libro di lettura seconda classe
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IL MIO PRIMO LIBRO DI LETTURA
LO SCRIGNO
ILLUSTRAZIONI DI ELENA DA DALT E DEL PROPRIETARIO DEL LIBRO
2
QUESTO LIBRO APPARTIENE A
MI E’ STATO REGALATO IL
3
4
VIEN L’AUTUNNO VIEN L’AUTUNNO CAVALCANDO CAVALCANDO DA LONTANO SAI TU DIRMI CHE TI PORTA? QUALCHE BACCA PORPORINA NIDI VUOTI, RAMI SPOGLI E UN PUGNEL DI MORTE FOGLIE.
5
LA VENDEMMIA GRAPPOLINI ROSSI E BIANCHI
BEN SUCCOSI ED INVITANTI,
SOTTO IL PERGOLO CRESCIUTI
IL CALDO SOL VI HA MATURATI.
VI COGLIAMO E VI METTIAMO
DENTRO AL NOSTRO GRANDE TINO,
CON I PIEDI E CON LE MANI
VI PIGIAM FINO A DOMANI;
SUCCO BUONO, PORPORINO
DELIZIOSO E ZUCCHERINO.
ELENA DA DALT
6
LA CASTAGNA TONDA TONDETTA E’ LA CASTAGNA BRUNA BRUNETTA LEI E’ PROTETTA DA UNA VESTE MOLTO SPINOSA SE TU LA COGLI FAI ATTENZIONE RISCHI DI DIRE : AHI, AHI, AHI, AHI AHI, AHI, AHI, AHI! TOLTO IL RICCIO,CHE MERAVIGLIA ECCOLA, GUARDA, SPLENDE AL SOL! COTTA, BOLLITA O COME FARINA SEMPRE E’ BUONA LA NOSTRA CASTAGNA REGINA AMATA DELLA MONTAGNA. ELENA DA DALT
7
PARLA LA G…G… IL GATTO GUARDA IL GUFO GRULLO GIROLAMO GIRA GIA’ LA GIOSTRA GIRA E RIGIRA, CASCA GIU’ OR TIRIAMOLO BEN SU! G G G G ELENA DA DALT
INDOVINELLO
INDOVINA INDOVINELLO QUAL E’ QUELL’ACQUA ORIGINALE CHE NON DAL CIELO SCENDE, NE’ DAL MARE SALE EPPUR LA VEDI AD OGNI ORA SULLA FRONTE DI CHI LAVORA?
8
ZUCCONE HO DETTO DI NO E NON LO FARO’! CHE SE PER NATURA LA TESTA L’HO DURA, CAMBIAR NON SI PUO’ HO DETTO DI NO! HO DETTO DI SI’, E VOGLIO COSI’! CHE SONO CAPACE SE QUESTO MI PIACE, DI STAR TUTTO IL DI’ A DIRE DI SI’! LINA SCHWARZ
9
LE VOCALI CHE COSE STRAMBE! L’A CON DUE GAMBE, L’E CON DUE BRACCIA, L’O TONDO IN FACCIA. CURIOSO E’ L’U CHE GUARDA IN SU, MA E’ PIU’ CARINO L’I COL PUNTINO. LINA SCHWARZ
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NANI
PIM PUM PIM PAM NOI DEI BOSCHI I NANI SIAM PROTEGGIAMO LE SEMENTI RACCOGLIAM GEMME LUCENTI PIM PUM PIM PAM TUTTO IL GIORNO LAVORIAM LE RADICI DIFENDIAM CUSTODIAM ORO E ARGENTO SIAMO SEMPRE IN MOVIMENTO PIM PUM PIM PAM NOI DEL BOSCO I NANI SIAM!!!
12
VENTI NANETTI VENTI NANETTI SI TENGON PER MANO SALTANO, GIOCANO, FANNO BACCANO CORRONO IN FILA BEN STRETTI IN CATENA VOLANO INSIEME SULL’ALTALENA, NESSUNO DELL’ALTRO LA MANO MOLLA APPICCICATI SON CON LA COLLA! SE UNO SALTA SALTANO TUTTI SE UNO CADE CADONO TUTTI MA SEMPRE OGNUNO RIMANE SANO PORTA FORTUNA TENERSI PER MANO!!!
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IL POLLAIO NELL’ALLEGRO E BEL POLLAIO QUANTE BESTIE HA ZIO GAIO! COCCODE’ COCCODE’ NEL POLLAIO COSA C’E’? TRE PULCINI APPENA NATI NERI E BIANCHI UN PO’ STRIATI, SOTTO L’ALI LA CHIOCCETTA I PULCINI CHIAMA E ASPETTA. COCCODE’ COCCODE’ NEL POLLAIO QUESTO C’E’!
14
GALLO GALLETTO GALLO GALLETTO CHICCHIRICHI’ NON VE L’HO DETTO CHE SPUNTA IL DI’ GALLO GALLETTO ALTO E’ GIA’ IL DI’ GIU’ DA QUEL LETTO CHICCHIRICHI’! LINA SCHWARZ
ORA CONTIAMO NOI TRE PULCINI, TRE ANATRINI,TRE GATTINI VAN BEL BELLO CON L’OMBRELLO PERCHE’ PIOVE TRE PIU’ TRE PIU’ TRE FA ……. MA E’ ANCHE VERO CHE TRE PER TRE FA ANCHE………!
15
IL PRINCIPE RANOCCHIO C’ERA UN TEMPO UNO STAGNO ERA PROPRIO UN BEL REGNO LE SUE ACQUE ERAN QUIETE CIRCONDATE DALLE PIANTE QUANTE BELLE E VERDI RANE SE NE STANNO A GRACIDARE CRA CRA CRA CRA CRA CRA SE POI SMETTON DI CANTARE LOR SI METTONO A SALTARE . . … . . … MA TRA QUESTE C’E’ N’E’ UNA CON IN TESTA UNA CORONA CON UN BACIO SI TRASFORMA ED UN PRINCIPE RITORNA. ELENA DA DALT
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CRA CRA CRA UNA RARA RANA NERA SULLA RENA ERRO’ UNA SERA UNA RARA RANA BIANCA SULLA RENA ERRO’ UN PO’STANCA.
LA CAPRA SOPRA LA PANCA LA CAPRA CAMPA SOTTO LA PANCA LA CAPRA CREPA.
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PARLANO I NUMERI ( di Anna Siore) NUMERAZIONE DELL’ 1 1 IL PRUNO 2 IL BUE 3 IL RE 4 IL CIOCCOLATO 5 LE ARINGHE 6 GLI SCARABEI 7 LE CIVETTE 8 IL BISCOTTO 9 IL BOVE 10 PASTA E CECI NUMERAZIONE DEL 2 1-2 L’ASINO E IL BUE 3 E 4 IL CANE E IL GATTO 5 E 6 I PIEDI MIEI 7 E 8 PANE BISCOTTO 9 -10 PASTA E CECI 11-12 RIDONO I COMICI 13- 14 TAGLIANO LE FORBICI 15-16 CURANO I MEDICI 17-18 SALTA IL LEPROTTO 19-20 SIAM TUTTI CONTENTI
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NUMERAZIONE DEL 3 1-2-3 SE TU VUOI SAPER PERCHE’ 4-5-6 TI DIRO’ CHE E’ STATA LEI 7-8-9 TI DARO’ TUTTE LE PROVE 10-11-12 ERAVAMO BAGNATI FRADICI 13-14-15 PUNZECCHIATI DALLE CIMICI 16-17-18 ABBIAM DECISO DI FAR FAGOTTO 19-20-21 NON E’ RIMASTO PIU’ NESSUNO 22-23-24ABBIAM TROVATO UN TIPO MATTO 25-26-27 CHE VOLEVA TAGLIARCI A FETTE 28-29-30 CHE GIORNATA SANTA POLENTA! NUMERAZIONE DEL 4 1-2-3-4 ABBIAM COMPRATO UN GATTO MATTO 5-6-7-8 ED INSIEME UN BEL LEPROTTO 9-10-11-12 SIAMO ANDATI A VEDERE I COMICI 13-14-15-16 SONO VENUTI PURE I MEDICI 17-18-19-20 CHE A CAUSA DEL FREDDO BATTEVANO I DENTI 21-22-23-24 MA ANCHE IL LEPROTTO DIVENNE MATTO 25-26-27-28 E DECISE DI FAR FAGOTTO
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29-30-31-32 ANDO’ A TROVARE L’ASINO E IL BUE 33- 34- 35-36 MA ERANO PARTITI PER CANAREI 37-38-39-40 QUANTA STRADA, TANTA, TANTA!
INDOVINELLO
L’UNO SORPASSA
SEMPRE A DESTRA
L’ALTRO SEMPRE A SINISTRA.
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L’ A L F A B E T O
A a B b C c D d E e
F f G g H h Kk I i
L l M m N n O o P p
Q q R r S s T t U u
V v W w Z z
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IL GIRASOLE E IL SOLE
Il girasole disse un giorno al Sole:- Vedi?
Son come te! Ogni petalo è un raggio, e
le viole s’inchinano ai miei piedi, come a
un re! Tu guardi gli orizzonti, e anch’io li
guardo; io pure, come te, risplendo e
ardo! –
Tacque il Sole. Ma il fiore morì, e il Sole,
lo sapete, è ancora lì.
GABRIELLI
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INDOVINA CHE COS’E’ E POI
DISEGNA…
Sto chiusa in un riccio
ma non per capriccio.
Mi trovo in montagna sono:
…………………………………
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LA PELLE DEL LEONE
Un asino si buttò addosso una pelle di
leone, e tutti lo prendevano per un leone
e gli uomini scappavano e le bestie
scappavano.
Ma venne una ventata, che gli levò di
dosso quella pelle e l’asino tornò asino.
Tutti allora gli saltarono addosso e furono
calci e legnate.
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LA PECORA E LA RONDINE
Una rondine volò su una pecora per
strapparle un po’ di lana per il suo nido.
La pecora irritata saltava di qua e di là.
-Perché mai sei così avara solo con me?
Permetti al pastore di spogliarti di tutta la
tua lana e a me neghi un piccolo fiocco.
Come si spiega?-
-Si spiega così,- rispose la pecora-
perché tu non sai prender la mia lana con
la stessa buona grazia del pastore.-
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IL VENTO E IL SOLE
Un giorno il vento e il sole vennero a
disputa fra di loro. Ognuno dei due
pretendeva di essere il più forte. Decisero
di fare una gara: chi dei due riuscisse per
primo a togliere il mantello ad un
viandante.
Il vento cominciò ad urlare furiosamente,
tentando di soffiar via dalle spalle del
viandante il mantello. Ma invece di
soffiarglielo via, l’uomo se lo avviluppava
sempre più stretto.
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Allora cominciò la prova del sole. Il sole
fugò le nubi e cominciò a dardeggiare i
suoi raggi cocenti sul pover’uomo con
tanto ardore, che questi, tutto sudato,
gettò il mantello e si sedette all’ombra.
Il sole, silenzioso, vinse la gara. ESOPO
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IL CORVO E LA VOLPE
Un corvo aveva rubato un pezzo di carne
ed era andato a posarsi su di un albero.
Lo vide la volpe e le venne voglia di
quella carne.
Si fermò ai piedi del corvo e cominciò a
far gran lodi del suo corpo perfetto e della
sua bellezza; disse che nessuno era più
adatto di lui ad essere il re degli uccelli, e
che lo sarebbe diventato senz’altro, se
avesse avuto la voce.
Il corvo, allora, volendo mostrare che
neanche la voce gli mancava, si mise a
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gracchiare con tutte le sue forze, e lasciò
cadere la carne.
La volpe si precipitò ad afferrarla,
soggiungendo: -Se poi, caro il mio corvo,
tu avessi anche il cervello, non ti
mancherebbe proprio altro, per diventare
re -.
ESOPO
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SALVARE CAPRA E CAVOLI
Un contadino camminava portando con
sé un lupo, una capra e dei cavoli.
Giunse ad un fiumicello, e si accorse che
non poteva attraversarlo portando più di
una cosa per volta.
Il contadino pensò allora fra sé: -Se porto
prima la capra e poi i cavoli, quando
torno per prendere il lupo la capra
mangia i cavoli. Se porto prima i cavoli,
nel frattempo il lupo mangia la capra-.
Il contadino, però, era molto furbo e trovò
il modo di non correre alcun rischio.
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Passò la prima volta il fiume portando la
capra, poi ritornò col lupo e riportò
indietro la capra. La lasciò per portare i
cavoli e in ultimo condusse anche la
capra sull’altra riva.
Così riuscì a salvare capra e cavoli.
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LA LINGUA E LE ORECCHIE
Un giorno una lingua spenzolandosi un
po’ fuor dalla bocca in qua e in la’, come
da una finestra, vide le orecchie e
domandò stupita:
-Chi siete voi? Che fate?-
- Noi siamo le orecchie, fatte apposta per
ascoltare.-
- E perché mai siete in due ad ascoltare,
mentre io sono sola a parlare?-
- Perché, signora lingua, è bene ascoltare
molto e parlare poco.-
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LA FORMICA E LA COLOMBA
Una formica scese al ruscello: le era
venuta sete. Un'onda la trascinò via e per
poco non la affogò. Una colomba stava
trasportando un ramoscello; vide che la
formica affogava e le gettò il ramoscello
nel ruscello. La formica salì sul
ramoscello e si salvò.
Dopo qualche giorno un cacciatore gettò
la rete sulla colomba e la voleva
acchiappare. La formica si arrampicò sul
cacciatore e lo morse a una gamba; il
cacciatore dette un grido e lasciò cadere
la rete. La colomba spiccò il volo e fuggì .
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LE DITA
Erano cinque fratelli, tutti della famiglia delle
dita: e si tenevano molto uniti fra loro,
sebbene fossero di statura diversa.
Il maggiore, Messer pollice, era piccolo e
grosso, sapeva fare un bell’inchino e diceva:
- Io sono il padrone, senza di me non infila
l’ago nemmeno il re e dai più piccini sono
succhiato come un gelato -.
Messer Leccapiatti, il secondo, si ficcava per
tutto, nell’agro e nel dolce; segnava a dito il
sole, la luna e le stelle: - Io insegno la strada
al turista e al ciclista e suono il campanello al
portone del castello -.
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Messer Lungo, ch’era il terzo, anche
chiamato dito medio disse di sé:- Io tengo il
ditale alla sartina che fa la vestina ticchete,
ticchete ta ago che viene ago che va ticchete
ticchete ta! -
Facciadoro, il quarto, si pavoneggiava,
perché aveva una cintura dorata, stretta alla
vita:- Io sono l’anulare e ho poca voglia di
lavorare!-
Il piccolo Pierino Balocchino aveva una voce
flebile e carina:- E io che son il più piccino mi
chiamo mignolino-.
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FAI L’IMPRONTA DELLA TUA MANO
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IL FUMO, LA FULIGGINE E LA CENERE
Il fumo, in lente volute azzurre, saliva su per
la nera cappa del camino ed usciva fuori dal
comignolo disperdendosi nell’aria.
- Fratello – gli dissero con voce lamentosa la
cenere e la fuliggine – perché ci abbandoni?
Noi siamo nati dalla stessa madre, la legna,
e dallo stesso padre, il fuoco: perché,
dunque, non ci porti con te? –
Rispose il fumo: - Io non ho nulla a che fare
con voi. Siete continuamente in discordia,
senza mai riuscire a mettervi d’accordo. Tu
fuliggine, pretendi di ascendere senza prima
liberarti di tutte le tue scorie. Così,per non
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ricadere in basso, ti attacchi alle nere pareti
del camino. Tu cenere ti attacchi nel
focolare, per stare al caldo anche dopo che
la fiamma si è spenta. Io invece volo in cielo!- LEON BATTISTA ALBERTI
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L’OMBRA
Verso l’ora del tramonto l’ombra dell’uomo
diventò immensa.
Che cos’era l’uomo al suo confronto? Una
piccola cosa. Lei, invece, quanto più il sole
scendeva verso l’orizzonte, tanto più si
allungava: non c’era al mondo uomo più
grande di lei.
- Io, non l’uomo – pensò l’ombra –
rassomiglio a Dio. -
Ma quando il sole scomparve, l’ombra svanì.
Cominciò allora a rimpiangere la luce del
giorno; desiderò rivedere il sole alto nel cielo.
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L’AVARO
Ogni tanto il rospo allungava il muso e
addentava un po’ di terra.
- Perché sei sempre così magro? – gli chiese
un giorno una coccinella.
- Perché ho sempre fame – rispose il rospo.
- Ma se ti nutri soltanto di terra! – esclamò il
gentile insetto. – Perché non ne mangi a
sazietà?-
-Perché un giorno- disse con tono lugubre
l’avaro- anche la terra potrebbe finire. –
LEONARDO DA VINCI
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IL TORO
Un toro in libertà faceva strage fra le mandrie
e gli armenti. I pastori non avevano più
coraggio di portare al pascolo gli animali.
Temevano quel selvaggio bestione che
arrivava all’improvviso e infilzava con le
corna tutto ciò che incontrava.
I pastori, però, sapevano che il toro odiava il
colore rosso; quindi un giorno decisero di
tendergli un tranello.
Fasciarono di stoffa rossa il grosso tronco di
un albero e poi si nascosero.
Giunse presto il toro soffiando dalle narici.
Vedendo quel tronco rosso abbassò la testa
partendo alla carica. Con un gran fracasso
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inchiodò le corna nell’albero, restandovi
prigioniero. Così i pastori lo uccisero. LEONARDO DA VINCI
49
LO SCOIATTOLO
O vispo scoiattolino,
che allegro salti al sole,
riempi il magazzino
di ghiande e di nocciole.
Mature là nel bosco,
ti attendono al lavoro,
l’inverno sarà fosco
se non farai tesoro
dei doni che natura,
provvida e amorosa,
ad ogni creatura
va offrendo generosa.
50
Sei nato in piena estate,
ami il verde e i trastulli;
niente sai di gelate,
di rami secchi e brulli.
I frutti torneranno
solo a nuova stagione
e per l’inverno, ogn’anno,
dobbiam far provvigione.
Soffi allor tramontana,
venga il freddo più duro,
ben nutrito in tua tana,
ti sentirai sicuro.
GIOVANNA CHIANTELLI
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52
L’ELEFANTE
In India gli elefanti vengono adoperati nei
lavori pesanti dei campi (come da noi i buoi e
i cavalli) oppure per trasportare merci.
Sono animali molto forti e abbastanza docili,
che si affezionano al padrone se esso li cura
e li rispetta. Ma guai a colui che cerchi di
maltrattarli ingiustamente. L’elefante, infatti,
è assai vendicativo. Questa è una storia vera
accaduta tanto tempo fa in India.
Un contadino indiano catturò un giovane
elefante e, dopo averlo addestrato un poco,
pensò di servirsene per i lavori più duri.
Dapprima lo curava e lo nutriva bene, ma in
seguito prese a maltrattarlo.
53
Un giorno l’animale si stancò e, accecato
dall’ira, distrusse tutto ciò che aveva attorno
a sé. Poi, lanciando un terribile barrito,
afferrò il padrone con la proboscide e lo
scagliò contro un muro, uccidendolo.
Quando la moglie vide il corpo senza vita del
marito, pianse disperata perché ormai non
c’era più chi provvedesse a lei e ai bimbi. Poi
prese per mano i suoi figlioletti e li mostrò
all’elefante gridando: -Avanti, bestia
vendicativa! Come hai ucciso il loro padre
ora uccidi anche loro!-
Ma l’elefante fissò a lungo i fanciulli poi, con
la forte proboscide, raccolse da terra il
maggiore e se lo pose sulla groppa.
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Con quel gesto, l’elefante riconosceva il
fanciullo come suo padrone. E infatti, da
allora, lo servì fedelmente per tutta la vita. L.TOLSTOI
55
IL CONTADINO E I COCOMERI
In un campo ben soleggiato crescevano tanti
cocomeri. Un contadino passò di là, li vide e
decise di rubarne un sacco pieno. Badando
di non fare rumore, egli strisciò fra le piante e
cominciò a riempire il suo sacco. Intanto
pensava, beato:
- Ecco cosa farò per arricchire: quando avrò
raccolto tanti cocomeri, li porterò al mercato
e li venderò. Con i rubli ricavati acquisterò
una chioccia che coverà le uova e mi darà
tanti pulcini. Venderò i pulcini e col denaro
ricavato comprerò una coniglia che avrà tanti
coniglietti. Venderò anche quelli al mercato e
il guadagno lo impiegherò per acquistare una
pecorella. La pecorella mi darà tanti agnellini
56
bianchi come il latte. Io li venderò e col
denaro guadagnato comprerò una bella
mucca. La mucca avrà tanti bei vitellini che io
porterò al mercato e ricaverò molti rubli
d’oro. Allora, finalmente, potrò comprare un
terreno sul quale pianterò dei cocomeri che
cresceranno belli e rigogliosi! Ma non sarò
sciocco come il padrone di questo campo
che si lascia derubare in pieno giorno. Io
starò ben attento, pagherò dei guardiani che
sorveglino i miei cocomeri e ogni tanto
griderò:-Ohè fannulloni! Fate buona guardia!-
Così il ladruncolo, tutto assorto nei suoi
programmi, dimenticò ogni prudenza e si
mise davvero a gridare:
- Ohè fate buona guardia!-
57
Allora i guardiani accorsero e lo caricarono di
botte. L. TOLSTOI
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59
VIEN L’INVERNO
E l’inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta:
-Sai tu dirmi che ti porta?-
-Un fastel d’aridi ceppi,
un fringuello intirizzito
e poi neve neve a fiocchi
e ghiaccioli grossi un dito. -
60
PRESEPIO
Ora è Natale e nella capanna
C’è un dolce bimbo con la sua mamma,
mentre il padre dal volto sereno
la mangiatoia riempie di fieno.
C’è tanto freddo e tanto gelo
e per coprirlo non c’è un velo.
Ma l’asino e il bue messisi a lato
lo riscaldano col fiato. G. ROSSI
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GHIRLANDETTA DEI MESI
Dice gennaio:- Chiudete quell’uscio.
Dice febbraio:- Io sto nel mio guscio.
Marzo apre un occhio e inventa i colori.
Aprile copre ogni prato di fiori.
Maggio ti porge la rosa più bella.
Giugno ha nel pugno una spiga e una stella.
Luglio si beve il ruscello d’un fiato.
Sonnecchia Agosto in un’ombra sdraiato.
Settembre morde le uve violette.
Più saggio Ottobre nei tini le mette.
Novembre fa d’ogni sterpo fascina.
Verso il Presepe Dicembre cammina.
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IL SALE E IL GHIACCIO
Il sale si ribellò. Era disposto a coabitare1 con tutti, ma
non con il ghiaccio. In quella dispensa non poteva
esserci posto per tutti e due.
- Perché ? - gli domandò il pepe.- Non siete forse nati
tutti e due dalla medesima madre, l’acqua del mare?
Essa prosciugandosi al sole ha depositato te sulla riva
ed evaporando in nuvole e ricadendo in pioggia è
diventata la dolce genitrice2 del ghiaccio.
- É vero – rispose il sale – ma l’incostanza e la
volubilità3 del ghiaccio mi fanno paura. Stando
accanto a me, mi farebbe diventare freddo e duro
come lui; ma basterebbe un po’ di calore per
trasformarlo in acqua: e se io gli fossi vicino, mi
scioglierebbe.-
LEONARDO DA VINCI
1 coabitare: abitare con
2 genitrice: madre, colei che ti ha generato, che ti ha fatto nascere.
3 volubilità: cambiamento veloce, mutevolezza.
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64
IL NOCCIOLO E L’ULIVO
Proprio a metà dell’inverno, all’improvviso, il nocciolo
schiuse1 le sue gemme; e benché in terra ci fossero
ancora varie chiazze di neve, si coprì di fiori.
Un ulivo, che a poca distanza dal nocciolo rabbrividiva
con tutte le sue foglie alla gelida brezza di tramontana,
gli disse:
- Beato te, che senti già la primavera. Se in pieno
inverno ti sei rivestito di fiori, vuol dire che presto ci
farai assaggiare anche i frutti.-
Rispose il nocciolo: - Ogni cosa a suo tempo.-
LEONARDO DA VINCI
1 schiuse: aprì.
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66
L’ASTRONOMO
Un astronomo aveva l’abitudine di
uscire tutte le sere per studiare le
stelle. Una notte, che s’aggirava nel
paese con la mente tutta rivolta al
cielo, cadde senza accorgersene in
un pozzo.
Mentre egli si lamentava e gridava,
un passante udì i suoi gemiti1 e si
avvicinò.
Dopo aver ascoltato ciò che gli era
successo, gli disse:
- Caro mio, tu cerchi di sapere
quello che c’è nel cielo, ma intanto
non vedi quello che c’è sulla terra. –
1 gemiti: lamenti di dolore.
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L’ABETE E IL ROVO
Un giorno l’abete e il rovo si misero a discutere su chi
fosse più bello e degno di gloria.
L’abete si vantava, dicendo:
- Io sono bello; io sono slanciato; io sono alto; io servo
per i tetti dei templi e per le navi. Come osi misurarti
con me? -.
Ma il rovo osservò:
- Se ti venissero in mente le scuri e le seghe che ti
faranno a pezzi, certo preferiresti essere un rovo
anche tu! -. ESOPO
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IL SALICE PIANGENTE
Un tempo, narra la leggenda, il salice piangente
levava i rami verso il cielo, come gli altri alberi.
Una notte, si fermarono vicino a lui un uomo, una
donna e un somarello.
La donna stringeva al cuore un bambino.
- Maria, - diceva l’uomo – non possiamo fermarci qui. I
soldati ci raggiungeranno.
- Sono stanca, Giuseppe. Riposiamoci un poco, poi
riprenderemo il cammino.
Ma i soldati già arrivavano sui loro cavalli focosi. Gli
sposi impallidirono.
Allora l’albero, lentamente, abbassò i rami fino a terra
e nascose Gesù, Giuseppe, Maria e il somarello alla
vista di Erode.
I soldati passarono urlando, e uno sghignazzò:
- Mai visto un albero così buffo! -
Quando i soldati furono lontani, la Sacra Famiglia,
riprese il suo viaggio verso il lontano Egitto.
71
Gesù sfiorò con la piccola mano i rami ricurvi e li rese
simili a una verde cascata.
Da allora, il salice piangente diventò quell’albero
meraviglioso che orna i nostri giardini.
M. COMASSI
72
L’ASINO STOLTO
Un asino stava attraversando una stretta passerella
gettata su un fiume impetuoso: portava un pesante
carico e il suo padrone lo pungolava con un bastone.
L'asino piegò indietro le lunghe orecchie e ragliò
impaurito, temendo di perdere l'equilibrio. Subito dopo
infatti mise una zampa in fallo e rotolò nel fiume con
tutto il carico.
- Povero me, sono spacciato!- pensò.- Se non fosse
per questo carico, potrei salvarmi nuotando fino a
riva.-
Ma l'asino fu fortunato: trasportava un carico di sale,
che nell' acqua si disciolse. Poté così nuotare a riva
senza impaccio.
Non trascorse molto tempo che l'asino si trovò a
compiere di nuovo lo stesso percorso: anche questa
volta portava un pesante carico. Quando giunse alla
passerella il suo padrone si mise ancora a pungolarlo
perché si affrettasse.
73
- Ah, ah!- pensò l'asino. - Adesso so quel che devo
fare. Perché dovrei darmi la pena di mantenere
l'equilibrio su questo ponticello? Se mi lascio cadere
dentro l'acqua, il mio carico si dissolverà come l'altra
volta. Sarei davvero stolto a continuare il viaggio così
appesantito, quando posso liberarmi tanto facilmente
del carico!-
E così si lasciò cadere nell'acqua con un gran pluff!
Ma, ahimé! avrebbe fatto meglio a proseguire sulla
passerella: questa volta portava un carico di spugne.
Quando cadde nel fiume quelle s'inzupparono d'acqua
e lo appesantirono tanto che egli non riuscì a tener
fuori la testa e annegò.
74
75
LA CHIAVE D’ORO
Una volta, d’inverno, che c’era la neve alta, un povero
ragazzo dovette uscire e andare a prendere la legna
con la slitta. Quando l’ebbe raccolta e caricata, era
così gelato che pensò di non tornar subito a casa, ma
di accendere un fuoco e di scaldarsi un po’.
Spalò la neve e, mentre sgombrava il terreno, trovò
una piccola chiave d’oro. Pensò che dove c’era la
chiave doveva esserci anche la serratura; scavò in
terra e trovò una cassettina di ferro. - Purchè la chiave
vada bene! - pensò - nella cassetta ci son certo cose
preziose.-
Cercò, ma non c’era nessun foro; alla fine ne scoprì
uno, ma così piccolo che lo vedeva appena. Provò: la
chiave andava benissimo. La girò; e adesso
dobbiamo aspettare che abbia aperto del tutto e
sollevato il coperchio: allora sapremo che meraviglie
c’erano nella cassetta.
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77
LA QUERCIA E IL GIUNCO
Una quercia e un giunco crescevano vicini sulla
sponda di un fiume. Di tanto in tanto si parlavano, ma
non erano amici. La quercia possente si considerava
enormemente superiore all'umile giunco e lo guardava
dall'alto in basso.
- Tu non hai ombra d'amor proprio - diceva la quercia
al giunco. - Tu fletti e ti inchini al minimo soffio di
vento. Dovresti stare dritto come me. Vedi: non c’è
vento che possa piegarmi. -
In quel preciso istante si scatenò una violenta
tempesta. Tra il lampeggiare di fulmini un vento
selvaggio investì gli alberi. Per un po' la quercia
resistette impavida, ma la sua rigidità fu la sua
condanna. La tempesta si accanì contro di lei, denudò
i suoi rami, ne spezzò i più grossi, infine la rovesciò
nel fiume. Il giunco, invece, flettendosi, aveva
permesso al vento di scivolargli sopra; passata la
tempesta lo si vedeva crescere sulla sponda del fiume
esattamente come prima, proprio come se nulla fosse
accaduto.
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LA FOGLIA DEL PIOPPO
Un giorno una gazza se ne stava appollaiata su un
ramo di pioppo. Si guardava attorno, cercando
qualcuno con cui poter fare la solita chiacchierata.
Scorse al piede dell’albero una bella capretta, che
pareva anch’essa desiderosa di trovare con chi
potesse scambiare quattro chiacchiere. Era una bella
fortuna, e la gazza non se la lasciò sfuggire.
- Buon giorno, comarina, - le disse per cominciare – vi
piace brucare queste belle foglie verdi? Se volete, io
ve ne mando giù. –
- Buon giorno a voi, comare. Vi ringrazio dell’offerta:
però, badate che le foglie di quest’albero non sono
verdi come voi dite; sarebbe una bella novità per un
albero di pioppo! Guardate bene, e vedrete che sono
biancastre.
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Non l’avesse mai detto! La gazza replicò, irritata, che
nessuno poteva insegnarle com’erano fatte le foglie
del pioppo, e che erano verdi e verdi.
La capretta ribadì che esse erano bianche, bianche e
bianche.
Chi sa quanto ancora sarebbe durata la sciocca
disputa, se a un tratto, da una spaccatura del tronco
dell’albero, non si fosse affacciato un ghiro, dicendo:
- E’ questo il modo di rompere il sonno alla gente, per
ostinarsi in una disputa sciocca? Tu, gazza
chiacchierona, alza gli occhi alle foglie che pendono
dai rami più alti. E tu, capretta ostinata, rivolta con la
zampetta quella foglia che hai vicina, e rimarrete con
un palmo di naso….La foglia del pioppo è verde di
sopra e bianchiccia di sotto.
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IL FASCIO DI VERGHE
Un vecchio contadino sentiva avvicinarsi la fine, ed
era triste perché doveva lasciare la famiglia e la
fattoria. Ma soprattutto lo addolorava il fatto che i suoi
tre figli non andassero mai d'accordo. Tante e tante
volte aveva cercato di spiegar loro quanto fosse
importante la concordia.
Sembrava proprio che non lo udissero! Ed ora, sul
letto di morte, pregò il maggiore di portargli un fascio
di verghe.
Quando il giovane fu tornato con il fascio di verghe, gli
disse di legarle assieme, poi soggiunse: - Adesso
prova a spezzarle -.
Il figlio maggiore provò, ma inutilmente. Provò anche il
secondo, con lo stesso risultato. Neppure il terzo
riuscì a far meglio degli altri.
Il fascio non si lasciava spezzare.
- Slegatelo - disse il padre - e vedete se riuscite a
spezzare le verghe ad una ad una -.
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Il maggiore spezzò una verga senza alcuna fatica. Il
secondo prese un'altra verga e la spezzò facilmente.
Così fece anche il terzo figlio.
- Adesso capite - disse il padre - perché è tanto
importante smettere di litigare e stare uniti. Finché vi
tenete separati l'uno dall'altro, siete deboli. Ma uniti
sarete tanto forti che nessuno potrà farvi del male -.
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IL PAPPAGALLO INTELLIGENTE
Un venditore d'uccelli ammaestrò un pappagallo a
parlare. Ma le parole erano sempre le stesse. A chi gli
rivolgeva una domanda, il pappagallo rispondeva
immancabilmente: - Proprio così! -
Nella bottega capitò un compratore.
- Mi piacerebbe un pappagallo.-
- Questo è bellissimo,- rispose il venditore, - e poi è
molto intelligente, non è vero Cocorito?-.
- Proprio così! - disse l'animale.
- E' straordinario! - esclamò il cliente.
- E quanto costa?-
- Cento monete - rispose il venditore. - E’ un prezzo
molto modesto, non è vero Cocorito? -
- Proprio così! - rispose il pappagallo.
- Dunque varresti anche più di cento monete?- chiese
il cliente al pappagallo, credendolo davvero
intelligente.
- Proprio così! - ripeté l'animale.
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- Ecco le cento monete, - disse allora il compratore,
prendendo sulla spalla il pappagallo.
Lungo la strada ripensò all'acquisto fatto.
- Credo d'averti pagato troppo caro, - disse, sbirciando
il pappagallo.
- Proprio così! - gli rispose l'uccello.
- Forse non vali neppure dieci monete -.
- Proprio così! -
- Anch'io però sono stato uno stupido, - disse
malinconicamente il compratore.
- Proprio così! -
- Pazienza, - esclamò alla fine l'uomo rassegnato.
- Quando abbiamo sbagliato, è inutile brontolare. -
E il pappagallo imperterrito:
- Proprio così! -
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IL BOSCAIOLO E LO SPIRITO DEL FIUME
Un boscaiolo, cui era caduta la scure nel fiume, si era
seduto sulla riva e si era messo a piangere.
Lo spirito del fiume ebbe pietà di lui, raccolse una
scure d'oro sul fondo e salì alla superficie.
- E’ questa la tua scure? - chiese lo spirito del fiume al
boscaiolo, agitando la scure d'oro nell'aria.
Il boscaiolo guardò la scure e rispose: -No, questa
non è la mia scure.-
Lo spirito del fiume si rituffò e gliene portò un’altra.
Era una scure d'argento.
- E’ questa la tua scure? -
- No - rispose anche questa volta il boscaiolo.
Allora lo spirito del fiume tornò in fondo alle acque e
questa volta gli riportò veramente la sua scure.
Il boscaiolo la riconobbe subito e gridò tutto felice:
- Oh, sì! Questa è la mia scure! -
Lo spirito del fiume, per premiarlo della sua sincerità,
gli regalò anche le altre due scuri.
Il boscaiolo fece ritorno al suo villaggio, mostrò le
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scuri ai suoi amici e raccontò la meravigliosa
avventura che gli era capitata.
Allora un altro boscaiolo pensò di fare altrettanto.
Si recò in riva al fiume, vi lasciò cadere la scure di
proposito, poi sedette sull'argine e scoppiò a
piangere.
Ed ecco apparire di nuovo lo spirito del fiume. Gli
mostrò una scure d'oro e gli chiese:
- E’ forse questa la tua scure? -
Il boscaiolo, tutto felice, gridò avidamente:
- Sì, è la mia scure! E’ mia! -
Ma lo spirito del fiume, scomparve all'istante nelle
acque. Per punirlo della sua bugia, non soltanto non
diede a quel boscaiolo la scure d'oro, ma non gli
restituì neppure la sua, quella cioè che egli aveva
gettata di proposito nel fiume.
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CARNEVALE
Viva viva Carnevale
Che fischiando
Saltellando
Tintinnando
viene innanzi e non fa male,
con i sacchi pieni zeppi
di coriandoli e confetti,
di burlette e di sberleffi,
di scherzetti,
di vestiti a fogge strane,
di lucenti durlindane,
di suonate,
di ballate,
di graziose cavatine,
di trovate birichine!
Viva viva Carnevale
Con le belle mascherine!
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PULCINELLA E GLI SPECCHI
Pulcinella, sempre un po’ stordito e pazzerello, una
volta fu al servizio di un padrone più stordito di lui. Un
giorno questi gli ordinò di trasportare, da una sala
all’altra del suo splendido palazzo, due grandi specchi,
che erano una meraviglia.
Pulcinella cominciò il lavoro allegro e svagato come
sempre e per faticare di meno li sollevò tutti e due
insieme.
Pesavano e uno scivolò dalle mani; cadde ed andò in
cento frantumi.
- Uh! – esclamò il padrone, rimirandosi in tutti quei
pezzi.- Guarda, guarda Pulcinella! Era uno specchio
solo ed ora sono cento. Come hai fatto questo
miracolo?-
- Ho fatto così – rispose Pulcinella, e lasciò cadere
anche l’altro specchio.
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LE CHIAVI DEL PARADISO
Dopo un buon sonno invernale la signora talpa si
puliva i baffi davanti alla sua tana. Ecco da lì in poi si
estendeva il mondo: il prato, il bosco, il torrente.
“Buongiorno vicino” disse la talpa al coniglio “le mie
provviste stanno per esaurirsi e, secondo i miei conti,
l’inverno dev’essere sul finire.”
“Non so, temo che ti sbagli” rispose il coniglio “non c’è
neanche un filo di verde qui attorno. I prati sono gialli
e grigi, gli alberi spogli, il torrente ghiacciato. Dove
sarà finita la primavera?”
“Già lo pensavo anch’io” disse lo scoiattolo e con lui i
fili d’erba grigia e i piccoli germogli dei crocus che si
fanno strada fra la neve.
“Vogliamo il sole” dissero tutti in coro.
“Che cosa duole”brontolò l’inverno che era un vecchio
mezzo sordo.
“Non duole ma sole, sole!” gridarono in coro tutti gli
animali del bosco e fili d’erba gialla e secca.
“Nemmeno per sogno” bofonchiò l’inverno “dovete
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aspettare ancora.”
“Basta inverno” gridavano tutti “ vogliamo la
primavera!” Questo fece arrabbiare non poco l’inverno
che chiamò i suoi servi fedeli: ghiaccio e bufera. La
bufera arrivò con fischi di vento e il ghiaccio con le
sue mille lame taglienti e tutti e due si inchinarono al
loro padrone, l’inverno.
“State bene attenti” disse l’inverno “la primavera
dev’essere ormai qui vicina. Appostatevi dietro quelle
rocce e quando arriva saltatele addosso, prendetela e
cacciatela in questa buia grotta. Avete capito?”
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Appena la primavera spuntò in tutta la sua bellezza,
da dietro l'angolo,bufera e ghiaccio la presero e la
chiusero nella grotta con una grossa chiave di ferro,
che ghiaccio si nascose nella tasca del suo mantello.
La signora talpa vide tutto dal suo buco ed imprecò
contro l’inverno: “Cattivo inverno, non possiamo più
sopportarti.”
“Queste parole mi rallegrano” disse l’inverno che
invitò a un punch i suoi due compari.
Dopo un po’ tutti e tre giacevano profondamente
addormentati.
Allora la talpa chiamò il coniglio e lo scoiattolo e tutti e
tre tennero consiglio sul come fare. Lo scoiattolo si
avvicinò a ghiaccio per rubargli la chiave della
prigione, ma la chiave era troppo fonda nella sua
tasca e il cattivo compare ci giaceva sopra con tutto il
suo freddo peso. Tutti gli animali erano disperati. Se
la primavera tardava ancora sarebbe stata per tutti la
morte.
A un tratto qualche cosa di luminoso brillò sul bruno
pavimento della grotta. “Raggio di sole, Raggio di
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sole!” gridarono tutti “Sei venuto a salvarci?”
“Certo” rispose Raggio di sole “io accompagno
sempre la primavera nel suo viaggio di ritorno alla
terra e sto seduto sulla sua spalla. Quando bufera e
ghiaccio hanno preso la primavera io sono scappato
in tempo e loro non se ne sono accorti.”
“Ti prego Raggio di sole” disse coniglio “scaldami un
po’ la spalla che sono pieno di dolori e raccontaci
come farai a salvarci.”
Il raggio di sole si posò sulla schiena del coniglio che
se la godeva davvero, poi iniziò a parlare. “Quando ho
visto quello che i due servi dell’inverno hanno fatto,
sono corso subito in cielo a chiedere aiuto.” “E poi?”
esclamarono gli animali.
“State a vedere” disse il raggio di sole e scivolò dalla
schiena del coniglio, uscì dalla grotta buia e fredda e
si diresse verso il torrente.
Il coniglio capì tutto al volo. Dove raggio di sole
passava fiorivano dei fiorellini gialli a forma di chiavi,
le chiavi del paradiso.
Il coniglio ne staccò una dal suolo con i suoi denti
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taglienti e la avvicinò alla porta della prigione della
primavera.
La primavera uscì, cacciò l’inverno e i suoi compari
che, in fondo sognavano già il Polo.
Da quel giorno il piccolo fiore giallo che spunta sui
prati ancora gialli dall’ inverno si chiamò “Chiave del
paradiso” perché apre la porta alla primavera.
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100
PRIMAVERA
Primavera vien danzando,
vien danzando alla tua porta:
- Sai tu dirmi che ti porta?-
Ghirlandette di farfalle,
campanelle di vilucchi,
quali azzurri, quali gialli
e poi rose a mazzi a mucchi!
INDOVINAINDOVINAINDOVINAINDOVINA
Verdi e piccini
Fatti a pallini
Stiam dentro una buccia
Verdina verduccia
Siam tutti fratelli
Ci chiaman…….
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FATA PRIMAVERAFATA PRIMAVERAFATA PRIMAVERAFATA PRIMAVERA
I primi tepori sono cominciati.
Gli alberi li sentono e dicono:
- E’ ora di svegliarsi, dopo il
lungo sonno che abbiamo
fatto. L’inverno, finalmente, se
ne va col suo abbaglio di neve,
di ghiaccio e di brina; lo porterà
lontano lontano…-
L’erbetta alza la testina ancora
insonnolita per sapere
qualcosa della Fata Primavera.
Fata Primavera sta arrivando e
manda avanti i suoi tepori.
Appena giunta, toccando le
pianticelle dirà:
- Non temete, ora ci sono io
che vi accarezzo. Le mie mani
non sono di gelo: sono tiepide,
al mio tocco le vostre gemme 102
sbocceranno. Fiori e foglie
ricopriranno i vostri rami nudi.
E tu erbetta, ritornerai verde e
vellutata.
Tutte le piante, perciò,
attendono, cariche di desiderio,
l’arrivo di Fata Primavera.
P. BORANGA
APE + R + mezzo TORO =
………………………………..
103
L’ASTUZIA DI BERTOLDO
- Qual è il giorno più lungo? – chiese il re a Bertoldo.
- Quello in cui si resta senza mangiare. – rispose
Bertoldo.
- Qual è la donna che balla sempre nell’acqua? –
- La barca.-
- Qual è la cosa più bianca?-
- Il giorno.-
- Più del latte? –
- Più del latte e anche della neve. –
- Se non me lo dimostri – concluse il re – ti farò
bastonare.
Allora Bertoldo prese un secchio di latte, lo portò di
nascosto nella camera del re e chiuse le finestre e le
imposte. Il re, entrando in camera, vi inciampò,
rovesciandolo e per poco non cadde egli stesso.
- Chi è stato - gridò indignato – che ha posto quel
secchio di latte nella mia camera e ha serrato le
imposte per farmi cadere?
104
- Sono stato io – rispose Bertoldo – e l’ho fatto per
provarti che il giorno è più bianco del latte. Se non
fosse così, il latte ti avrebbe rischiarata la camera e tu
non avresti fatto cadere il secchio.
DAL BERTOLDO
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IL BRUCO
Fermo sopra una foglia il bruco guardava intorno: chi
cantava, chi saltava, chi correva, chi volava; tutti gli
insetti erano in continuo movimento. Lui solo,
poveretto, non aveva luce, non correva e non volava.
Con grande fatica riusciva a muoversi, ma così piano,
che quando passava da una foglia all’altra gli
sembrava di aver fatto il giro del mondo. Eppure non
invidiava nessuno. Sapeva di essere un bruco, e che i
bruchi dovevano imparare a filare una bava
sottilissima per tessere, con arte meravigliosa, la loro
casetta.
Perciò, con molto impegno, incominciò il suo lavoro.
In breve tempo il bruco si trovò chiuso in un tiepido
bozzolo di seta, isolato dal resto del mondo.
“E ora?” si chiese.
“Ora aspetta” gli rispose una voce. “Ancora un po’ di
pazienza e vedrai”.
Al momento giusto il bruco si destò, e non era più un
bruco.
106
Uscì fuori dal bozzolo con due ali bellissime, dipinte di
vivi colori, e subito si levò alto nel cielo.
107
108
IL CERVO VANITOSO
Sulle montagne viveva un cervo molto vanitoso. Ogni
volta che passava vicino ad una pozza d'acqua non
perdeva l'occasione di specchiarvisi.
“Come sono bello!” diceva ogni volta tra sé. “Ho un
muso elegante e le corna, poi, sono meravigliose.
Nessun cervo ha le corna più slanciate e maestose
delle mie!” Non si sarebbe mai allontanato dall'acqua,
tanto gli piaceva ammirarsi in essa. Erano proprio le
sue corna che lo rendevano fiero. Aveva anche
gambe lunghe e snelle, ma a quelle non badava,
perché anche i suoi simili le avevano uguali.
Apprezzava quell'ornamento della sua testa a tal
punto che, in caso di disgrazia, avrebbe preferito
spezzarsi una gamba piuttosto che rovinarsi le corna.
Ma venne il giorno in cui dovette accorgersi quanto
fosse sbagliato il suo modo di ragionare.
Era l'alba, e il cervo era appena uscito dal suo rifugio
notturno per cercare un po' di erba fresca.
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Stava pascolando in una radura, quando udì alcuni
spari lontani e subito dopo un abbaiare furioso.
Stavano arrivando i cacciatori! Vi fu un fuggi fuggi
generale ed anche il cervo si mise a correre per
nascondersi nel bosco. I cani intanto, fiutata la sua
presenza, lo inseguivano, cercando di raggiungerlo.
“Presto, gambe mie!” pensava tra sé il cervo. “La mia
salvezza dipende da voi! Correte veloci!”
Le zampe del cervo facevano il loro dovere e lo
portarono velocemente fino al bosco. Qui finalmente
l'animale poté respirare.
“Ora penetrerò nel fitto del bosco” si disse; “mi
nasconderò ed i cani non mi troveranno più.”
Ma mentre così pensava, le sue corna s'impigliarono
tra i rami bassi di un albero ed egli si arrestò di colpo.
Si udivano i cani abbaiare sempre più vicino. Allora il
cervo, preso dal terrore, incominciò a scuotersi e a
dimenarsi per liberare le corna impigliate nei rami.
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Inutile! Più tentava di liberarsi, più quelle si
intrecciavano coi rami; ed i cani si avvicinavano
sempre più!
Allora il cervo capì che quelle corna avrebbero
provocato la sua rovina, perché per causa loro i cani
sarebbero riusciti a raggiungerlo.
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IL TOPO DI CITTÀ E IL TOPO DI CAMPAGNA
Un topo, che abitava in una tana scavata nel terreno
in mezzo ai campi, un giorno invitò un suo parente di
città. Per fare onore all'ospite, si procurò un bel po' di
cibo, facendosi aiutare anche dai vicini.
Trovò delle ottime noci mature, un bel po' di nocciole,
ghiande e semi di vario tipo, uva matura e persino una
bella mela rossa.
Sperava proprio di far contento il suo parente
cittadino, ma questi, abituato ai cibi di città, aveva
gusti raffinati. A tavola, anziché gustare quei cibi
genuini, se ne mostrò piuttosto infastidito e assaggiò
appena qualche acino di uva passa.
Il topo di campagna restò assai mortificato, specie
quando vide che il suo parente di città voleva far le
valigie per tornarsene a casa sua. Ma si rinfrancò un
po' quando questi gli disse:
112
“Sei stato molto gentile ad invitarmi. Ora vorrei
ricambiare. Vieni a trovarmi in città; ti farò vedere
dove abito e come si sta bene.”
Qualche giorno dopo il topino si presentò dal suo
parente di città.
“Oh! Com'è bello qui!” esclamò stupito.
Quando si trattò di mettersi a tavola, il topo di
campagna restò senza fiato nel vedere l'abbondanza
e la varietà dei cibi raffinati che il suo parente gli
offriva.
Pensava già di fare un magnifico pranzo e si
accingeva a mettersi a tavola, quando un colpo di
scopa lo fece ruzzolare lontano insieme col suo
ospite.
“Topacci maledetti!” gridava la voce di una donna.
“Ora ci penso io. Fufi, vieni qui, presto!”
E a quel richiamo apparve un enorme gatto nero.
“Presto! Da questa parte” gli gridò il topo di città,
fuggendo dentro un buco.
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Il topo di campagna fece appena in tempo a seguirlo
sfuggendo agli artigli del gatto. Come si fu rimesso
dallo spavento, decise di tornarsene in campagna e
disse al suo parente: “Ti ringrazio dell'invito. In città
hai tutto quello che vuoi. Ma preferisco mangiare solo
qualche ghianda ed essere libero, invece di vivere
nell'abbondanza ed essere sempre in preda dello
spavento.”
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IL LUPO E L’AGNELLO
Un lupo vagava per la foresta sempre affamato.
Giunto ad un ruscello, vide un agnellino che, chino
sull'acqua fresca, si abbeverava, e decise di
mangiarselo subito: un bocconcino così buono non gli
capitava da un bel pezzo!
Si accinse a saltargli addosso, ma si arrestò un
momento, pensando:”Se qualcuno mi vede, che figura
faccio a mangiare una bestiola così debole che non è
nemmeno in grado di difendersi? Devo trovare una
scusa buona per sbranarla!”
Corse un poco più in alto, lungo il ruscello, in modo
che l'agnellino lo potesse vedere bene, e finse di bere
anche lui. Poi, facendo mostra di essere molto
arrabbiato, esclamò: “Ehi tu! Perché mi sporchi
l'acqua? Non vedi che sto bevendo? Nessuno ti ha
insegnato l'educazione?”
“Mi spiace, signor lupo” gli rispose il vocino sottile
dell'agnello “ma è impossibile che io le sporchi
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l'acqua. Mi trovo più in basso di lei, e l'acqua che io
tocco non può salire.”
Di fronte all'evidenza della bugia che aveva detto, il
lupo rimase senza parole, ma poi si riprese:
“Tu però ce l'hai con me” disse all'agnello cercando
un altro pretesto. “Mi hanno riferito che sei mesi fa tu
hai detto sul mio conto delle cose che non mi
piacciono affatto. Sei un calunniatore, e io so bene
come si devono punire i tipi come te!”
Ma aveva ancora scelto male la scusa, perché
l'agnello gli rispose: “Impossibile che io abbia parlato
male di lei sei mesi fa, signor lupo! Io a quel tempo
non ero ancora nato!”
Allora il lupo si spazientì. Non era riuscito a trovare
una scusa valida per mangiarsi l'agnello, mentre la
fame si faceva sempre più sentire: “Bene!” disse la
belva. “Non m'importa nulla! Se non sei stato tu a
parlar male di me, sarà stato tuo padre!”
E con un balzo gli fu addosso e lo sbranò.
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STORIA DI UN CHICCO DI GRANO
C’era una volta un chicco di grano. Nel chicco stava chiusa una
piantina.
Un bimbo piantò il chicco in un vaso. Sotto terra la piantina si
animava: “Voglio diventare grande. Voglio uscire da questa prigione
e rivedere il sole. Ma per crescere bisogna mangiare; come farò?
Oh, guarda! In questo granello c’è una buona provvista di farina”.
Mangiò e crebbe fino a diventare una pianticella.
“Ora come farò? – si chiese – Ma guarda!”
Anche sulla terra c’era qualche cosa da mangiare.
“Radici mie sprofondatevi nella terra…”
Così la piantina crebbe e mise spiga. Il sole diede l’oro dei suoi
raggi e la spiga maturò cento chicchi di grano.
GASPARINI
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LA LITE
In un caldissimo giorno d'estate, un leone e un cinghiale giunsero
alla stessa pozza di acqua. Sul terreno intorno erano impresse le
tracce di molti cervi e capre, volpi e sciacalli, elefanti e rinoceronti,
nessuno dei quali avrebbe osato abbeverarsi insieme al leone,
perché ne avevano troppa paura. Ma, il feroce cinghiale con le sue
zanne affilate, era forte quanto il leone con i suoi crudeli arti.
Il cinghiale si avvicinò alla pozza, ma prima che potesse bere il
leone, nell'impazienza di raggiungere l'acqua, lo spinse da parte.
-Sono arrivato prima di te -grugnì furiosamente il cinghiale -quindi
ho diritto di bere per primo! -
-Fuori dai piedi!- ruggì il leone. -Berrai quando mi sarò dissetato io.-
-Se non aspetti il tuo turno ti farò a pezzi con le mie zanne affilate!-
lo minacciò il cinghiale.
-Ti ridurrò a brandelli con gli artigli, se non ti levi di torno!- replicò il
leone.
E di colpo si lanciarono l'uno contro l'altro, decisi a battersi
all'ultimo sangue. Il cinghiale assalì il leone lacerandogli i fianchi
fino a farne sgorgare abbondantemente il sangue. Il leone balzò sul
cinghiale e lo colpì con gli artigli al punto che il poveraccio si
reggeva a malapena in piedi.
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D'un tratto udirono un fruscio tra gli alberi, e guardando in su
scorsero un gruppo di neri avvoltoi appollaiati sui rami sopra di loro:
erano in attesa di divorare quello dei due che sarebbe morto. Non ci
volle altro per por fine alla lite!
Il leone disse: -Veniamo ad una tregua: è meglio per noi essere
amici, piuttosto che finire in pasto a quegli uccelli del malaugurio! -
Il cinghiale accettò di cuore: così, leccandosi le ferite, bevvero a
turno e si lasciarono da buoni amici.
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123
LA FORMICA E IL CHICCO DI GRANO
Un chicco di grano, rimasto solo nel campo dopo la mietitura,
aspettava la pioggia per tornare a nascondersi sotto le zolle.
Una formica lo vide, se lo caricò addosso e si avviò, con grande
fatica, verso il nido lontano.
Cammina e cammina, il chicco di grano sembrava diventare
sempre più pesante sulle spalle affaticate della formica.
“Perché non mi lasci stare?” disse il chicco di grano.
La formica rispose:
“Se ti lascio stare, non avremo provviste per quest'inverno. Siamo
in tante, noi formiche, e ciascuna di noi deve portare nella dispensa
quanto più cibo riesce a trovare.”
“Ma io non sono fatto soltanto per essere mangiato” seguitò il
chicco di grano. “io sono un seme pieno di vita e il mio destino è
quello di far nascere una pianta. Ascoltami, cara formica; facciamo
un patto.”
La formica, contenta di riposarsi un po’, depose il chicco di grano e
chiese:
“Quale patto?”
“Se tu mi lasci qui nel mio campo” disse il chicco di grano
“rinunciando a portarmi nel tuo nido, io, fra un anno, ti restituirò
cento chicchi uguali a me.”
La formica lo guardò con aria incredula.
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“Sì, cara formica. Credi a quello che ti dico. Se oggi tu rinunci a me,
io ti darò cento me, ti regalerò cento chicchi di grano per il tuo nido.”
La formica pensò:
«Cento chicchi in cambio di uno solo; ma è un miracolo!»
“E come farai?” chiese al chicco di grano.
“E’ un mistero” rispose il chicco di grano. “E’ il mistero della vita.
Scava una piccola fossa, seppelliscimi lì dentro e ritorna fra un
anno.”
L'anno dopo la formica ritornò. Il chicco di grano aveva mantenuto
la promessa.
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LA FORMICA PREVIDENTE
Era estate. Il sole splendeva tutto il giorno; nei campi maturava il
grano, gli alberi erano carichi di frutti e i fiori riboccavano di nettare.
Per gli insetti era una festa: nessuna fatica per trovare il cibo, era lì
che aspettava solo di essere raccolto. La farfalla svolazzava
pigramente nell'aria calda, la cicala, oziosamente aggrappata a una
foglia, strideva la sua canzone e si godeva il sole.
Ma la formica previdente continuava a darsi da fare: per tutta
l'estate non aveva cessato di affannarsi nei campi, raccogliendo
chicchi di grano e d'orzo e immagazzinandoli per l'inverno.
-Ora è caldo e asciutto- pensava. -Ma presto sarà freddo e piovoso.
Neve e ghiaccio copriranno la terra e non si troverà più il cibo.-
Invece lo scarabeo dal nero e lucido corpo era imprevidente:
passava tutta l'estate a crogiolarsi al sole su una pietra piatta e,
guardando la formica affaccendata, le rideva dietro.
-Perché ti preoccupi tanto del lavoro?- la scherniva. -Non sai che è
estate, la stagione in cui tutte le creature si riposano dalle loro
fatiche?
Ma la formica era troppo indaffarata per porgergli ascolto: non lo
degnava di uno sguardo ogni volta che gli passava accanto con un
nuovo carico di chicchi per il suo magazzino.
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Venne l'inverno. Venti gelidi sferzarono il paese; cadde la pioggia.
Poi la neve coprì il terreno e l'acqua gelò.
Invano lo scarabeo cercò qualcosa da mettere sotto i denti: non
trovava neanche una briciola di cibo. Era stremato dalla fame. Alla
fine, tremante e languente, giunse davanti alla tana della formica.
Questa se ne stava al calduccio, sorvegliando il suo prezioso
tesoro: i chicchi di grano e d'orzo che aveva raccolto durante
l'estate.
-Dammi un po’ del tuo cibo, o morirò di fame!- pregò lo scarabeo.
La formica, gli lanciò uno sguardo di scherno.
-Non ho cibo che mi avanzi!- rispose.
-Avresti dovuto lavorare come ho fatto io durante l' estate, per
accumulare le tue provviste; invece, te ne sei stato su un sasso a
far nulla, solo a prendermi in giro per la mia operosità. Non è colpa
mia se ora hai fame.
Lo scarabeo si allontanò tristemente, e non passò molto tempo che
avvenne quel che aveva temuto: morì di fame.
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IL BASTONE FIORITO
Tanti anni fa visse un eremita che aveva il suo rifugio nel folto di un
bosco e trascorreva tutto il tempo in preghiera. Si nutriva solo di
erbe e di frutti, e un Angelo ogni giorno scendeva dal Cielo a
parlargli del Paradiso. Un giorno che il tempo si era guastato,
l'eremita non poté girare per il bosco in cerca della poca cicoria e
delle quattro castagne che gli servivano per sopravvivere. Allora
perse la pazienza ed esclamò: “Che giornataccia!” Per nove giorni
l'Angelo non si fece vedere: tornò soltanto il decimo giorno, ma era
triste. “Il Signore è adirato con te perché hai perso la pazienza e hai
osato criticare la sua opera. Dovrai fare penitenza. Pianta il tuo
bastone in terra e scendi tre volte al giorno al fiume: riempiti la
bocca d'acqua e con quella innaffia il bastone. Quando quello
fiorirà, io tornerò e ti accompagnerò in Paradiso.” L'eremita non
poté fare altro che obbedire: tutti i giorni, all'alba, a mezzogiorno e
al tramonto scendeva al fiume, si riempiva la bocca d'acqua e
tornava nel bosco ad innaffiare il bastone secco e inaridito. Un
giorno giunse là un feroce brigante, notò lo strano andirivieni
dell'eremita, e, pieno di stupore, gli chiese il perché di tutto
quell'affannarsi. Quando l'ebbe saputo si mise a ridere. “Ma come!
Credi davvero che quel bastone, tagliato dall'albero chissà quanti
anni fa, possa fiorire? E poi, una penitenza così dura, per una colpa
così piccola! Allora io, che ho commesso tanti delitti, cosa dovrei
fare per entrare in Paradiso?” “La misericordia di Dio è infinita” gli
rispose l'eremita stringendosi nelle spalle. Il brigante adesso non
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rideva più e dopo aver riflettuto a lungo disse: “Voglio crederti:
resterò qui con te e seguirò il tuo esempio.” Profondamente pentito
dei suoi delitti, il brigante cominciò a fare penitenza e a pregare.
Piantato in terra il suo bastone, andava al fiume tre volte al giorno,
all'alba, a mezzo giorno e al tramonto, tornava con la bocca piena
d'acqua e lo innaffiava, ma non sperava davvero che il bastone di
un peccatore come lui potesse una volta o l'altra fiorire. Era però
contento di fare penitenza. Una mattina l'eremita lo chiamò e gli
disse: “ Guarda! Il tuo bastone è fiorito e il mio no!” Allora scese dal
Cielo un Angelo, chiamò a sé il brigante e lo portò in Paradiso.
Invece il bastone dell'eremita fiorì molto tempo dopo: il vecchio non
si era pentito così profondamente come il brigante e anzi qualche
volta quando scendeva al fiume per prendere l'acqua con la bocca
brontolava tra sé e sé che in fin dei conti quella penitenza era un
po' troppo severa per una colpa tanto piccola.
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INDICE
VIEN L’AUTUNNO pag. 4
LA VENDEMMIA pag. 5
LA CASTAGNA pag. 6
PARLA LA G…G… pag. 7
ZUCCONE pag. 8
LE VOCALI pag. 9
NANI pag. 11
VENTI NANETTI pag. 12
IL POLLAIO pag. 13
GALLO GALLETTO pag. 14
ORA CONTIAMO NOI pag. 14
IL PRINCIPE RANOCCHIO pag. 15
CRA CRA CRA pag. 16
LA CAPRA pag. 16
PARLANO I NUMERI pag. 17
L’ A L F A B E T O pag. 20
IL GIRASOLE E IL SOLE pag. 21
INDOVINA CHE COS’E’ pag. 23
LA PELLE DEL LEONE pag. 24
LA PECORA E LA RONDINE pag. 25
IL VENTO E IL SOLE pag. 27
IL CORVO E LA VOLPE pag. 29
SALVARE CAPRA E CAVOLI pag. 32
LA LINGUA E LE ORECCHIE pag. 35
LA FORMICA E LA COLOMBA pag. 36
LE DITA pag. 38
IL FUMO, LA FULIGGINE E LA CENERE pag. 41
L’OMBRA pag. 43
L’AVARO pag. 45
IL TORO pag. 47
LO SCOIATTOLO pag. 49
L’ELEFANTE pag. 52
IL CONTADINO E I COCOMERI pag. 55
I N V E R N O pag. 58
VIEN L’INVERNO pag. 59
PRESEPIO pag. 60
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GHIRLANDETTA DEI MESI pag. 61
IL SALE E IL GHIACCIO pag. 62
IL NOCCIOLO E L’ULIVO pag. 64
L’ASTRONOMO pag. 66
L’ABETE E IL ROVO pag. 68
IL SALICE PIANGENTE pag. 70
L’ASINO STOLTO pag. 72
LA CHIAVE D’ORO pag. 75
LA QUERCIA E IL GIUNCO pag. 77
LA FOGLIA DEL PIOPPO pag. 79
IL FASCIO DI VERGHE pag. 82
IL PAPPAGALLO INTELLIGENTE pag. 85
IL BOSCAIOLO E LO SPIRITO DEL FIUME pag. 88
CARNEVALE pag. 91
PULCINELLA E GLI SPECCHI pag. 92
LE CHIAVI DEL PARADISO pag. 94
MOTIVO DI PRIMAVERA pag. 99
PRIMAVERA pag. 100
FATA PRIMAVERA pag. 101
L’ASTUZIA DI BERTOLDO pag. 103
IL BRUCO pag. 105
IL CERVO VANITOSO pag. 108
IL TOPO DI CITTÀ E IL TOPO DI CAMPAGNA pag. 111
IL LUPO E L'AGNELLO pag. 115
ESTATE pag. 118
STORIA DI UN CHICCO DI GRANO pag. 119
LA LITE pag. 120
LA FORMICA E IL CHICCO DI GRANO pag. 123
LA FORMICA PREVIDENTE pag. 126
IL BASTONE FIORITO pag. 129
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