agorà anno 3 n°1
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Il giornale di Lettere Roma TreTRANSCRIPT
Numero 1 Anno IIINovembre 2014
Periodico di Lettere Roma Tre
AGORA
Il nuovoAgorà
CULTURA
Escher: l’artedell’impossibilePag. 6
APPROFONDIMENTI
Berlinguer: ricomincio
da ErnicoPag. 10
APPROFONDIMENTI
Omofobia matrimoni gay e
sentinelle in piediPag. 14pag. 2
2 AGORA’
Il nuovo AgoràEccomi a scrivere il primo numero del
“nuovo” Agorà. Agorà è il giornale di
lettere, che chiunque può leggere e sul
quale chiunque, se lo vuole, può scrivere.
Trattiamo argomenti d’arte, di musica,
di cinema, di politica e molto altro. Da
quest’anno il giornale si rinnova, per
dare sempre più spazio agli studenti
della facoltà di lettere interessati a con-
tribuire, magari anche saltuariamente, al
nostro giornalino.
Riscopriamo insieme questo piccolo spa-
zio che ci da’ l’opportunità di esprimere
le nostre idee in prima persona su quello
che accade nel mondo. Attualmente ci
sono vecchie e nuove penne, pronte a
scrivere ogni mese.
Il nuovo anno accademico è cominciato
ed insieme ad esso le nostre nuove pub-
blicazioni. Vorrei che questo piccolo
libricino sia per voi qualcosa in più di
un aeroplanino di fortuna e che la sua
utilità non si fermi ad essere quella di
tenere fermo un tavolo traballante.
Vero è che sta a noi che lo scriviamo,
pr ima di tutto , la responsabi l i tà di
renderlo appetibile e interessante. Ci
proveremo, meglio dell’anno scorso e
dell’anno precedente.
C’è profumo di energia, di talento, di
efficienza e di molto altro nella nostra
piccola redazione e siamo pronti ad
aprire le nostri menti per voi e con voi.
Ci sarà un rinnovamento anche suoi
social , soprattutto su Facebook. Ma
abbiamo bisogno di persone, ecco per-
ché chiunque fosse interessato può farsi
avanti, senza problemi. Intanto posso
assicurarvi che a collaborare attual-
mente al giornale ci sono ragazze e
ragazzi, alcuni di loro sono con noi già
dall’anno scorso con lo stesso impegno
e un’accesa dedizione.
Spero vi piaccia tutto ciò.
Agorà c’è, noi ci siamo, e voi?
Elena Lazzari
Periodico di informazione e approfondimento a cura di Ricomincio dagli Studenti Lettere e Filosofia
Contatti
338.4586458 (Riccardo)
facebook.com/agora.roma3
yieldroma3.blogspot.it
AGORA
Novembre 2014 3
Aveva avuto una brutta notteAveva avuto una brutta notte, una di
quelle in cui cerchi di soffocare i pen-
sieri e di dormire ma in realtà ti ritrovi
a fissare il soffitto fino a che fuori non
si fa giorno, perché sono i pensieri che
alla fine soffocano te.
Era rimasta immobile sotto le coperte
sdraiata sul fianco sinistro, abbrac-
ciando un cuscino e fissando il buio
del la stanza. La sua mente s i era
messa in viaggio e non sembrava voler
arrivare a destinazione così in fretta;
i suoi pensieri si susseguivano senza
un apparente senso logico ma, per
quanto si sforzasse di serrare gli occhi
e addormentarsi, la sua mente aveva
un piano diverso per lei quella notte.
Al mattino, aveva spento la sveglia
cinque minuti prima che suonasse ed
era andata in bagno a guardarsi allo
specchio. Profonde occhiaie le solca-
vano il viso. Quando uscì di casa si
rese conto che il buongiorno dei suoi
vicini la innervosivano, che i gridolini
dei bambini che aspettavano il pul-
mino della scuola con le proprie madri
sotto casa sua le davano fastidio, che
i passanti che la guardavano le face-
vano venir voglia di imprecare. Arrivò
alla stazione e prese il treno, poi scese
e si diresse alla fermata dell ’auto-
bus. Quando il telefono le vibrò nella
tasca posteriore dei pantaloni ebbe
un sussulto, e si meravigliò ancora di
più quando vide che un caro amico la
stava chiamando.
“Pronto?”
Di tutta r isposta l ’amico iniziò ad
urlare un buongiorno ad un tono di
voce così alto che dovette allonta-
nare il telefono dall’orecchio per non
restarne stordita.
“Come fai ad essere così allegro i l
lunedì mattina?”
“Sono ancora vivo e fuori c’è il sole.”
Laura Morosanu
Il racconto
Se sei interessato
a inviarci racconti brevi da pubblicare
scrivi a
4 AGORA’
Brasile: o país tropical
Diciamocelo chiaramente, noi di Lingue
veniamo ben poco considerati all ’ in-
terno della facoltà e ancora di meno noi
“portoghesisti”! Se, durante le lezioni
di linguistica o didattica, sono tanti gli
esempi tratti da lingue sconosciute come
il classico e il molto ricorrente swahili,
sulla lingua portoghese non viene mai
proferita parola.
Ma noi ci siamo e io, da fiera studentessa
di lingue e di portoghese, ho deciso di
ritagliarci un piccolo spazio e di offrire
un sintetico quadro di quello che è
un paese tanto bello quanto ricco di
contraddizioni.
Il Brasile, con oltre 8,5 milioni di km², è
il quinto paese più grande del mondo per
superficie totale (pari al 47,3% del
terr i tor io sudamericano) ; ha i l mag -
gior numero di specie di animali; i suoi
oltre 200 milioni di abitanti lo rendono
il quinto stato più popoloso del mondo;
è uno dei paesi membri del G20 e del
BRICS.
Ma ol t re a quest i pr imat i a t testat i
ufficialmente, quella che è per me la
caratteristica più importante e supe-
riore a tutte, è la cordialità, l’affetto e
l’allegria che caratterizza il popolo bra-
siliano. Già all’arrivo nell’aeroporto di
São Paulo ci si imbatte in un cartellone
pubblicitario che riporta in più lingue
MONDO
“il secondo grande amore dei brasiliani
dopo il calcio sono le persone”. Questa
frase racchiude esattamente l ’atmo-
sfera speciale che si respira non appena
si mette piede in questa terra. I brasi-
liani ti trattano come una sorella anche
quando in realtà li hai conosciuti solo
10 minuti prima; se ti devono salutare
o si devono presentare, non ti danno la
mano, ma ti abbracciano direttamente
facendoti sentire a casa con la loro gen-
tilezza contagiosa.
Altro tratto significativo è i l colore,
inteso in molti modi: quello dei tan-
tissimi alberi, delle palme, i cosiddetti
coqueiros che si innalzano alti nel cielo
dando vita ad un fantastico contrasto
verde-azzurro. Ma i l colore è anche
quello della popolazione, una società
mult ietnica , che discende principal-
mente dagli indios, dai coloni portoghesi,
dagli schiavi africani e da diversi gruppi
di immigrati, principalmente italiani e
portoghesi, ma anche tedeschi, spagnoli,
giapponesi e siriani-libanesi.
I l Brasile è famoso anche per le sue
fantastiche spiagge. Se per un attimo
chiudiamo gli occhi e ci lasciamo andare
all’immaginazione, basta ben poco per
ritrovarci a Copacabana. È sufficiente
pensare alla sabbia molto fine e chiara,
a decine e decine di chioschetti che
vendono frutta fresca e acqua di cocco,
servita dentro gusci verdi e grandi; a
tantissime persone che corrono sulla
riva con alle spalle una città in movi-
mento, con milioni e milioni di abitanti
che, mentre si recano al lavoro, assapo-
rano un po’ di aria di mare. Sullo sfondo
si intravedono i bagliori delle favelas,
agglomerati di squall ide baracche e
abitazioni di fortuna, in cui vive un sot-
toproletariato condannato a una vita di
miseria e di stenti spesso al limite della
sopravvivenza.
P e r q u e s t o i l B r a s i l e p u ò e s s e r e
considerato un gigante strapieno di con-
traddizioni, in cui al confine con gli attici
da sogno che si affacciano su Ipanema,
troviamo milioni di persone che lottano
ogni giorno per un pezzo di pane.
Ma il Brasile non è solo questo fortu-
natamente. Il Brasile è anche musica,
allegria, ospitalità, energia e tanta tanta
voglia di vivere…provare per credere!
Con la speranza di avervi fatto vivere un
poco di Brasile, ci vediamo alla prossima
puntata per immergerci, perché no, in
un altro quadro linguistico, culturale e
sociale differente e proprio per questo
interessante.
Isotta Rodriguez Pereira
6 AGORA’
Può esserci un pensiero scientifico dietro
un mondo creativo? In automatico ver-
rebbe da rispondere con un grosso “no”.
Generalmente, pensando all’arte tendiamo a
catapultarci in un mondo fatto di bellezza e di
misteriose intimistiche emozioni, discostan-
doci dalla triste visione razionale delle cose.
Guardando l’arte del grafico olandese Maurits
Cornelis Escher, sembrerebbe invece facile
pensare come la creatività costruita su regole
geometriche e matematiche possa non perdere
di bellezza ma anzi riuscire a far viaggiare la
mente in luoghi così fantastici da non contenersi
nei confini della realtà. Escher nasce in Olanda
nel 1898, fin da giovane coltiva una passione
smisurata per il disegno, passione che negli anni
dell’adolescenza gli farà trascurare gli studi por-
tandolo anche sull’orlo della bocciatura. Dopo
aver conseguito faticosamente il diploma, compie
un viaggio in Italia, Paese in cui Escher, circondato
dall’arte creerà numerose litografie ispirandosi
alla bellezza dei paesaggi del sud Italia. Più tardi,
costretto dal padre, si iscriverà alla facoltà di
architettura ad Haarlem ma lascerà ben presto la
carriera universitaria per iscriversi ai corsi di dise-
gno di S. Jesserun de Mesquita, il quale avrà un
Maurits Cornelis Escher: l’arte dell’impossibile
CULTURA
Novembre 2014 7
notevole influsso sul suo futuro sviluppo di artista
grafico. Scelta ormai la sua vera vocazione, la vita
artistica di Escher continuerà con una strada tutta
in ascesa. Nel 1923, torna in Italia immortalando
nuovamente, tramite le sue incisioni su legno,
paesaggi naturalistici che raccontano con un
impressionante visione dettagliata luoghi come
Tropea e la campagna senese, insieme alla crea-
tiva ricostruzione delle piccole cose, dai soffioni
agli scarabei, dalle foglie alle cavallette, ai ramarri,
ai cristalli che egli osservava come straordinarie
architetture naturali. Solo più tardi, dopo un sog-
giorno in Spagna con consecutiva visita al Palazzo
moresco Alhambra di Granada, impressionato dai
dettagli dei mosaici arabeschi che adornano gli
interni di questo edificio, caratterizzati da motivi
grafici ricorsivi, lo scenario artistico del grafico
olandese viene sconvolto dando origine alla
produzione artistica più famosa, composta di
implicazioni matematiche e geometriche con “la
divisione regolare del piano” una tecnica che con-
siste nel dividere uno spazio con figure di forma
regolare senza sovrapporle né lasciare spazi vuoti,
dove l’originalità di Escher starà nella scelta di
ricoprire il piano con figure inusuali, come rettili
e uccelli. Il percorso artistico di Escher evolve poi
nella creazione delle cosiddette “immagini inte-
riori” dove l’artistica con le sue opere si distacca
dalla rappresentazione minuziosa della realtà,
per indagare un mondo fantasmagorico, dove gli
effetti ottici sono al fulcro. Escher è in grado di pro-
durre scene in cui l’alto e il basso, l’orientamento
degli oggetti a destra o a sinistra, dipendono dalla
posizione che l’osservatore decide di prendere,
inoltre riesce a giocare su concetti come bidi-
mensionalità e tridimensionalità suggerendo la
possibilità di creare su una superficie piana oggetti
e mondi che nella realtà non avrebbero chance di
esistere, lui stesso afferma “Il disegno è illusione:
suggerisce tre dimensioni sebbene sulla carta ce
ne siano solo due”. La produzione di Escher non si
può raccontare a parole perché necessita un totale
coinvolgimento visivo, non potendo poi fare a
meno di rimanere sbalorditi di fronte ad opere
così minuziosamente costruite attraverso principi
matematici, prospettive invertite e rappresenta-
zione di oggetti impossibili come il triangolo di
Penrose. Fino al 22 febbraio 2015 sarà possibile
ammirare il genio di Escher, con oltre 150 opere,
in mostra a Roma presso il Chiostro del Bramante.
Paola Murolo
Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile
M.C. Escher
“
”
8 AGORA’
Il Corpo di Stato
Al San Raffaele di Milano si sta consumando
un dramma che non mancherà di scuotere
nuovamente le coscienze di chi osserva la
situazione dall’esterno. Una donna italiana di 36 anni,
incinta, ha avuto un’improvvisa emorragia cerebrale.
La donna, secondo i criteri attuali della medicina, è
clinicamente morta e la sua condizione è definita di
“morte cerebrale”: si verifica quando l’elettroence-
falogramma è piatto ed è la condizione nella quale,
di norma, si procede per il prelievo per la donazione
degli organi.
La notizia è stata riportata da due delle maggiori
testate italiane, il Corriere della Sera e La Repubblica,
ma c’è una lieve confusione riguardo allo stato della
gravidanza della donna e la data dell’effettiva morte:
la notizia è stata solo ultimamente resa nota (n. d. R.
30/10/2014), nonostante ormai la morte della donna
risalga a circa 15 giorni fa.
La mia riflessione è scaturita leggendo l’articolo
pubblicato online dal Corriere. Mi sono accorta, man
mano che proseguivo nella lettura che il testo era
pregno di parole che appartenevano ad una sfera
lessicale comune, e veniva delineato una sorta di
“sottofondo” narrativo. “Dolce”, “culla”, “proteggere”,
e su questi troneggiava l’onnipresente “madre”,
come per incorniciare, grazie a questa parola, un qua-
dretto che narrasse una storia a cui è indotto un finale
certo, con al centro l’ideologia della vita ad ogni costo.
Perché emerge da quelle pagine che poco importa
se quello che c’è dietro a questa “gravidanza contro
i limiti della scienza” (senz’altro una grande sfida dal
punto di vista medico) è il corpo, morto, di una donna
usato a mo’ di “incubatrice” naturale, tenuto caldo
artificialmente.
ATTUALITA’
Novembre 2014 9Il mio attacco è rivolto alle pagine dei quotidiani che
vogliono trasmettere, riportando questa notizia, la
necessità assoluta del proseguo senza se e senza
ma di un rapporto intimo e primordiale che c’è tra
madre e figlio, frutto di una decisione insindacabile
che non deve e non può essere contrastata. Non è
così. Nessuno ha il diritto di imporre a qualcun altro
una relazione. Chi ha deciso per questa donna, per
il suo corpo? Qualcuno si è posto degli interrogativi
etici o il corpo di una donna incinta solo è un corpo
da manipolare, un corpo di stato? Cito a tal propo-
sito delle dichiarazioni di due personalità di rilievo
come un politico e un cardinale su un caso analogo
verificatosi a Genova una manciata di anni fa, presso
l’ospedale San Martino. E alla mia domanda la rispo-
sta è sì, nel caso di Genova qualcuno si espose in
questi termini: “L’allora cardinale di Genova, Tarcisio
Bertone, chiese che si tentasse di «salvare una vita
che sta sbocciando», sostenendo che «un bimbo che
sta per nascere continua l’esistenza di una mamma
che se ne va», ma anche l’allora ministro della Sanità,
Girolamo Sirchia, sostenne in un’intervista, rimbal-
zata poi sui diversi media, che era giusto «mantenere
in vita» la donna il più possibile, per consentire il pro-
gredire della gravidanza e la nascita del bambino. Il
ministro pare abbia anche detto che far nascere que-
sto bambino si configurava come un dovere, anche
ove il bambino fosse nato affetto da gravi malforma-
zioni dovute alla peculiarità della sua gestazione. Il
dovere di mantenere in funzione i supporti, avrebbe
chiarito ancora il ministro, non era legato allo stato (di
morte cerebrale) della madre, ma al suo stato di gravi-
danza; se non fosse stata incinta l’assistenza avrebbe
dovuto essere interrotta: «normalmente l’assistenza
dovrebbe essere interrotta, in questo caso va mante-
nuta per il bambino: è un dovere»”.
Ciò che merita una riflessione è la superficialità con
cui si dà per scontato che negli struggenti casi di
morte cerebrale delle donne incinta l’unica giusta
soluzione sia quella del parto post-mortem. Ma l’Esi-
stenza, la venuta al mondo di una nuova vita ha una
preziosità che deriva dal naturale scambio tra madre
e figlio, dal naturale rapporto di causalità dove la
nascita è conseguenza, non fine primario da raggiun-
gere a qualsiasi costo con un accanimento sul corpo.
“L’essere madri non è il destino di ogni donna, è piut-
tosto una scelta umana, di un agente responsabile; né
è un fatto naturale, è culturalmente connotato, ancor-
ché nei vincoli della natura. Negare questo vuol dire
offendere tutte le madri e anche tutte le donne, se si
pensa che il loro compito sia quello di essere madri
e di esserlo in questo modo. La considerazione di
una donna incinta mantenuta in coma, o meglio del
cadavere di una donna incinta mantenuto a una tem-
peratura costante e non dannosa per il feto, irrorato
di sangue che gira con l’aiuto di una macchina, come
una «madre» dovrebbe offendere i sensi di chiun-
que abbia a cuore la parola madre, se non quella di
donna. Ciò infatti veicola, come sostiene anche
Lindemann Nelson, una visione della gravidanza
sminuita - ridotta a puro meccanismo biologico - e
uno svilimento, fino alla negazione, della soggettività
femminile”.
Tratto da Caterina Botti, Madri cattive. Una riflessione
su bioetica e gravidanza, Il Saggiatore, Milano, 2007.
Clorinda Palucci
10 AGORA’
Io ricomincio da Enrico
Ho ancora il ricordo sfumato di una sera.
Sarà che avevo 6-7 anni, probabilmente
credevo ancora nell’esistenza di Babbo
Natale. Sta di fatto che ero davanti al televisore,
accanto ai miei genitori: stavano proiettando le
immagini di repertorio di una piazza immensa,
tutta colorata di rosso: gente di ogni età che
piangeva e faceva strani saluti a pugno chiuso
davanti al passaggio di un carro funebre. Dentro
quell’auto c’era la salma di Enrico Berlinguer,
il segretario del PCI, morto l’ 11 giugno 1984,
trent’anni fa. Naturalmente io, che mi ispiravo
ancora ai supereroi dei cartoni animati, non avevo
idea di chi fosse, ma quella sera mi sono chiesto
come un uomo comune mortale della nostra
stessa specie, potesse far accorrere e commuo-
vere tanta gente al proprio funerale. Da lì iniziai
a credere che anche in mezzo a noi, potessero
esistere dei supereroi. Il mio articolo non vuole
essere un elogio trito e ritrito alla figura di Enrico
Berlinguer; ogni uomo è fallibile nelle sue azioni
e la politica, come diceva Aristotele, è la scienza
in cui le cose accadono “per lo più” e non hanno
quindi un grado di verità assoluta, ma Berlinguer
è stato “per lo più” la più grande figura della poli-
tica italiana del dopoguerra e sicuramente il più
grande leader della Sinistra. Fu segretario del PCI
dal 1972 al 1984. Il partito comunista, con Palmiro
Togliatti (protagonista dell’antifascismo, morto
cinquanta anni fa) non era riuscito ad andare oltre
il 26% alle elezioni politiche. Nel 1976, invece,
un italiano su tre votava comunista: Berlinguer
aveva portato il suo partito al 35%. Cosa spinse
tanta gente, anche non ideologicamente marxista,
a votare per il partito falce e martello? Berlinguer
innanzitutto era consapevole della “diversità”
del PCI rispetto a tutti gli altri partiti comunisti
internazionali: in particolar modo non vedeva l’I-
talia come una semplice variante nazionale di un
ordine mondiale che sarebbe dovuto essere retto
dall’URSS. Era propugnatore, come lo era stato
Togliatti, di un’autentica “via italiana” al socialismo
che rispettasse i principi democratici sanciti dalla
Costituzione redatta dopo anni di dittatura fasci-
sta. In tutti gli anni della sua segreteria si impegnò
fortemente affinché il partito comunista si pre-
sentasse agli occhi degli italiani come una forza
realmente democratica, e fu pronto a rinunciare
ad alcuni dogmi della pesante tradizione marxi-
sta che si portava alla spalle per adattarsi ai rapidi
mutamenti della società, senza cadere in cinico
realismo, e soprattutto senza venir mai meno ai
propri ideali di gioventù. Tuttavia ciò non gli evitò
lo “strappo” da Mosca e la scomunica da parte
della nomenclatura sovietica. Molto importante
fu il dialogo con il mondo cattolico e il famoso car-
teggio con Mons. Bettazzi, a cui Berlinguer scrisse
che il PCI non era un partito “né teista, né ateista,
né antiteista”: il segretario era consapevole, come
lo era stato anche Togliatti, che con il “cupolone”
bisognava fare i conti. Si iniziò a parlare di catto-
comunismo e soprattutto di compromesso storico.
APPROFONDIMENTI
Novembre 2014 11Ma per comprendere le ragioni di questa propo-
sta politica è necessario far riferimento all’11
settembre 1973: giorno del golpe fascista cileno,
compiuto dal generale Pinochet ai danni del presi-
dente socialista Allende democraticamente eletto,
che pagò con la vita la difesa della democrazia in
Cile. Tenendo conto dei movimenti del’ ‘68 e della
grande avanzata delle sinistre dopo la vittoria
nei referendum sul divorzio e l’aborto, Berlinguer
temeva una svolta reazionaria in Italia dello stesso
stampo di quella avvenuta in Cile. Non si poteva
governare con il 51%, perché tutta la restante
parte degli italiani sarebbe stata all’opposizione.
Perciò propose alla DC un patto di governo per
realizzare quelle riforme strutturali che avrebbero
portato l’Italia fuori dalla stagnazione economica
in cui versava: un’alleanza temporanea tra masse
cattoliche ed operaie. Il progetto naufragò nel
1978 con il rapimento e l’omicidio, da parte di un
manipolo delle Brigate Rosse, di Aldo Moro, altra
grande figura della politica italiana e principale
referente del segretario comunista all‘interno
della DC. Iniziarono allora gli anni dell’alterna-
tiva, in cui Berlinguer propose un patto d’azione
tra tutte le forze della sinistra. Furono questi gli
anni del duro scontro con il leader del PSI Bettino
Craxi, dell’aspro dibattito interno con Giorgio
Napolitano e Cossutta, della pesante sconfitta
nel referendum sulla scala mobile. Ma furono
soprattutto gli anni spesi da Berlinguer in difesa
della pace, dei diritti delle donne e della questione
morale: contro, cioè “l’ occupazione dello Stato da
parte dei partiti governativi e delle correnti: essi
hanno occupato gli enti locali, gli enti di previ-
denza, le banche, gli ospedali, le università, la Rai…
i metodi di costoro vanno superati e abbandonati”.
Ora, guardiamo all’attualità. Ma soprattutto a ciò
che rimane della sinistra o del centro-sinistra:
non posso fare a meno di notare la fine del pen-
siero lungo: di quei verbi coniugati al futuro che
Berlinguer seppe pronunciare e che oggi riman-
gono attuali (vedi la questione morale), della fine
della politica come vocazione. Di giovani ram-
polli renziani che, quasi con orgoglio, dicono “Di
Berlinguer non so granché”, di donzelle che pre-
feriscono Fanfani a Berlinguer solo perché “sono
aretina”. E quei politici che prima di un discorso
pubblico dicono ai loro colleghi “adesso dico le
solite cazzate io, poi continua tu...” mi piacerebbe
invitarli a vedere insieme le immagini dell’ultimo
comizio di Berlinguer a Padova, in cui decise di
concludere il suo discorso mentre la morte lo
stava visibilmente portando via. Questa era la
vera vocazione politica. Ho sempre pensato che
bisognasse unire alla passione, il realismo: per
non essere né idealisti sognatori, né troppo cinici.
E’ giusto cambiare, quando il movimento delle
cose viaggia a una velocità troppo elevata per
ancorarsi ad icone impolverate. A patto però di
avere la consapevolezza di una storia e di un pen-
siero alle spalle. Perché le radici sono importanti.
Antonio Cerquitelli
12 AGORA’
La svoltaMemorie confuse di un presente passato Ripensando lucidamente a quanto avvenuto sulla
scena politica da qualche anno a questa parte,
ho spesso l’inquietante sensazione di essermi
perso qualcosa. Ed è in momenti come que-
sti che mi ritorna alla mente il povero Winston
Smith, quando ricordava benissimo che, fino a
pochi anni prima, l’Oceania era alleata dell’Eu-
rasia e nemica dell’Estasia, malgrado il regime
affermasse che da sempre l’alleato fosse l’Estasia
e, viceversa, il nemico l’Eurasia. E, ad intimorirlo
ancor di più, vi era il fatto che questa bugia colos-
sale fosse divenuta verità storica, grazie alla
perenne manipolazione dell’informazione, che
aveva così stravolto la memoria collettiva: la
versione del Partito era diventata la verità. “Ma
questa conoscenza”, scrive Orwell, “dove si tro-
vava? Solo nella sua coscienza”. Così, spesso,
mi capita di svegliarmi la mattina e, ingenua-
mente, chiedermi: “Ma fino a ieri, non era nemico
colui che voleva stravolgere la Costituzione?”.
Certo, capisco che in epoca di politica smart, di
lingua globish, di Jobs Act, di selfie, soffermarsi
troppo sui dettagli storici potrebbe sembrare
inutile o addirittura “d’intralcio”. D’altronde,
non era proprio Renzi a parlare di “governo
del fare?”. No, infatti, era Berlusconi, ma tant’è.
Se il pensare diventa di troppo, il fare avanza
imperante come un carro armato. E a quel
punto, la verità storica viene schiacciata, anzi:
sradicata, cioè presa e fatta diventare altro.
La riforma della Costituzione sembra diventata
un atto impellente. D’improvviso, la sinistra si
riscopre a vocazione maggioritaria, presiden-
zialista, bipolarista – a guardarla ora vien da dire
bipolare, ma la battuta vien da sé – e convertita
al libero mercato, anzi, alle sue leggi. Ma, soprat-
tutto, incredibilmente vuota. Così, sull’altare del
“ce lo chiede l’Europa” e di una fretta mortale
che sembra indemoniare tanto il premier quanto
tutta l’allegra combriccola di governo, la sinistra
- finalmente - al potere sacrifica il Senato, e di con-
seguenza il cardinale principio costituzionale del
bicameralismo, per velocizzare i “tempi di discus-
sione delle leggi” – come se discutere una legge
sia equivalente a decidere dove andare stasera
a mangiare la pizza; sacrifica, anzi, smantella le
tutele ai lavoratori con l’abolizione dell’articolo
18, per aprire agli investimenti esteri – come se
APPROFONDIMENTI
Novembre 2014 13i diritti dei lavoratori fossero un “tabù ideolo-
gico superato”, ma questa, purtroppo, non è una
mia battuta; sacrifica, infine, il parlamentarismo
aprendo al presidenzialismo, perché “il popolo
deve scegliere i suoi leader” – che di per sé è
giusto, ma la questione sarebbe da approfondire.
Mettere mano alla Costituzione è un’operazione
delicata, di vitale importanza – e dagli esiti incerti
– per la salute dello Stato. Quindi, sarebbe giusto,
almeno, scegliere bene con chi riformarla. Già, con
chi? Se il governo è un governo di sinistra, verrebbe
allora da dire: con i cittadini, con i sindacati, con i
costituzionalisti, con le piazze di sinistra, insomma,
con una tautologia: con la Sinistra. Ma non è così.
Noi riscriviamo la Costituzione con Berlusconi.
Berlusconi, quello che riferendosi agli elettori di
sinistra non capisce “come possano esserci tanti
coglioni che votano contro il proprio interesse”.
Quello che “la magistratura è il cancro della demo-
crazia”. Quello che “i sindacati sono terrorismo”.
Quello che “il Parlamento è inutile”. Quello che
“Mussolini non ha mai ucciso nessuno, al massimo
mandava qualcuno al confino”. Quello che “tutti i
cittadini sono uguali ma io sono più uguale degli
altri”. Quello che “chi difende la libertà di stampa
è un farabutto”. Quello della legge bavaglio con-
tro la libera informazione. Quello dei tagli alla
pubblica istruzione e della riforma che abbatte
la scuola pubblica. Quello del lodo Alfano che
smantella il principio di uguaglianza davanti alla
legge sancito dai padri costituenti. Quello delle
valigie piene di soldi per comprare i senatori e
far cadere il governo Prodi. Quello dei militari per
le strade in nome della “sicurezza dei cittadini”,
e delle piazze piene di odio per il rivale politico.
Quello che chiunque non la pensi come lui è un
“comunista” e quello che, infine, “la Costituzione
è una carta sovietica e le sue leggi un inferno”.
Ma guarda cosa tiri fuori!, mi si dirà. Che importa
di queste verità storiche, ora che finalmente
siamo seduti sulle poltrone più alte le cose sono
diverse. E’ da gufi, provare a fermare il rullo
compressore del Fare. È da gufi provare a Dire.
Così, avviene la svolta, anzi, la Svolta, quella con
la S maiuscola. Il pregiudicato diventa statista.
L’azione penale diventa offesa politica. La diver-
sità d’opinione diventa dissenso. E, piano piano,
quella che era guerra diventa ora pace. Quella
che un tempo era ignoranza dei fatti, ora è forza,
forza per andare avanti, per fare. E, ancor più in là,
quella che era libertà, di giorno in giorno, diventa
schiavitù.
Mio Dio, ma che pensieri fuorvianti, da vero gufo,
sì! Ora c’è la svolta, e stare a pontificare su certe
sottigliezze è davvero da idioti. Ogni tanto bisogna
pure smetterla di usare la testa, sennò poi si finisce
col vedersela rotta dai manganelli, come quegli
operai pochi giorni fa. Ogni tanto bisogna pure
fidarsi: e dai, che la riforma del lavoro aprirà agli
investitori esteri! E comunque, si va avanti. Non
era proprio Renzi che diceva che “andremo avanti,
contro tutto quello che ci può essere schierato
contro, dalle manifestazioni ad un’opposizione
democratica, dai colpi di pistola a quelli di piazza”?
No, era Berlusconi, ed era il 2002. Ma tant’è.
Edoardo Quercia
14 AGORA’
I matrimoni gay e la protesta delle sentinelle in piedi
Lo scorso mese, esattamente il 5 otto-
bre, in 70 piazze italiane si è tenuta
una protesta da parte di 10.000 indi-
vidui appartenenti ad una rete apartitica e
aconfessionale, chiamata “Le Sentinelle In Piedi”.
La protesta aveva la forma di una veglia e si
riproponeva di difendere la libertà di espres-
sione del decreto di legge “Scalfarotto”,
finalizzato a contrastare omofobia e transfobia.
Le sentinelle si sono unite per chiedere la
tutela della famiglia tradizionale, fondata sul
matrimonio, ai sensi dell’articolo 29 della
nostra costituzione e,soprattutto, per contra-
stare le unioni omosessuali che, in un futuro,
potrebbero essere regolate giuridicamente.
Il secondo punto della loro protesta è l’adozione
di bambini da parte della coppie omosessuali
e,ancor di più, la fecondazione assistita eterologa.
Il DDL Scalfarotto si fonda sulle disposi-
zioni in materia di contrasto all’omofobia e
transfobia ed è stato approvato alla Camera
ma deve ancora essere discusso in Senato.
Ma c’è un fattore intrinseco che le senti-
nelle non accettano, infatti il DDL vuole
modificare la legge n.85, del 24 febbraio
2006 che ha ridotto la classe di condotte
penalmente rilevanti e ha mitigato lo schema san-
zionatorio contro le discriminazioni, di ogni genere.
Il DDL Scalfarotto, quindi, si pone due
obbiettivi: modificare la misura delle pene
e estenderle alle discriminazioni basate
sull’identità sessuale della vittima del reato.
In caso di incitamento alla violenza o di commissione
di atti violenti, al contrario, non viene modificata
la pena prevista, che va dai 6 mesi ai 4 anni. Per
quanto riguarda l’estensione della disciplina penale,
APPROFONDIMENTI
Novembre 2014 15invece, all’articolo 2 del DDL viene introdotto,
accanto all’elemento razziale, etnico, nazionale
e religioso, quello relativo all’identità sessuale.
Nella fattispecie, proprio la modifica di
questi articoli costituisce la causa della
protesta dei nostri nuovi indignados.
L’aspirazione al matrimonio ha sempre caratte-
rizzato la comunità omosessuale ma (almeno
nella cultura occidentale), ha sempre trovato
un ostacolo nell’opposizione della società, che
considerava il matrimonio come un mezzo per
garantire la riproduzione, cioè la nascita di nuovi
cittadini. Tuttavia, alcune tracce di tale aspirazione
sono state riconosciute in diversi momenti storici.
Gli storici romani della prima età imperiale hanno
parlato di veri e propri matrimoni celebrati fra
uomini. Celebre è il racconto del matrimonio
tra l’imperatore Nerone ed il liberto Sporo, o
quello tra Eliogabalo e il suo schiavo, Ierocle.
Poi si cominciò a diffondere il Cristianesimo,
e con esso l’idea del matrimonio orientato a
fini procreativi e da qui comincio a crescere
l’intolleranza verso gli omosessuali, a Roma.
Infatti, la Chiesa cattolica si oppone al matri-
monio omosessuale, affermando che
l’antropologia cristiana (che si basa sull’insegna-
mento di Cristo) considera conforme alla volontà
di Dio solo le relazioni eterosessuali, conside-
rando tutto il resto degno di condanna morale.
La Chiesa non vede ragioni che giusti-
fichino il riconoscimento da parte della
società di diritti alle coppie omosessuali.
Tuttavia la Convenzione Europea sui Diritti
dell’Uomo, La Carta di Nizza e diverse Risoluzioni
del Parlamento Europeo hanno sancito per molti
anni la necessità di evitare discriminazioni sulla
base dell’orientamento sessuale nel diritto ad
avere una famiglia. Essa tutela l’individuo all’in-
terno delle formazioni sociali secondo il principio di
uguaglianza, e riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio, sia fra
coppie eterosessuali che coppie dello stesso sesso.
La storia racconta i vari discrimini e le varie lotte
avvenute tra Chiesa e Stato, eppure ancora ad
oggi, in modo meno evidente, sembra che nel
nostro paese,volente o nolente, l’influenza
della Chiesa sia determinante. Perché non ricor-
dare alle sentinelle che la nostra Costituzione
prevede, ai sensi dell’art 3 comma 1, che tutti i
cittadini sono eguali davanti alla legge ma che
soprattutto hanno pari dignità sociale senza
distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opi-
nioni politiche, condizioni sociali e personali ?
Pare incongruente che le sentinelle si scandalizzino
allora per il contenuto integrale del DDL piutto-
sto che per una parziale modifica, che peraltro è
conforme alla medesima logica che ha ispirato il
legislatore del 1975 prima, e del 1993 poi. Il carcere,
teoricamente, lo si rischia anche per atti discrimina-
tori volti a screditare la nazionalità. O la religione.
Porre un argine alla violenza non può essere cri-
ticato, se alla base di tale argine c’è la volontà di
costituire una società pluralista, dove i diritti ven-
gono esercitati da chiunque, nei limiti dell’esercizio
consentito dall’ordinamento giuridico.
Beatrice Fianco
Il Sudoku(Difficoltà: Difficile)
Istruzioni:Riempire la griglia in modo che ogni riga, ogni colonna e ogni riquadro contengano una sola volta i numeri dall’1 al 9.
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