alcuni aspetti della gravità quantistica

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VENZO DE SABBATA Dipartimento di Fisica Università di Bologna e Ferrara CULTURA Alcuni aspetti della gravità quantistica (Pervenuto il 12.3.99, approvato il 19.4.99) ABSTRACT The work deals mainly with these three topics: a) Gravity is not a force, but a property of space time (curvature) b) The necessity of introduction of spin in Generai Relativity (torsion) c) The description of Gravity in real space time (geometrie product) 1. Introduzione Prima di parlare della Gravità quantistica, vo- gliamo brevemente accennare al perché preoccu- parsi di quantizzare la gravità quando sappiamo che la teoria di Newton, o meglio ancora la teoria della Relatività generale di Einstein, rendono con- to così bene delle osservazioni non solo per quan- to riguarda il comportamento e la dinamica del si- stema solare (secondo Newton) ma anche riguardo altri fenomeni astrofisici quali lo studio delle ga- lassie, i buchi neri, le stelle di neutroni, la stessa cosmologia (secondo Einstein) per non citare che alcuni aspetti dei tanti fenomeni che osserviamo nell'universo. Il problema è, prima di tutto, quello di risolve- re la dicotomia cui ci troviamo di fronte: infatti da una parte abbiamo, a livello microscopico l'in- terazione forte (cioè quella nucleare per render conto del legame che unisce i nucleoni a formare un nucleo composto e che coinvolge gli adroni ossia i protoni e i neutroni) e l'interazione debo- le (per render conto della radioattività beta e più in generale dei processi di decadimento e che coinvolge anche gli elettroni e i neutrini) mentre l'interazione gravitazionale è così debole che sembra non avere nessun ruolo a livello micro- scopico; i nomi "forte" e "debole" sono dovuti al confronto con l'interazione del campo elettroma- gnetico. Ora d'altra parte abbiamo che tutte le in- terazioni conosciute, eccetto la gravitazionale, cioè la forte, la debole e anche quella elettroma- gnetica, sono ben descritte nell'ambito di una teoria quanto-relativistica (relativistica nel senso della relatività ristretta, non della relatività gene- rale che riguarda la gravitazione) nello spazio- tempo piatto (il cosiddetto spazio-tempo di Minkowski) mentre, a prima vista, sembra che la gravitazione non abbia alcun effetto per quanto * L'articolo è il testo di una conferenza tenuta ai soci del- la sezione A.I.F. di Bologna. riguarda le particelle elementari. Oggi sappiamo che ciò non è vero e che vi sono importanti nuo- vi effetti se consideriamo la teoria quantistica nello spazio-tempo curvo anziché nello spazio- tempo piatto di Minkowski (ad esempio quando si studia l'interferenza di due fasci di neutroni: in presenza di gravità, senza entrare in particolari, si trovano delle differenze di fase): ma sopratutto quando ci troviamo a svolgere considerazioni nell'universo iniziale ci accorgiamo che il ruolo della gravitazione diventa molto importante ed è necessario teneme conto; infatti quando ci trovia- mo nell'universo primitivo, iniziale, cioè nell'era di Planck (vedremo tra un momento cosa questo significhi) abbiamo da considerare insieme sia la relatività generale che le particelle elementari: nell'universo iniziale il problema cosmologico è strettamente collegato con la fisica delle particel- le elementari. Ma allora dobbiamo cercare di far coesistere la gravitazione con le altre tre forze della natura cioè la nucleare, la debole e l'elettromagnetica. Abbiamo appena detto che le particelle elementa- ri sono ben descritte nell'ambito di una teoria quantistica e allora dovremo cercare di superare questa incomunicabilità tra teoria quantistica da una parte e relatività generale dall'altra: come si può conciliare la gravitazione con queste altre tre forze di natura? Dovremo tentare di quantizzare l'interazione gravitazionale introducendo cioè una teoria quantistica della gravitazione. È possi- bile una teoria quantistica della gravitazione? È per questo che ci occuperemo della "Gravità quantistica" . Per fare questo insisteremo principalmente su tre punti: 1) La gravità non è una forza ma è una proprietà dello spazio-tempo: la cosiddetta "curvatura"; 2) La necessità dell'introduzione dello spin, nella teoria della gravità, come sorgente di gravità: la cosiddetta "torsione"; 3) La descrizione della gravità in uno spazio-tem- po reale: "il prodotto geometrico".

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Page 1: Alcuni aspetti della gravità quantistica

VENZO DE SABBATA Dipartimento di Fisica Università di Bologna e Ferrara CULTURA

Alcuni aspetti della gravità quantistica (Pervenuto il 12.3.99, approvato il 19.4.99)

ABSTRACT The work deals mainly with these three topics: a) Gravity is not a force, but a property of space time (curvature) b) The necessity of introduction of spin in Generai Relativity (torsion) c) The description of Gravity in real space time (geometrie product)

1. Introduzione

Prima di parlare della Gravità quantistica, vo­gliamo brevemente accennare al perché preoccu­parsi di quantizzare la gravità quando sappiamo che la teoria di Newton, o meglio ancora la teoria della Relatività generale di Einstein, rendono con­to così bene delle osservazioni non solo per quan­to riguarda il comportamento e la dinamica del si­stema solare (secondo Newton) ma anche riguardo altri fenomeni astrofisici quali lo studio delle ga­lassie, i buchi neri, le stelle di neutroni, la stessa cosmologia (secondo Einstein) per non citare che alcuni aspetti dei tanti fenomeni che osserviamo nell'universo.

Il problema è, prima di tutto, quello di risolve­re la dicotomia cui ci troviamo di fronte: infatti da una parte abbiamo, a livello microscopico l'in­terazione forte (cioè quella nucleare per render conto del legame che unisce i nucleoni a formare un nucleo composto e che coinvolge gli adroni ossia i protoni e i neutroni) e l'interazione debo­le (per render conto della radioattività beta e più in generale dei processi di decadimento e che coinvolge anche gli elettroni e i neutrini) mentre l'interazione gravitazionale è così debole che sembra non avere nessun ruolo a livello micro­scopico; i nomi "forte" e "debole" sono dovuti al confronto con l'interazione del campo elettroma­gnetico. Ora d'altra parte abbiamo che tutte le in­terazioni conosciute, eccetto la gravitazionale, cioè la forte, la debole e anche quella elettroma­gnetica, sono ben descritte nell'ambito di una teoria quanto-relativistica (relativistica nel senso della relatività ristretta, non della relatività gene­rale che riguarda la gravitazione) nello spazio­tempo piatto (il cosiddetto spazio-tempo di Minkowski) mentre, a prima vista, sembra che la gravitazione non abbia alcun effetto per quanto

* L'articolo è il testo di una conferenza tenuta ai soci del­la sezione A.I.F. di Bologna.

riguarda le particelle elementari. Oggi sappiamo che ciò non è vero e che vi sono importanti nuo­vi effetti se consideriamo la teoria quantistica nello spazio-tempo curvo anziché nello spazio­tempo piatto di Minkowski (ad esempio quando si studia l'interferenza di due fasci di neutroni: in presenza di gravità, senza entrare in particolari, si trovano delle differenze di fase): ma sopratutto quando ci troviamo a svolgere considerazioni nell'universo iniziale ci accorgiamo che il ruolo della gravitazione diventa molto importante ed è necessario teneme conto; infatti quando ci trovia­mo nell'universo primitivo, iniziale, cioè nell'era di Planck (vedremo tra un momento cosa questo significhi) abbiamo da considerare insieme sia la relatività generale che le particelle elementari: nell'universo iniziale il problema cosmologico è strettamente collegato con la fisica delle particel­le elementari.

Ma allora dobbiamo cercare di far coesistere la gravitazione con le altre tre forze della natura cioè la nucleare, la debole e l'elettromagnetica. Abbiamo appena detto che le particelle elementa­ri sono ben descritte nell'ambito di una teoria quantistica e allora dovremo cercare di superare questa incomunicabilità tra teoria quantistica da una parte e relatività generale dall'altra: come si può conciliare la gravitazione con queste altre tre forze di natura? Dovremo tentare di quantizzare l'interazione gravitazionale introducendo cioè una teoria quantistica della gravitazione. È possi­bile una teoria quantistica della gravitazione? È per questo che ci occuperemo della "Gravità quantistica" .

Per fare questo insisteremo principalmente su tre punti: 1) La gravità non è una forza ma è una proprietà

dello spazio-tempo: la cosiddetta "curvatura"; 2) La necessità dell'introduzione dello spin, nella

teoria della gravità, come sorgente di gravità: la cosiddetta "torsione";

3) La descrizione della gravità in uno spazio-tem­po reale: "il prodotto geometrico".

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2. La Curvatura

Affrontiamo subito il primo punto che dice: "la gravità non è una forza (questo è veramente mol­to importante) ma è una proprietà dello spazio­tempo (la curvatura)". Non essendo una forza, non sarà possibile quantizzarla con i metodi stan­dard che si applicano nel caso delle tre forze qua­li quella forte, quella debole e quella elettroma­gnetica che, come abbiamo detto, sono ben de­scritte nell' ambito di una teoria di campo quanto­relativistico. Possiamo già dire fin d'ora che quel­lo che ci troviamo a dover quantizzare non sarà un "campo" (come ad esempio facciamo nel caso del "campo" elettromagnetico) perché non esiste il "campo" gravitazionale; nel caso della gravità il "campo" è sostituito dalla "curvatura", ma la "curvatura" è un oggetto geometrico e sarà quin­di la geometria dello spazio-tempo che dovremo in qualche modo quantizzare. Dovremo dunque cercare di introdurre qualcosa di analogo al prin­cipio di indeterminazione di Heisenberg (che, come si sa, conduce alla quantizzazione dei cam­pi) che però, nel caso della gravità, dovrà coin­volgere alcuni oggetti geometrici.

Vediamo allora come si arriva al concetto di cur­vatura e quindi alla teoria della relatività generale di Einstein, quando si consideri la gravità.

Per questo faremo prima di tutto un brevissimo richiamo alla relatività ristretta. Ricordiamo sola­mente che la relatività ristretta riguarda l'invarian­za di tutte le leggi fisiche nei vari sistemi inerziali: ciò era già noto a Galileo, ma solamente per quel­lo che riguardava le leggi della meccanica; si ri­cordi l'esperienza indicata da Galileo sulla barca: se ci troviamo in una barca che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto a un osservatore che si trova fermo sulla riva, un qualsiasi esperimento meccanico eseguito sulla barca in movimento è uguale, cioè dà lo stesso risultato all'esperimento fatto dall' osservatore sulla riva; in altre parole si può dire che con esperimenti meccanici non si rie­sce a mettere in evidenza il moto della barca ri­spetto all' osservatore sulla riva. Tutti i sistemi di riferimento inerziali sono equivalenti per quanto riguarda le esperienze della meccanica: le leggi della meccanica sono le stesse; se in un sistema inerziale abbiamo la legge F = /1Ul, in un sistema in moto rettilineo uniforme rispetto al precedente si­stema troveremo che la forza F' e l'accelerazione a' misurate nel nuovo sistema obbediscono alla stessa legge cioè F' = /1Ul' dove in genere F' ;t= F e a' ;t=a ma il legame tra la forza e l'accelerazione è lo stesso cioè la legge è la stessa. In altre parole si dice che le leggi della meccanica sono invarian­ti quando si passa da un sistema inerziale a un al­tro sistema inerziale (cioè un sistema in moto ret­tilineo uniforme rispetto al precedente). Questo concetto di invarianza è fondamentale: dal punto

di vista matematico, per dimostrare l'invarianza occorre scrivere la trasformazione che fa passare da un sistema inerziale a un altro. Questa trasfor­mazione è nota come trasformazione di Galileo. Einstein comprese l'importanza di questa inva­rianza (le leggi della fisica non potevano dipende­re dal particolare sistema di riferimento scelto) e la estese a tutte le leggi della fisica: non sole le leggi della meccanica ma anche quelle dell'elettroma­gnetismo e altre che si sarebbero trovate dovevano essere invarianti rispetto alle trasformazioni che permettevano di passare da un sistema inerziale a un altro. Trovò che per raggiungere questo scopo occorreva modificare le trasformazioni di Galileo e introdusse le cosiddette trasformazioni di Lo­rentz. Arrivò a questo attraverso una critica al con­cetto di tempo introducendo anche il concetto di velocità della luce come velocità limite. Non mi dilungo su queste questioni che sono ben note e che vanno sotto il nome di "relatività ristretta" (si può osservare che proprio introducendo l'invarian­za rispetto a queste nuove trasformazioni di LL>­rentz, Einstein arriva a scrivere la famosa formula E = mc2 che collega l'energia alla massa) e che ho brevemente richiamato per far vedere come Ein­stein sia arrivato alla cosiddetta "relatività genera­le". Infatti Einstein, appena formulata la relatiùtà ristretta, e aver insistito sulla necessita che tutte le leggi della fisica dovessero essere invarianti rispet­to a tutti sistemi inerziali, non era affatto soddi­sfatto della situazione e non comprendeva perche I sistemi inerziali fossero dei sistemi così pri\ikgia­ti rispetto ai quali le leggi della fisica muiusse:-o invarianti: le leggi della fisica non oo\e\:ll1'-' .:j­

pendere dai sistemi di riferimento e do\e'>',<r)c- ~ sere invarianti anche rispetto ai sistcrIll JC.:e~~.:C Era questa l'idea che lo per::-.eguiU\4 e ~,1 risolvere questa incong:ruenza. Si tni[L1"\ .... .!lmemc inizialmente. di trovare una Ie\..'1fÌa che gener.Jiz­zasse la relatiùtà ristretta.. nel senso cì.:Jè di poter scrivere le le!!ci che fossero ,alide anche nei siste­mi accelerati~; che per questo prese il nome di "re­latività !!enerale" ma che in realtà lo condusse a una vera e propria nuova teoria della gra\Ìtà: una teoria "geometrica- della gravità! li punto di par­tenza della relati\ità generale, quello che Einstein si proponeva. è dunque quello di scrivere le leggi della fisica in maniera invariante non solo rispetto ai sistemi inerziali ma anche rispetto a quelli acce­lerati o, come vedremo, in presenza di gravitazio­ne; vedremo come Einstein arriva a questo e come in realtà la relatività generale sia una vera e propria teoria geometrica della gravità.

Il punto di partenza è una scoperta che fece Ga­lileo e cioè "tutti i corpi cadono cadono con la stes­sa accelerazione!" Questo fatto fece riflettere Ein­stein e proprio attraverso questa realtà sperimenta­le Einstein arrivò al concetto di curvatura; vedia­mocome.

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CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 63

Consideriamo due masse m(l) e m(2) che cado­no nel campo gravitazionale della terra, Per la leg­ge della dinamica potremo scrivere rispettivamen­te per i due corpi:

F t = miO)a(l)

F2 = ml2) a(2)

ed anche, per la legge della gravitazione:

F t = G M mg(l)/r

F2 = G M mg(2)/r

(1)

(2)

(3)

(4)

dove gli indici 'i' e 'g' indicano rispettivamente le masse inerziali e gravitazionali mentre M è la mas­sa della terra e G la costante di Newton

(5)

Si può quindi scrivere

miO}a(1) = G M mg(l)/r (6)

mi(2)a(2) = G M mg(2)/r (7)

e prendendo i rapporti delle equazioni (6) e (7) si ha

m1(1)a(l) = m,(1)

m,(2)a(2) m,(2) (8)

e poiché sperimentalmente si trova che a(l) = a(2) (tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione) si ha subito:

m.(I) m.(2) -'-=-'-m,(1) m,(2)

(9)

cioè il rapporto tra massa inerziale e massa gravi­tazionale è costante e quindi la massa inerziale è proporzionale alla massa gravitazionale.

Esperimenti di alta precisione confermano questa proporzionalità. Uno dei primi esperimen­ti è stato fatto da Newton con l'uso di due pendoli della stessa lunghezza ma di diversa composizio­ne (i loro periodi sono proporzionali a (m/mg)1I2) ed egli non trovò nessuna differenza nei loro pe­riodi entro una precisione di una parte su 10-3

• Vi sono poi gli esperimenti di Eotvos e i più recenti di Dicke e di Braginski che danno una ugua­glianza della massa inerziale e gravitazionale entro una parte su 10-12

• Non ci fermeremo a descrivere questi importanti esperimenti e riman­do a una precedente lezione che è apparsa su "La fisica nella scuola", Quaderno 3 anno XXVI (1993) pago 42-76.

Quindi dalla base sperimentale che dice che tut­ti i corpi cadono con la stessa accelerazione si ar­riva alla proposizione che dice che la massa iner­ziale è equivalente alla massa gravitazionale.

Ciò si può esprimere in altro modo: riflettendo sulla equazione F = ma ci si accorge che se l'acce­lerazione di gravità "a" è la stessa per tutti i corpi, significa che, nel caso di forze gravitazionali, a mas­sa più grande corrisponde forza più grande cioè le forze gravitazionali sono proporzionali alle masse.

Qui Einstein fece una osservazione veramente importante: questo concetto di 'forze proporzionali alle masse' si ritrova nelle forze che si manifestano nei sistemi non inerziali come ad esempio in una piattaforma rotante. Sappiamo infatti che là legge di F = ma è valida solo in sistemi inerziali ma non è valida in sistemi non inerziali dove bisogna intro­durre le cosiddette forze fittizie (o forze inerziali). In altre parole nei sistemi non inerziali non è valida la F = ma (per questo Newton aveva bisogno dello spazio assoluto {quello dei sistemi inerziali} cioè dello spazio rispetto al quale valeva la sua legge); occorre allora introdurre altre forze come, ad esem­pio in un sistema ruotante, le forze centrifughe. Queste forze centrifughe bisogna crearle 'ad hoc', e si trova che tali forze centrifughe (che sono inerzia­li o forze fittizie che appaiono appunto in sistemi non inerziali) sono forze proporzionali alle masse.

Quindi non solo le forze gravitazionali ma an­che le cosiddette forze fittizie sono proporzionali alle masse. Attraverso questa osservazione Ein­stein fa toccar con mano l'equivalenza tra forze gravitazionali e forze inerziali che può esprimersi anche come equivalenza tra sistemi non inerziali e campi gravitazionali.

Siamo arrivati a questa equivalenza partendo dal dato fondamentale che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione.

Il percorso seguito è stato il seguente: a) tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione; b) la massa inerziale è proporzionale alla massa

gravitazionale: mi cc mg; c) le forze gravitazionali sono proporzionali alle

masse; d) anche le forze inerziali (fittizie) sono propor­

zionali alle masse; e) equivalenza tra forze inerziali e forze gravita­

zionali; f) equivalenza tra sistemi non-inerziali e campi

gravitazionali. Questo insieme di proposizioni va sotto il nome

di "principio di equivalenza". Questo si può anche vedere con il famoso esem­

pio dell'ascensore descritto da Einstein. Possiamo descriverlo in questo modo (vedi fig.

1): si considera un osservatore con alcuni corpi di prova chiuso dentro una scatola sufficientemente lontana da ogni sorgente gravitazionale e che viag­gia di moto rettilineo uniforme.

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64 La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 ,-, - -" ''-'''-'- --,-

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Equivalenza tra forze inerziali e gravitazionali

Per l'osservatore esterno la scatola è accelerata verso l'alto e il pavimento raggiunge simultaneamente le due sferette; a) e b) sono le due situazioni raffigurate in due successivi istanti di tempo. L'osservatore interno vedrà le due sferette (che hanno masse diverse) raggiungere con­temporaneamente il pavimento (con la stessa accelera­zione) e giudicherà quindi di trovarsi in un campo gravi­tazionale. Entrambi gli osservatori hanno ragione: le due descrizioni sono equivalenti. Entrambe le descrizioni sono legittime e non vi è quindi nessuna possibilità di di­stinguere tra forze inerziali e forze di gravità: le forze inerziali sono equivalenti alle forze gravitazionali. I siste­mi non inerziali sono equivalenti ai campi gravitazionali.

L'osservatore e i corpi di prova fluttueranno li­beramente all'interno della scatola.

Se improvvisamente la scatola viene accelerata (per esempio mediante razzi propulsori), allora 1'osservatore e i corpi di prova "cadranno" verso la parete della scatola opposta alla direzione del1' ac­celerazione ed ovviamente con una accelerazione che è quella impressa dai razzi e cioè la stessa sia per l'osservatore che per tutti i corpi di prova. La parete verso cui "cadono" apparirà all' osservatore come "il pavimento" della scatola e 1'osservatore sarà incapace di dire se la scatola è accelerata dai razzi o se invece egli si trova in presenza di un campo gravitazionale.

In altre parole le forze gravitazionali e quelle inerziali sono localmente indistinguibili e cioè i si­stemi non-inerziali e i campi gravitazionali sono localmente equivalenti. È questo il famoso "prin­cipio di equivalenza".

Ciò porta direttamente alla introduzione di una geometria non-euclidea quando ci si trovi in pre­senza di un campo gravitazionale. Un esempio di ciò viene dato direttamente da Einstein (per un'analisi di questo esempio vedi la lezione prece­dente già indicata): brevemente Einstein considera un osservatore, in una piattaforma circolare rotan­te, e cioè in un sistema non-inerziale, che misuri con regoli la circonferenza e il raggio di questo di­sco rotante; poiché i regoli situati lungo la circon-

ferenza subiscono la contrazione di Lorentz men­tre quelli situati lungo il diametro non la subisco­no si troverà che il rapporto tra la circonferenza e il diametro sarà maggiore di n, e quindi la geome­tria sarà non euclidea. Ma noi sappiamo che i si­stemi non inerziali sono equivalenti ai campi gra­vitazionali e quindi potremo dire che in presenza di campo gravitazionale la geometria sarà non eu­clidea.

Perciò, partendo dall'esperienza di Galileo. (tutti i corpi cadono con la medesima accelerazio­ne cioè massa inerziale = massa gravitazionale' siamo arrivati a dire che in presenza di campo gra­vitazionale la geometria dello spazio è non-eucli­dea: lo spazio-tempo è curvo.

Le cose dette in maniera discorsiva possono na­turalmente mettersi in forma matematica ed è ap­punto ciò che ha fatto Einstein, che è riuscito a col­legare la presenza di massa con la curvatura dello spazio: cioè sono le masse, è la presenza di mate­ria che curva lo spazio. Per arrivare alle sue equa­zioni Einstein ha incontrato grandi difficoltà: egli ha incominciato a lavorare su questo legame tra materia e geometria attorno al 1908 ed è arri\'ato alla soluzione del problema nel 1916, passando anche attraverso profonde crisi. È sempre stato in contatto con i matematici dell'epoca, primo fra tutti. Grossmann che gli ha insegnato il calcolo tensoriale e poi con diversi matematici italiani I a quell'epoca la matematica italiana era una delle prime del mondo - poi è venuto il fascismo con tut­ti i danni che ha provocato) tra cui Enriquez, Gre­gorio Ricci-Curbastro, e soprattutto Tullio Le\'Ì­Civita. Con quest'ultimo ebbe un intenso scambio di lettere.

Possiamo brevemente dire che nello sviluppo della relatività generale si distinguono tre diversi periodi:

I dal 1907 al 1912 Einstein cerca di formulare e sviluppare il principio di equivalenza; discute con Abraham (un allievo di Planck), con Nord­strom e Mie.

II dal 1912 al 1914 lavora strettamente a contatto (a Zurigo) con Marcel Grossman per una for­mulazione covariante e per trovare la maniera di tradurre i postulati nel linguaggio del calco­lo differenziale.

III dal 1915 al 1916 una intensa interazione con Levi-Civita per la formulazione delle equazio­ni di campo (che furono derivate indipendente­mente anche da Hilbert; per Hilbert era sola­mente una questione matematica ed egli non aveva visto alcuna interpretazione fisica).

Questo detto in maniera molto sintetica. Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, Einstein. dopo la formulazione della relatività ristretta, era tormentato dal problema del perché i sistemi iner­ziali dovessero essere privilegiati. Quindi già at­tomo agli anni 1907-1908 lavora nella direzione di

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estendere il principio di relatività del moto unifor­me a sistemi in moto non uniforme; cosÌ inizial­mente assume che la proporzionalità tra massa inerziale e gravitazionale sia valida per tutti i cor­pi senza eccezione; poi postula che le leggi della fisica devono mantenere la loro forma anche in si­stemi non galileiani. Ciò fu reso possibile dalla in­troduzione del principio di equivalenza.

Nell'agosto del 1912 Einstein tornò a Zurigo (da Praga), chiamato da Grossmann, e fu in quei giorni che si rese conto che la geometria rieman­niana rappresentava lo strumento matematicamen­te adatto per costruire la teoria della gravità.

Egli chiese aiuto a Grossmann e fu in quella oc­casione che disse "Grossmann, aiutami se no diven­to pazzo!" (v. Helv Phys. Acta Supp1.4, 271 (1956)) Ed è cosÌ che inizia la collaborazione tra Einstein e Grossmann. Grossmann gli insegnò e spiegò la geo­metria di Riemann e gli fece conoscere i lavori di Volterra, Ricci, Guido Castelnuovo, Federigo Enri­quez e Levi-Civita. Il lavoro di Einstein e Gros­smann fu pubblicato nel 1913 in Zeit Math. Phys. 62, 225 ed è in questo articolo che vengono intro­dotti i concetti di tensore covariante e controvarian­te; Einstein scrive la parte fisica mentre quella ma­tematica è opera di Grossmann: i termini dell'ac­cordo tra Einstein e Grossmann erano che Gros­smann era senz'altro disposto a collaborare su que­sto problema alla condizione però di non doversi as­sumere alcuna responsabilità in merito ad asserzio­ni o interpretazioni di natura propriamente fisica.

Nell'anno 1915 Einstein passò alcuni mesi di crisi profonda (all'incirca dal luglio al novembre 1915 furono mesi si silenzio): non riusciva a scri­vere le sue equazioni in maniera covariante (per maggiore dettagli, vedi il volume di Abraham Pais "Sottile è il Signore", la vita e la scienza di A. Ein­stein, Boringhieri,1986). Visto col senno di poi, ciò dipendeva dal fatto che Einstein non conosce­va ancora l'identità di Bianchi. Naturalmente non starò a dire cosÌ è l'identità di Bianchi perché ciò mi farebbe entrare in un terreno minato, cioè trop­po tecnico, cosa che è al di fuori del nostro scopo, che vuole essere solo discorsivo. Dirò che alla fine, anche attraverso lo scambio di lettere con Levi-Civita, Einstein riesce a generalizzare le equazioni di Newton trovando una espressione co­variante che rappresenta il legame tra la geometria e la materia (quest'ultima rappresentata dal tenso­re densità di energia-impulso). Simbolicamente, mentre le equazioni di Newton collegano la forza F con la massa M(F = GmMh.2), quelle di Einstein esprimono il legame tra una espressione geometri­ca (che sinteticamente indicheremo con R) e l'energia (questo non ci deve meravigliare dato il legame tra ener§ia e massa noto fin dalla relatività ristretta E = mc ), equazione che viene scritta con tensori in maniera covariante. Sinteticamente scri­veremo:

R=XT (lO)

dove R è una opportuna espressione geometrica mentre T è una densità di energia. R rappresenta la curvatura dello spazio e X è una costante di pro­porzionalità che è collegata alla costante gravita­zionale G di Newton (X = 81tG/c4

). La (10) è dun­que una relazione tra energia e curvatura che per­mette di trovare la geometria del nostro spazio­tempo che corrisponde a una certa distribuzione di materia, quest'ultima rappresentata dal tensore T cioè T è la parte nota mentre le incognite sono con­tenute in R.

Perché tutta questa fatica quando sappiamo per esempio che il sistema solare obbedisce assai bene alle leggi di Newton? Va allora subito detto che, in primo luogo, per velocità piccole rispetto a quelle della luce e per campi gravitazionali deboli e stati­ci le equazioni (lO) si riducono a quelle di Newton e, in secondo luogo, si hanno, attraverso le (lO) tre nuovi effetti (indicati da Einstein fin dal 1916) quali la spiegazione della parte anomala dello spo­stamento del perielio di Mercurio, l'incurvamento dei raggi di luce nel passaggio vicino a una massa e lo spostamento verso il rosso delle righe spettra­li in presenza di un campo gravitazionale. Tutti ef­fetti ben verificati sperimentalmente.

Noi non ci occuperemo di queste conseguenze e verifiche, ma ci fermeremo un momento a indica­re una delle proprietà fondamentali della curvatu­ra dello spazio. Vediamo prima di tutto come la curvatura possa sostituire la gravità.

Per dare un esempio come la curvatura possa sostituire la forza di gravità (concetto che oggi possiamo considerare antidiluviano), si potrebbe considerare un boomerang attraverso la terra.

L'esempio è fatto da Wheeler nel libro intitola­to "Gravità e Spazio-tempo" ed. Zanichelli (1993). Ne farò solo un cenno perché ci vorrebbe troppo tempo per spiegarlo adeguatamente: vi con­siglio però di leggerlo con attenzione, perché la semplicità dell'esperimento sta nel fatto che si tratta di uno spazio-tempo a due dimensioni. Wheeler considera dapprima una navetta (pilotata da Rob) che attraversa la terra lungo un tunnel che passa per il centro della terra e che congiunge due punti agli antipodi. A viaggio iniziato, Rob e la na­vetta saranno in caduta libera e andranno su e giù da un antipodo all'altro. Però questo viaggio non ci fornirà alcuna prova della curvatura dello spa­zio-tempo: per questo occorre un'altra navetta e quindi viene costruito un tunnel doppio. Le due navette sono abbastanza leggere da non influen­zarsi reciprocamente ed hanno una massa trascu­rabile rispetto a quella della terra per cui possono essere considerate masse di prova. La seconda na­vetta viene pilotata da Alix. Alix parte due secon­di dopo Rob e quindi passa per gli stessi punti di Rob con un ritardo di 2 secondi. Al momento del-

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la partenza, Alix si trova a una distanza di 20 me­tri da Rob (questo calcolo è semplicissimo: basta usare la formuletta h == (l12)gf con g == 9,81 mç2

accelerazione di gravità). Poi la distanza di Alix da Rob andrà via via aumentando ma, appena passa­to il centro della terra, la distanza comincerà a di­minuire e Alix incontrerà Rob (che ha già comin­ciato il viaggio di ritorno) a 5 m al di sotto dell'an­tipodo. Qui viene il punto importante: infatti è pro­prio riflettendo sulla distanza tra Rob e Alix che possiamo imparare cose interessanti sulla natura dello spazio-tempo, Cos' è che fa sÌ che la distanza tra Rob e Alix che nella prima parte del viaggio andava via via aumentando a un certo punto co­minci a diminuire? Se lo spazio fosse piatto, i due veicoli spazi ali si allontanerebbero per sempre. Ora lo studio della distanza tra i due veicoli spa­ziali ci dice che la geometria dello spazio-tempo non permette a due masse di prova di allontanarsi per sempre.

Questa geometria quindi non può essere piatta perché in tal caso Rob e Alix si allontanerebbero per sempre: deve essere curva; solo così si può ca­pire bene, in termini di geometria dello spazio­tempo, il perché due percorsi che all' inizio si se­parano a un certo punto si incontrano (vedi fig. 2).

Fig. 2 - Se lo spazio fosse piatto, due veicoli spaziali, o due masse di prova qualsiasi, si allontanerebbero per sempre. Questo però non succede per via della curvatura locale dello spazio-tempo nei punti in cui si trovano le masse di prova.

Non sono i percorsi ad essere curvi ma è curvo lo spazio-tempo nel quale le due navette viaggiano in caduta libera.

Il moto delle navette non dà solo una prova che lo spazio-tempo è curvo, ma dà anche una misura diretta della curvatura. Ho detto che avrei dato solo un breve cenno e quindi a questo riguardo vi con­siglio di leggere il libro di Wheeler.

Restiamo sempre in due dimensioni, ma invece di considerare le due dimensioni spazio-tempo come si è fatto nel caso del boomerang, conside­riamo due dimensioni spaziali. Si hanno allora i seguenti tre casi, (vedi fig. 3), corrispondenti a cur­vatura nulla, positiva e negativa.

Fig. 3 - Linee inizialmente «parallele» mantengono una di­stanza costante su una superficie piatta, priva di curvatura. convergono su una superficie a curvatura positiva e diver­gono su una superficie a curvatura negativa.

Come si vede la curvatura positiva è ben rap­presentata dalla superficie di un pallone mentre quella negativa è ben rappresentata dalla superficie di una sella.

È ben noto che la scoperta e l'introduzione del­la geometria non euclidea è stata opera di Gauss, Lobachewsky e Bòlyai; essa avvenne indipenden­temente e quasi nello stesso tempo: tutti e tre com­presero che si poteva costruire una geometria bidi­mensionale lasciando intatti i primi quattro postu­lati di Euclide ma non il quinto, quello delle paral­lele; quest'ultimo si può enunciare in diversi modi e afferma che dato un punto e una retta al di fuori di esso, esiste una ed una sola retta passante per quel punto e parallela alla retta data. I cinque po­stulati possono essere così scritti: l. Si può tracciare una linea retta tra due punti

qualsiasi. 2. Ogni linea retta limitata può essere estesa in­

definitamente. 3. Si può tracciare una circonferenza dato un pun­

to qualsiasi come centro e un segmento qual­siasi come raggio.

4. Tutti gli angoli retti sono uguali. Il quinto assioma era però una proposizione di

tipo differente: 5. Se due linee rette si incontrano in un piano con

un'altra retta, e la somma degli angoli interni da uno stesso lato di questa retta è minore di due angoli retti, allora le due rette, se vengono prolungate a sufficienza, si incontrano dalla parte in cui la somma degli angoli è minore di due angoli retti.

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CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 67

Ora ci sono due modi per negare il quinto postu­lato; prima di tutto diciamo che quest'ultimo assio­ma, essendo molto più complicato dei precedenti, sembrava un teorema: infatti molti matematici ten­tarono di dimostrarlo partendo dagli altri quattro assimni, ma fallirono. Ora Euclide aveva introdot­to questo assioma perché era necessario per dedur­re altre proprietà tra le quali il teorema che stabili­sce che la somma degli angoli di un triangolo è 180 gradi. Nel corso dei secoli i matematici adottarono come assioma una forma più semplice come quel­la che abbiamo enunciato sopra: cioè "dato un pun­to e una retta al di fuori di esso, esiste una ed una sola retta passante per quel punto e parallela alla retta data". Ora vi sono due modi diversi per nega­re questo postulato: 1) tutte le rette passanti per il punto dato incon­

trano la retta data (il che equivale a dire che non vi sono rette parallele tra loro), oppure,

2) vi sono due o più rette diverse passanti per quel punto che non incontrano la retta data (cioè la parallela esiste ma non è unica). Il primo porta alla cosiddetta "geometria ellitti­

ca" (rappresentata da una superficie sferica) men­tre il secondo alla cosiddetta geometria iperbolica (rappresentata da una sella).

Fig. 4

È importante a questo punto introdurre il con­cetto di geodetica: si tenga presente che, ad esem­pio, nel caso di una superficie sferica, la retta (che nel piano rappresenta la distanza minima tra due punti) è rappresentata da quella linea che va sotto il nome di 'geodetica'. In altre parole, dati due punti, tra tutte le linee che congiungono questi due punti, la linea lungo la quale la distanza è minima è la geodetica. Nella superficie sferica la linea che ha distannza minima tra due punti è data dall'arco di circonferenza massima (cioè quelle circonfe­renze che hanno come centro il centro della sfera) che passa per questi due punti. Se sulla superficie sferica disegnamo dei triangoli (i lati, che su una superficie piana sarebbero dei segmenti di linee rette, saranno qui dati da archi di circonferenze massime), si troverebbe che la somma degli ango­li di questi triangoli è maggiore di 1800 mentre nel caso di geometria ellittica la somma degli angoli di un triangolo è minore di 1800 (vedi fig. 4).

In particolare possiamo costruire un triangolo sferico in cui due lati siano archi di meridiano e il terzo lato un arco di equatore (i cui poli siano i punti di incontro tra i due meridiani) dove la som­ma degli angoli è uguale a tre angoli retti (v. fig. 5). Si veda infine una raffigurazione a due dimensioni del caso in cui per un punto al di fuori di una retta passano più di una parallela alla retta data (cioè il caso della geometria iperbolica) (v. fig. 6).

Finora ci siamo riferiti a geometrie bidimensio­nali, ma le cose dette possono essere estese a geo­metrie tridimensionali o a più dimensioni. La teo­ria di Einstein si riferisce infatti a uno spazio-tem-

Fig. 5 - Un triangolo sferico formato da tre archi di circon­ferenza massima può avere la somma degli angoli uguali a tre angoli retti, anche se il triangolo con i lati rettilinei de­terminato dagli stessi tre vertici ha gli angoli di 60 gradi.

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---Fig. 6 - L'alternativa al quinto assioma che sta alla base delle geometria iperbolica stabilisce che per un punto fuori di una retta passano molte rette che non incontrano la retta data.

po quadridimensionale. Fonnalmente non vi sono grandi difficoltà ma per noi non è facile rappre­sentare visivamente oggetti a quattro dimensioni. Possiamo però dare delle proiezioni tridimensio­nali di oggetti quadridimensionali. Tanto per fare un esempio consideriamo l'ipercubo.

Fig. 7 - Un cubo visto come un quadrato in un quadrato, in due dimensioni.

Fig. 8 - Un ipercubo visto come un cubo in un cubo, in tre dimensioni.

Possiamo procedere in questo modo: se guar­diamo frontalmente un cubo, questo appare come un quadrato dentro un quadrato (vedi fig. 7); si parla anche, in questo caso, di proiezione centrale. Analogamente la veduta frontale di un ipercubo sarà un cubo dentro un cubo (v. fig. 8). Per arriva­re a costruire in qualche modo un ipercubo, pos­siamo partire dal punto: se il punto si muove in li­nea retta genera un segmento; se il segmento si

muove in un piano perpendicolarmente a se stesso genera una figura con quattro vertici tra cui il qua­drato; il quadrato è un oggetto a due dimensioni; se muoviamo il quadrato perpendicolarmente a se stesso otteniamo un oggetto tridimensionale tra cui il cubo; procedendo in questa maniera, se fos­simo in grado di muovere il cubo in una quarta di­mensione, avremmo un ipercubo; possiamo vede­re le cose dette proiettate su un piano (v. fig. 9 e fig. lO). Naturalmente la proiezione dipende da come lo spazio tridimensionale interseca l'ipercu­bo, così come un piano che interseca un cono può dare origine alle cosidette sezioni coniche e cioè un cerchio un ellisse una parabola una iperbole op­pure le diverse figure geometriche nel caso di un piano che interseca un cilindro (v. fig. 11). In fig.12 sono date diverse proiezioni centrali quando percubo ruota nello spazio quadriaimensionale.

D Fig. 9

Fig. 10 - La proiezione di un ipercubo dallo spazio a quat­tro a quello a tre dimensioni appare come un cubo dentro a un cubo.

Se qualcuno ha piacere di trovare informazioni più dettagliate su queste strutture nello spazio a quattro dimensioni, può trovarle nel volume di Thomas E. Banchoff "Oltre la terza dimensione" Geometria, computer graphics e spazi multidi­mensionali ed. da Zanichelli (1993).

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Fig. Il

Fig. 12 - Partendo dalla figura in alto a sinistra si vede si vede una proiezione centrale di un ipercubo in rotazione nello spazio quadridimensionale.

3. La proprietà geometrica fondamentale della curvatura

Prima di affrontare il secondo argomento dato all'inizio cioè quello dello spin, vogliamo fermar­ci un momento a considerare il cosiddetto "tra­sporto parallelo". Riferiamoci per questo alla fig. 13. Nel disegno si vede un ornino di minuscole di­mensioni in grado di camminare sulla superficie di una sfera.

Fig. 13

Egli parte dal polo Nord e viaggia diretto al Sud fino all'equatore lungo un meridiano. Mentre cam­mina tiene in mano un giavellotto puntato in avan­ti verso la direzione del suo moto. All'equatore l' omino gira a sinistra di 90 gradi ma continua a te­nere il giavellotto puntato verso Sud cioè nella vec­chia direzione. Adesso cammina verso Est sull'equatore per una certa distanza (qualsiasi) sen­za cambiare direzione al giavellotto. Quindi com­pie ancora una svolta a sinistra di 90 gradi rimet­tendosi in cammino verso il punto di partenza cioè verso il polo Nord. Anche in quest'ultimo tratto di cammino il giavellotto continua ad essere puntato verso Sud. Durante tutto il cammino, il giavellotto non ha mai deviato di nessun angolo rispetto alla direzione iniziale: si parla di trasporto parallelo (per visualizzare intuitivamente il trasporto paralle­lo lungo una data curva, considerando sempre una superficie bidimensionale, se la superficie può es­sere sviluppata in un piano, si fa questo sviluppo, si trasporta il vettore parallelamente a se stesso e si ri­porta la superficie nella sua forma inziale; se la su­perficie non può essere sviluppata, dopo aver scel­to il percorso del trasporto parallelo, si definisce un piano tangente in ciascun punto del percorso; la su­perficie inviluppata da questi piani tangenti può es­sere ora sviluppata e si segue allora lo stesso pro­cedimento sopra detto). Alla fine il giavellotto (che è il nostro vettore) benché sia rimasto puntato sem­pre nella medesima direzione (verso Sud), quando ritorna al punto di partenza risulta ruotato rispetto alla direzione che aveva in partenza. Potremo quin­di dire che l'effetto della curvatura è quello di ruo­tare un vettore, (che percorre un cammino chiuso), rispetto alla sua posizione iniziale.

Abbiamo detto che la curvatura è proporzionale alla massa (si veda l'equazione (lO»; per averne una idea geometrica, possiamo riferirci alla defini­zione di Gauss: egli considera una superficie cur-

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va ed anche tutte le curve, passanti per un punto P, che siano sezioni di essa superficie con un piano passante per la perpendicolare alla superficie nel punto P (si veda la fig. 14); ora, in generale, i rag­gi di curvatura delle varie sezioni saranno diversi e ce ne sarà uno massimo, Rh e uno minimo, Rz. Nel caso in cui la superficie sia quella di una sfera, si avrà R, = Rz. Ora Gauss chiama curvatura in P del­la superficie, il numero

(11)

che avrà quindi le dimensioni dell'inverso di una lunghezza al quadrato (cioè L-z). R, e Rz sono det­ti raggi di curvatura mentre gli inversi

(12)

sono le curvature principali. La curvatura gaussia­na è quindi uguale al prodotto delle rispettive cur­vature principali cioè

(13)

Questo concetto di curvatura gaussiana è im­portante perché si dimostra che rimane invariante per qualsiasi flessione della superficie (le flessioni sono quelle deformazioni che lasciano invariate le lunghezze e gli a~goli di tutte le curve tracciate sulla superficie). E cioè una proprietà intrinseca della superficie.

Fig. 14 - (nel caso di superficie sferica RI = R2).

RI ed R2 sono i raggi di curvatura (rispettivamente massi­moe minimo.

~I = KI ed ~ = K 2 sono le curvature principali.

La curvatura gaussiana k e definita dal prodotto delle curvature principali K = KtK2 = 1/R1R2

4. Lo spin e la torsione

Ci siamo finora occupati del primo punto cioè quello che dice che la gravità non è una forza ma è una proprietà dello spazio tempo: la curvatura. Ab­biamo visto che la curvatura è determinata dalla massa e ne è proporzionale. Vogliamo ora occu­parci del secondo punto, quello della necessità dell'introduzione dello spin: la torsione.

Si è detto che quando ci poniamo nell'universo iniziale abbiamo a che fare con temperature altis­sime e troviamo anche le particelle elementari: queste ultime sono ben descritte dalla meccanica quantistica ma parlando di universo avremo a che fare anche con la cosmologia e quindi con la rela­tività generale.

Ma le particelle elementari hanno non solo una massa ma anche uno spin (che è un momento an­golare intrinseco: potremo modellisticamente rap­presentarlo come una trottola) e quindi dovremo te­ner conto anche dello spin quando formuliamo un", teoria della gravità. Qual è l'effetto dello spin; Come introdurlo in relatività generale? Possiamo intanto osservare e dire che, come la massa è re­sponsabile di quell'effetto geometrico sullo spazJO tempo che abbiamo visto essere la curvatura. co,ì lo spin dovrà essere responsabile di un altro effeuo geometrico: questo nuovo effetto è quello che \"a sotto il nome di torsione. Vediamo di cosa si tratta

Il primo a considerare la torsione fu il matema­tico francese Elie Cartan (uno dei più grandi mate­matici di tutti i tempi) nel 1922.

Egli collegò la torsione al momento angolare in­trinseco, cioè allo spin, quando ancora nessuno sa­peva niente sullo spino Lo spin fu infatti scopeno intorno al 1925 da Uhlenbeck e Goudsmit.

Dal punto di vista formale, cioè matematico. l'introduzione del concetto di torsione nella teoria della relatività generale porta solo ad una lievissi­ma modifica delle equazioni di Einstein mentre le conseguenze fisiche sono molto importanti.

Inoltre finché ci interessiamo a movimenti in campi gravitazionali deboli (potremmo meglio dire: finché ci limitiamo a piccole curvature), per esempio quando ci occupiamo del sistema solare. gli effetti della torsione sono del tutto trascurabili. Gli effetti della torsione diventano invece molto importanti nell'universo iniziale, quando si ha a che fare con densità altissime, ad esempio nelle stelle superdense (densità dell'ordine di quelle nu­cleari) o in vicinanza dei buchi neri. Noi non par­leremo qui di queste conseguenze, ma ci limitere­mo a far vedere qual' è l'effetto geometrico. Dicia­mo subito che l'effetto consiste in una traslazione di un vettore che percorre un cammino chiuso. Inoltre vedremo che la torsione risulta estrema­mente importante quando si voglia tentare di quan­tizzare la gravità, problema che è il soggetto di questa lezione divulgativa.

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Prima di arrivare a questo problema torniamo a vedere qual' è l'effetto geometrico della torsione. Brevemente diremo che, come la massa è collega­ta alla curvatura (la massa genera la curvatura), così lo spin è collegato a un'altra proprietà geome­trica dello spazio-tempo che va sotto il nome di torsione (lo spin genera la torsione). Ciò è in linea con l'idea fondamentale di Einstein di avere una teoria geometrica della gravità.

Come abbiamo accennato, l'effetto della torsione è quello di una traslazione di un vettore che percor­re un circuito chiuso, In altre parole, un vettore che percorre un circuito chiuso (circuito che può essere rappresentato da tre archi di geodetica come abbia­mo fatto (v. fig. 13) nel caso della curvatura), si tro­va traslato (ha cioè subito una traslazione) quando ritorna al punto di partenza (v. fig. 15 a, b, c).

Mentre nel caso della curvatura un vettore che percorre un circuito chiuso si trova motato (fig. 13 e 15a), nel caso in cui sia presente la torsione il vetto­re che percorre un circuito chiuso si trova traslato (il circuito risulta cioè aperto nel piano tangente, [vedi Appendice]). Se infine sono presenti sia la curvatura che la torsione, il vettore sarà motato e traslato.

Fig. 15 a - La curvatura (il vettore viene ruotato).

Fig. 15 b - La torsione (il vettore viene traslato).

Fig. 15 c - Curvatura e torsione (il vettore viene ruotato e tras lato),

Non darò qui l'espressione matematica della torsione: dirò solo che in genere viene indicata con Q. Allora, come la curvatura è collegata alla mas­sa tramite l'equazione di Einstein (lO) che abbia­mo scritta

(lO)

così la torsione Q è collegata alla densità di spin S da una equazione analoga che scriveremo simboli­camente:

Q=X S (l 1)

dove però non è detto che la costante di proporzio­nalità X sia la stessa che appare nell'equazione (lO).

Ora il fatto importante, che forse potete intuire, è che l'introduzione della torsione nella geometria dello spazio-tempo indica una via per la quantiz­zazione: infatti si è detto che la torsione è colle­gata allo spin, ma lo spin è quantizzato (è ben noto che gli spin delle particelle sono multipli di hl2 dove h è la costante di Planck), e quindi si può pensare che anche la torsione risulti in qual­che modo quantizzata. Naturalmente anche in questo caso non vi posso dare una derivazione di come questo possa farsi; tuttavia in Appendice po­tete trovare qualche breve dettaglio del procedi­mento usato.

Poiché, come si è detto, la proprietà della tor­sione è quella di lasciare un'apertura nei circuiti, avremo che queste aperture (che sono delle lun­ghezze, delle distanze) risultano quantizzate,

Come si può intuire, si tratta quindi di una quantizzazione della geometria dello spazio-tem­po, in particolare delle distanze e dei tempi: si possono infatti introdurre sia una minima distan­za sia un tempo minimo al di sotto dei quali non si può andare (in Appendice vengono date le espressioni di una distanza minima e di un tempo minimo). Sembra quindi aperta la strada per una quantizzazione dello spazio-tempo, che era pro­prio quello che ci si era proposti di fare, dato che, come si era detto all'inizio, la quantizzazione del­la gravità non può essere fatta seguendo le vie normali della quantizzazione delle altre forze di natura perché la gravità non è una forza ma è la curvatura dello spazio-tempo e quello che va quantizzato è proprio la geometria dello spazio­tempo. Naturalmente non basta introdurre una lunghezza minima e un tempo minimo per dire di aver quantizzato lo spazio-tempo; occorrerà tro­vare delle relazioni di indeterminazione tra due quantità geometriche tra loro indipendenti. Ciò non è possibile fare nell'ambito della relatività generale ma sembra possibile quando si introdu­ca anche la torsione. Abbiamo allora due quantità geometriche, la curvatura R e la torsione Q tra le quali è possibile stabilire delle relazioni di inde­terminazione.

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Analogamente alle relazioni di indeterminazio­ni di Heisenberg tra la posizione x e la quantità di moto p cioè

(12)

si può avere (v. Appendice) tra la curvatura R e la torsione Q

dove Lpl è la lunghezza di Planck

Lpl = (liGlc3)l/2

(13)

(14)

e quindi la lunghezza di Planck viene introdotta come "quanto di lunghezza".

Come si vede la lunghezza di Planck entra at­traverso la minima unità di spin (o quanto di azio­ne) li (G e c sono rispettivamente la costante gra­vitazionale di Newton e la velocità della luce).

Le relazioni di indeterminazione (13) che ab­biamo scritto tra la curvatura e la torsione possono essere viste anche sotto un altro aspetto: possiamo infatti osservare che la non chiusura dei circuiti che si ha nel caso della torsione si comporta come i "difetti" (o "dislocazioni") che si hanno nel caso dei cristalli: si parla allora di difetti dello spazio­tempo; analogamente nel caso della curvatura ab­biamo, per così dire, dei difetti angolari (che si comportano come le "disclinazioni" nei cristalli) dovuti alla apertura di angoli (si veda la fig. 16).

Fig. 16 - Proiettata su un piano tangente, la superficie cur­va mostra, per cosÌ dire, dei difetti angolari.

Simbolicamente possiamo scrivere

R dS ::::} ~8 (15)

(16)

dove dS è l'area racchiusa dal circuito. Torsione e curvatura danno dunque luogo rispettivamente a difetti lineari (non chiusura dei circuiti) e difetti angolari (apertura degli angoli) e si comportano

quindi come variabili canoniche della meccanica quantistica per le quali vale il principio di indeter­minazione.

5. Il prodotto geometrico

Abbiamo visto che l'introduzione della torsione (che dal punto di vista fisico corrisponde allo spin) insieme alla curvatura (che dal punto fisico corri­sponde alla massa) sembra indicare una via mae­stra per quantizzare la gravità o, meglio, (se non vogliamo usare un termine antidiluviano) per quantizzare lo spazio-tempo.

Ma resta ancora una difficoltà, e siamo così giunti al terzo punto che abbiamo indicato all'ini­zio: quello della descrizione della quantizzazione in uno spazio-tempo reale.

Ci troviamo infatti di fronte ad una contraddi­zione: come si è detto all'inizio, quando si consi­dera l'universo iniziale, cioè vicino alle origini, si ha a che fare sia con la fisica delle particelle ele­mentari ben descritta con la teoria quantistica, sia con la cosmologia ben descritta dalla relatività ge­nerale. Ma la relatività generale è sviluppata in uno spazio-tempo reale mentre una teoria quanti­stica necessita di uno spazio-tempo complesso. Quando per descrivere l'universo iniziale teniamo conto non solo della massa ma anche dello spin, non possiamo descrivere la massa (la curvatura) in uno spazio-tempo reale e lo spin (la torsione) in uno spazio-tempo complesso. Come superare que­sta difficoltà? Come conciliare la relatività genera­le con la teoria quantistica?

Noi vorremo descrivere queste due proprietà fondamentali, originarie, quali la massa e lo spin, in un'unica varietà cioè nello spazio-tempo reale.

Questo è possibile fare con l'algebra di Heste­nes (vedi per es. il libro di Hestenes "Space-time algebra", Gordon and Breach, New York, 1966) che è uno sviluppo dell'algebra di Clifford.

Naturalmente non andremo a vedere come si sviluppa l'algebra di Clifford ma diremo una cosa importante: la base di questa nuova algebra è il "prodotto geometrico" e il concetto di "multivetto­re. Esso si esprime così:

ab=a'b+a/\b (17)

dove a e b sono due vettori. Nella (17) a . b è il solito prodotto scalare men­

tre a a /\ b è il cosidetto prodotto esterno che è di­verso dall'usuale prodotto vettoriale, nel senso che questo prodotto esterno ha sempre la stessa gran­dezza del prodotto vettori aie cioè lal Ibl sin8 ed anche ne divide la proprietà di antisimmetria, cioè a /\ b = - b /\ a, ma non è né una quantità scalare né una quantità vettoriale; è quello che si chiama un bivettore o un' area orientata nel piano che con­tiene a e b. Si può visualizzare il prodotto esterno

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CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 73

come l'area che si ottiene spostando a lungo h, e con l' orientazione data percorrendo il parallelo­gramma così ottenuto, prima lungo a e poi lungo h (vedi fig. 17).

~~ r u b

1/ '\ ().. "' o...

Fig. 17

Quindi non si rappresenta il prodotto a /\ h con un nuovo vettore c (come in genere si è abituati a fare) ma si rimane in due dimensioni cioé nel pia­no: si tratta di un'area orientata. Le cose dette si possono generalizzare al prodotto di oggetti di più alta dimensione (o grado) nel senso che se il bivet­tore a /\ b, che ha grado 2 è spostato lungo un altro vettore c di grado l, si ottiene un volume orientato a /\ h/\ c che è un trivettore di grado 3. Si parla di algebra multivettoriale.

A prima vista può sembrare assurdo considera­re espressioni che contengono oggetti geometrici di diverso grado come multivettori; noi infatti sia­mo abituati a non mescolare additivamente vettori di diverso grado come ad es. uno scalare con un bi­vettore; ma si può semplicemente osservare che il risultato di addizionare uno scalare con un bivetto­re, come nell'espressione (17), è esattamente la stessa cosa che facciamo quando sommiamo nu­meri reali con numeri immaginari, espressione che conduce ai numeri complessi, cioè a oggetti che contengono sia una parte reale che una parte im­maginaria. La stessa cosa facciamo quando for~ miamo i multivettori, cioè l'aggiungere una parte immaginaria a una parte reale porta a un numero complesso così come l'aggiungere uno scalare a un bivettore (o anche più elementi come trivettori etc.) porta a un multivettore: semplicemente met­tiamo insieme le diverse componenti nel simbolo z = x + iy per i numeri complessi, come nel simbolo ah = a . h + a /\ h per il prodotto geometrico.

Così si è condotti alla nozione di "multivetto­re". Quello che a noi interessa è estendere le cose allo spazio quadridimensionale .

Naturalmente non ci addentreremo in questo formalismo ma ci preme dire che procedendo in questa algebra geometrica multivettoriale, si può eliminare o, meglio, interpretare in maniera fisica, la quantità immaginaria che è presente in molte espressioni della fisica, sia nell' elettromagnetismo che nelle equazioni della meccanica quantistica. Per esempio nella teoria di Dirac, che è alla base della meccanica quantistica, la quantità immagina-

ria è rappresentata da un bivettore. Ovviamente non si tratta solo di una trascrizione, di un modo diverso di scrivere la stessa cosa: si trovano infatti nuove cose e chiariti alcuni fatti fisici che restava­no oscuri. L'unità immaginaria appare sia come unità di un'area orientata, sia come generatore di rotazioni.

Per citare solo una importante conseguenza, dirò che risulta immediatamente spiegato il famo­so effetto fisico per cui in particolari condizioni una rotazione di 360 gradi non riporta il sistema sotto considerazione nella sua posizione iniziale: si ha infatti un cambiamento di segno (dal più al meno) e solo una ulteriore rotazione di 360 gradi riporta il sistema nella condizione iniziale. Per ri­portare il sistema nella condizione iniziale occorre cioè una rotazione di 41t.

Ma a noi interessa l'algebra geometrica perché ci permette di considerare curvatura e torsione, cioè massa e spin, ambedue nello spazio-tempo reale e quindi di tentare una nuova strada per quan­tizzare la geometria dello spazio-tempo e conside­rare la curvatura e la torsione come variabili co­niugate in uno spazio-tempo reale.

Siamo così giunti alla fine di questa breve e sin­tetica lezione su alcuni aspetti della gravità quan­tistica dove curvatura e torsione appaiono come oggetti geometrici fondamentali per una possibile quantizzazione della geometria dello spazio-tem­po reale.

Appendice

In questa appendice si troverà qualche dettaglio matematico a) sulla torsione, b) sulla connessione affine, e c) sulle relazioni di commutazione tra cur­vatura R e torsione Q.

a) La nozione di torsione

La torsione è una necessaria generalizzazione della teoria della relatività generale di Einstein, cioè una generalizzazione della geometria di Rie­mann dello spazio-tempo. Questa generalizzazio­ne non è che una lieve modificazione della teoria di Einstein: essa è stata proposta negli anni 1922-23 da Cartan [1] - [4]. Secondo Trautman "la teo­ria di Einstein-Cartan è la più semplice e naturale modifica della teoria della gravitazione di Ein­stein" [5].

Prima di tutto: perché ci proponiamo di consi­derare teorie più generali della gravitazione, quan­do sappiamo che la teoria della relatività generale è la più semplice teoria della gravitazione che sia in accordo con tutti i fatti sperimentali nel dominio della macrofisica, inclusi i più recenti esperimenti di ritardo temporale fatti con segnali radar su Ve­nere e Mercurio ed altri sofisticati esperimenti nell'ambito del sistema solare? I motivi sono prin-

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cipalmente di carattere teorico (tuttavia le conse­guenze sono notevoli e non in contraddizione con i fatti sperimentali noti): infatti, come abbiamo detto nell'introduzione, ci troviamo, a prima vista, in presenza di due mondi assai diversi: da una par­te abbiamo, a livello microscopico, l'interazione forte e quella debole mentre l'interazione gravita­zionale è la più debole e sembra non giocare alcun ruolo; d'altro canto sappiamo che tutte le intera­zioni, eccetto quella gravitazionale, sono ben de­scritte nell'ambito di una teoria di campo quanto­relativistica nello spazio-tempo piatto di Minkow­sky. CosÌ a prima vista sembra che la gravitazione non abbia effetto quando si operi con la fisica del­le particelle elementari.

Oggi sappiamo che questo non è il caso: sopra­tutto quando ci occupiamo della fisica delle parti­celle elementari, ci accorgiamo che il ruolo della gravitazione diventa molto importante e addirittu­ra necessario quando abbiamo a che fare con l'uni­verso iniziale. Nell'universo iniziale il problema cosmologico è strettamente collegato con la fisica delle particelle elementari.

Ma allora dobbiamo fare molta attenzione alla seguente questione: quando consideriamo la re­latività generale insieme alla fisica delle parti­celle elementari, quest'ultima descritta da una teoria quantistica dei campi, siamo obbligati a tener conto non solo della massa delle particelle elementari, ma anche dello spino Infatti le parti­celle elementari sono caratterizzate non solo dalla massa, ma anche dallo spin che si presen­ta in unità di ti/2.

La massa e lo spin sono due elementari e indi­pendenti concetti originari (primitivi): nello stesso modo che una distribuzione di massa nello spazio­tempo e descritta dal tensore energia-momento, cosÌ una distribuzione di spin dovrà essere descrit­ta in una teoria di campo da un tensore densità di spino Come la massa e connessa alla "curvatura" dello spazio-tempo, cosÌ lo spin sarà connesso con un' altra proprietà geometrica dello spazio-tempo cosicché dovremo modificare conseguentemente la teoria delle relatività generale per poter connet­tere questa nuova prçprietà geometrica con il ten­sore densità di spino E proprio in questo modo che siamo condotti alla nozione di "torsione". Nella teoria classica di campo, la massa corrisponde al tensore canonico energia-momento e lo spin al tensore canonico di spino La relazione dinamica tra il tensore energia-momento e la curvatura è espressa nella relatività generale dalle equazioni di Einstein; siamo portati allora a pensare che si do­vrà avere una analoga relazione dinamica che in­cluda lo spino Questo è impossibile nell'ambito della relatività generale (in essa infatti non vi e po­sto per lo spin) e perciò siamo forzati a introdurre una nuova entità geometrica che è quella che chia­miamo "torsione".

Possiamo dire che come la massa è responsabi­le per la curvatura, cosÌ lo spin è responsabile per la torsione dello spazio-tempo.

Vogliamo perciò vedere da un punto di vista for­male in che modo dovremo modificare la teoria della relatività generale e come ciò rappresenti solo una leggera modifica di questa teoria: infatti il punto principale è semplicemente quello di assu­mere una connessione affine asimmetrica invece di quella simmetrica che Einstein assume nella sua teoria (i simboli di Christoffel).

La torsione è infatti connessa con la parte anti­simmetrica della connessione affine come vedre­mo tra un momento.

Ora ricordiamo che quando si parla di campo gravitazionale significhiamo una struttura geome­trica, cioè parliamo della struttura dello spazio­tempo. Infatti con Einstein viene abbandonato il concetto di gravità o di campo gravitazionale che viene sostituito dal concetto di geometria dello spazio-tempo. In analogia alla massa, dove il ten­sore energia-momento è accoppiato alla metrica, ci aspetteremo che il tensore densità di spin sia ac­coppiato a qualche entità geometrica dello spazio­tempo (una quantità che dovrà essere collegata con i gradi di libertà rotazionali nello spazio-tempo).

In questo modo siamo portati a generalizzare lo spazio-tempo di Riemann (che è quello di Ein­stein). Vedremo brevemente quali sono le nuove proprietà geometriche, appunto quelle che vanno sotto il nome di torsione, poiché per il resto tutto lo sviluppo successivo segue da vicino la struttura della relatività generale. Possiamo a questo punto notare che Cartan propose di collegare il tensore torsione al tensore densità di momento angolare intrinseco [1] - [4] molto prima della introduzione del concetto moderno di spin da parte di Uhlen­beck a Goudsmit.

Va anche detto che con l'introduzione della tor­sione, con questa piccola modifica della teoria di Einstein ("piccola" dal punto di vista formale ma carica di importanti conseguenze fisiche), le equa­zioni di campo nello spazio vuoto sono le stesse cosicché la maggior parte delle conseguenze spe­rimentalmente verificabili nell' ambito del sistema solare non sono distinguibili dalle previsioni della relatività generale. D'altra parte ci troviamo di fronte a molte importanti conseguenze: per esem­pio quando si applica questa teoria di Einstein­Cartan nell'ambito della cosmologia, specialmen­te nell'universo iniziale; o quando si considerano oggetti superdensi come le stelle a neutroni o i bu­chi neri, dove ci troviamo di fronte a intensi cam­pi magnetici (la torsione può infatti allineare gli spin dando origine a campi magnetici).

Ma vediamo di introdurre formalmente la tor­sione, il che fisicamente significa l'introduzione dello spin nella relatività generale come quantità dinamica.

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Come si è già detto la torsione, come parte anti­simmetrica di una connessione affine asimmetrica, è stata introdotta da Cartan [l] - [4]. La definizio­ne della torsione Q è quindi la parte antisimmetri­ca della connessione affine r k cioè:

(naturalmente nel caso di Einstein essendo nj sim­metrico negli indici 'ij', è subito nj - r~i = O e quindi Q = O) ed ha carattere tensoriale. Cartan ebbe l'idea di collegarla con il momento angolare intrinseco della materia, ma solo più tardi divenne chiaro che il tensore energia-momento di campi massivi con spin, come ad esempio il campo di Di­rac, deve essere asimmetrico. Ora sappiamo che le equazioni di campo di Einstein mostrano come il tensore energia-momento della materia genera la curvatura dello spazio-tempo. Ma è solo questo tensore la sorgente della geometria o esiste qual­che altra quantita dinamica che influenza la geo­metria dello spazio-tempo?

Secondo Cartan [l] - [4] anche lo spin modifica la geometria dello spazio tempo.

Occorre allora trovare una relazione che con­netta il tensore di spin con un'altra proprietà geo­metrica dello spazio-tempo. Questo ovviamente non è possibile nell'ambito della relatività genera­le cosicché e necessario modificare coerentemente la teoria per poter introdurre la torsione e collegar­la con lo spino

In altre parole come la massa è collegata alla curvatura, cosÌ lo spin è collegato a quest' altra proprietà geometrica dello spazio-tempo che si chiama torsione: dal punto di vista geometrico la proprietà fondamentale della torsione è che i cir­cuiti risultano aperti nello spazio tangente men­tre, come sappiamo, nel caso della curvatura un vettore che percorre un circuito chiuso cambia di­rezione quando torna al punto di partenza (fig. A.la); nel caso della torsione esso viene invece traslato (fig. A.l b); naturalmente se si ha curva­tura e torsione il vettore risulta ruotato e traslato (fig. A.lc).

~ \

Fig. A.la - Effetto della curvatura (rotazione).

Fig. A.1b - Effetto della torsione (traslazione).

)

Fig. A.lc - Effetto della curvatura e della torsione (rota­zione e traslazione).

Questo porta a notevoli conseguenze tisiche. Non ci occuperemo delle conseguenze ma vedre­mo brevemente come vengono modificate le equazioni di Einstein.

Se E denota la densità lagrangiana in relatività generale, abbiamo per il tensore dinamico energia­momento

(A.2)

(H = (-det g~,,)112 è la radice quadrata del de­terminante della metrica).

Ora se E dipende non solo dal tensore g~" e dal­le sue derivate ma anche dalla nuova entità geo­metrica Mj , abbiamo la seguente definizione dina­mica di densità di spin:

S'l __ 1_ òE k - c:: ÒKK. '\j -g 'J

(A.3)

dove Mj ., che viene chiamato 'tensore di contor­sione', è collegato alla torsione definita in (Al) da:

10. = _Qk. _ Qk. + Qk = -10 1J. 1]. .IJ l-J I·J (A.4)

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cosicché possiamo scrivere per il coefficiente di connessione affine:

(A.5)

(dove {~j} è il simbolo di Christoffel), Lo spazio-tempo di Riemann-Cartan della teo­

ria di Einstein-Cartan (quando venga introdotta una connessione affine asimmetrica) si denota in genere con U4 per distinguerlo dallo spazio-tempo di Riemann (con una connessione affine simmetri­ca) che si denota con V 4• È allora possibile andare da V4 a U4 semplicemente sostituendo ovunque la connessione affine asimmetrica in luogo dei sim­boli di Christoffel. Quando ~j = O siamo di nuovo nello spazio di Riemann V 4.

Detto questo, si procede poi come nella teoria di Einstein (vedi l'equazione di Einstein già scritta); non entreremo qui nei dettagli e diremo solo che, come in relatività generale, si introduce il tensore di curvatura, il tensore di Ricci, la curvatura scala­re e il tensore di Einstein: ovviamente anche que­st'ultimo non sarà simmetrico. Si passa poi alle equazioni di campo partendo da una Lagrangiana che includerà anche la torsione [la curvatura scala­re che entra nella Lagrangiana sarà infatti non solo funzione del tensore metrico e delle sue derivate ma anche del tensore torsione e delle sue derivate: R(g'dg, Q, dQ)]e col solito metodo variazionale si giunge alle equazioni di campo:

(?U = xt~U TU~U = xS"~u (A.6)

invece dell'unica equazione che si ha nel caso di Einstein che, com'è noto, si scrive G~u = xfu dove G~u è il tensore di Einstein, x una costante che è le­gata a quella gravitazionale di Newton G dalla x = 81tG/c4 e Ti!U il tensore energia-momento dato dal­la (A.2).

La prima delle (A.6) è simile alla equazione di Einstein ma fU contiene anche il tensore densità di spin, mentre la seconda equazione è la nuova rela­zione che lega la quantità per così dire geometrica

TUi!u (è r~" = -(11 2H )8R I 8K~~ essendo R la

curvatura scalare e KuS' il tensore contorsione defi-nito in (A.4» con il tensore densità di spin S"i!U de­finito in (A.3).

b) La nozione di connessione affine

Abbiamo visto che l'introduzione della torsione dal punto di vista geometrico rappresenta solo una lieve modifica delle equazioni di Einstein che si esplica nella considerazione di una connessione affine asimmetrica anziché simmetrica.

La connessione affine è una espressione mate­matica che occorre definire quando si passa da un

punto ad un altro dello spazio-tempo curvo e che si indica con r.

Il punto fondamentale della necessità di intro­durre questo oggetto matematico detto "connes­sione affine" è che quando ci si trova nello spazio curvo, il differenziale dA~ di un vettore Ai! non è un vettore ed anche la derivata parziale dAi! non è un tensore per trasformazioni generali di coordinate. Infatti in coordinate cartesiane sappiamo che, ad esemrio in 4 dimensioni, quattro quantità Ai! == (A l, A2

, A , A4) sono le componenti di un vettore se si trasformano, per una trasformazione di coordinate da x~ a x'~ = fl'(x, t) secondo la regola:

d ,~

A~ :::} A' ~ = ~ A" (A. 7) dx"

Ora quando si scrive una qualsiasi equazione che esprime una legge fisica, questa deve essere una relazione tra vettori o, più in generale, tra ten­sori (i vettori non sono altro che tensori del prim'ordine). Occorre cioè che valga la legge di trasformazione

A~ = dx~ A'" dx'"

(A.8)

si noti che abbiamo usato l'inversa della legge di trasformazione (A.7). Tuttavia in coordinate curve abbiamo per il differenziale di un vettore:

dA~ = dx~ dA'" +A'" d( dX") = dx'u dx'u

(A.9) ax~ d2X~ = __ dA,u+A'u dx'" dx' U dx'o dx' U

e si vede benissimo che questa non è della stessa forma della (A.7) che è la legge di trasformazione per un vettore. Infatti vi è in più il termine con d2Xi!ldx,udx'u e solo se (d2xi!ldx,adx'u) = O, cioè solo se consideriamo trasformazioni xi! = f~(x') che siano funzioni lineari di xi! (cioè nel caso ad esempio delle trasformazioni di Lorentz nello spa­zio piatto) tale derivata seconda è uguale a zero.

Occorre quindi ridefinire l'operatore differen­ziale in coordinate curvilinee.

Il punto è che per calcolare il differenziale oc­corre fare la differenza tra due vettori in uno stes­so punto dello spazio-tempo. In altre parole è ne­cessario trasformare uno dei due vettori dalla sua posizione a quella (infinitamente vicina) dell' altro vettore. Questo trasporto va fatto in modo tale che in coordinate cartesiane la differenza coincida con l'usuale differenziale dA~ e poiché dAi! è la diffe­renza tra le componenti di due vettori infinitamen-

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te vicini, segue che durante lo spostamento del vet­tore dal punto .xl' a quello infinitamente vicino xI' + d.t' le componenti AI' del vettore restino immutate (in coordinate cartesiane): si deve trattare quindi di trasporto parallelo, cioè il vettore va trasportato parallelamente a sé stesso.

Ora in coordinate curvilinee le componenti di un vettore trasportato parallelamente a sé stesso subiscono in generale un cambiamento. Perciò se AI' sono le componenti di un vettore in xI' e All + dA ll le componenti in .xl' + d.t', il trasporto paral­lelo di All da Xll a .xl' + dx~ produce una variazio­ne 8AIl delle sue componenti. Segue che, dopo lo spostamento (parallelo), la differenza tra i due vettori (quello trasportato e quello in x~ + dx~) è data da

DAIl = dA~ - MIl (A. IO)

Fig. A.2 - In coordinate cartesiane oAI' = O

Si noti che sia dA~ che 8AIl non sono vettori, ma la loro differenza (cioè dA~ - 8AIl) è un vettore. Ora la connessione affine entra proprio nella definizio­ne di MIl. Il8A~ dipende dallo spostamento infini­tesimo dxll e dalle componenti di A~ e può quindi scriversi come

(A.l1)

dove P;'p è appunto quello ch~ si chiama coeffi­cente della connessione affine. E questo r che Ein­stein prende, per ragioni di semplicità, simmetrico negli indici a e ~ cio:

(A. 12)

e che viene spesso indicato brevemente con la no­tazione

(A.13)

che si chiama anche "simbolo di Christoffel". Si noti che, a differenza di ciò che accade nello

spazio piatto, durante il trasporto parallelo di un vettore lungo un percorso chiuso il vettore finale è orientato diversamente dal vettore iniziale.

Per visualizzare tale situazione e capire come ciò possa accadere si pensi alla superficie curva della Terra e si prenda come percorso chiuso ABC (fig. A.3) quello rappresentato ad esempio da due archi di meridiani AB e AC (A essendo per es. il polo Nord) congiunti da un arco BC di equatore (vedi anche la Fig. 13 del testo).

Fig. A.3

Si noti che tutti e tre questi archi AB, BC, CA rappresentano delle geodetiche. Le geodetiche non sono altro che le linee di minor percorso che con­giungono due punti: esse nello spazio piatto sono rappresentate da linee rette, mentre su una superfi­cie sferica (quale quella della Terra) gli archi di geodetiche sono quelli che appartengono a cerchi massimi (cioè quei cerchi che hanno come centro il centro della sfera). Ora si ha che, se si esegue il trasporto parallelo lungo un percorso chiuso rap­presentato da archi di geodetiche, l'angolo che il vettore trasportato forma con la tangente alla geo­detica resta sempre lo stesso durante il trasporto, per cui la situazione è quella rappresentata dalla (fig. A.4) dove si vede chiaramente che quando il vettore parte da A e ritorna, dopo il percorso chiu­so ABCA, nella posizione A, la sua direzione è cambiata (fig. A.4).

Si comprende allora come l'effetto della curva­tura dello spazio-tempo sia quello di cambiare di­rezione a un vettore che partendo da un punto tor-

, ,,' , , .,

Fig. A.4

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na allo stesso punto dopo un percorso chiuso. CosÌ è spiegata la situazione di fig. la del testo dove il vettore finale risulta ruotato rispetto a quello ini­ziale.

L'effetto della torsione è invece quello di trasla­re un vettore che ritorna al suo punto di partenza dopo un percorso chiuso.

Consideriamo ora in U4 una varietà differenzia­bile in 4 dimensioni in cui sia definita una metrica g~u(x) che dà la distanza ds tra due punti infinita­mente vicini r e x~ + ~

(A.14)

ed in cui sia definita anche una connessione affine Pa~ che dà la variazione infinitesima di un vettore B~ durante il trasporto parallelo da x~ a x~ + dx~:

(A.15)

Ora se B~ sono le componenti del vettore in x~ e B~ + dB~ le componenti in r + dx~ si ha:

(A.l6)

ed è facile vedere che la parte antisimmetrica del­la connessione affine, cioè J1[a~l è un tensore.

Vediamo brevemente da vicino quanto abbiamo detto sopra: cioè che se si costruiscono parallelo­grammi infinitesimi nello spazio tangente in un punto P, essi in generale non si chiudono (v. fig. A. 6); la mancanza di chiusura è proporzionale alla torsione. Se dunque consideriamo un circuito chiuso infinitesimo (P, Ah Az, A3) in U4, esso in generale diventa un contorno aperto (P, Bi> B2, B3)

nello spazio piatto E tangente in P (fig. A.5).

P;P .~. -.....,;,..-

" .. I " . \

.' ' • • " " • • , .

~,

Fig, A.5

Consideriamo infatti un parallelogramma infi­nitesimo PACB~ello spazio tangente E, e ponia­mo PA= dx' e PB = dx" (fig. A.6). Spostando dx' lungo dx" nella corrispondente varietà U4, si ha

(A.17)

mentre spostando dx" lungo dx' si ha

(A.18)

Perciò

che si può scrivere:

e poiché in presenza di torsione Qa~ -:;:. O, si ha che in generale i punti C' , C" , e C non coincidono co­sicché il parallelogramma non è chiuso. Nello spa­zio Riemanniano le r sono simmetriche (i simboli di Christoffel) e quindi Q = O.

-- - --t ~ , " •

d.''-, t , I

tI.·~ 5 Fig. A.6

Questa proprietà che si ha nello spazio Rieman­niano è dunque chiaramente una conseguenza del­la simmetria della connessione. Ciò non è più va­lido se la connessione è asimmetrica: in quest'ulti­mo caso si hanno due punti distinti e, come abbia­mo visto il parallelogramma non è chiuso; è que­sta la caratteristica geometrica della torsione.

c) Le relazioni di commutazione tra torsione e curvatura

Se consideriamo un circuito chiuso infinitesimo e scriviamo:

(A.20)

(dove dA~Y = dx~ A dxY è l'elemento di area rac­chiusa dal circuito), allora l", che ha le dimensioni di una lunghezza, rappresenta la mancanza di chiusura; come si è già detto la torsione ha un si­gnificato geometrico intrinseco: rappresenta l'in­capacità del circuito a chiudersi così come nel caso dei cristalli. In altre parole è ben noto che nella de­scrizione geometrica delle dislocazioni (o difetti) dei cristalli, la torsione giuoca il ruolo di densità

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dei difetti (nei limiti delle dislocazioni che hanno una distribuzione continua). Poiché la torsione è collegata allo spin, se connettiamo la torsione alla unità fondamentale dello spin h, troviamo che i di­fetti nella topologia dello spazio-tempo avvengo­no in quantità multiple della lunghezza di Planck cosicché potremo scrivere:

(A.21)

(si noti che per n = l la (A.21) definisce una lun­ghezza minima che è la lunghezza di Planck (hG/e3

) = 10-33 cm); e, per la stessa ragione, consi­derando la quarta componente della (A.20), abbia­mo anche una situazione analoga per quanto ri­guarda il tempo e cioè:

(A.22)

che dà una unità minima per il tempo "# O (per n = l). La torsione appare quindi essenziale per avere

una unità minima di tempo "# O. La (A.22) dà infatti la più }?:iccola unità di tempo definibile come (hG/es) /2 = 10 43s (che altro non è che il tempo di Planck). Nel limite h => O (geometria classica del­la relatività generale) o c =>00 (caso Newtoniano), ritroviamo t => O della cosmologia o della fisica classica. Quindi sia h che c devono essere finiti per avere una unità geometrica del tempo (cioè in que­sto contesto h => O e e=>oo sono equivalenti). Il fatto che h sia collegato a un vettore quantizzato di genere tempo, discretizza il tempo.

Ora volendo connettere le posizioni iniziale e fi­nale di una particella, ci si incontra con la indeter­minazione associata alla torsione. Ciò significa che per un elemento sufficientemente piccolo, l'indeterminazione nella distanza tra la posizione iniziale e finale sarebbe

(A.23)

(dove dS è un elemento di area) e ciò provoca flut­tuazioni nella distanza. Quindi ciò che è importan­te non sono i punti dello spazio-tempo, ma le "flut­tuazioni" nella posizione. Poiché la curvatura cau­sa accelerazioni relative tra particelle di prova vi­cine, si avrà indeterminazione nel 'momento' p~ collegato alla curvatura da:

m a~dS = !!.p~ = m R~pld.x(X/ds)d.bf =

= m c R~dS (A.24)

dove rf è il vettore di separazione tra due geodeti­che vicine. Allora come le fluttuazioni nella "posi-

--

zione" sono dovute alla torsione, le fluttuazioni nel "momento" sono dovute alla curvatura e quin­di si possono interpretare gli effetti quantistici (cioé il principio di indeterminazione) come con­seguenza di queste "deformazioni" spazio-tempo­rali (vedi ad es. [6]) cioè:

(A.25)

dove

(A.26)

e

(A.27)

In altre parole l'indeterminazione nelle posizio­ni iniziale e finale è strettamente collegata all'ac­celerazione relativa dovuta alle "deformazioni" dello spazio-tempo.

Si vede che Q (torsione) e R (curvatura) hanno il ruolo di variabili coniugate della geometria (del campo gravitazionale) permettendo cosÌ di scrive­re relazioni di commutazione tra curvatura e tor­sione (analoghe a [x, pl = ih) come

[Q, Rl = i (hGJc3)-312 (A.28)

e questo sembra indicare la giusta via per giunge­re alla quantizzazione della geometria spazio-tem­porale (cioé della gravitazione). Come si già detto nel testo, il successivo passo da fare è quello di esprimere tutto in uno spazio tempo reale e quindi introdurre i multivettori e sostituire l'unità imma­ginaria 'i' con un bivettore.

Bibliografia

[I]. E. CARTAN - Compt. Rend., 174,437,593 (1922).

[2]. E. CARTAN -Ann. Ec. Norm., 40, 325 (1923).

[3]. E. CARTAN - Ann. Ec. Norm., 41, l (1923).

[4]. E. CAR1AN - "Sur le variétés à connexion affine et la théorie de la reJativité généralisée" ed. Gauthier Vil­lars, 1955.

[5]. A. TRAUTMAN - "Theory of Gravitation", preprint IFfI71/25, Warsaw Uni.: read at the Symposium "On the Development of the Physicist,s Conception of Nature, Miramare, Trieste 1972.

[6]. V. DE SABBATA - Il Nuovo Cimento 107 A; 363 (1994); vedi anche B.K. Datta, V. DE SABBATA e L. RONCHET­TI - Il Nuovo Cimento l13B, 711 (1998).