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6 Le due strade che la radio ha iniziato a percorrere negli ultimi anni sono innovazione e sperimentazione. E’ una radio che si riscopre sempre più medium di primo piano su più fronti, ciò ha portato alcune realtà radiofoniche a seguire percorsi diversi, più o meno creativi, per conquistare la ribalta. Radio Deejay, ad esempio, ha scelto una forma di comunicazione che mescola il linguaggio parlato, la musica e la pubblicità. Obiettivo di questa ricerca è scoprire in quali termini si può parlare di Radio Deejay come emittente diversa e innovativa, in cosa consiste l’esemplarità della sua comunicazione, quale percorso ha condotto la radio ad assumere la fisionomia che oggi la caratterizza. Evidenziando man mano quali sono i punti di tangenza e quali, invece, quelli in cui Radio Deejay sembra distanziarsi dalle altre emittenti e, più in generale, dal modo di fare radio oggi in Italia. Di tutto questo diranno, o tenteranno di dire, i cinque capitoli che seguono. Il primo capitolo intende dare un inquadramento teorico alla trattazione e delineare un quadro di come si presenta oggi la radio nel nostro paese. Vengono analizzati, in breve, i motivi che hanno portato la radio a riconquistare un ruolo di primaria importanza (o di primadonna, per riprendere il titolo del paragrafo) nel panorama dei mass media; per arrivare, poi, a considerare la radio del nuovo millennio: dalla struttura organizzativa ai formati, non tralasciando gli aspetti economici.

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6

Le due strade che la radio ha iniziato a percorrere negli

ultimi anni sono innovazione e sperimentazione.

E’ una radio che si riscopre sempre più medium di primo

piano su più fronti, ciò ha portato alcune realtà radiofoniche

a seguire percorsi diversi, più o meno creativi, per

conquistare la ribalta. Radio Deejay, ad esempio, ha scelto

una forma di comunicazione che mescola il linguaggio

parlato, la musica e la pubblicità.

Obiettivo di questa ricerca è scoprire in quali termini si può

parlare di Radio Deejay come emittente diversa e

innovativa, in cosa consiste l’esemplarità della sua

comunicazione, quale percorso ha condotto la radio ad

assumere la fisionomia che oggi la caratterizza.

Evidenziando man mano quali sono i punti di tangenza e

quali, invece, quelli in cui Radio Deejay sembra distanziarsi

dalle altre emittenti e, più in generale, dal modo di fare

radio oggi in Italia.

Di tutto questo diranno, o tenteranno di dire, i cinque

capitoli che seguono.

Il primo capitolo intende dare un inquadramento teorico alla

trattazione e delineare un quadro di come si presenta oggi

la radio nel nostro paese. Vengono analizzati, in breve, i

motivi che hanno portato la radio a riconquistare un ruolo di

primaria importanza (o di primadonna, per riprendere il

titolo del paragrafo) nel panorama dei mass media; per

arrivare, poi, a considerare la radio del nuovo millennio:

dalla struttura organizzativa ai formati, non tralasciando gli

aspetti economici.

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7

L’attenzione si sofferma immediatamente sulla facilità con

cui il mezzo radiofonico riesce ad assorbire, facendoli propri,

gli ultimi ritrovati tecnologici (dal satellite al Dab) e sulla

naturale predisposizione all’incontro e all’integrazione con gli

altri media, la tv (soprattutto, via cavo) e il PC. Proprio la

prospettiva di una radio sempre più avanguardista e in

continuo dialogo con gli altri mezzi, fa sì che lo sguardo si

rivolga senza indugio all’esempio di Radio Deejay.

Il secondo capitolo introduce all’essenza dell’emittente:

tratta delle strade che ha scelto di intraprendere, dei tragitti

che per questo si è trovata a percorrere, lungo i quali è

entrata a contatto con eventi, che inevitabilmente, l’hanno

trasformata. Si parla, quindi, della storia della radio, di

vicende, ma anche di personaggi. Di tutti coloro che hanno

lavorato a e per Deejay, come conduttori, direttori artistici,

editori; ciascuno dei quali ha lasciato un segno, una traccia

della propria personalità che oggi si può ritrovare nel modo

di essere di Radio Deejay.

Un approccio più tecnico contraddistingue il terzo capitolo, il

quale illustra la strategia di marketing della radio; il cui

nodo centrale sta nella politica di marca, o di brand, che

lanciata già da Cecchetto, si è poi negli anni arricchita e

potenziata. La dimostrazione che il brand Deejay tende

sempre più ad imporsi, è dato sul piano visuale da un

logotipo che si accresce per dimensioni, tende ad

intensificare la sua presenza nel tempo e nello spazio, per

essere protagonista.

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8

Si considera poi il posizionamento che Radio Deejay ha

conquistato nel mercato rispetto alle concorrenti e sulla base

delle sue scelte musicali e del target a cui ha deciso di

rivolgersi. Proprio agli ascoltatori si fa riferimento per capire

come l’identità di Deejay arriva al pubblico. L’immagine

percepita viene valutata qualitativamente, considerando le

associazioni e sensazione che la radio è in grado di suscitare

negli ascoltatori, e quantitativamente, guardando ai dati di

ascolto e di fedeltà, i migliori indicatori del gradimento che

una radio può avere.

Il quarto capitolo è un tuffo nella comunicazione Deejay. Si

chiarisce innanzi tutto il motivo per cui si è preferita

l’aggettivazione polimediale invece di multimediale; per poi

passare a considerare nel dettaglio le varie forme di

comunicazione. Da ciò che si comunica tramite Deejay, cioè

le inserzioni pubblicitarie che la radio o la tv (Deejay TV)

ospitano, alle forme di auto-promozione. Il modo attraverso

cui il brand Deejay comunica con l’esterno è analizzato

prendendo in esame ciascun canale: la discografia, la

stampa, le affissioni, la tv satellitare, Internet, gli eventi.

Una distinzione tra i diversi mezzi, che è funzionale a fini di

questa trattazione, in quanto contribuisce alla chiarezza

dell’esposizione, ma che non corrisponde alla realtà della

comunicazione di Radio Deejay, dove i mezzi si incontrano,

si sovrappongono, rimandando gli uni agli altri (per questo,

si parla di comunicazione polimediale). Tutti i veicoli si

uniscono in modo tale che l’immagine Deejay sia presente

con sempre maggiore frequenza nella vita degli individui,

moltiplicando le occasioni di contatto con il pubblico.

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9

Infine vengono presentati i dati d’ascolto degli ultimi anni,

per dimostrare come, anche in termini numerici, la strategia

attuata da Radio Deejay sia vincente. In particolare l’ultimo

capitolo propone un approccio statistico al fenomeno,

mostrando le variazioni del trend d’ascolto in corrispondenza

di eventi cruciali nella storia della radio.

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Capitolo I: La radio: ieri, oggi e… domani

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1.1 La Cenerentola radio ritorna

primadonna

«In radio puoi lavorare di fantasia e soprattutto far

lavorare la fantasia di chi ti ascolta. Tutto quello che

dici ha un significato, perché chi ti ascolta dispone

solo della tua voce e non viene distratto dalle

immagini. Se ami veramente la radio ti fa amare

tutto quello che non vedi»1.

«Solo la voce, la parola parlata può innescare la

stessa reazione emotiva. Quella voce, quella parola

che sono certamente presenti anche in TV, ma che

vengono inevitabilmente soffocate dal chiasso delle

immagini. Quella parola che, insieme agli effetti

sonori e alla musica, innesca la nostra fantasia, la

nostra creatività»2.

La radio può far sognare: si ascolta una canzone, una voce e

da lì si inizia a costruire delle immagini, si inizia a rendere

visibile “l’udito”, ad immaginare delle cose, cose che, però,

saranno diverse per ognuno, perché l’edificatore di queste

immagini è la fantasia.

Per più di quarant’anni, sembrava che si fosse dimenticata

la grande capacità evocativa della radio, il suo saper

emozionare.

1 Intervista a Rosario Fiorello in Paolo Del Forno e Francesco Perilli, La radio: …che storia! , Bergamo, Laurus, 1997, pag. 8 2 Jannacone, Costantino, La radio: un medium vincente, Milano, Lupetti, 1996, pag. 9

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12

Non si ricordava più che i marziani erano sbarcati sul nostro

pianeta, anche se solo su quello radiofonico, per opera di

Orson Welles; che una stazione radiofonica newyorkese nel

1975 aveva favorito la cattura di un rapinatore chiuso in una

banca con dieci ostaggi, mandandogli le canzoni del suo

cantante preferito, Bob Dylan3; che Hitler, utilizzando

questa “piccola scatola”, era riuscito a muovere l’odio di un

popolo intero.

In Italia questo oblio ha una data di inizio: il 3 febbraio

1954, quando viene mandata in onda la prima trasmissione

televisiva.

Nasce la TV e non si tratta solo della nascita di un nuovo

mezzo di comunicazione, ma di una vera e propria

rivoluzione culturale, destinata a modificare radicalmente i

consumi culturali degli italiani e a condizionare la gestione

del loro tempo libero.

Per anni il pubblico aveva dovuto “inseguire” i film, le

immagini in movimento: fisicamente, recandosi in un luogo

preciso, il cinema (là dove c’era, perché molti paesi, i più

piccoli, i più poveri, ne erano sprovvisti); psicologicamente,

per “vedere” bisognava pagare, e non tutti, visti i tempi,

potevano permetterselo. Niente più spostamenti, ora è il

film, l’immagine, che va verso lo spettatore, lo incontra nel

focolare domestico, per un consumo che diventa accessibile

a molti.

3 Sartori, Carlo, "Un medium di qualità nell'era della tv" da Abruzzese A., Monteleone F., La radio che non c'è, Roma, Donzelli, 1994, pag. 31

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La TV arriva nelle case e subito ne diventa padrona: è lei

ora a «troneggiare nel salotto di casa»4, laddove prima,

poco prima, vi era la radio. Oramai gli italiani non si

accontentano più solo di ascoltare, ma vogliono anche

vedere chi parla loro.

Gli anni ’50 celebrano la vittoria dell’immagine e

dell’immagine in movimento.

Il nuovo clima culturale mette in evidenza tutta la

manchevolezza del mezzo radio: non è nient’altro che «TV

senza immagini»5, relegata a rivestire il ruolo di «sorella

povera»6, e ad essere nostalgicamente ricordata come la

«Grande Nonna Cieca»7.

La radio spodestata sembrava avviata ad una funzione

definitivamente marginale; in Italia e in tutta Europa vi fu

un vertiginoso calo degli abbonamenti e dell’ascolto

radiofonico insieme e, cosa di rilevante importanza, gli

investimenti diminuirono rapidamente8. I big spender

iniziarono ad indirizzare tutte le loro risorse verso la TV

nascente.

Gran parte della responsabilità per la situazione va attribuita

alla RAI e alla politica di gestione aziendale da questa

attuata. Accecata dalle enormi potenzialità che il nuovo

mezzo presentava, non ha fatto davvero nulla per difendere

4 Sartori, Carlo, op. cit., pag. 33 5 Monteleone, Franco, "Un secolo di voci e suoni" da Cento anni di radio: da Marconi al futuro delle telecomunicazioni, (a cura di Janniello M.G., Monteleone F., Paoloni G.) Venezia, Marsilio, 1995, pag. 67 6ibidem 7 Smargiassi, Michele, “Cento anni e non li dimostra i miracoli della vecchia radio” in La Repubblica, 6 dicembre 2001 8 Sartori, Carlo, op. cit., pag. 33

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il proprio prodotto radiofonico9, dimenticando 40 anni di

grandi successi, dimenticando che per tutti quegli anni la

radio era stato l’unico “collante” unificante di un’Italia fatta

di mille paesini e di altrettanti dialetti, l’unico mezzo in

grado di costruire un’identità nazionale.

Proprio quando la radio appariva destinata ad un inevitabile

tramonto, a cedere il testimone al “mezzo con le immagini”,

vi fu un’importante scoperta, l’invenzione del transistor, da

parte dei laboratori americani della Bell Thelephone.

Minuscoli semiconduttori sostituiscono le ingombranti

valvole termoioniche; il “radiofonico”, prima imbrigliato

nell’invadente mobile da salotto, ora è libero di correre

ovunque. Arriva nelle camere da letto, fa compagnia alle

casalinghe in cucina, si può ascoltare in ufficio e persino in

auto (autoradio): si apre l’orizzonte della portabilità (il

mezzo si riduce per dimensione e può essere trasportato).

Ma la rivoluzione tecnologica ne porta con sé una culturale.

La radio prende coscienza di aver perso definitivamente la

funzione di “medium sociale”, capace di raccogliere intorno

a sé e intrattenere l’intero nucleo familiare. Oggi è la TV il

mezzo di globalizzante ricezione familiare, quello che ha

conquistato lo spazio del “domestico”.

9 Gamaleri, Giampiero, La galassia dei media, Roma, Kappa, 2001 pag. 158

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La miniaturizzazione apre le porte ad un consumo

alternativo del mezzo, quello interstiziale e intimistico. Di

fronte ad una TV percepita come il

«soggetto dominante e in posizione di leadership, la

radio è vissuta come un mezzo collaborativo e

adattabile, con cui è possibile avere un rapporto

rilassato e non conflittuale»10.

La radio parla solo a me, la televisione a tutti.

E’ nata, quindi, una nuova radio: la radio totalizzante e,

talvolta, totalitaria (si pensi al fascismo) ha ceduto il passo

ad una radio capace di essere sì compagna, ma in modo

discreto, perché come diceva Mcluhan: ascoltare la radio è

«un’esperienza privata»11.

L’instaurarsi di un nuovo rapporto fra mezzo e pubblico è

strettamente legato ai cambiamenti valoriali che investono

la società negli stessi anni e da cui emerge una prepotente

esigenza di individualità.

Vi erano stati tempi in cui la scarsità di risorse aveva

imposto come valore primario quello della “comunanza”,

mettere in comune tutto ciò di cui si disponeva. Ora migliori

condizioni di vita facevano venir meno la condivisione

familiare di abitudini, usi e consumi. Il consumismo se da un

lato si rivolge all’intero nucleo familiare, dall’altro lo travolge

e punta a far emergere consumi individuali12. Da questo

punto di vista trova terreno fertile in una nuova generazione

10 Fenati, Barbara, “Pubblico e formati della radio in Italia”, in Problemi dell’informazione n. 2 (giugno 1993) 11 Mcluhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il saggiatore, 1967, pag. 318 12 Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, Bologna, il Mulino, 2001, pagg. 18-19

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che sente impellente la necessità di emanciparsi dai valori e

dai condizionamenti familiari e che, in casa, si costruisce la

sua “oasi” di libertà nella propria camera da letto. Là, tra i

poster dei divi e il giradischi, è immancabile l’apparecchio

radio.

Si afferma, dunque, un tipo di consumo personale che però

non degenera nell’isolamento13.

L’adolescente che ascolta la radio nella propria camera cerca

una fuga dalle regole e i vincoli imposti dai genitori, ma allo

stesso tempo pone all’emittente radiofonica una precisa

richiesta di identità: la trasmissione di valori e stili di vita

che lo facciano sentire parte di un gruppo, il gruppo dei pari,

di quei ragazzi che “vivono” e “sentono” ciò che lui “vive” e

“sente”. Per questi giovani la fruizione del mezzo significa

ascoltare la radio da soli per far parte di un comunità che ha

scelto e sceglie ogni giorno, come proprio leader, un disk-

jockey.

Non solo dai teen-ager, del resto, ma da tutti viene posta

questa richiesta alla radio: assolvere una funzione

identitaria14. Ciò che non si può chiedere alla TV, un “mezzo

freddo” e per sua natura generalista, lo si chiede alla radio,

il “mezzo caldo”15 per eccellenza. Creare

13 Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, op. cit., pag. 63 14 Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, op. cit., pag. 61 15 Mcluhan, Marshall, op. cit., pag. 31 E’ caldo il mezzo che "estende un unico senso fino a un’alta definizione: fino allo stato, cioè, in cui si è abbondantemente colmi di dati". Attraverso il medium freddo, invece, "si riceve una scarsa quantità d’informazioni, e altrettanto dicasi, ovviamente, di ogni espressione orale rientrante nel discorso in genere perché offre poco ed esige un grosso contributo da parte dell’ascoltatore. Viceversa i media caldi non lasciano molto spazio che il pubblico debba colmare o completare; comportano perciò una limitata partecipazione, mentre i media freddi implicano un alto grado di partecipazione o di completamento da parte del pubblico".

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«una comunità di adesione e di riconoscimento che

può essere anche temporanea, perfino della durata di

una sola sessione di ascolto, una comunità senza

membership e senza pagamento di quote, tessere e

bollini, senza un momento vero e proprio di

accettazione del nuovo arrivato, senza attività sociali

e tenui riti di ingresso se non l’atto unilaterale di

accendere la radio»16.

Si affianca a questa richiesta quella di generare delle tribù, o

meglio dei “tamburi tribali” (tribal drum)17, come amava

definirli Mcluhan, ma tribù tutte diverse le une dalle altre,

perché diversi sono i loro totem. Tribù che ascoltano la

stessa musica, altre che condividono un’identità culturale o

politica, altre nate attorno ad una stessa località geografica,

tribù, infine, che parlano uno stesso slang e hanno gli stessi

consumi culturali.

Così sono nati i rocchettari, ed è nata la generazione dei figli

dei fiori. La radio ha dato voce, verso la fine degli anni ’60, a

idee politiche e ideali di vita alternativi e fortemente

osteggiati dal modo di pensare dominante e che non

trovavano altri canali di comunicazione. Ha aperto i

microfoni e fatto ascoltare a tutti i fermenti di un’epoca,

creando attorno alla radio uno spirito, che qualche anno

dopo nel 1976, ha portato alla liberalizzazione dell’etere18.

16 Menduni, Enrico, Il mondo della radio dal transistor ad Internet, op. cit., pag. 61 17 Mcluhan, Marshall, op. cit., pag. 316 18 La sentenza n. 202 della Corte Costituzionale riconosce il diritto di radiodiffusione ma solo per trasmissioni effettuate in ambito locale. Tale decreto segnò, di fatto, la fine del monopolio RAI e l’affermazione di un modello di tipo misto pubblico-privato.

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Nascono le radio libere (denominazione prettamente

italiana), nasce una radio libera.

Il pubblico ancora oggi, anzi soprattutto oggi, di fronte a

emittenti con una personalità sempre più marcata, cerca

identificazione in termini di stili, gusti, bisogni; si specchia in

una stazione, nei suoi contenuti, nei suoi speaker, per avere

conferma del proprio io.

Dal canto suo la radio risponde a tale bisogno con la

segmentazione.

Non più un’offerta indifferenziata, così come quella

televisiva, ma un’offerta mirata a target diversi per età,

sesso, livello socio-professionale e culturale e per stili di

vita. In un’ottica sempre più imprenditoriale che pervade il

pianeta radio, la priorità viene attribuita ad un’offerta

capace di incontrare la domanda, di parlare all’ascoltatore,

al singolo ascoltatore, come se lui fosse il suo unico

pubblico, e come se quella stazione radiofonica avesse, quel

giorno, iniziato a trasmettere solo per lui.

La radio si inizia a porre il problema dei formati e dei

palinsesti: diventa un mezzo a “target”19.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile se non fossero stati

introdotti dei parametri di misurazione accurati e completi

del fenomeno ascolto.

Chi ascolta la radio, quale tipo di radio ascolta, come e dove

ascolta, quando, quanto e soprattutto perché sceglie quella

data emittente? A tutte queste domande ha dato risposta, a

partire dal 1988, Audiradio, un’indagine che fornisce la

19 Zucchelli, Piero, "Un pubblico in ascolto" da Cento anni di radio: da Marconi al futuro delle telecomunicazioni, op. cit., pag. 71

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stima degli ascoltatori e il loro profilo socio-demografico20.

Senza Audiradio non ci sarebbe oggi una radio

targhettizzata.

Gli ascoltatori, di certo, sembrano apprezzare una tale

gestione dell’offerta: ad una radio fatta di palinsesti sempre

più personalizzati, il pubblico promette fedeltà: la

fidelizzazione alle singole emittenti raggiunge livelli superiori

a quelli di ciascun altro mezzo. Lo zapping radiofonico è

pressoché inesistente, ognuno ha la sua radio21.

Incontrando il transistor, la radio è diventata compagna

delle nostre attività quotidiane; il pubblico le ha chiesto

identità, lei ha creato tribù; la radio ha offerto programmi a

target, l’ascoltatore le ha giurato fedeltà.

Sono questi i fattori (accanto alla crescita degli investimenti

pubblicitari, di cui si tratterà ampiamente nel prossimo

paragrafo) che hanno riportato alla ribalta il mezzo

radiofonico. E i numeri lo dimostrano!

20 Audiradio nasce nel 1988 come organismo associativo su iniziativa dell’UPA. Nel 1996 diventa una S.r.l. i cui soci sono: SIPRA, UPA, RAI, RADIO E RETI, SPER, UNICOM, ASSOCOMUNICAZIONE, ASSOMEDIA. Il presidente è Felice Lioy. Durante l’anno vengono realizzate quattro tornate di indagini telefoniche su base campionaria: due tra febbraio e giugno e due tra settembre e dicembre. 21 Menduni, Enrico, “Ragazzi buttiamoci sull’onda” in L’Espresso, 9 agosto 2001

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20

Anno Ascolto medio

1990 26.120

1991 29.844

1992 30.981

1993 33.051

1994 33.749

1995 33.788

1996 34.845

1997 35.244

1998 35.523

1999 34.471

2000 36.084

2001 34.998

2002 35.425

Fonte Audiradio

Dal 1990 al 2002 l’ ascolto radiofonico nel giorno medio è

aumentato di più di nove milioni.

E’ così che la Cenerentola radio è tornata ad essere

primadonna.

Ascolti nel g. m. dal 1990 al 2002