il dragone si mangia tutti
Post on 24-Jun-2015
720 Views
Preview:
DESCRIPTION
TRANSCRIPT
Autonotizie Pechino caput mundi
IL DRAGONE
SI MANGIA TUTTI
La Cina è il primo mercato del mondo e ora si compra i marchi prestigiosi: Volvo Hummer, Saab. La sua ascesa è ormai incontenibile.Vi spieghiamo perché
La Geely, primo produttore privato cinese, sta per acquistare Volvo dalla Ford
di daniele sparisci
I l dato è impressionante: 923.154. È il numero di vetture vendute in Cina nel solo mese di ottobre, che è quanto s’im-matricola in Italia in cinque mesi. Grazie
a questi enormi volumi la Cina è diventata il primo mercato mondiale, scalzando dalla testa della clas-sifi ca gli Stati Uniti, dove sono state vendute nello stesso mese 834.517 vetture. Un sorpasso che ha l’effetto di un terremoto sugli equilibri globali. Da quando è stato inventato il motore a scoppio, infat-ti, l’Occidente è sempre stato l’ombelico del mondo, ma adesso sono arrivati i cinesi a farci mangiare
96 QUATTRORUOTE Dicembre 200996 QUATTRORUOTE Dicembre 2009
la polvere. Dovremo abituarci a un nuovo ordine dettato da Pechino? A quanto pare sì. La strada ap-pare senza ritorno, perché i cinesi una volta saliti in cielo non scenderanno più. Anzi, la loro fame di potere è tale che adesso vengono da noi a pren-dersi pezzi pregiati, come Volvo, Saab e Hummer. A prezzi da hard-discount. Dalle parti di Göteborg ne sanno qualcosa. La Geely, primo produttore pri-vato della Repubblica popolare, quotato alla Borsa di Hong Kong, è a un passo dall’accordo fi nale per comprare Volvo dalla Ford. Un salvataggio che per-metterà alla Casa svedese di continuare a esistere
Acquistando la Volvo, i cinesi si porteranno a casa le massime competenze nella sicurezza
AUTONOTIZIE Pechino caput mundi
70 anni di Volvo
come marchio e a mettere
sul mercato belle automo-
bili, oppure una resa a una
potenza economica che fa
paura a molti? Buona la
seconda perché, grazie a
un’occasione del genere,
i cinesi si ritroveranno a
gestire un patrimonio tec-
nologico immenso che gli
svedesi hanno costruito a
suon di miliardi nell’arco
di decenni. «La recessio-
ne ha cambiato le carte in
tavola», spiega Bill Russo,
ex top manager della divi-
sione asiatica di Chrysler
e fondatore di Synergisti-
1944Cellula di
sicurezza
1959Cinture di
sicurezza
a tre punti
1966Impianto
frenante a
doppio circuito
1968Poggiatesta
anteriori
1972Sicura delle
porte a prova
di bambino
1973Piantone
dello sterzo
collassabile
1987Cinture con
pretensionatore
1991Side Impact
Protection
System
1994Airbag a
protezione
degli impatti
laterali
1998Whips, sistema
contro il colpo
di frusta
2004
Blis, sistema
per rilevare
l’angolo cieco
19
44
19
59
19
66
19
68
19
72
19
73
19
87
19
91 1
99
4 1
99
8 2
00
4 2
00
9
per la sicurezza
cs Limited, società di consulenza automotivecon sede a Pechino; «oggi si possono comprare
intere società, marchi che già dispongono di
una rete di vendita, che hanno piattaforme e
componenti tecnologiche avanzate, pagando
una frazione degli investimenti che sono neces-
sari per crearli». Una manna dal cielo, dunque,
per costruttori come la Geely, che «entrando
in possesso di tutto questo», continua Russo,
«può accelerare i suoi piani di espansione e di-
ventare globale».
SVEZIA-CINA, SOLO ANDATA
Ma torniamo a Göteborg, dove il mondo ap-
pare rovesciato. Non solo per l’idea di una Vol-
vo cinese, che alle orecchie degli svedesi può
apparire una bestemmia, ma anche perché gli
acquirenti, i cinesi, hanno chiesto agli acquisiti,
gli svedesi, di continuare loro a gestire Volvo,
cioè a mandare avanti una baracca che appare
troppo tecnologicamente complessa persino
per le ambizioni smisurate della Geely, che ha
da poco lanciato sette marchi per rafforzare la
propria posizione sul mercato interno. Sanno
un po’ di favola le promesse dei cinesi di non
spostare una pietra dalla Scandinavia, man-
tenendo intatti posti di lavoro e stabilimenti.
«Per Geely sarà diffi cile controllare una Casa
premium come Volvo», osserva John Zeng,
analista di IHS Global Insight, spiegando che
«il primo obiettivo dei nuovi padroni sarà quel-
lo di mettere sotto controllo le perdite di Vol-
vo, perché Geely non se le può permettere».
E adesso, dopo l’entusiasmo iniziale con cui
la notizia del «salvataggio» è stata accolta,
in Svezia sorgono le prime preoccupazioni.
Emerge, infatti, dai piani di Geely la volontà di
costruire una fabbrica, naturalmente nella ma-
drepatria, per sfornare 300.000 Volvo l’anno,
una quantità immensa, considerando che le
vendite mondiali del brand nordico si aggirano
98 QUATTRORUOTE Dicembre 2009
attorno alle 400.000 unità l’anno. Agli scettici
i cinesi rispondono che il loro obiettivo è quel-
lo di incrementarle fi no a un milione di vetture.
Bisogna credergli? C’è un precedente che lascia
poche speranze. Quello della Rover. Rilevato
qualche anno fa dalla Shanghai Automotive In-
dustry Corporation, dello storico marchio euro-
peo è stato «cinesizzato» persino il nome (oggi
si chiama Roewe). Insomma la «lunga marcia» di
Pechino è appena cominciata e non sarà affatto
lenta, come vorrebbero farci credere loro, abi-
tuati a muoversi dietro le quinte in una specie di
teatro delle ombre, dove ogni cosa è diversa da
come che appare.
LA POTENZA DEI NUMERI
Ad alimentare l’avanzata asiatica è un mercato
in crescita a ritmi vertiginosi, sotto l’occhio atten-
to della regia governativa, che ha persino varato
incentivi all’acquisto per sostenere la domanda.
A fi ne anno i veicoli venduti in Cina saranno 13,5
milioni, numero più alto di sempre; per gli anni
successivi si prevedono aumenti a doppia cifra,
capaci di cancellare i tempi d’oro degli Usa prima
della recessione, quando il mercato viaggiava sta-
bilmente sui 16 milioni d’immatricolazioni l’anno.
Inoltre nel 2010 quasi una vettura su sei del-
le oltre 61 milioni prodotte nel globo (stima di
Pricewatercooper) uscirà da fabbriche cinesi. Il
Gruppo Volkswagen ha venduto più automobili
qui che in Germania, roba da shock culturale per
i tedeschi, ma non per i manager di Wolfsburg,
che contano di superare quota 2 milioni di uni-
tà l’anno entro il 2018. Una cifra che è di poco
inferiore al bilancio dell’intero mercato italiano
A sinistra, la Changan Chana E301, un prototipo che prefi gura una crossover con le porte ad ali di gabbiano
in un anno. Altre prove: la
Mercedes ha trasferito il
suo studio asiatico di de-
sign da Tokyo a Pechino
per capire le esigenze e
i gusti dei nuovi ricchi,
che non abitano più in
Giappone. Da lì studierà
le tendenze future del-
l’automobile nei prossimi
dieci-15 anni. La Porsche,
da parte sua, ha snob-
bato i Saloni dell’auto di
Francoforte o Ginevra
presentando la Paname-
ra a Shanghai, dove i co-
struttori occidentali era-
no presenti in massa.
Esame qualità
Sono indietro, ma in recupero
Produzione 2009 in Cina: 9,57 milioni di auto
2 milioni: gli obiettivi di vendita in Cina del Gruppo VW nel 2018
IL MASSIMO AL MINIMO
«In questo momento in Occidente servono
i soldi e loro li hanno», taglia corto Roberto
Piatti, numero uno di Torino Design; «in fondo
si potrebbe dire che i cinesi siano un male ne-
cessario». Senza i loro capitali freschi, indub-
biamente, il futuro di molte aziende del settore
sarebbe condannato al crac fi nanziario. Grazie
alle loro garanzie economiche i cinesi provano a
ottenere il massimo profi tto possibile. E sempre
più spesso ci riescono. Tra Göteborg e Trollhät-
tan ci sono cento km di distanza, ma le storie
di Volvo e Saab corrono su binari paralleli: que-
st’ultima sta per essere ceduta da General Mo-
tors all’imprenditore svedese Koenisgegg, uno
che produce dieci automobili l’anno. A tenere
in piedi un’operazione incredibile (sarebbe co-
me se Horacio Pagani, che produce le supercar
Zonda, comprasse Alfa Romeo) è intervenuta la
Bejiing Automotive Industry Corporation, che
già aveva tentato, invano, la scalata alla Opel. I
cinesi hanno stretto accordi con i futuri padroni
della Saab per assicurarsi con un investimento
minimo tecnologia, qualità, prestigio e una rete
di concessionarie dislocata in tutto il mondo.
Ma il caso più eclatante e, per certi versi, in-
quietante è quello della Hummer. La GM, col-
pita dalla bancarotta, l’ha svenduta alla scono-
sciuta Sichuan Tengzhong Automotive Heavy
Industries Machinery, che non possiede alcuna
esperienza nel settore automobilistico. Ma ha
l’occhio suffi cientemente lungo per capire che
dietro la Hummer ci sono anni di ricerche e in-
novazioni derivate dal campo militare. Pagan-
do una somma, che alcune fonti statunitensi
indicano in 150 milioni di dollari (più o meno
quanto il Real Madrid ha sborsato per Cristiano
Ronaldo), i cinesi si portano a casa una quantità
di segreti tecnologici, che avrebbero impiegato
anni per accumulare. Insieme ai marchi e ai bre-
• Senti Cina e subito pensi a prodotti di scarsa qualità. E a pensarla così, per quanto riguarda le auto, sono anche i consumatori cinesi, che in maggioranza (60%) preferiscono le auto d’importazione alle locali. Eppure le cose stanno cambiando. Le rilevazioni della società californiana J.D. Power, specializzata in indagini di mercato, evidenziano come le vetture prodotte in Cina nel 2009 durante i primi sei mesi di vita abbiano in media manifestato il 14% in meno di difetti rispetto a quelle sfornate nel 2008. In pratica sono scese da 207 difetti ogni 100 auto prodotte a 178. Non male, tenendo conto che la media per le vetture vendute negli Stati Uniti nel 2008
era di 118 difetti, calati nel 2009 a 108 (con migliore marca in classi⇒ ca negli Usa, Lexus, a quota 87). Tra l’altro, ad alcune Case cinesi che producono utilitarie e minivan i consumatori locali riconoscono già un valido rapporto prezzo/qualità. Diversa, tuttavia, sarebbe la situazione secondo i parametri occidentali. Il «Wall Street Journal» riferisce che dopo una prova su strada il tecnico di una Casa occidentale sia rimasto allibito di fronte al livello grezzo in cui si trova ancora la crossover elettrica BYD e6, già in vendita in Cina e che sarà commercializzata tra pochi mesi anche negli Stati Uniti a oltre 40.000 dollari, cifra decisamente alta per i canoni Usa. E.B.
Dicembre 2009 QUATTRORUOTE 99
100 QUATTRORUOTE Dicembre 2009
la nostra esperienza in saldo
Chiave tecnica 150: sono i produttori di veicoli che operano in Cina. Troppi per il Governo di Pechino
AUTONOTIZIE Pechino caput mundi
Da sinistra,
la Brilliance
BS 6, la Great
Wall Florid e la
Brilliance BC 3
vetti Pechino ha iniziato da un po’ a importare
cervelli. Si racconta di ex top manager di Ford,
Gm e Volkswagen arruolati con assegni a tanti
zeri. E lo stesso vale per designer, tecnici e inge-
gneri. «Nelle aziende cinesi mancano completa-
mente dirigenti con esperienze internazionali»,
spiega Bill Russo, «e allora si cerca di rimediare al
più presto. Senza le giuste capacità professionali,
infatti, le acquisizioni che stanno portando a ter-
mine rischiano di non funzionare. La presenza di
lavoratori altamente qualifi cati è indispensabile
per trasferire le tecnologie».
EUROPA E USA NEL MIRINO
«Le auto cinesi non arriveranno presto sui
mercati europei e americani», avverte John
Zeng, «l’export ora si concentra in Asia e Africa,
dove i clienti sono meno esigenti».
Se sono così forti, come abbiamo visto, perché
non c’invadono di modelli low cost? A Pechino
ragionano in termini di anni e non di trimestrali:
l’obiettivo è consolidare il mercato interno, dove
operano circa 150 costruttori e 7 mila fornitori e
dove i tassi di crescita sono formidabili. Prima di
puntare verso l’estero dovranno, quindi, crescere
di taglia e ridursi di numero. «I marchi stranieri
controllano più del 60% del mercato casalingo»,
aggiunge ancora Russo, «e i cinesi sanno bene
che dovranno riuscire a cambiare lo scarso ap-
peal di cui godono i loro modelli presso gli stes-
si consumatori cinesi». Il tempo e i numeri sono
dalla loro parte. ••••
• I cinesi hanno montagne di denaro da spendere: limitandoci all’import-export con gli Usa, la Cina ha esportato merci per 338 miliardi di dollari a fronte d’ importazioni per 72 miliardi di dollari. E con questo mare di soldi si possono permettere di tutto: intere aziende, i migliori tecnici e manager occidentali, nel frattempo lasciati a spasso dalle nostre Case. Proprio quello che serve per una crescita rapida e a buon mercato dell’industria automobilistica. Così, per esempio, la Geely si può comperare in saldo tutto il know how in materia di protezione del consumatore, sicurezza e riduzione delle emissioni inquinanti che la Volvo ha maturato in decenni di costose ricerche (vedere a pag. 98). Quel che ci vuole per recuperare il ritardo tecnologico che i cinesi soffrono proprio in tali settori, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle severe norme antinquinamento e sicurezza americane ed europee. Realisticamente, infatti, il made in China a quattro ruote è indietro di almeno sei-12 anni rispetto ai nostri standard. Grazie all’innesto di tecnologie e di uomini d’importazione, le industrie cinesi potranno colmare il loro ritardo in termini
di prestazioni, consumi, qualità, sicurezza e ambiente in un arco di tempo molto inferiore rispetto a quello impiegato in passato dai giapponesi e dai coreani. Che all’inizio non brillavano certo per qualità, tanto che nel 1956 le prime Toyota esportate in California, le antenate delle odierne Lexus (che negli Usa guidano le classi⇒ che di qualità) venivano, a ragione, pubblicamente derise. Idem a metà anni 80 avveniva per le prime Hyundai esportate in America. Proprio come avviene adesso per le cinesi, un tempo le giapponesi e le coreane venivano acquistate esclusivamente perché costavano poco. Le due tigri orientali di un tempo ebbero anche fortuna: non ci fossestata la crisi petrolifera del 1973 gli americani avrebbero continuato a snobbarle a favore dei loro macchinoni con voraci V8. Ora il colpo di fortuna per la Cina potrebbe chiamarsi CO
2.
Se le elettriche diventeranno davvero popolari, i cinesi potrebbero battere le industrie occidentali: tutte le Case partono alla pari, quasi da zero. Ma la Cina ha il vantaggio di essere un forte produttore di batterie al litio per l’elettronica e si è accaparrata le materie prime indispensabili per la produzione di motori elettrici e per le batterie. Emilio Brambilla
top related