agorà anno 3 n°1

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Numero 1 Anno III Novembre 2014 Periodico di Lettere Roma Tre AGORA Il nuovo Agorà CULTURA Escher: l’arte dell’impossibile Pag. 6 APPROFONDIMENTI Berlinguer: ricomincio da Ernico Pag. 10 APPROFONDIMENTI Omofobia matrimoni gay e sentinelle in piedi Pag. 14 pag. 2

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Il giornale di Lettere Roma Tre

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Numero 1 Anno IIINovembre 2014

Periodico di Lettere Roma Tre

AGORA

Il nuovoAgorà

CULTURA

Escher: l’artedell’impossibilePag. 6

APPROFONDIMENTI

Berlinguer: ricomincio

da ErnicoPag. 10

APPROFONDIMENTI

Omofobia matrimoni gay e

sentinelle in piediPag. 14pag. 2

2 AGORA’

Il nuovo AgoràEccomi a scrivere il primo numero del

“nuovo” Agorà. Agorà è il giornale di

lettere, che chiunque può leggere e sul

quale chiunque, se lo vuole, può scrivere.

Trattiamo argomenti d’arte, di musica,

di cinema, di politica e molto altro. Da

quest’anno il giornale si rinnova, per

dare sempre più spazio agli studenti

della facoltà di lettere interessati a con-

tribuire, magari anche saltuariamente, al

nostro giornalino.

Riscopriamo insieme questo piccolo spa-

zio che ci da’ l’opportunità di esprimere

le nostre idee in prima persona su quello

che accade nel mondo. Attualmente ci

sono vecchie e nuove penne, pronte a

scrivere ogni mese.

Il nuovo anno accademico è cominciato

ed insieme ad esso le nostre nuove pub-

blicazioni. Vorrei che questo piccolo

libricino sia per voi qualcosa in più di

un aeroplanino di fortuna e che la sua

utilità non si fermi ad essere quella di

tenere fermo un tavolo traballante.

Vero è che sta a noi che lo scriviamo,

pr ima di tutto , la responsabi l i tà di

renderlo appetibile e interessante. Ci

proveremo, meglio dell’anno scorso e

dell’anno precedente.

C’è profumo di energia, di talento, di

efficienza e di molto altro nella nostra

piccola redazione e siamo pronti ad

aprire le nostri menti per voi e con voi.

Ci sarà un rinnovamento anche suoi

social , soprattutto su Facebook. Ma

abbiamo bisogno di persone, ecco per-

ché chiunque fosse interessato può farsi

avanti, senza problemi. Intanto posso

assicurarvi che a collaborare attual-

mente al giornale ci sono ragazze e

ragazzi, alcuni di loro sono con noi già

dall’anno scorso con lo stesso impegno

e un’accesa dedizione.

Spero vi piaccia tutto ciò.

Agorà c’è, noi ci siamo, e voi?

Elena Lazzari

Periodico di informazione e approfondimento a cura di Ricomincio dagli Studenti Lettere e Filosofia

Contatti

338.4586458 (Riccardo)

[email protected]

facebook.com/agora.roma3

yieldroma3.blogspot.it

AGORA

Novembre 2014 3

Aveva avuto una brutta notteAveva avuto una brutta notte, una di

quelle in cui cerchi di soffocare i pen-

sieri e di dormire ma in realtà ti ritrovi

a fissare il soffitto fino a che fuori non

si fa giorno, perché sono i pensieri che

alla fine soffocano te.

Era rimasta immobile sotto le coperte

sdraiata sul fianco sinistro, abbrac-

ciando un cuscino e fissando il buio

del la stanza. La sua mente s i era

messa in viaggio e non sembrava voler

arrivare a destinazione così in fretta;

i suoi pensieri si susseguivano senza

un apparente senso logico ma, per

quanto si sforzasse di serrare gli occhi

e addormentarsi, la sua mente aveva

un piano diverso per lei quella notte.

Al mattino, aveva spento la sveglia

cinque minuti prima che suonasse ed

era andata in bagno a guardarsi allo

specchio. Profonde occhiaie le solca-

vano il viso. Quando uscì di casa si

rese conto che il buongiorno dei suoi

vicini la innervosivano, che i gridolini

dei bambini che aspettavano il pul-

mino della scuola con le proprie madri

sotto casa sua le davano fastidio, che

i passanti che la guardavano le face-

vano venir voglia di imprecare. Arrivò

alla stazione e prese il treno, poi scese

e si diresse alla fermata dell ’auto-

bus. Quando il telefono le vibrò nella

tasca posteriore dei pantaloni ebbe

un sussulto, e si meravigliò ancora di

più quando vide che un caro amico la

stava chiamando.

“Pronto?”

Di tutta r isposta l ’amico iniziò ad

urlare un buongiorno ad un tono di

voce così alto che dovette allonta-

nare il telefono dall’orecchio per non

restarne stordita.

“Come fai ad essere così allegro i l

lunedì mattina?”

“Sono ancora vivo e fuori c’è il sole.”

Laura Morosanu

Il racconto

Se sei interessato

a inviarci racconti brevi da pubblicare

scrivi a

[email protected]

4 AGORA’

Brasile: o país tropical

Diciamocelo chiaramente, noi di Lingue

veniamo ben poco considerati all ’ in-

terno della facoltà e ancora di meno noi

“portoghesisti”! Se, durante le lezioni

di linguistica o didattica, sono tanti gli

esempi tratti da lingue sconosciute come

il classico e il molto ricorrente swahili,

sulla lingua portoghese non viene mai

proferita parola.

Ma noi ci siamo e io, da fiera studentessa

di lingue e di portoghese, ho deciso di

ritagliarci un piccolo spazio e di offrire

un sintetico quadro di quello che è

un paese tanto bello quanto ricco di

contraddizioni.

Il  Brasile, con oltre 8,5 milioni di km², è

il  quinto paese più grande del mondo per

superficie totale (pari al 47,3% del

terr i tor io   sudamericano) ; ha i l mag -

gior numero di specie di animali; i suoi

oltre 200 milioni di abitanti lo rendono

il  quinto stato più popoloso del mondo;

è uno dei paesi membri del   G20 e del

BRICS.

Ma ol t re a quest i pr imat i a t testat i

ufficialmente, quella che è per me la

caratteristica più importante e supe-

riore a tutte, è la cordialità, l’affetto e

l’allegria che caratterizza il popolo bra-

siliano. Già all’arrivo nell’aeroporto di

São Paulo ci si imbatte in un cartellone

pubblicitario che riporta in più lingue

MONDO

“il secondo grande amore dei brasiliani

dopo il calcio sono le persone”. Questa

frase racchiude esattamente l ’atmo-

sfera speciale che si respira non appena

si mette piede in questa terra. I brasi-

liani ti trattano come una sorella anche

quando in realtà li hai conosciuti solo

10 minuti prima; se ti devono salutare

o si devono presentare, non ti danno la

mano, ma ti abbracciano direttamente

facendoti sentire a casa con la loro gen-

tilezza contagiosa.

Altro tratto significativo è i l colore,

inteso in molti modi: quello dei tan-

tissimi alberi, delle palme, i cosiddetti

coqueiros che si innalzano alti nel cielo

dando vita ad un fantastico contrasto

verde-azzurro. Ma i l colore è anche

quello della popolazione, una società

mult ietnica , che discende principal-

mente dagli indios, dai coloni portoghesi,

dagli schiavi africani e da diversi gruppi

di immigrati, principalmente italiani   e

portoghesi, ma anche tedeschi, spagnoli,

giapponesi e siriani-libanesi.

I l Brasile è famoso anche per le sue

fantastiche spiagge. Se per un attimo

chiudiamo gli occhi e ci lasciamo andare

all’immaginazione, basta ben poco per

ritrovarci a Copacabana. È sufficiente

pensare alla sabbia molto fine e chiara,

a decine e decine di chioschetti che

vendono frutta fresca e acqua di cocco,

servita dentro gusci verdi e grandi; a

tantissime persone che corrono sulla

riva con alle spalle una città in movi-

mento, con milioni e milioni di abitanti

che, mentre si recano al lavoro, assapo-

rano un po’ di aria di mare. Sullo sfondo

si intravedono i bagliori delle favelas,

agglomerati di squall ide baracche e

abitazioni di fortuna, in cui vive un sot-

toproletariato condannato a una vita di

miseria e di stenti spesso al limite della

sopravvivenza.

P e r q u e s t o i l B r a s i l e p u ò e s s e r e

considerato un gigante strapieno di con-

traddizioni, in cui al confine con gli attici

da sogno che si affacciano su Ipanema,

troviamo milioni di persone che lottano

ogni giorno per un pezzo di pane.

Ma il Brasile non è solo questo fortu-

natamente. Il Brasile è anche musica,

allegria, ospitalità, energia e tanta tanta

voglia di vivere…provare per credere!

Con la speranza di avervi fatto vivere un

poco di Brasile, ci vediamo alla prossima

puntata per immergerci, perché no, in

un altro quadro linguistico, culturale e

sociale differente e proprio per questo

interessante.

Isotta Rodriguez Pereira

6 AGORA’

Può esserci un pensiero scientifico dietro

un mondo creativo? In automatico ver-

rebbe da rispondere con un grosso “no”.

Generalmente, pensando all’arte tendiamo a

catapultarci in un mondo fatto di bellezza e di

misteriose intimistiche emozioni, discostan-

doci dalla triste visione razionale delle cose.

Guardando l’arte del grafico olandese Maurits

Cornelis Escher, sembrerebbe invece facile

pensare come la creatività costruita su regole

geometriche e matematiche possa non perdere

di bellezza ma anzi riuscire a far viaggiare la

mente in luoghi così fantastici da non contenersi

nei confini della realtà. Escher nasce in Olanda

nel 1898, fin da giovane coltiva una passione

smisurata per il disegno, passione che negli anni

dell’adolescenza gli farà trascurare gli studi por-

tandolo anche sull’orlo della bocciatura. Dopo

aver conseguito faticosamente il diploma, compie

un viaggio in Italia, Paese in cui Escher, circondato

dall’arte creerà numerose litografie ispirandosi

alla bellezza dei paesaggi del sud Italia. Più tardi,

costretto dal padre, si iscriverà alla facoltà di

architettura ad Haarlem ma lascerà ben presto la

carriera universitaria per iscriversi ai corsi di dise-

gno di S. Jesserun de Mesquita, il quale avrà un

Maurits Cornelis Escher: l’arte dell’impossibile

CULTURA

Novembre 2014 7

notevole influsso sul suo futuro sviluppo di artista

grafico. Scelta ormai la sua vera vocazione, la vita

artistica di Escher continuerà con una strada tutta

in ascesa. Nel 1923, torna in Italia immortalando

nuovamente, tramite le sue incisioni su legno,

paesaggi naturalistici che raccontano con un

impressionante visione dettagliata luoghi come

Tropea e la campagna senese, insieme alla crea-

tiva ricostruzione delle piccole cose, dai soffioni

agli scarabei, dalle foglie alle cavallette, ai ramarri,

ai cristalli che egli osservava come straordinarie

architetture naturali. Solo più tardi, dopo un sog-

giorno in Spagna con consecutiva visita al Palazzo

moresco Alhambra di Granada, impressionato dai

dettagli dei mosaici arabeschi che adornano gli

interni di questo edificio, caratterizzati da motivi

grafici ricorsivi, lo scenario artistico del grafico

olandese viene sconvolto dando origine alla

produzione artistica più famosa, composta di

implicazioni matematiche e geometriche con “la

divisione regolare del piano” una tecnica che con-

siste nel dividere uno spazio con figure di forma

regolare senza sovrapporle né lasciare spazi vuoti,

dove l’originalità di Escher starà nella scelta di

ricoprire il piano con figure inusuali, come rettili

e uccelli. Il percorso artistico di Escher evolve poi

nella creazione delle cosiddette “immagini inte-

riori” dove l’artistica con le sue opere si distacca

dalla rappresentazione minuziosa della realtà,

per indagare un mondo fantasmagorico, dove gli

effetti ottici sono al fulcro. Escher è in grado di pro-

durre scene in cui l’alto e il basso, l’orientamento

degli oggetti a destra o a sinistra, dipendono dalla

posizione che l’osservatore decide di prendere,

inoltre riesce a giocare su concetti come bidi-

mensionalità e tridimensionalità suggerendo la

possibilità di creare su una superficie piana oggetti

e mondi che nella realtà non avrebbero chance di

esistere, lui stesso afferma “Il disegno è illusione:

suggerisce tre dimensioni sebbene sulla carta ce

ne siano solo due”. La produzione di Escher non si

può raccontare a parole perché necessita un totale

coinvolgimento visivo, non potendo poi fare a

meno di rimanere sbalorditi di fronte ad opere

così minuziosamente costruite attraverso principi

matematici, prospettive invertite e rappresenta-

zione di oggetti impossibili come il triangolo di

Penrose. Fino al 22 febbraio 2015 sarà possibile

ammirare il genio di Escher, con oltre 150 opere,

in mostra a Roma presso il Chiostro del Bramante.

Paola Murolo

Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile

M.C. Escher

8 AGORA’

Il Corpo di Stato

Al San Raffaele di Milano si sta consumando

un dramma che non mancherà di scuotere

nuovamente le coscienze di chi osserva la

situazione dall’esterno. Una donna italiana di 36 anni,

incinta, ha avuto un’improvvisa emorragia cerebrale.

La donna, secondo i criteri attuali della medicina, è

clinicamente morta e la sua condizione è definita di

“morte cerebrale”: si verifica quando l’elettroence-

falogramma è piatto ed è la condizione nella quale,

di norma, si procede per il prelievo per la donazione

degli organi.

La notizia è stata riportata da due delle maggiori

testate italiane, il Corriere della Sera e La Repubblica,

ma c’è una lieve confusione riguardo allo stato della

gravidanza della donna e la data dell’effettiva morte:

la notizia è stata solo ultimamente resa nota (n. d. R.

30/10/2014), nonostante ormai la morte della donna

risalga a circa 15 giorni fa.

La mia riflessione è scaturita leggendo l’articolo

pubblicato online dal Corriere. Mi sono accorta, man

mano che proseguivo nella lettura che il testo era

pregno di parole che appartenevano ad una sfera

lessicale comune, e veniva delineato una sorta di

“sottofondo” narrativo. “Dolce”, “culla”, “proteggere”,

e su questi troneggiava l’onnipresente “madre”,

come per incorniciare, grazie a questa parola, un qua-

dretto che narrasse una storia a cui è indotto un finale

certo, con al centro l’ideologia della vita ad ogni costo.

Perché emerge da quelle pagine che poco importa

se quello che c’è dietro a questa “gravidanza contro

i limiti della scienza” (senz’altro una grande sfida dal

punto di vista medico) è il corpo, morto, di una donna

usato a mo’ di “incubatrice” naturale, tenuto caldo

artificialmente.

ATTUALITA’

Novembre 2014 9Il mio attacco è rivolto alle pagine dei quotidiani che

vogliono trasmettere, riportando questa notizia, la

necessità assoluta del proseguo senza se e senza

ma di un rapporto intimo e primordiale che c’è tra

madre e figlio, frutto di una decisione insindacabile

che non deve e non può essere contrastata. Non è

così. Nessuno ha il diritto di imporre a qualcun altro

una relazione. Chi ha deciso per questa donna, per

il suo corpo? Qualcuno si è posto degli interrogativi

etici o il corpo di una donna incinta solo è un corpo

da manipolare, un corpo di stato? Cito a tal propo-

sito delle dichiarazioni di due personalità di rilievo

come un politico e un cardinale su un caso analogo

verificatosi a Genova una manciata di anni fa, presso

l’ospedale San Martino. E alla mia domanda la rispo-

sta è sì, nel caso di Genova qualcuno si espose in

questi termini: “L’allora cardinale di Genova, Tarcisio

Bertone, chiese che si tentasse di «salvare una vita

che sta sbocciando», sostenendo che «un bimbo che

sta per nascere continua l’esistenza di una mamma

che se ne va», ma anche l’allora ministro della Sanità,

Girolamo Sirchia, sostenne in un’intervista, rimbal-

zata poi sui diversi media, che era giusto «mantenere

in vita» la donna il più possibile, per consentire il pro-

gredire della gravidanza e la nascita del bambino. Il

ministro pare abbia anche detto che far nascere que-

sto bambino si configurava come un dovere, anche

ove il bambino fosse nato affetto da gravi malforma-

zioni dovute alla peculiarità della sua gestazione. Il

dovere di mantenere in funzione i supporti, avrebbe

chiarito ancora il ministro, non era legato allo stato (di

morte cerebrale) della madre, ma al suo stato di gravi-

danza; se non fosse stata incinta l’assistenza avrebbe

dovuto essere interrotta: «normalmente l’assistenza

dovrebbe essere interrotta, in questo caso va mante-

nuta per il bambino: è un dovere»”.

Ciò che merita una riflessione è la superficialità con

cui si dà per scontato che negli struggenti casi di

morte cerebrale delle donne incinta l’unica giusta

soluzione sia quella del parto post-mortem. Ma l’Esi-

stenza, la venuta al mondo di una nuova vita ha una

preziosità che deriva dal naturale scambio tra madre

e figlio, dal naturale rapporto di causalità dove la

nascita è conseguenza, non fine primario da raggiun-

gere a qualsiasi costo con un accanimento sul corpo.

“L’essere madri non è il destino di ogni donna, è piut-

tosto una scelta umana, di un agente responsabile; né

è un fatto naturale, è culturalmente connotato, ancor-

ché nei vincoli della natura. Negare questo vuol dire

offendere tutte le madri e anche tutte le donne, se si

pensa che il loro compito sia quello di essere madri

e di esserlo in questo modo. La considerazione di

una donna incinta mantenuta in coma, o meglio del

cadavere di una donna incinta mantenuto a una tem-

peratura costante e non dannosa per il feto, irrorato

di sangue che gira con l’aiuto di una macchina, come

una «madre» dovrebbe offendere i sensi di chiun-

que abbia a cuore la parola madre, se non quella di

donna. Ciò infatti veicola, come sostiene anche

Lindemann Nelson, una visione della gravidanza

sminuita - ridotta a puro meccanismo biologico - e

uno svilimento, fino alla negazione, della soggettività

femminile”.

Tratto da Caterina Botti, Madri cattive. Una riflessione

su bioetica e gravidanza, Il Saggiatore, Milano, 2007.

Clorinda Palucci

10 AGORA’

Io ricomincio da Enrico

Ho ancora il ricordo sfumato di una sera.

Sarà che avevo 6-7 anni, probabilmente

credevo ancora nell’esistenza di Babbo

Natale. Sta di fatto che ero davanti al televisore,

accanto ai miei genitori: stavano proiettando le

immagini di repertorio di una piazza immensa,

tutta colorata di rosso: gente di ogni età che

piangeva e faceva strani saluti a pugno chiuso

davanti al passaggio di un carro funebre. Dentro

quell’auto c’era la salma di Enrico Berlinguer,

il segretario del PCI, morto l’ 11 giugno 1984,

trent’anni fa. Naturalmente io, che mi ispiravo

ancora ai supereroi dei cartoni animati, non avevo

idea di chi fosse, ma quella sera mi sono chiesto

come un uomo comune mortale della nostra

stessa specie, potesse far accorrere e commuo-

vere tanta gente al proprio funerale. Da lì iniziai

a credere che anche in mezzo a noi, potessero

esistere dei supereroi. Il mio articolo non vuole

essere un elogio trito e ritrito alla figura di Enrico

Berlinguer; ogni uomo è fallibile nelle sue azioni

e la politica, come diceva Aristotele, è la scienza

in cui le cose accadono “per lo più” e non hanno

quindi un grado di verità assoluta, ma Berlinguer

è stato “per lo più” la più grande figura della poli-

tica italiana del dopoguerra e sicuramente il più

grande leader della Sinistra. Fu segretario del PCI

dal 1972 al 1984. Il partito comunista, con Palmiro

Togliatti (protagonista dell’antifascismo, morto

cinquanta anni fa) non era riuscito ad andare oltre

il 26% alle elezioni politiche. Nel 1976, invece,

un italiano su tre votava comunista: Berlinguer

aveva portato il suo partito al 35%. Cosa spinse

tanta gente, anche non ideologicamente marxista,

a votare per il partito falce e martello? Berlinguer

innanzitutto era consapevole della “diversità”

del PCI rispetto a tutti gli altri partiti comunisti

internazionali: in particolar modo non vedeva l’I-

talia come una semplice variante nazionale di un

ordine mondiale che sarebbe dovuto essere retto

dall’URSS. Era propugnatore, come lo era stato

Togliatti, di un’autentica “via italiana” al socialismo

che rispettasse i principi democratici sanciti dalla

Costituzione redatta dopo anni di dittatura fasci-

sta. In tutti gli anni della sua segreteria si impegnò

fortemente affinché il partito comunista si pre-

sentasse agli occhi degli italiani come una forza

realmente democratica, e fu pronto a rinunciare

ad alcuni dogmi della pesante tradizione marxi-

sta che si portava alla spalle per adattarsi ai rapidi

mutamenti della società, senza cadere in cinico

realismo, e soprattutto senza venir mai meno ai

propri ideali di gioventù. Tuttavia ciò non gli evitò

lo “strappo” da Mosca e la scomunica da parte

della nomenclatura sovietica. Molto importante

fu il dialogo con il mondo cattolico e il famoso car-

teggio con Mons. Bettazzi, a cui Berlinguer scrisse

che il PCI non era un partito “né teista, né ateista,

né antiteista”: il segretario era consapevole, come

lo era stato anche Togliatti, che con il “cupolone”

bisognava fare i conti. Si iniziò a parlare di catto-

comunismo e soprattutto di compromesso storico.

APPROFONDIMENTI

Novembre 2014 11Ma per comprendere le ragioni di questa propo-

sta politica è necessario far riferimento all’11

settembre 1973: giorno del golpe fascista cileno,

compiuto dal generale Pinochet ai danni del presi-

dente socialista Allende democraticamente eletto,

che pagò con la vita la difesa della democrazia in

Cile. Tenendo conto dei movimenti del’ ‘68 e della

grande avanzata delle sinistre dopo la vittoria

nei referendum sul divorzio e l’aborto, Berlinguer

temeva una svolta reazionaria in Italia dello stesso

stampo di quella avvenuta in Cile. Non si poteva

governare con il 51%, perché tutta la restante

parte degli italiani sarebbe stata all’opposizione.

Perciò propose alla DC un patto di governo per

realizzare quelle riforme strutturali che avrebbero

portato l’Italia fuori dalla stagnazione economica

in cui versava: un’alleanza temporanea tra masse

cattoliche ed operaie. Il progetto naufragò nel

1978 con il rapimento e l’omicidio, da parte di un

manipolo delle Brigate Rosse, di Aldo Moro, altra

grande figura della politica italiana e principale

referente del segretario comunista all‘interno

della DC. Iniziarono allora gli anni dell’alterna-

tiva, in cui Berlinguer propose un patto d’azione

tra tutte le forze della sinistra. Furono questi gli

anni del duro scontro con il leader del PSI Bettino

Craxi, dell’aspro dibattito interno con Giorgio

Napolitano e Cossutta, della pesante sconfitta

nel referendum sulla scala mobile. Ma furono

soprattutto gli anni spesi da Berlinguer in difesa

della pace, dei diritti delle donne e della questione

morale: contro, cioè “l’ occupazione dello Stato da

parte dei partiti governativi e delle correnti: essi

hanno occupato gli enti locali, gli enti di previ-

denza, le banche, gli ospedali, le università, la Rai…

i metodi di costoro vanno superati e abbandonati”.

Ora, guardiamo all’attualità. Ma soprattutto a ciò

che rimane della sinistra o del centro-sinistra:

non posso fare a meno di notare la fine del pen-

siero lungo: di quei verbi coniugati al futuro che

Berlinguer seppe pronunciare e che oggi riman-

gono attuali (vedi la questione morale), della fine

della politica come vocazione. Di giovani ram-

polli renziani che, quasi con orgoglio, dicono “Di

Berlinguer non so granché”, di donzelle che pre-

feriscono Fanfani a Berlinguer solo perché “sono

aretina”. E quei politici che prima di un discorso

pubblico dicono ai loro colleghi “adesso dico le

solite cazzate io, poi continua tu...” mi piacerebbe

invitarli a vedere insieme le immagini dell’ultimo

comizio di Berlinguer a Padova, in cui decise di

concludere il suo discorso mentre la morte lo

stava visibilmente portando via. Questa era la

vera vocazione politica. Ho sempre pensato che

bisognasse unire alla passione, il realismo: per

non essere né idealisti sognatori, né troppo cinici.

E’ giusto cambiare, quando il movimento delle

cose viaggia a una velocità troppo elevata per

ancorarsi ad icone impolverate. A patto però di

avere la consapevolezza di una storia e di un pen-

siero alle spalle. Perché le radici sono importanti.

Antonio Cerquitelli

12 AGORA’

La svoltaMemorie confuse di un presente passato Ripensando lucidamente a quanto avvenuto sulla

scena politica da qualche anno a questa parte,

ho spesso l’inquietante sensazione di essermi

perso qualcosa. Ed è in momenti come que-

sti che mi ritorna alla mente il povero Winston

Smith, quando ricordava benissimo che, fino a

pochi anni prima, l’Oceania era alleata dell’Eu-

rasia e nemica dell’Estasia, malgrado il regime

affermasse che da sempre l’alleato fosse l’Estasia

e, viceversa, il nemico l’Eurasia. E, ad intimorirlo

ancor di più, vi era il fatto che questa bugia colos-

sale fosse divenuta verità storica, grazie alla

perenne manipolazione dell’informazione, che

aveva così stravolto la memoria collettiva: la

versione del Partito era diventata la verità. “Ma

questa conoscenza”, scrive Orwell, “dove si tro-

vava? Solo nella sua coscienza”. Così, spesso,

mi capita di svegliarmi la mattina e, ingenua-

mente, chiedermi: “Ma fino a ieri, non era nemico

colui che voleva stravolgere la Costituzione?”.

Certo, capisco che in epoca di politica smart, di

lingua globish, di Jobs Act, di selfie, soffermarsi

troppo sui dettagli storici potrebbe sembrare

inutile o addirittura “d’intralcio”. D’altronde,

non era proprio Renzi a parlare di “governo

del fare?”. No, infatti, era Berlusconi, ma tant’è.

Se il pensare diventa di troppo, il fare avanza

imperante come un carro armato. E a quel

punto, la verità storica viene schiacciata, anzi:

sradicata, cioè presa e fatta diventare altro.

La riforma della Costituzione sembra diventata

un atto impellente. D’improvviso, la sinistra si

riscopre a vocazione maggioritaria, presiden-

zialista, bipolarista – a guardarla ora vien da dire

bipolare, ma la battuta vien da sé – e convertita

al libero mercato, anzi, alle sue leggi. Ma, soprat-

tutto, incredibilmente vuota. Così, sull’altare del

“ce lo chiede l’Europa” e di una fretta mortale

che sembra indemoniare tanto il premier quanto

tutta l’allegra combriccola di governo, la sinistra

- finalmente - al potere sacrifica il Senato, e di con-

seguenza il cardinale principio costituzionale del

bicameralismo, per velocizzare i “tempi di discus-

sione delle leggi” – come se discutere una legge

sia equivalente a decidere dove andare stasera

a mangiare la pizza; sacrifica, anzi, smantella le

tutele ai lavoratori con l’abolizione dell’articolo

18, per aprire agli investimenti esteri – come se

APPROFONDIMENTI

Novembre 2014 13i diritti dei lavoratori fossero un “tabù ideolo-

gico superato”, ma questa, purtroppo, non è una

mia battuta; sacrifica, infine, il parlamentarismo

aprendo al presidenzialismo, perché “il popolo

deve scegliere i suoi leader” – che di per sé è

giusto, ma la questione sarebbe da approfondire.

Mettere mano alla Costituzione è un’operazione

delicata, di vitale importanza – e dagli esiti incerti

– per la salute dello Stato. Quindi, sarebbe giusto,

almeno, scegliere bene con chi riformarla. Già, con

chi? Se il governo è un governo di sinistra, verrebbe

allora da dire: con i cittadini, con i sindacati, con i

costituzionalisti, con le piazze di sinistra, insomma,

con una tautologia: con la Sinistra. Ma non è così.

Noi riscriviamo la Costituzione con Berlusconi.

Berlusconi, quello che riferendosi agli elettori di

sinistra non capisce “come possano esserci tanti

coglioni che votano contro il proprio interesse”.

Quello che “la magistratura è il cancro della demo-

crazia”. Quello che “i sindacati sono terrorismo”.

Quello che “il Parlamento è inutile”. Quello che

“Mussolini non ha mai ucciso nessuno, al massimo

mandava qualcuno al confino”. Quello che “tutti i

cittadini sono uguali ma io sono più uguale degli

altri”. Quello che “chi difende la libertà di stampa

è un farabutto”. Quello della legge bavaglio con-

tro la libera informazione. Quello dei tagli alla

pubblica istruzione e della riforma che abbatte

la scuola pubblica. Quello del lodo Alfano che

smantella il principio di uguaglianza davanti alla

legge sancito dai padri costituenti. Quello delle

valigie piene di soldi per comprare i senatori e

far cadere il governo Prodi. Quello dei militari per

le strade in nome della “sicurezza dei cittadini”,

e delle piazze piene di odio per il rivale politico.

Quello che chiunque non la pensi come lui è un

“comunista” e quello che, infine, “la Costituzione

è una carta sovietica e le sue leggi un inferno”.

Ma guarda cosa tiri fuori!, mi si dirà. Che importa

di queste verità storiche, ora che finalmente

siamo seduti sulle poltrone più alte le cose sono

diverse. E’ da gufi, provare a fermare il rullo

compressore del Fare. È da gufi provare a Dire.

Così, avviene la svolta, anzi, la Svolta, quella con

la S maiuscola. Il pregiudicato diventa statista.

L’azione penale diventa offesa politica. La diver-

sità d’opinione diventa dissenso. E, piano piano,

quella che era guerra diventa ora pace. Quella

che un tempo era ignoranza dei fatti, ora è forza,

forza per andare avanti, per fare. E, ancor più in là,

quella che era libertà, di giorno in giorno, diventa

schiavitù.

Mio Dio, ma che pensieri fuorvianti, da vero gufo,

sì! Ora c’è la svolta, e stare a pontificare su certe

sottigliezze è davvero da idioti. Ogni tanto bisogna

pure smetterla di usare la testa, sennò poi si finisce

col vedersela rotta dai manganelli, come quegli

operai pochi giorni fa. Ogni tanto bisogna pure

fidarsi: e dai, che la riforma del lavoro aprirà agli

investitori esteri! E comunque, si va avanti. Non

era proprio Renzi che diceva che “andremo avanti,

contro tutto quello che ci può essere schierato

contro, dalle manifestazioni ad un’opposizione

democratica, dai colpi di pistola a quelli di piazza”?

No, era Berlusconi, ed era il 2002. Ma tant’è.

Edoardo Quercia

14 AGORA’

I matrimoni gay e la protesta delle sentinelle in piedi

Lo scorso mese, esattamente il 5 otto-

bre, in 70 piazze italiane si è tenuta

una protesta da parte di 10.000 indi-

vidui appartenenti ad una rete apartitica e

aconfessionale, chiamata “Le Sentinelle In Piedi”.

La protesta aveva la forma di una veglia e si

riproponeva di difendere la libertà di espres-

sione del decreto di legge “Scalfarotto”,

finalizzato a contrastare omofobia e transfobia.

Le sentinelle si sono unite per chiedere la

tutela della famiglia tradizionale, fondata sul

matrimonio, ai sensi dell’articolo 29 della

nostra costituzione e,soprattutto, per contra-

stare le unioni omosessuali che, in un futuro,

potrebbero essere regolate giuridicamente.

Il secondo punto della loro protesta è l’adozione

di bambini da parte della coppie omosessuali

e,ancor di più, la fecondazione assistita eterologa.

Il DDL Scalfarotto si fonda sulle disposi-

zioni in materia di contrasto all’omofobia e

transfobia ed è stato approvato alla Camera

ma deve ancora essere discusso in Senato.

Ma c’è un fattore intrinseco che le senti-

nelle non accettano, infatti il DDL vuole

modificare la legge n.85, del 24 febbraio

2006 che ha ridotto la classe di condotte

penalmente rilevanti e ha mitigato lo schema san-

zionatorio contro le discriminazioni, di ogni genere.

Il DDL Scalfarotto, quindi, si pone due

obbiettivi: modificare la misura delle pene

e estenderle alle discriminazioni basate

sull’identità sessuale della vittima del reato.

In caso di incitamento alla violenza o di commissione

di atti violenti, al contrario, non viene modificata

la pena prevista, che va dai 6 mesi ai 4 anni. Per

quanto riguarda l’estensione della disciplina penale,

APPROFONDIMENTI

Novembre 2014 15invece, all’articolo 2 del DDL viene introdotto,

accanto all’elemento razziale, etnico, nazionale

e religioso, quello relativo all’identità sessuale.

Nella fattispecie, proprio la modifica di

questi articoli costituisce la causa della

protesta dei nostri nuovi indignados.

L’aspirazione al matrimonio ha sempre caratte-

rizzato la comunità omosessuale ma (almeno

nella cultura occidentale), ha sempre trovato

un ostacolo nell’opposizione della società, che

considerava il matrimonio come un mezzo per

garantire la riproduzione, cioè la nascita di nuovi

cittadini. Tuttavia, alcune tracce di tale aspirazione

sono state riconosciute in diversi momenti storici.

Gli storici romani della prima età imperiale hanno

parlato di veri e propri matrimoni celebrati fra

uomini. Celebre è il racconto del matrimonio

tra l’imperatore Nerone ed il liberto Sporo, o

quello tra Eliogabalo e il suo schiavo, Ierocle.

Poi si cominciò a diffondere il Cristianesimo,

e con esso l’idea del matrimonio orientato a

fini procreativi e da qui comincio a crescere

l’intolleranza verso gli omosessuali, a Roma.

Infatti, la Chiesa cattolica si oppone al matri-

monio omosessuale, affermando che

l’antropologia cristiana (che si basa sull’insegna-

mento di Cristo) considera conforme alla volontà

di Dio solo le relazioni eterosessuali, conside-

rando tutto il resto degno di condanna morale.

La Chiesa non vede ragioni che giusti-

fichino il riconoscimento da parte della

società di diritti alle coppie omosessuali.

Tuttavia la Convenzione Europea sui Diritti

dell’Uomo, La Carta di Nizza e diverse Risoluzioni

del Parlamento Europeo hanno sancito per molti

anni la necessità di evitare discriminazioni sulla

base dell’orientamento sessuale nel diritto ad

avere una famiglia. Essa tutela l’individuo all’in-

terno delle formazioni sociali secondo il principio di

uguaglianza, e riconosce i diritti della famiglia come

società naturale fondata sul matrimonio, sia fra

coppie eterosessuali che coppie dello stesso sesso.

La storia racconta i vari discrimini e le varie lotte

avvenute tra Chiesa e Stato, eppure ancora ad

oggi, in modo meno evidente, sembra che nel

nostro paese,volente o nolente, l’influenza

della Chiesa sia determinante. Perché non ricor-

dare alle sentinelle che la nostra Costituzione

prevede, ai sensi dell’art 3 comma 1, che tutti i

cittadini sono eguali davanti alla legge ma che

soprattutto hanno pari dignità sociale senza

distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opi-

nioni politiche, condizioni sociali e personali ?

Pare incongruente che le sentinelle si scandalizzino

allora per il contenuto integrale del DDL piutto-

sto che per una parziale modifica, che peraltro è

conforme alla medesima logica che ha ispirato il

legislatore del 1975 prima, e del 1993 poi. Il carcere,

teoricamente, lo si rischia anche per atti discrimina-

tori volti a screditare la nazionalità. O la religione.

Porre un argine alla violenza non può essere cri-

ticato, se alla base di tale argine c’è la volontà di

costituire una società pluralista, dove i diritti ven-

gono esercitati da chiunque, nei limiti dell’esercizio

consentito dall’ordinamento giuridico.

Beatrice Fianco

Il Sudoku(Difficoltà: Difficile)

Istruzioni:Riempire la griglia in modo che ogni riga, ogni colonna e ogni riquadro contengano una sola volta i numeri dall’1 al 9.

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