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KAIRÓS L’accoglienza e l’ascolto 83 Anno XV n. 6 Maggio 2011 Indice I gigli del campo 2 don Severino Pagani La Preghiera 6 L’accoglienza e l’ascolto La Catechesi 10 La formazione della coscienza e l’esperienza cristiana La Lettura Spirituale 18 INTRAVIT JESUS Meister Eckhart

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KAIRÓS L’accoglienza e l’ascolto

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Anno XV n. 6 Maggio 2011

Indice I gigli del campo 2 don Severino Pagani La Preghiera 6 L’accoglienza e l’ascolto La Catechesi 10 La formazione della coscienza e l’esperienza cristiana La Lettura Spirituale 18 INTRAVIT JESUS Meister Eckhart

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I GIGLI DEL CAMPO

don Severino Pagani

Non siamo forse uomini anche noi?

Non sentiamo forse anche noi

la nostra miseria e la nostra incapacità?

Non sperimentiamo

costantemente la nostra limitatezza?

Non ci è mai successo di sorprenderci

in flagrante contraddizione,

in atto di servire una causa santa

con dei mezzi dubbi?

Non dobbiamo riconoscere

che le nostre deficienze più gravi

sono quelle che sfuggono al nostro sguardo?

Non avvertiamo, qualche volta almeno,

di essere privi di comprensione

di fronte al mistero che siamo chiamati a vivere?

(Henri de Lubac, Meditazioni sulla Chiesa)

Ai discepoli del Signore

Carissimi,

in questo mese vorrei parlarvi dello spirito del tempo e del discernimento

cristiano. Si tratta di interpretare il tempo presente alla luce del vangelo. Si tratta di formarsi ad una vera e rinnovata coscienza cristiana dei comportamenti, della vita e della storia.

Ci sono aspetti dello spirito del tempo che sono molto problematici e che si esprimono in alcuni fenomeni culturali dominanti: le mode avvincenti, la frivolezza del bello, l’ingiustizia a cui ci si abitua, lo scandalo che non scandalizza più nessuno, l’aggressività, l’ipocrisia, la smania del potere, il culto del piacere, il fascino del denaro, la calunnia, l’assoluta affermazione di se stessi. È facilissimo, in troppa buona fede, restarne contaminati anche tra cristiani. Il discernimento cristiano, invece, indica la luce del vangelo, così luminosa da essere estremamente impegnativa, perfino accecante e non credibile, quando parla di verità, di giustizia, di pace, di misericordia, di saper morire per portare frutto; quando indica nelle virtù evangeliche il segreto di una vita personale e sociale, mostrandone la

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forza programmatica ed educativa. Occorre un discernimento cristiano sullo spirito del tempo; occorre una critica costruttiva e non violenta sulla cultura; occorre, anche se può sembrare a fin di bene, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso. Non bisogna cercare di perseguire fini buoni con metodi, o mezzi, o risorse economiche e giuridiche cattive.

Per operare questo evangelico discernimento del tempo presente è

necessario compiere almeno tre passaggi: 1. cogliere i tratti problematici della cultura contemporanea, 2. ricostruire una coscienza cristiana, 3. percorrere qualche piccola strada che renda il cristiano uomo critico della cultura dominante.

1.Qual è l’insidia contemporanea? L’insidia contemporanea è

credere che l’uomo possa bastare a se stesso. Così si cancella ogni anelito di trascendenza. Così si uccide Dio. Si rende il cristianesimo semplicemente un fatto culturale, un assetto integrato di una società passata, che tra l’altro ormai risulta impossibile restaurare, incapace di interpretare le solitudini e il bisogno estremo di salvezza. Guai se la fede si staccasse dall’intelligenza, adesso che dall’intelligenza si è staccata la politica. L’uccisione di Dio ampiamente affermata tra le filosofie del Novecento in modo solenne, oggi viene somministrata in maniera surrettizia, a piccole dosi, ogni giorno, attraverso procedimenti minuscoli, insistenti, aggressivi, subliminari, ordinari. In questo modo: affermando praticamente la irrilevanza di Dio. Anche le cose di chiesa, talvolta sembrano sottrarre il tempo a Dio. Quasi come a pensare: se Dio c’è, comunque non si lamenta, non interviene, non punisce. I suoi comandamenti sono stati diffidati, come se Dio si fosse stancato anche lui di farli osservare. Soprattutto il comandamento del tempo: quel santificare la festa che significa ridare il tempo a lui, con semplicità, con lode, con preghiera. E quel pensare al prossimo come a me stesso, che è così fastidioso talvolta. E siccome non ho respiro, proprio il prossimo diventa il collettore delle mie aggressività. Per altro, umanamente, avendone anche una buona ragione. Così, dopo la morte di Dio, mi rendo responsabile anche della morte del prossimo. Adesso rimango solo io: speriamo di sopravvivere. Lo dico con serietà, con un po’ di dolore, con il desiderio acuto di alimentarmi al mistero di Dio. Questa è l’insidia contemporanea: la sopravvivenza senza mistero. Dentro qui, proprio qui posso leggere l’economia e la politica, l’arte e la fede, la grazia e i peccati. Dobbiamo fare tutti i sacrifici necessari per restare insieme in una vera preghiera; non primariamente per una buona

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relazione tra noi, ma per ritrovare veramente il mistero di Dio. Le innovazioni tecnologiche contemporanee ci hanno fatto aprire migliaia di occhi. Ma, come si legge in una poesia di Montale, che non è certo anima bigotta: “noi fummo ciechi, non lui (l’altro? Dio?); moltiplicando gli occhi, siamo rimasti al buio”.

2. Come riavvicinarci al Vangelo? Bisogna ricostruire una coscienza

evangelica, che impegna i singoli, le comunità e tutta la Chiesa a partire dalle piccole cose di costume e di comportamento. Bisogna partire ad esaminare attentamente se siamo liberi dalla nostra immagine o se ci teniamo moltissimo. Bisogna partire dalle cose, dalle scelte, dalle preferenze sui tempi, dalle priorità che mettiamo in campo. Tutto questo sembra un peso ma è una strada di libertà. Confrontarsi direttamente, alla lettera, con qualche versetto del vangelo. A volte non sono le grandi scelte quelle che ci tradiscono – che per altro sono di amore -, ma le convenzioni quotidiane, le reazioni alle nostre paure, le pretese del proprio orgoglio, la fatica di accogliere che un figlio, una moglie, un marito sia diverso da me, e non potrà mai essere come lo voglio io. Riavvicinarsi al vangelo può voler dire rinnegare se stessi, un proprio modo di fare; può voler dire darsi un po’ di pace nel cuore, amare davvero anche se altri non hanno la mia stessa sensibilità. Concedere anche a loro di vivere in pace. Ricordare quel sole che risplende sui buoni e sui cattivi, e quella pioggia che cade sui giusti e sugli ingiusti. La ricchezza può essere una grande droga e l’orgoglio dell’intelligenza una paralisi oscura.

3. Qual è il compito dei cristiani? La questione è come i cristiani devono continuare a stare al mondo. Stare al mondo: nel senso di continuare a vivere liberi, e nel senso di sfidare il mondo. Anche se siamo condannati, in un certo senso, al disagio, mi sembra che ci siano alcune cose che sono proprie dei cristiani nel mondo: - Innanzitutto credere in Dio, cioè pensare che Dio agisce davvero nella storia e niente di noi andrà perduto. Agisce davvero. - In seconda istanza non bisogna temere la povertà. È dolorosa, ma purifica. Bisogna distribuire diversamente le risorse del mondo. Spesso nel mondo si guadagna e si spende in modo sbagliato. - In terzo luogo, bisogna amare la giustizia senza cedere a nessuna ideologia; per questo non bisogna cedere alla violenza, neppure quando si è esasperati; molto esasperati. Ci sono tanti modi per fare violenza. - Poi c’è un’altra cosa che i cristiani devono considerare: il senso del martirio nella loro tradizione. Può essere un passaggio possibile per il

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cristiano e per tutta la chiesa. Ci può essere l’ultimo martirio del sangue, ma prima ci sono molti martìri da cui forse si deve passare; non siamo abituati neppure a pensarli, non dico a viverli. - Inoltre, il cristiano deve ricordare che il fine non giustifica i mezzi, neppure nel fare il bene; e non pensare ad una prassi ecclesiale di potenza e di efficienza a tutti i costi, a partire dalla propria parrocchia e non solo. Non dimentichiamo che Gesù non ha conosciuto il trionfo romano, ma il legno della croce. A pensarci bene come è difficile da accettare. Infine, come condizione permanente un cristiano deve mantenere la gioia di essere in grazia di Dio.

Cari discepoli del Signore, noi sperimentiamo dall’interno la nostra debolezza, perché quando dobbiamo scegliere tra qualcosa che soddisfi un bisogno immediato della nostra sensibilità umana e qualcosa che riaffermi il primato di Dio, spesso preferiamo senza discernimento evangelico scegliere il richiamo di un ripiegamento umano.

Ma noi abbiamo anche a disposizione una forza straordinaria: è la fede nella grazia, è la fiducia nella nostra libertà, è la pace dell’obbedienza della fede, è la portata pratica delle beatitudini, è la luce della parola di Dio, è la certezza della misericordia, è la speranza della vita eterna. Chissà se avremo ancora la forza di una pura gratuità per Dio? Eppure ne abbiamo così bisogno. Forse a questo ci porterà la sofferenza; forse ci condurrà alla povertà, forse rafforzerà la fede. Forse ad introdurci sarà l’amara delusione di un vuoto insopprimibile. Forse rispunterà, come nella tarda antichità, un monachesimo nuovo, che ancora non riusciamo a prevedere. Forse i nostri corpi invocheranno una nuova ascetica. Forse il nostro lavoro si ribellerà alle sue regole e ai suoi tempi. Forse i nostri figli non avranno per nulla bisogno di tutto quello che noi abbiamo preparato per loro, perché dovranno percorrere strade nuove.

Umanamente forse ce la faremo, forse no: ma la vita, e quella dei veri cristiani in particolare, si rinnova sempre da se stessa e ogni figlio che nasce andrà sempre più avanti di noi. In quel battesimo che riceve c’è sempre una speranza di immortalità. Con affetto don Severino

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LA PREGHIERA

L’ACCOGLIENZA E L’ASCOLTO

Padre sapiente e misericordioso,

donaci un cuore umile e mite per ascoltare la parola del tuo Figlio

che ancora risuona nella Chiesa radunata nel suo nome,

e per accoglierlo e servirlo come ospite

nella persona dei nostri fratelli.

Per Cristo nostro Signore.

PREGHIERA TRINITARIA

- Padre mio mi abbandono a te, ti ringrazio per la presenza di Gesù: è il dono più grande che hai fatto agli uomini. Gesù ci ha parlato di te: lui ti pregava, lui ti ascoltava, lui ti ha amato con un amore d'ubbidienza. Non si è stancato di fronte alle solitudini e alle incomprensioni. Ha detto le tue parole: lui il Verbo di Dio. Padre, anch’io voglio ascoltare Gesù. - Signore Gesù, donami la parola di cui ho bisogno, la voglia di ascoltare. Ti contemplo nell’Eucaristia, tu sei morto per me, per me sei risorto. Non ti vedo Signore, ma so che un giorno ti incontrerò. - Spirito Santo illumina i miei pensieri, e metti l’amore nel mio cuore, rendi forte con la tua azione che sempre crea e ricrea la mia fragilità umana. Tu la conosci: rendimi attento, forte perseverante.

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PAGINA BIBLICA E PICCOLA LECTIO

Dal Vangelo di Luca

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome

Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la

quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era

tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti

curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi

aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per

molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la

parte migliore, che non le sarà tolta». (Luca 10,38-42)

- Ascolto della Parola e forma della carità stanno sempre insieme. Luca inserisce questa pagina mentre Gesù e i suoi discepoli erano in cammino. Lo pone dopo il racconto del samaritano ospitale verso il suo prossimo. Lo pone per ricondurre l’amore sotto l’ascolto della Parola. Cerco anch’io un’armonia progressiva tra ascolto e carità; cerco una conversione completa, un ingresso totale nel mistero cristiano, un progressivo incontro con il mistero di Cristo, parola di Dio e Crocifisso per noi. - Marta e Maria: due volti, due esistenze, due maturazioni nella fede. Due donne entrambi necessarie. Due donne che creano inquietudini, ciascuna per la sua parte, per il suo dono, per la sua originalità. Due anime per la mia vita. Vorrei unificare tutte le mie preoccupazioni e i miei impegni, vorrei imparare a scegliere, a tralasciare, vorrei vivere bene con intelligenza e dedizione il mio tempo e i miei affetti. A volte sono così pigro e disordinato, o Signore. - Maria la donna della contemplazione. Non si arriva alla virtù senza la contemplazione. Mi piacerebbe imparare davvero a pregare. Ci vuole tempo, perseveranza e grazia. Conoscere Gesù, entrare nelle Scritture, le parole e gli atteggiamenti del Signore. Mi verrebbe una grande pace, seduto ai piedi di Gesù. - Marta la donna della virtù. Si resta virtuosi soltanto se nel cuore e negli occhi si ha sempre il volto del Signore. Diventare virtuoso: quando la contemplazione perde il suo afflato emotivo, rimane ormai fissata nel cuore, e diventa carità. La carità è prevenienza, perseveranza, solitudine

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nel bene. La carità ha preparato una casa a Gesù. La carità è accogliente, disinteressata, coinvolgente anche altri e non perde mai di vista la contemplazione. - Quale equilibrio nella mia vita spirituale tra stare e servire ? Cerco di contemplare Gesù, per sapere come oggi parlerebbe, come si comporterebbe in molte occasioni, come risolverebbe lui i miei problemi.? Lo conosco bene Gesù? Quale tratto della personalità di Gesù mi affascina di più? Su che cosa lo vorrei ascoltare. - Con quale occhio guardo ai miei fratelli e alle mie sorelle ? Con occhio d'invidia, di gelosia, di rispetto, oppure di cordialità, stima, gratitudine? Per che cosa vi verrebbe voglia di appellarmi a Gesù: «Non ti importa niente Signore, che questo mio fratello, questa mia sorella…». - Quanto sto imparato a non preoccuparmi e agitarmi per molte cose? Raccolgo davanti al Signore le mie preoccupazioni: poi le distinguo tra quelle che meritano attenzione e quelle assolutamente inutili, che è meglio lasciar cadere. Chiedo al Signore come è giusto occuparmi di alcune cose e lasciarne perdere altre.

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SALMO

Il salmo 118 è una contemplazione del dono della Parola di Dio, della

sua legge, dei suoi insegnamenti: chi impara ad ascoltare la parola non

si smarrisce mai; chi ama la legge del Signore trova uno scudo sicuro.

Ogni difficoltà, ogni scelta difficile troverà luce e consiglio nelle

indicazioni della Scrittura, nostra preziosa eredità.

Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. Ho giurato, e lo confermo, di custodire i tuoi precetti di giustizia. Sono stanco di soffrire, Signore, dammi vita secondo la tua parola. Signore, gradisci le offerte delle mie labbra, insegnami i tuoi giudizi. La mia vita è sempre in pericolo, ma non dimentico la tua legge. Gli empi mi hanno teso i loro lacci, ma non ho deviato dai tuoi precetti. Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti, sono essi la gioia del mio cuore. Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti, in essi è la mia ricompensa per sempre. Detesto gli animi incostanti, io amo la tua legge. Tu sei mio rifugio e mio scudo, spero nella tua parola. Allontanatevi da me o malvagi, osserverò i precetti del mio Dio. Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita, non deludermi nella mia speranza. Sii tu il mio aiuto e sarò salvo, gioirò sempre nei tuoi precetti.

(Salmo 118,105-117)

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LA CATECHESI

LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA E L’ESPERIENZA CRISTIANA

1. AUDACIA E STANCHEZZA DELLA COSCIENZA MODERNA

Quando si entra nella giovinezza si gusta tutta la forza e le possibilità della propria libertà. Finalmente si può scegliere e si può decidere. Il fascino, il coraggio, i dubbi e le paure si spalancano di fronte alla propria coscienza e alla propria capacità di decisione. Ci si chiede: da quando è emerso questo entusiasmante ricorso al proprio sentire spontaneo e alla propria libertà? In che misura è giusto pensare che si può fare quello che si vuole?

Solo nell'epoca moderna, a partire dal 600, emerge con particolare intensità la necessità di fondare sulla propria coscienza il rapporto con se stessi, con il mondo e con Dio. Si vuole superare quello che si pensava essere un ingenuo affidarsi alle norme e all’autorità. Il ritorno predominante alla coscienza esprime diverse situazioni nuove che si agitano nello spirito del tempo e della cultura dominante: il bisogno di una maggiore criticità, il superamento di un sapere derivante dalla tradizione, un rifiuto di una appartenenza derivante dalla fede e dal dogma, il desiderio di risolvere i problemi a partire dal fascino delle scoperte scientifiche, la esasperata fiducia nel potere della tecnica, il gusto per le differenze che emergono dai viaggi, dalle diversità degli usi e dei costumi, la paura di un presunto autoritarismo cristiano e l'accostamento a nuove e diverse forme dell'esperienza religiosa.

Si fa avanti con forza una nuova centralità dell’uomo, destinata ad oscillare tra un assoluto protagonismo e una triste solitudine. La comprensione e la valutazione dell'uomo fondata sulla propria coscienza lo pone al centro dell'universo. Questo permette all'uomo di trovarsi con nuove possibilità e nuovi limiti. Indichiamo le nuove possibilità che si trova tra le mani: una maggiore valorizzazione della propria libertà a livello teorico e a livello pratico; un atteggiamento più benevolo nei confronti del mondo, come realtà non più da contemplare ma da trasformare al suo servizio; una maggiore solidarietà umana da riscoprire mediante le forme della democrazia, della tolleranza religiosa, del rispetto del bisogno

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individuale; un nuovo modo di arrivare a Dio: Dio non è più il creatore e il fondatore della mia coscienza, ma è il termine del mio riconoscimento. Verrebbe da dire: Dio c’è se io lo riconosco. D’altra parte l’uomo si trova di fronte anche a nuovi limiti: il rischio che alla fine la sua coscienza, essendo concepita come assoluta padrona di tutto si trova profondamente sola; inoltre il mancato riconoscimento di Dio può lasciare la coscienza senza finalità ultime e quindi costretta ad esprimersi semplicemente come solidarietà umana e comunicazione storica; la coscienza potrebbe ridurre la libertà semplicemente a pura possibilità di fare quello che si vuole, o di pura ricerca del consenso, cioè basta che siamo d'accordo; la coscienza deve sopportare la possibilità del dubbio, del sospetto che tutto ciò che non coincide con se stesso sia ingannevole, come ad esempio Dio, gli altri, il mondo, la storia, l'arte, la politica; la coscienza opera semplicemente nell'orizzonte della certezza, mentre non si garantisce circa la verità. Ora che siamo giusti in epoca chiamata post moderna i limiti della coscienza assoluta si fanno più marcati, si cerca un nuovo equilibrio; si ha quasi nostalgia di una verità più grande.

2. NUOVE VIE VERSO L’AFFERMAZIONE DELLA TRASCENDENZA DI DIO Se all'inizio dell'epoca moderna il valore della coscienza era derivato

da un'esigenza anche giusta di criticità e dal bisogno di affermare la libertà dell'uomo, ora la cultura contemporanea e postmoderna si trova a dover riproporre spesso la questione della libertà (la questione etica) nella triplice domanda: è lecito poter fare quello che si vuole? Si riuscire a fare quello che si vuole? Si sa quello che si vuole? .

Proprio a partire dalla questione della libertà la coscienza è

costretta a riaprire l’ipotesi di un eventuale interlocutore (altro da me) al di là di me stesso, e di come raggiungerlo criticamente. La forma della trascendenza, tendenzialmente negata dalla modernità, si ripropone come esigenza di ascolto di ogni forma di alterità, e come alternativa ad ogni

forma di solitudine. La domanda è questa: e se qualcuno mi venisse incontro? E se io non mi accorgessi di quello che veramente mi sta davanti? A questo proposito ci si imbatte in discorsi e prospettive che si interrogano sull’altro da me (il prossimo, lo straniero, l’avversario, l’amico,

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Dio?) che no possono non essere affrontate. Indichiamo qualcuna di queste strade: con cui la coscienza deve fare i conti. Non può la coscienza avere soltanto se stessa come riferimento. Dovrà imparare ancora ad ascoltare ed ad essere attenta a qualcosa o a qualcuno. Ad esempio la coscienza dovrà essere attenta al tempo e alle età della vita, allo spazio geografico e culturale della mondializzazione, al valore simbolico della realtà corporea che invita ad andare sempre oltre la percezione sensibile del piacere.

La coscienza dovrà riscoprire il valore e i limiti del pensiero, del sapere tecnico e sperimentale, la struttura del sentimento e il rapporto tra libertà e responsabilità. Infatti il rapporto tra libertà e responsabilità rischia di non essere sufficientemente declinato: la libertà rischia di esibirsi semplicemente nei termini del diritto di me verso altri, più che non come il prendersi a cuore dell'altro alla maniera di chi lo serve. Infine la coscienza moderna dovrà considerare attentamente il valore non ingenuo della rivelazione e dell'ascolto come approccio critico alla realtà, nella convinzione che anche l’ascolto di una Parola può offrire un’esperienza di autentica verità per l’uomo.

3. LA COSCIENZA CRISTIANA FRA VOCAZIONE E RESPONSABILITÀ La coscienza moderna trova la sua maturità quando si incontra con i

Vangelo di Gesù. Allora l’esperienza della vita diventa esperienza della fede, e la fede che è affidamento dell’esistenza a Dio, si configura come vocazione. L'esistenza cristiana è una chiamata alla comunione con Dio, in Gesù Cristo. E' un vivere secondo lo Spirito. Diversi elementi concorrono alla delineazione della vocazione cristiana: il primo interlocutore della vocazione è Dio Colui che chiama (Rom. 9,11). Protagonista assoluto chiama con un atto di elezione l'uomo prima ancora della sua nascita. E' un atto di amore creativo e personale, che prende forma progressivamente durante tutta la vita. L'elezione non dipende dai meriti personali, è un gesto di rivelazione di Dio, è un dono in vista di una missione.

La coscienza cristiana si interroga sulla propria vocazione. Il senso della vocazione coincide con un modo preciso di concepire la vita, i suoi aspetti particolari e il suo senso ultimo. Indichiamo alcuni passi per aiutare a capire la propria vocazione. Per formare la propria coscienza è necessario educare una certa sensibilità all'ascolto: questo avviene

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mediante la preghiera, la disponibilità, la capacità di lettura degli avvenimenti alla luce della fede, la benevolenza verso la storia degli uomini, la fiducia nella provvidenza di Dio.

Inoltre bisogna tener vivo un certo dinamismo di conversione: pensare alla propria vita come ad un lungo itinerario verso la santità, operare un certo distacco da se stessi per aderire al mistero di Cristo. La conversione è il cammino verso una progressiva carità e verso la purificazione della speranza; a poco a poco si impara a vivere la ricchezza della dimensione liturgica; si riscopre l’ ascesi cristiana nella ricerca dell'atteggiamento virtuoso; si celebrano i sacramenti in un continuo rinnovamento della fede.

La coscienza cristiana si forma in una scelta di fedeltà: l’esperienza spirituale si fonda sulla certezza della fedeltà di Dio, il quale non lascia da soli e non viene mai meno; si impara a restare fedeli lungo il tempo, di fronte alle difficoltà, ai dubbi, agli smarrimenti, alle prove. La fedeltà è il segno di una presenza d'amore che non viene mai meno e che è capace di rinnovarsi, sorgente di creatività e di riconoscenza.

Infine una coscienza formata desidera l'attesa dell'incontro con

Gesù: è la dimensione escatologica di ogni vocazione. Si impara a vivere le realtà temporali come realtà penultime. Si riscopre il primato assoluto di Dio in alcuni segni della vocazione cristiana quali la povertà, la castità e l'ubbidienza. La formazione di una coscienza cristiana, soprattutto in una società complessa come la nostra, ha sempre bisogno dell’esercizio del discernimento. Per riuscire a comprendere la volontà di Dio e le modalità della sua realizzazione è necessario un particolare cammino. Si impara a vivere l’esercizio maturo della libertà umana, senza costrizioni e si accoglie la grazia di Dio anche quando può presentare ciò che non è immediatamente comprensibile. Solo così è possibile vivere la radicalità della fede all'interno della quale la vocazione universale alla santità si precisa come individuazione della vocazione particolare di ciascuno. Essa si riconosce e si modula diversamente a secondo del dono di Dio e della varie situazioni, esperienze, età e desideri della vita così come si manifestano nella singola persona. Ogni discernimento deve avvenire nello Spirito di Gesù, e deve avere come criterio assoluto quello di rispondere alla volontà di Dio. Nella fede,

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nella speranza e nella carità si è certi che il rispondere con pienezza alla volontà di Dio costituisce anche la ricchezza della propria realizzazione umana. Proprio per questo il discernimento ha bisogno di essere continuamente risvegliato, ha bisogno di esprimersi in momenti di straordinario coraggio, perché le tentazioni del ritirarsi, del dubbio, delle paure sono molto forti. Il discernimento è in vista di frutti di carità (cfr. Gal 5,14-22) i quali sono la conferma della verità di una vocazione cristiana. Il discernimento non è mai contro la comunione ecclesiale. I doni autentici dello Spirito sono quelli che edificano la Chiesa (1Cor 14). La libertà va resa matura attraverso conoscenza, discernimento, scelte, rinunce, fedeltà. In quale maniera sto educando l’esercizio della mia libertà, perché sia sempre più responsabile del bene individuale e comune?

4. L’ ACCOGLIENZA LIBERA DEL MISTERO DI CRISTO

L'epoca moderna e il suo superamento hanno messo in luce il valore della coscienza come luogo di libertà e di responsabilità, come spazio per valorizzare se stessi superando l'ambiguità di un'assoluta solitudine. Per questo si deve ritornare a rendersi disponibili a valori che possono venire solo dal di fuori, dall'Altro che costituisce per me il senso della vita. Proprio perché la coscienza è predisposta a ricevere e ad incontrare l'altro da sé, può misurarsi con l'avvenimento di Gesù di Nazareth, attraverso la relazione storica con la comunità della Chiesa.

L'accoglienza dell'evento di Gesù e del suo mistero (cfr Col 1,3-24) diventa significativo per me, portatore di senso e di pienezza alla mia vita. Questa accondiscendenza è la fede, e il mistero di Cristo si presenta come contenuto vivificante la mia libertà. Quando la coscienza di una persona si incontra davvero con il mistero di Gesù si conforma ad esso e si esprime progressivamente nella forma cristiana. La coscienza cristiana, che diventa vita cristiana, assume progressivamente un comportamento degno del Signore risorto, per opera del quale abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati.

La coscienza cristiana perciò non è più l'assoluta possibilità di comportarsi come si vuole, ma si configura come l'avere parte della pienezza di Gesù (2,10) per essere da Lui consolati, strettamente congiunti nell' amore, e solo allora si acquisisce una vera intelligenza del mistero di Cristo (Col 2,1-5). Il progressivo avvicinarsi alla persona e alla vicenda di

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Gesù impone tre domande fondamentali: cosa significa conoscere Gesù, cosa vuol dire amarlo, e perché vivere nella Chiesa. 4.1. Cosa significa conoscere Gesù

La coscienza umana si esprime innanzitutto come conoscenza. Bisognerebbe approfondire il senso del conoscere nei suoi vari aspetti: il pensiero riflesso e lucido del ragionamento, l'interpretazione intuitiva della realtà, e la capacità di rinnovare l'assenso. Questo conoscere Gesù deve rendersi esplicito, rinnovato e approfondito lungo tutta la dimensione del tempo del nostro esistere nella storia. Conoscere Gesù significa essere capacità di memoria (lettura della storia della Chiesa e della propria storia personale), capaci di presenza (interpretazione dell'oggi secondo il cuore di Dio, criteri di discernimento, di comunione, gerarchia di valori) e capaci di desiderio (ritrovare il senso ultimo del nostro andare incontro al futuro, vivere i contenuti della speranza cristiana). In modo particolare per conoscere Gesù bisogna esprimersi in due dimensioni: in primo luogo, il rapporto tra le facoltà espressive dell'uomo (intelligenza, volontà, libertà, corpo) e l'assenso complessivo della fede nell’assunzione dei comportamenti di vita; in secondo luogo l'interpretazione del tempo, come già e non ancora della comunione con Gesù. Sarà necessario un approfondimento del rapporto tra la Parola e la

storia degli uomini, insieme ad una più adeguata comprensione del principio sacramentale all'interno della esperienza cristiana. 4.2. Cosa significa amare Gesù

Cosa significa amare Gesù? E' un conoscere, un faticare, un soffrire, un gioire, un ricevere, un aspettare? Come queste dimensioni vanno integrate nell'autentica esperienza umana, cosicché la creazione del mondo e la vita di ogni persona venga condotta verso il suo pieno compimento? Indichiamo tre prospettive che introducono le persone verso un rapporto reale con il Signore.

Innanzitutto è necessario costituire l'unità di se stessi, superando tutti gli stimoli di una cultura del frammentario. L'unità di se stessi è la principale condizione per un’esperienza di gioia: pensiero, sentimenti, volontà, emozioni, corpo devono essere convergenti; questo permetterà di essere più attenti al senso della presenza di Dio, all’esperienza della grazia, come stato di serenità e di pace, e come vera fiducia nel perdono dei peccati.

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Inoltre se si vuole amare Gesù bisogna decidersi per la fedeltà.

Questo domanda il superamento di una cultura che favorisce una spontaneismo immediato che incomincia sempre da capo. La fedeltà al valore sarà intesa come approfondimento, come fiducia in una verità scoperta e mantenuta, come perseveranza nei momenti in cui la coscienza del valore si oscura, come accoglienza e ricerca dei doni dello Spirito Santo.

Per amare Gesù è necessario ancora portare la sofferenza per

amore. Questo richiede il superamento di una cultura dell'edonismo, del principio di appagamento e di onnipotenza. È necessario essere introdotti al mistero della Croce di Cristo, e rendersi sensibili verso la sofferenza del mondo. Bisognerà affrontare il problema del male e interrogarsi sul senso del peccato e sul dramma della morte. La coscienza cristiana saprà soffrire per la Chiesa, per la verità, per la carità. «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi, e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24-29).

Tutta la persona è impegnata a costruire un rapporto con il Signore: come posso descrivere la conoscenza che ho di Gesù? Che cosa posso dire circa il mio modo di volergli bene? Come partecipo con la mia intelligenza, il mio cuore, le mie emozioni, le mie attese a definire questa straordinaria relazione?

5. PERCHÉ VIVERE NELLA CHIESA

La coscienza cristiana esce dalla sua solitudine e diventa ecclesiale, si incontra con la realtà della Chiesa, la quale merita di essere illustrata e compresa nella sua essenza di mistero e di istituzione. La coscienza del cristiano riscoprirà la ricchezza del suo appartenere alla Chiesa, la quale custodisce e tramanda il mistero di Dio così come è stato rivelato in Gesù Cristo. Per formare la coscienza nel tessuto ecclesiale individuiamo quattro percorsi fondamentali: la liturgia nella sua accezione di ascolto, di celebrazione e di servizio; la carità come forma del vivere, anima della relazione ecclesiale e come ministero specifico all'interno della comunità; la missione come luogo in cui annunciare la parola e mostrare i segni de Regno di Dio; e l' autorità come servizio per la comunione.

La formazione di una coscienza ecclesiale è il segno di una maturità in atto: come favorire in noi e nei giovani questa ricchezza interiore? In

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che modo vado al di là della mia sensibilità immediata per capire il senso, l’importanza, la necessità di aderire agli insegnamenti ministeriali della Chiesa? Paolo, nella lettera ai Colossesi, traccia una strada per formare la coscienza ecclesiale.

La liturgia si gioca tra celebrazione ed esperienza quotidiana, tra

culto e dedizione, tra gesto dell'uomo e gesto di Dio, tra offerta e comunione: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi ed ammonitevi con sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate, in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre» (Col. 3,16-17).

La carità domanda una lunga pazienza che sa armonizzare i diversi aspetti della vita: «Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti» (Col. 3, 12-15).

La missione va ricompresa in un rapporto stretto tra chi manda e chi è mandato, tra preghiera e azione, tra annuncio e accoglienza: «Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunciare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo. Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno» (Col. 4, 3-6).

L’esercizio della autorità e dell'ubbidienza nella Chiesa si dà come configurazione armonica e ordinata. In questo contesto si può spiegare il rapporto tra autorità e servizio, ubbidienza e gratitudine: «Quando questa lettera sarà letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi... Dite ad Archippo: Considera il ministero che hai ricevuto e vedi di compierlo bene. Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La Grazia sia con voi» (Col. 4,16-18).

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LA LETTURA SPIRITUALE

INTRAVIT JESUS

Meister Eckhart

Frate domenicano, grande predicatore, altissimo mistico,

Meister Eckhart (1260-1328) è una delle figure

più affascinanti del Medioevo.

Alcune sue proposizioni furono bollate come eretiche

e questo contribuì a far cadere l’intera sua opera nell’oblio,

per essere successivamente riscoperta nel secolo scorso.

San Luca scrive nel vangelo: «Nostro Signore andò in una cittadina; là lo accolse una donna, che si chiamava Marta; essa aveva una sorella, che si chiamava Maria. Questa sedette ai piedi di nostro Signore ed ascoltava la sua parola. Marta invece si affaccendava e serviva il caro Cristo».

Tre cose facevano sedere Maria ai piedi di nostro Signore. La prima era questa: la bontà di Dio aveva abbracciato la sua anima. La seconda era un grande, inesprimibile, desiderio: essa bramava, senza sapere cosa, e desiderava, senza conoscere cosa! La terza era la dolce consolazione e l'incanto che essa traeva dalle parole eterne che sgorgavano allora dalla bocca di Cristo.

Anche Marta era spinta da tre cose, che la facevano affaccendarsi a servire il caro Cristo. La prima era un'età matura e un fondo dell'anima esercitato al massimo. Per questo essa credeva che a nessuno l'attività convenisse così bene come a lei. La seconda era una saggia riflessione. che sapeva bene effettuare le opere esteriori fino al grado più alto che l'amore comanda. La terza era la grande dignità del caro ospite (…).

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Tre punti, in particolare, sono necessari nelle nostre opere. Essi sono: che si agisca ordinatamente, avvedutamente e con riflessione. Chiamo ordinato quel che corrisponde in ogni suo punto a quel che è più elevato. Chiamo avveduto ciò di cui non si conosce niente di migliore in quel momento. Chiamo, infine, riflessivo, quello che trova. nelle buone opere, la viva verità, con la sua presenza che rende felici. Quando vi sono questi tre punti, portano tanto vicino a Dio e sono così profittevoli, quanto tutte le gioie di Maria Maddalena nel deserto». Ora dice Cristo: «Tu sei turbata per molte cose, non per una sola». Questo significa: quando un'anima pura, semplice, senza alcuna attività, sta rivolta verso l’alto, verso il circolo dell'eternità, viene turbata quando è ostacolata da qualcosa, da una mediazione, in modo da non poter stare con gioia lassù (…). Marta temeva che la sorella permanesse nella gioia e nella dolcezza, e desiderava che diventasse come lei. Perciò parlò Cristo, e significava: stai tranquilla, Marta; anche lei ha scelto la parte migliore; quello che ha ora si perderà. Il più alto grado che la creatura possa ottenere lo otterrà: diventerà beata come te! Ricevete ora un insegnamento sulle virtù! La vita virtuosa dipende da tre punti, che riguardano la volontà. Il primo è questo: abbandonare in Dio il proprio volere, giacché è indispensabile che si compia pienamente quel che allora si conosce, sia nell'abbandono, sia nell'intraprendere.

Vi sono tre tipi di volontà. La prima è volontà sensibile, la seconda razionale, la terza volontà eterna. La volontà sensibile desidera l'istruzione, che si ascoltino dei veri maestri. La volontà razionale consiste nel fatto di seguire le orme di Gesù Cristo e dei santi, il che significa dirigere parola, tenore di vita ed attività in modo conforme, rivolte a ciò che è più alto. Quando tutto questo è compiuto, Dio introduce un ulteriore elemento nel fondo dell'anima: una volontà eterna con l'amoroso comando dello Spirito santo . Allora l'anima dice: «Signore, dimmi la tua eterna volontà!». Se essa soddisfa in tal modo alle condizioni che prima abbiamo detto, e ciò piace a Dio, allora il caro Padre parla nell'anima la sua eterna Parola.

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Ora ci dicono le nostre oneste persone che bisogna divenire così perfetti, che nessun piacere ci possa muovere, diventando insensibili alla gioia e al dolore. Ma in questo hanno torto. Io dico che non v'è stato neppure uno dei più grandi santi assolutamente immutabile. Al contrario, dico anche che al santo è accordato in questa vita di non poter essere allontanato da Dio da niente. Immaginate di non essere perfetti finché le parole possono muovervi a gioia o dolore? Non è così! Anche Cristo non fa eccezione: lo fa capire, quando dice: «L'anima mia è triste fino alla morte». Dice ora Cristo: «Tu ti affliggi per molte preoccupazioni». Marta era così essenziale, che la sua attività non la ostacolava. Le sue opere e il suo agire la conducevano alla eterna beatitudine. Aveva certo qualche mediazione, ma una nobile natura, una costante applicazione e la virtù, come prima abbiamo indicato, molto aiutano. Anche Maria era stata Marta, prima di diventare Maria; infatti, quando sedeva ai piedi di nostro Signore, non era Maria: lo era certo secondo il nome, ma non secondo il suo essere; allora sedeva nella gioia e in dolce sentimento, ed era nella scuola ed imparava a vivere. Marta invece era allora compiuta nella sua essenza. Perciò disse: «Signore, falla alzare», come se avesse voluto dire: «Signore, io vorrei che non sedesse nella gioia; vorrei che imparasse a vivere, per avere la vita in modo essenziale: comandale di alzarsi, perché divenga perfetta». Ella non si chiamava Maria, quando sedeva ai piedi di Cristo. Questo piuttosto io chiamo Maria: un corpo ben esercitato, obbediente a una saggia anima. Obbedienza io chiamo il compimento, da parte del volere, di quel che il giudizio ordina. Le nostre oneste persone si immaginano ora di poter giungere a un punto tale che la presenza di cose sensibili non significhi più niente per i sensi. Questo non riesce loro. Non raggiungerò mai una condizione in cui un rumore straziante per le orecchie sia piacevole come un dolce suono di archi. Si deve però giungere al punto che il volere, saggio e formato secondo Dio, si liberi da ogni piacere naturale e, quando il giudizio percepisce la cosa, ordini al volere di distogliersene, e la volontà dica allora: lo faccio volentieri! Guardate, allora la lotta si trasforma in piacere, giacché diventa una gioia per il cuore quello che l'uomo ha dovuto conquistare con grande sforzo, ed allora porta molto frutto. Alcune persone vogliono giungere addirittura ad essere libere dalle opere. Lo dico: questo non può essere! Dopo il momento in cui i discepoli ricevettero lo Spirito santo, allora cominciarono ad operare le virtù. Quando Maria sedeva ai piedi di nostro Signore, imparava, perché ancora

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era a scuola ed imparava a vivere. Ma dopo, quando Cristo fu asceso al cielo ed ella ebbe ricevuto lo Spirito santo allora cominciò a servire, andò oltremare e predicò, e insegnò, e fu servitrice degli apostoli. Quando i santi divengono santi, solo allora iniziano ad operare le virtù, ed allora raccolgono un tesoro per la beatitudine eterna. Tutto quel che viene operato prima, espia soltanto il peccato ed allontana la punizione. Di ciò troviamo testimonianza in Cristo, dal momento in cui Dio si fece uomo e l'uomo divenne Dio, fino alla fine, quando mori sulla croce, operò per la nostra beatitudine. Non v'era alcuna parte del suo corpo che non esercitasse una virtù particolare. Che Dio ci aiuti perché lo seguiamo veramente nell'esercizio delle vere virtù. Amen.

(tratto da: Meister Eckhart, Intravit Iesus in Sermoni Tedeschi, Adelphi, Milano, 1994)