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12 Anno 11_n. 433 n 31 ottobre 2009121212 VICO EQUENSE

di Giuseppe Maffucci

Vico Equense/Una storia che dura da almeno ventisette secoli

AEQUA: LA MITICA CITTÀ

Nel 1782 l’abate Baldassarre Parascandolo, d’illustre fami-glia aequana, pubblicò in Na-poli un libro dal titolo ” Lettera I sull’antica città di Equa”, ponendosi l’obiettivo, unico studioso nel suo tempo, di trovare una risposta certa sulle origini e l’esistenza di un’anti-ca città chiamata per l’appunto “AEQUA”.La ricerca del Parascandolo ruotava tutta intorno ai versi del poeta attivo nella seconda metà del primo secolo dell’Im-pero Romano ” Silio Italico” che, nel suo poema “De Bello Punico” (V.45), descriven-do la battaglia avvenuta sul Trasimeno, narra della morte valorosa di un condottiero di nome MURRANO, nativo del territorio aequano, con questi versi: ” Occubit silva in magna patriosque sub ipso. Quaesivit montes leto, ac Felicia Baccho – Aequana et Zephiro Surren-tum molle salubri” . La cui traduzione potrebbe essere: ” Cadde in una grande selva e nel morire cercò i patri mon-ti e gli ubertosi vigneti Ae-quani con la dolce Sorrento, allietata dal salubre Zefi ro”.Partendo dall’interpretazione di questo testo che, tra l’al-tro è forse l’unico di epoca romana a fare riferimento preciso alla nostra terra, il Parascandolo ritenne che il territorio tra i Monti del Faito e le colline a sud-ovest verso Sorrento, che declina dolce-mente fi no al mare, fosse chia-mato al tempo dell’Imperatore Augusto”Aequana”. Forte di questa sua convinzione l’abate B. Parascandolo nel suo libro descrive di come la città creb-be e si sviluppò, sino a rag-giungere notevole importanza commerciale, anche per la sua posizione strategica sul mare, con un ampio retroterra alle spalle. La città partecipò alla seconda guerra punica dando un forte aiuto alle legioni ro-mane con uomini e armi. Fa-tale fu poi la scelta compiuta dagli aequani, all’epoca della guerra sociale che sconvolse Roma, essi si schierarono con-

tro le armate di “Silla”, suben-do un disastroso saccheggio alla fi ne delle vicende belliche che ne seguirono.A seguito di questi eventi, e dalla successiva eruzione del Vesuvio del 79 d.C., con il conseguente terribile mare-moto, Aequa non si riprese più. Questi due avvenimenti così perniciosi spiegherebbero la mancanza di certezze circa l’esatta ubicazione dell’anti-chissima città.A rafforzare la tesi sostenuta nel 1782 dall’abate Balda-sarre Parascandolo circa la presunta esistenza di una città chiamata “Aequa”, venne nel 1858 il sacerdote don Gaeta-no Parascandolo, della stessa famiglia, che dando alle stam-pe la prima e completa “ Mo-nografi a del Comune di Vico Equense”, dedicò alla storia e all’esistenza della mitica città, ben cento pagine del suo libro.Anche, nella prima metà del secolo scorso (1936) un altro benemerito studioso di storia aequana, l’avvocato Baldas-sarre Ferraro, fratello di sua ecc. Ferraro, Presidente di Corte di Cassazione, nostro concittadino che tanto onore in vita procurò a Vico Equense, raccolse un’infi nità di docu-menti, notizie e atti sulla nostra storia, redigendo alla fi ne uno “ studio”, che è oggi conserva-to manoscritto con tutte le sue carte presso l’archivio di Stato di Napoli sezione Archivi Pri-vati. Una revisione dello stu-dio dl Ferrara del 1936 è oggi in possesso del signor Mario Verde, appassionato ricercato-re che inverdisce la tradizione degli storici aequani . Sull’an-tichissima città di Aequa e sulla sua effettiva esistenza, hanno lavorato e scritto duran-te tutto il 1900 anche i fratelli Luigi e Francesco de Gennaro, così come il più famoso, im-portante e conosciuto,studioso di storia di Vico Equense , del suo territorio e dell’intera pe-nisola sorrentina , il sacerdote Antonino Trombetta, nativo del casale di Moiano, da po-chi anni scomparso, autore di

moltissime pubblicazioni che, nel suo libro dal titolo “ Seia-no di Vico Equense” stampato nella tipografi a dell’abbazia di Casamari ( Frosinone) nel 1991, con abilità e dovizia di particolari tenta di dimostrare l’infondatezza delle tesi a so-stegno dell’esistenza storica di una città chiamata “Aequa”. A pagina 26 del suo lavoro il “ Trombetta” testualmente scrive:” e per dimostrare che effettivamente la verità sta dalla nostra parte, prendiamo le mosse dall’argomento prin-cipe portato dall’abate Para-scandolo, cioè i versi di Silio Italico, facendo innanzitutto rilevare che l’aggettivo aequa-no, se fa di per se supporre il nome Aequa da cui è derivato non induce con uguale ne-cessità logica a ritenere che quel nome sia quello di una città,potendo benissimo de-signare un’altra realtà, come per esempio dall’aggettivo ca-prese siamo portati al nome di Capri ma non necessariamen-te alla cittadina di egual nome perché quel temine, oltre al suo capoluogo serve ad indi-care la stessa isola”.Infi ne, dopo tanto scrivere, il Trombetta così conclude “stando così le cose si potreb-be senz’altro dichiarare chiusa per sempre questa questione, una città con il nome Aequa non è mai esistita”. Ad onor del vero bisogna riconoscere che sulla stessa posizione sono collocati oggi i tanti ricerca-

tori, studiosi ed appassionati di storia locale che grazie alla loro eleva ed infi nita prepara-zione monopolizzano la “cul-tura” uffi ciale a Vico Equense.I quali,tutti insieme, ad incominciare dal Trom-betta stesso, non vogliono tener in conto il fatto che la Necropoli aequana , già conosciuta e manomessa alla fi ne del 1700, è stata portata alla luce a partire dal 1960 nell’area tra via Cortile, via S.Sofi a, via Ni-cotera e via Bonea, con di-verse centinaia di tombe, ricche di arredi preziosi e suppellettili di grande valore archeologico,datati tra il VII e V sec. a.C., te-stimonianza certa , storica e sicura,della presenza di un importante agglome-rato urbano, cioè di una città, non un semplice e insignifi cante “vicus”. Non poteva esserci un’area così vasta , con diversi strati i tombe soprapposte, che per diverse centinaia di anni ha avuto la funzione di Necropoli se non ci fosse stata vicina una popolosa città. E basta questo per mettere veramente la pa-rola fi ne a insignifi canti e inutili elucubrazioni. Anzi sarebbe opportuno che i responsabili spiegassero ai cittadini di Vico Equense che fi ne hanno fatto i vasi, i bronzi , le monete , le armi, i capitelli , le iscrizioni, le

maschere , ritrovati nella nostra Necropoli, di cui misera testimonianza è ri-masta oggi nel così detto ” Antiquarium”.Eppure, verrà il giorno che i fatti verranno alla luce e il nostro patrimonio arche-ologico e storico ritornerà a Vico Equense, per dare lustro e nobiltà alla nostra città.A chi scrive da modesto au-todidatta appassionato di storie e leggende antiche, fuori dai circuiti uffi ciali dell’intellighenzia aequana, non può essere vietato di esprimere la propria opi-nione e di dichiararsi net-tamente contrario alla tesi di don Antonino Trombet-ta, e di schierarsi ancora oggi con i tanti sostenitori che dal 1780 hanno scritto sull’esistenza della mitica Aequa.D’altronde, la storia oltre di testimonianze certe è fatta anche di leggenda, chi si sognerebbe mai di mettere in discussione il leggendario Omero, la mitica guerra di Troia, gli dei, il pelide Achille. Noi abitanti del duemila della salubre e ubertosa conca aequana vogliamo conti-nuare a vivere cullandoci nel dolce sogno della leg-genda del valoroso guer-riero aequano “Murrano” sacrifi catosi sul Trasimeno per la gloria di Roma.

Rinnovare la leggenda alla scoperta delle nostre radici. La favolosa sorte di “MURRANO” il guerriero aequano morto sul Trasimeno