alcuni aspetti della gravità quantistica
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VENZO DE SABBATA Dipartimento di Fisica Università di Bologna e Ferrara CULTURA
Alcuni aspetti della gravità quantistica (Pervenuto il 12.3.99, approvato il 19.4.99)
ABSTRACT The work deals mainly with these three topics: a) Gravity is not a force, but a property of space time (curvature) b) The necessity of introduction of spin in Generai Relativity (torsion) c) The description of Gravity in real space time (geometrie product)
1. Introduzione
Prima di parlare della Gravità quantistica, vogliamo brevemente accennare al perché preoccuparsi di quantizzare la gravità quando sappiamo che la teoria di Newton, o meglio ancora la teoria della Relatività generale di Einstein, rendono conto così bene delle osservazioni non solo per quanto riguarda il comportamento e la dinamica del sistema solare (secondo Newton) ma anche riguardo altri fenomeni astrofisici quali lo studio delle galassie, i buchi neri, le stelle di neutroni, la stessa cosmologia (secondo Einstein) per non citare che alcuni aspetti dei tanti fenomeni che osserviamo nell'universo.
Il problema è, prima di tutto, quello di risolvere la dicotomia cui ci troviamo di fronte: infatti da una parte abbiamo, a livello microscopico l'interazione forte (cioè quella nucleare per render conto del legame che unisce i nucleoni a formare un nucleo composto e che coinvolge gli adroni ossia i protoni e i neutroni) e l'interazione debole (per render conto della radioattività beta e più in generale dei processi di decadimento e che coinvolge anche gli elettroni e i neutrini) mentre l'interazione gravitazionale è così debole che sembra non avere nessun ruolo a livello microscopico; i nomi "forte" e "debole" sono dovuti al confronto con l'interazione del campo elettromagnetico. Ora d'altra parte abbiamo che tutte le interazioni conosciute, eccetto la gravitazionale, cioè la forte, la debole e anche quella elettromagnetica, sono ben descritte nell'ambito di una teoria quanto-relativistica (relativistica nel senso della relatività ristretta, non della relatività generale che riguarda la gravitazione) nello spaziotempo piatto (il cosiddetto spazio-tempo di Minkowski) mentre, a prima vista, sembra che la gravitazione non abbia alcun effetto per quanto
* L'articolo è il testo di una conferenza tenuta ai soci della sezione A.I.F. di Bologna.
riguarda le particelle elementari. Oggi sappiamo che ciò non è vero e che vi sono importanti nuovi effetti se consideriamo la teoria quantistica nello spazio-tempo curvo anziché nello spaziotempo piatto di Minkowski (ad esempio quando si studia l'interferenza di due fasci di neutroni: in presenza di gravità, senza entrare in particolari, si trovano delle differenze di fase): ma sopratutto quando ci troviamo a svolgere considerazioni nell'universo iniziale ci accorgiamo che il ruolo della gravitazione diventa molto importante ed è necessario teneme conto; infatti quando ci troviamo nell'universo primitivo, iniziale, cioè nell'era di Planck (vedremo tra un momento cosa questo significhi) abbiamo da considerare insieme sia la relatività generale che le particelle elementari: nell'universo iniziale il problema cosmologico è strettamente collegato con la fisica delle particelle elementari.
Ma allora dobbiamo cercare di far coesistere la gravitazione con le altre tre forze della natura cioè la nucleare, la debole e l'elettromagnetica. Abbiamo appena detto che le particelle elementari sono ben descritte nell'ambito di una teoria quantistica e allora dovremo cercare di superare questa incomunicabilità tra teoria quantistica da una parte e relatività generale dall'altra: come si può conciliare la gravitazione con queste altre tre forze di natura? Dovremo tentare di quantizzare l'interazione gravitazionale introducendo cioè una teoria quantistica della gravitazione. È possibile una teoria quantistica della gravitazione? È per questo che ci occuperemo della "Gravità quantistica" .
Per fare questo insisteremo principalmente su tre punti: 1) La gravità non è una forza ma è una proprietà
dello spazio-tempo: la cosiddetta "curvatura"; 2) La necessità dell'introduzione dello spin, nella
teoria della gravità, come sorgente di gravità: la cosiddetta "torsione";
3) La descrizione della gravità in uno spazio-tempo reale: "il prodotto geometrico".
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2. La Curvatura
Affrontiamo subito il primo punto che dice: "la gravità non è una forza (questo è veramente molto importante) ma è una proprietà dello spaziotempo (la curvatura)". Non essendo una forza, non sarà possibile quantizzarla con i metodi standard che si applicano nel caso delle tre forze quali quella forte, quella debole e quella elettromagnetica che, come abbiamo detto, sono ben descritte nell' ambito di una teoria di campo quantorelativistico. Possiamo già dire fin d'ora che quello che ci troviamo a dover quantizzare non sarà un "campo" (come ad esempio facciamo nel caso del "campo" elettromagnetico) perché non esiste il "campo" gravitazionale; nel caso della gravità il "campo" è sostituito dalla "curvatura", ma la "curvatura" è un oggetto geometrico e sarà quindi la geometria dello spazio-tempo che dovremo in qualche modo quantizzare. Dovremo dunque cercare di introdurre qualcosa di analogo al principio di indeterminazione di Heisenberg (che, come si sa, conduce alla quantizzazione dei campi) che però, nel caso della gravità, dovrà coinvolgere alcuni oggetti geometrici.
Vediamo allora come si arriva al concetto di curvatura e quindi alla teoria della relatività generale di Einstein, quando si consideri la gravità.
Per questo faremo prima di tutto un brevissimo richiamo alla relatività ristretta. Ricordiamo solamente che la relatività ristretta riguarda l'invarianza di tutte le leggi fisiche nei vari sistemi inerziali: ciò era già noto a Galileo, ma solamente per quello che riguardava le leggi della meccanica; si ricordi l'esperienza indicata da Galileo sulla barca: se ci troviamo in una barca che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto a un osservatore che si trova fermo sulla riva, un qualsiasi esperimento meccanico eseguito sulla barca in movimento è uguale, cioè dà lo stesso risultato all'esperimento fatto dall' osservatore sulla riva; in altre parole si può dire che con esperimenti meccanici non si riesce a mettere in evidenza il moto della barca rispetto all' osservatore sulla riva. Tutti i sistemi di riferimento inerziali sono equivalenti per quanto riguarda le esperienze della meccanica: le leggi della meccanica sono le stesse; se in un sistema inerziale abbiamo la legge F = /1Ul, in un sistema in moto rettilineo uniforme rispetto al precedente sistema troveremo che la forza F' e l'accelerazione a' misurate nel nuovo sistema obbediscono alla stessa legge cioè F' = /1Ul' dove in genere F' ;t= F e a' ;t=a ma il legame tra la forza e l'accelerazione è lo stesso cioè la legge è la stessa. In altre parole si dice che le leggi della meccanica sono invarianti quando si passa da un sistema inerziale a un altro sistema inerziale (cioè un sistema in moto rettilineo uniforme rispetto al precedente). Questo concetto di invarianza è fondamentale: dal punto
di vista matematico, per dimostrare l'invarianza occorre scrivere la trasformazione che fa passare da un sistema inerziale a un altro. Questa trasformazione è nota come trasformazione di Galileo. Einstein comprese l'importanza di questa invarianza (le leggi della fisica non potevano dipendere dal particolare sistema di riferimento scelto) e la estese a tutte le leggi della fisica: non sole le leggi della meccanica ma anche quelle dell'elettromagnetismo e altre che si sarebbero trovate dovevano essere invarianti rispetto alle trasformazioni che permettevano di passare da un sistema inerziale a un altro. Trovò che per raggiungere questo scopo occorreva modificare le trasformazioni di Galileo e introdusse le cosiddette trasformazioni di Lorentz. Arrivò a questo attraverso una critica al concetto di tempo introducendo anche il concetto di velocità della luce come velocità limite. Non mi dilungo su queste questioni che sono ben note e che vanno sotto il nome di "relatività ristretta" (si può osservare che proprio introducendo l'invarianza rispetto a queste nuove trasformazioni di LL>rentz, Einstein arriva a scrivere la famosa formula E = mc2 che collega l'energia alla massa) e che ho brevemente richiamato per far vedere come Einstein sia arrivato alla cosiddetta "relatività generale". Infatti Einstein, appena formulata la relatiùtà ristretta, e aver insistito sulla necessita che tutte le leggi della fisica dovessero essere invarianti rispetto a tutti sistemi inerziali, non era affatto soddisfatto della situazione e non comprendeva perche I sistemi inerziali fossero dei sistemi così pri\ikgiati rispetto ai quali le leggi della fisica muiusse:-o invarianti: le leggi della fisica non oo\e\:ll1'-' .:j
pendere dai sistemi di riferimento e do\e'>',<r)c- ~ sere invarianti anche rispetto ai sistcrIll JC.:e~~.:C Era questa l'idea che lo per::-.eguiU\4 e ~,1 risolvere questa incong:ruenza. Si tni[L1"\ .... .!lmemc inizialmente. di trovare una Ie\..'1fÌa che gener.Jizzasse la relatiùtà ristretta.. nel senso cì.:Jè di poter scrivere le le!!ci che fossero ,alide anche nei sistemi accelerati~; che per questo prese il nome di "relatività !!enerale" ma che in realtà lo condusse a una vera e propria nuova teoria della gra\Ìtà: una teoria "geometrica- della gravità! li punto di partenza della relati\ità generale, quello che Einstein si proponeva. è dunque quello di scrivere le leggi della fisica in maniera invariante non solo rispetto ai sistemi inerziali ma anche rispetto a quelli accelerati o, come vedremo, in presenza di gravitazione; vedremo come Einstein arriva a questo e come in realtà la relatività generale sia una vera e propria teoria geometrica della gravità.
Il punto di partenza è una scoperta che fece Galileo e cioè "tutti i corpi cadono cadono con la stessa accelerazione!" Questo fatto fece riflettere Einstein e proprio attraverso questa realtà sperimentale Einstein arrivò al concetto di curvatura; vediamocome.
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Consideriamo due masse m(l) e m(2) che cadono nel campo gravitazionale della terra, Per la legge della dinamica potremo scrivere rispettivamente per i due corpi:
F t = miO)a(l)
F2 = ml2) a(2)
ed anche, per la legge della gravitazione:
F t = G M mg(l)/r
F2 = G M mg(2)/r
(1)
(2)
(3)
(4)
dove gli indici 'i' e 'g' indicano rispettivamente le masse inerziali e gravitazionali mentre M è la massa della terra e G la costante di Newton
(5)
Si può quindi scrivere
miO}a(1) = G M mg(l)/r (6)
mi(2)a(2) = G M mg(2)/r (7)
e prendendo i rapporti delle equazioni (6) e (7) si ha
m1(1)a(l) = m,(1)
m,(2)a(2) m,(2) (8)
e poiché sperimentalmente si trova che a(l) = a(2) (tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione) si ha subito:
m.(I) m.(2) -'-=-'-m,(1) m,(2)
(9)
cioè il rapporto tra massa inerziale e massa gravitazionale è costante e quindi la massa inerziale è proporzionale alla massa gravitazionale.
Esperimenti di alta precisione confermano questa proporzionalità. Uno dei primi esperimenti è stato fatto da Newton con l'uso di due pendoli della stessa lunghezza ma di diversa composizione (i loro periodi sono proporzionali a (m/mg)1I2) ed egli non trovò nessuna differenza nei loro periodi entro una precisione di una parte su 10-3
• Vi sono poi gli esperimenti di Eotvos e i più recenti di Dicke e di Braginski che danno una uguaglianza della massa inerziale e gravitazionale entro una parte su 10-12
• Non ci fermeremo a descrivere questi importanti esperimenti e rimando a una precedente lezione che è apparsa su "La fisica nella scuola", Quaderno 3 anno XXVI (1993) pago 42-76.
Quindi dalla base sperimentale che dice che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione si arriva alla proposizione che dice che la massa inerziale è equivalente alla massa gravitazionale.
Ciò si può esprimere in altro modo: riflettendo sulla equazione F = ma ci si accorge che se l'accelerazione di gravità "a" è la stessa per tutti i corpi, significa che, nel caso di forze gravitazionali, a massa più grande corrisponde forza più grande cioè le forze gravitazionali sono proporzionali alle masse.
Qui Einstein fece una osservazione veramente importante: questo concetto di 'forze proporzionali alle masse' si ritrova nelle forze che si manifestano nei sistemi non inerziali come ad esempio in una piattaforma rotante. Sappiamo infatti che là legge di F = ma è valida solo in sistemi inerziali ma non è valida in sistemi non inerziali dove bisogna introdurre le cosiddette forze fittizie (o forze inerziali). In altre parole nei sistemi non inerziali non è valida la F = ma (per questo Newton aveva bisogno dello spazio assoluto {quello dei sistemi inerziali} cioè dello spazio rispetto al quale valeva la sua legge); occorre allora introdurre altre forze come, ad esempio in un sistema ruotante, le forze centrifughe. Queste forze centrifughe bisogna crearle 'ad hoc', e si trova che tali forze centrifughe (che sono inerziali o forze fittizie che appaiono appunto in sistemi non inerziali) sono forze proporzionali alle masse.
Quindi non solo le forze gravitazionali ma anche le cosiddette forze fittizie sono proporzionali alle masse. Attraverso questa osservazione Einstein fa toccar con mano l'equivalenza tra forze gravitazionali e forze inerziali che può esprimersi anche come equivalenza tra sistemi non inerziali e campi gravitazionali.
Siamo arrivati a questa equivalenza partendo dal dato fondamentale che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione.
Il percorso seguito è stato il seguente: a) tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione; b) la massa inerziale è proporzionale alla massa
gravitazionale: mi cc mg; c) le forze gravitazionali sono proporzionali alle
masse; d) anche le forze inerziali (fittizie) sono propor
zionali alle masse; e) equivalenza tra forze inerziali e forze gravita
zionali; f) equivalenza tra sistemi non-inerziali e campi
gravitazionali. Questo insieme di proposizioni va sotto il nome
di "principio di equivalenza". Questo si può anche vedere con il famoso esem
pio dell'ascensore descritto da Einstein. Possiamo descriverlo in questo modo (vedi fig.
1): si considera un osservatore con alcuni corpi di prova chiuso dentro una scatola sufficientemente lontana da ogni sorgente gravitazionale e che viaggia di moto rettilineo uniforme.
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Equivalenza tra forze inerziali e gravitazionali
Per l'osservatore esterno la scatola è accelerata verso l'alto e il pavimento raggiunge simultaneamente le due sferette; a) e b) sono le due situazioni raffigurate in due successivi istanti di tempo. L'osservatore interno vedrà le due sferette (che hanno masse diverse) raggiungere contemporaneamente il pavimento (con la stessa accelerazione) e giudicherà quindi di trovarsi in un campo gravitazionale. Entrambi gli osservatori hanno ragione: le due descrizioni sono equivalenti. Entrambe le descrizioni sono legittime e non vi è quindi nessuna possibilità di distinguere tra forze inerziali e forze di gravità: le forze inerziali sono equivalenti alle forze gravitazionali. I sistemi non inerziali sono equivalenti ai campi gravitazionali.
L'osservatore e i corpi di prova fluttueranno liberamente all'interno della scatola.
Se improvvisamente la scatola viene accelerata (per esempio mediante razzi propulsori), allora 1'osservatore e i corpi di prova "cadranno" verso la parete della scatola opposta alla direzione del1' accelerazione ed ovviamente con una accelerazione che è quella impressa dai razzi e cioè la stessa sia per l'osservatore che per tutti i corpi di prova. La parete verso cui "cadono" apparirà all' osservatore come "il pavimento" della scatola e 1'osservatore sarà incapace di dire se la scatola è accelerata dai razzi o se invece egli si trova in presenza di un campo gravitazionale.
In altre parole le forze gravitazionali e quelle inerziali sono localmente indistinguibili e cioè i sistemi non-inerziali e i campi gravitazionali sono localmente equivalenti. È questo il famoso "principio di equivalenza".
Ciò porta direttamente alla introduzione di una geometria non-euclidea quando ci si trovi in presenza di un campo gravitazionale. Un esempio di ciò viene dato direttamente da Einstein (per un'analisi di questo esempio vedi la lezione precedente già indicata): brevemente Einstein considera un osservatore, in una piattaforma circolare rotante, e cioè in un sistema non-inerziale, che misuri con regoli la circonferenza e il raggio di questo disco rotante; poiché i regoli situati lungo la circon-
ferenza subiscono la contrazione di Lorentz mentre quelli situati lungo il diametro non la subiscono si troverà che il rapporto tra la circonferenza e il diametro sarà maggiore di n, e quindi la geometria sarà non euclidea. Ma noi sappiamo che i sistemi non inerziali sono equivalenti ai campi gravitazionali e quindi potremo dire che in presenza di campo gravitazionale la geometria sarà non euclidea.
Perciò, partendo dall'esperienza di Galileo. (tutti i corpi cadono con la medesima accelerazione cioè massa inerziale = massa gravitazionale' siamo arrivati a dire che in presenza di campo gravitazionale la geometria dello spazio è non-euclidea: lo spazio-tempo è curvo.
Le cose dette in maniera discorsiva possono naturalmente mettersi in forma matematica ed è appunto ciò che ha fatto Einstein, che è riuscito a collegare la presenza di massa con la curvatura dello spazio: cioè sono le masse, è la presenza di materia che curva lo spazio. Per arrivare alle sue equazioni Einstein ha incontrato grandi difficoltà: egli ha incominciato a lavorare su questo legame tra materia e geometria attorno al 1908 ed è arri\'ato alla soluzione del problema nel 1916, passando anche attraverso profonde crisi. È sempre stato in contatto con i matematici dell'epoca, primo fra tutti. Grossmann che gli ha insegnato il calcolo tensoriale e poi con diversi matematici italiani I a quell'epoca la matematica italiana era una delle prime del mondo - poi è venuto il fascismo con tutti i danni che ha provocato) tra cui Enriquez, Gregorio Ricci-Curbastro, e soprattutto Tullio Le\'ÌCivita. Con quest'ultimo ebbe un intenso scambio di lettere.
Possiamo brevemente dire che nello sviluppo della relatività generale si distinguono tre diversi periodi:
I dal 1907 al 1912 Einstein cerca di formulare e sviluppare il principio di equivalenza; discute con Abraham (un allievo di Planck), con Nordstrom e Mie.
II dal 1912 al 1914 lavora strettamente a contatto (a Zurigo) con Marcel Grossman per una formulazione covariante e per trovare la maniera di tradurre i postulati nel linguaggio del calcolo differenziale.
III dal 1915 al 1916 una intensa interazione con Levi-Civita per la formulazione delle equazioni di campo (che furono derivate indipendentemente anche da Hilbert; per Hilbert era solamente una questione matematica ed egli non aveva visto alcuna interpretazione fisica).
Questo detto in maniera molto sintetica. Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, Einstein. dopo la formulazione della relatività ristretta, era tormentato dal problema del perché i sistemi inerziali dovessero essere privilegiati. Quindi già attomo agli anni 1907-1908 lavora nella direzione di
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estendere il principio di relatività del moto uniforme a sistemi in moto non uniforme; cosÌ inizialmente assume che la proporzionalità tra massa inerziale e gravitazionale sia valida per tutti i corpi senza eccezione; poi postula che le leggi della fisica devono mantenere la loro forma anche in sistemi non galileiani. Ciò fu reso possibile dalla introduzione del principio di equivalenza.
Nell'agosto del 1912 Einstein tornò a Zurigo (da Praga), chiamato da Grossmann, e fu in quei giorni che si rese conto che la geometria riemanniana rappresentava lo strumento matematicamente adatto per costruire la teoria della gravità.
Egli chiese aiuto a Grossmann e fu in quella occasione che disse "Grossmann, aiutami se no divento pazzo!" (v. Helv Phys. Acta Supp1.4, 271 (1956)) Ed è cosÌ che inizia la collaborazione tra Einstein e Grossmann. Grossmann gli insegnò e spiegò la geometria di Riemann e gli fece conoscere i lavori di Volterra, Ricci, Guido Castelnuovo, Federigo Enriquez e Levi-Civita. Il lavoro di Einstein e Grossmann fu pubblicato nel 1913 in Zeit Math. Phys. 62, 225 ed è in questo articolo che vengono introdotti i concetti di tensore covariante e controvariante; Einstein scrive la parte fisica mentre quella matematica è opera di Grossmann: i termini dell'accordo tra Einstein e Grossmann erano che Grossmann era senz'altro disposto a collaborare su questo problema alla condizione però di non doversi assumere alcuna responsabilità in merito ad asserzioni o interpretazioni di natura propriamente fisica.
Nell'anno 1915 Einstein passò alcuni mesi di crisi profonda (all'incirca dal luglio al novembre 1915 furono mesi si silenzio): non riusciva a scrivere le sue equazioni in maniera covariante (per maggiore dettagli, vedi il volume di Abraham Pais "Sottile è il Signore", la vita e la scienza di A. Einstein, Boringhieri,1986). Visto col senno di poi, ciò dipendeva dal fatto che Einstein non conosceva ancora l'identità di Bianchi. Naturalmente non starò a dire cosÌ è l'identità di Bianchi perché ciò mi farebbe entrare in un terreno minato, cioè troppo tecnico, cosa che è al di fuori del nostro scopo, che vuole essere solo discorsivo. Dirò che alla fine, anche attraverso lo scambio di lettere con Levi-Civita, Einstein riesce a generalizzare le equazioni di Newton trovando una espressione covariante che rappresenta il legame tra la geometria e la materia (quest'ultima rappresentata dal tensore densità di energia-impulso). Simbolicamente, mentre le equazioni di Newton collegano la forza F con la massa M(F = GmMh.2), quelle di Einstein esprimono il legame tra una espressione geometrica (che sinteticamente indicheremo con R) e l'energia (questo non ci deve meravigliare dato il legame tra ener§ia e massa noto fin dalla relatività ristretta E = mc ), equazione che viene scritta con tensori in maniera covariante. Sinteticamente scriveremo:
R=XT (lO)
dove R è una opportuna espressione geometrica mentre T è una densità di energia. R rappresenta la curvatura dello spazio e X è una costante di proporzionalità che è collegata alla costante gravitazionale G di Newton (X = 81tG/c4
). La (10) è dunque una relazione tra energia e curvatura che permette di trovare la geometria del nostro spaziotempo che corrisponde a una certa distribuzione di materia, quest'ultima rappresentata dal tensore T cioè T è la parte nota mentre le incognite sono contenute in R.
Perché tutta questa fatica quando sappiamo per esempio che il sistema solare obbedisce assai bene alle leggi di Newton? Va allora subito detto che, in primo luogo, per velocità piccole rispetto a quelle della luce e per campi gravitazionali deboli e statici le equazioni (lO) si riducono a quelle di Newton e, in secondo luogo, si hanno, attraverso le (lO) tre nuovi effetti (indicati da Einstein fin dal 1916) quali la spiegazione della parte anomala dello spostamento del perielio di Mercurio, l'incurvamento dei raggi di luce nel passaggio vicino a una massa e lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali in presenza di un campo gravitazionale. Tutti effetti ben verificati sperimentalmente.
Noi non ci occuperemo di queste conseguenze e verifiche, ma ci fermeremo un momento a indicare una delle proprietà fondamentali della curvatura dello spazio. Vediamo prima di tutto come la curvatura possa sostituire la gravità.
Per dare un esempio come la curvatura possa sostituire la forza di gravità (concetto che oggi possiamo considerare antidiluviano), si potrebbe considerare un boomerang attraverso la terra.
L'esempio è fatto da Wheeler nel libro intitolato "Gravità e Spazio-tempo" ed. Zanichelli (1993). Ne farò solo un cenno perché ci vorrebbe troppo tempo per spiegarlo adeguatamente: vi consiglio però di leggerlo con attenzione, perché la semplicità dell'esperimento sta nel fatto che si tratta di uno spazio-tempo a due dimensioni. Wheeler considera dapprima una navetta (pilotata da Rob) che attraversa la terra lungo un tunnel che passa per il centro della terra e che congiunge due punti agli antipodi. A viaggio iniziato, Rob e la navetta saranno in caduta libera e andranno su e giù da un antipodo all'altro. Però questo viaggio non ci fornirà alcuna prova della curvatura dello spazio-tempo: per questo occorre un'altra navetta e quindi viene costruito un tunnel doppio. Le due navette sono abbastanza leggere da non influenzarsi reciprocamente ed hanno una massa trascurabile rispetto a quella della terra per cui possono essere considerate masse di prova. La seconda navetta viene pilotata da Alix. Alix parte due secondi dopo Rob e quindi passa per gli stessi punti di Rob con un ritardo di 2 secondi. Al momento del-
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la partenza, Alix si trova a una distanza di 20 metri da Rob (questo calcolo è semplicissimo: basta usare la formuletta h == (l12)gf con g == 9,81 mç2
accelerazione di gravità). Poi la distanza di Alix da Rob andrà via via aumentando ma, appena passato il centro della terra, la distanza comincerà a diminuire e Alix incontrerà Rob (che ha già cominciato il viaggio di ritorno) a 5 m al di sotto dell'antipodo. Qui viene il punto importante: infatti è proprio riflettendo sulla distanza tra Rob e Alix che possiamo imparare cose interessanti sulla natura dello spazio-tempo, Cos' è che fa sÌ che la distanza tra Rob e Alix che nella prima parte del viaggio andava via via aumentando a un certo punto cominci a diminuire? Se lo spazio fosse piatto, i due veicoli spazi ali si allontanerebbero per sempre. Ora lo studio della distanza tra i due veicoli spaziali ci dice che la geometria dello spazio-tempo non permette a due masse di prova di allontanarsi per sempre.
Questa geometria quindi non può essere piatta perché in tal caso Rob e Alix si allontanerebbero per sempre: deve essere curva; solo così si può capire bene, in termini di geometria dello spaziotempo, il perché due percorsi che all' inizio si separano a un certo punto si incontrano (vedi fig. 2).
Fig. 2 - Se lo spazio fosse piatto, due veicoli spaziali, o due masse di prova qualsiasi, si allontanerebbero per sempre. Questo però non succede per via della curvatura locale dello spazio-tempo nei punti in cui si trovano le masse di prova.
Non sono i percorsi ad essere curvi ma è curvo lo spazio-tempo nel quale le due navette viaggiano in caduta libera.
Il moto delle navette non dà solo una prova che lo spazio-tempo è curvo, ma dà anche una misura diretta della curvatura. Ho detto che avrei dato solo un breve cenno e quindi a questo riguardo vi consiglio di leggere il libro di Wheeler.
Restiamo sempre in due dimensioni, ma invece di considerare le due dimensioni spazio-tempo come si è fatto nel caso del boomerang, consideriamo due dimensioni spaziali. Si hanno allora i seguenti tre casi, (vedi fig. 3), corrispondenti a curvatura nulla, positiva e negativa.
Fig. 3 - Linee inizialmente «parallele» mantengono una distanza costante su una superficie piatta, priva di curvatura. convergono su una superficie a curvatura positiva e divergono su una superficie a curvatura negativa.
Come si vede la curvatura positiva è ben rappresentata dalla superficie di un pallone mentre quella negativa è ben rappresentata dalla superficie di una sella.
È ben noto che la scoperta e l'introduzione della geometria non euclidea è stata opera di Gauss, Lobachewsky e Bòlyai; essa avvenne indipendentemente e quasi nello stesso tempo: tutti e tre compresero che si poteva costruire una geometria bidimensionale lasciando intatti i primi quattro postulati di Euclide ma non il quinto, quello delle parallele; quest'ultimo si può enunciare in diversi modi e afferma che dato un punto e una retta al di fuori di esso, esiste una ed una sola retta passante per quel punto e parallela alla retta data. I cinque postulati possono essere così scritti: l. Si può tracciare una linea retta tra due punti
qualsiasi. 2. Ogni linea retta limitata può essere estesa in
definitamente. 3. Si può tracciare una circonferenza dato un pun
to qualsiasi come centro e un segmento qualsiasi come raggio.
4. Tutti gli angoli retti sono uguali. Il quinto assioma era però una proposizione di
tipo differente: 5. Se due linee rette si incontrano in un piano con
un'altra retta, e la somma degli angoli interni da uno stesso lato di questa retta è minore di due angoli retti, allora le due rette, se vengono prolungate a sufficienza, si incontrano dalla parte in cui la somma degli angoli è minore di due angoli retti.
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Ora ci sono due modi per negare il quinto postulato; prima di tutto diciamo che quest'ultimo assioma, essendo molto più complicato dei precedenti, sembrava un teorema: infatti molti matematici tentarono di dimostrarlo partendo dagli altri quattro assimni, ma fallirono. Ora Euclide aveva introdotto questo assioma perché era necessario per dedurre altre proprietà tra le quali il teorema che stabilisce che la somma degli angoli di un triangolo è 180 gradi. Nel corso dei secoli i matematici adottarono come assioma una forma più semplice come quella che abbiamo enunciato sopra: cioè "dato un punto e una retta al di fuori di esso, esiste una ed una sola retta passante per quel punto e parallela alla retta data". Ora vi sono due modi diversi per negare questo postulato: 1) tutte le rette passanti per il punto dato incon
trano la retta data (il che equivale a dire che non vi sono rette parallele tra loro), oppure,
2) vi sono due o più rette diverse passanti per quel punto che non incontrano la retta data (cioè la parallela esiste ma non è unica). Il primo porta alla cosiddetta "geometria ellitti
ca" (rappresentata da una superficie sferica) mentre il secondo alla cosiddetta geometria iperbolica (rappresentata da una sella).
Fig. 4
È importante a questo punto introdurre il concetto di geodetica: si tenga presente che, ad esempio, nel caso di una superficie sferica, la retta (che nel piano rappresenta la distanza minima tra due punti) è rappresentata da quella linea che va sotto il nome di 'geodetica'. In altre parole, dati due punti, tra tutte le linee che congiungono questi due punti, la linea lungo la quale la distanza è minima è la geodetica. Nella superficie sferica la linea che ha distannza minima tra due punti è data dall'arco di circonferenza massima (cioè quelle circonferenze che hanno come centro il centro della sfera) che passa per questi due punti. Se sulla superficie sferica disegnamo dei triangoli (i lati, che su una superficie piana sarebbero dei segmenti di linee rette, saranno qui dati da archi di circonferenze massime), si troverebbe che la somma degli angoli di questi triangoli è maggiore di 1800 mentre nel caso di geometria ellittica la somma degli angoli di un triangolo è minore di 1800 (vedi fig. 4).
In particolare possiamo costruire un triangolo sferico in cui due lati siano archi di meridiano e il terzo lato un arco di equatore (i cui poli siano i punti di incontro tra i due meridiani) dove la somma degli angoli è uguale a tre angoli retti (v. fig. 5). Si veda infine una raffigurazione a due dimensioni del caso in cui per un punto al di fuori di una retta passano più di una parallela alla retta data (cioè il caso della geometria iperbolica) (v. fig. 6).
Finora ci siamo riferiti a geometrie bidimensionali, ma le cose dette possono essere estese a geometrie tridimensionali o a più dimensioni. La teoria di Einstein si riferisce infatti a uno spazio-tem-
Fig. 5 - Un triangolo sferico formato da tre archi di circonferenza massima può avere la somma degli angoli uguali a tre angoli retti, anche se il triangolo con i lati rettilinei determinato dagli stessi tre vertici ha gli angoli di 60 gradi.
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---Fig. 6 - L'alternativa al quinto assioma che sta alla base delle geometria iperbolica stabilisce che per un punto fuori di una retta passano molte rette che non incontrano la retta data.
po quadridimensionale. Fonnalmente non vi sono grandi difficoltà ma per noi non è facile rappresentare visivamente oggetti a quattro dimensioni. Possiamo però dare delle proiezioni tridimensionali di oggetti quadridimensionali. Tanto per fare un esempio consideriamo l'ipercubo.
Fig. 7 - Un cubo visto come un quadrato in un quadrato, in due dimensioni.
Fig. 8 - Un ipercubo visto come un cubo in un cubo, in tre dimensioni.
Possiamo procedere in questo modo: se guardiamo frontalmente un cubo, questo appare come un quadrato dentro un quadrato (vedi fig. 7); si parla anche, in questo caso, di proiezione centrale. Analogamente la veduta frontale di un ipercubo sarà un cubo dentro un cubo (v. fig. 8). Per arrivare a costruire in qualche modo un ipercubo, possiamo partire dal punto: se il punto si muove in linea retta genera un segmento; se il segmento si
muove in un piano perpendicolarmente a se stesso genera una figura con quattro vertici tra cui il quadrato; il quadrato è un oggetto a due dimensioni; se muoviamo il quadrato perpendicolarmente a se stesso otteniamo un oggetto tridimensionale tra cui il cubo; procedendo in questa maniera, se fossimo in grado di muovere il cubo in una quarta dimensione, avremmo un ipercubo; possiamo vedere le cose dette proiettate su un piano (v. fig. 9 e fig. lO). Naturalmente la proiezione dipende da come lo spazio tridimensionale interseca l'ipercubo, così come un piano che interseca un cono può dare origine alle cosidette sezioni coniche e cioè un cerchio un ellisse una parabola una iperbole oppure le diverse figure geometriche nel caso di un piano che interseca un cilindro (v. fig. 11). In fig.12 sono date diverse proiezioni centrali quando percubo ruota nello spazio quadriaimensionale.
D Fig. 9
Fig. 10 - La proiezione di un ipercubo dallo spazio a quattro a quello a tre dimensioni appare come un cubo dentro a un cubo.
Se qualcuno ha piacere di trovare informazioni più dettagliate su queste strutture nello spazio a quattro dimensioni, può trovarle nel volume di Thomas E. Banchoff "Oltre la terza dimensione" Geometria, computer graphics e spazi multidimensionali ed. da Zanichelli (1993).
CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 69
Fig. Il
Fig. 12 - Partendo dalla figura in alto a sinistra si vede si vede una proiezione centrale di un ipercubo in rotazione nello spazio quadridimensionale.
3. La proprietà geometrica fondamentale della curvatura
Prima di affrontare il secondo argomento dato all'inizio cioè quello dello spin, vogliamo fermarci un momento a considerare il cosiddetto "trasporto parallelo". Riferiamoci per questo alla fig. 13. Nel disegno si vede un ornino di minuscole dimensioni in grado di camminare sulla superficie di una sfera.
Fig. 13
Egli parte dal polo Nord e viaggia diretto al Sud fino all'equatore lungo un meridiano. Mentre cammina tiene in mano un giavellotto puntato in avanti verso la direzione del suo moto. All'equatore l' omino gira a sinistra di 90 gradi ma continua a tenere il giavellotto puntato verso Sud cioè nella vecchia direzione. Adesso cammina verso Est sull'equatore per una certa distanza (qualsiasi) senza cambiare direzione al giavellotto. Quindi compie ancora una svolta a sinistra di 90 gradi rimettendosi in cammino verso il punto di partenza cioè verso il polo Nord. Anche in quest'ultimo tratto di cammino il giavellotto continua ad essere puntato verso Sud. Durante tutto il cammino, il giavellotto non ha mai deviato di nessun angolo rispetto alla direzione iniziale: si parla di trasporto parallelo (per visualizzare intuitivamente il trasporto parallelo lungo una data curva, considerando sempre una superficie bidimensionale, se la superficie può essere sviluppata in un piano, si fa questo sviluppo, si trasporta il vettore parallelamente a se stesso e si riporta la superficie nella sua forma inziale; se la superficie non può essere sviluppata, dopo aver scelto il percorso del trasporto parallelo, si definisce un piano tangente in ciascun punto del percorso; la superficie inviluppata da questi piani tangenti può essere ora sviluppata e si segue allora lo stesso procedimento sopra detto). Alla fine il giavellotto (che è il nostro vettore) benché sia rimasto puntato sempre nella medesima direzione (verso Sud), quando ritorna al punto di partenza risulta ruotato rispetto alla direzione che aveva in partenza. Potremo quindi dire che l'effetto della curvatura è quello di ruotare un vettore, (che percorre un cammino chiuso), rispetto alla sua posizione iniziale.
Abbiamo detto che la curvatura è proporzionale alla massa (si veda l'equazione (lO»; per averne una idea geometrica, possiamo riferirci alla definizione di Gauss: egli considera una superficie cur-
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va ed anche tutte le curve, passanti per un punto P, che siano sezioni di essa superficie con un piano passante per la perpendicolare alla superficie nel punto P (si veda la fig. 14); ora, in generale, i raggi di curvatura delle varie sezioni saranno diversi e ce ne sarà uno massimo, Rh e uno minimo, Rz. Nel caso in cui la superficie sia quella di una sfera, si avrà R, = Rz. Ora Gauss chiama curvatura in P della superficie, il numero
(11)
che avrà quindi le dimensioni dell'inverso di una lunghezza al quadrato (cioè L-z). R, e Rz sono detti raggi di curvatura mentre gli inversi
(12)
sono le curvature principali. La curvatura gaussiana è quindi uguale al prodotto delle rispettive curvature principali cioè
(13)
Questo concetto di curvatura gaussiana è importante perché si dimostra che rimane invariante per qualsiasi flessione della superficie (le flessioni sono quelle deformazioni che lasciano invariate le lunghezze e gli a~goli di tutte le curve tracciate sulla superficie). E cioè una proprietà intrinseca della superficie.
Fig. 14 - (nel caso di superficie sferica RI = R2).
RI ed R2 sono i raggi di curvatura (rispettivamente massimoe minimo.
~I = KI ed ~ = K 2 sono le curvature principali.
La curvatura gaussiana k e definita dal prodotto delle curvature principali K = KtK2 = 1/R1R2
4. Lo spin e la torsione
Ci siamo finora occupati del primo punto cioè quello che dice che la gravità non è una forza ma è una proprietà dello spazio tempo: la curvatura. Abbiamo visto che la curvatura è determinata dalla massa e ne è proporzionale. Vogliamo ora occuparci del secondo punto, quello della necessità dell'introduzione dello spin: la torsione.
Si è detto che quando ci poniamo nell'universo iniziale abbiamo a che fare con temperature altissime e troviamo anche le particelle elementari: queste ultime sono ben descritte dalla meccanica quantistica ma parlando di universo avremo a che fare anche con la cosmologia e quindi con la relatività generale.
Ma le particelle elementari hanno non solo una massa ma anche uno spin (che è un momento angolare intrinseco: potremo modellisticamente rappresentarlo come una trottola) e quindi dovremo tener conto anche dello spin quando formuliamo un", teoria della gravità. Qual è l'effetto dello spin; Come introdurlo in relatività generale? Possiamo intanto osservare e dire che, come la massa è responsabile di quell'effetto geometrico sullo spazJO tempo che abbiamo visto essere la curvatura. co,ì lo spin dovrà essere responsabile di un altro effeuo geometrico: questo nuovo effetto è quello che \"a sotto il nome di torsione. Vediamo di cosa si tratta
Il primo a considerare la torsione fu il matematico francese Elie Cartan (uno dei più grandi matematici di tutti i tempi) nel 1922.
Egli collegò la torsione al momento angolare intrinseco, cioè allo spin, quando ancora nessuno sapeva niente sullo spino Lo spin fu infatti scopeno intorno al 1925 da Uhlenbeck e Goudsmit.
Dal punto di vista formale, cioè matematico. l'introduzione del concetto di torsione nella teoria della relatività generale porta solo ad una lievissima modifica delle equazioni di Einstein mentre le conseguenze fisiche sono molto importanti.
Inoltre finché ci interessiamo a movimenti in campi gravitazionali deboli (potremmo meglio dire: finché ci limitiamo a piccole curvature), per esempio quando ci occupiamo del sistema solare. gli effetti della torsione sono del tutto trascurabili. Gli effetti della torsione diventano invece molto importanti nell'universo iniziale, quando si ha a che fare con densità altissime, ad esempio nelle stelle superdense (densità dell'ordine di quelle nucleari) o in vicinanza dei buchi neri. Noi non parleremo qui di queste conseguenze, ma ci limiteremo a far vedere qual' è l'effetto geometrico. Diciamo subito che l'effetto consiste in una traslazione di un vettore che percorre un cammino chiuso. Inoltre vedremo che la torsione risulta estremamente importante quando si voglia tentare di quantizzare la gravità, problema che è il soggetto di questa lezione divulgativa.
CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 71
Prima di arrivare a questo problema torniamo a vedere qual' è l'effetto geometrico della torsione. Brevemente diremo che, come la massa è collegata alla curvatura (la massa genera la curvatura), così lo spin è collegato a un'altra proprietà geometrica dello spazio-tempo che va sotto il nome di torsione (lo spin genera la torsione). Ciò è in linea con l'idea fondamentale di Einstein di avere una teoria geometrica della gravità.
Come abbiamo accennato, l'effetto della torsione è quello di una traslazione di un vettore che percorre un circuito chiuso, In altre parole, un vettore che percorre un circuito chiuso (circuito che può essere rappresentato da tre archi di geodetica come abbiamo fatto (v. fig. 13) nel caso della curvatura), si trova traslato (ha cioè subito una traslazione) quando ritorna al punto di partenza (v. fig. 15 a, b, c).
Mentre nel caso della curvatura un vettore che percorre un circuito chiuso si trova motato (fig. 13 e 15a), nel caso in cui sia presente la torsione il vettore che percorre un circuito chiuso si trova traslato (il circuito risulta cioè aperto nel piano tangente, [vedi Appendice]). Se infine sono presenti sia la curvatura che la torsione, il vettore sarà motato e traslato.
Fig. 15 a - La curvatura (il vettore viene ruotato).
Fig. 15 b - La torsione (il vettore viene traslato).
Fig. 15 c - Curvatura e torsione (il vettore viene ruotato e tras lato),
Non darò qui l'espressione matematica della torsione: dirò solo che in genere viene indicata con Q. Allora, come la curvatura è collegata alla massa tramite l'equazione di Einstein (lO) che abbiamo scritta
(lO)
così la torsione Q è collegata alla densità di spin S da una equazione analoga che scriveremo simbolicamente:
Q=X S (l 1)
dove però non è detto che la costante di proporzionalità X sia la stessa che appare nell'equazione (lO).
Ora il fatto importante, che forse potete intuire, è che l'introduzione della torsione nella geometria dello spazio-tempo indica una via per la quantizzazione: infatti si è detto che la torsione è collegata allo spin, ma lo spin è quantizzato (è ben noto che gli spin delle particelle sono multipli di hl2 dove h è la costante di Planck), e quindi si può pensare che anche la torsione risulti in qualche modo quantizzata. Naturalmente anche in questo caso non vi posso dare una derivazione di come questo possa farsi; tuttavia in Appendice potete trovare qualche breve dettaglio del procedimento usato.
Poiché, come si è detto, la proprietà della torsione è quella di lasciare un'apertura nei circuiti, avremo che queste aperture (che sono delle lunghezze, delle distanze) risultano quantizzate,
Come si può intuire, si tratta quindi di una quantizzazione della geometria dello spazio-tempo, in particolare delle distanze e dei tempi: si possono infatti introdurre sia una minima distanza sia un tempo minimo al di sotto dei quali non si può andare (in Appendice vengono date le espressioni di una distanza minima e di un tempo minimo). Sembra quindi aperta la strada per una quantizzazione dello spazio-tempo, che era proprio quello che ci si era proposti di fare, dato che, come si era detto all'inizio, la quantizzazione della gravità non può essere fatta seguendo le vie normali della quantizzazione delle altre forze di natura perché la gravità non è una forza ma è la curvatura dello spazio-tempo e quello che va quantizzato è proprio la geometria dello spaziotempo. Naturalmente non basta introdurre una lunghezza minima e un tempo minimo per dire di aver quantizzato lo spazio-tempo; occorrerà trovare delle relazioni di indeterminazione tra due quantità geometriche tra loro indipendenti. Ciò non è possibile fare nell'ambito della relatività generale ma sembra possibile quando si introduca anche la torsione. Abbiamo allora due quantità geometriche, la curvatura R e la torsione Q tra le quali è possibile stabilire delle relazioni di indeterminazione.
72 La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 CULTURA
Analogamente alle relazioni di indeterminazioni di Heisenberg tra la posizione x e la quantità di moto p cioè
(12)
si può avere (v. Appendice) tra la curvatura R e la torsione Q
dove Lpl è la lunghezza di Planck
Lpl = (liGlc3)l/2
(13)
(14)
e quindi la lunghezza di Planck viene introdotta come "quanto di lunghezza".
Come si vede la lunghezza di Planck entra attraverso la minima unità di spin (o quanto di azione) li (G e c sono rispettivamente la costante gravitazionale di Newton e la velocità della luce).
Le relazioni di indeterminazione (13) che abbiamo scritto tra la curvatura e la torsione possono essere viste anche sotto un altro aspetto: possiamo infatti osservare che la non chiusura dei circuiti che si ha nel caso della torsione si comporta come i "difetti" (o "dislocazioni") che si hanno nel caso dei cristalli: si parla allora di difetti dello spaziotempo; analogamente nel caso della curvatura abbiamo, per così dire, dei difetti angolari (che si comportano come le "disclinazioni" nei cristalli) dovuti alla apertura di angoli (si veda la fig. 16).
Fig. 16 - Proiettata su un piano tangente, la superficie curva mostra, per cosÌ dire, dei difetti angolari.
Simbolicamente possiamo scrivere
R dS ::::} ~8 (15)
(16)
dove dS è l'area racchiusa dal circuito. Torsione e curvatura danno dunque luogo rispettivamente a difetti lineari (non chiusura dei circuiti) e difetti angolari (apertura degli angoli) e si comportano
quindi come variabili canoniche della meccanica quantistica per le quali vale il principio di indeterminazione.
5. Il prodotto geometrico
Abbiamo visto che l'introduzione della torsione (che dal punto di vista fisico corrisponde allo spin) insieme alla curvatura (che dal punto fisico corrisponde alla massa) sembra indicare una via maestra per quantizzare la gravità o, meglio, (se non vogliamo usare un termine antidiluviano) per quantizzare lo spazio-tempo.
Ma resta ancora una difficoltà, e siamo così giunti al terzo punto che abbiamo indicato all'inizio: quello della descrizione della quantizzazione in uno spazio-tempo reale.
Ci troviamo infatti di fronte ad una contraddizione: come si è detto all'inizio, quando si considera l'universo iniziale, cioè vicino alle origini, si ha a che fare sia con la fisica delle particelle elementari ben descritta con la teoria quantistica, sia con la cosmologia ben descritta dalla relatività generale. Ma la relatività generale è sviluppata in uno spazio-tempo reale mentre una teoria quantistica necessita di uno spazio-tempo complesso. Quando per descrivere l'universo iniziale teniamo conto non solo della massa ma anche dello spin, non possiamo descrivere la massa (la curvatura) in uno spazio-tempo reale e lo spin (la torsione) in uno spazio-tempo complesso. Come superare questa difficoltà? Come conciliare la relatività generale con la teoria quantistica?
Noi vorremo descrivere queste due proprietà fondamentali, originarie, quali la massa e lo spin, in un'unica varietà cioè nello spazio-tempo reale.
Questo è possibile fare con l'algebra di Hestenes (vedi per es. il libro di Hestenes "Space-time algebra", Gordon and Breach, New York, 1966) che è uno sviluppo dell'algebra di Clifford.
Naturalmente non andremo a vedere come si sviluppa l'algebra di Clifford ma diremo una cosa importante: la base di questa nuova algebra è il "prodotto geometrico" e il concetto di "multivettore. Esso si esprime così:
ab=a'b+a/\b (17)
dove a e b sono due vettori. Nella (17) a . b è il solito prodotto scalare men
tre a a /\ b è il cosidetto prodotto esterno che è diverso dall'usuale prodotto vettoriale, nel senso che questo prodotto esterno ha sempre la stessa grandezza del prodotto vettori aie cioè lal Ibl sin8 ed anche ne divide la proprietà di antisimmetria, cioè a /\ b = - b /\ a, ma non è né una quantità scalare né una quantità vettoriale; è quello che si chiama un bivettore o un' area orientata nel piano che contiene a e b. Si può visualizzare il prodotto esterno
CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 73
come l'area che si ottiene spostando a lungo h, e con l' orientazione data percorrendo il parallelogramma così ottenuto, prima lungo a e poi lungo h (vedi fig. 17).
~~ r u b
1/ '\ ().. "' o...
Fig. 17
Quindi non si rappresenta il prodotto a /\ h con un nuovo vettore c (come in genere si è abituati a fare) ma si rimane in due dimensioni cioé nel piano: si tratta di un'area orientata. Le cose dette si possono generalizzare al prodotto di oggetti di più alta dimensione (o grado) nel senso che se il bivettore a /\ b, che ha grado 2 è spostato lungo un altro vettore c di grado l, si ottiene un volume orientato a /\ h/\ c che è un trivettore di grado 3. Si parla di algebra multivettoriale.
A prima vista può sembrare assurdo considerare espressioni che contengono oggetti geometrici di diverso grado come multivettori; noi infatti siamo abituati a non mescolare additivamente vettori di diverso grado come ad es. uno scalare con un bivettore; ma si può semplicemente osservare che il risultato di addizionare uno scalare con un bivettore, come nell'espressione (17), è esattamente la stessa cosa che facciamo quando sommiamo numeri reali con numeri immaginari, espressione che conduce ai numeri complessi, cioè a oggetti che contengono sia una parte reale che una parte immaginaria. La stessa cosa facciamo quando for~ miamo i multivettori, cioè l'aggiungere una parte immaginaria a una parte reale porta a un numero complesso così come l'aggiungere uno scalare a un bivettore (o anche più elementi come trivettori etc.) porta a un multivettore: semplicemente mettiamo insieme le diverse componenti nel simbolo z = x + iy per i numeri complessi, come nel simbolo ah = a . h + a /\ h per il prodotto geometrico.
Così si è condotti alla nozione di "multivettore". Quello che a noi interessa è estendere le cose allo spazio quadridimensionale .
Naturalmente non ci addentreremo in questo formalismo ma ci preme dire che procedendo in questa algebra geometrica multivettoriale, si può eliminare o, meglio, interpretare in maniera fisica, la quantità immaginaria che è presente in molte espressioni della fisica, sia nell' elettromagnetismo che nelle equazioni della meccanica quantistica. Per esempio nella teoria di Dirac, che è alla base della meccanica quantistica, la quantità immagina-
ria è rappresentata da un bivettore. Ovviamente non si tratta solo di una trascrizione, di un modo diverso di scrivere la stessa cosa: si trovano infatti nuove cose e chiariti alcuni fatti fisici che restavano oscuri. L'unità immaginaria appare sia come unità di un'area orientata, sia come generatore di rotazioni.
Per citare solo una importante conseguenza, dirò che risulta immediatamente spiegato il famoso effetto fisico per cui in particolari condizioni una rotazione di 360 gradi non riporta il sistema sotto considerazione nella sua posizione iniziale: si ha infatti un cambiamento di segno (dal più al meno) e solo una ulteriore rotazione di 360 gradi riporta il sistema nella condizione iniziale. Per riportare il sistema nella condizione iniziale occorre cioè una rotazione di 41t.
Ma a noi interessa l'algebra geometrica perché ci permette di considerare curvatura e torsione, cioè massa e spin, ambedue nello spazio-tempo reale e quindi di tentare una nuova strada per quantizzare la geometria dello spazio-tempo e considerare la curvatura e la torsione come variabili coniugate in uno spazio-tempo reale.
Siamo così giunti alla fine di questa breve e sintetica lezione su alcuni aspetti della gravità quantistica dove curvatura e torsione appaiono come oggetti geometrici fondamentali per una possibile quantizzazione della geometria dello spazio-tempo reale.
Appendice
In questa appendice si troverà qualche dettaglio matematico a) sulla torsione, b) sulla connessione affine, e c) sulle relazioni di commutazione tra curvatura R e torsione Q.
a) La nozione di torsione
La torsione è una necessaria generalizzazione della teoria della relatività generale di Einstein, cioè una generalizzazione della geometria di Riemann dello spazio-tempo. Questa generalizzazione non è che una lieve modificazione della teoria di Einstein: essa è stata proposta negli anni 1922-23 da Cartan [1] - [4]. Secondo Trautman "la teoria di Einstein-Cartan è la più semplice e naturale modifica della teoria della gravitazione di Einstein" [5].
Prima di tutto: perché ci proponiamo di considerare teorie più generali della gravitazione, quando sappiamo che la teoria della relatività generale è la più semplice teoria della gravitazione che sia in accordo con tutti i fatti sperimentali nel dominio della macrofisica, inclusi i più recenti esperimenti di ritardo temporale fatti con segnali radar su Venere e Mercurio ed altri sofisticati esperimenti nell'ambito del sistema solare? I motivi sono prin-
74 La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 CULTURA
cipalmente di carattere teorico (tuttavia le conseguenze sono notevoli e non in contraddizione con i fatti sperimentali noti): infatti, come abbiamo detto nell'introduzione, ci troviamo, a prima vista, in presenza di due mondi assai diversi: da una parte abbiamo, a livello microscopico, l'interazione forte e quella debole mentre l'interazione gravitazionale è la più debole e sembra non giocare alcun ruolo; d'altro canto sappiamo che tutte le interazioni, eccetto quella gravitazionale, sono ben descritte nell'ambito di una teoria di campo quantorelativistica nello spazio-tempo piatto di Minkowsky. CosÌ a prima vista sembra che la gravitazione non abbia effetto quando si operi con la fisica delle particelle elementari.
Oggi sappiamo che questo non è il caso: sopratutto quando ci occupiamo della fisica delle particelle elementari, ci accorgiamo che il ruolo della gravitazione diventa molto importante e addirittura necessario quando abbiamo a che fare con l'universo iniziale. Nell'universo iniziale il problema cosmologico è strettamente collegato con la fisica delle particelle elementari.
Ma allora dobbiamo fare molta attenzione alla seguente questione: quando consideriamo la relatività generale insieme alla fisica delle particelle elementari, quest'ultima descritta da una teoria quantistica dei campi, siamo obbligati a tener conto non solo della massa delle particelle elementari, ma anche dello spino Infatti le particelle elementari sono caratterizzate non solo dalla massa, ma anche dallo spin che si presenta in unità di ti/2.
La massa e lo spin sono due elementari e indipendenti concetti originari (primitivi): nello stesso modo che una distribuzione di massa nello spaziotempo e descritta dal tensore energia-momento, cosÌ una distribuzione di spin dovrà essere descritta in una teoria di campo da un tensore densità di spino Come la massa e connessa alla "curvatura" dello spazio-tempo, cosÌ lo spin sarà connesso con un' altra proprietà geometrica dello spazio-tempo cosicché dovremo modificare conseguentemente la teoria delle relatività generale per poter connettere questa nuova prçprietà geometrica con il tensore densità di spino E proprio in questo modo che siamo condotti alla nozione di "torsione". Nella teoria classica di campo, la massa corrisponde al tensore canonico energia-momento e lo spin al tensore canonico di spino La relazione dinamica tra il tensore energia-momento e la curvatura è espressa nella relatività generale dalle equazioni di Einstein; siamo portati allora a pensare che si dovrà avere una analoga relazione dinamica che includa lo spino Questo è impossibile nell'ambito della relatività generale (in essa infatti non vi e posto per lo spin) e perciò siamo forzati a introdurre una nuova entità geometrica che è quella che chiamiamo "torsione".
Possiamo dire che come la massa è responsabile per la curvatura, cosÌ lo spin è responsabile per la torsione dello spazio-tempo.
Vogliamo perciò vedere da un punto di vista formale in che modo dovremo modificare la teoria della relatività generale e come ciò rappresenti solo una leggera modifica di questa teoria: infatti il punto principale è semplicemente quello di assumere una connessione affine asimmetrica invece di quella simmetrica che Einstein assume nella sua teoria (i simboli di Christoffel).
La torsione è infatti connessa con la parte antisimmetrica della connessione affine come vedremo tra un momento.
Ora ricordiamo che quando si parla di campo gravitazionale significhiamo una struttura geometrica, cioè parliamo della struttura dello spaziotempo. Infatti con Einstein viene abbandonato il concetto di gravità o di campo gravitazionale che viene sostituito dal concetto di geometria dello spazio-tempo. In analogia alla massa, dove il tensore energia-momento è accoppiato alla metrica, ci aspetteremo che il tensore densità di spin sia accoppiato a qualche entità geometrica dello spaziotempo (una quantità che dovrà essere collegata con i gradi di libertà rotazionali nello spazio-tempo).
In questo modo siamo portati a generalizzare lo spazio-tempo di Riemann (che è quello di Einstein). Vedremo brevemente quali sono le nuove proprietà geometriche, appunto quelle che vanno sotto il nome di torsione, poiché per il resto tutto lo sviluppo successivo segue da vicino la struttura della relatività generale. Possiamo a questo punto notare che Cartan propose di collegare il tensore torsione al tensore densità di momento angolare intrinseco [1] - [4] molto prima della introduzione del concetto moderno di spin da parte di Uhlenbeck a Goudsmit.
Va anche detto che con l'introduzione della torsione, con questa piccola modifica della teoria di Einstein ("piccola" dal punto di vista formale ma carica di importanti conseguenze fisiche), le equazioni di campo nello spazio vuoto sono le stesse cosicché la maggior parte delle conseguenze sperimentalmente verificabili nell' ambito del sistema solare non sono distinguibili dalle previsioni della relatività generale. D'altra parte ci troviamo di fronte a molte importanti conseguenze: per esempio quando si applica questa teoria di EinsteinCartan nell'ambito della cosmologia, specialmente nell'universo iniziale; o quando si considerano oggetti superdensi come le stelle a neutroni o i buchi neri, dove ci troviamo di fronte a intensi campi magnetici (la torsione può infatti allineare gli spin dando origine a campi magnetici).
Ma vediamo di introdurre formalmente la torsione, il che fisicamente significa l'introduzione dello spin nella relatività generale come quantità dinamica.
CULTURA La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 75
Come si è già detto la torsione, come parte antisimmetrica di una connessione affine asimmetrica, è stata introdotta da Cartan [l] - [4]. La definizione della torsione Q è quindi la parte antisimmetrica della connessione affine r k cioè:
(naturalmente nel caso di Einstein essendo nj simmetrico negli indici 'ij', è subito nj - r~i = O e quindi Q = O) ed ha carattere tensoriale. Cartan ebbe l'idea di collegarla con il momento angolare intrinseco della materia, ma solo più tardi divenne chiaro che il tensore energia-momento di campi massivi con spin, come ad esempio il campo di Dirac, deve essere asimmetrico. Ora sappiamo che le equazioni di campo di Einstein mostrano come il tensore energia-momento della materia genera la curvatura dello spazio-tempo. Ma è solo questo tensore la sorgente della geometria o esiste qualche altra quantita dinamica che influenza la geometria dello spazio-tempo?
Secondo Cartan [l] - [4] anche lo spin modifica la geometria dello spazio tempo.
Occorre allora trovare una relazione che connetta il tensore di spin con un'altra proprietà geometrica dello spazio-tempo. Questo ovviamente non è possibile nell'ambito della relatività generale cosicché e necessario modificare coerentemente la teoria per poter introdurre la torsione e collegarla con lo spino
In altre parole come la massa è collegata alla curvatura, cosÌ lo spin è collegato a quest' altra proprietà geometrica dello spazio-tempo che si chiama torsione: dal punto di vista geometrico la proprietà fondamentale della torsione è che i circuiti risultano aperti nello spazio tangente mentre, come sappiamo, nel caso della curvatura un vettore che percorre un circuito chiuso cambia direzione quando torna al punto di partenza (fig. A.la); nel caso della torsione esso viene invece traslato (fig. A.l b); naturalmente se si ha curvatura e torsione il vettore risulta ruotato e traslato (fig. A.lc).
~ \
Fig. A.la - Effetto della curvatura (rotazione).
Fig. A.1b - Effetto della torsione (traslazione).
)
Fig. A.lc - Effetto della curvatura e della torsione (rotazione e traslazione).
Questo porta a notevoli conseguenze tisiche. Non ci occuperemo delle conseguenze ma vedremo brevemente come vengono modificate le equazioni di Einstein.
Se E denota la densità lagrangiana in relatività generale, abbiamo per il tensore dinamico energiamomento
(A.2)
(H = (-det g~,,)112 è la radice quadrata del determinante della metrica).
Ora se E dipende non solo dal tensore g~" e dalle sue derivate ma anche dalla nuova entità geometrica Mj , abbiamo la seguente definizione dinamica di densità di spin:
S'l __ 1_ òE k - c:: ÒKK. '\j -g 'J
(A.3)
dove Mj ., che viene chiamato 'tensore di contorsione', è collegato alla torsione definita in (Al) da:
10. = _Qk. _ Qk. + Qk = -10 1J. 1]. .IJ l-J I·J (A.4)
76 La Fisica nella Scuola, XXXII, 2, 1999 CULTURA
cosicché possiamo scrivere per il coefficiente di connessione affine:
(A.5)
(dove {~j} è il simbolo di Christoffel), Lo spazio-tempo di Riemann-Cartan della teo
ria di Einstein-Cartan (quando venga introdotta una connessione affine asimmetrica) si denota in genere con U4 per distinguerlo dallo spazio-tempo di Riemann (con una connessione affine simmetrica) che si denota con V 4• È allora possibile andare da V4 a U4 semplicemente sostituendo ovunque la connessione affine asimmetrica in luogo dei simboli di Christoffel. Quando ~j = O siamo di nuovo nello spazio di Riemann V 4.
Detto questo, si procede poi come nella teoria di Einstein (vedi l'equazione di Einstein già scritta); non entreremo qui nei dettagli e diremo solo che, come in relatività generale, si introduce il tensore di curvatura, il tensore di Ricci, la curvatura scalare e il tensore di Einstein: ovviamente anche quest'ultimo non sarà simmetrico. Si passa poi alle equazioni di campo partendo da una Lagrangiana che includerà anche la torsione [la curvatura scalare che entra nella Lagrangiana sarà infatti non solo funzione del tensore metrico e delle sue derivate ma anche del tensore torsione e delle sue derivate: R(g'dg, Q, dQ)]e col solito metodo variazionale si giunge alle equazioni di campo:
(?U = xt~U TU~U = xS"~u (A.6)
invece dell'unica equazione che si ha nel caso di Einstein che, com'è noto, si scrive G~u = xfu dove G~u è il tensore di Einstein, x una costante che è legata a quella gravitazionale di Newton G dalla x = 81tG/c4 e Ti!U il tensore energia-momento dato dalla (A.2).
La prima delle (A.6) è simile alla equazione di Einstein ma fU contiene anche il tensore densità di spin, mentre la seconda equazione è la nuova relazione che lega la quantità per così dire geometrica
TUi!u (è r~" = -(11 2H )8R I 8K~~ essendo R la
curvatura scalare e KuS' il tensore contorsione defi-nito in (A.4» con il tensore densità di spin S"i!U definito in (A.3).
b) La nozione di connessione affine
Abbiamo visto che l'introduzione della torsione dal punto di vista geometrico rappresenta solo una lieve modifica delle equazioni di Einstein che si esplica nella considerazione di una connessione affine asimmetrica anziché simmetrica.
La connessione affine è una espressione matematica che occorre definire quando si passa da un
punto ad un altro dello spazio-tempo curvo e che si indica con r.
Il punto fondamentale della necessità di introdurre questo oggetto matematico detto "connessione affine" è che quando ci si trova nello spazio curvo, il differenziale dA~ di un vettore Ai! non è un vettore ed anche la derivata parziale dAi! non è un tensore per trasformazioni generali di coordinate. Infatti in coordinate cartesiane sappiamo che, ad esemrio in 4 dimensioni, quattro quantità Ai! == (A l, A2
, A , A4) sono le componenti di un vettore se si trasformano, per una trasformazione di coordinate da x~ a x'~ = fl'(x, t) secondo la regola:
d ,~
A~ :::} A' ~ = ~ A" (A. 7) dx"
Ora quando si scrive una qualsiasi equazione che esprime una legge fisica, questa deve essere una relazione tra vettori o, più in generale, tra tensori (i vettori non sono altro che tensori del prim'ordine). Occorre cioè che valga la legge di trasformazione
A~ = dx~ A'" dx'"
(A.8)
si noti che abbiamo usato l'inversa della legge di trasformazione (A.7). Tuttavia in coordinate curve abbiamo per il differenziale di un vettore:
dA~ = dx~ dA'" +A'" d( dX") = dx'u dx'u
(A.9) ax~ d2X~ = __ dA,u+A'u dx'" dx' U dx'o dx' U
e si vede benissimo che questa non è della stessa forma della (A.7) che è la legge di trasformazione per un vettore. Infatti vi è in più il termine con d2Xi!ldx,udx'u e solo se (d2xi!ldx,adx'u) = O, cioè solo se consideriamo trasformazioni xi! = f~(x') che siano funzioni lineari di xi! (cioè nel caso ad esempio delle trasformazioni di Lorentz nello spazio piatto) tale derivata seconda è uguale a zero.
Occorre quindi ridefinire l'operatore differenziale in coordinate curvilinee.
Il punto è che per calcolare il differenziale occorre fare la differenza tra due vettori in uno stesso punto dello spazio-tempo. In altre parole è necessario trasformare uno dei due vettori dalla sua posizione a quella (infinitamente vicina) dell' altro vettore. Questo trasporto va fatto in modo tale che in coordinate cartesiane la differenza coincida con l'usuale differenziale dA~ e poiché dAi! è la differenza tra le componenti di due vettori infinitamen-
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te vicini, segue che durante lo spostamento del vettore dal punto .xl' a quello infinitamente vicino xI' + d.t' le componenti AI' del vettore restino immutate (in coordinate cartesiane): si deve trattare quindi di trasporto parallelo, cioè il vettore va trasportato parallelamente a sé stesso.
Ora in coordinate curvilinee le componenti di un vettore trasportato parallelamente a sé stesso subiscono in generale un cambiamento. Perciò se AI' sono le componenti di un vettore in xI' e All + dA ll le componenti in .xl' + d.t', il trasporto parallelo di All da Xll a .xl' + dx~ produce una variazione 8AIl delle sue componenti. Segue che, dopo lo spostamento (parallelo), la differenza tra i due vettori (quello trasportato e quello in x~ + dx~) è data da
DAIl = dA~ - MIl (A. IO)
Fig. A.2 - In coordinate cartesiane oAI' = O
Si noti che sia dA~ che 8AIl non sono vettori, ma la loro differenza (cioè dA~ - 8AIl) è un vettore. Ora la connessione affine entra proprio nella definizione di MIl. Il8A~ dipende dallo spostamento infinitesimo dxll e dalle componenti di A~ e può quindi scriversi come
(A.l1)
dove P;'p è appunto quello ch~ si chiama coefficente della connessione affine. E questo r che Einstein prende, per ragioni di semplicità, simmetrico negli indici a e ~ cio:
(A. 12)
e che viene spesso indicato brevemente con la notazione
(A.13)
che si chiama anche "simbolo di Christoffel". Si noti che, a differenza di ciò che accade nello
spazio piatto, durante il trasporto parallelo di un vettore lungo un percorso chiuso il vettore finale è orientato diversamente dal vettore iniziale.
Per visualizzare tale situazione e capire come ciò possa accadere si pensi alla superficie curva della Terra e si prenda come percorso chiuso ABC (fig. A.3) quello rappresentato ad esempio da due archi di meridiani AB e AC (A essendo per es. il polo Nord) congiunti da un arco BC di equatore (vedi anche la Fig. 13 del testo).
Fig. A.3
Si noti che tutti e tre questi archi AB, BC, CA rappresentano delle geodetiche. Le geodetiche non sono altro che le linee di minor percorso che congiungono due punti: esse nello spazio piatto sono rappresentate da linee rette, mentre su una superficie sferica (quale quella della Terra) gli archi di geodetiche sono quelli che appartengono a cerchi massimi (cioè quei cerchi che hanno come centro il centro della sfera). Ora si ha che, se si esegue il trasporto parallelo lungo un percorso chiuso rappresentato da archi di geodetiche, l'angolo che il vettore trasportato forma con la tangente alla geodetica resta sempre lo stesso durante il trasporto, per cui la situazione è quella rappresentata dalla (fig. A.4) dove si vede chiaramente che quando il vettore parte da A e ritorna, dopo il percorso chiuso ABCA, nella posizione A, la sua direzione è cambiata (fig. A.4).
Si comprende allora come l'effetto della curvatura dello spazio-tempo sia quello di cambiare direzione a un vettore che partendo da un punto tor-
, ,,' , , .,
Fig. A.4
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na allo stesso punto dopo un percorso chiuso. CosÌ è spiegata la situazione di fig. la del testo dove il vettore finale risulta ruotato rispetto a quello iniziale.
L'effetto della torsione è invece quello di traslare un vettore che ritorna al suo punto di partenza dopo un percorso chiuso.
Consideriamo ora in U4 una varietà differenziabile in 4 dimensioni in cui sia definita una metrica g~u(x) che dà la distanza ds tra due punti infinitamente vicini r e x~ + ~
(A.14)
ed in cui sia definita anche una connessione affine Pa~ che dà la variazione infinitesima di un vettore B~ durante il trasporto parallelo da x~ a x~ + dx~:
(A.15)
Ora se B~ sono le componenti del vettore in x~ e B~ + dB~ le componenti in r + dx~ si ha:
(A.l6)
ed è facile vedere che la parte antisimmetrica della connessione affine, cioè J1[a~l è un tensore.
Vediamo brevemente da vicino quanto abbiamo detto sopra: cioè che se si costruiscono parallelogrammi infinitesimi nello spazio tangente in un punto P, essi in generale non si chiudono (v. fig. A. 6); la mancanza di chiusura è proporzionale alla torsione. Se dunque consideriamo un circuito chiuso infinitesimo (P, Ah Az, A3) in U4, esso in generale diventa un contorno aperto (P, Bi> B2, B3)
nello spazio piatto E tangente in P (fig. A.5).
P;P .~. -.....,;,..-
" .. I " . \
.' ' • • " " • • , .
~,
Fig, A.5
Consideriamo infatti un parallelogramma infinitesimo PACB~ello spazio tangente E, e poniamo PA= dx' e PB = dx" (fig. A.6). Spostando dx' lungo dx" nella corrispondente varietà U4, si ha
(A.17)
mentre spostando dx" lungo dx' si ha
(A.18)
Perciò
che si può scrivere:
e poiché in presenza di torsione Qa~ -:;:. O, si ha che in generale i punti C' , C" , e C non coincidono cosicché il parallelogramma non è chiuso. Nello spazio Riemanniano le r sono simmetriche (i simboli di Christoffel) e quindi Q = O.
-- - --t ~ , " •
d.''-, t , I
tI.·~ 5 Fig. A.6
Questa proprietà che si ha nello spazio Riemanniano è dunque chiaramente una conseguenza della simmetria della connessione. Ciò non è più valido se la connessione è asimmetrica: in quest'ultimo caso si hanno due punti distinti e, come abbiamo visto il parallelogramma non è chiuso; è questa la caratteristica geometrica della torsione.
c) Le relazioni di commutazione tra torsione e curvatura
Se consideriamo un circuito chiuso infinitesimo e scriviamo:
(A.20)
(dove dA~Y = dx~ A dxY è l'elemento di area racchiusa dal circuito), allora l", che ha le dimensioni di una lunghezza, rappresenta la mancanza di chiusura; come si è già detto la torsione ha un significato geometrico intrinseco: rappresenta l'incapacità del circuito a chiudersi così come nel caso dei cristalli. In altre parole è ben noto che nella descrizione geometrica delle dislocazioni (o difetti) dei cristalli, la torsione giuoca il ruolo di densità
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dei difetti (nei limiti delle dislocazioni che hanno una distribuzione continua). Poiché la torsione è collegata allo spin, se connettiamo la torsione alla unità fondamentale dello spin h, troviamo che i difetti nella topologia dello spazio-tempo avvengono in quantità multiple della lunghezza di Planck cosicché potremo scrivere:
(A.21)
(si noti che per n = l la (A.21) definisce una lunghezza minima che è la lunghezza di Planck (hG/e3
) = 10-33 cm); e, per la stessa ragione, considerando la quarta componente della (A.20), abbiamo anche una situazione analoga per quanto riguarda il tempo e cioè:
(A.22)
che dà una unità minima per il tempo "# O (per n = l). La torsione appare quindi essenziale per avere
una unità minima di tempo "# O. La (A.22) dà infatti la più }?:iccola unità di tempo definibile come (hG/es) /2 = 10 43s (che altro non è che il tempo di Planck). Nel limite h => O (geometria classica della relatività generale) o c =>00 (caso Newtoniano), ritroviamo t => O della cosmologia o della fisica classica. Quindi sia h che c devono essere finiti per avere una unità geometrica del tempo (cioè in questo contesto h => O e e=>oo sono equivalenti). Il fatto che h sia collegato a un vettore quantizzato di genere tempo, discretizza il tempo.
Ora volendo connettere le posizioni iniziale e finale di una particella, ci si incontra con la indeterminazione associata alla torsione. Ciò significa che per un elemento sufficientemente piccolo, l'indeterminazione nella distanza tra la posizione iniziale e finale sarebbe
(A.23)
(dove dS è un elemento di area) e ciò provoca fluttuazioni nella distanza. Quindi ciò che è importante non sono i punti dello spazio-tempo, ma le "fluttuazioni" nella posizione. Poiché la curvatura causa accelerazioni relative tra particelle di prova vicine, si avrà indeterminazione nel 'momento' p~ collegato alla curvatura da:
m a~dS = !!.p~ = m R~pld.x(X/ds)d.bf =
= m c R~dS (A.24)
dove rf è il vettore di separazione tra due geodetiche vicine. Allora come le fluttuazioni nella "posi-
--
zione" sono dovute alla torsione, le fluttuazioni nel "momento" sono dovute alla curvatura e quindi si possono interpretare gli effetti quantistici (cioé il principio di indeterminazione) come conseguenza di queste "deformazioni" spazio-temporali (vedi ad es. [6]) cioè:
(A.25)
dove
(A.26)
e
(A.27)
In altre parole l'indeterminazione nelle posizioni iniziale e finale è strettamente collegata all'accelerazione relativa dovuta alle "deformazioni" dello spazio-tempo.
Si vede che Q (torsione) e R (curvatura) hanno il ruolo di variabili coniugate della geometria (del campo gravitazionale) permettendo cosÌ di scrivere relazioni di commutazione tra curvatura e torsione (analoghe a [x, pl = ih) come
[Q, Rl = i (hGJc3)-312 (A.28)
e questo sembra indicare la giusta via per giungere alla quantizzazione della geometria spazio-temporale (cioé della gravitazione). Come si già detto nel testo, il successivo passo da fare è quello di esprimere tutto in uno spazio tempo reale e quindi introdurre i multivettori e sostituire l'unità immaginaria 'i' con un bivettore.
Bibliografia
[I]. E. CARTAN - Compt. Rend., 174,437,593 (1922).
[2]. E. CARTAN -Ann. Ec. Norm., 40, 325 (1923).
[3]. E. CARTAN - Ann. Ec. Norm., 41, l (1923).
[4]. E. CAR1AN - "Sur le variétés à connexion affine et la théorie de la reJativité généralisée" ed. Gauthier Villars, 1955.
[5]. A. TRAUTMAN - "Theory of Gravitation", preprint IFfI71/25, Warsaw Uni.: read at the Symposium "On the Development of the Physicist,s Conception of Nature, Miramare, Trieste 1972.
[6]. V. DE SABBATA - Il Nuovo Cimento 107 A; 363 (1994); vedi anche B.K. Datta, V. DE SABBATA e L. RONCHETTI - Il Nuovo Cimento l13B, 711 (1998).