si anderebbe? » gli chiedevo. « In Paradi­so, con Gesù, con gli Angeli ... ». E Gemma, matura nello spirito, può annotare piena di gratitudine: « Fu la mamma mia, babbo mio, che cominciò da piccina a farmi desiderare il Paradiso, e se ancora lo deside­ro e ci voglio andare, ho delle belle gridate, e un bel no mi sento rispondere» (p. 222 s.). Non sorprende che la piccola non volesse mai staccarsi dalla mam­ma, desiderando di prendere il volo per il Paradiso con lei: fin quando le fu permesso, continua a recarsi a dire le orazioni accanto al suo letto. Un attacca­mento misterioso di una comunicazione totale di ani­me, al di là dei limiti della coscienza: « Alla mamma gli rispondevo di sì, e mi ricordo che dopo avermi ripetuto per assai volte queste solite cose, cioè di condurmi in Paradiso, io non volevo mai staccarmi da lei, non uscivo più dalla sua camera». Infrangen­do la proibizione del medico: « ... ogni sera prima che andassi a letto, andavo da lei per dire le orazioni; m'inginocchiavo al suo capezzale, e si pregava». È stata questa certamente non solo la prima, ma anche la più profonda scuola di teologia di Gemma che le

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ha bruciato nel cuore OgilI aspirazione di gioie ter­rene.

Con l'avanzare degli anni anche i concetti matu­rarono e presero consistenza. Gemma ascoltava le prediche, seguiva le missioni, frequentava volentieri gli ambienti religiosi di Lucca ... partecipando con tutto l'impegno anche a gare catechistiche: la memo­ria e l'intelligenza, che mostra di possedere vive e ro­buste, scolpirono presto in lei una visione della vita profondamente cristiana. I disastri familiari da una parte e le sue gravi malattie dall'altra, capaci di tra­volgere nella disperazione, operarono invece nella sua anima la maturazione del distacco dalla fascina­tio nugacitatis e il sorgere del desiderio di consacrar­si totalmente all'Amore Crocifisso. Sempre la scuola del dolore, ove si attinge appunto la più efficace teo­logia dell'amore.

La terza scuola di teologia di Gemma è stato Ge­sù stesso con le sue dirette illuminazioni e comunica­zioni di cui essa è stata molto per tempo privilegiata; si pensi al grande amore per i poveri ed al dolore per i peccati nella speciale confessione dopo la I Co­munione: « ... Gesù me ne dette dolore sì grande, che tuttora lo sento», scrive nell'Autobiografia (p. 230). La prima manifestazione divina esplicita, ricordata dalla Santa, è piuttosto tardiva poiché si colloca in­torno al 1897. Dopo la Comunione aveva chiesto a Ge­sù di prenderla e portarla in Paradiso: «Mi rispose: 'Figlia, perché nel tempo della tua vita ti darò tante occasioni di merito maggiore, raddoppiando in te il desiderio del Cielo, e sopportando con pazienza la vi­ta insieme'».

E la Santa commenta, con la sua solita franchez­za, di cui speriamo dire presto qualcosa: «Queste pa-

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role non bastarono per niente a scemare in me que­sto desiderio; anzi ogni giorno mi avvedo che va sem­pre crescendo» (p. 236). A questa scuola di teologia superiore appartiene anche l'apparizione, intorno a quel tempo, dell' Angelo Custode che la rimproverò della vanità di portare un'orologio d'oro con la cate­na, avuto in regalo. Il rimprovero dell'Angelo era in­sieme un compito profetico: «Ricordati che i monili preziosi che abbellano una sposa di un Re crocifisso, altri non possono essere che le spine e la croce» (p. 245). Ancora in questo periodo cade la prima espe­rienza del Crocifisso, di cui si è già detto.

L'alto contenuto delle verità della fede (Trini­tà-Incarnazione) era assorbito continuamente dalla Santa nella sua frequenza della vita liturgica: si sa anche che per alcun tempo recitò in estasi il Brevia­rio con S. Gabrielee). Di questa solida formazione teologica fanno testimonianza anche le risposte della Santa alle domande di P. Germano in occasione della sua prima visita a Lucca, ai primi di settembre del 1900(4 ).

Sostenuta da una robusta cristologia, la pietà di Gemma con altrettanta precisione e profondità espo­ne i termini ed il significato spirituale del più augu­sto e sublime mistero ch'è la SS. Trinità. Lo ha dimo­strato nella risposta al quesito postole da P. Germa­no: «Qual concetto abbia della ss. Trinità »(5); una risposta breve - a confronto della relazione sull' An­nunciazione - ma in compenso geniale. Diamo il te­sto integrale per parti:

(3) « (Sono tante notti che Confr. Gabriele m'insegna a dire il Matu· tino ... ) ». CosÌ in appendice alla letto sa a P. Germano (p. 18).

(4) Cfr.: Estasi ... p. 287 sS. (5) Il testo si trova nel val.: Estasi, pp. 289-290.

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1) Prologo: l'appartenenza dei due supremi misteri dell'Incarnazione e della Trinità: «Un giorno(6) dopo la SS. Comunione mi parve di avere un pic­colo lume sopra la SS. Trinità, cioè: che vedere e conoscere la SS. Trinità consiste appunto nel ve­dere Gesù col volto scoperto, cioè il Verbo. Un concetto poi che mi sono fatta da me stessa è que­sto: mi pare di vedere tre persone dentro una luce immensa(1): tre persone unite in una sola Essen­za, poiché la Trinità è Unità, e l'Unità è Trinità ».

2) Unità dell'essenza e Trinità delle Persone (distinte, ma indivisibili): «l'Unità per se stessa è indivisibi­le; però non può avere persone divisibili. Quello dunque che noi adoriamo è un Dio Onnipotente, Uno nella sostanza, Trino nelle persone ».

3) I nomi delle Persone divine indicano le relazioni della vita intima in Dio. È il momento centrale della spiegazione che sa ben distinguere le pro­prietà delle singole Persone divine da quelle pro­prie della divinità ch'è identica in tutte e tre: «a) Dio ha voluto dimostrarsi indivisibile nelle perso­ne, perché non vuole che ce ne sia alcuna, che si chiami con nome diverso [ossia con nome che non dica relazione alle altre due]. Così il nome del Pa­dre si riferisce a quello del Figlio, quello del Figlio a quello del Padre, e quello dello Spirito Santo si riferisce al Padre e al Figlio» - b) Non vi è nessun nome [indicante la divina essenza] che non possa convenire tanto al Padre, quanto al Figlio, quanto

(6) La Santa non precisa quale. (7) Anche Dante nel Canto XXXIII del Paradiso: «o luce eterna

che sola in te sidi, - sola t'intendi, e da te intelletta - e intendente te ami e arridi" (vv. 124-126. Vedi anche i versi 43, 67, 77, 100, 110, 115-120 ... ).

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allo Spirito Santo. lo chiamo Padre il Padre, ma per natura mi è Padre anche il Figlio. E però la SS. Trinità non può dividersi, perché il nome di una persona riguarda sempre il nome di un'al­tra ». Il teologo badi all'intero contesto, non alle frasi separate.

4) Solo il Verbo ha preso carne: «Alla SS. Trinità non è aggiunta altra persona, perché la sostanza [ossia natura umana] del Verbo [incarnato] è uni­ta, non confusa [con la natura divina]. E benché il Verbo di Dio abbia preso carne, pure le altre persone non presero altra sostanza ».

Conclusione. - All'unità della divina Essenza cor­risponde per contrasto la molteplicità delle creature: «Una sola è la sua Essenza, una sola la sua bontà, una sola la sua beatitudine. Nella SS. Trinità, nell'U­nità adorabile della Divinità non vi è altro che la mol­teplicità che viene dalle creature ».

Si può osservare che il testo della Santa, per tan­to mistero, sia troppo succinto: esso corrisponde ad un momento di eccezionale concentrazione e illumi­nazione della sua mente ch'essa aveva serbato nel fondo della sua anima. L'argomento fu oggetto di contestazione da parte del Promotore Generale della fede(S), ma l'Avvocato della causa non ebbe difficol­tà a rispondere, sia con la testimonianza di P. Germa­no, sia con quella di altri testimoni. Il primo di que­sti è proprio quella Cecilia Giannini - che Gemma prima chiamava «zia» e poi «mamma» - che poté

(8) Mons. Carlo Salotti (poi Cardinale): Novae Animadversiones, § 25; « ... Quaedam locutiones, uti ex gr. personae trinitatis [la stampa ha per errore: «Trinitates »l sunt unitae in una essentia, stricte loquendo, non sunt theologice exactae» (p. 19). Anche il P. Sales nel suo voto.

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conoscerla meglio di chiunque. Trascriviamo dalla ri­sposta dell'Avvocato: «[Cecilia Giannini]. Sulla SS. Trinità, nelle ultime estasi, io l'ho sentita dire cose grandi, ma che io non capiva pienamente: se ci fosse stato un sacerdote chi sa quante cose avrebbe potuto capire. E non le ho scritte, perché ero sola, ed ero occupata a sorreggerla, specialmente premendola sul cuore per impedire che le venissero sbocchi di san­gue: e quelli lì non erano di etisia, ma ben altra cosa» (§ 70, p. 96s.). Ma un sacerdote ha potuto assistervi ed era il parroco Federico Ghilardi che ha lasciato la seguente testimonianza: «A me consta che Gemma avesse estasi: una volta capitai in casa Giannini, come di solito. La Sig.a Giannini(9) m'avvertì che era il momento in cui avveniva l'estasi a Gemma, e sog­giunse domandandomi se avessi voluto presenziare l'estasi. Gemma era in letto ... Era nel contegno e nella posa di chi sta in comunicazione con un 'altra perso­na(lO). Naturalmente in questo caso la persona era invisibile. Prima sembrava che Gemma ascoltasse poi rispondesse; sentivo rispondere da Gemma tali cose riguardanti il mistero della SS. Trinità, così inti­me e così teologiche che io rimasi meravigliato: tanto è vero che domandai alla Signora Cecilia: - Ma que­sta figliola ha fatti studi speciali di alta dottrina cri­stiana, oppure ha letto qualche libro di teologia? -Con ciò volevo manifestare tutta la mia meraviglia nell'ascoltare la dottrina teologica così precisa e pro­fonda che Gemma manifestava »(11).

(9) Cecilia, certamente. (lO) Secondo Gemma, come abbiamo visto, è stato dopo la Comu­

nione, ma probabilmente qui si tratta di un'altra estasi. (Il) Resp. ad novas animadversiones, § 73, p. 90 s. Il Rev. D. Ghilar­

di è il Testis XVII del Proc. Luc., p. 723 s.

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Peccato che, nei testi rimastici delle Estasi, il te­ma della Trinità (per quanto ho potuto vedere) è pres­socché assente. Un cenno sobrio e grazioso è nella letto 113 a del 9 luglio 1902 a Padre Germano dove l'infor­ma che Mons. Volpi le fece qualche interrogazione so­pra il mistero della SS. Trinità: «Mi trovai molto con­fusa, babbo mio, perché Monsignore usa altri modi dai suoi; ma Gesù, oh come seppe bene suonarmi la trombetta negli orecchi!» (p. 269). Peccato che Gem­ma non abbia esposto questa celeste Comunicazione!

Nelle estasi c'è un solo accenno di sfuggita, che abbiamo già toccato: «Santissima Trinità, per non es­sere tanto ingrata al mio Gesù, offro a te il mio intel­letto, allo Spirito Santo che mi arricchisca di virtù e grazia» (p. 149). Anche l'estasi precedente 126 a, ce­lebrando le gioie dell'Eucarestia « ... la vera ricchez­za, cioè il nutrimento dell'Eucaristico Verbo. Che di­verrei io, esclama, se alla santa Ostia non dedicassi tutte le mie tenerezze?» E con ardimento teologico: «Lo Spirito del Verbo regnante nel fecondo seno del genitore increato, si partirà e verrà a farmi gustare le sue tenerezze» (p. 148).

È vero certamente che la vita spirituale di Gem­ma è tutta concentrata in Gesù e nella sua Passione: non è questa anche la nota dominante della spiritua­lità occidentale ancorata al mistero dell'Incarnazio­ne, che ha i suoi poli nella devozione ai misteri dell'Uomo-Dio e della sua Madre? Però la teologia di Gemma, come si è visto, è tutt'altro che minimista. Sorprende però l'affermazione categorica di un ec­cellente agiografo: «Mai un cenno allo Spirito San­to »(12). Ora osserviamo, le due citazioni precedenti

(12) D. Barsotti, Il rapporto con Cristo nelle estasi di S. Gemma Galgani, nel val.: « Magistero di Santi », Roma 1971, p. 135.

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sono prese appunto dalle Estasi. Poi, bisogna subito ricordare che la Nostra è stata allieva delle Zitine di Lucca e della stessa fondatrice la B. Elena Guerra che diede al suo Istituto, come scopo Apostolico, la devozione dello Spirito Santo(l3). Intanto possiamo riportare l'invocazione di un'altra estasi: «Lesto, le­sto, Gesù, riempimi di quello Spirito che è tutto fuo­co, e non mi lasciare, Gesù, se prima non mi hai dato la tua paterna benedizione, e insieme alla benedizio­ne, Gesù, dammi forza» (E. 74, p. 99).

Alla sua prima formazione spirituale si collega quanto nell'Autobiografia la Santa attesta in occasio­ne della malattia mortale che la tenne a letto per un anno intero (1898-1899) fra dolori e umiliazioni fisi­che e morali di ogni genere. Significativa la sua di­chiarazione: «Già da tempo sentivo dolore in quella parte; ma da me stessa non volevo né toccare né guardare, e questo perché da piccola avevo udita una predica ed avevo ascoltate queste parole: «Il nostro corpo è il tempio dello Spirito Santo ». Quelle parole mi colpirono, e più che ho potuto, ho custodito più che ho potuto il mio corpo »(14). La testimonianza

( 13) Fu la beata Elena Guerra, come è noto, ad ispirare a Leone XIII l'Enciclica sullo Spirito Santo: credo si tratti della Divinum i/lud munus del 9 maggio 1897 (Vedi i punti principali in: Denz. Sch. 3325 ss.). Circa l'influsso diretto della Beata sul grande Leone per la pubblica­zione dell'Enciclica sullo Spirito Santo: Divinum illud munus (9 maggio del 1897, e prima il Breve del 5 maggio 1895: Provida Matris Charitate) e poi della Lettera ai Vescovi del 18 aprile 1902, vedi la vita: L'Apostola dello Spirito Santo: Beata Elena Guerra, Lucca 1955, p. 277 ss. Cfr. anche p. 172. Il Decreto sulla eroicità delle virtù (26 giugno 1953) ricorda questa sua eccezionale attività d'ispirazione sul Pontefice ed insieme, con tratto gentile, la ricorda proprio all'inizio: «Per non protrarre più a lungo il discorso, ci sia lecito commendare Santa Gemma Galgani, che in Lucca giunse all'apice della santità cui spetta l'onore di essere stata di questa Santa, Maestra nelle arti umanistiche e spirituali, e nelle virtù delle quali trattasi in questo decreto ». (Op. cit., p. 365). La Beata depose da testimo­ne nei processi canonici di Gemma.

(14) Autobiografia, p. 241. Gli editori rilevano giustamente ilsignifi­cato spirituale della ripetizione di « ... più che ho potuto ».

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più lumiriosa è forse l'elevaziune che si legge nella letto 2 a alla M. Maria Giuseppa, scritta il 21 maggio 1901, Festa della Pentecoste: «Lo Spirito Santo, vera luce di tutte le menti, faccia sì che comunichi la sua chiarezza al babbo mio, comunichi pure a me i suoi ardori divini, e faccia sì che, consumando in me stes­sa ogni biasimevole affetto, renda il mio povero cuo­re simile al suo. Questa preghiera, oggi, la prego, la faccia ripetutamente» (p. 417). La teologia di Gemma, ch'è alla base delle sue esperienze mistiche, può quindi dirsi solida e completa: in conformità della sua eccezionale vocazione di partecipare nel suo cor­po e nel suo spirito ai dolori di Cristo per la conver­sione dei peccatori.

A) Maria 55. Addolorata

Il posto della Madre di Dio, nello sviluppo della vita spirituale di Gemma, è accanto a quello di Gesù e l'uno non si comprende senza l'altro in una forma di simbiosi inseparabile. Il titolo mariano preferito da Gemma alla scuola di S. Gabriele è quello dell' Ad­dolorata, perciò festeggiava con particolare devozio­ne il settenario della Madonna dei dolori che si face­va dopo la festa(lS). Come racconta nella lett. 4 a a « Serafina »: «Ora pure la sig.a Cecilia lo fa insieme a me, e a recitare con noi la corona dei dolori viene il mio caro Confratel Gabriele: viene in chiesa con gli altri, e si mette accanto a me; e dopo mi fa baciare la veste, e se ne ritorna via» (p. 446).

La prima apparizione segnalata sembra quella della lettera 2 a al Confessore nel luglio 1900: «Una sera mentre scrivevo, mi sentii chiamare per nome; mi voltai e vidi una Signora con un bambino in brac-

(15) Nel calendario liturgico è fissata al 15 settembre.

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cio. Fece per darmi a me il bambino; io lo presi, poi la Signora mi disse» - cioè le dà l'ordine, che già conosciamo, di farsi Passionista e di convincere a questo il Confessore (p. 311)(16). La Madonna l'assi­ste nelle prove dello spirito e le concede le sue tene­rezze, come scrive a Serafina: «Che buio! sorella mia! ma un buio che non so come dire. Gesù non c'è per me; la Mamma sì, Lei mi vuole sempre bene, qua­si ogni mattina mi guarda, mi bacia; ma quasi sem­pre piange. Povera Mamma mia! Gli vorrei volere pu­re tanto bene!» (p. 452).

È nella corrispondenza con P. Germano che la Santa sfoga il suo singolare amore alla Madre di Dio, come nella letto 20 a del 6 ottobre 1900, vigilia della festa del Rosario, nella quale dopo aver dichiarato: «lo l'amo tanto, sa, questa Mamma! ... io voglio sem­pre Gesù e la Mamma mia », chiede una speciale gra­zia: «E dimani voglio una grazia dalla Mamma; senta che voglio: mi deve dare una croce, ma una croce grossa: questo è il regalo che gli chiedo; ma ben gros­sa, che possa con quella seguire il mio Gesù Crocifis­so» (p. 56). La Madonna l'aiuta validamente a scac­ciare il demonio (Lett. 57 a , p. 153) e a lei spesso chie­de conforto: «Sì, babbo mio, quante volte dinanzi ad un'immagine della Mamma mia ho confidato le peno­se ansie del mio cuore agitato! e la Mamma mia quante volte mi consolò» (Lett. 59 a , p. 156). Fra le apparizioni più singolari della Vergine è quella che il Diario pone al sabato 1 settembre dello stesso anno (1900) sotto la figura di Addolorata: il dialogo sull'a­more di Gesù che si svolge fra Gemma e la Madre di Dio, è uno squarcio d'ingenuità celestiale che rias-

(16) Altre apparizioni sono ancora indicate nella letto 35 3 (p. 360) a Mons. Volpi, quando la Vergine la libera dall'attacco del demonio.

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sumerlo è un guastarlo (p. 216). Il pensiero dell'Addo­lorata domina anche nella festa del Natale 1900, do­po la SS. Comunione: «O che dolore grande dovette essere mai per la Mamma, dopo che fu nato Gesù, al pensare che dopo dovevano crocifiggerlo!» (Lett. 37 a , p. 106). E alla Messa di mezzanotte vede Gesù che la offre vittima all'Eterno Padre e poi la presenta a sua Madre dicendo: «Questa cara figlia dovete ri­guardarla come un frutto della mia Passione» (Lett. 38 a , p. 108).

Quando Gesù l'abbandona e si eclissa, Gemma vuole aver vicina la Madonna, come scrive il 17 otto­bre 1900 al P. Germano: «Se Gesù va via, io voglio la Mamma mia, voglio che mi ascolti almeno lei: se Gesù non mi vuole più, se devo vivere senza Gesù, senza la Mamma no. Mamma mia, Mamma mia, ti vo' tanto bene, ma non so mostrarlo» (p. 40). E nella let­tera 31 a scrive che la Madonna la colma di carezze - «mi bacia, lo sento così bene» - fino a prenderla in braccio (p. 90).

Il Diario è più ricco di particolari. Appare in pre­valenza come l'Addolorata: «prima ... afflitta, ... mi sembrava che piangesse », ma sentendosi chiamare « Mamma» sorrideva e, prima di sparire, la bacia in fronte (21 luglio, E. p. 168). In queste apparizioni la Santa prima è invasa da turbamento e timore, poi su­bentra la calma e la gioia, come nell'apparizione del­l'Addolorata del 4 agosto: per la commozione Gemma è capace di pronunziare solo il nome di «mamma» e la Madonna l'esorta a soffrire promettendole di portarla presto in Paradiso (E. p. 186). Confessa che la Madonna la vuole «perfetta» e che il maggior ca­stigo per lei è di essere priva della vista di Maria SS., ma dopo alcuni giorni di «svogliatezza e aridità» nel-

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la festa dell' Assunzione la Madonna le fa la grazia singolare del rapimento del cuore: «Figlia mia, quan­do io andrò in cielo, stamattina porterò con me il tuo cuore ». E la Santa descrive: « In quel momento allora mi sembrò che mi si avvicinasse ... me lo tolse, lo pre­se con sé, nelle sue mani, e mi disse: 'Non temere nulla, sii buona; io terrò il tuo cuore sempre lassù con me, sempre in queste mie mani'. Mi benedì in fretta, e nell'andar via pronunziò ancora queste paro­le: 'A me mi hai dato il cuore, ma Gesù vuole ancora un'altra cosa'. 'Che cosa?' gli dissi. 'La volontà', mi rispose e sparì» (E. p. 196)(17).

Le estasi pullulano di questi fiori mariani! Ecco­ne alcuni: «Quella croce, Gesù, cos' è? La tua Madre piange, e tu non mi rispondi» (E. lOa, p. 29)! «Cara Madre, l'ufficio tuo in cielo è d'implorare per i pecca­tori» (E. 1 P, p. 19). E il sabato 7 aprile 1900: «Mam­ma mia, dove mi trovo? sempre ai piedi della croce di Gesù ... Che sospiro, Mamma mia, quando vedesti morto Gesù! ... quando lo vedesti mettere nella tomba e quando ti dovesti separare!» L'estasi è tutta una supplica commossa per i peccatori ed una partecipa­zione al mistero della croce e si conclude con affet­tuosa commozione: «O Mamma mia, chi ti vedesse con Gesù, non lo saprebbe dire chi è il primo a spira­re: sei te o Gesù?» (E. 19 a , p. 29 S.)(18). Tutte im­merse nella contemplazione della Madre di Dio sono le estasi 37 a e 38 a del 24 e 27 maggio 1900 in cui la Santa è rapita dalla bellezza di Maria e prega Gesù

(17) Un'allusione a questa grazia singolare è anche nell'estasi 46 a:

({ Te ne ricordi del giorno che salisti al cielo, che portasti via il mio cuo­re?» (p. 72) e nella bellissima estasi 107 a (E. p. 130).

(18) L'identica commozione per la Madre dei dolori si ripete nell'e­stasi del sabato 21 aprile: ({ Levate, levate Gesù!. .. Levate Gesù, se no la Mamma mia muore ... lo non so chi sarà il primo: levàtelo, levàtelo» (p. 34 s.).

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di prendere la sua anima e di consegnarla «alla Mamma tua» (p. 58). E la lontananza della Madonna le cagiona una gran pena: «O Mamma, Mamma, per­ché non stai più al mio fianco, come faceva il mio buon Angelo? Quanto temerei meno?» (E. 81 a, p. 107). E di lì a poco il 14 febbraio 1902 supplica: «O Mamma, Mamma, vi sarà un rifugio per me? [ ... ] O Mamma, diglielo tu, a Gesù; digli che credo agli i~fi­niti suoi meriti e l'applichi tutti per lavare i miei pec­cati» (E. 83 a , p. 108). La penultima estasi del 3 gen­naio 1903 è tutta una dolente invocazione: «Mamma, Mamma mia, fammi buona; Mamma, Mamma mia, fammi casta. È questa la cosa che tanto desidero, e di cui ho tanto bisogno ... » (E. 140a , p. 161).

La Madre di Dio era quindi anche per Gemma la Mediatrice di tutte le grazie. E anche la sua teolo­gia mariana è robusta e saldamente ancorata ai dog­mi principali della fede. L'attesta un documento sin­golare cioè la spiegazione ch'essa dica di aver avuta dall'Angelo Custode il 25 marzo 1901: «Sul mistero dell'Incarnazione », poi inviata in forma di lettera a P. Germano. Il testo è un commento, con stile piano e oggettivo - e stupisce la memoria forte e fedele della fanciulla - dei momenti principali del Mistero dell'Annunciazione secondo il racconto lucano (Lc. 1,26 ss.). Rileviamo i tratti più caratteristici, poiché si tratta di un fatto singolare nell'agiografia CrI­

stiana(I9).

1. - Per la Santa si tratta di un evento reale, che sperim~nta in stato di «interno raccoglimento ». Co­me prologo l'Angelo si presenta: «lo sono il tuo Cu-

(19) Il testo completo va letto per intero, perché ha una particolare unità di struttura. Si trova nel val. Estasi alle pp. 294-301. È forse lo scritto unitario più vasto ed elaborato di Gemma.

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stode mandato da Dio: lo vengo per farti capire un mistero maggiore a tutti gli altri misteri [ ... ] Sappi, o mia figlia, che io ti parlerò di Maria SS., di una giovinetta tanto umile dinanzi al mondo, ma d'infini­ta grandezza davanti a Dio; ti parlerò della più bella, della più santa di tutte le creature; della figlia predi­letta dall'Altissimo, di Colei che veniva destinata al­l'impareggiabile dignità di Madre di Dio ».

2. - La visita dell' Angelo accade a « ... notte inol­trata e Maria SS. se ne stava sola nella camera a pre­gare ... tutta rapita in Dio ». All'improvviso si fa una gran luce in quella misera stanza ed appare l'Arcan­gelo [Gabriele] in sembianze umane e circondato da un numero infinito di Angeli - come nell' Annuncia­zione del Tintoretto alla Scuola di S. Rocco a Vene­zia! - e Le porge il saluto: «Ave, o Maria, il Signore è in te. La benedetta tu sei fra tutte le donne ». L'im­mediato turbarsi e il silenzio di Maria è spiegato dal­l'Angelo come effetto della sua umiltà: «Come mai - diceva la Madonna tra sé - un Angelo di Dio mi chiama piena di grazia, mentre io mi riconosco im­meritevole di ogni divino favore? Come mai - ragio­nava tra sé Maria - un Angelo del Paradiso mi chia­ma benedetta fra le donne, mentre sono tra le femmi­ne la più inutile, la più vile, la più abbietta? Qual mistero mai si nasconde sotto il velo di sì eccelso sa­luto? .. ».

3. - L'annunzio di Gabriele vuoI dissipare ogni ti­more: «Non temere, o Maria, tu sei l'unicaeO) che hai trovato grazia dinanzi all' Altissimo. Da questo

(20) Quest'inciso è proprio di Gemma - cioè non dell'Arcangelo -e manca nel testo di S. Luca.

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istante (21) concepirai ... ». Il commento dell'Angelo ha lo squillo del cuore e della voce di Gemma: « Evvi­va, gridiamo: Maria ormai è dichiarata Madre del promesso liberatore, del Redentore del mondo, del Figlio di Dio. Sì, Maria fu la gran Vergine aspettata da tanto tempo. Quel figlio doveva essere grande, e però dove.va essere eccelsa anche la Madre. Quel fi­glio doveva essere figlio dell'Altissimo, e però Maria doveva essere sollevata alla più intima relazione con la SS. Trinità ... ». Osservazione profonda di lunga tra­dizione patristica e mistica(22).

4. - La seguente interrogazione di Maria all' Ange­lo non procedeva da dubbio alcuno sul celeste mes­saggio, ma unicamente dalla preoccupazione di con­servare quella verginità che lei aveva votata a Dio. E l'Angelo commenta: « Hai ancor capito, o figlia, quanto Maria amasse questa bella, angelica, celeste virtù? Ma chi credi tu che l'amasse maggiormente? Gesù o Maria? Certamente Gesù, che mai si sarebbe scelta una Madre, se non Vergine pura, immacolata ».

Non meno profonda l'osservazione che segue e per questo la riportiamo: « La purità di Maria trasse dal cielo quell'esemplare, che in terra avrebbe imitato: quella virtù fu quella che trapassò le nubi, tutte le regioni dell'aria, trapassò fino gli Angeli e le stelle del firmamento; ma infine trovò nel seno stesso del Padre il Verbo di Dio, e in un baleno lo fece tutto suo ... ».

5. - L'Arcangelo assicura Maria che il tutto sarà In lei opera dello Spirito Santo: « Maria, lo Spirito

(21) Come nella nota precedente. (22) Essa è ripresa persino dall'ateo Feuerbach (Cf.: Das Wesen des

Christentums, P.I., c. 7. Cf.: C. Fabro, Ludwig Feuerbach: L'essenza del Cristianesimo, L'Aquila 1977, p. 71 55.).

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Santo scenderà sopra di te ... » e l'Angelo di Gemma presta all'Arcangelo anche la spiegazione: « Rassicù­rati e consòlati, o Vergine Benedetta; il Divino Spiri­to sarà quello che scenderà a fecondare le Tue visce­re immacolate. L'Onnipotente Virtù dell'Altissimo opererà in te un nuovo prodigio, che serbandoti al tempo stesso l'onore di Vergine, ti darà il gaudio di madre. Il Santo, che concepirai nel tuo seno, non sa­rà che il figlio di Dio. Con queste parole l'Arcangelo Gabriele svelava l'arcano, spiegava il mistero, rassi­curava Maria ».

6. - Il commento dell' Angelo, al consenso di Ma­ria costituisce, mi sembra, il momento teologico più intenso della relazione: « Ormai tutto era precisato, non mancava che l'ultima parola di Maria, perché la Vergine fosse Madre di Dio. Il Verbo divino, generato dal Padre nello splendore dei Santi, non doveva avere padre in terra, siccome madre non ebbe in Cielo. E Maria, essendo eletta genitrice dell'unigenito del Di­vin Padre, diveniva del Padre stesso l'unigenita figlia. Essendo Colei, che della Verginale sua sostanza do­vea somministrare le umane membra al Verbo divi­no, era sollevata all'ineffabile dignità di Madre del Figlio di Dio. Essendo Maria quella, sulla quale sa­rebbe disceso lo Spirito Santo, che adombratala con la sua virtù onnipotente l'avrebbe fatta Madre Vergi­ne di un figlio di Dio, era perciò innalzata all'eccelso onore di Sposa allo Spirito Santo ».

Al « fiat di Maria » ... Dio pure aggiunse: « Si fac­cia »(23). Il commento dell'Angelo è ancora degno dell'altezza del mistero. « Ed ecco che [come a questa

(23) Anche quest'inciso è un'aggiunta di Gemma al testo lucano. A questo riguardo vedi la nostra nota: Kierkegaard poeta-teologo dell'Incar­nazione, ora in: Momenti dello spirito, Assisi. ed. Porziuncola, 1983, t. II, 139 ss.

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parola] dal seno del nulla uscirono ad esistere tutte le opere della creazione; [così non appena] disse Ma­ria: ({ Si faccia», ebbe principio l'ammirabile opera della Redenzione del Mondo. Maria, nell'atto di ac­cettare l'altissima dignità di Madre di Dio, si dichia­rava umilmente serva del Signore. Quell'umiltà pro­fondissima, in che la trovò raccolta e quasi annienta­ta l'Angelo del Signore, non le venne meno al glorioso saluto e alla più gloriosa proposta di diveni­re la genitrice del Verbo divino».

Non meno mirabile è il seguente capoverso, ma noi ci limitiamo a concludere con l'ultimo: ({ Accet­tando Maria l'incomparabile dignità di Madre di Dio, accettava intanto il generoso ufficio di Madre dell'u­mano genere. Rallegriamoci: Maria, prestando all' An­gelo il verecondo suo assenso, vi ha adottati per figli, divenuta la madre di tutti» (p. 311). Si sa dalla sua stessa testimonianza(24) che Gemma conosceva le Glorie di Maria di S. Alfonso M. de' Liguori e non v'è dubbio ch'esse hanno influito, come sulla fine del­la vita le cosiddette Meditationes (una compilazione) di S. Agostino eS), nelle sue riflessioni sulla gran­dezza della Madre di Dio.

(24) È Gemma che l'attesta nella Lett. 37 a a Mons. Volpi del lO agosto 1900 (Lett. p. 363).

(25) Sono nominate nella letto 111 a (22 giugno 1902) al P. Germano (Lett. p. 260).

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CAPITOLO QUARTO

LA PRESENZA-ASSENZA DI GESÙ

1. Gesù di Gemma

Il martirio più doloroso di Gemma, sul piano esi­stenziale, cioè in quella che abbiamo chiamata la « sfera dei fenomeni », è stata la strategia della tensio­ne in cui si è attuata ai vertici dell'eroismo la sua vita di fede, speranza e carità. Da una parte c'è una vita che gode la familiarità di Cristo, della Madonna, degli Angeli e dei Santi (S. Gabriele, San Paolo della Croce, ecc.) con squarci di Paradiso; dall'altra parte un seguito crescente di sofferenze fisiche e morali, unite a sensazioni e impressioni diaboliche che fanno rabbrividire e quasi tolgono il velo per mostrare e far avvertire il tenebroso mondo del male.

Vocazione passionista elusa-delusa. - È forse la «situazione» che prima balza agli occhi nell'Epistola­rio, nelle Estasi e negli altri scritti della Santa ed è quella che - vista dall'esterno - presenta il falli­mento più clamoroso e, per Gemma, il più doloroso. La prima scintilla della vocazione è legata alla lettu­ra della vita di S. Gabriele dell'Addolorata (allora an­cora venerabile) che la gratificò delle sue apparizioni durante la grave malattia di cui guarì miracolosa­mente per l'intervento si S. M. Margherita Alaco-

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que(1). Un'altra potente scintilla fu la conoscenza dei Padri Passionisti nelle Sante Missioni tenute a Lucca nella cattedrale di S. Martino dal 25 giugno al 9 luglio 1899 che Gemma frequentò nella seconda parte, avendo seguito prima «le prediche del Cuore di Gesù» che si tenevano nella chiesa della Visitazio­ne. Il racconto è esplicito e parla di intervento diret­to di Gesù stesso nell'ultimo giorno: «Si fece sentire bene bene all'anima mia e mi domandò: 'Gemma ti piace l'abito col quale è rivestito quel sacerdote?' E m'indicò un Passionista che era poco distante da me. Non occorreva che a Gesù rispondessi con le parole: il cuore più che altro parlava con i suoi palpiti. «Ti piacerebbe (soggiunse Gesù) essere rivestita tu pure del medesimo abito? ». «Mio Dio! » esclamai ... «Sì -soggiunse Gesù - tu sarai una figlia della mia Pas­sione, e una figlia prediletta. Uno di questi figli sarà il tuo padre. Và e palesa ogni cosa ... » (Autob., p. 265). E in quell'occasione fece anche la conoscenza del­l'impareggiabile donna Cecilia Giannini, la sua futu­ra protettrice ch'essa chiamerà prima zia e poi mam­ma (come già abbiamo notato).

Si deve arguire che Gemma deve aver messo subi­to al corrente del suo progetto il Confessore Mons. Volpi, se già nella prima lettera conservataci (del mag­gio-giugno 1899) aggiunse la postilla: «Mi ci mette an­che in Convento? Guardi di mettermi in qualche posto; se sapesse quanto sto male così! Mi lasci andare ... » (p. 310). Sappiamo che da questo momento comincia un autentico bombardamento di implorazioni febbrili e angosciate sia al confessore prima, come al P. Germa­no poi ed alla M. Maria Giuseppa del Convento delle

(I) Cf.: Autobiografia, p. 244 S., come già si è accennato.

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Passioniste di Cometo Tarquinia di cui conviene rife­rire almeno alcune espressioni per afferrarne il con­testo nella pena e nell'attesa che di fatto diventeran­no inutili, quanto appaiono commoventi e strazianti.

a) È nella letto 2 a al Confessore che si legge il principale antefatto e si tratta di una visione avuta da sveglia, che il P. Gaetano (uno dei Passionisti della Missione) le ordinò di riferire al Confessore: {( Una se­ra mentre scrivevo, mi sentii chiamare per nome; mi voltai e vidi una Signora con un bambino in braccio. Fece per darmi a me il bambino; io lo presi, poi la Signora mi disse: {( Tu, figlia, hai ricuperato la salute, e però voglio che tu te ne serva per servire il Figlio mio nell'ordine delle Passioniste. Tu sarai Passioni­sta». Dal seguito del racconto, si arguisce che la fer­vida penitente ne aveva già parlato col Confessore senz'alcun esito: {( Dette queste parole, prese il bam­bino, mi benedì, mi guardò tanto tanto, e poi quando ebbe fatti alcuni passi, si voltò di nuovo e mi disse: {( Devi dire al Confessore che quello che ha rifiutato a te, non lo rifiuti a me, che sono la Regina del Cielo. lo ho dato a te l'ordine di entrare nella Compagnia delle Passioniste, e tu devi fare quello che ti ho co­mandato. Appena dette queste parole, andò via». La poverina confessa di non aver fatto che {( piangere tutta la notte, perché vedo - dichiara con franchezza - che sono molto lontana dall'aiuto delle persone in questa cosa». Ma la sua volontà è ormai ferma, rileg­giamo il testo: {( lo però penso che, se la Madonna me lo ha ordinato, mi aiuterà. Ho preso una risoluzione: di andare via da me; le parole della SS. Vergine so­sterranno il mio coraggio. Anderò via così come so­no, senza niente; non mi ripugna niente il soffrire qualunque cosa: non arriverò mai a soffrire quanto

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ha sofferto Gesù; e poi sono contenta, se a forza di sacrifizi potrò entrare nelle Passioniste. lo quest'or­dine l'ho avuto dalla Madonna e ho il dovere di obbe­dire» (p. 311). Nella lettera 19 a al Confessore nel di­cembre 1899, racconta che dopo « averne toccate as­sai» dal maligno, ecco che viene S. Gabriele a darle la più esplicita assicurazione: « Sta contenta, benedet­ta figliola, te l'ho detto tante volte che tu sarai Passio­nista» (corsivo di Gemma). E aggiunge: « Non temere nulla, qualunque cosa succeda. Il nuovo convento do­vrà essere fatto qui, in questa città, e tu sarai Passio­nista. Sarà più facile - le assicura il Santo - che cada il cielo, che non si avverino queste parole, poi­ché sono le parole che ha fatte riferire a me Gesù Cristo ». E, dopo alcune chiarificazioni, il Santo le promette la sua assistenza: « .. , Và dove il Confessore ti mette, perché ora non è più tempo di star fuori, vai a portare la croce un po' là, poi la porterai in altro luogo ... )} E si congeda baciandola in fronte e ri­petendo: « Tu sarai Passionista; sono parole di Dio, non falliranno. Si scatenerà tutto l'inferno per que­sto, ma tu confida in me» (p. 338 s.). Ed alla sua spiri­tuale allieva S. Gabriele ingiunge di dire tutto al Con­fessore con la minaccia che altrimenti non si farebbe più vedere: « ... ti lascio e ti lascerà anche Gesù» (p. 339). Gemma obbedisce in tutto anche se le costa gran sacrificio, ma non succede nientee).

La stessa assicurazione ritorna nella letto 1 a a P. Germano del 20 gennaio 1900 e qui è ancora S. Ga­briele che in visione le dà la garanzia. La signora Ce-

(2) Gemma se ne lamenta espressamente con P. Germano nella lett. 20 a : «Eppure Gesù a Lei deve dirgli tante cose su questo punto! Perché non obbedisce? Non si opponga alla volontà di Gesù, come ha fatto Mon· signore fino ad ora, non lo dico mica io, sa? tante volte me lo ha detto Gesù, mi è parso» (p. 57).

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cilia Giannini stava appunto pensando di fondare in Lucca un Monastero di Passioniste. Ed ecco il dialo­go: «Una notte mi parve di rivederlo [S. Gabriele] e gli domandai: «O il convento verrà fatto?» Mi rispo­se: «Sorella mia, ci è tanto tempo ancora due anni (era il mese di settembre), ma però ti assicuro che verrà fatto ». «Ma io potrò essere Passioni sta ? ». Mi rispose così: «Sorella mia sarai ». «Ma dove? - gli domandai. - O fammi mandare a Corneto - ». «Per­ché così lontano? ». «Per dimenticare tutti, e perché tutti dimentichino me ». Non mi rispose; mi benedì e andò via; quando fu per sparire: «Non temere, sa­rai Passionista» (p. 5). E nella letto 2 a l'assicurazione viene ancora da Gesù stesso: «Non ho potuto espri­mermi, ma Gesù mi ha capito, e mi ha risposto: «Fi­glia, sta quieta, presto sarai Passionista». Ogni volta che mi pare di sentire dire quelle parole, mi sento tutta muovere dentro, ma non mi so spiegare. P. G. [Germano], Gesù lo vuole, mi contenti, e contenti nel­lo stesso tempo Gesù» (p. 11). Nella letto 3 a del 25 marzo la «povera Gemma» vuoI mettere alle strette Gesù stesso per vedere un po' chiaro nella faccenda: «O Gesù mio, che fai? Tu mi hai messo nel cuore la vocazione di farmi Passionista e poi così mi allonta­ni? Non mi dai dunque la grazia di poterla effettua­re?» (p. 12).

Ma già l'umile creatura si mette nella completa rassegnazione, anche se la disdetta la fa atrocemente soffrire. Ecco la sofferenza della tensione: «Ora poi, Padre, sono abbandonata quasi anche da Gesù. E al­lora che farò? a chi ricorrerò io? Glielo domanda Lei a Gesù di queste cose? E gli dica anche che se volesse anche il sacrificio di non farmi Passioni sta, lo farei, purché Gesù non fosse più serio. Faccio tutto» (p. 13).

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Malgrado l'interessamento di Mons. Volpi per trova­re qualche soluzione - e l'argomento è per noi se­condario - ogni tentativo sfuma e nel settembre l'u­mile penitente gli scrive accorata e rassegnata: « Un'altra cosa: quando io gli dicevo che mi mettesse in convento, era il gran desiderio che avevo. Gesù mi diceva: «Sì, ma Passionista »; e altre volte mi diceva che gli dicessi che mi nascondesse. Ora però non dirò più niente, perché la Mamma mia non vuole, altro che Passioni sta; se no, in Paradiso. O bene, in Paradi­so! Ci vado?» (p. 373). Ed alla fine sarà questa la so­luzione.

b) Ma già nel giugno 1900 Gesù la veniva prepa­rando: «L'altra mattina mi parve che dopo la SS. Co­munione mi dicesse cosÌ. (Sono solita ogni mattina, la prima grazia che dimando a Gesù, è che mi facesse

. andare in convento), e Gesù mi rispose: I Ma sai, figlia mia, che vi è una vita ancor più beata di quella in convento?' E non mi disse altro». La fanciulla - ed è facile capirlo - rimane interdetta: «Penso più vol­te quale sia questa vita, ma non arrivo a conoscerla; però la desidero tanto, che ho sempre lì fissa la men­te. Vorrei possederla e presto. Lo chiedo a Gesù che mi faccia andare in quella vita più beata, ma mi ri­sponde che di mandi il permesso al Confessore. E di questa cosa Lui non sa anche niente, ma stasera glie­lo dico ». E così il tutto sfuma - certo, per divina disposizione - in un palleggiarsi fra Mons. Volpi e P. Germano, desiderosi però tutti e due di venirne a capo. Ora il desiderio per Gemma si fa più cocente, poiché « ... Tante mie compagne, che avevano come me vocazione di essere Religiose, sono già vestite, e quasi tutte hanno la mia età. E io ci sono sola sola ». Ed ecco la poverina ripiegarsi sulla sua indegnità:

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«Ora mi viene da piangere; non vorrei, sa, piangere, perché l'Angelo Custode non vuole; ma mi viene da sé, e allora bisogna che pianga. Ci vorrei andare an­ch'io in convento; lo so che Gesù questa grazia a me non me la concede per la mia grande indegnità. Se vedesse, ho un cuore vuoto vuoto» (Lett. 9 a, p. 28). La Santa è disposta a tutto, anche a fare da «serva» alle monache e soffre pene terribili. L'atto di rasse­gnazione totale è nella lettera seguente (loa) del 9 agosto: mentre la contemplazione dei dolori di Gesù le fa venire «... una smania, un desiderio sì grande di soffrire tutti i tormenti del mondo », che le sugge­risce tre proponimenti: 1. l'offerta della vita unita ai patimenti di Gesù e al dolore perfetto dei suoi pecca­ti, 2. l'ingresso in convento, se è volontà di Dio e 3.: «Vuoi forse Gesù - è il proponimento decisivo -che io viva così? Tu sia benedetto. Vuoi forse che vi­va nel mondo, abbandonata, sola ed anche disprezza­ta? Sono pronta. Sia fatta in ogni modo la tua SS. Volontà» (p. 30 S.)(3). Ma allora tutte quelle promes­se categoriche di Gesù, della Madonna, di Confratel Gabriele, ecc.?

Il Signore permise che, date le condizioni parti­colari di Gemma (apparentemente quelle della sua salute, ma Gemma dà una diversa spiegazione che non è il caso qui di svolgere), le fosse rifiutata l'ac-

(3) Un anno dopo, nella corrispondenza con M. Maria Giuseppa Ar­mellini, affiora discreta la supplica: «Ora vorrei dirle una cosa, ma temo che P. G.[ermano] mi gridi. Mi prende in convento con Lei? Sarò buona, obbedirò» (Lett. 1 a, p. 415; lo ripete nella postilla alla lett. 2 a , p. 419; nella lett. 3 a l'informa dei passi concreti fatti a Lucca per il nuovo con­vento ... p. 421; anche nella lett. 6 a « ... mi metta in convento con sé» (p. 426). Ma è nella lett. 7 a , che sbotta: «Madre mia, perché Gesù mi lascia così consumare da un desiderio sì violento? Ovvero perché ci lascia così morire da un desiderio sì violento? O perché Lei ha tanto desiderio di star con me? (E come ha fatto a indovinare il desiderio di Gesù ?). Non so capirlo» (p. 427).

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cettazione all'agognato monastero di Corneto fra le Passioniste. P. Germano, che avrebbe raccolto nel­l'ultima visita alla Santa l'ultima sua confidenza al riguardo, riferisce la frase profetica: «Disse: le Pas­sioniste non mi ci hanno voluto da viva, mi ci avran­no morta» (p. 428 nota).

Ma il problema del «conflitto dei fenomeni », e quindi il martirio ch'esso ha significato per Gemma, resta insoluto. I biografi, a cominciare da P. Germa­no, hanno cercato qualche spiegazione, ma franca­mente a me sembrano sforzi inutili: la Santa stessa comprese la situazione meglio di tutti. Iddio voleva crocifiggerla in tutto, anche nell'aspirazione più alta ch'era di seppellirsi in un convento per nascondersi sotto la Croce di Cristo: la croce Gemma l'ebbe e as­sai più pesante. Ma cerchiamo di precisare ancora, per quanto è possibile dalle dichiarazioni dell'appe­nata fanciulla, questa strana situazione. Torniamo al­la corrispondenza col Confessore ch'è il destinatario ufficiale delle comunicazioni di Gesù e l'esecutore in­caricato della sua precisa volontà.

Lett. 13 a : Gesù promette di darle « ... a bere il calice mio fino all'ultima goccia .. , ma non ora, ha detto Gesù, quando sarò in Convento» (p. 329). In un'estasi del novembre le appare Gesù Bambino « ... era proprio Gesù piccino» e gli chiede di andare in convento: «Quando sarai in convento [rispose], allora ci sposeremo; devi dire al tuo Confessore che affretti lui il momento delle nostre nozze. Digli che non è im­possibile fare quello che sa Lui, anzi è facilissimo; se Lui vuole può fare tutto in un momento» (p. 331).

Lett. 14 a : «Ogni volta che mi metto a pregare, o meglio a dormire(4), mi raccomanda che dica a

(4) «Dormire» per Gemma, in questo contesto, è ancor andare in estasi.

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Lei che mi metta in convento ». Ma dove? dico io. E Gesù mi risponde; «Passionista a Corneto ». Ho detto a Gesù che è molto difficile, invece Gesù mi ha detto che è facile. Dunque - incalza con ragione Gemma - se è facile, perché non ci pensa? Obbedisca a Ge­sù» (p. 330).

Anche nella letto 17 a del dicembre dello stesso anno, all'ennesima richiesta di Gemma: «Gesù, ci sa­rò in convento la sera di Natale?» - la Madonna le aveva promesso di mostrarle Gesù appena nato - e Gesù: Ebbene dì al Confessore che se Lui lo vuole as­solutamente, lo può» (p. 335). Quella virgola dopo «assolutamente» contiene tutto il problema che nes­suno è riuscito a risolvere, perché non l'ha risolto chi doveva risolverlo: Mons. Volpi stesso. E la Santa in­calza e supplica, il demonio ha il permesso - come si è visto - da Gesù stesso di batterla ed ecco la mo­tivazione strabiliante di Gesù stesso: «A questo pun­to fece Gesù: 'Per fare conoscere ancor più chiaro che sarai una delle figlie della Passione, ti ho fatto sottomettere alle battiture; ma queste termineranno quando sarai in convento» (p. 337). Di lì a poco riap­pare S. Gabriele (p. 338) - come abbiamo già riferito (Lett. 19 a ) - e rinnova la promessa nella forma più categorica.

Agli inizi del 1900, Gemma torna a supplicare di essere levata dal mondo: «Mi fa la carità, mi ci mette in convento? Ci crede? fuori non ci posso più stare. Mi metta in qualche posto: basta che sia un conven­to» - E siamo già alla prima rinunzia: «Non dico neppure più che voglio essere Passioni sta, dico sol­tanto: faccia Lei come crede, mi basta che mi metta dentro, perché a quel che avverrà poi dopo, ci pensa Confratel Gabriele. Prima Gesù mi dava piccole co-

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sette da sopportare, ora poi ci ha aggiunto un tor­mento: non poter in nessuna maniera pregare» (Lett. 23 a , p. 344). Ma nel marzo, dopo un'orrenda vessazio­ne diabolica, Gesù le conferma: {( Sta contenta; prima bisogna che tu porti la croce in altro luogo, poi a suo tempo la porterai Passionista (Lett. 26 a , p. 349). Ma già nella citata Lett. 3 a a P. Germano, nella conclu­sione, Gemma precisa con piglio risoluto: {( Padre, per carità mi raccomandi a Gesù: gli dica che voglio essere buona e se non mi vuole Passionista, me lo levi dalla mente» (p. 13). Questo è un parlar chiaro per veder chiaro. E Gemma aveva anche detto un giorno a Suor M. Agnese delle Mantellate con tono sicuro, nel rammarico degli inutili tentativi per entrare in convento: {( Se mi mettono in convento, Gesù mi ha detto che mi fa vivere fino a 50 anni e se non mi met­tono in convento fino a 25 ». E difatti a 25 morì (Proc. Luc. nr. X, § 28, p. 465).

A giugno la nostra Santa ripete, discreta e dolen­te, la supplica e la rassegnazione: {( Mi benedica, e poi vorrei andare in convento: vado dove mi mette» (Lett. 32 a, p. 356). Gesù l'aveva esortata, per tranquillizzar­la: {( Attenta, figlia mia, vivi quieta: io sarò sempre con te» (ibid). Ma nell'estasi seguente Gesù stesso so­stiene il progetto di ripiego. Mentre la Santa è in la­grime(S), perché non sapeva più né che dire né che fare », Gesù l'esorta a ripetere a Monsignore la sua volontà {( ... che ormai sarebbe il tempo [Gemma è già nel 23° anno!] perché se Lei continuava a far così, era resistere alla volontà sua ». E la Santa intravvede: {( Allora dissi subito: I Ma, Gesù, dunque devo abban­donare proprio il pensiero di farmi Passioni sta ? lo

(5) Le zie l'avevano sgridata e minacciata di portarla, esse, dalle Carmelitane di Borgo a Mozzano, dato che il Volpi non si muoveva.

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sarei contenta, Gesù, di morire appena ho quell'abito addosso'. E Gesù mi risposte che quel pensiero non lo abbandonassi, che mi avrebbe fatto essere Passio­nista davvero prima di morire. E poi continuava: 'Ve­di, figlia mia, ora ti è proprio impossibile entrare su­bito nelle Passioniste, ma non temere di nulla; vai do­ve il Confessore ti mette, ché poi io penso al resto; però pregalo, e digli a nome mio che ti levi subito, che dove ti vorrà mettere, non avranno nessuna diffi­coltà a prenderti, in qualunque modo tu vada'. La fi­nale riaccende la speranza: «Mi ripeteva che stassi contenta, ché sarò Passionista, ma per ora vada dove vuole il Confessore, ché al resto pensa lui)} (p. 357 s.).

Ma di lì a poco S. Gabriele, ch'è quasi il secondo protagonista di questa imbrogliata faccenda, torna alle assicurazioni più lampanti: «Sta forte, sorella mia, - ha risposto - non ti lasciare ingannare da chi ti dice il contrario; è volere di Dio che tu sia Passioni­sta. Se altri ti dimenticano, io però no; quando sarà il suo tempo, t'informerò di tutto quello che avranno da fare; tu però a nessun'altra persona dovrai parla­re di questo, altri che al Confessore)} (Lett. 41 a, p. 369)(6). E avendo sentito che in Ottobre le Passioni­ste avrebbero aperto il noviziato, supplica il confes­sore di lasciarla andare da sé « ... pronta a tutto, a fare la serva, la schiava di tutte)} (Lett. 45 a, p. 374)(1). E nella lettera seguente è Gesù che passa all'ultimatum col Confessore: «'Vai subito dal Con­fessore e digli che se non ti mette in convento, quella è una pena che ti ammalerà e ti farà morire. Diglielo

(6) Nella letto 44 a (p. 373) è l'Angelo Custode che le ripete la stessa promessa, come abbiamo già.riferito sopra.

C) La notizia c'è anche nella letto 9 a a P. Germano (p. 28). A qu~sta fondazione si rifersice anche la letto 58 a con l'ammonizione: «Gua! -mi ha detto tante volte (Gesù) - a chi ci si opporrà» (p. 387).

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subi to'. Ci ho sofferto tan to a scriverglielo: mi vergo­gnavo troppo» (Lett. 46, p. 374). Sfido io! E in questo guazzabuglio Gesù le dice sempre: «Dì al Confessore che ti nasconda e faccia presto» - con l'effetto che già conosciamo e che non cambierà. E la Santa, nel dominio eroico dei suoi sentimenti, aggiunge, per concludere questa postilla della letto 47 a dell'ottobre 1900: «Non dico altro; sÌ, sÌ, e mi dice anche: «Non voglio che ti affidi a nessuno» (p. 376). Le insistenze continuano (invano!): «Dì al Confessore che sono io che lo voglio: ti nasconda e faccia presto». E la Santa umilmente, come al solito: «lo faccio quello che vuo­le Lei; in qualunque posto sono contenta, ma faccia presto: Gesù lo vuole» (Lett. 52 a e 53 a, p. 481).

Ma si vede che in questo mondo, del conflitto della libertà umana, non basta che lo voglia Gesù. E Gesù, come abbiamo riferito sopra trattando del pa­tire di Gemma, arriva a minacciare ... il Confessore e mostra a Gemma il duro cammino che l'attende, ben più doloroso di una vita di convento (Lett. 55 a,

p. 385)(8). L'ultima dichiarazione della Santa è forse la più

sorprendente e sconcertante di questo dramma: nul­la conosciamo delle reazioni di Mons. Volpi a questo stile insolito della mite creatura che qui può gareg­giare per franchezza, con quello di Caterina da Siena: «Mi ha detto anche che dicessi a Lei, che si occupi subito di mettermi Passionista, perché Lei a questa cosa non ci pensa neppure: I Digli che ci pensi subito se no lo castigo; io ti voglio Passionista (diceva Gesù), non ho più nessun segno da darti per farglielo cono-

(8) In questa lettera Gesù rivela a Gemma, come si è detto, di por­tarla alla santità ed alla gloria dei Santi mediante l'itinerario della parte­cipazione ai suoi dolori.

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scere chiaro'. lo ho detto a Gesù che glielo avrei det­to, ma Lei mi pare che non ci creda. Gesù mi ha ri­sposto, che Lei invece ci crede che è proprio Gesù; mi ha ripetuto tante volte che pensi subito perché impedisce a Gesù di fare ciò che vuole, trattiene la sua grazia (qui non ho capito bene). Gesù è contento che vada in un altro convento nel tempo che devo star fuori, ma come sarebbe contento se subito an­dassi Passionista! Me lo ha ripetuto tante volte che dica a Lei che ci pensi, che se farà questo Gesù lo consolerà; se poi non fa questo, Gesù lo castiga ». Fin qui lo stile Cateriniano, ma la conclusione è nello sti­le della «povera Gemma» che si umilia in se stessa: « lo ho detto questo a Lei, perché me lo ha comanda­to Gesù, ma non ci creda, perché è la mia testa mat­ta» (Lett. 63 a, p. 393). Anche al P. Francesco, Consul­tore provinciale passionista, mentre gli chiede per obbedienza d'interessarsi alla faccenda, l'avverte per prima cosa: « ... di non credere a quello che leggerà su questa carta, perché (già lo saprà dal P. Provincia­le)(9) ho la testa tanto curiosa, che può dirsi matta addirittura» (p. 404). Ma l'aveva già scritto nella let­tera 1 a a P. Germano, con una confessione di candore delizioso, che già conosciamo. -

Poi, cioè dopo la 64 a a Mons. Volpi, le lettere si diradano e si abbreviano; l'argomento tace. La pove­ra Gemma è tutta presa dal suo Gesù: « ... Mi sentivo come consumare adagio adagio» (Lett. 6S a , p. 393). L'unico spiraglio di soluzione, se di soluzione si può parlare, è quella che fin dall'estate del 1900, la Santa prospettava a P. Germano da parte dell'Angelo Custo­de: «Gesù mi consola dicendo spesso, che vi è una vita anche migliore e più beata di quella del conven-

(9) È il P. Pietro Paolo Moreschini, poi arcivescovo di Camerino.

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to» (P. 28)(10). Ma non sa qual'è. Lo saprà alla fine prima di morire quando farà l'offerta totale di se stessa secondo la testimonianza della zia Cecilia ri­portata dagli editori delle Estasi: «Il 18 gennaio 1903 Gemma dopo un'estasi mi disse: 'Adesso poi non mi resta altro che prepararmi alla morte; perché ho fat­to l'offerta a Dio di tutto e di tutti '. Ed io le dissi: 'Anche di P. Germano?' Ed essa rispose: «SÌ» (p. 162 nota). Quindi il dramma di Gemma, al livello esisten­ziale cioè quello del «conflitto dei fenomeni» nella tensione della libertà resta ed esso ha costituito per la Santa un autentico prolungato acuto martirio. So­lo la sua fede eroica l'ha sostenuta per non ribellarsi od impazzire. Ma insieme solo un amore sconfinato per Cristo, ch'è cresciuto proprio «contro i fenome­ni », l'ha portata alla suprema purificazione.

La sua personalità infatti - l'espressione è tut­t'altro che un'iperbole - fu stritolata soprattutto, certo in buona fede, dalla persona sacra a lei più vici­na ch'è stato appunto Mons. Volpi sia con l'ispezione medica delle Stimmate sia anche col tergiversare per la vocazione passionista. Forse a questo Gesù stesso alludeva quando nel Diario del 20 luglio 1900 le dice: «lo ti amo tanto, perché multo .~i. sOlI)Ìgli ». - «In che cosa - gli dissi - che mi vedo tanto dissimile da te?» «Nell' essere umiliata» mi rispose» (p. 167). E la stessa Santa aveva chiesto nell'estasi dello stes­so giorno 20 luglio! « ... un'altra cosa ti chiedo, Ge­sù ... Ma lo vedi, ti chiedo che tu mi nasconda agli

(10) Anche in una postilla al P. Germano 1'11 ottobre 1900: «Non mi è parso che Gesù quando mi parlò del convento nuovo (da aprirsi in Lucca), dicesse che io dovevo starei; mi pare di no, anzi se glielo do­mando, non mi risponde, ride» (Lett. 21·, p. 62). Si osservi, in un argo­mento così appassionato per lei, l'obiettività e l'eroico controllo dei senti­menti.

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occhi di tutti. Sì, di essere più umiliata, di essere tra­scurata, di essere tenuta in nessun conto, come sono ora» (E. 42, p. 66 Wl). Per questo allora il Figlio di Dio si è ,chinato in tanta familiarità di dolore e di amore con questa umile vergine facendo di essa una gemma celestiale, la «Gemma di Gesù solo »(12).

La figura singolare di Gemma Galgani ha suscita­to studi e ricerche specialmente sulla originalità della sua vita spirituale, sui singolari doni mistici di cui Dio la gratificò, sulla sua eccezionale vocazione di passionista (mancata!) ... Poco ancora è stata studiata la personalità quale risulta dagli scritti di questa mi­stica toscana che sa piegare la sua penna a insoliti ar­dimenti di concetto e di stile, pur scrivendo «di fu­ria» e senza mai rileggere come lei stessa confessa.

La sua opera letteraria è puramente occasionale: sono le lettere e i testi autobiografici, stesi per ordi­ne dei suoi confessori - Mons. Giovanni Volpi e P. Germano passionista(l3) - che obbligarono l'ecce­zionale penitente a mettere per iscritto i singolari « fenomeni» che le accadevano. La posizione di Gem­ma, anche su questo, è assai singolare; lungi dallo sti­le colto e assertorio delle grandi anime dotate di ca­rismi affini - come S. Caterina da Siena, S. Teresa di Gesù, S. M. Maddalena de' Pazzi ... , - per lei scri­vere è un supplizio, essa protesta la sofferenza che le costa e sembra alle volte di sentirla sbuffare(14),

(1') L'estasi è senza data, ma giustamente gli editori hanno messo la data indicata dal Diario.

('2) Così si firma nell letto 39a a P. Germano (p. 111); anche nelle breve letto 43 a (p. 122), nella grande letto s-*a, già citata (p. 148) e nella letto ssa (p. 150).

(13) Citiamo sempre dai due val.: I, Lettere di S. Gemma Galgani, rist. dell'ed. 1941 a cura del P. Giacinto del 55. Crocifisso, Roma s.d.; II, Estasi, Autobiografia, Diario, Scritti Vari, rist. Roma, 1975.

('4) Inizia infatti la letto 2 a a P. Germano: «Tutto quello che scrivo solo per obbedienza, ma con la più grande fatica» (p. 9).

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anche se lo scrivere le dà sollievo nell'effusione del­l'animo. Questo vale soprattutto per le Lettere. Per le Estasi poi si tratta di testi che sono stati colti da altri in ascolto, assai discontinui nel tempo e neces­sariamente lacunosi, i problemi sono diversi. Eppure sono forse le estasi, alcune in particolare, che pre­sentano maggiormente ardimenti di pensiero e di sti­le nell'immediatezza dell'esperienza diretta delle co­se supreme.

Gemma quando scrive - e credo sia risultato un gran pregio - non si richiama a principi riflessi di teologia o di spiritualità (le sue letture agiografiche sono state molto limitate) e neppure a testi biblici. La sua vita spirituale è fatta in prevalenza d'incontri e di presenze, di colloqui e contese spirituali con per­sonaggi dell'aldilà: non c'è che lei, Gesù, la Madonna, gli Angeli, S. Gabriele e (notevole protagonista!) il diavolo ... e tutti le parlano con stile immediato sen­z'alcuna erudizione. L'unica occasione notevole - se eccezione può dirsi - sono le due dichiarazioni chie­stele da P. Germano, sui misteri dell'Incarnazione e della Trinità: ma anche questi due scritti sgorgano dall'anima di Gemma attingendo alla fonte viva della sua esperienza diretta: la spiegazione dell'Incarnazio­ne l'ebbe dall'Angelo Custode e quella della SS. Trini­tà da Gesù stesso dopo la S. Comunione. .

Ma lo stile di Gemma è tutt'altro che naif o grez­zo o impacciato: esso rispecchia le altissime cose che deve riferire ma lo fa senza fronzoli, con pudore qua­si a scatti e sussulti, limitandosi all'essenziale. È preoccupata, assai preoccupata ... ma non della gram­matica e della sintassi e tanto meno della qualità let­teraria dell'esposizione o della descrizione, bensì uni­camente di riferire con precisione le esperienze stra-

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ne e insolite che prova e che riceve: soprattutto cerca di avvilire se stessa, di mettersi dalla parte di chi la disprezza, la fa soffrire, la deride e la trascura ... Ep­pure Gemma sa scrivere, e come! Quando il tema la prende e la rapisce nel suo vortice, la pagina freme delle vibrazioni dell'eterno ch'essa rievoca e «ripete» con l'animo sbigottito e incantato insieme. Alcune sue lettere - non solo quelle più impegnative al P. Germano o a Mons. Volpi, ma anche di alcune amici­zie spirituali p. es. alla M. Maria Giuseppa di Corneto e alla sig.a Giuseppina Imperiali (la «Serafina ») di Roma ... - possono dirsi pezzi di antologia per vigo­ria e trasparenza di stile ma non solo e non soprat­tutto per questo. C'è di più, molto di più c'è la con­suetudine e familiarità col sublime e con l'ultraterre­no ch'è vissuto e descritto in totale semplicità e con l'unica sorpresa di esserne lei, col Cristo, la protago­nista. Si ha l'impressione che lo zenit della sua vita mistica con l'impressione delle Stimmate, la domeni­ca dell'8 giugno 1899, è stato un punto di arrivo di un tirocinio della Croce ch'è rimasto un segreto fra lei e Gesù. E non sembri irriguardoso allora - e se ciò fosse, chiedo umile perdono a Gemma - riporta­re la forza delle pagine di Gemma alla veemenza del­le sue esperienze, una veemenza dolce ed una dolcez­za veemente, quella di un fuoco misterioso ch'essa attingeva altrove e l'appenava sempre più nell'esilio del mondo.

Un'ultima osservazione a questo riguardo, ch'è anch'essa piuttosto un'impressione. La Galgani ebbe maestre eccellenti, fra le quali emerge un'autentica scrittrice ch'è la beata Elena Guerra, fondatrice delle Suore di S. Zita: Gemma ricorderà con profonda gra­titudine specialmene Suor Vagliensi e Suor Giulia

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Sestini. La sua pagina ha però una sua propria di­mensione ... di volta in volta perché creata sul posto, se così si può dire: non è né di scienza né d'esperien­za nel senso ordinario di questi termini, essa viene da un nuovo continente in cui è trasferita la sua ani­ma che non è il nostro, neppure quello delle anime spirituali di giusto calibro. Ma è inutile diffondersi in considerazioni vaghe e formali: solo chi la legge, anzi solo chi vi ritorna, non una ma più volte di con­tinuo, potrà rendersi conto degli ardimenti del suo stile, sempre asciutto e vigoroso quasi non di donna anche se profuma di esperienze celestiali. In partico­lare l'Autobiografia o confessione generale scritta per P. Germano, ch'essa attribuisce alla dettatura dell' Angelo Custode dello stesso Padre, ha una dram­maticità ed una forza di stile che non temono con­fronti anche fra i classici dell'introspezione di cui pur fiorì il mirabile ottocento (che Gemma certamen­te non conosceva!). Ricordiamo soltanto le pagine sulla guarigione miracolosa e sull'impressione delle Stimmate (p. 247 sS., 261 S.)(15).

Ma ciò che sconcerta - e (forse!) anche consola - nella vita spirituale di Gemma è da una parte la sua affettuosità e tenerezza che le strappava dal fon­do del cuore, come diremo, il pianto - un pianto si­lenzioso di amor doloroso - e dall'altra parte una fermezza d'animo e un dominio dei sentimenti più che virile, da superare intrepida i dolori e le privazio­ni più cocenti senza versare una lagrima come nella morte della mamma, del papà, del fratello Tonino e della diletta sorellina Giulia, così da accettare con

(15) Sulla guarigione c'è anche una relazione a parte, scritta il 9 marzo 1899 a sei giorni di distanza dall'avvenuta guarigione, forse a ri­chiesta di Mons. Volpi (p. 273 ss.).

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assoluta indifferenza la miseria nera e piena di umi­liazioni che si abbatté sulla famiglia alla morte del babbo. I testimoni del Processo sono concordi nel ri­levare soprattutto in quest'ultima occasione, il com­portamento di eccezionale dignità da parte di questa ragazza che aveva conosciuto l'agiatezza di una fami­glia borghese e fu costretta a vivere quasi di elemosi­na. L'Autobiografia sorvola su tutto questo, nessun cenno, nessun lamento: «lo sola senza cuore, scrive, rimanevo indifferente a tante disgrazie» (p. 239). È un'espressione di rara elevatezza di spirito, che rive­la una visione cristiana della vita e della morte come baluardo contro l'irrompere irrazionale delle disgra­zie e la tentazione della disperazione.

Anche per Gemma allora possiamo parlare di «piani di coscienza» e nella prospettiva più ovvia di piani, in successione ascendente: piano umano, cri­stiano, mistico. Il piano mistico in Gemma si presen­ta in questi scritti a tale punto di assuefazione che sembra quasi «naturale» e la prima a stupirsi è lei stessa che si giudica sempre e con puntiglio sa e can­dida insistenza tanto «cattiva ». Gemma sempre, fin da bambina, e non solo a partire dall'impressione delle stimmate, è vissuta in un mondo tutto suo e di­verso da quello comune: non ch'essa non avvertisse le voci e le suggestioni di questo, ma sta il fatto che si trovi trasferita nell'altro sotto la spinta di una ar­cana predestinazione di cui lei è la prima a stupirsi, mentre confessa con impietosa sincerità i pericoli delle sue tendenze e le suggestioni maliarde dell'epo­ca, con un avvertimento superiore all'età e alle con­dizioni dell'ambiente. Ma ben presto l'anima sua è se­gnata col marchio di fuoco della sua vocazione alla Croce. Questo fa passare in secondo ordine, ma non

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vorrei essere frainteso, il lato sia cristiano ordinario come quello umano - anche se l'uno e l'altro ebbero in lei una profondità e vigoria eccezionale. Gli è che l'uno e l'altro furono in lei convogliati nel turbine del primo e dominati dalla sua veemenza: si potrebbe quasi dire - e mi rendo conto di usare un'espressio­ne piuttosto eterodossa - che la veemenza della real­tà mistica li ha trascinati con sé, quello semplice cri­stiano e umano dominandoli, non però per ecclissarli ma per farli fiorire con sorprese di elevazioni origi­nali della sua libertà. Si dirà che questo è accaduto a tutti i santi: può essere, ma in Gemma Galgani è il piano mistico che si umanizza e quasi perde ogni paludamento di trascendenza ma cosÌ che il piano umano stesso è già mistico fin quando, piccina anco­ra e in braccio alla mamma, accanto a Sr. Vagliensi o già ragazzina di Il anni (ma ancora in braccio a Sr. Giulia Sestini!) si commuove, gioisce, piange, sviene ... : al sentir parlare del paradiso e di Gesù Cro­cifisso.

Bambina allora Gemma non è mai stata? In un certo senso Gemma non si può dire che sia stata nep­pure ragazza... perché è stata sempre la «povera Gemma» e la «Gemma di Gesù! ». La meraviglia della vita terrena di Gemma è che la sua anima è stata sot­tratta subito, col primo formarsi della coscienza, ai sogni dell'infanzia e agli incanti dell'adolescenza. L'Autobiografia parla della condiscendenza del bab­bo per abiti e passeggiate, alle quali faceva però da contrappeso le sua eccessiva carità verso i poveri. La sua anima cominciò per tempo a sentire il sottile lu­minoso fascino di una Presenza assoluta. I testimoni dei Processi spesso ricordano la bellezza straordina-

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ria dei suoi occhi('6): eppure Gemma ha tratti uma­ni - negli atti, nei gesti, nelle espressioni ... - cosÌ schietti, gioiosi, prorompenti come di una natura bramosa di vita, assetata di tenerezza e di affetto, ch'è frequente senza dubbio riscontrare in altri santi, ma in Gemma essi si esprimono ad un livello di tale prodigiosa purezza ch'è pari alla sua donazione tota­le. Anche qui qualsiasi tentativo di analisi o di descri­zione resta sempre al di sotto della realtà. Solo Gem­ma può spiegare Gemma; no, forse neppure Gemma può spiegare ciò che vive, sfolgora e si nasconde in Gemma, ma solo Colui che la folgora e l'attira, Gesù stesso. E tutto quello che si può conoscere a questo riguardo si trova appunto nei suoi scritti, tutti occa­sionali e buttati giù appunto di furia('7): essi sono certamente uno dei più straordinari documenti di co­municazione nella storia - pur tanto ricca - della spiritualità cristiana.

Ma anch'essi, più che sciogliere il mistero del suo itinerario terreno, l'infittiscono per noi ancor più. Alla fine, dopo le molte letture e riflessioni alle quali uno è attratto per una misteriosa magia di spi­rituale fascino e profondità, essi si mostrano come uno schermo sul quale si proiettano e scorrono realtà che stanno aldilà di tutte le categorie e le consuetudi­ni dell'esistenziale ordinario. Uno schermo sul quale, ma soprattutto oltre il quale, compaiono sensi e sen­timenti di Gemma sulle realtà terrene e celesti che si sprofondano nelle dimensioni inaccessibili della divina giustizia e misericordia: è il mondo del so-

(16) Cfr. E. Zoffoli, La povera Gemma, Il ed., specialmente la foto riprodotta a p. 464, scelta anche da noi.

(17) Secondo l'espressione spesso ripetuta dalla stessa Gemma, la quale tuttavia vi si preparava con l'impegno di note, appunti ... che (come sembra) poi distruggeva.

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prannaturale, visto e vissuto da parte di una coscien­za, senza dubbio, privilegiata. Si ha l'impressione che più ci si avvicina a siffatte realtà, che riempiono le ore i giorni e le notti di Gemma, e più l'orizzonte si sposta sprofondando in una luce che le avvolge e le « oscura» per noi - ma anche, come vedremo, per la stessa Gemma, benché non allo stesso modo che per noi.

La realtà della breve ed infuocata vita di Gemma è quella di «figlia della Passione«, come la chiamò Gesù stesso, e le varie «conversioni », di cui ella par­la, sono le tappe del suo avanzare nella sequela di Cristo Crocifisso. Glielo ricorda l'Angelo Custode quando la rimprovera per l'orologio d'oro: «Ricorda­ti che i monili preziosi che abbellano una sposa di un Re Crocifisso, altri non possono essere che le spi­ne e la croce »(18). Ma ciò che a questo proposito sorprende - e questo garantisce in lei il suo distacco - sono le sue ripetute dichiarazioni che «non capi­sce nulla », che infiorano specialmente l'Autobiogra­fia. Aveva sentito dalla mamma quando le mostrava il Crocifisso che Gesù... era morto in Croce per gli uomini: «lo capivo ben poco e piangevo» (p. 223). Co­sì « ... più tardi poi lo sentii ripetere dalle maestre, ma mai avevo capito nulla» (p. 226). Siamo quindi agli antipodi dell'infatuazione isterica femminile: Gemma stessa ironizza e scherza volentieri (esage­rando!) sulla sua testa ... matta, mattuccia e anche piuttosto dura di comprendonio.

(18) Autobiografia, p. 235, come già si è detto.

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2. Gemma di Gesù (solo)

Tutto è sconcertante nella esistenza di Gemma: la coesistenza degli opposti nella sua vita e nei suoi pensieri mette a dura prova la logica ordinaria delle cose e gli stessi suoi sentimenti prendono le vie più impensate. Sembra che Iddio voglia davvero abituar­ci al «mondo capovolto)} del verbum crucis di S. Pao­lo (I Cor 1,18).

Soprattutto a partire dall'impressione delle Stimmate la sua vita sembra infrangere tutte le leggi fondamentali della fisiologia: cibo e bevanda sono ri­dotti al minimo ed il sonno va a capriccio perché la maggior parte della notte è occupata dalle divine co­municazioni, specialmente quella tra il giovedì e il venerdì è immersa quasi sempre nella partecipazione ai dolori della Passione del Signore. E poi, a impedir­le un po' di sonno, ci sono anche le vessazioni e ba­stonature del diavolo. Eppure, passati i fenomeni, la Santa si riprende: essa stessa dice di stare benissimo, malgrado le continue e copiose perdite di sangue causate dalle Stimmate, dalla corona di spine ... il sangue le usciva anche dalla bocca, dal naso e perfi­no dagli occhi e malgrado i violenti sobbalzi del cuo­re che le alzarono tre costole (1) - e ciò fu riscon-

(I) Vedi specialmente la letto 33 a (p. 99) ch'è una deliziosa descri­zione della sua compagnia celeste: « Viva, viva Gesù! Dopo la SS. Comu­nione ora che è poco, la Mamma mia mi ha chiamato e mi ha detto che oggi era, la sua festa (l'Immacolata). Aveva cambiato il vestito, non l'ave­va più nero, ma bianco, mi ha accarezzato tanto ».

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trato anche nella ricogmzlOne del corpo - come a S. Filippo Neri. La Santa ne parla spesso nell'Episto­lario.

Basti un accenno per tutti. La domenica 25 no­vembre 1900 Gemma informa P. Germano: «Oggi è domenica; sto assai meglio. Non si creda, se dico co­sì, che sia ammalata. Sto benissimo. Vo' dire: sto as­sai meglio di certe cose accadute nei giorni passati, Giovedì notte, e Venerdì nel corso del giorno. Che co­se curiose, babbo mio! la notte non dormii mai, e il giorno stetti assai male. Ero stanca stanca, e non fac­cio mai nulla; le mani mi morivano, le gambe lo stes­so, non mi lasciavano fare un passo senza soffrire im­mensamente. Dalla parte sinistra dolore continuo no, ma quelle strinte furono molte, ma non tanto doloro­se. Si figuri: tempo indietro Gesù mi disse che ogni giorno si faranno più dolorose, fino da perdere i sen­si, e Lei mi disse che in una di queste, non so come dire, dovrò morire. Evviva, evviva Gesù! Nel capo ci soffrii un po', ma sempre senza disobbedire (alméno mi pare). Di questo gli dirà le cose meglio la sig.a Cecilia. lo dico solo che mi sentivo male, e special­mente gli occhi, e perfino i denti ». Ma subito lo tran­quillizza: «Ma con tutte queste cose non creda che sia ammalata; sto bene assai oppure, è meglio che non dica bugie, soffro ma sto zitta; fino a che duro, silenzio, e poi per forza sono costretta a dirlo, ma a chi devo lo sò ». Noi però non lo sappiamo: Cecilia? L'Angelo Custode? Verso la chiusa un'altra notizia del suo dramma: «Ieri sera verso le 2 1/2 ebbi una strinta forte; mi forzai un po' e mi venne un po' di sangue dalla bocca; l'altra, che mi venne pure del sangue, verso le 9. Stanotte è stata una notte un po' brutta: non ho mai sentito Gesù, e ho sempre patito;

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stamani presto credevo ... )} (Lett. 31 a, p. 89 ss.). E nel­la postille aggiunge: {( Sto benissimo, babbo mio» (p. 91). Ha trovato anche la formula della sua vocazione che già conosciamo e che ripeterà al Volpi: {( Come sa, io sono la vittima e Gesù dev'essere il mio sacrifi­catore» (Lett. 32 a , p. 93)(2). Tutta immersa, come si trova, in fatti e comunicazioni della più alta mistica, Gemma ne è completamente distaccata ed essa stes­sa, come sappiamo, attribuisce tutto al gioco della sua fantasia. Anzi - caso forse più unico che raro - chiede di essere liberata da tutto, anche da Gesù: {( Se restasse a me la scelta, rimarrei così: senza Gesù, senza altri (Lett. 29 a , p. 84). Incredibile! Non vuole attaccarsi alle {( consolazioni» di Gesù: {( lo non vo­glio da Gesù altro che Gesù» (Lett. 44 a , p. 125).

Eppure la vita di Gemma è ormai tutta immersa in Gesù. È stato notato che il nome di Gesù nell'Esta­si ricorre ben 1805 volte e nelle lettere 2434 vol­tee) ... : un totale di 4239 volte, alle quali vanno ag­giunte le invocazioni sparse negli altri scritti e so­prattutto nelle Estasi che non sono state raccolte che sono forse la maggior parte. E si deve tener conto inoltre che le fortunate amanuensi facevano quel che potevano, anch'esse sbigottite di fronte a fenomeni così alti e misteriosi della loro eccezionale ospite. E questa insistenza del nome di Gesù opera anche sul

(2) La stessa formula ricorre infatti nella Corrispondenza, quasi contemporanea, al Volpi; letto S2 a , dicembre 1900 (p. 381) e letto 6S a (lu­glio 1902), quando ormai il progetto del convento sembra sfumato del tutto: « Non sa forse che Gesù è un anno e più che aspetta di sfogarsi con me? Glielo dissi l'altra sera. lo sono la vittima, Gesù è, e deve essere il mio sacrificatore. Gesù non gli pare forse che non possa piÙ' aspettare? A me par di no >, (p. 393).

(3) Cf.: Lettere, Introduzione, p. XXVIII; Estasi ... , Introduzione, p. XXXII. - Si possono riscontrare frequenti casi ove il Nome di Gesù ri­corre fino a tre volte nella stessa riga: p. e Estasi 20 a , p. 31; 31 a, p. 47; 40 a p. 63 ... e nell'estasi 41 a p. 64 ben 4 volte!

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lettore una dolce quasi attrazione e astrazione, crea come un clima di arcana pace ed improvvisa illumi­nazione in un «debole» slancio di consonanza - di più non è lecito osare o sperare - con l'eccezionale creatura.

Ciò che colpisce soprattutto è la familiarità di Gemma con Gesù, la confidenza filiale fino ai confini dell'estrema tenerezza da ambo le parti. Gesù le ap­pare soprattutto sofferente nella manifestazione, co­me già abbiamo esposto, dell'intero mistero della sua Passione e Morte. Ma lo vede anche tenero Bambino, come scrive nel novembre 1899 al Confessore al qua­le deve trasmettere anche il messaggio per il tanto contrastato convento(4). C'è anche il primo annun­zio dello sposalizio mistico: «Ieri nella solita ora di guardia mi accadde una solita cosa curiosa: appena principiai a farla, mi addormentai subito; mi pareva di avere in braccio un bel bambino di tre anni; mi baciava, mi accarezzava e mi domandava se lo cono­scevo e se gli volevo bene. lo l'abbracciavo forte forte e gli dicevo che gli volevo tanto bene. Mi diceva 'se volevo essere tutta sua, che presto mi avrebbe sposa­to. lo ero tanto contenta, non sapevo che rispondere, lo tenevo strinto strinto, e gli dissi: «Se sei Gesù, fac­cio tutto; se no, va' via ». Mi rispose che era Gesù. Era proprio Gesù piccino. Gli dissi che volevo andare in convento; mi rispose: «Quando sarai in convento, allora ci sposeremo(S); devi dire al tuo Confessore

(4) Già nel luglio scrive al Confessore raccontando che le appare la B. Vergine col Bambino in braccio: «Fece per darmi a me il bambino, io lo presi, poi la Signora mi disse: ... Tu sarai Passionista» (Lett. 2 a, p. 311). Altre apparizioni di G. Bambino sono indicate nelle lett. 55 e 63.

(5) Ci sembra che espressioni simili siano da prendere con cautela, il fatto che Gemma non sia riuscita ad entrare in convento non prova che non abbia ottenuto il dono dello «sposalizio mistico », soprattutto se si pensa al crescere delle sue sofferenze «fisiche e mentali» e all'ab­bandono finale che l'assomigliarono sempre più a Gesù crocifisso.

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che lo affretti lui il momento delle nostre nozze. Digli che non è impossibile fare quello che sa Lui, anzi è facilissimo; se Lui vuole, può fare tutto in un momen­to. Assicuralo che appena mi ha contentato me, qua­lunque cosa mi chiederà, tutto gli concederò; se no, farò tutto il contrario» (Lett. 15 a, p. 331 s.: la divisio­ne del testo è nostra).

Nella letto 38 a a P. Germano scrive (il 26 dicem­bre 1900) di aver rinnovato i suoi voti a Gesù B. e chiede: « Gesù piccino, delizia del mio cuore, vorrei però un regalo: il perdono dei peccati tutti» (p. 109). Nulla perciò di sentimentale, ma l'umile compunzio­ne e il pentimento per la purificazione dell'anima. Nella celebre lettera 55 a a Mons. Volpi G. Bambino le si posa sulle ginocchia ed è Gesù Bambino che le comunica per Monsignore il messaggio profetico del­la sua santità e glorificazione (p. 383).

Ma Gemma non perde il senso delle proporzioni. Gesù non si riduce ad un'esperienza ed esaltazione, ma è Dio, e lei si umilia: « Gesù, mio Dio, conosco che chi vuoI salire ben alto - scrive a P. Germano - presto sdrucciola, e cade di nuovo nel pantano» (Lett. 57 a , p. 153). Il clima spirituale della sua anima è sempre la tensione degli opposti anche, e special­mente, nel rapporto col suo Gesù: « Quel Gesù ha sempre in mano due fiamme e mi spiega che sono una di amore e l'altra di dolore» (Lett. 36 a , p. 105). Profonda come sempre, Gemma vede che più Gesù si manifesta e più si nasconde: « Gesù - Gemma pre­gava preparandosi alla Comunione - non vi facciano paura i miei peccati, non vi faccia ribrezzo la mia freddezza: riguardate, mio Gesù, all'affetto di questa vostra indegna figlia, da Voi redenta; ricorro a Voi solo, Gesù, per sempre di più piacervi, per fare sem-

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pre la vostra SS. Volonta, c pC! Jarvi maggior glo­ria ». Con queste parole, son corsa da Gesù; Gesù è venuto, ha fatto sempre al solito: in quel momento a me mi cresce il desiderio, e Gesù si nasconde nel mio cuore sì bene, che è impossibile trovarcelo ». Ge­sù però si fa vivo: «Per due volte mi ha ripetuto sta­mattina: 'Amore vuole amore, fuoco vuole fuoco' ». Ed ecco la sorprendente reazione: «Che significano, babbo mio, queste parole? Quel benedetto Gesù da me non si fa mai capire» (Lett. 40 a , p. 112 s.).

È l'esperienza del Gesù nascosto (il Deus abscon­ditus dei mistici) del «Gesù rimpiattato» come dice Gemma a P. Germano (Lett. 37 a , p. 107). E dolcemen­te lamentandosi: «Ma sa bene da sé che le mie pre­ghiere sono deboli, sono fiacche, e Gesù rimpiattato non le sentirà» (Lett. 3S a , p. 102 s.). E quando Monsi­gnore continua nei suoi dubbi e le dice perfino ch'è ... «un'ingannata, piena di fantasia ... »: «O bene! - com­menta - di questo ne godo. Viva, viva il mio Gesù rimpiattato »(6). E tremante, ma fiduciosa, si racco­manda a P. Germano: «Preghi assai: ho paura, ma s'o­no sì quieta; nessuna cosa mi disturba se non quella d'ingannare gli altri ». E si sfoga con veemente since­rità: «No, Gesù non lo permetterà, mi aiuti; Gesù da­rà lume, Gesù bambino mi darà la rassegnazione in qualunque cosa: lo preghi, ch'io voglio essere umile,

(6) Anche nella seguente lettera 39 a , parlando dei sobbalzi e del fuoco interiore che dal cuore va a diffondersi per tutto il corpo: «Allora mi fa tremare: Viva Gesù rimpiattato! » (p. 111). È l'epiteto che riserva al suo Gesù, come scrive alla signora Giuseppina Imperiali (la «Serafi­na ») di Roma: «Lo dirò al mio Gesù nascosto Il (Lett. sa, p. 449). È sinto­matica questa coincidenza, della mistica cristiana con l'agnostos Theos del tardo Ellenismo, evocato da S. Paolo nel discorso all'Aeropago (Act. 17, 23). L'argomento è stato approfondito dagli studiosi di storia delle religioni, p. es. E. Norden, Agnostos Theos, Lepizig 1913; P. Festugière, La révélation d'Hermès Trismégiste, IV Le Dieu inconnu et la gnose, Paris 1954.

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sincera e tanta pazienza voglio». E incalza con la for­mula preferita: «Voglio amare e patire. Quando ho trovato Gesù e il suo amore, mi basta; non mi curerò se è per una via o per un'altra; l'amore solo di Gesù io voglio, amore immenso, perpetuo e saziante. In Lui mi rassegno; mai, è vero?, mi può mancare la pa­terna assistenza di Gesù. Gesù non mi mancherà mai, è vero? quantunque mi abbia tolto qualunque appog­gio e consolazione su questa terra» (Lett. 38 a, p. 109). E questo nello «sfondo» (usiamo quest'espressione) - dello scetticismo sempre più insistente - certo per permissione divina - del confessore: la Santa lo sa dall' Angelo e, abbandonata in Dio, confessa: « ...

ne facevo poco conto, perché le confessioni me le ascoltava ugualmente come sempre» (ibid.). E questo le basta.

Qui l'esperienza della contemporaneità dei con­trari e la divina «strategia della tensione» dell'amor puro raggiunge il vertice della sofferenza e l'amor puro della Santa attua la donazione totale. Essa chie­de al buon Padre: «O babbo mio, babbo mio, se Lei lassù conoscesse una di quelle anime tanto ferite di amore per Gesù, gli chieda qual rimedio trovarono quando, inferme già di amore, provarono l'amara pe­na di quell'ardore che brucia, e poi me lo sappia di­re». Ed ora espone la situazione della sua anima smarrita: «Ma Gesù spesso non mi risponde; lo cer­co, e non si fa trovare; e quando mi sente lamentare e sospirare, allora si rende sempre più sordo. «Dim­mi chi sei, dimmi che vuoi, - gli dico - fatti cono­scere e poi fammi pure morire». E quasi quasi mi arrabbio e gli dico che è scortese. O perché, babbo mio, mi fa cercare così? Alle volte l'ho chiamato fino crudele ... ma gli ho chiesto subito perdono, perché

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certe parole non le dicù mica per rabbia, ma perchè gli vo' troppo bene. O babbo mio, aggiunga pure an­che Lei, come tanti altri: dica che sono matta. O bab­bo mio! Soffrire è poco, bruciare in dolce fuoco è po­co, morire è poco, struggermi tutta è poco ancora; o babbo, che darò dunque a Gesù?» (Lett. 63 a , p. 167). È una dialettica che la tortura e mai l'abbando­na. Il chiodo dei peccati la punge sempre, anche nei momenti di più spirituale devozione e l'umile Gem­ma, che spasima per il suo Gesù, è pronta ad umiliar­si. 111 settembre 1901 scrive ancora al Direttore spi­rituale lontano e si noti ancora il rincorrersi del No­me di Gesù e dell'invocazione a Gesù; «Sono pochi istanti che ho ricevuto Gesù! Che gran bella fortuna, babbo mio! lo che meriterei di vivere coi demoni, mi trovo invece circondata ogni mattina da Angeli e San­ti, e unita continuamente e intimamente con Gesù! ». E si sfoga, contemplando la grandezza del mistero: «Quanto è mai buono Gesù con me, quanto è miseri­cordioso! Ancora lo tengo dentro di me; io sono tutta in Lui, e Lui tutto in me. Ma la mia abitazione è trop­po vile per averci Gesù!. .. Gesù invece da Se stesso la rende nobile e grande. Povero Gesù! E che cosa amerò io mai questa terra? Ora che passeggio Gesù, l'umile accorato timore: «Dopo la Comunione, ripen­sando alla grandezza a che mi ha innalzata Gesù, mi confondevo e mi perdevo ... Vede, babbo mio: la pau­ra mia più grossa, sa quale è? Quella che facendo tanti peccati, arrivi poi a rimanere priva dell'amore di Gesù. A Lui mi raccomando, affinché mi faccia la grazia di non arrivare mai a meritare questo castigo» (Lett. 77 a , p. 201).

Questo sentimento della distanza nella vicinanza, dell'assenza nella presenza, della cocente impressio-

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ne d'indegnità nella donazione possessiva del Figlio di Dio alla sua anima ... è l'atmosfera in cui Gemma vive e compie la sua missione nascosta nella Chiesa. Per questo la sua «testimonianza del soprannatura­le» è una grazia singolare che lo Spirito Santo ha do­nato alla Chiesa di Cristo che esperimentava allora le negazioni radicali di Dio e di Cristo, da parte della prima cultura idealistica e poi materialistica con cui il secolo XIX aveva portato a termine l'apostasia da Dio e dal Cristianesimo. La sua esperienza è tutta splendori di grazia e sentimento d'indegnità: «Stama­ni ho fatto la SS. Comunione! O Padre mio! ho prega­to mentalmente, ho pianto in silenzio ... Erano lacri­me di riconoscenza e di felicità. Gesù, Gesù è sempre con me: ci è ancora. Ma possibile, Padre mio, che Ge­sù voglia me, me, la più indegna di tutte le creatu­re?» Il commento continua: «E i Serafini che gli stanno d'attorno, non mi respingono con sdegno ? .. O Gesù, quanto sei buono! E Gesù amorosamente mi risponde: «Vieni, vieni, creatura di fango, riconosci la tua bassezza ... Vieni da me in questo modo: schiac­ciati sotto il peso della tua indegnità ... » Padre, Pa­dre, non posso più reggere ... dopo la Comunione; no, non posso più reggere a pensare che Gesù si fa senti­re all'ultima sua creatura, che gli si manifesta con tutti gli splendori del suo Cuore, nella prodigiosa espansione del suo amore paterno ... » (Lett. 75 a , p. 197). E umile si domanda: «chi sono io? » e risponde: «Mi riconosco proprio per un essere avvilito e un frutto del peccato, proprio come dice Monsignore» (p. 198)(7).

È vero che Gesù spesso sembra colmarla di squi­site predilezioni, le regala carezze e la circonda di

(7) È il confessore, Mons. Volpi.

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strette amorose. Gemma lo confessa ancora al P. Ger­mano: « Gesù continua ancora a farsi sentire parec­chie volte al giorno: di sera e di mattina, in tutti i tempi e in tutti i luoghi ... » e alle volte passa « ... delle giornate intere a soffocare questi desideri: perché non posso con libertà sfogarmi e buttarmi nel pelago dell' amore di Gesù» (Lett. 77 a, p. 212). Di qui anche il prorompere fermo e gioioso che infiora e sigilla le sue lettere di « Viva Gesù!».

Ed al « buon babbo» fa la confessione umile ed ardita: « lo sono di Gesù: nacqui per Lui» (Lett. 23 a ,

p. 66). E poco prima, 1'11 ottobre 1900, con la sua infantile semplicità: « Gesù è sempre con me, mi sen­to tutta tutta in Lui; quanto sto bene! ho paura di offenderlo e di perderlo. Quando sarà che anderò sempre con Lui, senza più paura di offenderlo? O se l'Angelo mio mi prestasse per un momento le ali, vo­lerei da Gesù in Cielo! Ho pregato e pregherò sempre che Gesù venga presto a prendermi». E ritorna anco­ra il pungolo guastafeste e purificante del ricordo dei peccati che la sprofonda nell'umiltà: « Ma che di­co? E tanti miei peccati? Il posto dei Santi non è per me. E ora che dico? .. Mi perdoni, perché non so più che scrivo. Scrivo a caso. Sia fatto il volere di Dio». E di lì a poco le riprende la nostalgia del Paradiso: « O come devo fare a non desiderare di morire, se penso all'eternità, all'amore tanto grande di Gesù, a quell'amore attuale di Gesù? e poi se penso che starò tutta con Gesù, che lo possederò. E non sa che mi ha detto l'Angelo, che in Cielo diverremo felici come Gesù? Allora, dopo tutto questo, come devo fare a non desiderare il Paradiso? S'immagini allora con che impeto il mio cuore amerà Gesù, quando l'avrò bene conosciuto e visto ammodo, perché ora non si

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fa vedere mica tutto; ora qui non so se mi capisce. Me lo dice se ha capito?». Profonda ingenuità che nello slancio, mentre ricorda che la Madonna le ha preso il cuore, anche lei prende il cuore di P. Germa­no con quello di Serafina e di Madre M. Giuseppa perché la Madonna le ha promesso di unirli... «a quello di proprio Gesù» (p. 61). E presa sempre dalla nostalgia del Paradiso: «Ho una grande smania di vo­larmene con Dio. Bene, babbo mio, potesse Lei dire tra qualche giorno: Gemma fu vittima d'amore, e mo­rì solo che di amore. Che bella morte! No, non mi sento calma, se Gesù non mi accende un po' del suo amore; vorrei struggere, che il mio cuore divenisse cenere, e che tutti dicessero: il cuore di Gemma è in­cenerito per Gesù» (Lett. 48 a, p. 132).

L'esperienza dell'unione consumata e consuman­te con Cristo si fa sempre più bruciante, come con­fessa ancora al P. Germano il 22 maggio 1901: «Alle volte sono costretta dall'esclamare: 'Dove sono, dove mi trovo? Chi è mai vicino a me?' Senza nessun fuo­co vicino, mi sento bruciare; senza nessuna catena addosso, a Gesù mi sento stretta e legata; da cento fiamme mi sento tutta struggere, che mi fanno vivere e mi fanno morire. Soffro, babbo mio, vivo e muoio continuamente». E il desiderio divampa. «Mai non sto ferma: vorrei volare, vorrei parlare" e a tutti vor­rei gridare: «Amate Gesù solo solo». E ormai l'anima è tutta un incendio, un dilatarsi di onde di fuoco: «Senta cose curiose, babbo mio: quanto più vorrei essere sciolta, tanto più mi sento stretta stretta e le­gata al nodo di Gesù. Più che posso, nel mondo cerco di lasciare ogni cosa, ma invece trovo tutto; fuggo tutti i piaceri della vita, e trovo invece un piacere tanto tanto grosso, che mi fa contenta tutta. Brucio

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continuamente, e vorrei sempre più bruciare; soffro e vorrei sempre più soffrire ... desidererei vivere, de­sidererei morire ... Glielo dico chiaro: quel che desi­dero e voglio, non lo so neppure io ... Cerco e non tro­vo, ma poi non so che cerco ... amo poco, vorrei ama­re tanto di più il mio ... Sento di amare, ma chi amo non lo intendo, non lo capisco ... Ma nella mia tanta ignoranza sento che vi è un Bene immenso, un bene grande. È Gesù ... » (Lett. 63 a , p. 167). E mentre gli confessa di vivere il miracolo di una nuova conver­sione, pensa sempre alla sua indegnità e al dovere della riparazione: «Non sa forse che ora sembra che mi sia convertita? [ ... ] Sì, sì, babbo mio, il mio Gesù è proprio il Gesù della bontà; esso di nuovo ha opera­to il miracolo della mia conversione e per il lume che si è degnato di darmi; sono venuta ad acquistare la cognizione della mia bassezza e, piangendo sui tanti miei peccati, sento il mio dolore aumentarsi di più a considerare i tanti oltraggi e le tante ingratitudini che le creature fanno ogni giorno a Gesù ». Nella let­tera 52 a del 17 marzo 1901 aveva scritto, anelando al Paradiso: «lo non voglio più stare in nessun posto: a stare nel mondo mi affligge troppo il dolore di ve­dere offendere tanto Gesù» (Lett. 52 a, p. 141). E si offre vittima di riparazione a Gesù per i peccati suoi e altrui: «Batta, batta pure Gesù, benedirò un milio­ne di volte quella mano, che eserciterà sopra di me un così troppo giusto castigo» (Lett. 49 a, p. 133). E, sprofondandosi in riflessioni di fede umile e ardente, incita alla sopportazione e indica nel peccato l'unico vero male: «E che importa se Gesù si avventa contro il nostro corpo? che importa se Gesù ci affligge? Ciò che dovremmo temere, e che io dovrei temere tanto, è l'assalto che fa il demonio per farci cad~re in pec-

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cato. E a questo io nulla ci penso ... )} (Lett. 76 a , p. 200).

Nelle Estasi il suo amore per Gesù - se fosse possibile, perché anche nelle Lettere la sua anima si manifesta nella sua più semplice schiettezza - si di­lata in espressioni ancor più ardenti e intense: isola­ta nella contemplazione e sofferenza delle divine co­se, astratta completamente anche dal mondo circo­stante, Gemma vive dall'intimo lo slancio della sua consacrazione e immolazione all'amore di Gesù vitti­ma dei peccatori. Dalla prima estasi che ci è stata conservata, del 5 settembre 1899, fino all'ultima -la 141 a del 12 gennaio 1903 - tutta la sua comunica­zione col misterioso mondo del Verbo Incarnato è do­minata dall'ansia suprema della suprema partecipa­zione nella suprema immolazione. I testi, che posso­no sembrare appunti, sono folgorazioni di adorazione e ringraziamento, di stupore e dolore, di gioia paradisiaca e di pentimento cocente. Ogni sele­zione finisce per guastare e diminuire l'impressione autentica di questi testi che vivono nel (del) tutto del dono divino e l'illuminano - come già si è accennato - delle comunicazioni dell' Altro interlocutore che le pie e attente amanuensi non potevano sentire. I fram­menti che riportiamo sono soltanto un rapido invito a immergersi direttamente nel testo.

1. - L'estasi 1 a contiene già i temi fondamentali:

a) (La donazione totale di sè). - «Tu sei l'unico amore di tutte le creature. Tu, Gesù ... la fiamma del cuor mio. Mio Gesù, ti vorrei amare con tutta [l'ani­ma mia] ... Santi tutti del cielo, prestatemelo voi il cuore. Gesù, o Gesù, ma ti sarò fedele per darti tutto il cuore? lo te lo do, ma dammelo più largo. Se avessi

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tanti cuori, Gesù e grossi grossi, ti vorrei amare te solo ... E tu mi vuoi tanto bene. Ti vorrei amare tanto, Gesù. Ma così chi ti ha ridotto? Chi ti ha ucciso? ».

b) (La partecipazione alla riparazione). - «Manda­mi pure da patire; così potrò dire che ti saprò amare. Una goccia del sangue tuo mettila sul cuore mio; poi vedrai che ti amo tanto per amor tuo; e poi, Gesù, mi devi far leggere nel tuo cuore il... Ti ha ucciso proprio l'amore! Gesù, fammi morire anche me di amore ... Sarebbe un tormento la vita: non c'è perso­na nel mondo che possa consolare gli affetti miei, che tu. Le spine, la croce, i chiodi, tutto è opera di amore».

c) (L'offerta di sé e l'accettazione della Divina vo­lontà) «Si fa così a amare? ... Gesù, ho imparato. Sa­èrificherò tutto per te; ma ti sarò fedele. Che bel re­galo che mi hai fatto Gesù! ... Basta, Gesù, ti ho vedu­to. Quello lì è il regalo che prepari alle anime tue ... La prendo volentieri, Gesù [la croce]. Sia fatta la tua, volontà, non la mia!» (p. 3 s.).

2. - La donazione totale è anche il tema centrale dell' estasi 13 a del venerdì 16 marzo che inizia con un cateriniano? «lo ti voglio, Gesù »(8). E prorom­pe: «Sì, mio Dio, che ti voglio. Quello che faccio, lo faccio per te. Se veglio, sono sempre con te; se man­gio, mangio per te; se soffro, soffro con te; il mio sol­lievo sarai sempre te, Gesù. Se mi sento oppressa, chiamerò sempre te. Voglio vivere di fede e di spe­ranza; non mi importa più di vederti sulla terra; mi basta di rivederti in cielo. Quando respiro, Gesù, re­spiro sempre te; non cercherò che te ». E infine il ri-

(8) Ritorna nell'estasi 18 a : ({ Ti voglio, Gesù, e nessun altro ».

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chiamo alla sua miseria, mentre divampa di gaudio. « Sì, mio Dio, sì, nondimeno non permettere che que­sto fango del mio corpo si abbia a ribellare contro la volontà tua» (p. 21).

3. - La partecipazione alla Passione di Gesù domi­na la mirabile estasi 15 a del venerdì 30 marzo 1900, con sussulti dolorosi, di amore e compassione: « Pas­sione di Gesù!... Angeli del Cielo, inchinatevi tutti con me; per la passione di Gesù. Raccogliamo insie­me il Sangue di Gesù ... Chi più fortunato di me ... Ge-sù? ... Passione di Gesù! ... Fra me e te soli ... Andiamo tutti da Gesù in croce ... Un Dio crocifisso! ... Eppure, o Gesù, ho cuore di resistere a te? ... Vicini a te non si soffre più ... Via, venite tutti a raccogliere il sangue di Gesù, che ne ha sparso tanto; ed io, l'ultima dei tuoi servi, neppure una goccia. Adoro, Gesù, quel tuo sangue versato, e spero, o Gesù, che non l'avrai ver­sato inutilmente per me. O Dio! Gesù muore! Gesù, voglio morire con te... O spine, o croce, o chiodi, quante volte ve l'ho a dire? Vendicatevi sopra di me, non più sopra Gesù. Muore Gesù, ma a me mi dà la vita. Passione di Gesù ... (p. 23). Per questo Gemma vuole alleviare gli altri e chiede per sé sempre soffe­renze: « Tieni me tanto nelle umiliazioni; in questo momento mi sento la forza [ ... ]. Ma se ti occorresse il sacrificio della mia vita, eccola ... sarei pronta [ ... ] Contenta lei(9), Gesù, e tiemmi me nell'afflizione finché vivo» (E. 35, p. 54)( IO).

4. - Un posto a parte hanno le estasi contempora­nee al « fattaccio della verifica medica delle stimma-

(9) Si tratta, secondo gli editori, della Sig.a Imperiali (<< Serafina ») di Roma, molto angustiata per la malattia di un figlio che poi guarirà miracolosamente anche per le preghiere di Gemma.

('0) La partecipazione viva alle sofferenze della Passione di Cristo è l'oggetto speciale delle estasi 30 a e 31 a del 1-2 maggio 1990 (p. 45 55.).

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te, cioè le 3 a , 4 a , sa del settembre 1899. L'estasi 3 a

di venerdì 8 settembre, ch'è l'eco immediata a caldo dell'evento, esplode con un sorprendente: « Hai vinto, Gesù, hai vinto tu! Hai fatto bene, hai fatto bene ... »

ed è un susseguirsi, un intersecarsi forte e commosso di sentimenti che la santa domina con incredibile as­soluta padronanza. Ecco:

a) (l'umile accettazione). - « Questo sacrificio l'ho fatto per te: Gesù, accettalo [ ... ] Hai voluto così, Gesù: seI contento te, son contenta anch'io ».

b) (È preoccupata, non di sé, ma solo dei peccati fatti contro Gesù) - « ... Anche di te dissero male: oggi ho sofferto [ ... ] Oggi n'han fatti di peccati. Perdonali; se mai son qua io ... Tanti, Gesù ... - ma se pensano male di me, non è nulla; ma di te ... ».

c) (Implorazione di aumento di amore). È la ri­chiesta che per ben quattro volte ricorre nello stesso periodo: « Ma tu, Gesù, mi vuoi più bene di prima~ O Gesù, dunque mi vuoi più bene di prima? Allora ti faccio altro che questo! Te, Gesù, mi vuoi più bene di prima, e io sono più contenta di prima ». E l'affet­tuosa richiesta si ripete, assieme al ricordo discreto «di quanto le è toccato soffrire per Gesù: «Gesù, mi vuoi più bene di prima, e perché? Una piccola parte per volta della tua Passione; oggi me ne hai data un po' di più ».

d) (Per sé è contenta dell'umiliazione). - «Gesù, ma te mi vuoi più bene di prima, e perché? Non ho fatto nulla per te ... Oh, per amor tuo farei altro che questo! » - «Ma te sei più contento così. Mi vuoi più bene ora o prima, quando mi credevano Santa? Ora,

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vero? » - Anche verso la fine: « ... Ero troppo contenta, tutti mi volevano bene. Non mi ci crede nessuno ».

e) (Prega Gesù che vada a consolare ... Monsigno­re.0. - «Và a consolare Monsignore ch'è tanto sconten­to. [ ... ] Almeno, Gesù, persuadi il Confessore solo. Sai, Gesù, và da Monsignore e fallo stare tranquillo: ché se ne è già pentito. Sai, Gesù, torna, e vedrai che torna solo ... lo dirò così: Se torna solo, farai tutto, e se no, niente. Gesù, vai a consolare Monsignore ». - «Consola Monsignore, Gesù: non ha fatto nulla di male per accertarsi del dottore (1' ) ... Gesù ti ringra­zio. Ha fatto bene, pensino come vogliono, ma assicu­rami che sei te» (pp. 5-8) E il 25 agosto 1900 lo difen­de in un'estasi con l'Angelo Custode (E. 45 a , p. 71).

5. - (Sentimenti profondi). - Il primo sentimento, il più vivo e continuo, è quello della sua indegnità. Già nell'estasi 7 a sboccia come un fiore colmo di tut­ti i profumi e splendori della Passione di Cristo: «O Gesù tu le croci le dai a chi ami. Tu, Gesù, sei l'amo­re di tutti, tu sei l'unico amore: lo grido forte ». Ed ora lo sfogo filiale: «Ti vorrei amare tanto, Gesù! Con quella purezza che ti amarono i vergini. Con quella fortezza che ti amarono i martiri ... allora sì Gesù ... Sai, Gesù, se ti dico troppo: con quella carità che ti amava la Mamma tua ». - (Dell'amore singolare e tutto filiale di Gemma per la Madre di Dio, dobbia­mo dire a parte). Ed ora lo sfogo: «Io basto a Gesù? Sono la delizia tua, o Gesù? [ ... ] È possibile Gesù che

(11) Nella letto 5", scrive magnanima: « È buono anche il dottore: me l'hai detto te. Facesti un brutto scherzo ... Il (p. 2). Tipico esempio di accavallamento di sentimenti opposti. Quanto a Monsignore: « Al Confes­sore pensaci te come devo fare ... lo dico, dico, ma non mi crede nessuno» (ibid.). Anche nella fine dell'estasi 3": "Non mi ci crede nessuno. Che devo dire a Monsignore?» (p. 8).

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io possa bastare a te? O Santi del Cielo, prestatemelo voi un cuore, che possa amare tanto Gesù. [ ... ] lo son tutta del Cuore di Gesù ... Che contentezza, Gesù, che mi dai! Tu sei il sostegno della mia vita, la fiamma del mio cuore, la pupilla degli occhi miei ... » (p. 15).

Sentimento dominante è specialmente l'offerta di sé come vittima per i peccatori. È già l'oggetto del­le implorazioni a partire dalla estasi 8 a ove crea un'ellissi ardita di grammatica: «Ma pensami ai pec­catori: li voglio tutti salvi ... tutti ». E supplica per un peccatore che le sta a cuore: «Figlio tuo, fratello mio: sàlvalo Gesù ». E poiché l'Altra parte sembra resiste­re: «Perché oggi non mi dài più retta, Gesù?» E si umilia: «Te ne ha fatte tante, ma te ne ho fatte più io. Sàlvalo, Gesù, sàlvalo ». Ottenuta la grazia, si sprofonda ancora di più nel sentimento della propria indegnità: «Me l'hai reso salvo? ... Allora non è più fratello mio. Ora è diventato buono e io sono sempre cattiva. Voglio essere buona anch'io. Hai vinto Gesù: trionfi sempre te» (p. 16). E nell'estasi seguente rin­nova l'offerta di vittima: «Dunque, Gesù, questi pove­ri peccatori non li abbandonare. Sono pronta a fare qualunque cosa. Tu sei morto sulla croce, fàmmici morire anche me ». E chiede: «Sfògati con me. Voglio essere una vittima per i peccatori, voglio vivere vitti­ma e voglio morire vittima» (p. 18).

Prepotente il desiderio di unirsi tutta con Gesù fino a chiedere con infantile ingenuità, addolorata -mentre tutti godono - di essere lasciata sola a pian­gere: «Perché (supplica) non mi fai un po' di posto nella stanzina del tuo ciborio?» (E. 13 a , p. 21). Identi­ca espressione nell'estasi 127 a , con ardimento di lin­guaggio nella scia della tradizione mistica: «Amor del mio amore; Gesù, mio diletto, mio conforto! Alle

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volte, Gesù, mi spaventa la tua severità; ma mi conso­la la tua piacevolezza. Mi sarai sempre padre, ed io sarò sempre tua figlia fedele e, se ti piace, sarò tua amante ... » E insiste: «Come faccio, Gesù, a nasconde­re il mio petto al tuo fuoco? Vieni, Gesù, ti apro il mio petto, introducivi il fuoco divino. Tu sei fiamma, Gesù, e in fiamma vorresti che il mio cuore si can­giasse)} (p. 149).

Ma, divorante sopra tutti, il sentimento dell'a­mor esclusivo di Gesù e per Gesù che viene sempre più crescendo. Il martedì 14 gennaio 1902 sospira: «O cuore, cuore mio, perché non ti accendi tutto? perché tutto non ti consumi nelle fiamme di Gesù? lo ti amo tanto, Gesù, e ti voglio amar sempre. Sai, Gesù, perché? .. Nel mondo non ho mai trovato un amore sincero come il tuo, perché il tuo amore è im­menso. Per amarti te, Gesù, amo non amare altri)}. E chiede di essere riempita di «Spirito che è tutto fuoco »(12) (E. 74 a , p. 99). E nell'estasi 76 a : «O Gesù, ci può essere al mondo una cosa più dolce che l'a­marti? Ora che siamo così stretti, così uniti, brucia­mi, bruciami; ché voglio amarti con forza ... ». Nell'e­stasi 79 a sembra toccare i vertici della possibilità del linguaggio umano: «Gesù, dolce mio bene, tesoro del­l'anima mia, fà di me quello che ti piace, purché non venga mai divisa da te. Accetterò tutto quello che mi mandi... Gesù, Gesù, lasciamelo ripetere: tu sarai la mia preda amorosa - ti piace, Gesù, questa parola? - come io son preda della tua immensa carità ». E termina con l'invocazione di Pietro sul Tabor: «Qui,

(12) Anche nell'estasi 126", consolandosi nella sua povertà della ve­ra ricchezza cioè «il nutrimento dell'eucaristico Verbo », menziona lo Spirito del Verbo, regnante nel fecondo seno del Genitore increato (che) si partirà e verrà a farmi gustare le sue tenerezze» (E. 126, p. 148).

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Gesù, qui nel mio cuore ci voglio fare una tenda tutta di amore: devi entrarci tu solo. lo ti terrò sempre con me, sempre qui prigioniero; non ti lascierò più la li­bertà, no, fino a tanto che tu non mi hai dato quella consolazione che io tanto desidero» (p. 105).

L'ultimo sentimento delle ultime estasi è per l'u­mile Santa quello del timore cristiano e dell'invoca­zione della salvezza: «Vengo sempre in cerca di te, o mio Dio». Lo stile ha una sua sobria solennità, ade­guata alla prova che l'anima attraversa: vuoI soffrire per tutti e pregare per tutti: «Tutti i patimenti, le umiliazioni, la tosse, tutto in sufftagio delle anime del purgatorio, che soffrono tanto. E voi, che siete le spose dilette del divino Agnello, pregate per me, che sono sempre in pericolo».

Ed ora l'ultima supplica, dolente nell'abbandono ma sempre fiduciosa: «In tutto mi rimetto alla tua volontà; ma nell'ultima poi... quella la devi fare a tut­ti i costi, e presto presto. Non sai che io ho l'ordine dal Confessore di farmi presto santa e presto presto? E se tu non lo fai? .. Se mi trovassi un po' in pecca­to? .. La possiedo la grazia tua? .. O non senti, Gesù, che ti parlo? Non senti quel che ti dico? .. O perché non vieni a fare una visita nel mio interno? Nell'e­sterno non m'importa neanche, ma nell'interno, nel­l'interno!. .. Vieni, vieni; poi al resto ci penserò io ... Fossi un po' sicura d'essere in grazia tua, o Signo­re!. .. Ouando potrò dire: Son tutta del mio Dio? .. Ouando potrò, o Gesù? .. » (E. 137 a , p. 159).

Ancora un sospiro di rassegnazione il 20 novem­bre 1902; « ... Dove mi lasci, o Gesù? Sola sola in que­sto mondo, che potrei chiamare una landa oscura?» E con animo grato e gentile per tutti i benefici e le grazie ricevute, contenta perfino che Gesù « ... la bat-

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ta colla verga dei propri (tuoi) figlioli ... », protesta ch'è pronta a rinunciare a tutto e affida agli Angeli e ai santi l'ufficio di lodarlo: « Mio Dio!, Mio Gesù! », per elevare alta la preghiera teologica: « Degnissimo, sapientissimo mio Dio ... voglio lodarti, amarti, glori­ficarti a dispetto del nostro nemico ed a gloria della tua infinita maestà» (p. 160).

L'ultima estasi conservataci, la 141 a del 12 gen­naio 1903 (ore 6,114 di sera), è il compendio ultimo degli ultimi desideri: li trascriviamo in ordine:

1. - (desiderio di ricevere Gesù nella S. Comunio­ne) « Prima ti vorrei nel mio cuore, o Gesù, e amarti; poi vederti, possederti per sempre. Dio infinito ... co­me puoi usar con me una pietà così liberale? Sai che mi dà vita? .. Il pensiero di riceverti nella SS. Comu­nione ».

2. - ( ... per possederlo in eterno) « Vorrei riceverti, vorrei vederti ... no: vorrei possederti in eterno. Vor­rei, o mio Dio, tante grazie ... Vorrei l'amor tuo» -« Tu mi chiedi amore, ed io non posso dartelo, se tu non me lo dài. Vorrei, o Gesù, un po' di perseveranza: vorrei una buona morte, e poi ... il Paradiso. Questo è tutto per me».

3. - ( ... ineffabile presenza) « Ma che è quel che sento? .. Non posso, vero mio Dio, abbandonarmi a questa dolcezza. Che è, mio Dio, quello che sento? .. ».

Poi, per più di due mesi, per noi Gemma tace ma non certamente con il suo Dio e confessiamo il ram­marico che i circostanti non siano riusciti a cogliere e a tramandarci i suoi ultimi colloqui d'invisibile presenza oltre i confini del tempo.

Il dolore di Cristo per i peccati del mondo, ed in particolare per quelli dei suoi ministri, è l'oggetto

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di una particolare comunicazione che sembra un'eco dei lamenti del Cuore di Gesù a S. Margherita Ma­ria(l3). La comunicazione la scuote profondamente che « ... quasi direi di non reggere e di morire; e mi parla di certe cose, che mi ci è voluto la volontà di Gesù a farmele capire ». E c'è anche la data: « 10 gior­ni fa ... ». Dopo averle chiesto: «Dimmi, figlia, mi ami tanto?» - «E se mi ami, - soggiunse - farai quanto voglio? .. - è un affare importante, figlia mia, tu hai da comunicare cose grandi al tuo Direttore ». Ed ora il testo: «Gesù mi sembra che continuasse così », e la deplorazione del Signore procede con il panorama doloroso dell'ingratitudine umana:

1) (la marea crescente dei peccati, delle viltà, della tiepidezza) - «Figlia mia, esclamò sospirando, quanta ingratitudine e malizia vi è nel mondo! I peccatori continuano a vivere nella loro pertinace ostinazione di peccati! E mio Padre non vuole più tollerarli. Le anime vili e fiacche non si fanno nes­suna forza per vincere la loro carne. Le anime af­flitte cadono in isgomento e disperazione. Le ani­me ferventi a poco a poco si intiepidano ».

2) (Defezione dei suoi ministri, indignazione del Pa­dre) - «I ministri del mio Santuario ... », e qui Gesù si chetò; e dopo qualche minuto riprese: «Ad Essi, che ho affidato loro di continuare la bella opera della Redenzione ... » Gesù di nuovo si tacque ... «Essi pure il mio Padre non può più tollerarli. lo dò continuamenté ad Essi lume e forza, ed Essi

(13) È la letto 85 a al P. Germano che porta due indicazioni singola­ri: l'intestazione: "Ecco ciò che sta preparando Gesù» e la data: "A dì 13 ottobre 1901» (p. 215). L'annuncio si trovava già nella letto 72 a , del 22 settembre, nella chiesa: «Sapesse quel che sta preparando Gesù! » (p. 212).

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invece ... Essi, che lo ho sempre riguardati con pre­dilezione; Essi, che ho sempre riguardati come la pupilla dei miei occhi... ». Gesù taceva e sospirava: « Continuamente dalle creature non ricevo che in­gratitudini e sconoscenze; l'indifferenza va ogni giorno crescendo, nessuno si ravvede ».

3) (Generosità infinita inesauribile di Cristo per le anime) - « Ed io dal Cielo non faccio che dispensa­re grazie e favori a tutte le creature, luce e vita alla Chiesa, virtù e potere a chi la dirige, sapienza a chi deve illuminare le anime che stanno fra le tenebre, costanza e fortezza alle anime che mi de­vono seguire, grazie di ogni sorta a tutti i giusti ed anche ai peccatori nascosti nei loro covi tene­brosi; là dentro pure io mando la luce, anche là dentro io li intenerisco e faccio di tutto per con­vertirli ... Ed essi invece ... E con tutto ciò che mai io guadagno? Qual corrispondenza trovo dalle mie creature che tanto ho amate? A vedere ciò che veg­go, sento di nuovo lacerarmisi il Cuore ... ».

4) (Dolore infinito del Cuore di Cristo) - « Nessuno cu­ra più il mio amore; il mio Cuore è dimenticato, è come se io non avessi mai avuto amore per essi, come se per essi non avessi patito nulla, come se fossi a tutti sconosciuto. Il mio Cuore è sempre contristato. Me ne rimango quasi sempre solo nel­le Chiese, e se molti vi si adunano, hanno ben altri motivi, e devo soffrire di vedere la mia Chiesa ri­dotta in un teatro di divertimenti; molti li vedo che sotto ipocrite sembianze mi tradiscono con Comunioni sacrileghe ... ».

5) (Implora anime riparatrici: minaccia del castigo) -La fanciulla è tutta sbigottita e anche ... « Gesù era

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fortemente commosso: si fermò e dopo riprese dolcemente: I Figlia, ho bisogno di anime, che mi rechino tanta consolazione, quanto tante anime mi recano dolore. Ho bisogno di vittime e vittime for­ti. Per calmare l'ira giusta e divina del mio Padre Celeste, mi occorrono anime che coi loro patimen­ti, tribolazioni e disagi suppliscano ai peccatori ed agli ingrati. Oh, potessi far capire a tutti quanto il mio Celeste Padre sia sdegnato col mondo!. .. Non vi è più nulla a trattenerlo. Esso sta prepa­rando un gran castigo, sopra tutto il genere uma­no(14). Quante volte ho tentato di calmarlo! La vista della mia croce e dei miei patimenti più non lo trattengono. Quante volte l'ho trattenuto, pre­sentando ad Esso un gruppo di anime care, e vitti­me forti! Le loro penitenze, i loro disagi, i loro atti eroici l'hanno trattenuto. Ora pure per calmarlo gli ho presentato dette anime, ed Esso: «No, non posso più ». Queste anime non possono supplire, figlia mia, a tanto. Esse sono poche ». Gesù allude­va alle Passioniste.

6) (La missione al Papa di P. Germano) - «lo tacevo: «Figlia, - mi disse - scrivi immantinente al bab­bo tuo che si rechi a Roma, parli di questo mio desiderio al S. Padre, gli dica che un gran castigo è minacciato, e mi abbisognano vittime. Il mio Pa­dre Celeste è sdegnato fortemente. lo vi assicuro che se daranno la soddisfazione al mio Cuore, di fare qui in Lucca una nuova fondazione di Religio­se Passioniste, così accrescendo il numero di que-

(14) Probabile allusione profetica alla prima guerra mondiale (1915-1918).

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ste vittime, le presenterò a mio Padre, ed Esso si calmerà. Digli che queste sono le mie parole, e perciò sarà l'ultimo avviso che lo do a tutti, aven­do manifestato la mia volontà. Dì al tuo babbo, che mi dia questa soddisfazione». E Gemma, so­bria e umile al solito: « Ho finito, babbo mio, ter­mino con Gesù. Mi benedica. La povera Gemma» (pp. 217-219).

Tale il messaggio ecclesiale di Gemma: è l'ap­pello che la Vergine stessa ha inviato e ripete al mondo: a Lourdes, a Fatima ...

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3. Tenerezza e sofferenza di Gemma (dalle «Lettere inedite »)

Si può ben dire che l'anima della Galgani era tra­sparente come l'acqua di una polla sorgiva, incapace sia di nascondersi come di fare scena: eppure quel suo viso, che durante le estasi diventava di paradiso, quando ritornava in sé sembrava rifugiarsi nell'insi­gnificanza del nascondimento e del silenzio. Non po­chi dei testimoni affermano nei Processi che la prima impressione di chi l'incontrava per la prima volta, e non la conosceva, era quasi di una ragazza ombrosa e stupidella e certamente restìa alla vita di socie­tà(1), anche all'interno della famiglia Giannini che l'ospitò negli anni che seguirono all'impressione 'del­le stimmate cioè alla suprema sua elevazione spiri­tuale.

Certamente tutto questo faceva parte della sua riservatezza nello stato eccezionale a cui Iddio l'ave­va elevata e Gemma lo fa intendere dovunque, sia

(1) È nota al riguardo la deposizione di Eufemia Giannini che l'a­veva sempre sotto gli occhi: «Tanto era nella Serva di Dio il desiderio di nascondersi e di essere disprezzata da apparire alle volte, a bello stu­dio, scortese, ruvida e ignorante, sino al punto che molti si dicevano l'un l'altro: «Non si vergognano nella famiglia Giannini di teneri a in casa?" - Segue l'episodio, bellissimo, del gatto: «Una volta, davanti a un Prelato. che era venuto a bella posta a vederla e trattenersi con lei, essa, avendo compreso lo scopo della visita, mentre il Prelato le rivolgeva la parola, mostrò distrarsi col fare le moine ad un gatto. Il Prelato ne riportò non buona impressione e lo manifestò a noi di casa. Gemma ne fu contenta per essere riuscita nell'intento di farsi disprezzare" (Processi, N.ro XIII, § 30, p. 600).

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nelle Lettere e nelle Estasi, come e specialmente nel­l'Autobiografia e negli scritti paralleli. Ma anche se non fosse stata elevata all'eccezionale partecipazione della Passione di Cristo che la nascose tutta con Cri­sto in Dio ed avesse trascorso una vita normale, Gemma aveva un carattere per natura discreto e ri­servato. Già la beata Elena Guerra e le altre buone maestre Zitine l'avevano osservato e questo non per­ché Gemma volesse o pensasse di essere diversa dalle altre bimbe, ma come per una ritrosìa naturale a fi­gurare ed a competere: pronta però ad accettare ogni invito a partecipare ai giochi ed alle iniziative altrui. Il dolore che incontrò fin dalla prima infanzia, so­prattutto con la morte precoce della santa mamma, lo sfacelo della famiglia seguito alla morte del babbo dilettissimo, la sofferenza cristiana per la condotta di qualche fratello e sorella e poi la perdita del fra­tello Tonino già chierico e in ultimo della diletta so­rellina Giulia, che i testimoni descrivono un'anima angelica degna della sorella stigmatizzata .. , avevano impresso nella sua anima un'immagine capovolta del mondo e della vita rispetto a quella delle coscienze nostre ordinarie.

Ma proprio per questo, per il distacco sempre più profondo e totale dallo «essere nel mondo »(2) e per il suo consorzio sempre più intimo con Gesù, per

(2) «Distaccata da tutto e da tutti, ed anche da me» - attesta con una punta di dispiacere Cecilia Giannini - tanto ch'io mi c'inquietavo ». E lei sempre zitta ai miei rimproveri e poi mi disse: «Ma che dice? Se nel mondo c'è una persona a cui abbia voluto bene, è stata Lei» e poi diede in un pianto. lo dissi: «Fai come ti pare, su questo non ti dico più nulla ». E Lei mi disse (eravamo proprio sull'ultimo, un mese o due prima della morte): «Adesso non mi resta che preparami alla morte: per­ché ho fatto a Dio rinunzia di tutto e di tutti ». «Anche di P. Germano?» - dissi io. «Sì, rispose, anche di lui ». Aveva chiesto al Signore che non le desse più, che le togliesse ogni conforto umano» (Processi, N.ra VI, par. 14, pago 294).

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la frequente familiarità con la Madre di Dio e la So­cietà dei Santi (in primis, com'è certo, con l'Angelo Custode e con S. Gabriele dell'Addolorata che le fece scoprire la vocazione passioni sta), trapela nella con­dotta di Gemma - proprio per il suo riserbo forte e all'apparenza quasi scontroso - una delicatezza ch'era tutta amore per gli altri ed oblio di sé. Forse gli scritti che sono andati perduti, e quelli ch'essa stessa dice di aver distrutti, ci avrebbero dato non poche sorprese al riguardo: cioè del suo « pudore spi­rituale» - era la brama di nascondersi, di ritirarsi, di cancellare quasi ogni segno della sua presenza nel mondo ... Altri santi ed altri mistici e stigmatizzati hanno tenuto una diversa condotta e questo perché Dio li aveva destinati a scuotere e a salvare le anime anche con i magnalia Dei ch'erano loro concessi: Gemma al contrario, come ancora testimonia Cecilia Giannini, era quasi del tutto sconosciuta in Lucca e i suoi fenomeni straordinari erano poco o affatto ·no­ti perfino ai membri più giovani della stessa famiglia Giannini. Questo pudore, che Gemma sapeva di do­ver conservare come una consegna precisa della sua vocazione straordinaria, diveniva a sua volta la sor­gente di una tenerezza eccezionale che si « sente », non solo nei suoi colloqui con i Visitatori celesti, ma anche nei suoi contatti con le persone grandi e picco­le del suo piccolo mondo.

Ed anche quest'atteggiamento nasceva in Lei da una profonda convinzione, quella di essere una pove­ra creatura, anzi di essere la « più grande peccatrice» - proprio lei che altrove dichiara di essere disposta a soffrire i più grandi tormenti piuttosto che com­mettere un solo peccato veniale - e di meritare di

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«essere trattata come le galline »(3) secondo la pit­toresca espressione avuta dal confessore Mons. Vol­pi, che Gemma stessa riferisce con allegrezza di ani­mo a P. Germano.

Circa i rapporti con Mons. Volpi, al quale fu sem­pre obbediente e docile, anche in momenti molto cri­tici, c'è una gustosa lettera di Gemma a P. Germano del 9 dicembre 1900; essa rivela una Gemma viva e piena di humor con un pizzico d'ironia innocente che fa di questa lettera un gioiello nel campo della lette­ratura spirituale. Il lato gustoso poi di tutta la fac­cenda è che tutti e due, perfino Mons. Volpi così dif­fidente nei casi di Gemma, hanno da Gesù la rivela­zione della morte imminente del prelato. Gemma ci scherza di gusto ed è alla fine lei che porta un po' di acqua sul fuoco della fantasia del confessore in questa parte, e non solo in questa parte, ma anche in seguito. La finale è quasi un trillo di gioia cioè di speranza, tante volte poi ripetuto, di andarsene a Roma con P. Germano. La lettera porta il numero 36 e comincia, com'è ormai il suo stile, con l'affettuoso e squillante: «Babbo mio! stia a sentire cose curiose. Stamattina sono andata a confessarmi, quasi alla fi­ne Mons. ha detto: non sai che io morirò presto? che dovevo rispondere? non sapevo nulla. Mi ha detto al­lora: il 9 di settembre quando ti comunicai che dissi messa alla Rosa(4), non ti disse niente Gesù? Era vero: quel giorno mi comunicò e pregai per lui: e Ge­sù mi disse che morirebbe presto; ieri mattina pure, senza per niente pensare a lui, una voce al cuore mi

(3) L'espressione è riferita anche da Cecilia Giannini nei Processi (N.ro XIII, § lO, p. 594). Gemma la ricorda nella lett. 33" a P. Germano (p. 98) ed è attribuita al confessore Mons. Volpi.

(4) È la chiesetta quasi di fronte alla casa Giannini.

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disse: Mons. morirà presto(S). E anche quando lo vedo, l'incontro e ci penso, mi sento sempre ripetere queste stesse parole. Allora gli ho detto ogni cosa col patto però di non crederci. Ha detto che a me non ci crede, ma che Gesù a lui pure gli ha detto che mo­rirà, e non vivrà più neppure un anno; e ripeteva: de­sidererei morire di una malattia lunga e con tutti i sacramenti. Ma poi se dovessi morire improvvisa­mente, sarei egualmente contento. Che voglia signifi­care questa scena, io non lo so. E mi diceva: di questa cosa parlane con la signora Cecilia e faccela accomo­dare. Subito poi scrivi a P. Germano. In convento io non ti ci potrò mettere; ti ci metterà lui. Insomma tante cose simili e non la finiva mai. Allora ho comin­ciato io, ma l'ho conteso perché se parlo io di morire, contese forti; mi ha risposto che di me non sarebbe volontà di Dio, ma solo mio desiderio: ma di lui è proprio volere di Dio. Qui poi non ho saputo più che rispondere. Gli ho detto che quando Gesù dice que­sto, ci è sempre tanto tempo; l'ho provato io, ma lui mi ha detto: eh! ma saranno mesi.

lo non capisco nulla di tutto questo. Mi doman­dava se ero contenta che morisse: ho detto di sì. Bab­bo mio, se fosse vero davvero che morisse, ha detto Monsignore che mi manderebbe da Lei, perché ho detto: ma a me dove mi lascia? ha risposto subito: con P. Germano. Oh! ben! - Ha detto che nessuno faccia il più piccolo lamento su questo. Mi benedica forte forte. Avesse veduto come era contento! Infine ha detto: 'speriamo che sia una frottola' - Gemma».

Era una tenerezza ch'essa mostrava soprattutto con i piccoli e con i poveri ed in particolare con i

(5) Morirà invece a Roma il 19 giugno 1931.

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peccatoÌ"i e le peccatrici: le testimonianze dei Proces­si, aggiunte specialmente a quelle della mirabile vita scritta dal suo direttore spirituale P. Germano ed a quelle raccolte nella monumentale vita di P. Zoffoli, sono di un realismo commovente. Anche qui si do­vrebbe parlare di un mondo capovolto: Gemma sof- . friva e si angustiava di ciò che per noi passa per lo più inosservato cioè per le offese fatte a Dio e la per­dita delle anime. Così, al contrario, Gemma desidera­va e godeva di ciò che a noi fa spavento ed orrore cioè le sofferenze fisiche, i turbamenti dell'ambiente, e le prove dello spirito anche se alle volte, sotto il peso della prova, queste le strappano gemiti e sospi­ri. È dal fondo del suo dolore che Gemma sale, con Cristo e come Cristo, alla tenerezza di compassione dell'amore. È un aspetto della psicologia o più esat­tamente della santità della Galgani che oggi, con il progresso della teologia mistica e delle più recenti indagini fenomenologiche, meriterebbe una maggio­re attenzione. Ma si arriverebbe, anche con tutto que­sto, a cogliere l'intimo movimento dell'anima di Gemma? Probabilmente è presunzione affermarlo: quel movimento rimase un po' un rebus, non solo per Mons. Volpi, ma per lo stesso P. Germano al quale si deve riconoscere il dono di un intuito notevole nel dirigere la mistica lucchese.

A questo riguardo, cioè delle sofferenze che Gemma ebbe proprio da chi le era più vicino, vor­remmo dare un breve cenno: si vedrà, lo spero alme­no, che tenerezza e sofferenza nascono e vivono insie­me e proprio nel « posto », se così si può dire, che meno ci si aspetterebbe. Vogliamo dire i rapporti del­la Galgani con Cecilia Giannini che Gemma usava chiamare « zia» e « mamma» e che amava con amore

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di figlia; Cecilia, sorella del capofamiglia signor Mat­teo, era come Gemma penitente di Mons. Volpi e don­na di profonda pietà e autentica spiritualità e pertan­to indubbiamente degna della fiducia di P. Germano nella missione di custodire Gemma ed anzitutto di « nascondere Gemma a Gemma », com'egli stesso scri­veva alla Giannini. E la pia signora assolse il suo compito, con una fedeltà e delicatezza - malgrado qualche crisi di cui diremo - al di sopra di ogni en­comio. La fiducia posta in lei da parte di P. Germano giunse al punto di sospendere per più di un anno la corrispondenza diretta con Gemma per comunicare sulle « faccende », non certo facili e semplici dei feno­meni mistici e per la stessa direzione spirituale, sol­tanto tramite la buona Cecilia. E Gemma, non deve sorprendere, ne soffrì molto: il suo affetto tutto spi­rituale e la devozione illimitata per il suo « buon bab­bo» - ch'essa arriva a chiamare « il mio tutto dopo Gesù »(6) - furono feriti nel profondo. Gemma però non si turba ed ha un atteggiamento degno della ·sua tempra, di rassegnata pena e d'intrepida fierezza di stile cateriniano: « Babbo cattivo [era l'espressione affettuosa ch'essa usava quando P. Germano non cor­rispondeva alla sua attesa ... ]; « O se mi scrivesse una righetta anche per me, che sarebbe mai? Ma poi non m'importa niente, perché so ben le cose da Gesù» (corsivo nostro).

Bisognerebbe proprio dire con lei: « Povera Gem­ma! », ma per aggiungere anche subito: « Evviva Gem­ma! »(1). Questa pena e insieme franchezza verso il suo direttore spirituale, di cui si potrebbero riporta-

(6) «Babbo, babbo mio ... il mio tutto dopo Gesù" (Lett. lIsa, 27 lu­glio 1902, p. 275).

(1) Cfr. l'inizio della cit. Lett. 26 a : «Babbo mio, Non più povera Gemma, ma evviva Gemma! Va bene così, babbo mio?» (p. 76).

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re altre te~cHnonianze specialmente dalle Lettere, ci pare mostrino all'evidenza quel convergere di tene­rezza e sofferenza che dànno la misura di una nobiltà ed elevatezza d'animo che trascende ogni capacità di analisi e di linguaggio: ma dànno insieme il tocco che caratterizza un'anima e la sua santità.

Simile, per la comunicazione d'affetto e (diciamo ancora) per la sorgente di sofferenza è il rapporto di Gemma con l'altra persona più vicina al suo cuore, Cecilia Giannini per l'appunto. Lo possiamo un po' rilevare dalle Lettere a P. Germano, soprattutto da quelle che i prudenti editori - sull'esempio del pri­mo editore P. Germano - finora non hanno creduto opportuno di pubblicare. Attingiamo ancora ai «pez­zi)} che la cortesia della Postulazione ci ha messo a disposizione: la delicatezza e la sofferenza della sen­sibilissima creatura vibrano di una commozione umana (preoccupazioni di Cecilia) che travolge anche il povero stupefatto lettore.

Il dramma dei rapporti con Cecilia infatti conti­nua, la quale però ancora l'assiste. Lo rivela la lette­ra 33 a del 28 nov. 1900: «Ora in questo momento ho pianto e piango anche ora. Non si arrabbi, mi ha det­to la Sig. Cecilia che vuole dire a Monsignore che mi faccia vedere dalla parte sinistra dal medico perché ha paura che sia un male, lei, babbo mio, mi aiuti, lo sa bene il male mio, non mi lasci qua a farmi vede­re. E poi tante cose mi dice sempre la Sig. Cecilia, io temo che tu muoia e quelli di casa tua dopo la prenderanno con me, ci vuoi andare a casa? mi dice. Allora io piango perché ho paura di esserle venuta a noia, perché stanotte e quasi tutta la mattina ho bisognato che stia con me, ho patito un po' e non so

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stare se non c'è, e poi mi dice alle volte un po' inquie­tata: 'ma l'intendi o no che io ci ho da fare?'

Ed ora la tenerezza scambievole: «lo, babbo mio, non va' nulla in questi tempi, voglio solo che stia sempre con me quando soffro. O perché, babbo catti­vo, mi lascia qua, mandi Serafina a prendermi, così è vicino Lei; gli dica che sarò buona, così quando sof­fro sta sempre per la mano a me. Gli deve dire che non gli do punta noia, e sarò obbediente, ce la mandi subito subito ».

Contrasto di sentimenti: «Qua ci sono stata as­sai, direi quasi di essere venuta a noia; pato tanto, babbo mio, a star qui. Tutti mi vogliono tanto bene, ma io ho paura di dar noia. E poi quella zia gli monta un po' di rabbietta, e mi vuole tanto bene; prima che venisse Lei non mi baciava mai, non si serviva mai della roba mia. Ora invece ogni sera mi bacia, e mi dice che mi vuole tanto bene. lo pure glielo voglio: glielo dica, babbo mio, che quando soffro mi tenga sempre per la mano: come sto bene allora! Questo lo vuole anche Gesù perché glielo ho domandato ».

Poi l'ammonisce: «Nessuno sa che ho scritto questa lettera, se dovrà averla l'Angelo ci penserà; io stasera martedì la metto sotto il guanciale - non ho punti quattrini e non va' che nessuno la legga.

Badi di non inquietarsi (sta scritto in cima al fo­glio) Segreto di confessione, babbo mio, ma è un bab­bo così curioso che anche i segreti di confessione li fa sapere; quando scrive non ne parli poiché se ac­cenna anche una sola parola quella mamma (sig. Ce­cilia) è tanto furba li indovina.

Mandi Serafina, babbo mio, non gli ci vogliono mica dei quattrini né per tenermi me. La voglio per la mano sempre, accanto a me e poi altro. Ce la man-

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di perché questa mamma qua è stanca, lo dico io, ma lei non mi dice mai nulla, mi vuole tanto bene, mi dà tanto vino, e mi fa tutte le mattine la cioccolata ». (forse continua col f. sego mancante).

Le incertezze di Cecilia: «E poi, babbo mio, come mi fa piangere quando mi dice: ma sarai di Gesù dav­vero o di quella persona (il diavolo?)? Forse a Lei questa cosa gliela avrà detta Gesù che io non sono sua e per questo dice così per non dirmi tutto. Babbo mio ci pensi Lei, lo preghi tanto. Quando alle volte che mi prendono quei colpi al cuore, essa non ci sta tanto volentieri con me e se mi stringe mi fa segno di croce sul cuore e poi sospira. lo temo, temo tanto di essere ingannata (corsivo nostro) (forse continua:) «andrò all'inferno? Babbo mio. Ci pensi a dirlo a Ge­sù. Gesù, Gesù! Che avverrà di me, babbo mio, quan­do mi troverò sola con le cose che mi avvengono? che avverrà di me? così non più»(8).

In mancanza di una documentazione completa, ci limitiamo a riportare alcune dichiarazioni fra le più significative; si potrebbero chiamare sfoghi dolenti e innocenti che Gemma invia, senza cruccio od amarez­za ma pur desolata di dolorosa sorpresa, al suo «bab­bo» lontano e (diciamolo con tutto il rispetto per il P. Germano) che in questo caso era del tutto innocen­te, restìo certamente per prudenza, ad intervenire.

Le espressioni che riportiamo sono prese quasi tutte dalla corrispondenza di Gemma con P. Germa­no intorno al 1900-1901. La causa prima di questi guai sembra sia stato quel Don Farnocchia, segreta­rio stimato e difeso da Mons. Volpi, che avversò sem­pre Gemma sia in vita come dopo la morte. Ebbene,

(8) È una perla che gli Editori hanno tralasciata forse per gli ac­cenni dolenti a Cecilia.

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come il segretario riusciva a scombussolare il Vesco­vo sulla natura dei fenomeni di Gemma al punto di farla considerare un'isterica, così il vescovo-confes­sore scombussolava la penitente Cecilia(9). Ed ora la parola a Gemma stessa (le date ed il numero pro­gressivo sono stati apposti dalla Postulazione e forse dallo stesso P. Germano).

1. - (Si tratta di uno « spezzo ne » anch' esso datato: novembre 1900). Sembra che accenni alla famosa vi­sita del medico dottor Pfanner: « ... Scriva subito, babbo mio, (allude certamente a Mons. Volpi, al qua­le effettivamente, come sappiamo, scrisse P. Germa­no ma il medico aveva già fatto il guaio) e gli scriva il male che ho io, glielo spieghi chiaro e poi deve dire a me: mando Serafina ». Ed ecco il testo cruciale: « Quella zia, babbo mio, è curiosa; l'assicuri, ci pensi Lei, ma presto, subito. Mi dice: Gemma muori [corsi­vo di Gemma!] e allora poi [è un tratto del superiore humor di Gemma] anche se soffro, bisogna che rida. In paradiso babbo mio, o bene, sarò felice solo iri Pa­radiso ». ( ... ) E aggiunge desolata in calce: « E poi, babbo mio, quando la zia (la Sig. Cecilia) va via e de­vo restare cogli altri di casa, quanto soffro di più, babbo mio ». E finisce: « Ho in pericolo l'anima e il corpo. Non lo crede? ».

2. - (In un altro spezzone spiega la causa dei suoi guai ch'è il noto Segretario di Mons. Volpi) « Monsi-

(9) L'influsso del duetto Farnocchia-Volpi su Cecilia si scorge pro­babilmente già nella lettera 15" del 21 settembre 1900 a P. Germano ri­guardo alla corrispondenza angelica: «La signora Cecilia ha saputo che gli mandai una lettera dall'Angelo e dice che può essere stato il diavolo. Lei deve averlo conosciuto, me lo dica. ( ... ) E poi la Sig.a Cecilia mi dice sempre che Lei può benissimo ingannarsi; io prego Gesù continuamente e mi assicura che non permetterà che debba ingannarsi» (Lett. 15", p. 42). Il doloroso dramma-contrasto fra le due parti è quindi già in atto.

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gnore mostrò di non farne conto di sapere quello che era scritto nella lettera ultima diretta a Lei, ma il segretario ad ogni costo lo voleva sapere dicendo che bisognava che lo sapesse. Allora io gli mandai a dire dalla sig. Cecilia (perché era venerdì non ci potevo andare [a causa delle stimmate] che avevo mandato a dire così. Quel Monsignore Gesù non è contento perché vorrebbe sempre mandare altri, invece di fare da sé; ieri sera mandò il suo segretario invece di ve­nire da sé e la sig. Cecilia che quando seppe che il segretario era stato mandato da Monsignore, gli rac­contò tante cose mie e Gesù mi sembrò che gli dispia­cessero ». E chiude raccomandando il segreto di con­fessione su tutto questo.

3. - Ora si avvicina il periodo cruciale, che sem­bra collocarsi tra il febbraio e il marzo 1901, del rap­porto con Cecilia che si dimostra sempre più legata agli umori di Mons. Volpi e questo soggiogato dal fa­tuo segretario.

La seguente, ch'è dell'8 marzo e porta il N.ro 55, dà una descrizione pittoresca della situazione: è una lettera che dice l'ambascia crescente per l'ambiente di abbandono e di freddezza creatosi attorno a Gem­ma ove l'espressione schietta per la pena insopporta­bile si mescola ai sentimenti più teneri di riconoscen­za per Cecilia e di timore di addolorarla con il suo dolore.

« Una lettera che presto riceverà non ci darà (mi­rabile per tenerezza, questo 'ci'!) babbo mio, ma pa­dre mio, perché questa lettera l'ha consegnata a Mon­signore perché da se stesso e col suo segretario vo­gliono fare una prova ( ... ). Monsignore ci aveva mandato il segretario in vece sua perché non voleva che lo dicessi a Lei ». È il segretario a far interrompe-

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re la corrispondenza del Volpi con P. Germano: «do­po aver scritto, faceva (il Volpi) sentire le lettere al segretario e, dopo lette, il segretario non voleva che le mandasse. E Monsignore ... «istigato sempre dal se­gretario voleva sapere ad ogni costo quello che era scritto nell'ultima lettera avuta da Lei che gli dice tutto quello che era successo».

4. - Lettera N.ro. 50 (Si lamenta ancora dell'ab­bandono da parte di Cecilia).

«Non s'inquieti nel leggere questa lettera, ma quando ho detto a Lei tutte queste cose sono più con­tenta. Quella zia (Cecilia), babbo mio, non ci sta più con me quando soffro, mi lascia sempre sola in came­ra del sig. Lorenzo (10), non mi mette più la mano neppure sul cuore, mai mai, neanche nei momenti più forti», [ ... ] (quando) «il cuore mi dava una noia tanto grossa che bisognava che stessi seduta sul let­to, il letto ballava tutto, pure quella zia si è [cancella­to] mi domandava se soffrissi, ma poi tornava a letto, e la mano sul cuore mai». La poverina vive un dram­ma di abbandono e tormento, ma si riprende con la sua nativa fierezza: «In certi momenti che mi sembra che il cuore mi esca dal posto, o babbo mio, quando la desidererei di averci un po' una mano che mi strin­gesse. Piango tante volte, sa, quando mi trovo sola; ma nel medesimo tempo ringrazio Gesù, o ci sia la zia o non ci sia (corsivo nostro). Venerdì stette fuori quattro ore, mi fece piangere. Ma mi farò forza, bab­bo mio, non piangerò più. Come sono ancora sempre debole, è vero». E gli raccomanda ancora di mante-

(lO) È don Lorenzo Agrimonti, un pio sacerdote ospite anch'egli di casa Giannini, che stimava altamente la stigmatizzata ed è spesso nomi­nato nelle Lettere (Cfr.: Indice dei nomi, p. 501).

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nere il segreto, mentre scusa la Cecilia: « ... quella po­vera zia ha tanto da fare, non ha tempo da perdere con me». E, dopo una nuova raccomandazione al se­greto, la conclusione sembra un idillio di deliziosa semplicità: « ... Si immagini (che) alle volte io la grido e le dico: Mamma cattiva, sempre sola mi lascia. Ab­bia pazienza ancora un po', gli dico: non è mica una cosa che duri eternamente; poi, pochi mesi ancora e poi non sono più con Lei. E, buona, buona, mi rispon­de: 'Poverina, hai ragione '. Vede, dunque, babbo mio, quanto sono ingrata e cattiva».

6. - Nel frattempo a complicare le cose, una nipo­te (Annetta) della Cecilia a cui Gemma si era affezio­nata per la sua vita di fervore, si era rilassata, con grande amarezza e nuove sofferenze della Santa che invoca l'intervento, ma con discrezione, di P. Germa­no. La lettera porta il N.ro 49 ed è datata 18-19 feb­braio: «Babbo mio, babbo mio, Stia attento. Scriva prontamente qua, a questa zia (per la mamma sareb­be troppo dolore): Annetta non è più l'anima pura che dovrebbe essere, Annetta non è più di Gesù, tutta come prima. Il suo amore il suo affetto comincia a darlo a qualche persona del mondo.

Babbo mio, è un mese che me ne ero accorta, ma ... Babbo al tutto pensi Lei. Scriva alla zia che non parli di nulla con la mamma(Il) perché ricadrebbe presto (malata). Sta meglio assai ora. La povera Gemma.

Scriva subito. Annetta sta male, è inquieta, bab­bo, babbo mio ... Oggi è il giorno ultimo di Carnevale,

(11) È la signora Giustina Giannini di salute cagionevole e soggetta, specialmente a partire dal dicembre 1900, a gravi sofferenze. Gemma la raccomanda alle preghiere di P. Germano quasi di continuo, specialmen­te a partire dalla letto 34 a (p. 101 ss.).

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comincia la Quaresima. Gesù mi ha dimandato se fossi stata volentieri con Lui, nei detti giorni. Sì, Sì, con Gesù, babbo mio. La povera Gemma.

Scriva subito, babbo mio, Annetta non è più An­netta di prima, indifferente in tutto, a tutto.

Tutto quello che ho scritto qui: segreto di confes­sione )} (12).

7. - È sempre in quest'anno cruciale 1901 che il dramma dei rapporti con Cecilia, legata agli umori di Mons. Volpi e questo soggiogato dal segretario (co­me si è accennato), attinge il suo vertice: lo dimostra la seguente lettera piena di sussulti che mostra il cambiamento profondo dell'ambiente:

«Babbo mio, sa che cosa deve fare? Prima prega­re Gesù tanto e poi scrivere a questa zia e gli deve comandare che non mi lasci più sola; non mi ci ha mica lasciata, sa, ma è tanto che tenta di mandarmi via. Sono io che mi raccomando e le dico: mamma mia non mi lasci sola. E lei gli deve comandare che non mi lasci mai se no mi fa morire, mi farà morire davvero se continua così: essa dice che così non può vivere, ma invece così mi fa morire a me. Fino che mi grida e mi picchiasse, anche non farei che ringra­ziare il mio Gesù; ma se mi lascia sola, no, special­mente quando soffro. Mi dice che sono travagli epi­lettici e tutto il resto che mi è succeduto è la conse­guenza di questo male. Babbo mio, non posso più, sopporto tutto volentieri, sono contenta, basta che non mi lasciasse sola, e poi se per caso ricadessi nei soliti travagli essa vorrebbe quelli di casa e io babbo mio non ce li voglio. Babbo, babbo mio, venga a pren-

(12) Gemma, per indicare il segreto, tracciava in fondo alla lettera una vistosa croce.

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dermi. Mi benedica e mi aiuti e preghi e poi risponda a questa zia. L'altra sera disse fino queste parole: Quel giorno che ti conobbi era meglio se ero ... ; non capii altro. lo, babbo mio, vado via di qui, non ci sto più, ma la zia la porto via; mi faccio accompagnare da Lei.

E Gesù sarà contento che stia così lontano' da lei? Mi sembra di no, babbo cattivo. Gemma».

È una lettera che rivela l'ambascia crescente e dà l'impressione di una solitudine di freddezza crea­tasi attorno a lei, ove i sentimenti più teneri e dolci di riconoscenza si mescolano al dolore di addolorare, anche involontariamente, gli altri.

8. - Gemma sembra al limite della sopportazione, come risulta dalla seguente (che l'archivio indica con il N.ra 56 e con la data del lO marzo 1901): ha stretta attinenza alle precedenti e sembra far seguito ad una visita di P. Germano. È certamente la lettera che dà più delle altre l'esatta impressione della sofferenza e della dolcezza, forte e rassegnata, di Gemma. Il ma­linteso o equivoco, permesso da Dio in anime la cui retta intenzione è fuori causa, qui raggiunge il suo culmine. È fra le più tenere e commosse.

«Babbo mio, babbo mio, mi lasciò qua, babbo cattivo, ma se sapesse dove mi lasciò! venga lei a prendermi perché io qua non ci vo' più stare. Vedes­se dove sono, come sono diventati tutti curiosi in questa casa, o che mai è accaduto? io però sono con­tenta; non mi fanno niente a essere così, perché Gesù mi appaga abbastanza, ma vorrei essere col babbo mio, quello lo desidero tanto. Quella zia è seria seria, piange tante volte e se lo domando mi dice che an­drebbe volentieri sotto terra per non veder nessuno, e poi mi disse: quasi quasi non ti vorrei aver mai co-

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nosciuto. Tante volte sospira e piange per me, lo sen­to: o babbo mio, sono così cattiva? lo non la vorrei fare piangere, le voglio tanto bene ma tanto tanto, e ora la vedo così seria. Ho paura di dispiacergli. Ieri per la strada mentre ci andavamo a confessare mi disse: O Gemma, mi hai fatto passare da esaltata in faccia a Monsignore e al segretario, io pensai subito alla lettera, o che ci ho a fare io allora se l'Angelo non la prende? Lo pregai venerdì sera che la prendes­se ed esso mi rispose che: (Appena ho avuto il coman­do da Gesù, la prendo). O che ci ho a fare io, babbo mio? lo piango tanto, tanto, perché la zia è seria e piange, venerdì la vidi piangere: non ebbi il coraggio di dirgli che mi sentivo male e lasciai andare il cuore e mi prese un travaglio forte forte che mancò poco che non morissi.

Viva Gesù, io vo' andare in Paradiso, Babbo mio, mi ci mandi e Gesù l'ha caro. Non gli vengo mai a noia anche che sia cattiva e vada sempre peggioran­do. Dissi all'Angelo se mi portava in Paradiso e mi rispose che quando sarò buona buona mi ci porterà, ora però vo' diventare e così mi ci porterà presto.

Viva Gesù, giovedì sera avevo avuto la proibizio­ne dal Confessore di patire, e non patìi; patìi solo il sacrificio, patìi perché non potevo patire(13). Vener­dì poi verso le due Gesù mi fece sentire qualche pic­colo colpetto. Babbo mio, sono tutta piaghe nel cor­po, viva Gesù, che mi fanno soffrire qualche pochino. Viva Gesù.

Babbo mio cattivo, mi levi di qua io non ci vo' stare più. La zia è seria seria e piange. Temiamo tutti

(11) Frase che ricorda quella di S. Teresa d'Avila: «Muero porque no muero}) (Cfr.: T. Alvarez, Morte, in: Dizionario Enciclopedico di Spiri­tualità, ed. cit. p. 1263, come sopra si è notato).

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di essere ingannati dal diavolo, babbo mIO preghi tanto tanto e poi ci pensi Lei.

Gesù mi dice che di Monsignore ne è poco con­tento. Mi disse ieri: devi dire al confessore che mi è dispiaciuto tanto perché non ti ha fatto patire, e più che mi è dispiaciuto è il fine per il quale l'ha fatto:

1 ° perché ha ceduto a ciò che gli aveva ordinato il segretario (14).

2° perché ha creduto che tu dassi noia a quelli di casa.

Ieri feci l'imbasciata di Gesù a Monsignore ed es­so mi disse: assolutamente non vo' più perché dài im­piccio alla sig. Cecilia. Viva Gesù. S'immagini babbo mio, avevo imparato a soffrire anche sola, lei non ci stava quasi più. - Anche ora, vede, babbo mio, quella zia mi ha fatto piangere perché è andata via e sta via per più di due ore, cattiva, e poi... una volta o l'altra mi trova morta se mi ripete come venerdì se­ra. lo vengo con lei, qui non ci posso più stare. Preghi tanto tanto per me. Sono la povera Gemma.

Questa lettera non me l'ha voluta spedire ed io l'ho fatta spedire da Giulia(IS).

O' una paura addosso che il confessore mi proi­bisca di scrivere a Lei: ci è stato tante volte sul punto.

Ora che è poco la zia mi ha detto che così lei non può vivere; io sono rimasta sola e o' pianto; babbo mio, come è diventata, ora mi dice che sono malata

(14) Espressione ehe dice quanto il Volpi fosse succube del Farnoc· chia.

(IS) È, come già si è accennato, la sorella più piccola, molto pia e affezionata a Gemma: la precederà di pochi mesi nella tomba e Gemma in estasi la vedrà salva in Paradiso (Cfr.: lettera 121', p. 286).

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e vuole chiamare le zie e i fratelli. Babbo mio, io vo' andare in Paradiso. Scriva alla zia subito perché, babbo mio, io vado via, non ci posso più stare; mi lascia sola, e quando è con me piange, io non ci sto più.

Scriva subito, tutto + confessione».

9. - Ma la burrasca diabolica non è che all'inizio ed a tenere le fila è proprio il solito segretario del Volpi, come leggiamo in un frammento di lettera a P. Germano: «Monsignore mostrò di non farne conto di sapere quello che era scritto nella lettera ultima diretta a Lei.

lo dissi così, ora, babbo mio, ci pensa lei. lo ho detto così, ma prima queste cose, tutto quello che ho scritto glielo avevo mandato a dire dall'Angelo. O be­nedetto babbo, perché quando l'Angelo gli ha detto una cosa non scrive subito, almeno si persuaderebbe Monsignore.

Si regoli quello che è. La povera Gemma. + di confessione lo deve sapere lei solo e non

lo deve riferire a nessuno».

1 O. Lett. 58 a, 19 marzo 1901 (Peggioramento dei rapporti con Cecilia).

«Chissà come s'inquieta nel ricevere tante lette­re da me e poi così senza saper di nulla: ma quando gli ho detto tutto, babbo mio, mi sento più contenta. E poi lo faccio anche perché metta in quiete un po' questa benedetta zia, che ieri mi fece piangere 5 vol­te». Ed ecco tornare la spiegazione del segretario: «Non s'inquieti, babbo mio, piangevo perché non po­tevo fare a meno, stia a sentire, quando mi diceva che quel travaglio di quella sera è epilessìa e ha pau­ra di stare con me. E mi dice: sarebbe meglio che

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tu andassi a casa qualche volta. Alle volte mi dice: è impossibile tutto quello che ti accade, è tutto ma­lattia, oppure mi dice che il diavolo lavora su di me. Non mi cura più nulla se non per gridarmi, io la rin­grazio di tutte queste cose, ma poi piango» [e aggiun­ge in nota]: «e sa perché piango? non mica per dispia­cere, ma perché vedo che lei pure s'inquieta ed è ar­rabbiata ». E, dopo il racconto di altri guai, torna alla situazione di Cecilia la quale « ... è sempre seria, piange, sospira e non dorme e tutto questo perché ha paura di me ». E torna a supplicare che P. Germa­no intervenga a calmare la zia « ... ma ci pensi, babbo mio, ci pensi seriamente, perché così la zia non può andare avanti, e deve soffrire per me? questo no ». E conclude dichiarando di essere pronta a lasciare Cecilia se P. Germano non riuscisse a tranquillizzar­la: « ... ma verrei subito lassù col babbo mio ». Ma la situazione, e questo ancora ad opera del detto segre­tario, peggiora ancora.

11. - Lett. 59 a (non datata): commovente e com­pleta rassegnazione: «Ancora dell'altro, babbo mio! Su via mi contenti, cioè contenti Gesù! Così, babbo mio, è proprio impossibile. La signora Cecilia da se stessa me lo dice, e lo ha detto anche a Monsignore che così non possiamo più andare avanti. Lo so, lo so, babbo mio, che in convento mi aspettano maggio­ri afflizioni, ma che m'importa? O che forse non lo so che Gesù tempo indietro accettò il mio corpo co­me vittima di mortificazione e di pene, accettò come vittima l'anima mia perché non avessi più volontà propria, accettò come vittima il mio cuore affinché continuamente e interamente si consumasse di amo­re? E dopo tutto questo, babbo benedetto, avrò io da lamentarmi, quando sarò in mezzo a pene maggiori?

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Lei teme?» La conclusione e aggiunta sull'angolo al­to a destra del foglio: «Lesto, babbo mio, non è più la mia testa che dice: è Gesù. O non sente? Addio, babbo mio, faccia presto» [manca la firma).

12. - Nella lett. 60 a (senza data) Gemma informa P. Germano: «Venerdì (stia attento) feci qualche sfor­zo del cuore e mi venne parecchio sangue dalla boc­ca. Questa benedetta zia disse che lo direbbe volen­tieri alle zie mie perché, se mi ammalassi, almeno av­visarle di questo sangue. Badi, ci pensi Lei. Gesù non vuole: sa quello che accadrebbe, mi farebbero stare in letto, chiamerebbero il medico. Addio Gesù (corsi­vo di Gemma). Lesto, babbo mio, ci pensi Lei. Vede quel che succede? Fino che Lei è qua hanno paura, non parlano. Partito Lei, comincia Monsignore: pri­ma vorrebbe sapere da Gesù come dovrebbe fare e mandarmi dal P. Vallini; quest'altra zia (è Cecilia: si noti il fine umorismo di Gemma) vorrebbe dirlo in casa. Me lo dice, sa, Gesù, tante volte: non vedi, dice da quanti pericoli ti ho liberata per mezzo del babbo tuo?» E termina: «Babbo mio, ancora cosÌ...? -Gemma».

13. - Le precedenti lettere vanno lette nella corni­ce delle Lettere contemporanee a P. Germano, già stampate, del marzo 1901 (spec. N.ro 50 sS., p. 134 ss.) le quali confermano, con tinte meno nere o tragi­che, la situazione quando il Volpi pensa di far inter­rompere perfino la corrispondenza di Gemma con P. Germano, convinto che Gemma sia indemoniata. La lettera 61 a (datata ultimi di marzo 1901) è sintomati­ca nel descrivere la confusione dell'ambiente e l'an­goscia di Gemma trapela subito:

«Babbo, babbo - Se sapesse! purtroppo è vero ciò

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che Lei prediceva.. "Llesta lettera forse sarà l'ultima che gli scrivo, poiché Monsignore non del tutto me lo ha proibito ma m'ha detto che lo scrivere non è necessario. Dio sia benedetto ora e sempre. O babbo, babbo: Monsignore stamane era inquietato fuori di modo: ha detto che indubitatamente sono nelle mani del diavolo [corsivo nostro] e guai se non smetto e non mi sforzo di fare certe cose(16). Di più ha detto che quegli svenimenti che sogliono prendermi dinan­zi a Gesù Sacramentato e più spesso dopo la Comu­nione [Gemma scrive: «Cumunione »] sono operazio­ne diabolica oppure effetto di fantasia. Viva Gesù! E così ha detto alla sig. Cecilia [sembra incredibile!] che non se la prenda tanto, mi lasci pure sola che non ci è pericolo, a me poi mi ha detto che sarebbe meglio che andassi a casa dalla zia(17). Ora questa volta non me l'ha proibito di stare con la mamma mia [è Cecilia], ma sabato me l'aspetto [ ... ]. Babbo babbo, e l'anima, l'anima mia no, non è salva. E Lei, babbo mio, mi lascerà abbandonare dalla mamma mia?» E descrive la situazione di confusione della sua famiglia « ... e per giunta di tutto questo una mi-seria estrema ... ma questo - scrive intrepida - non è nulla per me, per me sono le cose di Gesù. O Babbo, meglio vada prima il corpo che vada l'anima. Addio, babbo mio. Addio da Gesù - Gemma ».

Più significativa è ancora la lunga postilla: «bab­bo, babbo: ho bisogno del suo aiuto: senza di Lei e del suo soccorso io non vado più avanti ». Ora ango-

(16) Non si capisce a quali cose Gemma alluda. In l'n frammento (col. n. 16) si legge: «Padre mi aiuti, per carità: se fossi nelle mani del diavolo, o se fosse la mia fantasìa, in ogni modo ne vorrei sortire perché ho paura, tanta paura. Mi aiuti che voglio essere buona ».

(17) Sembra si tratti della zia Elisa che i Processi mostrano molto affezionata a Gemma.

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scia e rassegnazione si alternano: « E poi come fare che quella benedetta mamma, dopo le cose che gli dice Monsignore, è così curiosa. Più volte va fuori e mi lascia sola in casa con gli altri; io sono persa e quante volte prenderei le gambe e scapperei. Così però, babbo, quando Monsignore mi comanderà di andare a casa: che farò io senza la mamma? Sì, sì, ci siamo, - O bel sacrifizio! Viva Gesù - Svenuta, babbo mio, che avverrà di me? - Gemma sola» (18). È un documento di straziante ed umile dolente ab­bandono in Dio.

14. - Poi, nei testi che mi sono stati trasmessi, c'è un salto fino al N° 104, una ci sembra sia stata consegnata all'Angelo custode, come si legge in calce (<<Il mio buon Angelo gliela consegnerà»). La lettera· inizia con l'affettuoso: «Mio buon babbo» e continua: «Come sono contenta quando posso prendere la pen­na in mano per dirigermi al babbino mio ». Ma il se­guito mostra che la situazione non è cambiata: «Bal;>­bo mio, o se potessi un po' farli vedere dove sono, anche a Lei dispiacerebbe. Dove sia non lo so neppu­re, ma non ci posso più stare. Babbo mio, non mi gri­di: non sono lamenti, no, a Gesù non mi pare che gli dispiacciono; faccia presto se vuole essere un po' contento anche Lei, altrimenti vedrà. [ ... ] O come ve­do freddezza nella zia oggi, che è... e la mamma ... quella è l'altra( 19) ... L'altra [la sig.a Giustina?] ieri sera mi disse: Cecilia crede che io finga e non sia ve­ro che io mi sento maleeO), ma ho paura invece che

('8) E il timore per i fenomeni delle estasi: le copiose effusioni di sangue dalle stimmate e dal capo, le palpitazioni violente del cuore ...

('9) Non so a cosa alludano tutti questi puntini. (20) Sappiamo dalle lettere stampate che la signora Giustina Gian­

nini soffrì di un forte esaurimento di cui poi guarì anche per le preghiere di Gemma.

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finga quella che tanto protegge, io [qui è Gemma stes­sa che parla] non ho desiderio d'ingannare nessuno ma chi inganna Lei poi fa vista di non accorgerse­ne ... » [la battuta è forte, ma subito Gemma si ricom­pone, anche se continua a fremere]. «Senta, babbo mio, a me non dispiacciono mica queste cose - no, ... no, babbo mio, non ci creda - in cuore mi rallegro, ma alle volte è il farmi vedere che mi ripugna, e chi sa dove scapperei ». Ed ecco che, dopo l'innocente sdegno, torna ad umiliarsi e a supplicare l'aiuto: «Ma forse, anzi senza dubbio, quella mamma ha ra­gione e l'anima mia allora dove anderà? Lo vede, babbo mio, che se non fa presto ho in pericolo l'ani­ma e il corpo?» Certamente, in questa situazione, e siamo poco più di un anno prima della morte della dolce creatura, anche la posizione di P. Germano non era facile e Iddio permise che la «povera Gemma» continuasse a sprofondarsi nella notte oscura fino al­l'Alleluia del sabato santo del 1903 quando, finalmen­te, serena, reclinò la testa fra le braccia materne della signora Giustina Giannini.

Mettere a fuoco, nella propria luce, questi fram­menti mediante il restante materiale pubblicato, non dovrebbe essere difficile. Ma anche così, nei guizzi di luce celestiale che li investe, essi rivelano un nuo­vo martirio di amore della «povera Gemma », quello che veniva dalle persone a lei più care. Si sentiva co­me ricacciata nella solitudine della sua immolazione in una confluenza di tenerezza e sofferenza che trova­vano l'equilibrio nella forza innata del suo carattere di mai mancare all'appello che aveva ricevuto, ancor bambina, e poi confermato dalla comunicazione delle stimmate e degli altri dolori della Passione, di segui­re sola e abbandonata Cristo Crocifisso per la salvez­za dei peccatori.

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Dalle lettere pubblicate sappiamo che la situazio­ne rimase più o meno inalterata fino alla prima parte del 1902. Qualche accenno: il protagonista alle volte è Mons. Volpi, altre volte tutti e due: lui e Cecilia, che lo segue ciecamente: la povera figlia viaggia com­pletamente al buio e finisce per dar ragione a ... quelli che la fanno tanto soffrire e la giudicano sempre peg­gio. L'occasione fu una seconda lettera, scritta e con­segnata dal diavolo a Mons. Volpi in data 16.6.901, nascondendo la vera lettera della Santa del 15 giu­gnoe l ): insomma un vero polverone che ha fatto uscire dai gangheri il povero Mons. Volpi. E la Santa, sprofondandosi nella sua indegnità, diffida il... babbo suo e dà ragione a Monsignore (p. 178 ss.).

a) Rassegnazione di Gemma: « Mille volte sia fatta la volontà del mio Gesù! Babbo mio, e fino a ora non mi aveva conosciuto? Non vede che da tutte le parti sono ingannata dai demoni? Povero mio Ge­sù, con chi lo confrontiamo!!»

b) La minaccia di Monsignore: « Babbo, babbo mio, oggi alle 5 mi sono stata a confessare e Monsigno­re ha detto di levarmi Gesù! O babbo mio, la pen­na non mi vuole più scrivere, la mano mi trema, mi trema forte, io piango! »(22).

c) Difende la condotta di Monsignore: « Sia ringra­ziato Gesù che alla fine ha trovato chi mi conosce

(21) La questione è accuratamente studiata dagli Editori nelle note alla lett. 65 a (quella autentica: p. 171 ss.).

(22) P. Germano, rattristato dalla situazione, scrive alla Signora Ce­cilia: « Povera figlia! ha bisogno di un direttore e non l'ha» (Cfr.: C.A. Naselli, C.P., La direzione spirituale di S. Gemma Galgani, Roma 1978, p. 44, n. 18. - L'A. parla dei « grandi pregi e dei suoi gravi difetti nell'azio­ne del Volpi e dell'influsso negativo su di lui del Farnocchia, ma non tocca (ci sembra) l'influsso negativo del Volpi sulla buona e semplice Ce­cilia, che fu una delle spine più dolorose per l'anima mitissima e sensibi­le della Santa).

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e mi aiuterà ad andare in Paradiso! No, babbo mio, non ne sono proprio degna di ricevere Gesù. In questo brutto cuore, peggiore di un letamaio, quante mai volte Gesù è voluto venire! In questo momento riconosco sì forte la mia miseria che vorrei, vorrei ... ».

Ed ora entra nel cuore della situazione.

a) Dopo aver assicurato P. Germano che la vera lette­ra è quella ch'è arrivata a lui e sta nelle sue mani, si raccomanda che « ... non la consegni a nessuno: quella è quella che brama Gesù» - e continua: «Ma che è mai accaduto dopo quella lettera scrit­ta? Tutti dopo questa cosa mi hanno conosciuto, ed ora sono proprio trattata come merito. Avanti credevano che qualche cosa di buono fosse in me ed avevano molti riguardi; ora invece mi hanno sconosciuta e per me non c'è che Gesù, e Gesù solo».

b) Il dramma con Monsignore si acuisce: «Monsigno­re è sì fortemente inquietato con me per i miei peccati, che appena mi confesso, e mi caccia, chia­mandomi bugiarda come bugiardo è il diavolo (questa parola la disse, quando l'avvisai che il dia­volo stava per muovermi una guerra accanjta), mi dice che si meraviglia come un Sacerdote come Lei abbia sì facilmente creduto e ceduto al demo­nio ». Ed ecco l'incredibile conclusione dell'umile creatura perseguitata dal diavolo e dagli uomini (Dio permettendo): «Ringraziamo insieme Gesù, babbo mio, perché per mezzo di Monsignore ci le­vi tutte e due dalle mani del diavolo ».

c) È consolata nella Comunione da Gesù che l'assicu­ra della sua assistenza in ogni prova e che sarà

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sempre nel suo cuore anche quando sarà «crudel­mente» provata. L'avverbio non è stato messo a caso perché oramai il dramma è completo: «Ieri, quando Monsignore seppe che è il demonio che la­vora in me, mi proibì di pensare a Gesù e che fatta la Comunione sia come gli altri, senza dare tanta noia alla Signora Cecilia ». E Gemma resta abban­donata: «Ed ora quella povera zia si è messa tanto mai paura che sia il diavolo(23) che la notte non mi viene più a vedere; il giorno, cioè la mattina, mi lascia sola e non si cura più nulla di me, dicen­domi ad ogni parola che dico: «lo non vo' essere ingannata ». È, come sappiamo, l'ordine di Monsi­gnore a Cecilia.

d) La rassegnazione dolorosa e la desolazione di aver offeso Gesù: «O babbo mio, anche questa cosa già la prevedevo: come farò io? Se non fosse stata Mea(24), stamani sarei stata sempre sola. Ma dunque [ritorna la stupita dolorosa angoscia] ho proprio ingannato tutti? Che avverrà dell'anima mia? Penso all'anima, alla Comunione, che mi ha detto Monsignore l'ho fatta sempre in pecca­t0(25); muoio di dolore, di dolore per il gran ma­le che ho fatto a Gesù ».

e) Desolazione per l'isolamento, fiducia vittoriosa in Gesù: «Non mi vuole più bene nessuno in questa casa: tutti seri, nessuno mi rivolge più una parola; ma Gesù, sì, Gesù è tutto con me, nel mio cuore;

(23) Secondo l'insinuazione di Mons. Volpi, ovviamente. (24) Era la domestica di casa Giannini che attendeva alla cucina. (25) Sembra incredibile un simile comportamento da parte di un

direttore di anime (e per di più vescovo!) qual era Mons. Volpi. Ma sono prove permesse da Dio!

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con Gesù non temo »(26). La conclusione è di una umiltà e dolcezza commoventi: nessun sentimento di amarezza, di delusione, di astio, ma tutto ardo­re e fervore di soffrire con Gesù, di morire di amore e di dolore per Gesù. Intanto riprende co­raggio e ritornano i contrasti di umiltà e di fierez­za: {( Babbo mio, più mi sento piccina, più mi sento di voler bene a Gesù; il suo amore mi inebria, sempre più mi finisce ... Ma la mamma mia(27) non mi vuole più bene, gli altri neppure: rimarrò sola, babbo mio, non mi lasci qua sola ».

La conclusione è secca, secca, perentoria nell'iso­lamento a cui è stata condannata: {( Nessuno sa che ho scritto questa lettera ». E P. Germano, quasi che la sofferenza di Gemma non fosse già al vertice, ri­sponde non a Gemma, ma ... a Cecilia! Il 17 settembre (1901) passa per Lucca il provinciale P. Pier Paolo che pure ne ammirava la santità: «... senza venire qui; e sapesse ieri piansi tutto il giorno ». Cecilia rin­cara la dose di dolore alla povera innocente: {( ... ma mi disse tanto questa mamma, mi diceva: 'Tutti a po­co per volta conosceranno che è opera del diavolo e allora io che farò?' (28). Sempre incerta, quindi,

(26) Anche con P. Germano, quando interruppe la corrispondenza diretta con Gemma comunicando per il tramite della signora Cecilia, la Santa una volta, come già si è accennato, lo supplica: « Babbo cattivo, o se mi scrivesse una righetta anche per me, che sarebbe mai? Ma poi non m'importa niente, perché so ben le cose da Gesù» (Lett. 64', 12·6·1901, p. 170).

(27) È Cecilia che qui riceve il nome più affettuoso. (28) Lett. 80', p. 209. - Il P. Germano ancora non risponde a Gem­

ma ma alla Signora Cecilia, la quale, come c'informano in nota gli edito­ri, lo tranquillizza che la porterà con sé nella solita gita domenicale ai Giannini in vacanze a Carignano: «Oggi domenica ci vado anche io con la cara Gemma. Le pare che la lasciassi sola? Oramai senta, Padre, se non me la tolgono per forza, fino a che non sarà in convento, non la lascio davvero. Il demonio mi sono bene avveduta che fa tutti i suoi sfor­zi per levarcela, ma Dio non lo permetterà» (nota 4).

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Gemma invocava la presenza di Cecilia perché durante le estasi le tenesse forte la mano sul cuore che entrava in una palpitazione violenta da cagionarle acuto dolo­re: difatti dopo la morte le furono trovate due costole sollevate all'altezza del cuore. Non era un capriccio al­lora la supplica di Gemma per avere Cecilia o per en­trare in un convento nascosta a tutti. Di qui il rinnova­to lamento a P. Germano il19 aprile 1902, a meno di un anno dalla morte: «La Sig.a Cecilia gli scrive che non vuoI mandarmi [dalla Signora Imperiali, la Serafina di Roma penitente di P. Germano], e allora perché non sta sempre con me, senza mai lasciarmi? Tante mattine, che proprio io non sono più nel mondo, eppure mi la­scia». In nota gli editori riportano una lettera, un po' precedente (11 aprile), di Cecilia a P. Germano che atte­sta la contrarietà di tutti i Giannini a lasciare o privar­si di Gemma « ... in particolare Matteo e Annetta» e as­sicura che « ... per noi sarebbe troppo gran sacrificio, se ci togliessero di casa la cara Gemma. Come si fareb­be, non vedendo la più qui? Ma non sa che quei giorni che stetti senza lei, mi sembrava di ammattire? » Cara e semplice Cecilia, che ritorna sull'argomento il 21 aprile, forse a seguito di una nuova lettera di P. Germa­no: «Senta, per portarla via, per il momento, come stanno le cose, no, non mi ci sento, non posso privar­mene; meno che un comando assoluto di lei, mio caris­simo Padre. Ma no, vero, questo non lo farà, non me la leva, è vero, almeno per ora? » E insiste: «Se poi cam­biassero le cose sia di Gemma, come della mia fami­glia, allora saprò farci sacrificio col fare sempre la vo­lontà SS. di Dio. Ma per adesso non mi ci sento davve­ro: a meno di un suo comando assoluto, come ho già detto sopra» (p. 256, nota 1)(29).

(29) Da una testimonianza, nei Processi, della signora Giustina Gian­nini (che sosterrà la testa di Gemma nel momento della morte) sappiamo

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Nessun dubbio quindi sui sentimenti reali di Ce­cilia. La situazione però di Gemma non cambia, come si rileva dalla postilla alla lettera sopra citata del 19 aprile, quindi nello stesso tempo della precedente di Cecilia (21 aprile): «Dica alla mamma mia che non mi lasci mai mai mai. E tutto quello che fa, lo faccia per carità. Vede, babbo mio, - ed eccoci ancora al nocciolo della situazione - io non lo so. Con me è sempre buona, quando poi va a confessarsi da Monsi­gnore, quando esce è tutta turbata; non mi cura più, e sto per più giorni sola sola [corsivo nostro]. Scrive una lettera Lei, ecco tutto cambiato; mi vuole un gran bene ». - E finisce con tono severo, insolito in lei: «Così non lo deve fare; glielo faccia sapere in mo­do che capisca: Gesù vuole la carità, per le altre cose non vuole nulla. - Scriva qual'è la volontà di Dio» (p. 257)(30).

Poi sembra che il grosso della bufera sia passato e Gemma entra nell'ultima fase della sua vita, la ma­lattia che di lì a pochi mesi la porterà alla fine. Un'e­co di questa strana incomprensione - se tale fu -si legge ancora nella penultima lettera verso la metà di febbraio 1903 ancora al P. Germano, ma è appena un accenno nell'atmosfera del completo abbandono alla volontà di Dio e difatti la santa ci tiene a tran­quillizzare il buon Padre: «Ma, babbo mio, mi racco­manda sempre pace, eppure agli altri non sembrerà che io vi sia, ma ci sono in pace. [ ... ] Segue una di­chiarazione che allude ancora (come sembra) agli ab-

che Gemma talvolta diceva a Cecilia: «Abbia pazienza, la ricompenserà il Signore di quello che fa; quello che mi raccomando è che mi tenga nascosta, da parte, non mi consideri, faccia conto ch'io non ci sia in ca­sa» (N.ro IX, § 48,p. 469).

(30) Manca ancora la firma.

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bandoni dell'anno precedente: «Viva Gesù! Dubita la zia che non le voglia bene, ma, caro babbo [l'umile creatura nutre sempre la medesima tenerezza], dopo l'unica mamma terrenae l ) che Gesù mi dette, che poi me la tolse, di nuovo in essa me l'aveva resa, ed ora mi ha rilasciato orfana. Due volte orfana sulla terra, caro babbo; e Lei poi vorrebbe accusarmi a Ge­sù? A Lei poi ci penserò io(2

). Docile, umile: ma anche fiera, come sempre.

(31) Corsivo di Gemma. Abbiamo già citato, a questo riguardo, la testimonianza della stessa Cecilia nei Processi.

(32) Lett. 130 a , p. 303. - Come osservazione finale debbo notare che nulla di questo dramma dei rapporti con Cecilia si rileva nel testo (fram­mentario, senza dubbio) delle Estasi e neppure, per quanto posso dire, nelle deposizioni della stessa Cecilia nei Processi.

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CAPITOLO QUINTO

FIEREZZA E SEMPLICITÀ

1. Gemma viva

Mette spavento seguire le descrizioni e rivelazio­ni che un mistico fa delle tappe della sua immolazio­ne ed elevazione nel rapporto con Dio. Un'impressio­ne di Kierkegaard: « Un mistico lo si ascolta come certi gridi di uccelli, solo nel silenzio della notte: per questo molto spesso un mistico non ha una grande importanza per il suo mondo chiassoso, ma soltanto dopo un certo tempo, nel silenzio della storia, per le anime a lui affini che stanno in ascolto» (l). Per questo i mistici mettono in soggezione più dei filoso­fi, dei poeti e (non occorre dirlo) più degli stessi teo­logi. Perché mai?

Questa domanda sembra non valga per la Galga­ni, non solo perché dai suoi scritti esula ogni ermeti­smo e dottrinarismo riflesso, ma perché l'umile e fra­gile creatura si sente essa stessa quasi smarrita e di­sarmata in un mondo di fenomeni che le diventano - è vero - sempre più familiari, ma che dentro e fuori - nel chiuso dell'anima e nell'aperto del suo ambiente - sono per lei pieni di oscurità, per non

(l) Diario 1840, A 70; trad. il. (3) nr. 70, t. III, p. 22.

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dire di contraddizioni. Dei suoi fenomeni straordina­ri essa confessa di sentire quasi una vergogna anzi « ... non lo so come potrei dire, quasi paura »(2). Per questo ha cercato, ma invano, di eclissarsi e seppel­lirsi in un convento. Gemma si presenta come colei che teme e temerà di se stessa fin, sul letto di morte: i fenomeni straordinari, le estasi, le voci di Cristo co­me quella della Madonna, degli Angeli, dei santi... mentre sul momento le procurano gioie paradisia­che, appena ritorna al contatto con la realtà, le cau­sano dubbi d'ogni genere, angoscie strazianti ... che sciolgono l'anima dolcissima in lagrime e pianto. Gemma è morta nell'incertezza completa dei suoi fe­nomeni, quasi persuasa che tutto quanto accadeva in lei fosse inganno e trucco diabolico.

È vero, sembra che Gemma trovi sfogo solo nel pianto: però non piange quando piangiamo noi, pian­ge invece quando noi non piangiamo. Non ha pianto per la morte della mamma e del padre e dei congiun­ti più cari, né quando la famiglia piombò dall'agiatez­za nella miseria più nera e vergognosa(3). Ha pianto spesso contemplando i dolori di Cristo, meditando sulla sua Passione e sui (presunti) peccati propri e su quelli altrui che l'hanno causata. Piange perché l'atterriva il dover rimescolare il suo passato (<< mi sgomentavo a farmi tornare in mente tutto ») nello stendere la richiesta «confessione generale» (p. 221). Piange, piccina, al vedere piangere la mamma (p. 223) e piange vedendola malata (p. 224); piange alla vista

(2) Lett. 2" a Mons. Volpi, p. 310. Ma di questo rapporto con il confessore, ch'è il momento di crisi esistenziale più acuto, abbiamo già detto a parte.

(3) « lo solo senza cuore rimanevo indifferente a tante disgrazie ». Ma aggiunge: .« piansi assai» quando si accorse della malattia incurabile del babbo (Autobiografia, p. 239).

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dei poveri che non può più soccorrere (p. 230); piange da sola la sera e anche tante notti perché la maestra - un po' per scherzare e un po' per provarla - l'ave­va chiamata «superba» (p. 231) e piange quando la buona maestra le si mostrava « seria» (p. 232). Piange quando, ammalata, le tolgono la vita di S. Gabrie­le(4) ma rimase insensibile durante le terribili ma­lattie che la colpirono. Piange nell'Ora Santa di rin­graziamento per la guarigione miracolosa della spini­te, sopraffatta dal dolore dei suoi peccati: «In mezzo però a questo dolore infinito mi rimaneva un confor­to: quello di piangere: conforto insieme e sollievo. Passai l'ora intera pregando e piangendo» (p. 252). E le appare Gesù con le piaghe aperte. Ed è l'Angelo che il Venerdì Santo, il31 marzo 1899, l'esorta a non pian­gere (p. 253) e ad essere forte al sacrificio. Piange an­cora nel lasciare le Suore Salesiane, dopo il ritiro di ringraziamento (p. 266). E piange, ovviamente, quan­do Gesù non si fa sentire per alcuni giorni: «Piansi tanto per questo» (p. 259). Invece all'impressione del­le Stimmate, benché si sentisse morire dal dolore, af­ferma che « ... quei dolori, quelle pene, anziché afflig­germi, mi recavano una pace perfetta» (p. 262).

Passata sotto la direzione di P. Germano, Gemma promette « ... di non fare più un lamento e di non più piangere» (Lett. 4 a , p. 24). Ma di lì a poco, al vedere le sue compagne già entrate in convento e lei fuori, sola sola, gli scrive: «Ora mi viene da piangere; non vorrei, sa, perché l'Angelo Custode non vuole, ma mi viene da sé, e allora bisogna che pianga ... non farei che piangere» (Lett. 9 a, p. 28). Una confessione carica di significato, anche se non è facile afferrarne la se-

(4) Lo conferma nella letto l a a P. Germano: {( Appena ne fui priva­ta, cominciai a piangere: mi pareva che mi avessero levato tutto» (p. 3).

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greta sorgente che non può essere che Gesù, lo scon­finato desiderio di Gemma di essere tutta sua. Piange anche nel vedere la signora Cecilia ammalata (Lett. 12 a, p. 34). Angustiata della sua situazione, sospira: «O come farò? O babbo mio, scrivo e piango insieme ora: o che farò?» (Lett. 25 a , p. 74). E quando Gesù le chiese se l'amava « ... sa che risposi? Piansi, perché prima di Gesù, chi ho mai amato? Ho amato me stes­sa e spesse volte le creature, e spesso i piaceri. E co­me fare a rispondere a Gesù? Piansi, piansi a lungo e fu la mia risposta» (Lett. 26 a , p. 77). Anche più avanti: « ... mi vengono in mente tutti i peccati ... che alle volte mi sono lasciata abbattere e piangere» (Lett. 46 a , p. 129). È qui il segreto del suo piangere: « Se penso al passato, piango, ricordando il modo col quale Gesù cercò di condurmi a sé» (Lett. 30 a , p. 85). Guardando Gesù Crocifisso e considerando se stessa: «lo mi lamento, mi affliggo e spesso piango» (Lett. 32 a, p. 92). Osa chiedere al Confessore il permesso di offrire la propria vita per la guarigione della' si­gnora Giustina Giannini: «Un no assoluto. Allora ho pianto, non mi gridi: non piangerò più» (Lett. 36 a ,

p. 204). Il pianto di Gemma è certamente l'indizio del suo

smarrimento creaturale, ma è anche e soprattutto lo sfogo dell'amore a Gesù di fronte all'incoerenza della realtà ed ai contrasti che l'attraversano. Piangè per la paura di «perdere l'anima» (Lett. 39 a , p. 111); piange quand'è lasciata sola dalla zia Cecilia: « ... quando sono sola soffro piangendo ma sempre rin­graziando e benedicendo Gesù» (Lett. 49 a, p. 134. Il cuore, se si può dire così, di questa situazione è la sua partecipazione alla Passione di Cristo in cui si sente sola; lamentandosi ancora che Cecilia se ne va-

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da con i bimbi, esclama per il timore di non poter sopportare da sola i fenomeni: « O babbo mio, mi aiu­ti. Da ogni parte vedo avverarsi tante parole sue; con­tinuamente piango, Gesù piange, la mamma mia piange »(5) (Lett,. 5s a , p. 155). Ed ecco che, mentre si mette a pregare, Gesù « ... mi guarda e piange» (e) ... mi fece piangere tanto anche a me» (Lett. 53 a, p. 152).

Ancora più avanti, con vivacità infantile: « Gesù piange, piange ancora, babbo mio! Potessi farlo stare zitto!. .. Potessi con le mie lacrime e col mio sangue tornare in grazia di Gesù!» (Lett. 74 a, p. 196).

E non è facile trovare il luogo, il punto dello spi­rito, che occupa nell'itinerario spirituale di Gemma questo pianto di lagrime silenziose tra sé e Dio. For­te, com'è nelle pene più atroci del suo corpo, le'basta accorgersi - non so come dire ... - non tanto di esse­re trascurata, che sarebbe una reazione puramente femminile, ma di essere causa di preoccupazione, di fastidio ... per via delle cose sue: « Babbo, babbo, il Provinciale(6) è passato senza venir qui; e sapesse! ieri piansi tutto il giorno. E piange persino all'arrivo delle lettere di Padre Germano (Lett. 101 a, p. 241). Anche a Mons. Volpi - dopo aver ricevuto in estasi dalla Madonna l'ordine di entrare nella Compagnia delle Passioniste - scrive turbata e sconsolata: « lo dopo questa cosa non feci che piangere tutta la notte perché vedo che sono molto lontana dall'aiuto delle persone in questa cosa» (Lett. 2 a , p. 311). Si mette a piangere per le minacce della zia [Elisa?] dopo lo

(5) È indicata certamente la signora Cecilia, poiché, quando parla della Madonna, Gemma usa la maiuscola. Aveva scritto anche nella lette­ra precedente: «Oh! quando vedo piangere Gesù, mi trafigge proprio il cuore» (Lett. 57 a

, p. 153). . (6) E il P. Pietro Paolo Moreschini, poi Arcivescovo di Camenno.

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svenimento a causa delle bestemmie del fratello Et­tore (Lett. 16 a , p. 333). Le viene da piangere quando è inseguita dal diavolo in varie chiese e si rifugia dal­le suore Barbantini (Lett. 31 a, p. 354). Piange quando in casa la canzonano e molestano a causa delle estasi: « Le zie ci ridono, ed io ho una voglia di piangere tan­to, sa?» E continua: «Quando m'inquieto e piango, allora (proprio che non ne posso più) [1'Angelo Custo­de] mi dice qualche cosa e presto torno in calma» (Lett. 36 a , p. 361).

Cosa può significare in Gemma tutto questo piangere? È noto che il dono delle lagrime fa parte della vita mistica, ma in Gemma esse prorompono dal suo stupore doloroso ch'è insieme uno stupore amoroso. È l'urto della realtà, della «sua» realtà nel­l'aspirazione di comunione col suo Dio che la scuote e la commuove. È questo quasi il suo biglietto da vi­sita fin dalla letto 1 a a P. Germano, al quale manife­sta la delusione della sua aspirazione al convento, che sarà la croce della sua vita: «Un'altra volta pure piangevo, perché volevo una grazia da Gesù ... » E ver­so la fine della lettera: «Domenica sera piangevo; Confratel Gabriele venne e mi disse: I Perché piangi?' - ho paura di non poter andare in convento ... Non ci pensa nessuno» (pp. 5,7 s.)(1). Si potrebbe quasi parlare di una «conflittualità teologica », ma meglio sarebbe dirla «conflittualità esistenziale »: myste­rium vitae! Nella profezia delle orribili prove di puri­ficazione che dovrà attraversare ci sarà anche quella che « ... ti mancherà perfino l'ultimo conforto cioè lo

(1) Anche a Mons. Volpi accenna ad un'apparizione di S. Gabriele, che rideva chiedendole: « Gemma, perché sei così triste? [e continua:] mi ero messa quasi a piangere ma, quando ho veduto che era Lui, ho subito risposto: « Sono un po' scontenta, perché io vorrei farmi Passionista e mi pare di vedere certe cose curiose» (Lett. 19 a , p. 338).

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sfogo di poter piangere ». La Santa commenta: « lo mi sono messa a piangere, e pensare a tutte queste cose, che non capisco nulla; allora il mio Angelo Custode mi ha detto, che mi faccia coraggio ... » (8).

Eppure sbaglierebbe chi pensasse ad una Gem­ma piagnucolona e sempre lagrimosa: Gemma aveva un carattere piacevole ed allegro. La confessione più squillante di questa sua gioia si legge nella lettera scritta alla sua antica maestra Sr. Giulia Sestini do­po la grande guarigione del 12-14 marzo 1899, di ri­torno dalla visita di ringraziamento alla Superiora delle Suore Salesiane: « ... Non so dirle altro che sono contenta, ma proprio contenta tanto tanto. Mi pren­dono certi momenti - continua - che mi pare pro­prio di non poter resistere dalla contentezza che ho nel cuore; ma mi prendono anche certi momenti, che, se non ricorressi al Cuore di Gesù e non mi aiutasse, mi sgomenterei davvero» (p. 410). Anche scrivendo alla Giuseppina Imperiali - la sua « Serafina» - de­siderando di chiudersi in Convento a Corneto ed avvi­cinarsi a P. Germano, conclude: « Ma pure in ogni modo sono contenta» (Lett. 4 a , pago 44). È la realtà di cui essa dà continua testimonianza ai suoi diretto­ri di spirito.

Gemma, malgrado tutto, è contenta ed è contenta in tutto e sempre. La sua sembra una gioia d'infanti­le semplicità per tutto quello che vuole da lei il Si­gnore, a cominciare dalla vocazione passionista: « A me solamente il nome [di Passionista] mi riempie di contentezza. Che sarà se Gesù mi farà la grazia di

(8) Identico contesto nell'estasi 22 a del 20 aprile 1900. che allude certamente al testo precedente: «O Gesù. non ti ricordi di quest'ultime parole che mi dicesti quel giorno: Ti mancherà perfino l'ultimo conforto di poter piangere?» (Estasi .... p. 33).

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essere davvero? »(9). Ed allo stesso P. Germano che di lì a poco confessa che « ... da quel momento [dei consigli avuti] sono stata sempre più felice di poter piangere e soffrire con Gesù» (Lett. 3 a, p. 13). Il mi­stero della gioia di Gemma è il vivere per Cristo, os­sia, come lei dice, il non avere in mente altri che Ge­sù che la fa astrarre dal mondo circostante fino a non sentire quanto le chiedono: « ... ma io non capi­sco nulla, e allora e allora ho della mattuccia quanto voglio. Allora mi sento contenta ». E quando Gesù le si fa più sentire: «In quei momenti ho paura dalla contentezza di andare fino fuori di testa» (Lett. 5 a,

p. 17). E Gemma gode (come ognuno di noi!) quand'è accontentata nei suoi desideri e soffre quand'è delu­sa. Per esempio il lamento a P. Germano: «Pochi mo­menti fa ho ricevuto le immagini; ... ma se ci fosse stata la lettera, sarei rimasta più contenta» (Lett. 7 a,

p. 22). E di lì a poco, insistendo sullo stesso argomen­to: «Lo so io l'allegria che fanno le sue lettere!« (Lett. 8 a , p. 25).

Ovviamente la gioia più grande è per Gemma quella di stare con Gesù: «Gesù, scrive ancora a Pa­dre Germano, è sempre con me, mi sento tutta, tutta in lui; quanto sto bene! ho paura di offenderlo e di perderlo» (Lett. 24 a bis, p. 60). Certo che tutta la vita di Gemma può apparire assai strana e quasi capovol­ta rispetto alle vite normali: da bambina è presentata piuttosto seria, vicino alla mamma sofferente ed alla suora che le racconta la Passione di Cristo, ma anche partecipe dei giochi delle amichette appena l'invita-

(9) Lett. 1 a a P. Germano, p. 6. Anche nella letto 2a: « ... il solo no­me [di «Passionista »l tutta mi scuote» (p. 9). E nella postilla: «Ogni volta che mi pare di sentire dire (da Gesù) quelle parole [« Figlia, sta quieta, presto sarai Passionista »l mi sento tutta muovere dentro» (p. Il).

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vano: da giovane poi, e nel colmo delle comunicazioni e delle sofferenze che il Signore le partecipava, l'ani­ma resta bambina e tutta abbandonata in Dio quan­do, come Gesù, è (e sembra) abbandonata da tutti. In questo suo comportamento Gemma diventa quasi trasparente e ci svela un lembo del suo mistero: « Stamani ho raccontato a Monsignore [Volpi] questa cosa( IO) e mi ha risposto che ne ha tanto piacere che soffra in questo modo e mi ha detto ancora che Gesù, quei nervi lì, li può far venire ancora ... ». E con­clude: « Gesù la tua volontà, e mai la mia [corsivo di Gemma]. E mi trovo contentissima [corsivo mio]. Se poi alle volte mi viene un po' di tristezza, questo è solo all'esterno: all'interno sono in una calma perfet­ta (Lett. 26 a , p. 78) (ancora corsivo mio). Anche a Mons. Volpi, chiedendogli il permesso della confes­sione generale con il P. Provinciale (P. Pietro Paolo Moreschini): « Se Lei è contento, contenta lo farò: se poi non vuole, io sono contenta in ogni modo» (Lett. 61 a, p. 390).

Questa gioia e pace che Gemma prova segue il cammino della sua purificazione, anche in mezzo al­l'aridità. Ecco: « Stamattina è venuto Gesù, ma non si è fatto sentire. E che importa? lo sono contenta lo stesso. Mi privi pure di tutto quel Gesù, ma non mi privi del suo amore ». E di lì a poco: « ... Nessuno poi mi dice mai una parola e non mi guardano nean­che. Ma che m'importa? Quella Mamma(ll) e quel (Confratel) Gabriele mi privino pure di tutto, tanto io non piango più, e sarò allegra» (Lett. 30 a , p. 86)! In questo tempo di aridità « ... l'Angelo suo appena lo sento. Ma che importa? io sono contenta» (Lett.

(lO) Cioè la smania che l'agitava di stare sempre con Gesù. (Il) La Madonna.

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30 a , p. 88). Ed in mezzo ai fenomeni del giovedì e ve­nerdì, alla fine di novembre 1900: «Soffro, ma sto zit­ta ... lo sono contenta, babbo mio. Lei mi pare di no» (Lett. 31 a, p. 90). Perfino dopo la visita del Farnoc­chia: «Mi ha fatto piangere. Ma io sono contenta, babbo mio: Gesù è nel mio cuore» (Let. 50 a , p. 135 s.). E nella postilla, come conclusione quasi trionfan­te: «lo sono contenta, babbo mio ». E dopo un venerdì di marzo (1901) che « ... poco mancò che non morissi (lo ripete dopo poche righe: «poco mancò che non ci andassi, o bene! »). In mezzo ai fenomeni, desidera so­lo la presenza e l'assistenza di Cecilia: «Sono tanto contenta, quando sono nelle braccia della mia cara mamma sola, sola, senz'altri» (Lett. 53 a , p. 143). E tanto più soffre quando Cecilia « ... aspetta quasi con impazienza il momento che Gesù con la sua carità mi cerchi, e poi... va fuori... Quando poi mi prende [1'estasi], mi trovo sola» (Lett. 103 a, p. 247).

Questa gioia, almeno fino all'ultimo periodo del­la notte oscura, quasi bilancia le continue sofferenze e l'Angelo stesso le dice di « ... essere contenta che Gesù sta nel mio cuore» (Lett. 54 a , p. 147). Infatti se « ... Gesù mi fa soffrire assai, sa, sono contenta, non mi lascia mai un minuto» (Lett. 55 a, p. 149). Ed an­che quando P. Germano non le scrive più e sembra abbandonarla, Gemma non si smarrisce: «Ma sono contenta, perché lo sento, lo sento spesso, spesso e forte» (Lett. 58 a , p. 155)(12). E mentre le prove cre-

(12) P. Germano rimase quasi un anno senza scrivere direttamente a Gemma. Di qui i discreti e dolci lamenti, ma rassegnati: «Babbo catti­vo, o se mi scrivesse una righetta anche a me, che sarebbe mai? Ma poi non m'importa niente: sono contenta lo stesso, perché so bene le cose da Gesù" (Lett. 64', p. 170). Le ultime parole avranno fatto riflettere P. Germano! Eppure Gemma insiste: «Se non vuole scrivere a me, scriva a chi vuole ... ma almeno scriva» (p. 171). L'allusione (assai femminile) a Cecilia, è evidente.

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scono da ogni parte, soprattutto la trascuratezza del­la zia Cecilia che più l'afferra, ecco l'inattesa dichia­razione: «Mi sembra di essere non so dove ... al Pur­gatorio; ma mi rivolgo al mio cuore (corsivo nostro); il mio cuore possiede Gesù e, possedendo Gesù, sento che posso sorridere anche in mezzo a tante lagrime: sento sì di essere felice, anche in mezzo a tanti scon­forti» (Lett. 89 a, p. 226). Ed in una postilla mette la formula che compendia il suo stato: «Nell'amore ... godo ... nel dolore, quando mi sembra che l'anima si divida dal corpo» (Lett. 103 a , p. 247) (corsivo nostro). Anche a Mons. Volpi, quando Gesù le chiede di patire per i peccatori e promette di sorreggerla: «Ora mi sento contenta e anche più in forza» (Lett. 24 a , p. 346). E proprio nell'ultimo scorcio della vita: «lo in ogni modo sono contenta» (Lett. 65 a, p. 394) e sono le ultime parole scritte al suo confessore nell'ultimo biglietto della fine di ottobre 1902: «Ancora così? So­no in ogni modo contenta» (Lett. 67 a, p. 395).

È vero che all'appressarsi del termine il diavolo l'angustia con tentazioni di disperazione che la fanno gemere: «Ho paura, babbo mio, ho paura dell'anima mia. Mi assista» (Lett. 112 a , p. 262 s.). E mentre il diavolo (<< quel cosaccio ») infierisce, minacciandole fin l'inferno: «O babbo, nonostante tutte queste chiacchiere, sono calma, quieta, mi fido di Lei» (Lett. 114 a , p. 272). Avvicinandosi alla consunzione del po­vero corpo, tribolata dal male e da nuove sofferenze fisiche e morali, Gemma anela al Paradiso: «lo sono contenta, vivo soffrendo di continuo, ma in pace, in quiete ». Ed è Gesù stesso che nella Comunione le fa l'incredibile confidenza (<< un caro scherzetto ») che vale un anticipo del Paradiso (il testo già l'abbiamo incontrato ma vale la pena rileggerlo): «Vedi, Gem-

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ma: io nel mio cuore ci ho una figlietta che amo tanto, e che ne sono assai riamato. Questa figlia mi chiede sempre amore e purità, tanta gliene ho concessa quanto creatura umana possa capirne. A questa figlia ho sempre io stesso custodita la nettezza del suo cuo­re, come quello ch'è il cuore di sposa eletta da celeste e divino sposo; l'ho sempre preservata e custodita in quella purità, come celeste giglio, nel mio puro amo­re, ecc.». Questo «ecc.» ci lascia l'animo sospeso, ma ci rivela anche la Gemma autentica come una gemma autentica. E si senta il suo ... commento: «O babbo mio, quanto è mai buono Gesù! Sempre cadrei, se non mi reggesse; sempre morirei se non mi vivificasse. Finalmente [ecco la celestiale conclusione!] poi sì che ho potuto penetrare la gravezza di quei peccati, che al mondo sembrano leggeri ma se vedesse babbo mio, agli occhi di Dio! » (Lett. 118 a, p. 283 s.). Quel «figlio­letta» dell'inizio messo in bocca a Gesù, è un lampo di genio per Gemma ed un lembo di paradiso per noi: ma di Gemma scrittrice, e grande scrittrice, si è detto poco e nei limiti della nostra scarsa competenza. Se­guiamo ancora un poco l'ascesa ultima della sua gioia nella sofferenza. Sintomatica, per il nuovo sta­to, è la lettera del 20 novembre 1902 (una delle poche dettate) che comincia quasi con piglio di trionfo(I3): «Caro babbo, Viva Gesù! Babbo mio sono conten­ta(l4): Gesù, san certa, m'invia un po' di tribolazione

(l') Eppure era immersa nella sofferenza, come fa trapelare nella lettera precedente che finisce con l'umile esclamazione: « Lo vede, babbo mio, come sono sempre indietro, come ancora mi ripugna il patire!» (Lett. 122 a, p. 287).

(14) Corsivo nostro. E già prima in data 9 luglio, quando la salute di Gemma declinava ma aveva ottenuto da Gesù una breve pausa (<< per brevissimo tempo », le disse Gesù), la santa dichiara: «Babbo mio, dalle parole di Gesù in poi come mi sento calma! mi sen~o così piena di confi· denza in Lei, che in questo modo mai, mai, neppure nei primi tempi, ho provato (Let!. Il3 a , p. 267).

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per mio profitto e per mia utilità. [ ... ] Già lo sa ... stia contento: io mi sono data tutta nelle mani di Dio. [ ... ] Ho raccomandato a Gesù tutte le cose e vivo in silen­zio e nella pace del cuore» (Lett. 123 a , p. 289 s.). Ep­pure, come la Santa subito manifesta, il diavolo non cessa di molestarla « ... con strani pensieri, tentazio­ni» fino ancora alla disperazione dell'orrore dell'in­ferno: ma, sgomenta e fiduciosa si rifugia nella pro­tezione della «Mamma Celeste, la madre degli orfa­ni» per ottenere da Gesù «il perdono dei peccati, tanto amore verso di Lui, la santa perseveranza e in ultimo ... il Paradiso» (Lett. 124 a , p. 291).

Sembra che, avanzando il male verso la fine, Gemma avanzi anche nell'avvertenza del «mistero» della sua vita. La prima occasione, del tutto esterio­re, è stata la faccenda del ritratto voluto da P. Ger­mano e da lei nascosto, ma poi rimesso a posto con un enorme senso di colpa: «Che ho mai fatto? [ ... ]. Ma non mi ci raccapezzo, in me vi è del mistero, è tutto opera di un diavolo che mi ha trascinato all'in­ferno, e ci sono, sa, poco ci manca» (Lett. 225 a, p. 294). Ed il nemico è sempre all'erta, come leggiamo nella lettera del 26 gennaio 1903 ch' è già un presagio di morte: «Creda, caro babbo, è una gran scena la mia vita e i miei giorni. E qual'è il mezzo, per conser­vare la pace del cuore in mezzo alle avversità? » (Lett. 228 a, p. 299). Anche la dolorosa necessità di lasciare casa Giannini, la lascia tranquilla (<< senza essermene nemmeno avveduta ») e si affretta il 17 febbraio a tranquillizzare il suo buon Padre: «Calma sono, bab­bo mio, mi turbano un po' quelle brutte tentazioni, immagini, pensieri, scosse da far tremare il letto, col­pi, ecc. ecc.; ma dopo tutto ciò mi sento tranquilla, quando so di non aver offeso Gesù. E non cessano,

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babbo mio, non cessano ancora; la notte mi trovo so­la con Gesù(15), a combattere e a toccarne(16) (dico con Gesù, ma non lo vedo e non lo sento, ma so che mi assiste)>> (Lett. 129 a , p. 301).

Benché presa ed oppressa in tali frangenti, Gem­ma si sorprende proprio perché P. Germano le racco­mandi di mantenersi in pace: «Ma, babbo mio, mi raccomanda sempre pace, eppure agli altri non sem­brerà che io vi sia, ma ci sono in pace. [ ... ] Se sto seria e taciturna, è solo all'esterno: nell'interno godo una pace, che mai o poche volte ho provato, e la go­drò anche di più quando il mio peccatore sarà con­vertito» (Lett. 136 a , p. 303)(17). Sembra infatti che costui sia tornato a Dio il giovedì Santo, nell'antivigi­lia del trapasso al cielo della sua fervente protettrice. Lo stato d'animo di Gemma si trova pertanto in un'e­quilibrio mirabile e ne ringrazia il suo buon Angelo Custode che non l'abbandona, ma le resta vicino: «Angelo mio, quanto bene ti voglio! - 'E perché mi vuoi bene?' mi chiese. 'Ti amo perché m'insegni. l'u­miltà e perché mantieni la pace interna del mio cuo­re »(18). Quella di Gemma è la pace come dono pie­toso di Dio per l'ultima lotta.

Ma forse la prova che più la ferì, venne da qual­cuno di cui la Santa non rivelò il nome e che gli edi­tori non ci fanno conoscere. Ne parla con stile conci­tato nell'estasi 28 a (domenica 2 aprile 1900). La San­ta si trova in uno stato di forte tensione, oppressa

(15) La signora Cecilia andava a trovarla la mattina per accompa· gnarla alla Comunione nella vicina Chiesa della Rosa.

(16) Allude alle vessazioni diaboliche. (17) Gemma interessa P. Germano anche a unirsi nella preghiera

per la conversione di un noto peccatore. (18) Lett. 114 a del 20 luglio 1902, p. 273.

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da patimenti e prove. Ed ecco: «Gesù, ho tardato a dirti una cosa. Gesù, ci soffro nel dirtela, perché sen­za il tuo aiuto avrei coraggio di vendicarmi. Gesù, per ordine del Confessore, ti raccomando il mio più grande nemico, il mio più grande avversario. Guida­lo, accompagnalo; e se la tua mano deve gravare so­pra di lui, no, [gravi] sopra di me; dàgli tanto bene, Gesù ». L'animo per un po' si placa, ma subito torna ad agitarsi: « ... Se tu non fossi tu che mi aiutassi, mi sento tutta bollire; vorrei vendicarmi, ma no, ma no; perché vendicarmi?» ~ Ora la lotta: «Tu lo sai, Ge­sù, ma io no: la vendetta l'avrei nelle mie mani, ma no; col tuo aiuto Gesù, no, resisterò sempre» (p. 42)(19). Una lotta vittoriosa quindi e degna di un'a­nima maschia, come P. Germano voleva la sua Gemma.

Un enigma quindi ed un paradosso resta la vita e l'anima di Gemma che ha la sua soluzione nell'im­molazione mistica di Gemma stessa, ancora tutta grondante del sangue della prima impressione delle

('9) Gli Editori non danno alcuna indicazione precisa sul personag· gio, causa di tanta sofferenza e sdegno. Non sembra si trattasse del Far­nocchia, avversario sciocco anche se implacabile, come si è visto, della povera estatica, perché il personaggio si accanisce (secondo le dichiara­zioni di Gemma) anche contro Mons. Volpi che mantenne sempre al Far­nocchia la sua fiducia. Deve trattarsi allora di qualcuno ch'era stato mol­to al corrente delle cose di Gemma, e dei suoi rapporti col Volpi e che poi cambiò bandiera. Un Passionista che frequentava a Lucca la casa Giannini? Forse si trattava di quel padre Gaetano del Bambin Gesù che fu il primo Passionista al quale la Santa fu indirizzata dallo stesso S. Gabriele per confessarsi e manifestare il privilegio delle Stimmate (Auto­biografia, p. 265): fu lui ad ispirarle la vocazione passionista e a presen­tarla a Cecilia Giannini. Ma poi cadde in una strana crisi religiosa che lo portò a uscire di Congregazione, per poi farvi ritorno e finirvi con edificazione la vita (Lett. 1 a, p. 4 nota7). Se il nemico fosse questo P. Gaetano, forse si tratterebbe di un fenomeno di gelosia verso il Volpi al quale pensava di succedere nella direzione spirituale dell'estatica? Al tempo di quest'estasi, del resto, era già entrato il P. Germano che teneva (a quanto sembra) buoni rapporti con P. Gaetano. Il punto quindi resta oscuro.

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stimmate: «Quei dolori, quelle pene, anziché afflig­germi, mi recavano una pace perfetta». Che divenne, per il resto della vita, la pace nella tempesta da cui fu liberata soltanto con la morte.

Il seguito dell'estasi attesta forse, più di tutti gli scritti di Gemma, la superiorità regale del suo spi­rito:

1. - Prega Gesù di liberare il Volpi: «Il confesso­re ... Vorrei che tutti e due ci liberassi; ma no, libera il Confessore solo; a me non importa. - Gesù, perché permetti questo? per che cosa? Ma sì che ci ha ragio­ne, ma il Confessore no. È dunque un male se mi gui­da? È dunque un male se in questo modo mi guida? » Sembra quindi trattarsi di una minaccia di accuse ri­guardanti i rapporti fra la penitente e il Confessore. Quale fosse l'oggetto o il pretesto, la Santa non lo fa capire.

2. - Ma Gemma insiste nella preghiera generosa: «Gesù, te ne prego, non me ne parlar più; assistilo, assistilo, aiutalo e consolalo. Dagli tanto bene, Gesù: il doppio, Gesù, di tutto quel male (m'intendi, Gesù) che avrebbe voluto farmi. Non lo merita il Confesso­re. Vendicarmi, no, Gesù, col tuo aiuto ... Se tu queste cose tu le accrescessi, chi mi darebbe il coraggio? Tu, o Gesù; ma terminerà questa cosa, o andrà avan­ti? E che farò, e come farò?».

3. - Rinnova la promessa del perdono: «È vero fino ad ora mi hai aiutato sempre; credi, Gesù, che ... Tu sentissi oggi, Gesù, la forza che mi ci vuole. Vuoi che te lo dica, Gesù? Avrei voluto vendicarmi ora che era stato vicino; lo potrei ancora ora che va lontano. In quel momento di rabbia che ieri sera proferii al Confessore ... Non avrei voluto farlo, ma in Confessio-

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ne non ne parla a nessuno ». Quel « ... va lontano », for­se allude alla partenza di P. Gaetano per Roma o per qualche altra destinazione?

4. - Promette la sua preghiera: « Ogni giorno, Ge­sù vuole [il Confessore] che lo raccomandi; sì, te lo rac­comando: pensaci. Guidalo, Gesù, guidalo te, e se cre­di bene, Gesù fàllo, fàllo (non per me, ma per il Confes­sore), fallo tacere se credi bene. Non li merita il Confessore questi dispiaceri; io sì, e per farti conosce­re che gli voglio bene, domattina faccio la Comunione per lui. Lui forse penserà a farci del male, e noi inve­ce, no, gli vogliamo tanto bene, tanto bene» (p. 43). La mitezza di Gemma fu quindi una conquista eroica: quel ... « Lui forse penserà a farci del male e noi invece, no, gli vogliamo tanto bene, tanto bene », è un'eco del « Pa­dre, pèrdona loro» del Crocifisso: un balzo di vittoria dell'anima fiera e dolente, ma sempre misericordiosa.

Nulla di meno rispondente alla verità di Gemma che l'immagine oleografica della buona ragazza, sem­pre mite e soggetta in tutto e a tutti ed in primis ai di­rettori della sua coscienza. Spieghiamoci: Gemma ob­bedì sempre e a tutti coloro ai quali doveva obbedire, ma con un contegno schietto che sapeva al momento opportuno inalberarsi per richiamarli e persino rim­proverarli. Così i miti diventano all'occasione anche i più fieri e coraggiosi: in questo Gemma sta agli anti­podi di un certo tipo di femminilità romantica celebrata nell'Ottocento. Ci limitiamo per intanto ad osservazio­ni di natura stilistica.

1. - Le sue lettere di solito mancano quasi comple­tamente di qualsiasi prologo. Anche nella letto 1 a a P. Germano Gemma entra subito in medias res ed il bre­ve prologo è di una concretezza stringata e vibrante; prima gli parla della situazione intricata col Confesso­re che spiega attribuendola alla stranezza dei suoi fe­nomeni. Solo in secondo luogo gli racconta la visione nella quale Gesù le mostrò lo stesso P. Germano in pre-

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ghiera: ciò CliC, (lella logica del nuovo rapporto, dove­va forse venire in primo posto, come fondamento del rapporto stesso. Abbiamo pertanto tre momenti:

a) L'antefatto - «Sono già parecchi giorni che ero nel­l'incertezza se dovevo o no scrivergli(1); più volte la signora Cecilia mi aveva di Lei parlatoe) ed io già da gran tempo mi sentivo nel cuore prima di tutto un gran desiderio di vederlo e [poi] anche di scrivergli; domandai il permesso al Confessore, se potevo, ma sempre mi diceva di no. Sabato passato poi glielo richiesi di nuovo e mi disse di sì, e ne fui contenta». Osserviamo subito la schiettezza dei sen­timenti in quel « .. , desiderio di vederlo » e nella « con­tentezza» di poterlo finalmente realizzare.

b) L'argomento: «Ma eccomi al punto di scrivere, che mi sento presa quasi da timore e sa il perché? Devo scrivergli certe cose tanto curiose, che certo lei stes­so si meraviglierà. Glielo dico francamente: la mia testa è un po' mattuccia, e ora s'immagina di vede­re e sentire cose impossibili; dico impossibili, per­ché Gesù non ha mai parlato, né si è fatto mai vede­re da certe anime, quale è la mia tanto cattiva» '(p. 1 s. - corsivo nostro). Gemma quindi non ha chiesto una presentazione di Mons. Volpi, ma ha voluto farlo da sè dando alla sua situazione un'indicazione so­stanziale ma di completo distacco e con uno stile fresco e divertente.

Ancor più secco è il prologo della lett. 1 a a Mons. Volpi del maggio-giugno 1899: «Quanto tempo è che ho bisogno di confessarmi. Lo cerco, ma mi dicono che non c'è. Stia a sentire» (p. 309)(3). Dire che queste let-

(1) Anche la Lett. 126 a agli inizi del 1903: «Erano tanti giorni che vo­levo scrivergli; ma non lo facevo perché scrivendogli, certo gli avrei fatto tornare alla mente tutti i mancamenti e cattiverie commesse". » (p. 295).

(2) Passando per Lucca, i Passionisti spesso alloggiavano in casa Gian­nini: di qui la conoscenza che Cecilia aveva potuto fare di P. Germano.

(3) Quest'infantile e incantevole: {{ stia a sentire », ricorre spesso (Cfr: Lett. 30 a , 36 a , 50 a , 51 a, 53 a , 54 a , 59 a ".). Anche con P. Germano (Lett. 12 a ,

14 a , 39 a - «Stia attento, veh! » - letto 48 a , 79 a , 96 a ".).

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tere siano lo «specchio» dell'anima di Gemma è pure un'espressione convenzionale che dice poco, special­mente quando si tratta di quelle indirizzate a P. Ger­mano, al suo «caro babbo». Ma anche quelle indiriz­zate a Monsignore non lo sono da meno ed in qualche momento perfino le superano per l'incisività ossia per il piglio di fierezza e fermezza, illuminato - ecco il prodigio! - da una costante e sincera umiltà e ob­bedienza anche nell'amarezza, nel disaccordo e perfi­no nell'impeto di un'insorgente protesta e ribellione che l'anima dolente non riesce a trattenere, ma che subito vuoI riparare col pianto e con la sofferenza.

E già nella letto 2 a a P. Germano dichiara, ex abrupto come al solito: «Tutto quello che scrivo, lo scrivo, solo per obbedienza, ma con la più gran fati­ca» (p. 9). E, in conflitto col Confessore, comincia la letto 3 a: «Questa volta gli scrivo proprio perché non ne posso più. Se sapesse» (p. 12)! Un po' più avanti quando il solenne «Molto Reverendo Padre» delle prime lettere è diventato: «Babbo mio, accanto a Ge­sù nel mio povero cuore», sbotta subito: «Sono stata ora che è poco a confessarmi e stia attento che cosa mi ha detto Monsignore» (Lett. 15 a)( 4). E di lì a po­co, tutta angosciata: «Babbo mio, babbo mio! Che tempo buio! Non ci vedrebbe neppure Lei, se fosse con me. Gesù ogni mattina lo ricevo, ma non lo sen­to ... Ma il mio Gesù, babbo mio, dov'è? Povero Gesù! ovvero povera io! » (sic! - Lett. 16 a , p. 44). E la confi­denza zampilla fresca e ingenua: «Babbo mio, babbo mio! Mi perdoni, l'Angelo mi secca (sic.0 e dice: 'Scri­vi subito al babbo tuo!' E ancora non posso disubbi­dire a Lui. Non s'inquieti: quanto ho paura! Il confes­sore non può ascoltarmi» (Lett. 19 a , p. 54). La mirabi-

(4) Prima le nega e poi le permette di fare i voti privati.

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le letto 26 a comincia invece quasi con un grido di vit­toria: « Babbo mio! Non più povera Gemma, ma evvi­va Gemma! Va bene così, babbo mio?» (p. 76). E pas­sa a raccontare qualcosa dell'enigma della sua anima la quale gode della comunicazione celestiale: « lo gio­vedì sentìi Gesù; Lei lo sentì? Aveva una voce così fina che appena si sentiva »(5).

Ma di lì a poco si sprofonda nella sua indegnità: « Il mio cuore sembra divenuto di ghiaccio; non si scuote, è sempre freddo. E ci può essere una cosa più grossa di questa che dopo tante visitine che mi ha fatto Gesù, non abbia ancora imparato ad amarlo? Ogni mattina che faccio la Comunione, sembra che il mio cuore sempre più s'induri» (p. 77).

Ogni inizio di lettera ha una sua sorpresa di spontaneità. Comunicando a P. Germano la parteci­pazione al supplizio della flagellazione: « Sentiamo che cosa ci avrà di nuovo questa volta la testa matta di Gemma, dirà il babbo mio nell'aprire questa lette­ra» (Lett. 44 a , p. 123). Il prologo più gustoso è quello del « babbo cattivo» della lett. 60 a : « Non so capire in che maniera è diventato così cattivo: non scrive più ... se non scrive Lei, scriveremo noi, è contento?» (p. 159). Questa del « babbo cattivo! » è un'invenzione del suo affetto filiale: « Babbo mio, babbo cattivo, perché mi lascia qua sola?» (Lett. 26 a , p. 79). L'affet­tuoso lamento è perché P. Germano non le scrive più direttamente, ma lo spirito di Gemma, come già si è detto, resta intrepido: « Babbo cattivo, o se mi scri­vesse una righetta anche a me, che sarebbe mai? Ma poi non m'importa niente, perché so bene le cose da

(5) Anche nella letto 35 a : «Ho fatto la Comunione ora che è poco. Gesù dopo 18 giorni ha rimesso fuori la sua vocina più fina ancora» (p. 101).

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Gesù» (Lett. 64 a , p. 170: corsivo nostro). Deliziosa e ... paradisiaca è a questo proposito la letto 28 a del 15 novembre 1900 che descrive «l'alterco» circa la lette­ra creduta smarrita ma che Gemma vide nelle mani di Gesù: «Quella lettera ... non è perduta: l'ha nelle mani Gesù; l'ho vista stasera, è strinta ». Ed ecco il piccolo dramma: «O perchè Gesù l'hai tu? Sono due giorni ch'è andata perduta. E Gesù ha risposto: «Ma che hai scritto, figlia mia?» lo arrabbiata [sicn ho ri­sposto che il babbo è cattivo, e glielo ho anche scrit­tO(6). E qui Gesù ed io ci siamo un po' inquietati. «No - diceva Gesù - il babbo tuo non è cattivo ». lo dicevo sempre di sì però. «E perché?» mi doman­dava. «Perché ... qui... sola ... babbo cattivo?» E Gesù mi gridava, ma non s'inquietava: «No, il babbo tuo è buono» e io: «No, no, no ». Ed ecco ora la conclusio­ne del dramma: «Avesse veduto, babbo mio! ma per stasera non ci è stato caso di levare dalle mani di Gesù quella lettera. Ma domattina gliela strappo, quando la prendo. E sa tutto perché? Perché dico cat­tivo a Lei: «Ma perché - mi diceva Gesù - il babbo tuo è cattivo?» - «Perché mi lascia qua sola e non mi capisce mai quando gli scrivo. Lui crede ch'io sia contenta. Contenta sono, ma felice no »(7). E Gesù anche Lui, abbracciandomi strinta ha detto forte: «Il babbo tuo è cattivo; sì, cattivo, cattivo »; ma lo diceva per scherzo ». E con uno scherzo filiale la lettera si chiude: «lo allora ero contenta, perché so che se mi lascia qua, è cattivo ». E il «cattivo» ritorna nelle due brevi postille (p. 81 s.).

(6) Cfr., Lett. 26", che abbiamo appena citata. (1) È il testo che già conosciamo. Espressione degna della pr~fon.

dità dell'anima di Gemma che, come tutti i grandi aello spirito, ha VISSU­

to 'sola' il suo ideale.

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E quasi nello stesso tempo, il 24 ottobre 1900, nella postilla alla lettera 5 a alla Serafina di Roma, spiega ancora la ragione del suo malcontento cioè la lontananza ed il mancato ingresso in Convento: «Quanto buio, è vero? sopra di me! Ma il babbo mio stia attento. Il babbo mio cattivo perché mi tiene così lontana? Dica al babbo mio che stia attento a ciò che Gesù gli dirà. Lo faccia» (p. 449). Questo è lo stile del «voglio» cateriniano!

L'affetto di Gemma per il buon religioso era pro­prio quello della figlia più docile e amorosa che tro­vava una rispondenza angelica nel dotto quanto pio sacerdote, profondamente convinto della santità di Gemma ma anche tremendamente preso dalla sua re­sponsabilità. Non è possibile trattare a fondo questo rapporto ch'è forse fra i più limpidi, luminosi e inge­nui, nella storia della spiritualità cristiana. Anche perché Gemma poi non è mica quella « bambina» che vive nelle nuvole: essa sa all'occasione, richiamare con energia anche la sua guida. Gli rimprovera la fa­ciloneria: «Lei poi non mi capì, crede forse che mi lamenti, perché devo vivere di carità degli altri? No, no, di questo non mi lamento: o non è forse la cos.a che mi rende somigliante a Gesù?» (Lett. 33 a , p. 95). E nella conclusione alla breve letto 34 a : « ... m'intende che voglio dire?» (p. 101). Ed ancora nella seguente lett. 35 a, dopo avergli parlato dell' Angelo della M. Giuseppa Armellini: «Ha ben capito?» (p. 103).

Pauroso un po' P. Germano doveva essere, se era tutto «sossopra» per le cose che si tramano(8) di

(8) E verso la fine: {( Ha capito dunque del cuore? Allora vado al resto» (p. 97). E racconta il sollevamento della costole. La espressione più forte, dove trapela un sottile dolore ed un vivo rammarico, è la rispo­sta a Gesù proprio nell'angelico dialogo sul {( babbo cattivo» della letto 28" ora citata: {( Ma perché - mi diceva Gesù - il babbo tuo è cattivo?» - «Perché mi lascia qua sola, e non capisce mai nulla quando gli scrivo ». (p. 81 - corsivo nostro).

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lui in Vaticano: «Stia contento, babbo mio, e stia at­tento piuttosto a Gesù, ovvero al suo buon Angelo» (Lett. 93 a , p. 232). E più esplicitamente nella seguen­te lett. 94 a : «Si quieti per le cose sue; vedrà non sarà nulla; pensi ad altro piuttosto ». E nella breve postil­la, con sicurezza: «L'Angelo mio, quasi fedele inter­prete dei voleri di Gesù, gli dirà tutto consegnandole la lettera» (p. 233). Venuta la nomina a «consultore delle SS. Indulgenze e Reliquie », la Gemma sa espri­mere la gioia con ironia quanto fine altrettanto spiri­tuale: «Ma è stato poco; io mi aspettavo di più. Per esempio Cardinale, ma quest'altra volta, è vero? No no, babbo mio; stia contento, a Gesù glielo dirò io ... ora basta; perché povero babbo mio impaurirlo così? E ora come lo devo chiamare? sempre babbo, oppure Monsignore, Eccellenza, ecc.? lo dirò sempre babbo è vero? [ ... ] Ma babbo benedetto, non ne prenda più degli appunti(9): è troppo impiccio» (Lett. 95 a , p. 234). E nell'impeto dell'amor filiale, non sa misurare le frasi. Se il Provinciale gli dà il permesso di recarsi a Lucca « ... non faccia storie; parta subito senza pen­sare a ciò che ci avrà da fare; o se, per esempio, do­vesse fare una cosa contraria a Lei, e se Gesù lo vo­lesse, la farebbe, è vero? Senza tanto inquietarsi ». (Lett. 70 a , p. 186 s.).

Ma le acque non sembrano tornare calme e Gem­ma riprende la penna che questa volta non conosce complimenti e vuole sbaragliare il campo: «Povero babbo mio, come soffre! È vero? Ha paura di essere compromesso o Lei o il Provinciale. Ma non tema di nulla; o perché tanta paura, mentre che Gesù se ne sta quieto, e se gli parlo di queste cose, ride e ci

(9) Nel senso di «incarichi », come spiegano gli editori.

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scherza? A Gesù gli dispiacciono, sa, quei momenti rabbiosetti (IO) che gli prendono o di non voler scri­vere, ovvero di non occuparsi più di nulla, ma sia buono; dei dispiaceri ne avrà ancora degli altri, ma avrà pazienza; quando poi saremo al termine di tutto, vedrà con che gioia ringrazierà Gesù» (Lett. 76 a, p. 199). E ad un anno appena prima della morte, ancora spasimante per entrare in convento anche se ormai rassegnata, chiede una parola sicura: «Scriva presto. Ma quando scrive - l'ammonisce - preghi prima il nostro Gesù; non scriva a caso come fa spesso (l l ). Anche in una lettera del novembre 190 l: « Scriva, tan­to, no infuriato come è solito» (Lett. 91 a, p. 228). E alcuni giorni prima, non senza una punta d'ironia: «scriva presto, babbo mio. Non parta da Roma; un po' di coraggio, babbo benedetto, si faccia: è sempre confuso?» (Lett. 89 a , p. 226).

Finiamo col rabbuffo per il ritratto a olio fatto fare dal P. Germano: «Caro babbo, sono inquietata forte forte con Lei. Che cosa è mai la smania che ha di far fare ritratti? Si ricordi bene: lo tengano pure nascosto, ma se lo trovo quello che ha mandato qu<;t, ci penso io»(l2). Poi l'avverte del precipitare della sua salute e lo supplica per l'ultima volta di metterla in convento: «O babbo mio, i miei polmoni vanno

(IO) Corsivo nostro. (II) Corsivo nostro. E la Santa aggiunge fra parentesi: «Mi perdoni

quest'ultima parola, è tanto che gliela volevo dire» (Lett. 108 a , p. 254). (12) Gemma effettivamente riuscì a carpire il ritratto e a nascon­

derlo: le peripezie sono raccontate con intelligente umorismo nella se­guente Lettera 125 a del 24 dicembre 1902 (p. 293 s.). Nel testo riportato in nota dagli editori, il P. Germano presenta la faccenda del quadro come un segno di riconoscenza di Gemma verso i Giannini e la rimprovera: «Certo meriteresti ben altro, non avendo mai corrisposto a tanta loro carità. Ma avendo essi il cuore sÌ buono, dovresti commuovertene. Invece ti arrabbi. Povera stupide Ila e superbuccia inconcludente! » (p. 292 nota 5). Non era un po' troppo e verso una povera ammalata grave che vedeva fallire per sempre la sua più ardente aspirazione?

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sempre più a rifinire. Babbo mio, non mi faccia mori­re così per il mondo; mi contenti; mi faccia morire in convento» (Lett. 124 a , p. 292).

L'ultimo ... rimprovero di Gemma al buon padre è nella letto 126 a del gennaio 1903, dopo che ... quella paurosa figura ... è tornata al suo posto e l'anima sembra amareggiata: «Quell'ultimo dispiacere che recai a Gesù e poi a Lei, se Gesù me lo ha perdonato, e Lei ancora no: perché non sente che gli faccio mille promesse?» (p. 295).

Il virtuoso direttore sapeva bene da chi venivano questi rimproveri e non mancò di tenersi al livello della privilegiata creatura, anche se le circostanze -per cause che ancora non conosciamo completamen­te - hanno deluso tutti i progetti e le speranze della «povera Gemma».

Il nocciolo del problema, sul piano esistenziale, non è (non sembra almeno) tanto e soltanto il rappor­to fra P. Germano e Mons. Volpi, cioè fra due caratte­ri quasi agli antipodi, anche se ambedue piissimi ed esperti direttori di anime. Il grosso problema rimase il rapporto fra Gemma e il suo Confessore e, questo, rispetto ad ambedue i problemi fondamentali: a) la vocazione religiosa di Gemma, b) i suoi fenomeni straordinari. Quanto al primo, il Volpi si mostrò sempre più che disposto e si adoperò con impegno e non credo si debba incolparlo se Gemma rimase nel mondo. Quanto al secondo problema, la posizione di Mons. Volpi ci può sorprendere, ma è da pensare che sia stata permessa da Dio per portare l'umile fanciul­la a sicura santità. Dev'essere fuori di discussione la rettitudine e la buona fede del Volpi, com'è fuori di­scussione la docilità e la obbedienza verso di lui del­l'eccezionale penitente. È vero che a Padre Germano

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raccomanda di pregare anche per Monsignore il qua­le « ... poi ne ha assai bisogno. Senta: non so che sia, ma mi pare che sia tanto dubbioso sopra di me» (Lett. 38 a, p. 109). E lo scrive direttamente all'interes­sato, dovendogli comunicare un messaggio di Gesù: «Ma, Gesù mio, ho voglia di dire: il Confessore non mi crede, perché ha paura che tu non sia Gesù davve­ro, che tu sia invece il diavolo ». E di lì a poco: «Gesù mi fece conoscere che Lei non crede niente a tutto quello che io nelle confessioni gli dico: «Ti dispiace? disse Gesù. «O no, - dissi - Gesù sono cose che le hai permesse tu; tu l'hai fatte e tu pensaci» (Lett. 17 a , p. 334 s.). E l'obbedienza di Gemma al confesso­re è stata senza incrinature e l'espressione dell'affet­to sempre riconoscente.

La pena della poverina è grande: bisogna ricono­scerlo. La pena traspare ovunque: «lo gli ho scritto per obbedire; se poi Lei non mi crede, io sono conten­ta lo stesso ». E aggiunge timida, e dolente: «Avrei tante cose da dirgli, ma siccome Lei non mi ha do­mandato più nulla, avevo paura - [si badi bene!] di far male a dirglielo! Mi benedica e preghi per la po­vera Gemma! » (Lett. 9 a , p. 321). Sicura e ferma nella letto 20 a : «Domani non esca da Lucca, ché dovrà fati­car molto per me. È Gesù, ma Lei non ci crede» (p. 340). Ma la fanciulla non si perde d'animo e sa tener testa all'incerto prelato, disapprovando apertamente la sua condotta nell'esigere la verifica medica dei suoi fenomeni: il fatto è troppo importante per poter capire Gemma e il timbro della sua anima, e soprat­tutto per avvertire il mistero del suo martirio che at­tinge qui il primo suo vertice. Tramite la signora Ce­cilia, Gemma aveva avvisato il confessore che quell'i­spezione medica da lui preparata non piaceva a Dio:

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«Monsignore, se vuole \enire, venga solo, altrimenti Gesù non è contento e non farà veder niente. lo sono contenta però in tutti i modi, che venga solo o accom­pagnato» (Summ. § 23, p. 707)(13). Monsignore seguì il suo impulso e venne col dottor Pfanner mentre Gemma era in estasi col fenomeno delle stimmate: però, com'è noto, l'esito della verifica fu nullo come Gemma stessa aveva predetto. Gemma fu presa per isterica, non solo dal Dott. Pfanner, ma anche dallo stesso Monsignore e dal suo cerchio a cominciare dalla stessa signora Cecilia. Dopo l'umiliazione, la Santa, (che stando in estasi non si era accorta della visita-verifica del pfanner) è premiata da Gesù con una nuova estasi di cui informa il Confessore facen­do con fermezza il punto sulla situazione: «Se fosse stato solo, Gesù l'avrebbe ben persuaso ». - «Gesù al­lora(I4) - informa la santa - mi ha detto che insie­me a Lei vi era un'altra persona; ma Gesù mi ha det­to che quella persona non ha veduto niente( 5 ); mi

(13) Anche nell' Autobiografia a P. Germano: «Dì al Confessore che in presenza del medico non farò nulla di tutto ciò che desidera» - Per ordine di Gesù - attesta la santa - avvisai il Confessore, ma esso fece a modo suo e le cose andarono come Gesù le aveva descritte [cioè il medi­co non vide un bel nulla] (p. 267).

(14) La lettera porta la data dell'8 settembre 1899. (15) Un caso analogo, ma in circostanze diverse, si è verificato il 18

aprile 1920 nella visita di P. Gemelli, con la Serva di Dio Armida Barelli, al P. Pio da Pietrelcina a S. Giovanni Rotondo. La Barelli chiede al P. Pio se l'Università Cattolica fiorirà; ne ha risposta affermativa, e una immaginetta con autografo. Nonostante le insistenze della Serva di Dio, P. Gemelli non potè osservare le piaghe del Padre, causa un divieto delle autorità superiori. Più tardi un suo [di P. Gemelli] scritto dà la stura a vivissime discussioni» (Padre Pio da Pietrelcina, Testimonianze, a cura del P. Vincenzo da Casacalenda, S. Giovanni Rotondo 1969, p. 18).

P. Gemelli, ch'era medico, nutriva come il Dr. Pfanner poca fiducia e molta diffidenza per i fenomeni mistici. Pio XI. molto benevolo con il fondatore della Cattolica che ascoltava spesso e volentieri, mostrò lun­ghe perplessità nella Causa di Gemma a causa dei fenomeni straordinari. Non soddisfatto di quanto aveva letto nella ponenza della postulazione, il Papa incaricò personalmente il P. Marco Sale s, O.P., maestro del S.

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ha detto anche ch'era un medico e Gesù non voleva ». Gemma sta quindi sulle sue e disapprova, con Gesù, l'operato del confessore. Fierezza e rassegnazione; tensione di opposti anche in quest'episodio capitale nella vita spirituale della Santa, la quale fa la dichia­razione sul dramma ch' è anch' essa un dramma: « Ge­sù oggi ha voluto ch'io facessi questo sacrificio, e l'ho fatto volentieri. Sia pure - ecco la fierezza eroi­ca - come ha detto quel medico, ch'è isterismo: ap­punto perché è così, Gesù mi vuole più bene. Però mi ha detto che in confronto a quello che devo passa­re, questo è nulla» (Lett. sa, p. 314 s.). Di fatto l'erro­re degli uomini giovò allo spirito di Gemma: « Babbo mio, da quel giorno cominciò una nuova vita per me. [ ... ] Ecco la prima e la più bella umiliazione che il mio caro Gesù mi dette; nondimeno la mia gran su­perbia e il mio amor proprio si risentirono ... » - E Ge­sù, la rimprovera che nei suoi guai essa ricorre a tut­ti meno che a Lui: « Quest'ultimo rimprovero mi ba­stò, e mi servì per distaccarmi affatto da ogni

Palazzo e il benedettino Ildefonso Schuster abate di S. Paolo fuori le Mu· ra (poi arcivescovo di Milano ed ora anch'egli Servo di Dio) di esaminare e riferire sui fenomeni straordinari della vergine lucchese: i due Voti, avuti per cortesia speciale di Mons. P. A. Frutaz, vengono riprodotti in appendice. Letti i due voti, ambedue positivi, Pio XI rimase molto imo pressionato dalle considerazioni dell'abate Schuster, ma non diede anco­ra il via alle conclusioni della Causa. Sono questi certamente i «due teo­logi" ai quali allude Mons. Natucci (allora promotore della fede) nella prefazione (in data 8 giugno 1957) alla biografia di P. Zoffoli: « Ma ciò nonostante Pio XI esitava ancora, quando a me ... balenò l'idea di sugge­rirgli di studiare personalmente la figura della Galgani. Il consiglio fu accolto assai volentieri e, dopo alcune settimane, la sera del 15 luglio 1931, entrato nel suo studio per la solita udienza, ebbi la felice sorpresa di sentirlo esclamare in tono autorevole e quasi enfatico: «Monsignore per la Galgani, avanti" (p. VIII). Il voto Schuster, denso di teologia misti­ca e di riferimenti ad esperienze mistiche specialmente nell'ordine bene­dettino, ha stretta somiglianza con la Positio super revisione scriptorum di S. Gemma da parte del P. Luigi Besi (Roma 1917).

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creatura per tutta rivolgermi verso il Creatore »(16). Turbamento, smarrimento, sofferenza soprattutto: mentre Gesù la favoriva della conformità alla sua Passione, permetteva l'incomprensione che rasentava la derisione da parte degli stessi ben pensanti, a co­minciare dal pio confessore che si ricredette, come si è visto, solo alla fine della vita. Lo scopo della pro­va è spiegato poi dalla stessa Gemma, nella lettera ora citata allo stesso Volpi: «Non ti ricordi, figlia mia, che tempo addietro ti dissi che veniva un giorno nel quale nessuno più ti crederà? Ebbene quel giorno è appunto oggi. Oh, ma quanto mi sei più accetta così disprezzata, che prima, quando tutti ti credevano santa» (p. 314).

Le due lettere seguenti, del 12 e 13 settembre (con la designazione di P. Germano a direttore spiri­tuale), riflettono il segreto incendio dello spirito di Gemma, ch'era stritolato nella sua stessa dignità di donna e di cristiana: Cristo stesso riprende in mano l'affare e mette le cose a posto come vedremo più avanti. Qui cerchiamo soltanto i tratti del carattere di Gemma ch'è la volontà di chiarezza: Monsignore ha tutta l'opportunità di vedere le stimmate, ma fis­sato nella diagnosi del medico, non si convince e le proibisce «le cose straordinarie del Giovedì e Vener­dÌ». «Gesù - come si legge nell'Autobiografia - per un poco obbedì, ma dopo ritornai al solito e più anco­ra di prima ». Comunque Gemma vuole «cose chiare»

(16) Autobiografia, p. 267 s. - A commento di questo dramma si de­vono leggere le mirabili Estasi 3" e 4", che portano la stessa data delle due lettere al confessore che citeremo fra poco. L'estasi 3" inizia niente­meno che con un: «Hai vinto, Gesù, hai vinto tu. Hai fatto bene, hai fatto bene ... » (p. 5). E finisce, rassegnata e affettuosa: «Ma se pensano male di me, non è nulla: ma di te ... Pensa a te, Gesù, a tutti; di me non mi importa niente, ma di te. Che brama di patire, Gesù! Mi basta di essere tutta tua» (p. 7 s.).

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e mette un aut-Qut allo stesso Gesù: «Ho detto a Gesù che se è lui veramente, faccia vedere tutto(I7); se poi è il diavolo, me lo levi, ché non lo voglio; se fosse la mia testa, non lo sopporterei più e la spaccherei tutta» (Lett. 7 a , p. 318).

Il colmo di questa situazione, che dice tutta la finezza e delicatezza dell'anima di Gemma, è l'incre­dibile richiesta che conclude la citata estasi 3 a :

«Consola Monsignore, Gesù: non ha fatto nulla di male per accertarsi del dottore ... Gesù, ti ringrazio. Ha fatto bene, pensino come vogliono, ma assicurami che sei te ». Le ultime parole: «Non mi crede nessuno. Che devo dire a Monsignore? Farò come l'altra vol­ta» (p. 8 - corsivo nostro) - dicono all'evidenza la gra­vità del dramma. Un dramma che rimase insoluto per la stessa Gemma fino alla fine, almeno sul piano fenomenologico, come si vedrà. Sintomatica è la bre­ve lettera 39 a al Confessore dell'agosto 1900, perciò quasi ad un anno di distanza dall'avvenimento, la quale inizia con un tono perentorio: «Ieri sera Gesù mi disse che dicessi a lei, che venga P. Germano ». Segue una dichiarazione che ripropone - lo stile è di un controllo assoluto, quanto la realtà si mostra allucinante quasi di una panoramica dell'orrido -l'intero dramma: «Poi ieri sera Gesù mi fece conosce­re tante persone che avevano pensato male; una pen­sò fino che fossi sonnambula; altri credono che sia ammalata; altri che i segni nelle mani e nei piedi, sia io che mi sgraffio! Gesù mi ha detto che sono tutte cose che le permette lui; permetterà anche di peggio, ma però mi ha assicurato che per mezzo di P. Germa­no persuaderà bene il Confessore. Le altre persone

(17) Al confessore e « a chi lui volesse ", come si legge all'inizio del­la lettera.

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vuole che restino così» (p. 366). Perentoria è anche la dichiarazione finale della letto 55 a , forse la più sconcertante come vedremo ancora: « Monsignore, ha detto Gesù che riguardi bene questo scritto, e più non aspetti a rinchiudermi. Gesù vuole che Lei ri­manga nella sua incertezza, però mi ha detto: che Lui non opera miracoli per contentare i curiosi. Si ricordi però, così dice Gesù, che chi conosce la Croce, la pre­gia; chi non la conosce, la fugge» (p. 385).

Qui Gemma - e lo farà anche con P. Germano - sale in cattedra e diventa la maestra del suo mae­stro. Anche questa volta però gli eventi le preparano altre delusioni: è vero che P. Germano farà di tutto per convincere il Volpi, ma senz'effetto alcuno, come già si è detto, e così - se possiamo ripetere - il falli­mento della povera Gemma continua. E ritorna l'in­terrogazione ch'Ella si poneva già nella 3 a lettera a P. Germano, a proposito della vocazione passioni sta: « Possibile che Gesù non voglia mantenere le sue pa­role? Ma dunque non mi vorrà Passionista? Sarò for­se stata ingannata dal nemico? E se ciò fosse?» (p. 13). Ognuno afferra la pena e l'angoscia di tali do­mande. Certamente Gesù continuò a illuminare i pas­si della predestinata creatura, colmandola di favori imprevisti e imprevedibili ma conducendola anche per vie impreviste e imprevedibili fino in fondo.

Eppure - ed è questo il miracolo ... esistenziale - nessun risentimento in Gemma verso il confesso­re. Il suo giudizio tuttavia è sempre limpido e ta­gliente. Sul fallimento che si profila della sua voca­zione religiosa, non esita a dichiarare di chi sono le responsabili tà, come nella lett. 20 a a P. Germano con quel suo stile vibrato ed incantevole che conosciamo: « Eppure Gesù a Lei deve dirgli tante cose su questo

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punto! Perché non obbedisce? Non si opponga alla volontà di Gesù, come ha fatto Monsignore fino a ora; non lo dico mica io, sa? tante volte me lo ha det­to Gesù, mi è parso. Mi perdoni tutti questi discorsi, e se lo fanno inquietare, non li legga. L'Angelo mi co­manda così; che devo fare?» (p. 57). Dopo la visita del Farnocchia, segretario e uomo di fiducia del Vol­pi, Gemma è indignata e lo dice la letto 50 a a P. Ger­mano, tutta pervasa di fremiti per il comportamento del Farnocchia, di cui svela il poco e punto equilibrio mentale e la pacchiana fatuità. Ma Gemma non teme di colpire direttamente anche il confessore nella sua responsabilità: « ... Se sapesse! quel Monsignore - il « quel» suona finissima ironia e sarebbe disprezzo se non fosse Gemma Galgani ascriverlo - aveva detto di venire a vedere la mamma(I8) ... e invece ci man­dò il suo segretario; (il quale) non passò poi a vedere la mamma, (credo) venne in camera mia, ecc.» Ora il rimbrotto: «O babbo mio, quanto soffrii!! (p. 135). Per di più il loquace segretario con le sue chiacchiere convinse poi anche quelli di casa a cominciare da Ce­cilia. Una situazione forse che farà sorridere qualcu­no, ma che svela, anche sotto il semplice sguardo di ottica esistenziale, un'autentica tragedia: Gemma è di nuovo sola.

Eppure la forte fanciulla non lascia passare oc­casione di presentare il Volpi al P. Germano nella lu­ce migliore: «Mi raccomando, babbo benedetto, non la prenda con Monsignore: esso è buono e fa tutto per il mio maggior bene; fa di tutto per salvarmi l'a­nima» (Lett. 76 a , p. 199). E nella lettera seguente: «Monsignore è tornato, ieri sera mi confessai, lo tro-

(18) La signora Giustina Giannini gravemente ammalata.

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vai così buono, che proprio non sapevo che pensare. Scusiamolo, povero Monsignore(I9), quando alle vol­te sembra inquieto e noiato di me; non è colpa sua, è Gesù che così permette. Eh, babbo, si andrà forse in peggio! Lasciando stare Monsignore, che da se stesso poi si riconoscerà ... Ma ieri sera dimostrava perfino un gran desiderio di lei: mi domandò se mi aveva scritto, risposi di no. E lui: e perché? «Non lo so - gli dissi - ma sono più di sei mesi che non ho saputo nulla ». «Tu nondimeno continua a scriver­gli» mi disse. E qui ci fermammo» (Lett. 77 a, p. 201). Due persone, P. Germano e il Volpi, altrettanto degne l'una dell'altra ma con diversi compiti verso il fiore che Dio aveva loro affidato. Nella Lett. 29 a gli rinno­va tutta la sua fiducia nel modo più categorico e lo tiene sulla stessa linea di P. Germano: «E poi quante cose mi ha dette stamani! E perché? Vorrebbe man­darmi a confessarmi dagli altri. Sia certo certo che Gesù non vuole: o Lei o p. G. [Germano]. Sarò buona, l'obbedirò sempre, e farò tutto quello che Lei vorrà; ma non mi mandi da nessuno: non sono io che non ci voglio andare, è proprio Gesù che non vuole. Se proprio proprio non mi volesse più, mi mandi da P. Germano: o Lei o Lui. Gli sarò sincera, sa» (p. 352). Ma il piccolo grande dramma resta, ed affiora anche nell'estasi 39 a : «E chi è, Gesù, dunque che mi cono­sce? ... Il Confessore non anche? O che aspetti? E co­me hai fatto, Gesù a farmi conoscere prima da P.

(19) Se il « quel" della Lett. soa era evidente ironia, qui il « povero" è certamente segno di affetto e scusa, ma è anche un'impennata di digni­tà e fierezza tutta propria dell'estatica lucchese. Ancora nella Lett. 79: « Sono 3 o 4 volte che trovo Monsignore sì buono, che non so a che pensa­re» (p. 207). Ma nella Lett. 82 a: « Ieri sera fui da Monsignore. O babbo, babbo, avesse sentito! non mi volle ascoltare, perché aveva furia» (p. 211). Però nella Lett. 83 a: « Monsignore con lei è buonissimo, non manca mai di ricordarlo, se non in bene» (p. 213).

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Germano che al Confessore?» (p. 61). Circa un anno dopo leggiamo la confessione ingenua e gaudiosa nel­la postilla alla letto 60 a al buon passioni sta: «Tempo indietro dissi a Monsignore che nel mese di Giugno doveva venir Lei, ed Esso mi rispose: «A che fare? O io non basto per convertirti?)} Ieri poi da sé mi ci en­trò; gli chiesi il permesso di potergli scrivere, e intan­to mi disse(2°): 'O P. Germano verrà poi nel Giu­gno?'. Risposi di sì. E Lui: 'Ci avrei piacere tornasse; così in quei giorni, io a te non ci penserei, e poi anche tu sei più contenta, è vero? Sa, babbo mio, risposi proprio di sì' » (p. 160). Una perla della schiettezza di quest'anima cristallina! - Ma mons. Volpi sembra vo­lersi prendere la rivincita. Date le continue pressioni della stessa Gemma e vedendo svanire altre possibili­tà, egli pensava di metterla fra le Cappuccine, ma Gemma non sembra convinta e chiede al Confessore di poter scrivere a P. Germano per informarlo: «Ed esso [il Volpi] mi rispose: «O figlia mia, se tu dai retta un altro po' a P. G., tu religiosa non ti farai più».

È Gemma che lo scrive a P. Germano (Lett. 107 a,

p. 254): non (conosciamo) la risposta di quest'ultimo. Il Volpi sembrava scaricasse tutta la faccenda sulle spalle del passionista lontano. La situazione fa perde­re le staffe all'interessata: «Gesù sento, scrive nella letto 30 a al direttore, che ha da dirmi qualche cosa che riguarda il nuovo convento, ma non mi dice nulla. Monsignore pure tutte le volte mi dice: 'Del convento hai da dirmi nulla? Gesù non te ne fa dell'imbasciate per P. G. [Germano] e per me? '. lo dico sempre no, per­ché non so nulla, e non sento nulla; solo al sentirne parlare mi fa stizza, che ... sono alle volte per risponde­re qualcuna di grosse» (p. 87). Tanta è la schiettezza dell' anima di Gemma!

(20) Com'è noto, questo" o» è l'inizo dell'interrogazione nel toscano familiare.

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2. Femminilità e mitezza di Gemma

Questo titoletto può sembrare frivolo e irrive­rente, ma la materia spero non sia tale. Potrebbe an­che sembrare un espediente pubblicitario, e questo non deve assolutamente essere. Gemma forse fra tut­ti i santi moderni, ed in particolare fra i mistici, si presenta la creatura più semplice e trasparente, indi­fesa ed esposta a tutti gli attacchi e i rischi della vita. Ed anche a suo modo può dare (e diede alle volte) l'impressione di essere scontrosa o scorbutica: è così che si guadagnò nel suo ambiente da bambina il tito­lo di «superba» e da grande quello di «stupidella» e non lo era affatto. Ed era «anche» bella, a sentire i contemporanei. Lo attestano le poche fotografie conservate (1 ), ma ne danno téstimonianza anche i contemporanei e questo può sorprendere dato il tipo di vita condotto da Gemma, schiva di tutto e di tutti e convinta - come si è detto - che Dio non doveva sporcarsi le mani con quella figura che essa chiama­va il «letamaio» del suo corpo. Il processo, benché non abbia presentato interrogazioni esplicite ... al ri­guardo, contiene dichiarazioni che non possono non far piacere: non si vede perché la bellezza fisica,

(l) È merito del P. Zoffoli di averle raccolte e riprodotte. Ne se­gnaliamo specialmente due a tutta pagina: quello con la piccola Elena Giannini a p. 672 ove la Santa è in atteggiamento di grande serenità e quella soprattutto di p. 464 che esprime una eccezionale elevazione e con­centrazione di spirito. Un volto di simile armonia e intensità è impossibi­le dimenticarlo.

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opera sempre di Dio, debba contrastare ma piuttosto accompagnarsi con lo splendore dell'anima. Ecco al­cune dichiarazioni nella loro semplicità. Prima fra tutte quella di Cecilia Giannini, la fortunata custode dell'angelica fanciulla negli ultimi tre anni di vita.

Dopo aver accennato alle proposte di matrimo­nio avute sia a Camaiore presso gli zii Lencioni come a Lucca, Cecilia aggiunge: «E poi non so altro perché Gemma era bella, era proprio bella nella faccia e spe­cialmente quando si raccoglieva nei momenti di fer­vore. Diverse volte, passandoci vicino dei soldati, tut­ti la guardavano ed io dicevo: 'Che hanno da guarda­re?' E lei rispose: 'mi ci levi me e non mi guardano più'. Ed io le diceva: 'Sei vestita così ridicola che sembri una stupidella, e forse ti guardano per quello' - e certo ritengo che Gemma la pensava così. lo non mi sono mai accorta che avesse avuto un atto di vani­tà »e). Anche il passionista P. Pietro Paolo: «Chi non l'avesse conosciuta, l'avrebbe presa per una stu­pida, ma in realtà non era tale; che anzi era molto intelligente e la natura era stata larga dei suoi do­ni »(3). Concorda con la Cecilia, in un contesto simi­le, l'amica Palmira Valentini: «So ch'era guardata non so se per i suoi capelli tagliati dopo una malattia ch'ebbe o per il suo vestito molto dimesso ovvero an­cora per i suoi begli occhi celesti dai quali traspariva tutta la bellezza della sua anima. Ma, comunque sia, Gemma non perdeva mai la serenità»(4). Fa eco Eu­femia Giannini che la poté spesso osservare e con­templare in estasi: « •.• Una volta mi trovavo sola con

(2) Summ. De vita, §§ 27·28, p. 62. (3) Summ. De heroica temperantia, § 82, p. 584. (4) Summ. De heroica prudentia, § 34, p. 465.

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lei: prevedendo VIcma l'estasi, mi si rivolse, perché andassi a chiamare la mia zia(S), intanto che ella si ritirava nella sua camera. lo invece dopo un poco le corsi appresso e la trovai seduta già in estasi. Il cuo­re gli batteva forte ed io glielo premeva. Fu in que­st'occasione, mi ricordo che in un punto dell'estasi, aprì gli occhi ed io glieli vidi così belli e risplendenti, come se ci avesse avuto un riflesso di sole, mentre­ché la finestra stessa era chiusa anzi la persiana ed il sole in camera non c'era»(6).

Ora qualche testimonianza di chi la vide sul letto di morte. Prima una donna, Isolina Serafini: «lo ho veduto il cadavere di Gemma che era adagiato sopra un lettuccio e lo vidi nel giorno di Pasqua(1) ... era­no le due pomeridiane circa e una domestica di casa Giannini (si sentiva) esclamare: 'Povero Angelo! Bel mi' Angelo!' - Il volto era bello, pareva la Madonna dei Dolori. lo non mi saziai mai di guardarla; io non pregai per Gemma, ma mi raccomandai a Gemma, di­cendo: Tu sei in Paradiso, prega per me »(8). Anche un uomo, Basilio Morelli ch' era operaio in casa Gian­nini: «lo la vidi pochi momenti prima che spirasse, era perfettamente in sé. lo rividi poi Gemma cadave­re; era bella come un angelo, calma, serena col suo sorriso abituale. E vennero molti a visitarla perché

(5) È Cecilia che doveva premerle forte la mano sul cuore durante l'estasi, perché le palpitava con eccessiva veemenza causandole un vivo dolore con violente emorragie dalla bocca.

(6) Summ. pro IX, De heroica prudentia, § 91 s., p. 486. - Un'im­pressione simile anche in Sr. Angela Ghiselli delle Barbantini che l'osser­vò in estasi quando Gemma, inseguita dal diavolo in forma di omaccione, si rifugiò nel loro convento: «Rimase immobile con gli occhi aperti. Co­me era bella! e parlava, ma non si capivano distinte le parole» (Summ. § 14; p. 699).

e) Gemma era morta il sabato Santo 11 aprile 1903 circa il tocco e mezzo: quindi erano passate 24 ore.

(8) Summ., pro XVIII, De pretioso obitu, § 26, p. 814.

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le avevano preso venerazione, e questi erano d'ogni condizione »(9). Terminiamo con il parere di una ... competente cioè di una modista, come ci riferisce la zia Elisa: « Voleva [Gemma] un cappello dalle tese lar­ghe e spioventi sul volto. Avendo osservato la modi­sta che non era più tanto di moda e che non conveni­va a lei essendo una ragazzina cosÌ, cosÌ: volendo dire bella. Gemma rispose; me lo faccia pure cosÌ, perché lo desidero cOSÌ» (l0).

Parlare perciò di «femminilità» in Gemma po­trebbe sembrare, se non irriverente, almeno impro­prio: Gemma, soprattutto nella fase ultima della vita, vive in un altro mondo. Perciò forse è più esatto par­lare di «umanità »: anche se questo termine può sem­brare troppo vago e scialbo, intendiamo con esso si­gnificare la spontaneità, la franchezza, la delicatezza, la tenerezza, soprattutto l'intuizione profonda della mente e del sentimento che la vergine lucchese ebbe e mostrò in grado sommo come donna e non soltanto come santa. Di tale franchezza e profondità abbiamo riportato in questo studio alcuni documenti.

La tenerezza di Gemma è certamente tutta spiri­tuale, purissima, perché il suo spazio esistenziale è solo di personaggi celestiali: ma è pur fatto con effu­sione di baci, abbracci, dichiarazioni di amore arden­te. Gemma che non voleva farsi toccare, guardare, baciare ... da nessuno, neppure dal babbo amatissi­mo(1I), sfolgora nel mondo dello spirito con le di­mostrazioni più ardenti. Scrivendo all'austero e com­passato Mons. Volpi, la santa quasi senz'accorgersi

(9) Summ. § 23, p. 813. (IO) Summ., De heroica temperantia, § 17, p. 559. (II) Anche nei rapporti con la mamma diletta l'Autobiografia tace

su qualsiasi segno di affettuosità esteriore della piccina, se non il pianto (pp. 223, 224 ... ).

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vive il contrasto dell'umiltà e della grandezza della sua vocazione. Già nella letto 3 a del luglio-agosto 1899, dopo aver riferito che Gesù l'ha minacciata di castigarla se fa trapelare (le stimmate) e le ha mo­strato tutti i suoi difetti (<< se vedesse com'è brutta l'anima mia! ») continua: «Ieri sera poi, quando fui libera, mi pareva che Gesù mi si stringesse forte for­te al collo e non volesse lasciarmi: mi diceva che so­no tutta sua, che vuole tante cose da me, che ha da darmi tanti avvertimenti, ma quando sarò in conven­to» (p. 312). Nella letto 27 a la dimostrazione di affetto precede l'invito allo stato di vittima e la dichiarazio­ne (quasi incredibile!) da parte di Gesù stesso ch'essa è « ... la più povera, la più peccatrice di tutte le crea­ture; tu non meriteresti altro che ti mandassi all'in­ferno ... » Ecco invece il prologo: «Oggi, mentre face­vo l'Ora di guardia, mi è accaduto come al solito: mi sono addormentata ( 12). Mi pareva che Gesù mi vo­lesse tanto bene, mi faceva tante carezze; mi è parso perfino che mi abbia baciato. Gli ho risposto che non solo quell'ora, ma vorrei sempre stare con Lui. Anche Gesù era contento» (p. 350). Ed ora le tenerezze di Gesù Bambino il quale nella già ricordata letto 55 al Volpi, le profetizza l'ascesa agli altari: «Oggi nell'ora di guardia, dal tocco alle due, non dormivo come sempre, ero proprio svegliata; mi è parso che Gesù bambino mi sia venuto nelle mie ginocchia. lo, appe­na ce l'ho avuto, Gli ho detto: 'Gesù, ora certamente mi farai la grazia che desidero: dimani farai conosce­re la verità a Monsignore'. E Gesù: «Figlia mia, la verità chi doveva conoscerla, l'ha conosciuta» (p. 383 s.). Anche nella letto 63 a: «Oggi nell'ora di guardia,

(12) Altra espressione per indicare lo stato di estasi.

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mi è parso di aver veduto Gesù in forma di Bambino; mi è venuto sulle ginocchia, mi stringeva forte, e mi dimandava che cosa desiderassi più di tutto nel mon­do. Gli ho risposto: Amare tanto tanto Lui, e andare in convento» (p. 391)(13).

La dichiarazione più intensa ed il suo preciso contesto spirituale è forse quello che si legge negli «Appunti di Diario »: «Stamattina 25 marzo 1899, po­co prima di alzarmi, la solita voce ha detto: «Gemma, rallègrati, il Cuor di Gesù ti vuole tutta per sé, e tu procura di essere tutta sua. Mi alzai, andai a fare la Comunione; appena ricevuto Gesù (avevo detto tutto quello che lei mi aveva insegnato), sentii un voce den­tro e mi disse: « Vieni, povera figliola; vieni, che ti ab­bracci; è tanto tempo che ti aspettavo, ho avuta tanta pazienza, ho sofferto tanto per te: ma non importa, ho tutto dimenticato. Sei tornata e basta. Come sono contento! ... Dopo tanto ti ho riavuta, ma ora·mi faccio assoluto padrone del tuo cuore; io stesso voglio farne ciò che mi piace, non mi fare resistenze, come per l'addietro, perché te ne faccio pentire. Sei mia. lo vo­glio che tu rinunzi affatto all'amore di te stessa e del­le creature; lo solo voglio essere padrone del tuo cuo­re e dei tuoi affetti; io l'amo il tuo cuore, sai? l'ho amato sempre, l'ho desiderato, ma tu? Ma ti perdono, perché non mi conoscevi; ma ora dopo questo favore che ti ho fatto, resisterai ancora?» Risposi: «No, no, Gesù; non resisto più, fate di me quello che volete ». - «Brava! è quello che volevo io. Su via dunque, lascia che ti abbracci, per non lasciarti più. Non temere, ché

(13) La prima dimostrazione di affettuosità da parte di Gesù sem­bra quella seguita alla guarigione miracolosa: «Figlia - mi diceva Gesù abbracciandomi - io mi do tutto a te, e tu sarai tutta mia" (p. 249).

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sei nelle mie braccIa, e nessuno è capace di slrappar­ti» (p. 282, corsivo di Gemma)(14).

Dopo Gesù, la Madonna alla quale dopo la guari­gione l'affidò lo stesso Cristo nel colloquio già citato, è Gemma stessa a chiarire in apertura il « contorno esistenziale »: « Vedevo bene che Gesù mi aveva tolto i genitori, e alle volte mi disperavo, perché credevo di essere abbandonata. Quella mattina me ne lamen­tai con Gesù, e Gesù sempre più buono, sempre più tenero mi ripeteva: « lo, figlia, sarò sempre con te. Sono lo tuo Padre, la mamma tua sarà quella... -e m'indicò M. S. [Maria Santissima] Addolorata -. Mai può mancare la paterna assistenza a chi sta nelle mie mani; niente dunque mancherà a te, quantunque ti abbia tolta ogni consolazione e appoggio su questa terra. Vieni, avvicìnati ... sei mia figlia ... Non sei feli­ce di essere figlia di Gesù e di Maria?» (p. 249).

Anche la Madonna, come scrive a P. Germano, si effonde in tenerezze con lei fino a prenderla in brac­cio: « Quella Mamma quasi tutte le mattine mi strin­ge a sé, mi bacia e mi accarezza ». E Gemma si rim­provera la sua freddezza: « Mi bacia, lo sento così be­ne, e io sto seria; è difficile assai che venga una

(14) Questi tocchi divini e abbracciamenti spirituali sono molto no­ti nella vita mistica: p. es. la Beata Angela da Foligno, S. Teresa d'Avila, S. Margherita Maria Alacoque (la protettrice di Gemma), il Curato d'Ars ... (A. Poulain, Des graces d'oraison, II ed., Paris 1901, p. 90 ss.). An­che in una lettera del P. Pio da Pietrelcina (12 gennaio 1919) si legge fra l'altro: « Sono fuori di me. Un misto di dolore e di dolcezza si contra­stano contemporaneamente in un dolce amaro deliquio. Gli amplessi del diletto che allora si succedono a grande profusione e direi quasi senza posa e senza misura e risparmi non valgono ad estinguere in lei l'acuto martirio di sentirsi incapace a portare il peso di un Amore infinito. Ed è proprio in questi periodi, che sono quasi continui, che l'anima proferi­sce frasi verso questo amante divino che mi fa orrore a proferirle quando sono in me stesso» (P. Pio da Pietrelcina, Epistolario I, Corrispondenza con i Direttori spirituali [191O-1922J, II ed., S. Giovanni Rotondo 1973, p. 1113).

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lagrima» (Lett. 31 a, p. 90). Ma la manifestazione che dà forse la misura più esatta della tenerezza filiale di Gemma verso la Madre di Dio è l'apparizione che si legge nel Diario del 1 settembre 1900, dopo una improvvisa violenta tentazione: « E qui non credo be­ne di narrare perché troppo ... » Poi succede l'estasi nella quale la Madonna e Gemma sembrano fare a gara nella tenerezza materna e filiale. La Madonna la prende in grembo e le fa posare il capo sulla spal­la; l'accarezza, l'esorta ad amare Gesù: la stringe a sé e la bacia in fronte: « Mi svegliai e mi trovai stesa per terra, col crocifisso vicino» (p. 216).

La Madonna mostra contentezza e sorride, come leggiamo nel Diario, nel sentirsi chiamare « mamma» da Gemma che continua: « Glielo ho ripetuto più vol­te, fino che ho potuto, e Lei sempre sorrideva. Infine mi ha detto: 'Gemma, vuoi venire a riposarti un po' sul mio seno?'. Ho fatto come per alzarmi e inginoc­chiarmi e avvicinarmi a Lei; Lei pure si è alzata, mi ha baciato in fronte, e mi è sparita» (p. 168). Un' dia­logo della stessa intensità e semplicità è quello del­l'apparizione della Madonna Addolorata, sempre nel Diario, del sabato 4 agosto 1900 mentre recitava la corona dei 7 Dolori: la Madonna le si avvicina per accarezzarla e poi le predice la strada di prove e sof­ferenze che dovrà percorrere come risposta alla ri­chiesta di Gemma di portarla in Paradiso. La Santa precisa: « Questa più volte gliela dissi. Mi rispose: 'Figlia mia, devi ancora soffrire'. 'Soffrirò lassù -volevo dire -, in Paradiso'. 'E no, - soggiungeva -in Paradiso non si soffre più; ma ti condurrò ben pre­sto', mi diceva» (p. 186). Ed è la Madonna che il 15 agosto 1900 le promette: « Figlia, quando io andrò in Cielo, stamattina, porterò con me il tuo cuore ». Ed

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ora i fatti (che già in parte conosciamo): «In quel mo­mento allora mi sembrò che mi si avvicinasse ... me lo tolse, lo prese con sé, nelle sue mani, e mi disse: 'Non temere di nulla, sii buona; io terrò il tuo cuore sempre lassù con me, sempre in queste mie mani'. Mi benedì in fretta, e nell'andar via pronunziò anco­ra queste parole: 'A me mi hai dato il cuore, ma Gesù vuole ancora un'altra cosa'. 'Che cosa?' gli dissi; 'La volontà', mi rispose, e sparì» (p. 196). La Santa ci tie­ne a notare che « ... so benissimo quando ciò accadde: quando fece cenno di avvicinarsi e di levarmi il cuo­re» (p. 196).

Queste manifestazioni affettuose della Vergine che appare col suo Figlio, seguite alla miracolosa guarigione, sono già all'inizio della sua vocazione Passionista, come la Santa racconta nella letto 2 a al Volpi: «Una sera, mentre scrivevo, mi sentii chiama­re per nome; mi voltai e vidi una Signora con un bambino in braccio. Fece per darmi il bambino; io lo presi» (p. 311)(15).

Un torrente di affetti ed un fiume della più filiale invocazione: «Mamma mia, mamma mia! » riempiono le frequenti estasi mariane(16): come lo slancio per il Figlio di Dio è attestato dal continuo ripetere il no­me di Gesù, così per sua Madre quello di «Mamma mia! » È un'invocazione continua, a cascata di affetti, di un cuore innocente e ardente. La vorrebbe sempre vicina e si appena quanto si allontana: «O Mamma, Mamma perché non stai più al mio fianco, come face­va il mio buon Angelo? Quanto temerei meno!. .. »

(15) Simile contesto quello dell'apparizione descritta nella letto 35 a

(giugno-luglio 1900) ove si legge che la Madonna dopo averla liberata dal demonio... « mi accarezzava e mi baciava» (p. 360).

(16) Nella breve estasi 37 a (giovedì 24 maggio 1900), l'invocazione ricorre ben 22 volte su 28 righe!

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(Estasi 81 a, p. 107). L'impeto di questo amore dolente dilaga nell'ultimo scorcio della vita, anelante ormai all'incontro con Gesù in Paradiso in un'effusione di sentimenti che riassume con intensità mirabile la pe­netrazione affettuosa: «... Adorato Gesù, Verbo in­creatol. .. O Mamma, o Mamma! se mi sei madre pie­tosa, o perché abbandonare questa figlia, che tanto ti ama? Senza di te chi ascolterà le mie preghiere? Chi esaudirà i voti miei? Senza di te io sono come una peccatrice ... come un povero senza nessun aiuto. Madre mia, perché lasciarmi? Conducimi in cielo an­che me. O Mamma, Madre mia, tu sei un puro fiore, che germoglia qual candido giglio. Regina del Cielo ... tu che togli alle creature la parte più nobile del loro amore, a me pur me lo togliesti, ed ora non me lo dài più, ora che sotto i tuoi amplessi non è più terre­no, ma tutto celeste. Ridònamelo! Eh! Mamma mia, tu non me lo vuoi ridare, perché sei gelosa che lo ridoni al mio Amore. Allora dallo tu stessa al mio Ge­Sù» (Estasi 1 07 a, p. 130).

Lo slancio tenerissimo ha il suo incontro più so­spirato e beatificante di indicibile tenerezza nella Co­munione - un caso raro nell'agiografia cristiana -che ottiene di fare assieme alla Madonna! Lo confida al P. Germano: «Babbo, Babbo mio. Quanto è bella la Comunione fatta con la Mamma del Paradiso! Bab­bo mio, la feci ieri, il giorno 8 maggio. Con Essa non ce la avevo fatta mai; ma sa, babbo mio, in che consi­sterono tutti gli slanci del mio cuore in quel prezioso momento? In queste sole parole: «Mamma, Mamma mia, quanto godo nel chiamarti mamma! il mio cuo­re, lo vedi, mi salta come quando ricorda Gesù». Ed Essa mi ripeté: «Tu godi nel chiamarmi Mamma, ed io esulto nel chiamarti figlia». Queste parole nel cor-

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so del giorno me le ripeté almeno 3 volte. Furono mo­menti di Paradiso quelli, che sentivo parlarmi con quelle dolci parole; ma, babbo mio, a chi le rivolgeva Ella mai? Non occorre che mi metta a far di nuovo la mia storia; babbo mio, già conosce il numero infi­nito delle mie colpe, i difetti che mi vanno ogni gior­no crescendo; eppure la Mamma mia mi vuole bene ». E qui la povera Gemma non teme davanti al suo mae­stro di alzare il tono e farsi maestra ... ; «Riflettiamo insieme, babbo mio; la festa della Mamma celeste. Non è quel giorno il giorno più bello fra tutti i giorni dell'anno? L'anima in quel giorno si consola di sere­na pace e dimentica le tempestose vicende del mon­do; in quel giorno tutti, anche i cattivi, si ricordano che abbiamo in Cielo una Mamma tutta sollecitudine e tenerezza per noi, e che noi siamo suoi figli. Ed an­che chi non la vede cogli occhi del corpo, che si trovi­no dinanzi ad una semplice immagine che la rappre­senta, non desta forse nel cuore sentimento di amore, di affetto, di riconoscenza e di fiducia? In quei giorni non è vero che si sentono più forti gli stimoli della fede, e sentiamo il bisogno ancora di onorare Maria con maggiore ossequio? Sì, sì, l'ho provato più volte; la festa della Mamma mia è per me sempre un giorno di pace maggiore, di amore più grande e di santifica­zione per tutti ». Ed ora segue la «confessione esi­stenziale» in cui l'animo innocente si stempera di amore doloroso: «Ma in questi bei giorni, che già in vita mia me ne sono passati [tanti], che premura mi sono data io di lasciare il peccato, che tanto fa dive­nir brutte le anime che lo commettono? Ah, se non mi aiuta Maria SS. con la sua misericordia, io sono perduta! Più volte la Madonna mi ha chiesto dei sa­crifizi, e sapesse ciò che io gli ho risposto!. .. Ovvero

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gli ho fatti questi sacrifizi, ma poco di buon cuore, e tante volte ho rifiutato il poco a Colei che gli dove­vo tutto. Ieri mattina me ne chiese uno di questi sa­crifizi, e nel dire di sì, mi vennero le lacrime agli oc­chi ... Ed Essa abbracciandomi: 'Non sai che dopo il Sacrifizio della Croce, i sacrifizi tuoi ti devono aprire le porte del Cielo?' Sa che cosa mi chiedeva la Mam­ma celeste? Non mi spiegava niente ... ma io la capii ... Me lo spiegò in questi termini, fu tutto nella Comu­nione dell'8 Maggio: 'Vedi, figlia mia, io questa mat­tilla ti ho dato tutto, ti ho dato la cosa più preziosa che io abbia: il mio Figlio stesso, Gesù. E tu che mi darai? Non mi darai anche tu la cosa PIù preziosa che tu possegga?'. 'Sì, Mamma mia', gli risposi pian­gendo, ma le lacrime mi venivano da loro, io non le volevo. Viva Gesù e Maria! Quella mattina l'Angelo mio Custode mi sembrò che mi accompagnasse da Gesù, quando andai per riceverlo. Fu per me un gior­no di Paradiso quello» (p. 161). Lo sfido anch'io!

Questa tenerezza verso la Madre di Dio è riserva­ta in particolare alla «Madonna dei dolori », come si legge nella già citata letto 3S a al Volpi (p. 360), ch'è anche il titolo religioso preso da S. Gabriele, che vie­ne con l'Angelo a pregare la Madonna assieme a lei: «Quante volte - scrive alla Serafina di Roma - l'ho veduto pregare per Lei, dinanzi alla Mamma mia Ad­dolorata! Possibile che non debba ottenere la tanto sospirata grazia! Confratel Gabriele prega. Lei speri bene. L'otterrà tra breve tempo. Ne stia certa» (Lett. 4 a , p. 446).

E indirizzata alla Vergine è l'ultima lettera per P. Germano quasi per unire insieme i suoi due affetti più cari in Cristo su questa terra. È un testo sconvol­gente, più dell'invocazione iniziale: «Mamma mia!

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(mi perdoni la parola)>> e nell'uso del « lei », i tremiti e fremiti che lo pervadono. Basti riportare l'invoca­zione centrale: « O Madre mia, preghi sempre Gesù per me; io desidero, sì, che tutti ci contenti Gesù, ma io posso benissimo essermi ingannata. Cara madre mia, non sto mica bene, sa: la mia vita si spenge e ogni giorno consuma. E lo spirito? .. O Dio mio! Sono tormentata da brutti e sozzi pensieri, ma Gesù mi prega di rivolgermi a Sua Madre: I Figlia raccomàn­dati giornalmente ad Essa; la feci bella, graziosa, amabile, dolce, perché mi possa cacciare, guadagna­re le anime e salvarle; la feci benigna, mansueta, pa­cifica, perché non disprezzi alcuni'. E nonostante queste parole, mi perdo di animo e piango» (p. 306).

Nella costellazione celestiale della « esperienza mistica» di Gemma, a Gesù ed alla sua celeste Madre si affiancano l'Angelo Custode e Confratel Gabriele. Come sappiamo, l'Angelo Custode fece la sua prima apparizione alla predestinata fanciulla sulla soglia della giovinezza quando le ricorda - rimproverando­la della vanità dell'orologio d'oro(17) - la sua voca­zione spirituale (Autob. p. 235). Da quel momento l'Angelo la guida in tutto il doloroso cammino: la consiglia(I8), la difende, la protegge, la rimprovera, l'esorta, la consola ... con una familiarità che traspor­ta anche il lettore in una gioia di nostalgia per tanto bagliore di cielo. Nel Diario in data 20 luglio 1900: « Gemma, come! Anche la bugia?» (p. 175). La chiama « superba! » (p. 204) e poiché aveva per ritrosia taciu­to qualcosa in confessione - dato che Mons. Volpi

(17) L'aveva avuto in regalo dalla contessa Guinigi, madrina di cre­sima, come già si è detto.

(18) Importante è il progrmma di vita che l'Angelo le detta il 26 lu­glio 1900 (Diario, p. 178).

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non credeva a nulla delle sue cose l'Angelo, severo in volto, arriva a dirle: « I Non hai vergogna di com­mettere mancanze in presenza mia? dopo commesse poi la senti la vergogna!' Insisteva che lo guardassi; per più di mezz'ora circa mi fece stare in presenza sua sempre a guardarlo in faccia: mi lanciava certi sguardi sì severi ... ». La poverina è desolata e passa in questo stato d'animo quell'intero 26 agosto: « Non feci ché piangere. Mi raccomandavo al mio Dio, alla Mamma nostra, affinché mi togliesse di lì, ché non potevo più a lungo resistere. Di quando in quando mi ripeteva: « Mi vergogno di te ». Pregavo pure che altri non lo vedessero così in quello stato, perché neppure più una persona si sarebbe a me avvicinata; non so se altri lo videro ». E l'Angelo non allentava la sanzione sulla povera figlia: « Soffrii una giornata intera, e sempre quando alzavo gli occhi, mi guarda­va sempre severo; non potei raccogliermi un minuto. Alla sera pure feci le mie preghiere, e sempre stava a guardarmi nella stessa maniera; mi lasciò and~re a letto, mi benedì però; ma non mi abbandonò: è sta­to per più ore con me, senza parlare e sempre seve­ro ». Ed ora l'epilogo: « lo mai ho avuto coraggio di rivolgergli una parola, solo dicevo: « Dio mio, che ver­gogna se altri vedessero il mio Angelo così arrabbia­to! »(19). Sembra dalla conclusione si trattasse di una apparizione sensibile: « In nessun modo ieri sera non mi riusciva prendere sonno; sono stata svegliata fino alle 2 passate; lo so, perché ho sentito sonar l'o­rologio. Stavo ferma nel letto, la mente rivolta a Dio, ma senza pregare. Infine, dopo sonate le 3, ho veduto

(19) Nella lett. 13" al P. Germano scrive però con infantile sempli· cità: «L'Angelo mio non è così severo ... » (p. 38). Invece nell'estasi 46": «Cattivo il mio Angelo Custode!. .. perché castigarmi?» (p. 72).

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l'Angelo Custode avvicinarsi, posarmi una mano sul­la fronte, e mi ha dette queste parole: 'Dormi, catti­va!'. Non l'ho più veduto» (p. 211).

Dopo due giorni la burrasca finalmente si calmò e la testimonianza della Santa assume un significato spirituale e teologico di primo piano, come si può ri­levare dal Diario del 28 agosto. Anzitutto l'Angelo ri­prende con lei le manifestazioni di tenerezza: «L' An­gelo Custode si è mantenuto così severo fino a stama­ni, che non ho palesato ogni cosa al Confessore. Subito uscita di confessionario, mi ha guardato ri­dendo, con un'aria di compiacenza: sono ritornata da morte a vita. Più tardi poi mi ha parlato di se stesso (io non avevo il coraggio d'interrogarlo): mi ha do­mandato come stavo, perché non mi sentivo bene la notte innanzi. Gli ho risposto che solo lui poteva gua­rirmi; si è avvicinato, mi accarezzava tanto tanto e mi diceva che fossi buona». Segue in letizia la richie­sta di amore e l'incarico di un'ambasciata dell'Ange­lo a Gesù: «Ripetutamente gli domandavo se mi vo­lesse bene come prima, e se mi amasse egualmente; mi rispondeva in questo modo: «Oggi non mi vergo­gno di te, ieri sì». Gli dimandavo più volte perdono, e faceva cenno di essere [stato perdonato] ogni tra­scorso. Infine l'ho mandato da Gesù per tre cose: IO Se fosse ora contento di me. 2° Se mi avesse perdo­nato ogni cosa. 3 o E che mi levasse una certa vergo­gna da dosso per far l'obbedienza al Confessore ... » L'angelo porta le risposte: «È andato subito via, ed è tornato assai tardi: mi ha detto che Gesù è assai contento; che mi ha perdonato, ma per l'ultima volta; in quanto alla vergogna disse che Gesù gli aveva ri­sposto queste precise parole: «Digli che obbedisca perfettamente» (p. 212). Questo punto dolente del

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rapporto al Confessore ebbe un'importanza pertanto eccezionale nella testimonianza del soprannaturale che Dio ha voluto concedere alla sgomenta «povera Gemma».

Non è possibile - anche perché è stato già fat­to(2°) - trattare il tema dei rapporti di Gemma con gli spiriti celesti: qui si vuole solo accennare alla «te­nerezza» di tale rapporto ed a quella che si potrebbe chiamare la «immediatezza dello spirituale» di cui ha goduto la fortunata fanciulla. Non stupiscono al­lora le sue innocenti effusioni, come nella letto 114 a

a P. Germano quando Gemma prega: «Mio Dio! Dà lume al mio babbo, e io crederò a Lui solo. Mi si avvi­cinò, mi accarezzò, e mi venne fatto di dirgli con tut­to l'affetto: 'Angelo mio, quanto bene ti voglio!'. 'E perché mi vuoi bene?' mi chiese. 'Ti amo, perché m'insegni l'umiltà, e perché mantieni la pace interna del mio cuore. Se qualche volta sono cattiva, caro An­gelo, non ti adirare; voglio esserti grata, sai, prima a Gesù, poi a te'. L'Angelo il giorno prima l'aveva ba­ciata in fronte, ammonendola: «Non voglio più che tu intraprenda discorsi con le creature: quando vuoi parlare, parla con Gesù e con l'Angelo tuo» (p. 203).

Non senza un particolare disegno della Provviden­za questa caratteristica della missione di Gemma, co­me testimone del soprannaturale, è stata colta e se­gnalata nei processi dal suo più cocciuto avversario, che è stato, in vita e dopo la morte della Santa, il sacer­dote lucchese (che già conosciamo) Bernardino Far­nocchia, segretario e persona di fiducia del confessore della Galgani il Vescovo Mons. Giovanni Volpi(21).

eD) Cfr. spec.: E. Zoffoli, La povera Gemma, ed. cit., Indice degli argomenti, s.v.: «Angeli, Angelo ... », p. 103l.

(21) Possiamo ripetere anche per la nostra Santa: «Salutem ex ini­micis nostris» (Le. 1,71).

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Il teste continua, come per una riparazione: «Mi sento anch'io venire il sospetto di aver errato nel mio giudizio e che quindi abbiano ragione coloro che vo­gliono sia canonizzata» (p. 47). Però subito aggiunge (è la psicologia ambigua del personaggio!): «Se non dovessi giudicare con la testa di tutti gli altri... io personalmente ho sempre la stessa opinione». Quel «tutti» sembra anche generoso poiché la «povera Gemma» suscitò contrarietà in altri membri del cle­ro lucchese, come risulta dai Processi. La testimo­nianza, in quanto si riferisce al pensiero e all'inten­zione del Santo Pontefice, richiama la crisi più acuta del Cristianesimo agli inizi del nostro secolo; crisi mai sopita, anzi essa sembra oggi tornata in audace ripresa in non poca parte, com'è noto, della teologia pos tconciliare (22).

(22) Cfr. al riguardo la franca analisi di un teologo della tempra di P. Parente, La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Rovigo 1985, spec. p. 90 ss .. Alla p. 113 ricorda la condanna del modernismo da parte di S. Pio X con l'enciclica Pascendi del 1907 e di Pio XII con l'enciclica Humani Generis del 1950 e continua: « Ma oggi, dopo il Vaticano II, i teologi progressisti sono ritornati alla posizione dei modernisti e la supe· rano, affermando che si può e si deve adottare un pluralismo integrale, non solo di forma ma anche di contenuto» (p. 113). Cfr. L'avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano 1974.

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3. La normalità del supernormale di Gemma

È nostra convinzione che la coscienza del pecca­to si presenta in Gemma in una forma del tutto ecce­zionale ed essa costituisce quasi il suo carisma più misterioso: tuttavia qualcuno vi ha voluto scorgere una morbosità di autodistruzione, l'effetto di una «costituzione nevrotica» quasi di una tara geneti­ca (1). L'espressione più benevola di quest'insinua­zione, condivisa, sotto l'influsso del dottor Pfanner e del segretario don Farnocchia, anche da Mons. Vol­pi (<< quei nervi lì »), come riferisce al P. Germano la stessa Gemma, è la convinzione che i fenomeni di Gemma, e con essi la sua coscienza del peccato, fos­sero effetto di nervi cioè di una costituzione isterica. A nostro avviso, e crediamo sarà anche di chiunque legge non solo gli scritti di Gemma, ma soprattutto le testimonianze dei contemporanei nei Processi, la psiche di Gemma era normale e del tutto sana, dotata anzi - nelle circostanze ardue e insolite in cui venne a trovarsi, sia nel tempo della prosperità in famiglia

(I) Un'interpretazione ch'è affiorata anche nelle celebrazioni del I Centenario della nascita. Giustamente protestava un esperto di teologia mistica: « La Folie de la Croix demande à se greffer sur des natures par­faitement saines. S'i! y a déjà une' folie' préexistante, un déséquilibre, une formation ascétique insuffisante ou déformante, des principes faux; non seulement i! n'y a pas de vie spiri tue Ile solide et féconde, mais il n'y a péri! et péril grave. Les illusions sous l'apparence du bien, 'sub specie boni', sont les plus dangereuses. Soyons d'abord parfaitement 'rai­sonnables', avant d'étre des 'fous' pour Jésus-Christ}) (P. R. Plus, La Fo­lie de la Croix, Toulouse 1926, p. 13).

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sia dopo il crollo finanziario e la valanga delle di­sgrazie e delle malattie - di un equilibrio superiore. Iddio permise che Mons. Volpi prendesse questo gra­ve abbaglio forse per rendere ancora più dolorosa la via crucis di Gemma ed è strano che mentre le sue educatrici Zitine, e prima fra esse la fondatrice, la B. Elena Guerrae), la presentano come una bambi­na quieta e riservata ma anche condiscendente ai de­sideri delle sue compagne, il confessore, che la co­nobbe fin dalla preparazione alla Prima Comunione, si sia lasciato invischiare dalle bubbole del medico (il Dottor pfanner) chiamato per la «verifica» delle Stimmate e dalle chiacchiere del Segretario.

Basti osservare che Gemma stessa, fin dalla pri­ma lettera a P. Germano, sa prendere, rispetto ai fe­nomeni straordinari, una posizione di amabile ironia e di chiaro distacco, anzi essa stessa con Mons. Volpi (come si è visto) parla perfino di «paura ».

1. - A P. Germano: «Ma eccomi al punto di scrive­re certe cose tanto curiose, che certo Lei stesso si meraviglierà, e sa il perché? Glielo dico francamente: la mia testa è un po' mattuccia, e ora s'immagina di vedere e di sentire cose impossibili; dico impossibili, perché Gesù non ha mai parlato, né si è fatto mai vedere da certe anime, qual'è la mia tanto catti­va»(3). L'amabile termine di 'mattuccia' ritorna di

(2) «Era molto silenziosa e sempre obbediente» (Lucana, nr. III, $ 118, p. 112). Per la testimonianza della maestra zitina Sr. Giulia Sestini, Cf. nr. II, § 2, p. 5 ss.; nr. III, §§ 12-14, p. 52 s. Anche gli altri testimoni che la conobbero bambina attestano ch'era «quieta e obbediente» - una qualità che mal si concilia con la supposizione di una costituzione nevro­tica.

(J) Lettera 1", p. 2. Più sotto, a proposito dell'ordine avuto dal con­fessore di smettere certe penitenze, confessa candidamente la sua ripu­gnanza: «Ma la mia testa è assai dura; il mio corpo, quando si tratta di obbedire, o quanta fatica gli ci vuole» (Lett. 6", p. 20). Anche nella Lett. 17": «Non sa che ho la testa dura e capisco poco?» (p. 49).

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lì a poco ed in un contesto particolarmente significa­tivo dove si trovano insieme P. Germano, Mons. Volpi e Gemma, la quale, dopo aver dichiarato d'aver fatto tutto il possibile per obbedire all'ordine del confesso­re di respingere i fenomeni straordinari (<< Povero Ge­sù, alle volte gli ho fatto le corna, gli ho sputato in viso, e Lui stava buono, buono ... »), presenta la situa­zione: «Feci sentire la sua lettera a Mons. Volpi: è rimasto contento, contento. Ieri ero sgomenta, per~ ché ho un dubbio grpsso: ho paura di tutte le cose straordinarie che ogni giorno mi accadono, ho paura d'ingannarmi e d'ingannare gli altri(4). Questo non lo vorrei fare davvero. Il Confessore mi disse che non ci pensassi neppure, e poi mi disse che scrivessi a lei questa cosa» (p. 16). Ma già nella letto 3 a del 25 marzo 1900, di fronte alle difficoltà di entrare in con­vento, il dubbio affiora e l'anima sussulta: «Possibile che Gesù non voglia mantenere le sue parole? Ma dunque non mi vorrà passionista? Sarò forse stata ingannata dal nemico? E se ciò fosse?» E si racèo­manda verso la fine: «Padre, per carità mi raccoman­di a Gesù: gli dica che voglio essere buona, e se non mi vuole Passionista, me lo levi dalla mente» (p. 13). Invece sappiamo che le cose andarono nel verso com­pletamente opposto e solo quasi sull'ultimo venne a sapere che per lei era riservato un ben altro chiostro, ancora migliore. .

Un segno evidente del suo distacco dai fenomeni è certamente la ripugnanza che prova a manifestarli In confessione: «Credevo che col tempo [la ripu-

(4) Lo ripete di lì a poco: «Per carità, Padre, m'ingannerò e ingan­nerò anche gli altri? preghi Gesù che gliele faccia conoscere un po' que­ste cose; in ogni modo io non vorrei fare peccati, e non vorrei offendere Gesù)} (Lett. 5 a, p. 17). È il ritornello un po' di quasi tutte le Lettere, come una spina che l'affligge: e allora?

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gnanza] passasse, ma invece sento che ogni giorno mi cresce. Alle volte [si badi bene!] mi sento quasi di mo­rire nel dire certe cose, ma pure sento che Gesù mi aiuta, e nonostante tanta ripugnanza dico ogni cosa. E dopo mi trovo contenta!» (Lett. 7 a, p. 23). E non esita a chiamare quelle manifestazioni ... «i soliti gio­chi della mia fantasia» (Lett. 1O a , p. 31). Già nella let­tera del 9 agosto 1900 abbiamo la completa rinunzia all'agognato convento: «Vuoi forse, o Gesù, che viva nel mondo, abbandonata, sola e anche disprezzata? Sono pronta. Sia fatta in ogni modo la tua SS. Volon­tà ». Il suo distacco è condito perfino di un pizzico di ironia: «Dall' Angelo avrà ricevuto un mucchio di lettere, ma poi le distrugga; perché non so neppure io che siano; tutte chiacchiere per fare inquietare Lei. Ma io non vorrèi» (Lett. 20 a , p. 56)(5).

È questo completo distacco da se stessa, unito all'obbedienza perfetta ai suoi direttori di spirito, che dà la misura della normalità piena di delicatezza della nostra Gemma che sta agli antipodi dell'egoi­smo caratteristico dei temperamenti nevrotici e iste­rici: «lo soffro, ma il mio soffrire non lo curo; curo solo quello che gli altri devono soffrire per me ... (6). Non credo che loro si sono lamentati, che ben con ragione potrebbero; sono io, proprio io, babbo mio che soffro perché vedo che per me devono fare dei sacrifici» (Lett. 24 a , p. 68 s.). Il documento più im­portante circa la pretesa «nevrosi» di Gemma è forse

(5) In due lettere consecutive (21 a e 22 a , del 10 e Il ottobre 1900), mentre arde dal desiderio di andare con Gesù, si sgomen!a al pensiero dei suoi peccati ed esce nel lamento: « Il posto dei Santi non è per me» (pp. 58 e 60).

(6) Lo stesso delicato sentimento, espresso con un anacoluto, anche nella Lett. 31 a: « Va bene, a soffrire sono sola, ma a disturbare sono mol­ti» (p. 90).

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la lettera 26 a (10-12 novembre 1900) che segna la fine di un periodo di aridità e di prove dolorose, come quella del sollevamento delle costole dalla parte del cuore (Lett. 2S a , p. 73). È Gemma stessa che descrive l'alternarsi dei suoi stati d'animo, di sofferenza e di gioia, con piena lucidità di mente: le affettuosità che Gesù ha ripreso a mostrarle, la colmano di gioia ma insieme ha l'impressione che il suo cuore s'indurisca sempre di più, e di altri fenomeni strani.

Gemma stessa li descrive: «Oggi è sabato; i nervi si sono assai calmati, ma non tanto. Ieri e ieri l'altro, Giovedì e Venerdì, mi dettero assai noia: sentivo an­darmi via le mani, e anche i piedi; la testa [si badi bene!] me la lasciarono dalla patte del cuore poi mi tormentò assai». E riporta con estremo candore la già citata risposta del confessore: «Stamani poi ho raccontato a Monsignore qualche cosa, e mi ha rispo­sto che ne ha tanto piacere [sic!] che soffra in questo modo, e mi ha detto ancora che Gesù, quei nervi lì li può far venire in altro tempo, fuori del Venerdì, che anzi mi prepari a cose più grosse e più forti anco­ra». Di tutto questo Gemma ovviamente sente paura, ma subito si dichiara contenta anzi: « ... contentissi­ma. Se poi alle volte mi viene un po' di tristezza, que­sto è solo all'esterno, nell'interno sono in una calma perfetta» (p. 78). È questo il «clima» dell'intera lette­ra 26 a che comincia con uno squillante: « ... Non più povera Gemma, ma evviva Gemma!» (p. 76), anche se la conclusione è sempre: «Sono la povera Gemma di Gesù» (p. 80). Il segreto di questa gioia l'ha svelato alcune righe prima: «E questo è il mezzo che ho tro­vato, perché quando soffro, volo col pensiero al Para­diso e allora il mio soffrire è una contentezza» (p. 79).

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Il tema della gioia è dominante in questa corri­spondenza, anche se l'immagine tradizionale della Santa dà piuttosto l'impressione contraria. Non è certamente questo un comportamento da nevrotici: i « nervi» di cui parla Gemma - checché sia di quel che il Volpi intendeva con « quei nervi lì» - sono i nervi reali che venivano tesi e scossi dalla veemenza del fenomeno (nel caso) del sollevamento delle costo­le dalla parte del cuore come in S. Filippo Neri ed in altri mistici. Quando poi all'aridità di spirito, Gemma mostra un equilibrio perfetto ed in completo accordo con i suggerimenti di P. Germano: « ... e non mi ha sempre detto che il mio stato presente è più sicuro e mi fa bene? Non sarebbe meglio rimanessi così? Dico così, ma poi niente di quello che voglio io, vò fare. Se restasse a me la scelta, rimarrei così: senza Gesù, senza altri» (Lett. 29 a , p. 84). In mezzo a sofferenze di ogni genere, scrive tranquilla: « Sto benissimo, babbo mio» (Lett. 31 a, p. 91)(6). Un altro segno indubbio della normalità della sua psiche, ed ovviamente anche della sua autentica santità, è la sua perfetta obbedienza: « Babbo mio, ho sempre ob­bedito con l'aiuto di Gesù» (Lett. 39 a , p. 110). Un se­gno ancora più evidente, se fosse possibile in simile materia fare paragoni, è la sua reazione nel momento forse più critico della sua vita quando gli stessi Gian­nini, influenzati da Cecilia e questa dal confessore VolpiC), la trascurano e le mostrano, come si è vi­sto, freddezza: « Avanti credevano che qualcosa di buono fosse in me ed avevano mille riguardi; ora in­vece mi hanno conosciuta, e per me non c'è che Gesù,

(7) Mentre i nevrotici soffrono della «volontà di ammalarsi» e, co­m'è noto, ci riescono a furia di pensarci (Cf. K. Jaspers, Allgemeine Psy­chophatologie, V ed., Berlin 1948, p. 353 s.: «Der WilIe zur Krankheit »).

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e Gesù solo. Monsignore è si fortemente inquietato con me per i miei peccati, che appena mi confessa, mi caccia chiamandomi bugiarda, come bugiardo è il diavolo (questa parola la disse quando l'avvisai che il diavolo stava per muovermi una guerra accanita); tenta di levarmi la Comunione, e se continuo nel pec­care mi proibisce di scrivere a Lei». E la poverina prende tutti questi rimbrotti in tono recto e, anche se soffre, non teme di rivendicare la sua certezza: « Non mi vuole più bene nessuno in questa casa: tutti seri, nessuno mi rivolge più una parola; ma Gesù, sì Gesù è tutto con me, nel mio cuore; con Gesù non temo» (Lett. 67 a , p. 179). Certamente il mondo di Gemma non è quello della nostra tiepidezza, perché Iddio le ha assegnato una vocazione di eccezione. La sua vita è immersa in Dio con Cristo ed insieme asse­diata di continuo dal diavolo: gode della familiarità di Gesù, della Vergine, degli Angeli e dei Santi... ed insieme deve subire le continue vessazioni dello spi­rito del male. Eppure questa fragile creatura, sbal­lottata fra situazioni apparentemente assurde, può ben essere chiamata la « Santa dell'equilibrio». Altro che nevrosi!

2. - Con Mons. Volpi, suo confessore ordinario, la corrispondenza inizia un anno prima e proprio a lui, che rimase scettico sui fenomeni straordinari ri­mettendosi alla diagnosi d'isteria del Dott. Pfanner, la Santa confessa nella Lettera 1 a (maggio-giugno 1899): « È già tanto che gli dico certe cose, e ora la vergogna mi dovrebbe esser passata: ma invece sento che ogni volta che devo scrivere o mi devo confessa­re, mi cresce; ma non è vergogna, non lo so come po­trei dire, quasi paura» (p. 310). Dato il carattere del destinatario lo stile di Gemma è più sobrio, anche se

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riferisce tutto quel che le è stato comandato di riferi­re. Sulla stessa faccenda dei doni straordinari Gem­ma chiama direttamente in causa il confessore quan­do gli chiede di metterla presto in convento, perché Gesù le ha promesso: « ... che mi leverà tutto » ... ma «fino a che non sono fuori mi farà stare cosÌ come sono ora, perché allora avranno più premura di na­scondermi» (Lett. 4 a, p. 313). Quindi la smania per il convento (suffragata e sollecitata di continuo dalle promesse celesti!) nasceva anche dal desiderio di tor­nare nella normalità. È il desiderio espresso anche nella cito Lett. 115 a a P. Germano del 27 luglio 1902: «Sono stata due giorni un po' sossopra. Guardavo quelli di casa, p. es. Annetta, Eufemia e pensavo: co­me mi piacerebbe vivere come vivono loro senza nes­sune cose straordinarie e mille strane idee» e ritrova la pace solo quando sente da Gesù che questa è la sua volontà (p. 275). Non era Gemma quindi che an­dava a caccia di siffatti fenomeni e tanto meno era lei a provocarli come usano gli isterici.

L'equilibrio superiore del suo spirito è attestato in particolare dalle Lettere 5 a e 6 a (8 e 12 settembre 1899) riguardanti l'umiliazione della visita medica voluta dal Volpi con la diagnosi di isterismo da parte del Dott. Pfanner e vanno lette perché sono forse do­cumenti unici nell'agiografia cristiana(8). Ecco il suo commento alla diagnosi: «Gesù oggi ha voluto che ci facessi questo sacrificio, e l'ho fatto volentieri. Sia pure come ha detto quel medico, che è isterismo: appunto perché è cosÌ, Gesù mi vuoI più bene» (p. 315). L'inciso: « ... appunto perché è cosÌ », non signifi­ca che Gemma convalidi od accetti quella diagnosi:

(8) Vedi sopra: c.v, § 3.

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accetta l'umiliazione come accetta la vita di totale immolazione che Gesù le annunzia quale si legge in un testo drammatico della letto 6 a (9). Essa inizia con le parole di Gesù intese a chiarire la situazione: «Devi dire al tuo Confessore che qualunque segno vorrà di me, io glielo darò, purché sia solo; mi basta che lui solo sia certo che non è una malattia, come l'hanno creduta, e non è opera tua; però devi dirgli che io a te manderò tante croci)} (p; 316).

Il messaggio era chiaro ma il Volpi, come si è già detto, rimase sulle sue e fece a modo suo. Ma l'u­mile penitente, nella chiusura della lettera, lo prende in contropiede con la dichiarazione insolita ma che gli ripeterà spesso: « ... Non creda niente, perché è la mia testa)} (p. 317). Il sacrificio totale della propria volontà non è una condotta da nevrotici o isterici!

Gemma non finge, non scrive così per politica, la sua è una schiettezza cristallina come l'attesta la dichiarazione sorprendente, ma esplicita, della cit. lett. 17 a. Ed è lei stessa a chiedere di essere liberata da quei fenomeni (p. 335)( l0). Certo, Gemma dovette patire conflitti seri: il più grave e angustiante fu quello della vocazione passioni sta che, come si è vi­sto, la tormentò almeno per un paio di anni. Tutti i messaggeri celesti - Gesù, la Madonna, S. Gabrie­le ... - l'assicurano nel modo più perentorio ed inve-

(9) Si leggano anche le testimonianze di Cecilia e dello stesso Vol­pi a p. 314. nota 1.

(IO) Si veda anche. a commento di questo testo capace di far im­pazzire o di spingere alla ribellione e disperazione qualsiasi coscienza normale. il testo ancora più fosco delle comunicazioni avute da Gesù in occasione di una Ora Santa negli «Appunti di Diario» (Estasi ...• p. 284 ss.). Qui la reazione di Gemma dà la misura della sua umanità e insieme della conformità al divino volere: «lo mi sono messa a piangere a pensa­re a tutte queste cose. che non ci capisco nulla ... » ed è confortata dal suo Angelo Custode (p. 285).

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ce non succede nulla: fu questa, forse, la prova più dura della sua fede. È Gesù stesso che la manda a dire al Volpi: « ... digli che se non ti mette in conven­to, quella è una pena che ti ammalerà e ti farà mori­re. Diglielo subito» (Lett. 46 a , p. 374). E così fu. Con­tro la diagnosi dei medici Gemma (e con lei era d'ac­cordo il Dott. Lorenzo Del Prete, in disaccordo con i suoi colleghi)(1l) protestò: « ... ma non sono ti si­ca ». Tuttavia accettò tranquilla di essere allontanata negli ultimi tempi dalla casa Giannini e di vivere iso­lata in un quartierino separato rispondendo con un sorriso: «Fanno bene!» Chi vide meglio di tutti, col suo buon senso cristiano, libero dai pregiudizi di cui pullulava l'ambiente della tribolata fanciulla, è stato il capofamiglia signor Matteo Giannini, che attribui­sce le vessazioni diaboliche di Gemma (p. es. i segni della flagellazione) all'essersi essa offerta «vittima per i peccatori ». E conclude, quanto alla causa della morte: «I medici la dissero colpita da etisia, in segui­to all'ascoltazione, e dissero che di etisia morisse. lo tengo per certo che sia morta di amore di Dio» (12). Ma i fenomeni esterni della tubercolosi c'erano (feb­bre alta, spurghi di sangue, dolore ai polmoni ... ) e Gemma stessa lo attesta (cf. le lettera a P. Germano nr. 119 a , 124 a , 127 a , 129a ... ). Il problema però resta perché ciononostante la Signora Cecilia, proprio il 12 gennaio 1903, scrive a P. Germano: « ... (Gemma) è

(II) Anche in un'aggiunta alla Lett. 40 a : «Non le voglio. neanche io, queste cose: vorrei solo pentirmi dei miei peccati e nulla più, ma così... »

(p. 367). (12) Il più ostinato in queste diagnosi sembra sia stato il dotto Gian­

ni (Lucana, Nr. III, $ 91, p. 98). Il Dott. Del Prete in data 27 dicembre 1899, quindi quando la Gemma ardeva dal desiderio di farsi religiosa, lasciò la dichiarazione: «Gemma Galgani fu Enrico è attualmente sana e non ha alcuna malattia communicabile per quanto mi è dato conoscere secondo la mia scienza e conoscenza» (Lucana, Nr. III, § 111, p. 107).

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bianca e rossa che sembra una rosa e poi è ingrassa­ta. Insomma a me sembra (e lo dicono anche gli altri) che sia come quando la vidi la prima volta» (Cf. Nota 2 alla Lett. 126a , p. 296). Così anche la malattia ulti­ma di Gemma resta avvolta nel mistero(l3). E Gem­ma stessa aveva predetto del resto che se la metteva­no in convento, sarebbe vissuta fino a 50 anni, altri­menti sarebbe morta a 25 e così avvenne.

L'equilibrio di Gemma, ossia la sfiducia in se stessa, - ciò che è rarissimo negli uomini e non mol­to frequente neppure fra i cristiani - si rinsaldò con le apparizioni fino a non fidarsi delle voci celesti (ac­cettate da P. Germano) ed a mettersi dalla parte degli avversari e, quel ch'è ancora più conturbante, attri­buisce tutto a macchinazioni del diavolo. Sembra in­credibile, ma abbiamo le parole stesse di Gemma. Un anno prima della morte, quindi all'apice della sua purificazione, accennando al P. Germano dei conti­nui rimproveri che riceveva da una religiosa(14), commenta: «Essa mi ha conosciuta. Sì, sì, mi ha ·co­nosciuta; Lei no, ha sbagliato di me e sopra di me: le mie cose non vengono da Dio, ma il tutto viene dal diavolo. E continua, desolata, ma il tono fermo del suo carattere è sempre fiero e consapevole: «Dunque lo prego a non parlare più di me a nessuno, se non per dire realmente chi sono io; mi umilierò, mi penti­rò, e Gesù mi perdonerà con la sua infinita miseri­cordia ». E desidera ecclissarsi completamente: «Mi tolga dal mondo e mi chiuda in un buco strinto, da non vedere più nessuno; farò penitenza di tutti i miei peccati, e farò di tutto per salvarmi; così no, così va

(13) Lucana, Nr. XVII, p. 696. (14) Probabilmente si tratta di una torriera delle Mantellate che

qualche volta l'accompagnava.

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male» (Lett. 105 a, p. 249). E di lì a qualche mese, nel luglio 1902, passa anche dalla parte di Mons. Volpi e lo dichiara espressamente a P. Germano: «Monsi­gnore teme fino dell' Angelo suo; ma son vissuta in­gannata, babbo mio, è vero: Gesù non lo avrebbe fat­to conoscere a Monsignore [ ... ]. Non vò ingannare più nessuno. - Gemma». E aggiunge per confermare: «Babbo, se Monsignore dice così, è segno che ne ha avuto lume da Dio» (Lett. lIsa, p. 276 s.). E intanto «un fuoco misterioso, si comunica al di fuori pure,

. e sulla pelle vi è un che di bruciato: è un fuoco che non tormenta, sa, mi diletta, ma mi finisce, mi consu­ma» (Lett. 117 a , p. 280W 5 ).

È l'ultima fase dell'immolazione. Ritorna ancora qualche ondata delle celesti ma­

nifestazioni e consolazioni (Lett. 118 a , p. 182 s.), ma la vittima si sta consumando e non riesce più a scri­vere e deve servirsi di Eufemia: « Sono sempre am­malata, tanto ammalata; la febbre mi continua sem­pre» (Lett. 119 a, p. 284) e intravede vicina la morte. Il suo realismo cristiano la spinge soltanto a pensare alla salvezza dell'anima che vede sempre in perico­lo ... : fino a chiedersi, in un alternarsi di slanci, di timore e di fiducia: « mi salverò o mi dannerò?» (Lett. 124 a , p. 291). È il tono delle ultime lettere; ma la fiducia in Dio ha il sopravvento, anche se « ... il demonio mi fa guerra accanita» (Lett. 120a , p. 285)(16). Gemma conserva quindi un dominio spiri-

(15) È certamente quell' « amor di Dio» al quale il Sig. Matteo Gian­nini ha attribuito la morte di Gemma, come si è visto.

(16) Anche nella Lett. 127 a del 15 gennaio 1903, dopo una pittore­sca descrizione del suo interno che si riporterà a suo luogo: «Ecco l'in­terno mio, caro babbo, Vi è Gesù che mi suggerisce buoni pensieri; vi è il demonio che fa tutto il contrario» (p. 297). Nella Lett. 130a parla degli « scherzi di Chiappino» che sono gravi molestie fisiche « ... mentre con me Gesù si è un po' nascosto» (p. 304).

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tuale completo della dolorosa situazione. La risposta ultima ai suoi detrattori, vecchi e nuovi, Gemma stes­sa la dà nell'ultima lettera, ch'è per P. Germano, ma ch'è indirizzata alla Madonna, appena a due settima­ne dalla morte: « O Madre mia, preghi sempre Gesù per me; io desidero, sì, che tutti ci contenti Gesù, ma io posso benissimo esse rmi ingannata» (Lett. 131 a,

del 18 marzo 1903, p. 306: corsivo nostro). Eppure, fin dalla bellissima letto 15 a al p. Germano del 21 Setto 1900, quando già Cecilia era passata dalla parte di Mons. Volpi, Gemma scriveva: « E poi la Signora Cecilia mi dice sempre che Lei può benissimo ingan­narsi; io prego Gesù continuamente, e· mi assicura che non permetterà che debba ingannarsi» (p. 42). Né Gemma né P. Germano si erano affatto ingannati sui singolari favori avuti da Dio che la Chiesa stessa ri­conoscerà, come si è visto, nella Bolla di canonizza­zione(17).

Si tratta che Iddio volle portare la sua anima alla suprema purificazione privandola della certezza pro­pria di quei fenomeni con i quali si era andata svol­gendo gran parte della sua vita. Così la « Gemma di Gesù» si purificava di ogni consolazione e certezza sensibile pe illuminarsi soltanto della fede crocifissa nel Crocifisso e desiderare l'estrema liberazione del­la morte: « O babbo mio, preghi Gesù che mi porti seco in Paradiso; nel mondo non ci posso più stare» (1. c., p. 307). Gemma morì nell'incertezza della natu­ra di quegli stessi fenomeni (comprese le Stimmate) che avevano occupato con eccezionale chiarezzza e intensità la sezione ultima e più carismatica della sua esistenza, paga soltanto - tale è stato il disegno

(17) Cf.: A.A.S., Ann. XXXII, S. II, VoI. VIII, p. 99 s.

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della Provvidenza - di espiare con le sue sofferenze i (cosidetti) propri e altrui peccati. Gemma stessa, co­me sappiamo, comprese così la sua missione: «lo so­no la vittima e Gesù è e dev'essere il mio sacrificato­re »(18). Ed aggiunge: « ... mi basta solo di essere la sua vittima e presto, per scontare i miei innumerevo­li peccati e quelli di tutto il mondo (se mi riuscisse)>> (p. 394).

Per cercare di approfondire la nostra risposta al­l'offesa dell'interpretazione d'isteria e di nevrosi, vo­gliamo ritornare con qualche cenno sull'equilibrio psichico eccezionale di Gemma, in quella che - date le sue eccezionali condizioni - si potrebbe chiamare una «normalità supernormale », frutto del suo com­pleto abbandono in Dio e della guida interiore dello Spirito Santo. Si tratta che Gemma, malgrado tante pene di corpo e di spirito ed oppressa dalle tentazio­ni di ogni genere che toccavano gli estremi della grossolanità e volgarità e insieme le raffinatezze del­l'astuzia più accorta, mai sprofondava nella malinco­nia (propria dei nevrotici), ma sapeva mantenersi in gioia. Lo dice (come si è già visto) quasi di continuo ai suoi direttori di spirito: è un documentario scarno, ma significativo. Altre testimonianze:

1. Al P. Germano. È appena iniziata la bufera del­la vocazione passionista e la Santa già teme d'ingan­narsi e d'ingannare. Assorta nei suoi pensieri, non s'accorge di quanto le accade d'intorno: «Tante volte mi accade che mi domandano una cosa o fanno di­scorsi, ma io non capisco nulla e allora ho della mat­tuccia, quando voglio. Allora mi sento contenta» (Lett. 5 a, p. 17). Allude certamente a questo quando

(18) Lett. 65" a Mons. Volpi, p. 393 (già incontrata).

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nella lettera 63 a, a commento delle sue effusioni con Gesù, scrive: «O babbo mio, aggiunga pure anche Lei, come tanti altri: dica che sono matta» (p. 167). Nella letto 15 a del 21 Settembre 1900, dopo una pro­fessione di profonda umiltà, mostra che la fonte del­la sua gioia è ricevere Gesù: «Ogni mattina per tem­po Gesù viene a me, e mi fa essere pure contenta! non ho più nulla a desiderare, io sono felice »(19).

E si domanda con ingenuo candore: «Se poi Gesù si alontana, se poi quando lo chiamo, si volta da un'altra parte, che farò?» (p. 41 s.). A questa doman­da la risposta di Gemma, in tutto il restnte della sua vita, è segnata la partecipazione sempre più intensa e accasciante alla Passione di Cristo. E mentre nella letto 18 a a P. Germano rinnova l'accettazione di tutte le sofferenze che l'attendono, lo incarica di dire a Ge­sù « .... anch'io sono contenta» (p. 52). eD).

E le prove non si fanno attendere e Gemma sa mantenere la promessa: «La mia testa è vuota, Bab­bo babbo, sto continuamente peccando, soffro; ma se Gesù è contento, io pure lo sono» (Lett. 79 a , p. 207). Nella letto 113 a (del 12 setto 1902), mentre l'ultima bu­fera si sta avvicinando fra alterne schiarite e la San­ta ha riavuto la salute sub conditione (<< Dì al tuo bab­bo che te la dono, ma se non pensa a te, io te la ritol-

(19) Anche più tardi: «Sono felice con Gesù solo» (Lett. 50", p. 136). ed il fuoco dell'anima cresce: « Fuggo tutti i piaceri della vita, e trovo invece un piacere tanto grosso, che mi fa contenta tutta» (Lett. 63, p. 167). E nella seguente Lett. 64", di fronte al silenzio del Padre: « ... sono contenta lo stesso, perché so bene le cose da Gesù» (p. 170). Ma anche se Gesù si allontana « ... io sono contenta lo stesso» (Lett. 30", p. 86).

(20) Nella letto 30' del 24 novembre 1900, malgrado lo stato di ari· dità, professa la sua obbedienza: « ... prendo tutto; sono poi contenta, per­ché questo è il volere di Dio ». E verso la fine, anche se l'Angelo appena lo sente: «Ma che importa? lo sono contenta» (p. 87). Tre volte quindi nella stessa Lettera!

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go e ti porto con me»), esclama e implora: «Preghi, babbo mio; ha inteso? lo sono contenta». Segue la dichiarazione eroica: «Non glielo chiedo più di anda­re in convento, se un convento migliore mi attende» (p. 283)(21). E nella letto 123 a , malgrado l'accrescersi delle prove, esclama: «Viva Gesù! Babbo mio, io sono contenta» e l'invita: «Stia contento» e gli promette di abbandonarsi completamente a Gesù e di umiliar­si sotto la potente mano di Dio (p. 289 s.). Avvicinan­dosi alla fine, la santa figliola deve tranquillizzare lei il buon Padre: «Ma, babbo mio, mi raccomanda sem­pre pace, eppure agli altri non sembrerà che io vi sia, ma ci sono in pace [ ... ]. Se sto seria e taciturna, è solo all'esterno; nell'interno godo una pace, che mai o po­che volte ho provato» (p. 303).

Questa eccezionale disposizione d'animo, che at­testa un dominio totale del proprio spirito, forma il prologo dell'ultima mirabile letto 131 a: «Caro mio Dio! Madre mia, la mia debole sorte continua in que­sta vita con la battaglia, ma san contenta. Tra il timo­re e la speranza mi abbandono in Dio» (p. 305). Che si vuole di più? Dobbiamo anche noi ripetere il grido gioioso del ritrovato Gesù, che si legge nella letto 26 a

del 10-12 novembre, presa da Gesù e poi recapitata il 14): «Non più: povera Gemma, ma evviva Gemma» (p. 76). Benché straziata dalle molestie del diavolo e dalla sofferenza, come Gesù in Croce ... (la lingua dall'arsu­ra le si era attaccata al palato!), Gemma morì serena, con piena coscienza e col perfetto abbandono in Dio.

2. A Mons. Volpi. Dato il diverso tipo di rapporto che la Santa aveva col Confessore, col quale non po-

(21) È la Lettera che narra anche il «caro scherzetto» di Gesù, di cui si è detto a suo luogo.

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teva certamene effondere tutta la sua innocente spontaneità, come con il buon passioni sa che Dio stesso le aveva mandato per sostegno, anche le espressioni sono più contenute. Eppure già nella pri­ma lettera del maggio-giugno 1899 l'informa di un lieto incidente occorsole in S. Michele dove si era re­cata per confessarsi: « Ieri mattina e ieri mattina l'al­tra, quando ebbi fatta la Comunione (ero in S. Miche­le, perché volevo Lei) ero contenta; volevo stare buo­na, e nessuno si avvedesse che avevo Gesù (p. 309 s.), ma non mi riuscì: ero troppo contenta; quel che ac­cadde non so, so però che dopo una signora credeva che mi sentissi male; non mi lasciò finché non venne­ro a prendermi. Stavo tanto bene ... ». Anche nella letto 2 a (luglio 1899) l'informa di una visione della Madon­na che la vuole passionista e commenta: « Anderò via così come sono, senza niente; non mi ripugna niente il soffrire: non arriverò a soffrire quanto ha sofferto Gesù; e poi sono contenta, se a forza di sacrifizi po­trò entrare fra le Passioniste» (p. 311). Ma lo stile 'di Gemma col Confessore è spesso velato di tristezza, soprattutto dopo la famosa visita e diagnosi d'isteri­smo del dr. Pfanner, voluta dal Volpi contro la diffi­da messa per iscritto da Gemma e inviata al Confes­sore tramite Cecilia. Intanto gli riferisce una propo­sta di « Confratel Gabriele» d'impegnarsi per un Settenario di preghiere alla Vergine Addolorata (con la recita quotidiana dello Stabat Mater) e aggiunge: « lo gli ho scritto questo per obbedire, se poi Lei non mi crede (!), io sono contenta lo stesso» (Lett. 9 a , p. 321). Lo stile sembra poco diplomatico, eppure tutta la lettera è ispirata a rispettoso ritegno e delicatezza.

Al Confessore riserva la confidenza dell'ultima purificazione. Nella letto 65 a (luglio 1902), dopo aver-

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lo informato di alcuni fenomeni dolorosi (strette al cuore ... ), aggiunge: «Dopo che era accaduto tutto questo, mi sentivo come consumare adagio, adagio: in quella stretta era il dolore, e quando sentivo con­sumarsi, era il contento. Avesse sentito che dolcezza in quel momento! non mi so spiegare». E nella postil­la, con uno stile di arcangelo vittorioso: «In ogni mo­do sono contenta ». E lo ripete: «lo sono contenta in ogni modo, e se Gesù davvero volesse il sacrificio del­la vita, io glielo faccio subito: mi basta solo - come già aveva scritto al P. Germano - di essere la vittima e presto, per scontare i miei innumerevoli peccati e quelli di tutto il mondo (se mi riuscisse)>> (p. 393 s.). In chiave di questa rassegnazione, nell'attesa gioiosa del distacco dell'anima dal corpo, sono le due ultime righe dell'ultima lettera (67 a ) della fine di ottobre 1902: «Ancora così? - Sono in ogni modo contenta» (p. 395).

Questo «stile» di Gemma, che va di sorpresa in sorpresa nell'apparente e (quasi) tragica conclusione della sua esistenza, è un inno alla vita e la celebrazio­ne luminosa del trionfo di una libertà invincibile quando s'inserisce, come quella di Gemma, nella for­za di attrazione ineffabile della Croce di Cristo. È forse questo che spiega il fascino forte e misterioso che le parole di Gemma esercitano sull'uomo con­temporaneo, smarrito nella foschia della caduta di tutti i valori. Quel suo volto soave, dallo sguardo pu­ro e profondo, è un invito per noi alla sequela della via regia sanctae crucis ch'Ella seppe percorrere, fra le tenebre del mondo, con amore inestinguibile per il suo Dio e Salvatore Gesù Cristo.

Aveva allora Gemma « ... una natura tendenzial­mente nevrotica»? L'afferma la prima relazione di

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apertura al Convegno di Lucca (8-13 setto 1978) e il segno sarebbe «il cadenzato, insistente, a volte oppri­mente, ritorno del tema del peccato negli scritti di S. Gemma Galgani »(22). Il seguito della relazione ci sembra temperi di molto (anche se non lo dissipa del tutto) l'impressione negativa che potrebbe dare una simile categorica affermazione. L'Autore infatti non condivide a parole la diagnosi di «isterismo» del Dott. Pfanner e la considera giustamente una «ingiu­ria », ma non sembra esatto l'affermare che «l'ingiu­ria verso di lei cadeva in un essere sempre più prova­to dalla malattia ... » poiché al tempo della visita del dottore, il venerdì 8 settembre 1899, Gemma era in buona salute: le uniche sofferenze erano quelle che provenivano dalle Stimmate tra il giovedì e il vener­dì, passate le quali Gemma riprendeva il suo aspetto florido e colore naturale, malgrado le copiose perdite di sangue(23). La realtà è che il Dott. Pfanner sba­gliò di grosso e con lui e a causa di lui sbagliarono Mons. Volpi, le sue penitenti, e in primis Cecilia, che lo seguirono nell'errore creando a Gemma un Calva­rio ben più duro delle sue sofferenze mistiche, per­ché lesivo della sua dignità di donna e di cristiana ed estremamente umiliante. L'errore, coltivato e mantenuto nel modo più caparbio, provocò in Gem­ma lo scrupolo cocente, tremendo - come abbiamo documentato - d'ingannarsi e d'ingannare, che di­venne sempre più acuto e l'angustiò, con pena indici­bile, fin nelle ultime settimane di vita ... fino a per-

(22) Cfr. il voI. degli Atti: Mistica e misticismo, Roma 1979, p. 20. - L'A. riconosce, nel seguito dell'esposizione, l'importanza decisiva del «senso cristiano del peccato» ed il significato della vita straordinaria di Gemma di essersi offerta «vittima» per i peccatori (p. 22).

(23) Cf. nota prec.

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suadersi lei stessa, stretta in quell'assedio, di essere stata ingannata. Ora, raramente nella vita dello spiri­to, anche se si tratta di una permissione di Dio, si è fatta un'ingiustizia tanto grande e palese.

Verifichiamo un po' la nozione che la psicopato­logia ci dà della nevrosi(24). Essa è costituita da «un insieme di disturbi psichici che si manifestano in certi individui ogni volta che essi falliscono i ten­tativi di superare con successo difficili situazioni esterne o conflitti interiori». La causa della nevrosi sarebbe il fatto che i nevrotici vivono una vita di con­trasti, in soddisfazioni e condizionamenti e sorge per­ciò il conflitto fra ciò che l'individuo vorrebbe essere e ciò che realmente è: di qui pertanto le nevrosi d'in­soddisfazione, competitive, di frustrazione, di deside­rio, di solitudine, ecc. Questa nozione, per il suo ca­rattere troppo vago, però non permette un'analisi molto precisa anche perché, o per un lato o per un altro, ci possiamo entrare più o meno tutti. Ma se prendiamo il nucleo centrale, che sembra essere la conflittualità psichica per frustrazione, l'applicazio­ne a Gemma è evidente ed istruttiva. Ma basti il fat­to, da noi documentato, che Gemma, comunque vada­no le cose ed anche quando vanno per il verso peggio­re rispetto alle sue attese, ella si dichiara sempre e comunque contenta(2S). Qui siamo agli antipodi del­la nevrosi.

Ma c'è dell'altro che svela più da vicino la super-

(24) Cf. Grande Enciclopedia Medica C~rcio, t. IV, S.v., p. 1395. (25) Uno studio comparato di quest'atteggiamento di Gemma, che

non è di piatta indifferenza ma di superiore conformità alla volontà di Dio, condotto secondo i recenti progressi della psicopatologia mettereb­be ancor meglio in luce quella che a noi piace chiamare la «normalità supernormale» di Gemma (Per l'analisi differenziale, della nevrosi: Cf. K. Jaspers, Allg. Psychopathologie, ed. cit., p. 481 ss.).

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ficialità e l'inconsistenza di quella diagnosi, Gemma è tutt'altro che un'individualità frustrata e fallita. Come donna, giovinetta e nel fiore degli anni, fu am­mirata e cercata, fu chiesta perfino la sua mano (da aspiranti di buona condizione sociale). È stata lei a rifiutare e con maniere anche sbrigative, senza nes­sun tentannamento: ne fanno fede l'Autobiografia e le testimonianze dei Processi. Ed il suo fermo rifiuto è stato per la consapevolezza ed il proposito di un ideale superiore al quale si sentiva predestinata (<< lo voglio essere tutta e sola di Gesù»).

Ad un livello superiore, quello della vita religiosa propriamente detta, Gemma potrebbe dirsi una fru­strata: cioè nella sua vocazione (tante volte dichiara­ta) di passionista? Ma anche questa è una considera­zione molto superficiale e la questione, in sé assai complessa, è stata già affrontata da altri con molto impegno e qualcosa si è detto a proposito anche in queste nostre spigolature. La vocazione passionista di Gemma, lo sappiamo tutti, viene dalle voci celesti (<< Tu sarai Passionista», «Figlia della mia Passione», «Sorella mia » ... - cosÌ Gesù, la Madonna, S. Gabrie­le ... ) e la fanciulla esulta di quest'ideale, scrive e cer­ca in ogni direzione, si agita ... chiede appoggio ... ma invano e tutto sfuma per lei: la quale però non si con­sidera affatto una frustrata od una sconfitta perché alla fine comprende da Gesù, come già abbiamo rife­rito, che le è riservato un «convento migliore». Ad ogni modo la risposta a tutte queste insinuazioni di fallimento degli ideali di Gemma è il suo costante, dolce e fermo proposito di conformità alla volontà di Dio, di riconoscerla con gioia e pace anche negli eventi più dolorosi e di saper rispondere con il suo stile vittorioso fin sul letto di morte: «Sono in ogni

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modo contenta» - come abbiamo copiosamente ri­portato.

Ma la vera e prima ed ultima aspirazione di Gem­ma è stata quella che dev'essere di ogni cristiano, il Paradiso che Gemma apprese al letto della mamma morente che voleva portarsela con sé: « Fu la mamma mia, babbo mio, che cominciò da piccina a farmi de­siderare il Paradiso, e se ancora desidero e ci voglio andare, ho delle belle gridate, e un bel no mi sento rispondere »(26). Un'aspirazione, l'aspirazione essen­ziale del cristiano, di congiungersi, nella vita eterna, con Dio, il cui compimento è stato garantito per Gemma dall'impegnativo giudizio della Chiesa sulla sua santità elevandola agli onori degli altari, allora: non più la « povera Gemma », ma viva Gemma!

(26) Autobiografia, in «Estasi, Diario ... ", p. 223).

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CONCLUSIONE

Fra luci e tenebre

Anima schietta e cristallina, unicamente preoc­cupata di obbedire a Dio e a coloro che per lei lo rappresentano, Gemma è un enigma a se stessa e agli altri: lo è oggi anche per noi. Chiunque si mette a teorizzare con questa vita, almeno per quel tanto che gli scritti della protagonista ce la fanno conoscere, finisce presto e facilmente fuori strada, non solo per l'accavallarsi dei contrasti ma anche per la qualità dei conflitti che invadono tutte le pieghe dello spiri­to: fantasia, memoria, sensibilità, intelligenza, volon­tà, affettività ... Immersa in continue comunicazioni col misterioso mondo della grazia, Gemma si spaven­ta e teme e soffre a manifestarsi, anche se poi si pie­ga al precetto dell'obbedienza: {( Ma quanto soffro -scriveva nel Diario di venerdì 17 agosto 1900 - nel dover scrivere certe cose! La ripugnanza che provavo sul principio, anziché diminuirmi, assai più si va a crescere, ed io provo una pena da morire. Quante vol­te oggi ho tentato di cercarli e bruciarli tutti [i miei scritti]! ». E, riflettendo, ancora si domanda: {( E poi? Tu forse, o Dio mio, vorresti che scrivessi anche quel­le cose occulte, che mi fai conoscere per tua bontà, per sempre più tenermi bassa e umiliarmi? Se lo vuoi, o Gesù, son pronta a fare anche quello: fa' cono­scere la tua volontà. Ma questi scritti a che gioveran-

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no poi? Per tua maggiore gloria, o Gesù, o per farmi sempre più cadere nei peccati? Tu che hai voluto che faccia così, io l'ho fatto. Tu pensaci; nella piaga del tuo S. Costato, o Gesù, nascondo ogni mia parola» (p. 200). Questa è vera grandezza spirituale (ed il te­sto già lo conosciamo).

Al confessore scrive: {( Gesù poi mi fece conoscere che Lei non crede niente a tutto quello che io nelle confessioni gli dico». Ma Gemma, come sappiamo, non se la prende affatto: {( Ti dispiace?» disse Gesù ... O no - dissi - Gesù sono cose che le hai permesse tu; tu l'hai fatte, tu pensaci. .. » - Desidera anzi di esse­re liberata da tutte le comunicazioni e cose straordi­narie: {( Lo pregai anche che mi liberasse da tante co­se da quelle del Venerdì... (Lett. 17 a , p. 335). Il distac­co è completo: eppure Gemma in questi fenomeni provava la suprema unione col suo Dio e Salvatore; ne era sicura, ma temeva sempre. E la ripugnanza nello scrivere le cresceva: {( Ero decisa, scriveva un po' prima sempre a Monsignore, di non più scriver­gli, perché il demonio mi dice che tutti i miei scritti lei l'ha sempre tutti, che poi un tempo serviranno per tante cose. Neppure oggi volevo scrivergli, ma poi ha vinto Gesù» (Lett. 13 a, p. 329)(1). Di questo totale distacco, che ad un osservatore superficiale potrebbe sembrare quasi un disprezzo dei doni di Dio, abbia­mo già riportato la dichiarazione a P. Germano quasi incredibile: {( Se restasse a me la scelta, rimarrei così; senza Gesù, senza altri» (Lett. 29 a , p. 84). Ed obbedi­sce subito, quando il Confessore le proibisce tutti i fenomeni straordinari». Oggi Gesù ... oggi Gesù, il

(l) E Gesù vuole che dica tutto al Confessore, com'ella spesso gli scrive: p. es. Lett. 15 a , p. 332; Lett. 17 a , pago 334 ... ). Anche nell'estasi 23 a

del sabato 21 aprile: « Gesù vuole che dica tutto al confessore» (p. 35).

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sangue non vuole il Confessore ... Non vuole. - O Gesù, devo obbedire» (Estasi 29 a , p. 44). Ed è un desiderio sincero che torna a manifestare nella lettera del 3 febbraio 1901: «Prego tanto sa, perché Gesù mi met­ta nella via ordinaria, e questa grazia la voglio per­ché le cose cominciano, mi sembra, a sapersi. Anche in questa casa(2), che devono pensare che il Vener­dì non mi vedono quasi mai?» (Lett. 42 a , p. 120). E Gemma, quasi si diverte ad attribuire tutto alla sua «testa matta »; tutti giochi della sua fantasia! Si ag­giunga a tutto questo - ed è l'aspetto più profondo della sua personalità - la sua straziante coscienza del peccato che le fa apparire di essere la più inde­gna di tutte le creature. Certa e incerta quindi, e con un Confessore sempre incerto e diffidente: la venuta e l'opera di P. Germano ha sicuramente liberato la Santa negli ultimi tre anni da una situazione assurda e umanamente insopportabile.

E qui si può ricordare, e soprattutto si deve cer­care d'immaginare, la pena dell'umile penitente, sballottata fra l'indirizzo limpido e coerente di P. Germano e le continue oscillazioni del Confessore. Ma, a giudicare della Lett. 76 a , anche il pio Passioni­sta aveva qualche giorno storto e Gemma, come si è visto, non teme di richiamarlo ma comincia col con­solarlo: «Povero babbo mio, come soffre! È vero? Ha paura di essere compromesso o Lei o il Provinciale. Ma non tema di nulla: o perché tanta paura, mentre che Gesù se ne sta quieto, e se gli parlo di queste cose ride e ci scherza? ». Ed ora la pace con Monsi­gnore: «Mi raccomando, babbo benedetto, non [se] la prenda con Mons.: esso è buono e fa di tutto per il

(2) La famiglia Giannini. - Anche nella letto 46 a : « O quanto mi so­no affaticata perché Gesù mi metta nella via comune!" (p. 129).

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mio maggiore bene; fa di tutto per salvarmi l'anima)} (p. 199). E coglie volentieri le occasioni per parlarne in bene, senza però illudersi che la sua situazione mi­gliori sotto l'aspetto umano: «Monsignore è tornato - scrive nella seguente lettera 77 a del 1 settembre 1901: ieri sera mi confessai, lo trovai cosÌ buono, che proprio non sapevo che pensare. Scusiamolo, povero Monsignore, quando alle volte sembra inquieto e noiato di me; non è colpa sua, è Gesù che cosÌ per­mette. Éh, babbo, si andrà forse anche peggio! (p. 201). Ed è commovente la confessione che si legge dell'estasi 39 a : «Non temere, Gesù: starò sempre così nella umiliazione. Ma io sÌ, Gesù, che mi conosco; non tutti però, Gesù, mi conoscono. E chi è, Gesù, dunque che mi conosce ? .. Il Confessore non anche? O che aspetti? E come hai fatto, Gesù, a farmi cono­scere prima da P. Germano che al Confessore? Ma io, Gesù, gli scrissi; feci tutto quello che volevi te)}. Non sorprende allora il lamento che si legge all'inizio della stessa estasi: «Soffro, sai, Gesù, ma nessuno lo sa: soffro sola» (p. 60). Lo scrive anche a P. Germano fin dalla letto 3 a : «Sono abbandonata quasi anche da Gesù. E allora che farò? (p. 13). E per suo conto con­fessa: «Il mio cuore sembra divenuto di ghiaccio: non si scuote, è sempre freddo)} (Lett. 26 a , p. 77). Anche le Estasi (dopo una lotta col diavolo): «È tuo, ve', il mio cuore, è tutto tuo: ma è freddo e duro)} (E. 32 a,

p. 50). Circondata dalle carezze di Cristo e della Madon­

na, privilegiata dalle visite degli Angeli e dei Santi, l'anima di Gemma è gettata nelle tentazioni più umi­lianti contro tutte le virtù: spesso lasciata in balia del demonio, come si è visto. Sintomatico il racconto della letto 41 a al Confessore che riprendiamo: «Ieri

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notte passai al solito una brutta nottata; il diavolo mi venne davanti come un uomo grosso grosso e lun­go lungo, e mi picchiò tutta la notte, mi diceva: «Tu forse credi che Gesù ti voglia bene, invece ti ha ab­bandonata; per te non ci è speranza che tu ti possa salvare: sei nelle mie mani ». Risposi che Dio è mise­ricordioso, e non temevo nulla; allora lui arrabbiato disse, dandomi un colpo forte al capo: «Maledetta te!» e sparì. Nella Comunione del mattino seguente Gesù le spiega che «... il regalo più grosso ch' egli possa fare è di soffrire: « ... che il segno unico [si badi bene!] del mio amore è quando do da soffrire ». Ma proprio da parte del diavolo? Il quale, la notte se­guente, ritorna alla carica per martoriare l'inerme creatura: «lo dicevo di no, e lui bussava più fortel. .. » fino a sbatterle la testa per terra. La malcapitata in­voca in aiuto S. Gabriele il quale accorre assieme ad un altro Passionista vecchioe) e la libera dalla ves­sazione. La situazione, invece di migliorare, sembra aggravarsi col passare del tempo fino al buio finale di cui scrive a Serafina: «Che buio! sorella mia, ma un buio che non so come dire - Gesù non c'è per me» (Lett. 8 a, p. 452).

Sembra quindi proprio che Cristo e il diavolo si siano accordati per tenere questa creatura sotto i tormenti più atroci. Aveva chiesto di essere liberata dalle tentazioni contro la purezza MA IL DEMONIO NON LE DA' TREGUA. Il Diario del 1 settembre no­ta, con stupore, dopo un periodo di calma: «Per tutto oggi sono stata senza nessuna tentazione; verso sera me ne è sopraggiunta una all'improvviso, nella ma­niera più brutta. E qui non credo bene di narrare,

(J) Gli Editori pensano a S. Paolo della Croce.

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perché troppo ... » (p. 215). I puntini sono facili da riempire. Il Signore le aveva detto che « ... le battitu­re (a cui la sottomette) ... termineranno quando an­drai in convento»: lo scrive al Confessore (Lett. 19 a ,

p. 337) e noi già sappiamo come questo progetto sia andato a finire - cioè umanamente parlando, e chie­do scusa dell'espressione forse irriverente, in una co­cente beffa per la povera Gemma. E come si difende Gemma? Sprofondandosi nel suo nulla: « lo ho tanta paura dell'anima mia, ho paura di dannarmi ... » scri­ve al buon P. Germano (Lett. 53 a , p. 142). Ad Annetta Giannini il 9 agosto 1900 confida: « lo sto benissimo nel corpo, ma del resto, chi sa? Tremo sempre» (Lett. 3 a , p. 439). E noi sappiamo che Gemma era tutt'altro che una pusillanime od una piagnona: delicata e sen­sibile all'estremo, ma anche forte e superiore alle in­certezze e debolezze degli uomini e di quanti aveva attorno, fossero anche un eccellentissimo Vescovo ed un insigne Passionista.

Gemma è giovane ed ha vivo il senso della pro­pria personalità, perciò soffre quando si vede oggetto della meschinità altrui: ne ebbe molte e qualcuna ostinata e proterva, come quella del segretario (e un po' la ninfa I egeria') di Mons. Volpi, il citato can. Far­nocchia il quale tentò di sfogare il suo malanimo fin nelle deposizioni dei Processi (4 ), come si è detto.

E Gemma è fiera del suo stato e sa unire nello stesso testo i sentimenti più opposti, come nella Lett. 13 a al P. Germano, con stile veemente ed umile: « Va bene? Babbo mio, io sono di Gesù: nacqui per Lui;

(4) I sotto promotori della fede al Processo pisano, presieduto dal Card. P. Maffi, danno del Farnocchia un severo giudizio (Proc. bol. 8 Resp. ad animadversiones Prom. gen. Fidei, Caput alterum § 31, p. 45 . . La deposizione del F. si trova nel Proc. Ord., col 774).

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che mai vorrà da questa ignorante e cattiva? » Anche nella letto 33 a del 3 dicembre 1900: «E non ha forse ragione (Gesù) di esigere tutto da me, che mi fece tut­ta per sé?» (p. 97). E voleva, ne aveva l'impulso, (di) vendicarsi col suo «più grande nemico », il suo più grande avversario(5), ma docile al Confessore lo raccomanda a Gesù: «Guidalo, accompagnalo; e se la tua mano deve gravare sopra di lui, no, sopra di me; dagli tanto bene, o Gesù ». Ma sentimenti opposti si battagliano nella sua anima (e già abbiamo incontra­to questi testi). Continua: «Gran forza, Gesù, mi ci vuole. Non l'abbandonare, consolalo; che importa che tu lasci me nei dolori? ma lui no. Te lo raccoman­do ora e per sempre. Se tu non fossi tu che mi aiutas­si, mi sento tutta bollire; vorrei vendicarmi, ma no, ma no; perché vendicarmi? Tu lo sai, Gesù, ma io no; la vendetta l'avrei io nelle mani, ma no; col tuo aiuto Gesù, no, resisterò sempre ». E confessa candidamen­te: « E che farò e come farò? ... Tu sentissi oggi, Gesù la forza che mi ci vuole! Vuoi che te lo dica, Gesù? Avrei voluto vendicarmi ora che era stato vicino; ma potrei ancora che va lontano. In quel momento di rabbia che ieri proferii al Confessore ... Non avrei vo­luto farlo, ma in confessione non ne parla a nessu­no ». E finisce vittoriosa alla grande: «Ogni giorno, Gesù, vuole [il confessore] che te lo raccomandi; sì, te lo raccomando: pensaci. Guidalo, Gesù, guidalo te, e se credi bene, Gesù, fàllo, fàllo (non per me, ma per il Confessore), fàllo tacere, se credi bene, Gesù. Non li merita il Confessore questi dispiaceri; io sì» (E. 2S a , p. 42 s.). È questa forse una delle pagine più concitate ed eroiche.

(5) Come si è accennato, non si sa chi fosse. Sappiamo da vari epi­sodi, ricordati nei Processi, che in qualche settore del clero di Lucca ser­peggiava del malanimo verso l'umile estatica.

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È il tema della «rabbia ». Si trova spesso sotto la sua penna: Gemma non sopporta i maneggi e le falsità. Sappiamo la sua franchezza con le apparizio­ni celesti, e con lo stesso Gesù, sempre per il timore di essere ingannata. Non lesina i rimproveri al Con­fessore per il convento che secondo Gesù è un'impre­sa facile: «Dunque se è facile, perché Lei non ci pen­sa? Obbedisca a Gesù» (Lett. 14 a , p. 330). Ma per quanto la riguarda è di un'obbedienza assoluta: «Se Lei vuole, lo voglio anch'io; se no, no» (Lett. 13 a, p. 329). Nelle Estasi è consapevole della libertà e del sa­crificio di offrirla al suo Gesù: «Incatenami, ti cedo tutta quella libertà che per tanti anni mi sono abusa­ta» (E. 75 a, p. 100). E prima: «Sì, Gesù, ti cedo la mia libertà, affinché divenga schiava per sempre» (E. 64 a , p. 90). Ed in senso positivo: «Lasciami pure la libertà; io ti amerò dappertutto, io ti cercherò sem­pre» (E. 77 a , p. 102).

Fiera ed altera(6) di carattere, Gemma riversa in Gesù la sua impazienza di amore e non trova più le parole adatte per esprimere tutto il trasporto del­l'anima. La tensione del Gesù vicino-lontano, la spin­ta dell'infinita brama e l'amara realtà dell'esilio ter­reno e della solitudine del mondo la consumano. E la penna pare trascendere i limiti del conveniente e se la prende direttamente con lo stesso Gesù: «lo lo cerco - scrive a P. Germano il 22 maggio 1901 -e non si fa trovare ... E quasi quasi mi arrabbio e gli dico che è scortese ... Alle volte l'ho chiamato fino cru-dele ... ma gli ho chiesto subito perdono, perché certe parole non le dico mica per rabbia, ma perché gli va' troppo bene» (Lett. 63 a , p. 167).

(6) «Vado altera, Gesù, dei tuoi favori, ma conosco la mia debolez­za» - esclama nell'estasi 66 a del venerdì 13 dicembre 1901 (p. 92).

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Anche qui allora la «dinamica del contrasto?» Essa ritorna nell'estasi contemporanea dello stesso mese di maggio 1901: «Che pace, che quiete anche che tu ti nasconda ... Ma io voglio venir con te: dove vai? .. Allontànati quanto vuoi; io ti verrò sempre die­tro. Perché prima mi dimostravi tanto amore, e poi per farmi così? Gesù crudele! È l'amore che avevo per te, che mi fa parlare così. Perdonami, o Amor mio; è il tuo amore che mi fa così parlare. Ma se tu non ritorni, o mio Dio, io morirò» (E. 56 , p. 85). E anela allo sposalizio spirituale in un crescendo di umile e profonda commozione: «O Gesù, tu abbi pie­tà di me ... Abbi pietà di una peccatrice ... che ti è co­stata la vita. Perdonami, mio Dio. Sono orfana, non ho più padre, non ho più madre: abbi pietà degli orfa­ni, tu abbi pietà di me. Sono un frutto della tua Pas­sione, sono un germoglio delle tue piaghe ... » (E. 57 a,

p. 86). Gli stessi opposti sentimenti il venerdì 25 otto­bre: «O Gesù, io che meriterei di starmene nell'infer­no a bruciare ... e tu mi fai provare le delizie dell'a­mor tuo?» (E. 59 a , p. 87). L'attrazione cresce ... , come leggiamo nell'estasi del mercoledì 20 e domenica 24 novembre, mentre ha l'impressione che Gesù la rim­proveri: «È il tuo cuore, Gesù, che batte sul mio ... che potenza di amore! E dimmelo ... fammi felice, Ge­sù, dammi la consolazione che ti chiedo .. , ripetimi quelle care parole che mi dicesti domenica... Gesù quando diverrai tu sposo mio?» - «Gesù, sposo dell'a­nima mia! Come mi piace, Gesù, chiamarti così! » (E. 61 a_62 a, p. 88)(1).

Ma insieme - ed ecco ancora il contrasto - essa

e) La promessa del divino sposalizio c'è già nella letto 6 a al Con­fessore del 12 settembre 1899, riportata sopra: «Quando sarò tuo sposo di sangue, io ti vorrò, ma crocifissa» (p. 317).

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soffre sempre della sua condizione terrena e Gesù stesso la richiama alla Croce: « ... la Croce dunque sarà la mia consolazione, la mia dolcezza, la gloria mia ». Il testo che segue fa l'effetto del vento impe­tuoso che rompe l'idillio e spazza via l'incanto: «Allo­ra gli feci la narrazione degli effetti che faceva in me la croce; gli dissi che più volte gemerà il mio senso, si rattristerà l'amor proprio, fremeranno le mie pas­sioni, si risentirà la natura; ma il mio spirito fino a quel momento insieme alla mia volontà, confortata dalla grazia di Gesù, sarà forte ». E mentre sente l'im­pulso di morire per andare con Gesù in cielo, lo sup­plica: «O Gesù, questa povera anima, essendo legata a questo povero vilissimo corpo, e non potendo a te volare, batte le suç ali e si solleva come può per veni­re a te più vicina; si solleva con lo spirito, poiché questo non è legato come il corpo ... » Nel fervore del­l'Estasi la Santa avverte di non sentire più il suo cuo­re, impaziente di andare a Gesù: «Già da se stesso, non ha voluto più essere mio, si è dato tutto a Gesu ». È la consumazione dell'ultima donazione: «E Gesù, con la sua voce amabile e insieme penetrante mi ri­spose: «L'ho vinto» (E. 6S a , p. 93 s.).

Il contrasto che intendiamo indicare come l'ani­ma della vocazione mistica di Gemma, e quasi la luce della sua missione ecclesiale, domina anche quello che può dirsi il suo «inno all'amore» che è l'estasi del 21 dicembre e varrebbe la pena di confrontarlo con quello più conosciuto della Storia di un 'anima di S. Teresa del Bambino Gesù. Quello di Gemma è tutto sussulti e finisce nel pianto: «Lode all'amore sviscerato di Gesù, che mosso a pietà della mia mise­ria, mi offre tutti i mezzi per arrivare al suo amore! Tu, Gesù, sei un tesoro da me non conosciuto ... ma

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ora ti ho conosciuto tutto mio, specialmente il tuo cuore. Sì, è mio, perché più volte l'hai donato a me tutto intiero. Chi l'avrebbe mai detto che il tuo cuore e il mio dovessero stare sempre insieme? Ma il tuo ripieno di luce, e il mio ripieno di tenebre ... Sei trop­po liberale, Gesù ... Gli Angeli soli, Signore, son testi­moni dei tratti del tuo amore nell'anima. Gesù, Para­diso mio qui in terra, quando, quando, Gesù ... passe­rò da queste folte tenebre alla luce sì chiara del mio Gesù? Quando passerà la paura di perderti? .. Sì, te­mo, temo, Gesù, più di me stessa che di tutti i tor­menti ». La finale è drammatica: «Non lo vedi, Gesù, che quando tu mi mandi un po' di croce, io piango? Ma non ti curare del pianto mio; crocifiggimi pure. La mia somma gloria è piacere a te. Son contenta che le tue spine penetrino nell'anima mia» (E. 69 a , p. 94 s.). Amore e miseria, luce e tenebre, gioia e paura, celesti carezze e spine e pianto ... - questo conflitto è il mistero di grazia dell'itinerario di Gemma.

Le estasi del 1902 sembrano tenersi tutte su que­sta corda dolente del sentimento della sua indegnità ed è il povero lettore allora, consapevole di ben altra indegnità, che si sgomenta e non raccapezza più nul­la. Ecco l'estasi dell'8 gennaio 1902: «O Gesù, quanto tempo ho perduto! Quanti anni potevo amarti tanto, e non ho fatto altro che disprezzarti! Ma la tua bontà mi fa sperare di poter rimettere il tempo perduto. Quanti peccati, o Gesù! Togline il peso: mi fanno ri­brezzo il gran numero. Accetto, Gesù, tutte le pene, tutte le afflizioni che mi manderai; ne meriterei tante di più. Sarebbe tutta misericordia, Gesù, ~e tu accu­mulassi afflizioni, anzi, Gesù, se tu me ne vuoi ag­giungere ... sì, Gesù, se tu ne vuoi aggiungere, bacerò sempre la tua mano. Vedi, Gesù, questo dolore mi

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scuote tutte le fibre del cuore e m'impegna a non of­fenderti più ». E nella brama di disprezzo e d'immola­zione, è disposta a fare anche il sacrificio di P. Ger­mano, a colui che aveva chiamato il « ... babbo mio, accanto a Gesù nel mio povero cuore! », la guida da­tale da Dio stesso: « Fai pure, Gesù, che tutto il mon­do mi conosca per quella miserabile che sono, e se tu mi vuoi togliere anche l'unico appoggio che mi hai lasciato sulla terra, fallo pure: io ti benedirò sempre; con te abbracciata voglio vivere, con te morire» (E. 72, p. 97 s.). E la tensione sembra non allentarsi mai.

Ma non è facile spiegare questa paradossale dia­lettica dei contrasti che regola la vita di Gemma: spe­cialmente dell'ultima Gemma a partire dal 1899 quando, con l'impressione delle Stimmate, è rapita dal turbine della grazia. C'è una scena tuttavia che sconvolge e commuove. La santa si trovava ancora in famiglia e un giorno, mentre stavano a tavola, il fratello (Ettore) - scontento - cominciò a bestem­miare: Gemma svenne dal dolore e stava per cadere in terra, ma l'Angelo intervenne a sorreggerla, tutta­via la violenza del dolore e dello sforzo le provocò uno sbocco di sangue. Il brutto però - ma per noi è il bello - venne la sera. Ecco il racconto - incredi­bile, se non sapessimo chi è Gemma - nella Lett. 16 a

(novembre 1899) al Confessore: un dramma doloroso in tre momenti ...

a) (L'aggressione): « Sa, una zia quel che mi fece ieri sera? Quando arrivai a casa, andai in camera; lei mi venne arrabbiata arrabbiata e mi disse: 'Stase­ra non ce l'hai la tua sorella a difenderti, che è Giulia; fammi vedere dove ti è uscito tutto quel sangue, se no ti finisco a forza di botte'. lo stavo sempre zitta, e le facevo tanta rabbia, che lei con

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una mano mi teneva la gola e con l'altra voleva spogliarmi; ma non ci fu caso. In quel mentre so­narono il campanello, e mi lasciò. Era appunto quella zia più buona, e che mi vuole tanto bene; lo permise proprio Gesù, perché lei non me lo avrebbe fatto davvero ».

b) (I rimproveri): « Ma non finì qui; quando fu per an­dare a letto, m'immaginai che dovesse tornare e mi stesi sul letto, e facevo vista di dormire. Venne vicina a me, e mi disse che era l'ora di smettere quei fuffigni, e che ne avevo date ad intendere as­sai alle persone. « Se fossi stata io, non mi avresti ingannata sì bene come il Confessore. Guarda, -mi disse - se non mi dici dove è uscito quel san­gue, non ti faccio più uscire di casa sola, e non ti mando più in nessun posto ».

c) (La spiegazione): « S'immagini: io a quelle parole cominciai a piangere e non sapevo che fare. Final­mente mi decisi di dirglielo, e gli risposi così: « So­no le bestemmie che dice il suo nepote »(8). « E che, le bestemmie fanno uscir del sangue? ». « Si, - risposi - nel bestemmiare vedo Gesù che sof­fre tanto, e io soffro con Lui, e soffro al cuore, e mi esce quel sangue ». Allora parve che si cal­masse un po', e disse: « Soltanto le bestemmie del

(8) Allude certamente al fratello Ettore di carattere violento che spesso bestemmiava e sembra anche la percuotesse. Ettore, allo sfasciar­si della famiglia dopo la morte del padre, si recò in Brasile. I suoi figli, Enrico e Gerardo, allievi dello Studentato degli Stimmatini di Rio Claro (S. Paolo), raccontavano che « .,. il loro papà era cattivo. La misericordia del Signore inchiodò per tre anni il signor Ettore a letto. Fu durante questa degenza, mi dicevano i figliuoli, che Santa Gemma apparì ripetu­tamente al povero fratello che in fine si arrese e passò gli ultimi tre anni come vero cristiano. La sua morte deve essere avvenuta verso il 1935 in Araraquara nello Stato di S. Paolo» (Comunicazione del P. Cesar Bian­co, C.S.S., S. Pau lo, 21.6.1977). Si può così precisare quanto accenna lo Zoffoli nell'op. cit., p. 153 s.

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tuo fratello ti fanno male, oppure anche quelle de­gli altri? ». «Tutte, - risposi - ma ci è una bella differenza; quelle di lui, o quanto mi fanno soffri­re di più!» E nel dire così piangevo tanto tanto: e mi ha lasciato stare» (p. 332 s.). Sembra che il fatto si sia ripetuto l'anno dopo, perché nel set­tembre 1900 torna a scrivere a Monsignore: «L'al­tro giorno a desinare (ero a casa mia) mio fratello cominciò a bestemmiare, perché non gli piaceva quel che c'era e bestemmiò tanto. Mi fece un po' male, ed ero per cascare in terra dalla sedia, e al­lora l'Angelo Custode mi disse: «Non voglio che tu disturbi »; mi fece appoggiare la testa sulla sua spalla e mi resse. Mi parve che le zie si accorges­sero di qualche cosa, perché piangevano, e non ve­devano il momento che venisse a prendermi la Sig.a Cecilia» (Lett. 44 a , p. 372 s.).

Basti notare soltanto come la Santa, che ricorda con tanta vivezza la rabbia della zia che la stringe alla gola, la chiama « ... la zia più buona e che mi vuole tanto bene» e Gemma riferisce tutto a Gesù. Il seguito e la finale non fanno che accrescere la com­mozione al povero lettore: Gemma s'accorge che la «buona zia »(9) quella notte non è andata mai a let-

(9) Non sembra si tratti della zia Elisa Galgani, sorella del padre di Gemma, che figura fra i testimoni più presenti nel Processo di Lucca del 1907 (nr. X, paro 55, p. 40) e del successivo Processo di Pisa del 1922, presieduto dal Card. P. Maffi (nr. IX, par. 8,7,11 s.). Le sue ampie deposi­zioni sono importanti soprattutto per la prima parte della vita di Gem­ma. Malgrado i rapporti confidenziali fra zia e nipote, non è Elisa la zia alla quale per prima Gemma mostrò con le braccia distese le piaghe san­guinanti di ritorno dalla Comunione il Venerdì seguente all'impressione delle stimmate. Il P. Germano parla, sembra precisare, di « una delle zie" (Vita, ed. 1972, p. 65). Gemma accompagnò il gesto con le parole: «Zia, veda un poco che mi ha fatto Gesù" (l. c.). Dalla deposizione fatta ai pro­cessi zia Elisa racconta che venne a conoscenza delle stimmate quasi per caso, trovandosi ai Bagni di S. Giuliano (Pisa) presso il nipote Guido,

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to e stette sveglia anch'essa con la stessa pena. Certo che la zia era pia e buona e le voleva bene, la voleva con sé a casa e temeva che, per le bestemmie del fra­tello, lasciasse la famiglia: temeva di essere privata del tesoro di quella nipote. E Gemma si mostra, in quest'episodio sconvolgente forse ancor più delle be­stemmie del fratello, di una umanità e penetrazione sovrumana col leggere il significato positivo della bontà della zia nel fatto insolito dell'aggressione vio­lenta. La mattina seguente è la zia che la va a chiama­re e vuole accompagnarla a S. Michele (per la Comu­nione) e quasi si scusa: «Bada, Gemma non dir nulla di quello che è accaduto tra me e te; fà pure quello che vuoi, stà pure dalla Sig.a Cecilia invece delle mo­nache; a me mi basta che tu sia a casa la Domenica ».

E la Santa conclude semplicemente, senza commenti: «Stamani era buona}} (p. 332 s.).

Dovendo mettere le fila a quest'analisi, anch'essa è appena un cenno di analisi, accenniamo anche alla dialettica fondamentale di dolore e amore di cui di continuo abbiamo dovuto parlare senza mai esaurir­la. Ora la tocchiamo: nella sua forma più umile e de­licata di «lagrime di gioia}}. E qui ci vorrebbe una penna di una sensibilità pari a quella di Gemma: noi ci affideremo ancora a lei.

Gemma, benché di carattere fiero e scontroso, ha pianto molto nella sua breve esistenza, ma non come di solito piangiamo noi per le tribolazioni e le soffe­renze di questa vita: fin da piccina ha cominciato a piangere per le sofferenze recate a Gesù dai peccati

fratello di Gemma; fu la moglie di Guido che riuscì a levare i guanti e a scoprire « ... nelle palme delle mani come due ferite ». Zia Elisa dichia­ra di aver notato che Gemma anche a Lucca portava sempre i guanti ma di non essersi mai accorta delle stigmate (nr. XVII, paro 35, p. 717).

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degli uomini. L'abbiamo letto anche nell'episodio ora narrato della «buona zia»: «E nel dire così - cioè le bestemmie del fratello la facevano soffrire più di quelle degli altri - piangevo tanto, tanto». Per la sua partecipazione d'immedesimazione « ... sono i dolori che i peccati degli uomini arrecano al Cuore di Ge­sÙ» che la fanno piangere. Alle volte - come scrive al Confessore - è il suo corpo che piange, perché ... «non mi vorrebbe dar retta» (p. 327)( l0).

Ma è soprattutto con P. Germano che l'animo suo si apre con segreta intensa commozione (1 I): è sempre il tema del peccato, il ricordo dei suoi pecca­ti, che le apre la fontanella del cuore, soprattutto nei colloqui con Gesù dopo la Comunione. E prima essa vede piangere Gesù come scrive nella Lett. 57 a del 22 aprile 1901 e la scena è veramente di un altro mondo: «Allarga le mani, o Gesùl - gli dico; ma Lui non mi risponde più allegro, allegro, come prima: ora mi risponde, sì, ma ha le lagrime agli occhi. Quando mi metto a pregare, qualunque preghiera faccia, mi guarda e piange (cioè mi sembra di vedergli gli occhi lacrimosi). Mai ho il coraggio di domandargli nulla. Ieri mattina, costretta per obbedienza a domandar­glielo, gli dissi: «Gesù, perché piangete?». Ed Esso:

(IO) Sorprende nei Processi la testimonianza della zia Elisa circa la . domanda di Gemma di essere accolta nel Monastero delle Passioniste di

Tarquinia: «Scrisse una lettera alla Madre Giuseppa, Superiora delle Passioniste di Corneto, per essere accolta, ma le fu risposto: ' Non voglia· mo impestare il convento!' Gemma pianse" (Pruc. Luc. IX, p. 204). Si deve precisare che la M. Maria Giuseppa Armellini (sorella del celebre archeologo Mariano), con la quale Gemma ebbe un'affettuosa corrispon­denza (sono 10 lettere di Gemma e 18 di M. Giuseppa) non fu mai superio­ra a Tarquinia e per parte sua avrebbe accolto ben volentieri l'estatica fanciulla. Toccò invece a lei la gioia di fondare, dopo la morte di Gemma, il monastero di Lucca (1905).

( 11) Si appena tanto per la salute della Sig.a Cecilia: «La mamma mia, la Sig.a Cecilia, è un po' malata, ha la febbre grossa; io piango, non so che pensare» (Lett. 12 a , p. 34).

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«Figlia, non me lo chiedere ... }). Mi fece piangere tan­to anche me ... Mi sembrò che mi stringesse a Lui, più forte del solito, e mi dette un bacio nella fronte ... -Non gli ho più domandato nulla, ma, continua sem­pre a piangere}). E Gemma, subito preoccupata, l'in­terroga: «Se fossi stata io, babbo mio, che faccio piangere così tanto Gesù?}) e si riconosce colpevole di mille iniquità. Ma l'animo poi si solleva: «Anche che abbia fatto piangere Gesù, pure Esso mi vuole sempre bene e mi si fa sempre sentire. Anche troppo forte ... }). E verso la fine, ancora: «Oh! quando vedo piangere Gesù, mi trafigge proprio il cuore}) (p. 152 S.)(12).

Ma è soprattutto col ricordo dei peccati e, prima, delle visite celesti che l'anima si scioglie: «Avanti di avere qualche visita, o dall' Angelo, oppure che Gesù si faccia sentire più forte, mi vengono in mente tutti i peccati che mi cagionano tanto dolore, ma forte davvero, che alle volte mi sono lasciata abbattere e piangere}) (Lett. 46 a , p. 129). Alla Madre M. Giuseppa confessa che « ... spesso lo (Gesù) sento piangere, lo sento afflitto, e mi dice che ciò fa per i peccatori. Ma, mio Dio, non piangere per i peccatori; piangi, piangi per me ... No no, Gesù, non piangere neanche per me; piangerò io, mi emenderò, diverrò buona, obbedien­te}). E le promette di mai farlo piangere, come ho fat­to piangere parecchie volte il povero mio babbo}) (Lett. 9 a , p. 431). Ed è soprattutto il rammarico di non aver amato sempre Gesù quanto meritava: «Mi domanda (Gesù), scrive ancora a P. Germano, se lo amavo; sa che risposi? ... Piansi, piansi a lungo e fu

(12) Anche nella letto 61 a: «Gesù continua a piangere e io non glielo chiedo» (p. 162).

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la mia risposta» (Lctt. 26 a , p. 77)(13) ... Ed è ancora la vista di Gesù Crocifisso, delle sue sofferenze a scuoterla: « Babbo mio, che ammirabile pazienza! E io? lo mi lamento, mi affliggo e spesso piango: eppu­re sono si meritevole di tante pene perché sono catti­va e peccatrice» (Lett. 32 a, p. 92). Ma soprattutto l'ag­gravarsi della sua situazione, quando la zia Cecilia la lascia sola: « Come farò io mai? sospira la pia si­gnora ... e spesso piange ». E la Santa: « Da ogni parte vedo avverarsi tante parole sue: continuamente pian­go, Gesù piange, la mamma mia piange» (14) (Lett. 58 a , p. 155). Tuttavia è rassegnata: « Sola non vorrei stare; no, sola no ... Vede: quando sono sola soffro piangendo, ma sempre ringraziando e benedicendo Gesù» (Lett. 49 a , p. 134).

Anche la Madonna quando le appare, alle volte con confratel Gabriele: « Ma quella Mamma piange quasi sempre: nessuno poi mi dice una parola, e non mi guardano neanche» (Lett. 30 a , p. 86). Parimente nel Diario del 21 luglio 1900: « La mia carissima mamma M. SS. Addolorata mi ha voluto fare una vi­sitina. [ ... ] Era pure afflitta; non so, ma mi sembrava che piangesse» (p. 168). Ma il motivo profondo è sem­pre il sentimento della sua indegnità o perché il Con­fessore le aveva proibito le estasi ed il dovere la spin­ge a lasciare anzi a fuggire dalla presenza di Gesù: « O mio Dio, gli ho risposto piangendo - Voi bene ve-

(13) Anche nella letto 30 a : «Se penso al passato, piango, ricordando il modo col quale Gesù cercò di condurmi a sé» (p. 85). E un po' prima, nella chiusura della letto 77 a confessa: « Piango sì..., ma incarico l'Angelo a riferire al Padre il motivo ». Anche quando cede per un poco a Sr. Maria (Bianchini) la reliquia del dente di S. Gabriele: ... « piansi, perché la va' sempre presso di me» (Lett. 77 a , p. 203 - il corsivo è di G.).

(14) La zia Cecilia, sembra dal contesto. - E verso la chiusa è Gesù stesso che la consola: « Gesù non mi grida, anzi quando piango mi dice: . Sai che il babbo tuo ti vuole bene tanto tanto, quasi quanto te ne voglio io'» (p. 156).

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de te perché lo faccio» (Lett. 64 a , p. 169). E special­mente quando Monsignore la minaccia di toglierle Gesù: «O babbo mio, la penna non mi vuole più scri­vere, la mano mi trema forte, io piango» (Lett. 67 a ,

p. 178). Il suo è un pianto teologico, come confessa nella Lett. 39 a ai primi del 1901: «Sono due giorni che mi è presa una paura tale di perdere l'anima che piango (per) fino» (p. 111). Anche all'arrivo delle pur tanto sospirate lettere di P. Germano: « ... la presi, la rilessi, e piangevo senza sapere il perché» (Lett. 127 a , p. 297). Soprattutto nelle estasi di espiazione: «Nell'amore ... godo ... nel dolore, quando sembra che l'anima si divida dal corpo, che mi par di morire; al­lora poi piango, Viva Gesù!» (Lett. 103 a , p. 247). È un pianto, quindi, non di depressione ma di elevazio­ne al centro dell'amore, al Cuore di Gesù.

Dopo una di queste esperienze Gemma si reca dal Confessore per un po' di conforto, ma questi le dice che si prepari a cose «più grosse e più forti an­cora». Il suo animo è turbato, ma subito si riprende: «Ho quasi paura, continua, ma no, che dico? Sono contenta. E poi sa ancora che ho fatto in questi gior­ni? Sceglievo a Gesù quello che volevo soffrire e quello che non volevo; ma Gesù, buono buono, mi rimproverava e mi diceva che era lo stesso che [se] ricusassi di patire. Alla fine poi contenta dicevo: Ge­sù, la tua volontà e mai la mia. E mi trovo contentis­sima. Se poi alle volte mi viene un po' di tristezza, questo è solo all'esterno; nell'interno sono in una cal­ma perfetta» (Lett. 26 a, p. 78). È una pagina che già conosciamo, in essa si raccoglie tutto il segreto della sua vita e vocazione: «È questo è il mezzo che ho tro­vato, perché quando soffro, volo col pensiero al Para-

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diso ed allora il mIO soffrire è una contentezza» (ibid., p. 79).

In un altro momento di sofferenza: «L'Angelo suo appena lo sento. Ma che importa? lo sono con­tenta. L'amore di questo Gesù mi dà forza di patire tanto di più» (Lett. 30 a , p. 88)(15). Ed anche nella fa­se più acuta della faccenda del convento, scrive in fretta: «lo, babbo mio ... decida Monsignore. lo sono contenta in tutti i modi» (Lett. 47 a , p. 131). Scrivendo a Monsignore, è Gesù che vedendola piangere la sol­leva: «Ma Gesù mi disse che non piangessi, che fossi contenta e che dicessi a Lei, che ormai sarebbe tem­po» (Lett. 33 a, p. 357). Ormai consumata dalla malat­tia, debole ed immersa nei dolori, il 20 novembre 1902 scrive: «Viva Gesù! Babbo mio, sono contenta: Gesù, san certa, m'invia un po' di tribolazione per mio profitto e per mia utilità» (Lett. 123, p. 289). E la rassegnazione nell'immolazione è completa: «In ogni modo sono contenta [ ... ] lo sono contenta in ogni modo, e se Gesù volesse davvero il sacrificio ddla mia vita, io glielo faccio subito» (Lett. 65 a, p. 394). Le ultime parole scritte al Confessore sono: «Ancora così? Sono in ogni modo contenta» (Lett. 67 a, p. 395).

La coesistenza dei due stati opposti ovvero la si­tuazione del contrasto vissuto è attestato nella letto 25 a al P. Germano e Gemma stessa la chiama «una cosa grossa»: «Ora gli dico una cosa grossa: non so­no più capace neppure di pensare a Gesù, cioè ci pen­so sempre, ma non so in che modo ... Mi capisce? Sì, sì, è vero, siamo al De profundis; ma va benino assai,

('5) Nella lettera seguente, in un momento di aridità fra le estasi con la Madonna e con l'Angelo, ripete: « lo sono contenta, babbo mio" (Lett. 31 a, p. 91).

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solo mi sento un po' curiosa; nell'interno mi sento contenta, ma al di fuori tante volte mi sento venire delle lacrime, ma senza pensare, perché non vorrei» (p. 70).

E mentre dichiara di voler rinunziare a tutte le consolazioni, Gesù le fa pregustare le gioie del Para­diso. Lei protesta: « ... Non voglio. Gesù è stato l'Uo­mo dei dolori e io voglio essere la figlia dei dolori... » E sopravviene l'estasi...: la Madonna la prende in braccio, le raccomanda l'umiltà e l'obbedienza ... , poi le promette che se non la metteranno in convento, la verrà a prendere presto ... : «Mi lasciò che l'anima mia nuotava nella gioia» (Lett. 118 a , p. 238). Oppres­sa dal male che avanza - di lì a poco ci presenta una tutt'altra scena: «Ho paura, paura di me stessa, dei miei peccati. - Il demonio mi fa guerra accanita e chissà che non mi abbia tutta nelle sue mani. Gesù mio, misericordia! Eccomi pronta a tutto, solo voglio salvare l'anima mia» (Lett. 120 a , p. 286W 6

).

Angosciata e fiduciosa, si chiede il 26 gennaio 1903: « Creda, caro babbo, è una gran scena la vita mia e i miei giorni» (Lett. 128 a, p. 299). Ed è calma nella tempesta che le cresce d'attorno, mentre si av­vicina l'epilogo: « Calma sono, babbo mio; mi turbano un po' quelle brutte tentazioni, immagini, pensieri, scosse da far tremare il letto, colpi ecc; ma però do­po tutto ciò mi sento tranquilla, quando so di non aver offeso Gesù» (Lett. 129a , p. 301). Su questo c'è l'esplicita dichiarazione della penultima e bellissima

(l0) Le molestie del maligno crescono, come si legge nella stessa Lett. 120a : "Il maligno mi fa guerra e me ne fa di ogni specie» (p. 285). La tenta persino di disperazione (Lett. 124 a

, p. 291). Così anche nella Lett. 125 a , p. 294).

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lettera della metà di febbraio 1903: «Ma babbo mio, mi raccomanda sempre pace, eppure agli altri non sembrerà che io vi sia, ma ci sono in pace. Saprà poi tutto prima di morire: ci rivedremo e allora non avrò cuore di tacere nulla, benché neppure ora, sa? .. Se sto seria, taciturna, è solo all'esterno; nell'interno go­do una pace, che mai o poche volte ho provato, e la godrò anche di più quando il mio peccatore sarà con­vertito» (Lett. 130a , p. 303)(17).

Anche la «notte oscura» di Gemma è pertanto un enigma: essa sembra non obbedire alle regole classiche della mistica che ricalcano la desolazione dell'agonia di Gesù nell'Orto e dell'abbandono del Padre sulla Croce. Gemma è sempre stretta fra il diavolo e Dio, fino all'ultimo: il suo più grande dolo­re è la lontananza di P. Germano « ... e nessuno può farmi le sue veci». Ed anche se Gesù «... si è un po' nascosto», le manda ancora illuminazioni: «Alle volte senza neppure pensare una cosa, mi ci viene una luce alla mente; io non ci penso per niente; 'dopo un giorno, ovvero lo stesso giorno, mi avvedo che la cosa balenata alla mente era del mio Dio. Spesso spesso, sa, accade queste cose [sic!J, ma tutte in si­lenzio» (304).

Ed è la Madonna, ch' è il suo rifugio, che le dà l'ultima consolazione; «Quanto bene mi vuole! Mi di­ce sempre: I Gemma, attendi solo a me, che io sto so­spirando a te. Rammèmorati in qual giardino ti ho piantato. Quante volte tu mi hai offeso, ed io quante volte ti ho beneficata! Deh! dimmi quante volte ti ho chiamato! Credi che io ti dica questo per svergognar-

(17) Quel peccatore, notano gli Editori, si convertirà Giovedì Santo (9 aprile), due giorni prima della morte di Gemma.

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ti? O no; te lo dico invece per eccitarti al mio amore. Per mio amore e per sola mia bontà voglio che tu mi ami, perché amandomi gusterai ciò che io sono, e ciò che sei tu' ».

La finale è nel suo tono sommesso e angelico: « Mi perdoni questo nome (mamma), che non so come mai mi viene spontaneo sulle labbra. O mamma mia! Viva Gesù, Viva Maria! Gesù presto e santamente si vendicherà del suo santo amore verso le più ingrate delle sue creature. Preghi per me, dica a Gesù che sarò buona, obbediente; ma vo' andare presto in pa­radiso (se a Lui piace)>> (p. 307)(18).

«Come colui che avesse un libro dove fosse con­tenuta tutta la scienza non cercherebbe di sapere al­tro che quel libro, così anche noi non dobbiamo cer­care altro che Cristo» (S. Thomas Aq., In Epist. ad Coloss., c. 2, nr. 82).

Ogni tentativo per raccogliere in una formula la tensione dell'anima di Gemma nella sua vita di dona­zione totale a Cristo sofferente resta inadeguato ed appena approssimativo: lo era per lei stessa che con­fessa di vivere avvolta in un «mistero », circondata da luce e tenebre, in familiarità col cielo (Gesù, la Madonna, gli Angeli, i Santi...) e con l'inferno (le ves­sazioni continue del diavolo ... ); cioè immersa comple­tamente nel soprannaturale di gaudio e di tormento, di luce e di tenebre. Completamente diversa dagli «altri », anche dagli altri Santi e stigmatizzati, essa è tutta per «Gesù solo» (<< nacqui per Lui »): la Madon­na, gli Angeli ed i Santi l'assistono per questo. Ma è Gesù stesso il suo primo e vero maestro, il suo gau-

(18) È una gran perdita che, dopo questa lettera di congedo, non ci sia stato conservato più nulla: solo pochi frammenti o tentativi che gli editori dicono {{ inintelligibili ".

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dio pieno, il suo unico scopo. La «grazia» delle Stim­mate e la partecipazione agli altri tormenti della Pas­sione, la comprensione schiacciante dell'orrore infi­nito ch'è il peccato dell'uomo, l'inabissamento estre­mo nella compunzione dei propri peccati (<<la grazia più grande che mi ha fatto Gesù »)(19) ... l'hanno iso­lata completamente da ogni impegno di rapporto di­retto col mondo e con gli uomini.

Certamente Gemma è docile, affettuosa, servizie­vole ... e si presta con impegno ed attenzione per i lavo­ri domestici e per aiutare il prossimo (per quanto può); non rivendica nulla per sé. Si considera inutile, incapace a tutto, buona a nulla e si tranquillizza sol­tanto nel sentirsi disprezzata, considerata un nulla e la più vile delle creature: uno sgorbio della creazione e essa stessa si compiace di chiamarsi «un leta­maio ... », lei che da bambina, presso le Zitine, era stata chiamata « la superba ». Ma è fiera e invincibile nel di­fendere Gesù, nel difendersi con Gesù e per Gesù. Que­sto Nome, di cui non ce n'è uno più grande in cielo e in terra, fiorisce - come si è visto - ad ogni momento sotto la sua agile penna e negli slanci lieti o dolenti delle sue Estasi: Gemma è proprio di «Gesù Solo ». Es­sa vive tutta e solo per Gesù; si allarma soltanto quan­do Gesù non si fa vedere o non le parla: «Il Gesù rim­piattato ». Ma è Gesù la sua vera e unica guida.

P. Germano, è vero, la rende felice con le sue let­tere ma, quando, per un anno intero, sospende con lei la corrispondenza, Gemma soffre, invocando al­meno «qualche riga », ma non si adombra perché «sa da Gesù» stesso quel che deve fare. Del resto non so­lo il confessore Mons. Volpi è incredulo sui suoi fe-

(19) L'espressione, la più profonda e cristiana di Gemma, è messa fra parentesi (Scritti ... , p. 253).

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nomeni e riesce soltanto a proibirli, ma lo stesso P. Germano (il direttore spirituale indicato da Dio stes­so, il «babbo mio» e «il mio tutto dopo Gesù ») non la capisce e, quando le risponde, trova che scrive «a ca­so» e perfino fa trapelare le cose di confessione e Gemma non teme di rimproverarlo. Ma alle volte an­che Gesù si allontana, tace e invano, afflitta di amore, Gemma bussa per risentire la voce amata: allora nel «buio completo» non le resta che la fede nuda per pronunziare il nunc dimittis sul letto di morte.

Quindi Gemma ha sperimentato, specialmente verso l'ultimo della sua vita, la «solitudine comple­ta» dello spirito, il buio fitto fitto, nel totale allonta­namento di ogni punto di riferimento che non fosse il totale abbandono in Dio e l'invocazione accorata dell'assistenza della Madre di Dio. La vera (e perciò anche l'unica reale) guida di Gemma è stato lo «Spi­rito di Gesù» cioè lo Spirito Santo con i suoi doni. Essi toccano la punta dell'anima al di sopra e più im­mediatamente delle virtù non solo intellettuali e mo­rali, ma anche di quelle teologiche. I doni dello Spiri­to Santo hanno avuto per speciale teologo S. Grego­rio Magno e costituiscono lo stadio supremo della vita soprannaturale e la mozione dei doni sull'anima è chiamata dal maturo S. Tommaso «istinto divi­no »(20): così il termine (<<istinto»), che designa il

(20) Il primo ricorso dell'Angelico all'istinto (divino) sembra impli­cito: C. Cento III, 89 (Item 2), ed esplicito: S. Th., p_IIae, q. IX, a. 4 con il riferimento all'Etica Eudemea di Aristotele e ritorna più avanti ben 14 volte nel trattato sui Doni dello Spirito Santo (l. C., q. 68, aa. 1-8). Le edizioni paoline citano il c 14, 1248 a 14 e a 32, ma (a quanto posso giudicare) non vi compare il termine «istinto »; forse il termine è dovuto a qualche versione medievale. Esso costituisce la chiave dell'intero trat­tato dei «doni ». Il termine compare anche nel commento ad Rom 8.14, Lect. III (nr. 635; ed. cit. p. 116 b) Il C. Cento dà solo: « ... in VIII (sic!) Eudemeae Ethicae », ma non porta «instinctus ». L'intero cap. 14 è dedi­cato alla « fortuna» (tu che) ed ai «fortunati» (eutucheis) ed afferma che « ... è manifesto che muove in qualche modo a tutte le azioni il principio divino ch'è in noi (tò èn enin theiov_ - l.c., 1.27). Ma per Aristotele l'unico elemento divino nell'uomo è il nous ».

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movimento immediato e innato della vita animale, è elevato ad esprimere la suprema attività dell'anima in grazia per seguire le segrete mozioni divine al di sopra della ragione e delle stesse virtù. Ovviamente si tratta di un istinto speciale: in ordine al fine ultimo soprannaturale, al quale muove la ragione, in quanto in qualche modo e imperfettamente è informata dalle virtù teologiche, non basta la sola mozione della ra­gione, ma deve intervenire « dall'alto» (desuper) la mozione dello Spirito Santo (21 ).

Si tratta pertanto di un « instinctus superior », di­vino per l'appunto, che supplisce alle deficienze sia della natura sia delle stesse virtù legate alla ragione: « Così colui alla cui scienza e potere sono soggette tutte le cose, ci rende sicuri (tuti = difesi) con la sua illuminazione da ogni stoltezza e ignoranza e stupidi­tà e durezza e altre cose del genere. E pertanto i doni dello Spirito Santo, che ci rendono docili a seguire il suo istinto, ci sono dati per correggere siffatti di­fetti »(22). Così mentre le virtù morali (e teologiche) sono date « affinché le facoltà tendenziali (vires appe­titivae) obbediscano prontamente alla ragione, i doni dello Spirito Santo sono certe disposizioni (habitus) che perfezionano l'uomo affinché obbedisca pronta­mente (p romp te) allo Spirito Santo »(23). L'Angelico lo ripete nell'art. 4 con la variante di « ... segua pron­tamente» invece di « obbedisca prontamente », e pre­cisa che i doni intervengono nell'operazione di tutte

(21) Si citano i testi: Rom. 8,14 e Salmo 142,10. (22) S. Th., Ia-IP, q. 68, a. 2 ad 3. Nel giovanile commento alle Sen­

tenze (III, d. 34, q. 1, a. 1) manca il termine « instinetus» che compare invece ancora nel Commento Ad Galatas (c. 5, leet. V, nr. 318). E per gli Apostoli: « Tutti gli atti e i movimenti degli Apostoli furono secondo l'istinto dello Spirito Santo» (c. II, leet. 1, nr. 55). Manca « instinetus» anche nel Commento al profeta Isaia (c. Il, 2-3, ed. Parm. XVI, p. 474 s.) Al testo princeps di Isaia l'Angelico dedica l'art. 7 della citata questio­ne 68 che stiamo leggendo.

(23) S. Th., q.e., a. 3.

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le facoltà appetitive soggette alla ragione: «CosÌ tutte le facoltà (vires) umane sono ordinate (natae) per es­sere mosse dall'istinto di Dio come da una certa po­tenza superiore» sia per il conoscere come per l'agi­re. A questo provvede la sapienza col dono dell'intel­letto per il conoscere(24) e col dono del timore per l'affetto (I.c., a. 4 e ad 5). Tutti poi i doni (sette) si legano fra loro mediante la carità, poiché è per la carità che lo Spirito Santo abita in noi cosÌ che colui che ha la carità ha insieme tutti i doni dello Spirito Santo. Quanto ai doni della scienza e della sapienza, oltre alla capacità ch'essi conferiscono d'istruire gli altri nelle cose divine ed umane, essi sono delle per­fezioni dell'anima umana che la dispongono a seguire l'istinto dello Spirito Santo nella conoscenza delle cose divine (I. C., a. 5). Ed è certamente alla presenza della carità in grado eroico e, quindi, all'efficacia dei doni dello Spirito Santo, che si deve l'elevazione di Gemma alla contemplazione e partecipazione della Passione di Cristo e la sua dedizione eroica per la salvezza dei peccatori.

In realtà, bisogna aggiungere, Gemma è un caso a sé e sfugge ad ogni schema e classificazione. La sua predestinazione ad una vita eccezionale di grazia si rivela, com'essa stessa candidamente narra nell'Au­tobiografia, fin dalla prima infanzia: c'è l'esperienza della febbre improvvisa al racconto della Passione di Gesù da parte di Suor Camilla Vagliensi e la forte impressione che le fecero per tutta la vita le parole del predicatore nel ritiro per la Prima Comunione: « Chi si ciba di Gesù, vivrà della Sua vita» e la Santa commenta: «Intesi allora per la prima volta la pro-

(24) Nel commento ad Isaia con più audacia: « ... quasi eccede il modo dell'operazione umana dato da Dio, come il dono dell'intelletto il quale in qualche modo fa sì che vediamo limpide e luminose le verità della fede» (I.c., p. 475 b). Anche S. Gemma parla di « luce immensa» per la Trinità (Scritti, p. 289) e di « luce infinita}} per Cristo (l. c., p. 267).

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messa di Gesù. Capii in quel momento che le delizie del cielo non sono quelle della terra. Mi sentii presa dal desiderio di rendere continua quell'unione col mio Dio. Mi sentivo sempre più staccata dal mondo, e sempre più disposta al raccoglimento. Fu in quella mattina stessa che Gesù mi dette il desiderio grande di essere religiosa» (p. 227 s.). Qui c'è già tutto lo slancio dell'amore divino trasformante, che porterà Gemma all'immolazione totale in conformità a Cristo Crocifisso.

L'Autobiografia diventa lo specchio della sua ascesa e lascia vedere di tappa in tappa le mozioni folgoranti, di amore e di dolore, da parte dello Spiri­to Santo: Gemma è ormai immersa nel soprannatura­le, che la bambina assorbe quasi naturalmente come il respiro normale della sua anima. Propositi, scoper­te, sussulti e fremiti si susseguono in un ritmo di sa­lita continua: qui la psicologia, nel senso moderno, non ha nulla da dire e ha poco da capire anche la teologia. Il suo cammino avviene per « sorprese» I)on causate da lei, ma accolte con stupore, con ricono­scenza ma anche con paura e diffidenza continua di sé. Essa dubita sempre che quel mondo di divine co­municazioni, che si apre sul suo cammino, sia da Dio per lei e Dio permette che sia tentata dal diavolo an­che sui suoi padri spirituali, su Mons. Volpi e sul P. Germano stesso. Per lei sono reali soltanto i suoi pec­cati come sfondo di dolore della sua vita ardente per Gesù. Il suo cammino è a doppio binario: è fulgori di grazia, che la trasfigurano in un'atmosfera di con­tinuo «stupore» per lei anzitutto, ed il crescente amore-stupore per il senso della sua indegnità davan­ti a Dio e al prossimo. Di proprio Gemma non ricono­sce altro che il peccato. L'orrore infinito per il pecca­to, che ha crocifisso Gesù, diventa la misura infinita

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del suo amore per Gesù crocifisso ed il sigillo per essere crocifissa con Gesù. Le lettere a P. Germano ed a Mons. Volpi non sono che implorazioni per que­sta vita di espiazione, al centro della quale sta la grande richiesta, suggerita anzi garantita dalle voci celesti di entrare in convento: ma, come sappiamo, tutto sfuma nel nulla. Si potrebbe quasi dire, anche se non è esatto ma soltanto per esprimere il parados­so singolare, che Gemma è testimone del soprannatu­rale a rovescio cioè col fallimento delle sue più inti­me aspirazioni per darsi a Dio.

Gemma vive gli ultimi anni tutta immersa in Dio e trasformata in Cristo crocifisso, tormentata dai do­lori nel corpo e angustiata dalle tenebre nell'anima fino a chiedersi: «Mi salverò?». Penetrata, nella sin­golare purezza della sua anima, dai doni dello Spirito Santo, sembra ch'essa li esperimenti appunto a rove­scio di come li descrive S. Gregorio citato da S. Tom­maso. Il punto mi sembra importante: è qualcosa, a mio avviso, di diverso dalla «notte oscura» della mi­stica classica, qualcosa che chiamerei - con termi­nologia kierkegaardiana - il «soprannaturale redu­plicato» appunto perché rovesciato rispetto ai criteri abituali. Infatti secondo S. Gregorio(2S) in ogni do­no c'è qualcosa che passa con lo stato presente e qualcosa che rimane anche nel futuro. Così «la sa­pienza nutre l'anima con la speranza e la certezza delle cose eterne» e di queste due cose la speranza passa, mentre la certezza rimane. Ma, come si è vi­sto, in Gemma questa certezza non c'è ed essa muore nell'abbandono totale e tuttavia è fiduciosa racco-

(25) Seguo l'esposizione che ne fa S. To.mmaso: p_IIae, q. 68, a. 6 ad 2. Nell'art. 1 l'istinto dello Spirito Santo gUIda anche ... nella conoscenza delle cose divine ed umane; " ... in cognitione divino rum et humanorum »; come si vede bene anche in Gemma.

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mandando si alla Madonna (anche se qualche volta, nel suo toscano, si dice « disperata »). Dell'intelletto dice S. Gregorio che « nell'atto in cui penetra le cose udite, mentre rinfranca il cuore, ne illumina le tenebre ». In Gemma, invece, malgrado la « luce» di cui si è detto, perdura l'incertezza dei suoi fenomeni e, avvicinando­si alla morte, cresce la desolazione. Se passiamo al do­no della scienza, essa « ... toglie il digiuno dell'ignoran­za », mentre Gemma sente ma non capisce. Quanto al­la pietà, essa « riempie le viscere del cuore con opere di misericordia» e questo vale altamente per Gemma e per essa vale, ed in particolare, l'accenno all'intima tenerezza (intimus affectus) verso i prossimi. Del timo­re afferma che « umilia l'anima, perché non si insuper­bisca delle cose presenti» e Gemma anzi era sempre impaurita delle celesti comunicazioni; quanto poi al « conforto» che procurano le stesse realtà (sopranna­turali), qui sperate e là (in cielo) possedute, dobbiamo ripetere che Gemma morì nello stato di completa de­solazione come Gesù sulla croce.

In tutta la questione, come nei testi paralleli in­dicati, l'Angelico non nomina l'umiliazione suprema, a cui Gemma è stata sottoposta, ch'è « la coscienza» (l'orrore) del peccato: « ... la grazia più grande che mi ha fatto Gesù »(26). In Gemma, infatti, l'opera dello Spirito Santo si volge in progressione nella coscienza di aver offeso Gesù, di averlo offeso sempre e più di tutti gli altri, di essere « tutta peccato» come S. Paolo dice di Gesù: « Colui che non conosceva il peccato, per noi Dio lo ha reso peccato affinché noi diventassi­mo in lui giustizia di Dio »(27). È allora con la co-

(26) Autobiografia, p. 253 (l'espressione si trova fra parentesi come già abbiamo rilevato).

(27) Il Coro 5,21. Testo difficile «< Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore »), di cui S. Tommaso dà una triplice spiegazione (In Il ad Corinthios, c. S, lect. 5; ed. cito nr. 201, p. 485 b).

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scienza del peccato che Gemma si sente incorporata in Cristo per l'espiazione del peccato universale.

È vero: solo lo spirito conosce, attinge, sente ... lo spirito e i mistici ne sono ora i testimoni. S. Gem­ma sentiva la presenza del soprannaturale, trattava con ingenua ma consapevole semplicità con i suoi protagonisti - Gesù, la Madonna, i «suoi» Angeli, i « suoi» Santi, i «suoi» diavoli ... -. Dall'impressione delle stimmate del 1899 fino alla morte il suo mondo è tutto lì, fra bagliori di cielo, puzza di zolfo e clamori volgari d'inferno. L'uomo, lungo le piste della civiltà, ha bussato spesso alle porte di siffatto mondo del mi­stero della vita e della morte: il Cristianesimo ha aper­to l'unica porta giusta, ch'è, però, vegliata e contesa dai nemici di Dio e di Cristo. Gemma, con pochi altri mistici privilegiati, ha dato testimonianza con l'espe­rienza diretta della realtà di siffatto mondo, quello ap­punto soprannaturale, che sta aldilà della vita del mondo e degli eventi di quaggiù, vivendo, nel suo cor­po verginale e nello spirito trasferito in Dio, la trascen­denza dell'ultima lotta. È il conforto supremo ch'ella ci ha lasciato e che la rende attuale per noi oggi.

La ({ via» di Gemma, nell'itinerario mistico, sem­bra stare a sé in una forma unitaria che si distacca dalle vie della mistica classica e non è stato ancora rilevato nel suo proprio dinamismo ch'è originale, a nostro debole avviso, ed eccezionalmente profondo perché sembra sfuggire ad ogni determinazione o formula di scuola.

Il termine «istinto» col quale, come abbiamo ap­pena ricordato, il S. Tommaso maturo interpreta an­che l'inizio della libertà e la spinta del cammino di grazia fin dal suo inizio col lumen fidei e si compie coi doni dello Spirito Santo nei due versanti della co­noscenza e della volontà, sembra assai adatto ad esprimere la «realtà» dell'esperienza del soprannatu-

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rale di Gemma, la quale « ... sente ma non capi­sce »(28). Si può dire che la sua vita di stigmatizzata è una «battaglia» di sentimenti: non capisce, però è in grado di «ricordare» tutto quanto sperimenta nel­le celesti comunicazioni, nelle diaboliche infestazioni e nelle sue reazioni di gaudio e di sgomento e di de­scriverlo «per conoscenza» ai suoi direttori di spiri­to P. Germano e Mons. Volpi. Ne sono documenti i suoi Scritti, che andrebbero considerati, non soltanto letti ma studiati cioè analizzati sotto questo profilo ossia della dinamica del rapporto col mondo sopran­naturale, con i vari personaggi che intervengono nel­la sua vita di ec-stasi cioè di astrazione e rapimento.

Stupisce la chiarezza e precisione del testo che sembra «continuare» l'espressione dell'esperienza da cui è appena uscita: Gemma vive la sua vita con una «unità di esperienza », di una esperienza totale, eppure con un'alternanza continua degli stati o situa­zioni più complessi ed opposti dell'anima di cui ella stessa si stupisce in una tensione continua che va dal gaudio supremo della presenza delle divine cose .alla disperazione, com'ella stessa si arrischia qualche vol­ta a scrivere, con trepidazione e sgomento.

Eppure, questo mondo gaudioso, ch'è aldilà e al di sopra di ogni sogno e fantasia; questa testimonian­za innocente e ingenua del soprannaturale beatifi­cante l'abbandonerà completamente di lì a non molto e ne scompariranno tutti i segni e le manifestazioni ad eccezione del diavolo, che si accanirà a tormentar­la, a straziarne l'animo dolente ma non vinto, nel buio più fitto fino agli ultimi istanti. L'ultima e più intensa testimonianza di Gemma del soprannaturale.

(28) Per Gemma pertanto non vale la caratterizzazione che « ... La scintilla dell'intellettualità apre l'uomo all'irrompere della grazia" (A. Milano, L'istinto nella visione del mondo di S. Tommaso d'Aquino, Roma 1966, p. 206, - Corsivo dell'Autore).

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APPENDICE

Voti, su richiesta di Pio XI, del P. Marco Sales, O. P., Maestro dei Sacri Palazzi e del P. Ildefonso Schuster, o. S. B., Abate Ordinario di S. Paolo fuori le Mura(I), poi cardinale arcivescovo di Milano (ora Servo di Dio).

I

Eminentissimo Principe, Ho letto e riletto attentamente e studiato e ristu­

diato con grande impegno tutto l'incartamento tra­smessomi, di migliaia e migliaia di pagine, concer­nente la Causa di Gemma Galgani, e benché sul prin­cipio mi sentissi compreso da una certa diffidenza, tuttavia, giunto al termine dello studio incominciato or sono quasi due anni, sono lieto di poter, con ferma convinzione, dare una risposta affermativa ai quesiti propostimi, sottomettendo però interamente questo mio umile giudizio alle superiori autorità, che oltre alla maggiore sapienza, hanno grazia di stato non concesse all'umile scrivente.

(1) Allude certamente a questi due Voti Mons. s. Natucci (Promoto­re Generale della Fede) nella « Presentazione» (8 giugno 1957) della mo­numentale opera di P. Zoffoli: « Il giudizio di altri due teologi, ai quali fu commesso un ulteriore esame della causa, fu pienamente positivo» (p. VIII). Il testo è inedito, trasmessomi dal compianto Mons. A. Frutaz, già Segr. della S.C. dei Santi.

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I. - Nei fatti straordinari che si verificarono in Gem­ma Galgani ci poté essere qualche illusione da parte di lei?

R. - Ritengo che nel complesso non vi sia stata alcuna illusione, ma che i fatti straordinari, come le estasi, le stimmate, le visioni, le rivelazioni ecc., cor­rispondano alla realtà nei limiti, però, delle afferma­zioni della Serva di Dio, e prescindendo dalle inter­pretazioni o spiegazioni date dai suoi ammiratori, e talvolta forse anche da alcuni suoi direttori.

Le ragioni sulle quali si fonda questo mio giudi­zio sono le seguenti: Prima di tutto non vi è alcuna cosa straordinaria in Gemma, che non trovi il suo ri­scontro nella vita dell'uno o dell'altro dei Santi cano­nizzati dalla Chiesa, e specialmente in Santa Caterina da Siena, Santa Rosa da Lima, Santa Caterina dei Ricci, Santa Maria Maddalena dei Pazzi ecc. senza parlare delle grandi mistiche più antiche come Santa Gertrude e Santa Brigida. Ciò dimostra chiaro che non si può addurre alcun argomento a priori contro la possibilità e la realtà oggettiva dei fatti accennati, e che questi in nulla si oppongono agli insegnamenti della fede, della Sacra Teologia e, più in generale, della Chiesa. In secondo luogo il fatto che talvolta Gemma stessa si mostra esitante, e attribuisce le sue visioni e le sue apparizioni alla sua fantasia (p. 77, manoscritto 453), è prova indubitata della sincerità delle sue affermazioni, ma deve renderci assai guar­dinghi e circospetti nell'ammettere la realtà di questi fatti, che da lei stessa non sono garantiti. Potrebbe essere bensì, che talvolta essa parli così per umiltà; ma siccome l'umiltà non è contraria alla verità, riten­go preferibile prendere le sue parole nel senso più

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ovvio, tanto più che gli stessi profeti possono talvolta ingannarsi e dare come parola di Dio quella che real­mente non è tale, come dimostra evidentemente l'e­sempio di Nathan, il quale disse a Davide che Dio vo­leva da lui la costruzione del tempio, e poi fu obbli­gato a disdirsi per ordine di Dio stesso.

L'osservazione precedente vale anche per certe spiegazioni che la Serva di Dio si sforza di dare intor­no ad alcuni misteri, spiegazioni che non vengono da Dio, ma, come è detto espressamente, sono frutto del suo pensiero, e perciò non fa meraviglia che non sia­no espresse conforme al preciso linguaggio teologico. Valga, per esempio, quel che si legge a p. 888 del ma­noscritto sulla Trinità.

È però da notare che si tratta di cose difficilissi­me e assai sottili, e non è quindi da meravigliarsi se la Serva di Dio, non troppo versata nella Teologia, usi espressioni e modi di dire non teologicamente esatti. Del resto non siamo sempre sicuri se questi ed altri pensieri di Gemma non siano stati in parte travisati o mal trascritti, anche senza colpa di chi li trascrisse, per semplici sviste o inavvertenze. Così, p. es. a pago 871 del manoscirtto vi è una confusione evidente tra l'opera dello Spirito Santo in Maria Sant.ma e l'opera del Figlio, confusione che non può essere attribuita se non ai trascrittori, poiché è in op­posizione colle affermazioni che si leggono a pago 870.

Alla sua stessa semplicità e mancanza d'istruzio­ne devono attribuirsi certi fatti ai quali si accenna parecchie volte negli scritti di lei, e che concernono la scienza di Gesù Cristo, la quale mentre in certi passi è affermata chiaramente, in altri può sembrare negata. Così, p. es., a pago 62 si legge: - Allora (l'an-

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gelo) ridendo m'insegnò che quando veniva Gesù non mi facessi conoscere di aver la smania di vedere Con­fratel Gabriele, che allora mi contenterebbe facilmen­te. Intesi che scherzava, perché so che a Gesù non si può nascondere nulla. Qui è espressamente afferma­to che Gesù conosce tutte le cose e quest'affermazio­ne deve intendersi non solo di Gesù come Dio, del che niuno dubita, ma anche di Gesù come uomo, che è pieno di verità; e in quo sunt omnes thesauri sapien­tiae et scientiae. La stessa verità della scienza univer­sale di G. Cristo Gemma la ripete a più riprese nelle sue lettere, e perciò le espressioni che sembrano con­tarie vanno più che altro attribuite a semplicità e a mancanza di profonda istruzione da parte di Gemma, oppure si devono spiegare e interpretare in buon sen­so badando più all'intenzione che alla materialità delle parole.

Nell'animo di qualcuno potrebbe nascere qual­che difficoltà intorno a certi fenomeni straordinari della vita della Serva di Dio, dal fatto che si parla un po' troppo di baci, di abbracci, di strette alle ma­ni, al collo ecc. sia da parte di Gesù e di Maria Sant.ma. sia da parte dell'angelo custode ecc. Ma questi fatti trovano la loro spiegazione nella psicolo­gia della donna e in parti colar modo in quella di Gemma che dalla natura ebbe un carattere piuttosto affettivo, ma alienissimo da tutto ciò che può gettar ombra sulla purezza. Del resto sono pur note le aspi­razioni della sposa dei Sacri Cantici verso il suo Di­letto: - Osculetur me osculo oris sui ... laeva eius sub capite meo et dextera illius amplexabitur me. Non de­ve quindi meravigliarsi che Gesù Cristo, Maria Sant.ma e gli angeli nelle apparizioni si adattino a questa psicologia femminile, e nella .vita di Gemma

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si parli spesso di baci e di abbracci cogli abitatori celesti, tanto più che anche su questa terra l'apostolo S. Giovanni aveva posato il capo sul petto di Gesù, e Gesù stesso aveva detto ai suoi Apostoli: - Palpate et videte, e delle pie donne sta scritto nel Vangelo: - accesserunt et tenuerunt pedes eius, et adoraverunt eum, ecc. Tali apparizioni sono quindi possibili e non vi è alcuna ragione per rigettarle nel loro complesso, benché l'una o l'altra possa in particolare prestarsi a dubbi seri sulla sua realtà come sono alcune che si riferiscono ad angeli che avrebbero recapitato let­tere all'uno o all'altro, e delle quali la stessa Serva di Dio si mostra titubante nelle sue affermazioni. In tutto questo però essa si mostra aliena da ogni senti­mento men che puro e onestissimo, come appare dal fatto narrato nel Sommario pago 646, dove si dice che rifiutò un bacio che voleva darle l'Angelo custode, perché non ho altro da offrire a Dio che la mia vergi­nità. Lo stesso praticò col suo padre.

Ciò posto, se si considera tutto il complesso della Vita di Gemma quale risulta dagli Atti processuali, e in particolare il suo orrore per ogni offesa di Dio, la sua profondissima umiltà, il grande timore e la massima diffidenza che ha di se stessa e degli stessi fenomeni straordinari che avvenivano in lei; la som­ma schiettezza e semplicità con cui espone il tutto ai suoi direttori spirituali e che ubbidisce ciecamen­te ai loro ordini e consigli, tutto questo, congiunto a un intensissimo amore di Gesù e della sua passio­ne, a una tenerissima divozione alla Santissima Eu­caristia e a Maria Santissima, a uno zelo ardentissi­mo per la conversione dei peccatori e la dilatazione del regno di Dio, si ha un argomento più che convin­cente per giudicare con sicurezza che la Serva di Dio

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Gemma Galgani, nel complesso della sua vita, non fu vittima d'illusione. Essa, incapace di governarsi in mezzo a tante cose straordinarie, non ha fatto che ob­bedire, e se vi furono abbagli o illusioni in qualche par­ticolare, non sono questi a lei imputabili, ma tutt'al più, ai suoi Direttori, e forse anche all'ambiente e alle speciali condizioni in cUI si svolsero i suoi giorni.

II. - Nel caso che ci fosse stata qualche illusione, può darsi che questa coinvolga tutti o la maggior parte de­gli atti della sua vita, in modo da infirmare l'eroicità delle sue virtù?

R. - La risposta è negativa per la ragione anzi­detta. Gemma non ha fatto che obbedire, ha afferma­to con schiettezza come certo quello che le pareva certo, e come dubbio quello di cui dubitava. Nessuna responsabilità essa può avere su quello che altri han­no pensato, e sul modo col quale hanno interpretato i suoi atti, le sue parole .0 i suoi scritti, che essa ha vergato unicamente per obbedienza e non per vana gloria. Alcuni di questi scritti sono assai delicati per­ché di materia di confessione, e furono divulgati mentre essa si era raccomandata che venissero bru­ciati. In questo son da biasimare non Gemma, ma i suoi Direttori. L'eroicità delle virtù della Serva di Dio non resta, quindi, in alcun modo offuscata, ma si può dIre che splende ancora di maggior luce e ap­pare più manifesta.

III. - Come si diportò la Serva di Dio di fronte ai fatti straordinari, qualunque sia stata la loro origi­ne e natura?

R. - La Serva di Dio, in tutti i casi, si diportò secondo le norme che suggeriscono i più accreditati

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maestri di spInto, e conformemente agli ordini e ai consigli dei suoi confessori e Direttori. È infatti indu­bitato che essa cercò tutti i modi per occultare i doni che riceveva da Dio, non solo perché temeva inganni del demonio, ma anche perché sinceramente se ne stimava indegna, e sapeva benissimo che essi non co­stituiscono la santità, ma sono grazie gratis date, che per sé potrebbero essere accordate anche a un pecca­tore. A tal fine pregò a più riprese il Signore acciò le stimmate ecc. non comparissero all'esterno, le estasi ecc. non avvenissero in luogo pubblico, e si adoperò quanto poté acciò le cose non si divulgasse­ro, decidendosi a scrivere solo per ordine dei suoi confessori e Direttori. Vediamo inoltre che ad ogni apparizione si sente, da principio, profondamente turbata, invoca Dio, la Vergine SS. e l'Angelo custo­de; fa il segno di croce, disprezza e rigetta, anche sgarbatamente, le persone apparse sputando loro in faccia, come le avevano insegnato a fare i suoi Diret­tori, si attiene scrupolosamente a tutti gli ordini rice­vuti per quanto si riferisce al tempo e al modo di pre­gare, al cibo da prendere, al riposo da dare al corpo, al non intraprendere alcuna penitenza afflittiva del corpo senza consiglio e approvazione. Inoltre tutte queste apparizioni e questi fenomeni straordinari so­no destinati ad eccitare al bene, e Gemma si sente da essi ognor più stimolata a una vita di maggior unione con Dio, di più perfetta imitazione di Gesù Cristo e di più completo abbandono nella volontà di Dio. Non affiora mai in esse alcuno spirito, anche mi­nimo, d'interesse, o di vanità, o di gloria mondana: unico suo desiderio insoddisfatto è quello di essere religiosa austera e penitente. Ogni apparizione, ogni fenomeno straordinario si termina lasciando pace e

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tranquillità nell'animo della Serva di Dio, la quale vi prende nuovo vigore nei suoi slanci verso il Paradiso, dove saranno appieno saziate le sue brame nella vi­sione e nel possesso di Dio.

Da uno studio accurato di tutto il materiale avu­to sott'occhi, posso affermare con tutta sicurezza che Gemma, in presenza di tutti i fatti straordinari che le occorsero, si diportò nel modo con cui solo un'ani­ma santa poteva diportarsi.

IV. - Non vi ha pericolo che, approvate le virtù della Galgani, si possa ritenere dal pubblico che an­che i doni straordinari siano in certo qual modo ap­provati?

R. - Un tale pericolo, a mio umile parere, non esiste, e ad ogni modo non potrebbe restringersi alla sola Gemma Galgani, perché, come fu osservato da principio, non v'è alcun fatto straordinario in Gem­ma, che non si trovi anche verificato in altri Santi canonizzati. Del resto è dottrina comune che la Chie­sa, pur approvando le virtù dei Santi, non ha mai vo­luto o intende approvare tutti i loro scritti e tutte le loro affermazioni, o le visioni e rivelazioni che essi credessero di aver avute, o i fenomeni straordinari che in essi poterono essersi verificati. Tutti sanno che si tratterebbe, in ogni caso, di grazie gratis date, non necessariamente connesse con la santità, e che la rivelazione destinata al mondo si è chiusa con gli Apostoli, e qualsiasi rivelazione privata non può ave­re che un valore relativo, in quanto la Chiesa può di­chiarare che non si oppone alla prima. Lo stesso deve dirsi dei fatti straordinari: stimmate, estasi ecc. Non essendo essi necessariamente connessi colla santità,

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il fatto di approvare l'eroicità delle virtù di un santu non importa per sé il giudizio che siano veri o so­prannaturali i fenomeni straordinari che nel santo si sono verificati. Intorno ad essi la chiesa non si pro­nunzia, ma lascia che si usino le formule: ferunt, tra­dunt e simili, sempreché non vi sia pericolo per la purezza della fede e del costume, e non siano occasio­ne di superstizione. In qualche caso, a motivo di spe­ciali circostanze, la Chiesa può intervenire e intervie­ne col suo giudizio, ma generalmente fa precedere ad suo giudizio studii e indagini, talora assai lunghi.

Ad ogni modo non vedrei alcun inconveniente a che, nel caso di Gemma, si dichiarasse esplicitamente che la Chiesa, pur approvando le virtù che costituisco­no la santità, non intende di pronunziarsi sui fatti straordinari che colla santità non sono necessaria­mente connessi. Così si è già fatto nella causa di Santa Caterina dei Ricci, a proposito delle apparizioni del Savonarola. Senza pronunziarsi sulla loro realtà, si passò oltre e non si trovò in esse ostacolo alcuno alla proclamazione delle virtù eroiche di Caterina. L'op­portunità e la convenienza di tale dichiarazione nella causa di Gemma Galgani, viene motivata dal fatto che le sue visioni, le sue estasi, e le altre meraviglie che di essa si narrano, sono molto diffuse nel popolo cri­stiano e vanno ancora ogni giorno più diffondendosi insieme alla fama di prodigi che da ogni parte si com­pirebbero per l'intercessione della Serva di Dio.

V. - E non verrebbe, con quell'approvazione, compromessa l'autorità della Chiesa qualora l'origine e l'indole di quei doni fosse sospetta?

R. - Anche la risposta a quest'ultimo quesito non presenta alcuna grave difficoltà, specialmente se

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si fa la dichiarazione accennata nella precedente ri­sposta. Se infatti la Chiesa afferma di non volersi pronunziare sui fatti straordinari avvenuti in Gemma Galgani ma di dare unicamente il suo giudizio sulle virtù da essa praticate, è chiaro che l'autorità della Chiesa non verrebbe mai compromessa, anche nel ca­so che i suddetti fatti fossero d'indole sospetta e, per impossibile, si provasse apoditticamente che devono attribuirsi, non a un intervento soprannaturale di Dio, ma a un'intervento diabolico, o a un'illusione soggettiva, oppure che sono una mistificazione isteri­ca, poiché resterebbe sempre luminosamente prova­ta la perfetta buona fede della Galgani, quale risulta dagli atti processuali.

Anche dato che si credesse di non tener conto della dichiarazione precedente, e si volesse procede­re all'approvazione delle virtù semplicemente senza far menzione dei fatti straordinari, l'autorità della Chiesa non verrebbe ad essere compromessa, come non viene compromessa dal fatto che nella Vita' di un Santo, agli atti autentici e discussi, si aggiungano poi, nel corso degli anni, leggende e fronzoli ben lun­gi dall'avere i caratteri della realtà storica, e si inse­riscano narrazioni di miracoli mai avvenuti. Anche qui vale il detto: - La Chiesa canonizza le virtù non i miracoli fatti in vita dai Santi.

Riassumendo il fin qui detto, ritengo che i fatti straordinari della vita di Gemma Galgani, nel lor complesso, siano veri, ma nel modo e nei limiti con cui sono esposti da Gemma stessa. Ritengo inoltre, che la Serva di Dio, nel complesso della sua vita, non sia stata vittima d'illusione, e che l'eroismo delle sue virtù risplende di tutta la luce necessaria a che si possa procedere al relativo decreto. Sarebbe forse

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prudente una dichiarazione esplicita che, pur appro­vando le virtù, la Chiesa non intende di pronunziarsi sulla esistenza e la natura dei fatti straordinari che si raccontano. In questo modo l'autorità della Chiesa non verrebbe in alcuna maniera compromessa, e non potrebbe suscitare alcuna opposizione anche da par­te degli increduli. Sottometto, però, interamente que­sti miei giudizi alla superiore Autorità.

F. Marco Sales O.P. Consultore

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II

E.mo Principe, Il Rev.mo ed Ill.mo Promotore della Fede mi pro­

pone alcuni quesiti in ordine alle virtù eroiche della Serva di Dio Gemma Galgani. Procurerò di risponde­re innanzi a Dio, secondo che mi detta l'informazione che ho di tutto il complesso dei suoi processi, e la stessa mia COSCIenza.

I. - Nei fatti straordinari che si verificarono in Gemma Galgani, ci poté essere da parte di lei qualche illusione?

I fatti straordinari ai quali si allude, sono princi­palmente le sue estasi e, generalmente, il suo fre­quente commercio col mondo invisibile degli spiriti, nonché la sua partecipazione fisica alle pene della Passione di Gesù Cristo.

Osservo quanto all'uno ed all'altro capo, che ia vita di Gemma non offre nulla di nuovo che già non si riscontri in molte altre vite di Santi.

È noto il commercio di Santa Francesca Romana coi suoi angeli, che ella vedeva e trattava domestica­mente. È noto, che anche san Camillo de Lellis si ser­vì del ministero angelico per recapitare una lettera. È parimenti noto, che Dio ammise molti santi, tra cui san Francesco, Santa Caterina da Siena, la beata Ida da Lovanio ecc., alla partecipazione sensibile e cor­porea delle pene della passione del Signore.

Quindi, i fatti straordinari attribuiti a Gemma Galgani, per sè non contengono nulla d'inverosimile, né ripugnano alla dottrina ed alla tradizione agiogra­fica della Chiesa Cattolica. S'impone invece la que-

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stione, se tali fatti sono storicamente dimostrati, ed inoltre, se in essi ci poté essere da parte di Gemma Galgani qualche illusione. Assai saggiamente, nei processi dei Santi la legge stabilita da Benedetto XIII a proposito di santa Caterina de' Ricci e d'una visione da lei avuta a riguardo del Savonarola, pre­scinde da simili visioni, ed attende formalmente alle virtù eroiche di colui che viene proposto per gli onori degli altari. Come insegna infatti quel Pontefice, la Chiesa non canonizza le visioni, ma le virtù dei suoi Santi.

La ragione poi perché la Chiesa non intende for­mulare un giudizio diretto e formale sulle visioni ed i fatti attribuiti ai Servi di Dio, va ricercata nella considerazione che, trattandosi, nel caso, di rivela­zioni private, non destinate quindi all'intiera Chiesa, molte volte ci mancano gli elementi necessari per po­ter giudicare dell'origine, dei limiti e della fedeltà obiettive con cui ci vengono riferite simili visioni dei Santi.

Nelle rivelazioni di santa Brigitta sulla Passione, quante discordanze si riscontrano dalle rivelazioni di santa Gertrude, santa Metilde, santa Francesca Ro­mana ecc. Come spiegare tali discordanze? Coll'os­servare, che forse le relazioni a noi giunte non siano sempre esatte, e che queste stesse anime estatiche non abbiano potuto sempre sceverare nelle loro me­ditazioni, quanto era diretto frutto dell'illuminazione carismatica, da quello che era il risultato della loro intelligenza. È occorso talora agli stessi Profeti, di parlare a nome del Signore, mentre poi Dio, corre­gendo le loro enunciazioni, ha dimostrato che aveva­no parlato secondo lo spirito proprio.

Siccome tuttavia lo studio diligente per la discre-

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zione degli spiriti, rientra a parte della prudenza, vir­tù cardinale, si richiede perciò che colui che viene proposto per gli onori degli altari, abbia usato alme­no ogni cautela e diligenza per non andar soggetto ad illusioni in fatto di doni carismatici.

Quali sono queste cautele e diligenze? Gli autori generalmente le riducono alle se­

guenti:

a) Non desiderare in ordinatamente tali doni. b) Diffidare del proprio spirito, e sottoporre i doni

al controllo del Direttore Spirituale. ~) Umiliarsi ancor più, massime sotto la responsabi­

lità di simili grazie straordinarie. d) Nell'accettazione e nell'uso di tali doni, dipendere

interamente dalla Santa Ubbidienza. e) Avvertire che simili illustrazioni s'accordino inte­

ramente colla dottrina cattolica. f) Non attaccare l'animo a tali doni, ma servirsene

siccome di mezzo per aumentare nelle cognizioni del proprio nulla.

Adoperando siffatti criteri e cautele, non è del tutto escluso che l'anima possa talora scambiare per lume divino quanto è semplice effetto al proprio spi­rito, - come forse accadde a Paolo quando annunciò al presbiterio di Mileto che non l'avrebbero più rive­duto vivo - ma le illusioni si rendono massimamen­te improbabili, ed in ogni caso, non possono più con­siderarsi siccome volontarie ed imputabili all'anima che ha fatto del tutto per non venire ingannata.

È ora questa la condizione di Gemma Galgani? Vediamo.

La Galgani, siccome dimostrano i suoi processi, non volle, né amò i suoi doni carismatici. Li sottopo-

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se sempre, ciecamente, interamente al giudizio dei suoi direttori spirituali, li nascose quanto poté, diffi­dò sempre del proprio spirito, approfondì vieppiù nell'umile cognizione del proprio nulla, e senza tro­var riposo, né gusto nei superni carismi, se ne servì per dispregiare se medesima e le cose create, ed unir­si a Dio bene increato. Tanto attestano il Teologo censore degli Scritti della Serva di Dio ed i suoi stes­si Direttori Spirituali.

Al primo quesito, adunque, se per colpa di Gem­ma Galgani essa poté dar luogo ad illusione, rispon­do semplicemente: negative.

II. - Nel caso che ci fosse stata qualche illusione, può dirsi che questa coinvolge tutti, o la maggior par­te degli atti della sua vita, in modo da infirmare la eroicità delle sue virtù?

Se le regole della Teologia mistica e la tradizione della Chiesa non soffrono inganno, bisogna pur con­venire che Gemma Galgani venne, a dir così, immu­nizzata contro le illusioni, dalla stessa fedeltà colla quale, sotto la saggia guida dei suoi Direttori Spiri­tuali, adoperò le regole e i criteri che si assegnano per il discernimento degli spiriti. Gemma Galgani pertanto, non poté essere un'illusa.

Ma, facciamo pure la supposizione che talora, per debolezza di natura, possa essere andata sogget­ta ad illusione, può dirsi che questa coinvolga tutta la sua vita, in modo da infirmare la eroicità delle sue virtù? Osservo, che i Direttori Spirituali della Galga­ni, e particolarmente Mons. Volpi, nel guidarla, pre­scindettero interamente dai suoi doni carismatici, verso i quali si mostrarono anzi diffidenti ed austeri.

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Sotto la loro guida, la Serva di Dio si consacrò alla pratica eroica delle virtù teologali e cardinali, senza che vi abbiano parte i fatti e le rivelazioni, delle quali anzi i detti Direttori saggiamente astraevano. Fu die­tro loro ordine, che la Gemma dové implorare dal Si­gnore l'occultamento delle stigmate, l'arresto dei su­dori di sangue ecc. Quanto poco la vita perfettissima della Galgani dipendesse dai suoi ratti e doni gratis dati, lo si argomenti, oltre che dalla sua continua, perfetta e specifica ubbidienza universale ai propri Direttori spirituali, anche dalla diffidenza profonda che nutriva per i propri lumi, come, tra l'altro, lo si deduce da questo brano di lettera al suo Confessore: «Le mie cose non vengono da Dio, ma il tutto viene dal diavolo - come gli aveva detto una tal religiosa che ella nomina -; preghi Gesù, lume, lume, babbo mio. È tutto falsa devozione, me ne avvedo troppo bene; è tutto ipocrisia» - Positio super revisione Scriptorum, pago 32 -.

Perciò, dato pure che in tutto il complesso dei doni carismatici attribuiti alla Galgani, siasi potuta insinuare talora, senza sua colpa, qualche illusione, né questa poté essere tale da coinvolgere tutta la sua vita, diretta minutamente dall'ubbidienza ai suoi di­rettori, né poté in alcun modo infirmare l'eroicità delle sue virtù, già dimostrate nei processi con prove dirette et per se stantibus.

III. - Come si diportà la Serva di Dio di fronte ai fatti straordinari, qualunque sia stata la loro origi­ne e natura?

Oltre ai criteri di prudenza più sopra ricordati, ad un vivo senso del bisogno in cui era di direzione

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spirituale, Gemma Galgani di fronte a tali fatti strao­dinari s'inabissò sempre più nel dispregio di se me­desima, trasecolando che Dio si degnasse di porre le mani in un siffatto «letamaio ». La sua umiltà la por­ta a forme affatto iperboliche, come quando desidera che i suoi direttori spirituali le recidano il capo. Se è vero che l'albero si conosce massimamente dai frutti, conviene ritenere autentici anche i fatti straor­dinari della Serva di Dio, perché di essi la Galgani si servÌ come di mezzi per offrire al Signore l'olocau­sto della sua ubbidienza, dell'umiltà sua, dell'odio che aveva a proprio riguardo. In tutta la vita e nei Processi della Serva di Dio, non si verifica mai che i fatti ed illustrazioni della Gemma non siano connes­si coll'esercizio delle più eroiche virtù. Lungi dal blandire la corrotta natura, tali carismi contribuiro­no a martorizzare l'Angelica Fanciulla, consacrando quasi la sposa dello Sposo Crocifisso. Al contrario, la pseudomistica, presto o tardi porta alla natura corrotta; anzi, quasi sempre, al senso. Gemma invece fu umile, soprattutto umile; anzi, fu più umile, so­prattutto pei suoi doni carismatici, tanto da attri­buirli al demonio e da ritenersi cattiva. Quindi, non poté essere ingannata, e scansò perciò le varie e fini arti del demonio che tentava di trarla in errore ed in peccato.

IV. - Non si può prevedere il pericolo che, appro­vando le virtù della Galgani, si possa ritenere dal pub­blico, che anche i doni straordinari siano in certo qual modo approvati?

Il pericolo è comune a molti altri santi insigniti di tali doni, quali la beata Angela da Foligno, santa

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Birgitta, santa Gertrude ecc., le cui estasi e rivela­zioni vanno per le mani dei fedeli anche con l'appro­vazione ecclesiastica, e vengono lette con frutto ed edificazione. L'insegnamento tuttavia della Chiesa a proposito di tali doni è esplicito, né ignoto ai fedeli. L'approvazione ecclesiastica concessa alle rivelazio­ni di santa Gertrude o di santa Birgitta, non garanti­sce minimamente l'oggettiva verità di quei racconti, ma dichiara semplicemente, che in quegli scritti non è stato ritrovato nulla che sia alieno all'insegnamen­to della Chiesa Cattolica. Quest'identica dichiarazio­ne è stata emessa dal censore che, a nome della S. Congregazione, ha esaminato i vari scritti di Gem­ma Galgani. L'E.mo già Cardinale Billot diceva un giorno, che anche tra le rivelazioni di santa Marghe­rita Alacoque ve ne aveva tal una erronea e falsa. Eppure, la santità dell' Alacoque è stata canonizzata, siccome quella che aveva per base le sue virtù, e non i suoi veri o supposti doni carismatici. Siccome pure la Chiesa nel proporre ai fedeli la devozione al Cuore Sacratissimo di Gesù ha fondato la sua dottrina su basi teologiche ben diversamente solide, di quello che potessero esserlo le rivelazioni di san­ta Margherita. Come tutte codeste rivelazioni non escono dalla cerchia delle rivelazioni private, ordi­nate cioè «per sé» alla fede ed alla santificazione di colui che le riceve, così anche dopo la beatifica­zione della Galgani, si direbbe semplicemente che la Chiesa, nel fatto di codesti doni carismatici, non v'ha scoperto nulla di colposo e nella dottrina che contengono, nulla che volutamente si discosti dal­l'insegnamento Cattolico. Non si potrebbe, né si do­vrebbe dire di più.

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V. - E non verrebbe con quella approvazione compromessa l'autorità della Chiesa, qualora l'origi­ne e l'indole di quei fatti fosse sospetta?

Il sospetto può cadere sull'oggettività del dono carismatico, o sul modo di diportarsi della Serva di Dio in ordine ad esso.

Quanto al primo quesito di Gemma Galgani, me­glio che risolverlo essa stessa era in dovere di sotto­porlo sinceramente e di farlo risolvere dai suoi di­rettori spirituali, siccome essa fece costantemente. Sicché, dato che ci fosse stato inganno o illusione diabolica, di questa sarebbero stati vittima, non già l'umile Vergine lucchese, ma i suoi Direttori; cosa che è massimamente improbabile, attesa la loro pru­denza, esperienza di teologia mistica e sommo riser­bo che adoperarono.

Se invece il dubbio verge sul modo col quale la Serva di Dio si comportò in ordine a tali doni carismatici, osservo che codesto dubbio è stato escluso da quello che abbiamo osservato dianzi. Non è dubbio, ma certo è dimostrato giuridicamente dai processi, che la santità di Gemma Galgani non ebbe per origine o motivo le sue estasi o rivelazioni, alle quali essa non prestò che troppo scarsa fede, ma s'appoggiò sulle solide basi dell'ubbidienza, dell'u­miltà, della mortificazione.

L'approvazione data dalla Chiesa alle virtù eroi­che della Serva di Dio, non comprometterebbe quin­di punto l'autorità della Sede Apostolica, qualora potesse dimostrarsi sospetta l'origine e l'indole dei fatti carismatici di cui fu adorna; perché il giudizio della Chiesa verge direttamente sulle virtù eroiche, ben stabilite e dimostrate giuridicamente, ed astrae,

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come dalle visioni d'origine soprannaturale, cosÌ an­cora dalle possibili debolezze psichiche, a cui anche un santo può andar soggetto senza sua colpa.

Ad esempio del divin Redentore che dal diavolo venne condotto al pinnacolo del tempio, e prima an­cora, con una visione panoramica irreale, aveva vi­sto tutti i regni del mondo, colla loro gloria, anche i Santi poterono, senza alcuna loro colpa, subire esteriormente l'influenza del padre della menzogna. L'agiografia è piena di esempi, e basterà citare quel­lo di san Benedetto che col segno della Croce dissi­pò l'illusione fantastica dell'incendio della cucina, che il diavolo aveva prodotto tra i suoi monaci.

Si sa che la Vergine sant'Eustochio fu ossessa durante tutta la sua vita, ed è parimenti noto, che parecchie profezie di santi, per es. San Pier Damia­ni, Santa Birgitta ecc. non si verificarono punto. Quindi, anche nel caso - massimamente improbabi­le - che potesse dimostrarsi sospetta l'origine o l'indole dei fatti carismatici di Gemma Galgani, 1'~lU­torità della Chiesa non correrebbe alcun pericolo perché in tal caso anzi rifulgerebbe di più la santità eroica della Vergine Lucchese. Si direbbe allora che Gemma, nonostante un temperamento eventualmen­te isterico, di cui il demonio cercava di approfittare per trarla in inganno, per mezzo dell'ubbidienza e dell'umiltà ha confuso Satana, ha superato l'infermi­tà del corpo e la debolezza del sesso, dando prove ancor più mirabili di virtù cristiana, che sole -e non già codeste tentazioni - ha inteso di approva­re la Chiesa con la di lei beatificazione.

Del resto, la supposizione dell'origine poco legit­tima delle rivelazioni e dei doni carismatici di Gem­ma Galgani, a quello che insegna la teologia mistica,

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cade, quando si rifletta all'ubbidienza della Serva di Dio ed alla saggezza dei suoi direttori spirituali. Se nella condotta della Vergine Lucchese dovesse riconoscersi errore o colpa, queste ricadrebbero non solo sui suoi Direttori, ma sulla stessa dottrina degli autori mistici, giusta la quale Gemma regolò fedel­mente la sua condotta sotto il continuo controllo dei suoi superiori. In tal caso si potrebbe facilmente dire: «Domine, si error est, a Te decepti sumus ».

Ma non può esservi errore dove è vera ubbidienza e umiltà, secondo che insegnano i Santi.

Un ultimo quesito. La Serva di Dio non fu ella un'isterica?

Premetto, che simile accusa, con grande appara­to scientifico, venne mossa anche sul conto di santa Teresa d'Avila, di santa Teresa del Bambino Gesù ecc.

Di più, essendo l'isterismo una malattia che, seppure attenua, non toglie tuttavia il libero giudi­zio dell'intelletto e della volontà, e quindi neppure la responsabilità degli atti umani, può essa benissi­mo comporsi anche con una santità eroica, ogni qual volta cioè un Servo di Dio per il fedele uso della grazia reagisce e supera l'infermità della natura. Se è stata possibile la santità perfino nello stato abitua­le d'ossessione, perché non lo potrà essere in una semplice condizione patologica?

Però, anche ammesso che, tra gli altri miracoli della divina potenza, la santità che supera e vince il temperamento isterico rappresenta una vittoria della grazia ancor più gloriosa, non mi sembra tut­tavia che questo sia il caso di Gemma Galgani.

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Conosciamo bene i segni diagnostici dei tempe­ramenti isterici. Bugiardi, volubili, egoisti, facilmen­te sensuali, egocentrici, finti, facilmente eccitabili; in una parola, deboli e ripiegati in loro medesimi.

Gemma Galgani in tutta la sua vita diede continue e costanti prove di qualità precisamente opposte alle note che distinguono i temperamenti isterici.

Ella, che nelle sue lettere apparisce d'una limpi­dezza cristallina, nulla più abborrisce che la finzione e l'inganno; e nelle sue relazioni coi direttori spiri­tuali, coi benefattori, coi parenti, è continuamente preoccupata d'apparir loro quale riteneva fermamen­te d'essere, una povera creatura, un essere degenera­to, un letamaio. Chiede continuamente lume per sé e pei suoi direttori.

La Galgani nel suo cammino ascensionale verso la santità e lo stato di completa immolazione, fu co­stante, nonostante tutti gli artifici e le sevizie dei de­moni, tutte le contradizioni e le critiche degli uomini, nonostante le sue stesse continue ed atroci sofferen­ze. La sua eroica virtù non conobbe alti e bassi, tre­gue e riprese, periodi di fervore che si succedono e stasi di debolezze: Gemma fu sempre fervorosa, né mai altro desiderò e cercò, che il tal amo dello Sposo Verginale, il legno della Croce.

La Serva di Dio, lungi dall'essere egoista ed ego­centrica, amava per se stessa il nascondimento ed il volontario dispregio, per essere invece tutto zelo e carità verso gli altri. I doni mangerecci che riceveva, passavano ai membri della famiglia Giannini; ed ella, tuttoché malata, faceva da mammina c~i bambini della sua benefattrice. Anche nelle estasi e nelle pre­ghiere, apparisce continuamente preoccupata del be­ne degli altri, per la cui salvezza e salute temporale non esita perfino d'offrire al Signore la propria vita.

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Gemma, non solo non adombrò il proprio giglio con alcun attacco meno che puro; ma anzi la sua vita, specialmente dopo il dono delle stigmate e la parteci­pazione ai dolori della Passione del Redentore, fu un prolungato martirio durato sino all'estrema agonia.

Morì ad immagine del Salvatore, desolata, ma se­rena; morì d'eccesso di dolore: - Gesù mio, disse, ora non ne posso più -. Detto questo, allargò le sue braccia e reclinando il capo spirò d'amore e di dolo­re, come Gesù Cristo in Croce.

La fortezza di Gemma risplende in tutta la sua vita; fortezza, non soltanto nel sostenere impavida, anzi, amare le sue sofferenze mistiche che le strazia­rono il corpo e l'immolarono sulla Croce nel primo fiore della sua giovinezza; ma soprattutto nel soste­nere serena, ma ferma, le catastrofi materiali della sua famiglia, i disagi delle malattie, della povertà, il furore e l'ossessione del demonio, e tutto questo sen­za un lamento, senza un rimpianto, senza un compro­messo o una cessione alla natura, al mondo, all'infer­no. Evidentemente, chi ha potuto compiere tali eroi­smi, non solo non può essere un temperamento isterico, insufficiente, malato; ma, siccome tanta for­tezza che fa ricordare quella della beata Angela da Foligno, di santa Rosa da Lima, di santa Caterina da Siena, sorpassa di molto la possibilità della nostra comun povera natura, accusa evidentemente un'ori­gine più alta, siccome è scritto: « Fortis ut mors dilec­tio, dura sicut infernus aemulatio; lampades eius lampades ignis atque flammarum». Quae omnia dic­ta sint sub censura etc.

Monte Cassino, 7 marzo 1929.

+ Ildefonso Ab. di S. Paolo e Ordinario

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INDICE

PRESENTAZIONE ........................ pago 5 PROLOGO ............................... . NOTA BIBLIOGRAFICA ................... . INTRODUZIONE: Il progetto di Dio ....... .

CAPITOLO PRIMO

IL MISTERO SALVIFICO DELLA PASSIONE DI CRISTO ................................. .

1. - La Passione di Cristo, fonte della vita so­prannaturale

2. - La contem~oraneità di Gemma alla Pas-sione di Cristo ..................... .

3. - La conformità al «patire con Gesù solo»

4. - Il carisma delle Stimmate e dei dolori della Passione

CAPITOLO SECONDO

LA PARTECIPAZIONE DI GEMMA AL PECCATO

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UNIVERSALE ............................ » 127

1. - L'uomo moderno e l'oblio del senso del peccato ........................... » 127

2. - La coscienza del peccato universale. » 142 3. - L'oscurità della via: Dio, la fantasia o il

demonio? ......................... » 170 4. - Gemma e il diavolo ............... » 189

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CAPITOLO TERZO

L'OSCURA EVIDENZA DEL SOPRANNATURA-LE ..................................... .

1. - Gemma sente, ma... non capisce .... . 2. - Il sentire sovrasensibile ........... . 3. - L'esperienza del dolore e l'approfondi-

mento della fede ................. .

CAPITOLO QUARTO

LA PRESENZA-ASSENZA DI GESÙ

1. Gesù di Gemma .................. . 2. Gemma di Gesù (solo) ............. . 3. Tenerezza e sofferenza di Gemma '"

CAPITOLO QUINTO

FIEREZZA E SEMPLICITÀ

1. - Gemma viva ..................... . 2. - Femminilità e mitezza di Gemma '" 3. La normalità del supernormale di Gem-

ma .............................. .

CONCLUSIONE: Fra luci e tenebre ........ .

APPENDICE ............................. . Voto del P. Marco Sales, D.P. . ......... . Voto dell'Abate Ildefonso Schuster, D.S.B.

INDICE

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