milano 4ever
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GiveMeAChance Editoria Online
Milano 4Ever
Urmila Chakraborty
GiveMeAChance Editoria Online
Tutti i diritti riservati La riproduzione parziale o totale del presente libro è sog-getta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare spe-cifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Dicembre 2013
www.givemeachance.it
Indice Indice Indice Indice
ACKNOWLEDGEMENT .............................................................................. 5
PREFAZIONE DELL’AUTORE.................................................................... 7
L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA ........................................................... 14
SENSO DI APPARTENENZA ................................................................... 21
VEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE ........................................................ 29
PIAZZA CORDUSIO – LA POSTA CENTRALE ........................................ 36
SOLO CAFFE? ......................................................................................... 43
SEI STRANO? .......................................................................................... 50
NON E’ UNA FAVOLA .............................................................................. 57
PIU’ DI UN CAPPOTTO VERDE ............................................................... 63
PESCE ALLA METROPOLITANA MILANESE .......................................... 69
INNOVAZIONE ......................................................................................... 77
UNA MANCIATA DI LIRE ......................................................................... 82
IL MIO EDITORE ...................................................................................... 88
MEDAGLIA D’ORO ................................................................................... 99
IL NOSTRO CONDOMINIO .................................................................... 101
RICOMINCIARE NEL ‘99 ........................................................................ 104
COSI’ LONTANI, COSI’ VICINI ............................................................... 109
COME GUARDARE ALLA VITA ............................................................. 114
OGNUNO HA LA SUA MILANO IN TESTA ............................................. 118
UN DONO INASPETTATO ..................................................................... 123
MILAN TO CAIRO ................................................................................... 129
IL POSTINO ............................................................................................ 136
UN TEMPO PER COMUNICARE ........................................................... 139
IL DRAGO ............................................................................................... 144
NOTE MILANESI .................................................................................... 149
MILANO = VERGINE .............................................................................. 152
EPILOGO ................................................................................................ 159
Contents Contents Contents Contents
ACKNOWLEDGEMENTS ....................................................................... 177
PREFACE ............................................................................................... 179
ANTEO AND MY PINK PEARLS ............................................................ 186
A SENSE OF BELONGING .................................................................... 192
SEEING IS BELIEVING? ........................................................................ 199
PIAZZA CORDUSIO: POST OFFICE ..................................................... 205
JUST COFFEE? ..................................................................................... 211
ARE YOU STRANGE? ........................................................................... 218
NOT A FAIRY TALE ............................................................................... 224
MORE THAN A GREEN COAT .............................................................. 231
MILAN METRO FISH .............................................................................. 237
INNOVATION ......................................................................................... 245
A HANDFUL OF LIRAS .......................................................................... 250
MY PUBLISHER ..................................................................................... 256
GOLD MEDAL ........................................................................................ 267
OUR CONDOMINIUM ............................................................................ 270
RESTARTING IN 1999 ........................................................................... 274
SO NEAR BUT YET SO FAR? ............................................................... 280
LOOKING AT LIFE ................................................................................. 286
EVERYBODY HAS HIS OWN MILAN ..................................................... 290
AN UNEXPECTED GIFT ........................................................................ 296
MILAN TO CAIRO .................................................................................. 302
OUR POSTMAN ..................................................................................... 309
A TIME TO TALK .................................................................................... 312
THE DRAGON ........................................................................................ 317
MILANESE NOTES ................................................................................ 323
MILAN=VIRGO ....................................................................................... 326
EPILOGUE ............................................................................................. 332
5
AcknowledgementAcknowledgementAcknowledgementAcknowledgement
Questo libro ha richiesto circa due anni dal concepimen-
to alla nascita ed è il risultato del contributo e dello sforzo
congiunto di numerose persone. Vorrei ringraziare tutti co-
loro che hanno generosamente condiviso i loro pensieri ed
esperienze e mi hanno aiutato a realizzarlo: sono davvero
grata agli amici per il loro sostegno e incoraggiamento.
Credo che questo libro non sia solo mio, ma NOSTRO.
Un grazie a:
Antonella Scott,
Barbara Sella
Caty Musci
Luigi Ambrosi
Marta Colombo
Marinella Campagnoli
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Martino Pillitteri
Silvia Ongaro
Silvia Staurengo e
Tullia Gianoncelli
per il loro diretto contribuito .
Un ringraziamento speciale a Isabella Pierantoni per il suo
prezioso contributo, a Daniela Cattaneo per il meraviglioso
dipinto creato appositamente e a Katia Tosini per la sua
interpretazione astrologica.
Ho molto apprezzato anche il sostegno e l'incoraggiamen-
to di Bernardo Ruggiero, Angelina Caria, Emanuela Pla-
no, Fiammetta del'Osso, Gretchen Romig, Laura Notaro,
Laura Tosini, Paolo Iachetti, Umberto Buffa e della mia
editrice Carola Goglio.
Grazie e grazie ancora a Mirella Caumo per il suo soste-
gno senza riserve ed entusiasmo per tutti i miei progetti:
senza di lei, questo libro non avrebbe visto la luce e, ulti-
mo ma non meno importante, un grazie ai miei due uomi-
ni, Sumanta e Rudra.
7
PrefazionePrefazionePrefazionePrefazione dell’autoredell’autoredell’autoredell’autore
Sono atterrata a Linate in una giornata fredda, grigia e
cupa. Non sono rimasta affatto impressionata dall'aeropor-
to, che non mi era sembrato l'aeroporto della capitale
economica di un Paese del G8 . In realtà mi sembrava
piuttosto provinciale e un po’ troppo pretenzioso. Beh, or-
mai ero qui e sapevo che ci sarei dovuta restare per un
po’, ma a dir poco ero rimasta piuttosto delusa. Una volta
fuori dall’aeroporto le cose mi sembrarono un po’ migliori:
un breve viaggio in una bella Mercedes verso Milano Due.
L’ufficio di mio marito era a Vimodrone e la sua società ci
aveva fornito alloggio, come a tutti i suoi dipendenti pro-
venienti dall'estero, presso il Jolly Residence. Certo, il re-
sidence era bello, ma niente di eccezionale e davvero non
molto diverso da, per esempio, Le Cristal a Jakarta o da
qualunque buon residence in qualsiasi parte del mondo!
Quindi il mio rapporto con Milano non è proprio iniziato
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con il piede giusto e non è stato certamente amore a pri-
ma vista, ma nel corso degli anni mi sono innamorata di
questa città. Un amore maturo e profondo fondato sulla
sua comprensione.
Ho capito col tempo che la mia delusione iniziale non era
dovuta a carenze della città, ma era causata delle mie
aspettative basate su alcune idee preconcette. Appena
ho iniziato a girare per Milano, sono stata impressionata
dal Duomo, affascinata dal Castello, lasciata senza fiato
da Brera, ma anche allora ero ancora una banale turista
conquistata dalle attrazioni più evidenti, quelle di cui si
parla nelle guide turistiche. Quando ho avuto modo di co-
noscere meglio la città, essa mi ha lentamente dispiegato
la sua miriade di segreti. Una bella ed elegante signora,
un po’ riservata, che lentamente ma inesorabilmente ha
teso le sue braccia verso di me in un abbraccio caldo e
forte .
Sono nata nella lontana India e mai avrei immaginato che
la città che avrei conosciuto e amato di più in questo
PREFAZIONE DELL’AUTORE
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grande, grande mondo sarebbe stata proprio Milano! Og-
gi, quando atterro a Malpensa, la mia sensazione è di tor-
nare a casa; e quando le autorità di frontiera mi chiedono:
"Perché è qui e dove sta andando?", la mia risposta è: "Io
vivo qui e sto solo andando a casa" restano un po’ spiaz-
zati! Questa città mi ha dato tanto e qui ho conosciuto
molte persone che hanno condiviso la loro vita con me,
perché ogni volta che si incontra una persona, si condivide
un momento della propria vita e in questo incontro c’è
sempre uno scambio più o meno percepibile. Si ritiene che
Milano sia una città fredda e i milanesi non sono certo
famosi per il loro calore e la loro cordialità, ma ho sempre
percepito questa città come positiva e dinamica con una
buona volontà e un’intrinseca tolleranza. In questo periodo
di recessione e crisi finanziaria noi milanesi continuiamo
ad essere attivi come prima e a lavorare sodo come sem-
pre, ma siamo anche consapevoli del fatto che abbiamo
bisogno di qualcosa di NUOVO, di qualche CAMBIAMEN-
TO e, naturalmente, che dobbiamo trovare le soluzioni in
noi stessi.
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Diverse persone stanno focalizzando i propri sforzi e le
proprie energie in svariati campi per trovare quel "qualco-
sa". Non possiamo solamente lamentarci o semplice-
mente rinunciare. Milano è una città che è nata secoli fa e
deve aver attraversato e superato ben altre crisi nel corso
della sua lunga e vitale esistenza .
L'idea di questo libro nasce dal mio amore per Milano.
Nella mia professione ho la fortuna di poter incontrare e
interagire con un sacco di persone e durante le mie lezioni
posso davvero ascoltare quello che hanno da dire. So per
certo che la mia Milano non fa notizia, non è la Milano del-
la moda, del calcio o della finanza, ma è piena di gente
laboriosa, onesta e propositiva e allora perché non rac-
contare le loro storie? Una ventata di positività in un pe-
riodo in cui tutto e tutti sembrano essere immersi nella
negatività. Dopotutto queste persone sono la città e la città
è la loro. Naturalmente la vita ha molti problemi, talvolta
piccoli, altre volte grandi e forse anche insormontabili, ma
troppo spesso lasciamo che la nostra visione delle cose
sia talmente oscurata dagli eventi negativi che non riu-
PREFAZIONE DELL’AUTORE
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sciamo nemmeno ad apprezzare le cose positive che ci
circondano.
Le nostre vite sono piene di tante piccole gioie e di bei
piccoli gesti, quindi perché non condividerli con gli altri e
cercare di diffondere un po’di pensiero positivo e di ener-
gia? Spero che queste storie sulla città scaldino il cuore,
strappino un sorriso e magari riportino alla memoria qual-
che piacevole momento della vostra vita. La mia idea non
è quella né di dare insegnamenti, né di fare prediche, ma
solo di condividere con voi alcuni frammenti di vita quoti-
diana , belli e commoventi, nella nostra amata Milano.
TUTTI gli episodi narrati in questo volume sono reali: ho
dovuto talvolta cambiare alcuni nomi e luoghi, ma gli even-
ti non sono stati in alcun modo modificati o alterati.
Ho diviso il libro in due sezioni principali: Docu stories e
Crowd sourcing . La prima parte è basata sulle mie espe-
rienze a Milano e la seconda è una raccolta di contributi
mandati da diverse persone. Il libro è scritto nelle due lin-
gue ma la parte in italiano non è la traduzione letteraria di
quella inglese, ognuna è una versione indipendente.
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Spero che la lettura di questo libro vi piaccia quanto a me
è piaciuto scriverlo.
13 Luglio 2013
Bubbiano, Milano
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Docu Stories
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L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSAL’ANTEO E LE MIE PERLE ROSAL’ANTEO E LE MIE PERLE ROSAL’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA
Ho conosciuto mio marito nel 1976, quando eravamo a
scuola a Calcutta e credo che l'Italia fosse nel nostro kar-
ma. Entrambi abbiamo studiato in una scuola privata a
Calcutta e il nostro corso di "English Debate e Drama" ge-
neralmente sceglieva di mettere in scena, per il nostro
spettacolo annuale, opere teatrali inglesi classiche - Wilde,
Shaw, Shakespeare e così via.
Ma nel 1975 la nostra scuola aveva assunto un giovane e
affascinante insegnante di Lingua Inglese che intendeva
cambiare tutto e che ci ripeteva spesso, con convinzione:
"Tutto ciò che è nuovo è buono", certamente un’idea opi-
nabile, ma di fatto è così che ha condotto il corso!
Quell'anno propose di mettere in scena una delle opere di
Morris Maeterlinck. Ci lesse un certo numero di brani di
opere teatrali famose come The Intruder, The Blind, The
Bluebird ma alla fine, quello scelto fu A Miracle of Saint
L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA
15
Anotony, inutile dire, ambientato a Padova, in Italia . È co-
sì che ho conosciuto mio marito, io recitavo il ruolo di Vir-
ginia, la cameriera, e mio marito quello di Gustavo, il pa-
drone. Da allora l'Italia è sempre stata presente nella no-
stra vita e nei nostri sogni ma questa è un'altra storia, oggi
voglio raccontarvi delle mie perle giapponesi.
Nel 1980 abitavamo a New Delhi, mio marito lavorava nel-
la più grande azienda energetica indiana ed era stato
coinvolto in un progetto che aveva partner giapponesi. Sto
parlando di più di 30 anni fa, cioè molto prima dell'epoca
della globalizzazione. Viaggiare all'estero era ancora
qualcosa d’insolito e soprattutto in Giappone perché in
quel periodo, per l'India, i pochi legami d'affari internazio-
nali erano principalmente con il Regno Unito, gli Stati Uniti
e l'allora Unione Sovietica.
Mio marito era un membro fondamentale del team del
progetto, ma anche il più giovane, gli venne comunque
chiesto di prepararsi per un viaggio di lavoro a Tokyo.
Eravamo poco più che ventenni e ricordo quanto fossimo
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eccitati all'idea; ho chiesto a mio marito di comprarmi, du-
rante il suo viaggio, una collana di perle rosa giapponesi .
E invece quel viaggio non lo fece, andarono in Giappone
solo i i dirigenti che lasciarono “a casa” tutto il personale
junior. Eravamo arrabbiati e delusi, ma avevamo capito
sche dovevamo uscire dal nostro mondo di ideali e comin-
ciare ad affrontare la realtà della vita. Comunque sia, chi
se ne importa ....
Dopo il successo del tour giapponese la società organizzò
una grande festa presso l'Hyatt Regency per celebrare
l'affare invitando, questa volta, tutta la squadra, assieme
alla società giapponese. Uno dei direttori, che era andato
a Tokyo al posto di mio marito mi si avvicinò, cominciando
a parlarmi in modo condiscendente, dicendomi frasi come
“spero tuo marito non sia rimasto troppo deluso, sai cose
come queste possono succedere...” e accanto a lui c'era
la sorridente moglie, con uno splendido filo di perle giap-
ponesi .
Sono una persona molto indipendente, in India sono tal-
volta considerata troppo aggressiva per essere una don-
L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA
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na, in ogni caso non posso sopportare qualsiasi tipo di
condiscendenza e, naturalmente, a quel tempo ero davve-
ro molto giovane e non ho neanche provato a essere di-
plomatica e politicamente corretta così ho detto: "No, per-
ché dovrebbe essere deluso? Sono sicura che nei prossi-
mi anni viaggerà spesso in tutto il mondo ,spero invece
che Lei abbia fatto un viaggio di successo". Certamente si
era trattato di un commento molto avventato e sfacciato,
ma ormai l’avevo detto e non potevo rimangiarmi le paro-
le. Ma, in qualche modo, è diventato realtà: mio marito ha
viaggiato da Bangalore a Berlino e da Milano a Città del
Messico, proprio come avevo inconsapevolmente detto
molte volte.
E naturalmente, come avrete indovinato, dal suo primo
viaggio all'estero mi portò il mio filo di perle rosa, autenti-
che perle giapponesi certificate, anche se comprate a Pa-
rigi! Non ho mai saputo quanto fossero costate, ma per
me quelle perle non hanno prezzo. Significano molto l'a-
more, la giovinezza e l'orgoglio. Questa collana è il mio
bene più prezioso e per questo motivo non la indosso
quasi mai. Ricordo una domenica pomeriggio che decisi di
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indossarla, non so neanche io perché. Siamo andati al no-
stro cinema preferito, l’Anteo di via Milazzo: un cinema
che da sempre affianca a una programmazione sceltissi-
ma, “impegnata” si potrebbe dire, e comunque di qualità,
una serie di spazi ed attività culturali; quella volta proiet-
tavano il film di Ken Loach " Il vento che accarezza l’erba".
È un film potente e a tratti inquietante, che ti lascia scon-
certato, per cui al termine della proiezione ci siamo in-
camminati, in silenzio, verso un bar, dove ci siamo fermati
a bere qualcosa e a pensarci su.
Lì mi sono improvvisamente resa conto che la mia collana
era sparita! Dire che mi sono sentita male, disgustosa-
mente male, è poco. Mio marito, come al solito, aveva
mantenuto la calma e mi aveva detto che saremmo dovuti
tornare all’Anteo a chiedere, così abbiamo lasciato le be-
vande senza averle neanche toccate e siamo andati al
bancone a pagare. Dato che è insolito ordinare da bere e
correre via senza averlo fatto, in risposta allo sguardo in-
terrogativo della cassiera le abbiamo detto quello che era
successo e la sua reazione immediata è stata "Non la tro-
L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA
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verete mai , ma ... " . Gli altri avventori echeggiarono i loro
commenti, raccontando varie storie , ma in ogni caso ave-
vano ragione, all’Anteo ci dissero che il loro personale di
pulizia non aveva riferito nulla. Ormai ero davvero senza
speranza, ma sono riuscita a chiedere, di botto, “Posso
tornare domani mattina?"; mi risposero "Certamente, ma
non pensiamo che ci siano molte possibilità di trovarla".
Imperterrita, la mattina dopo ero lì e non appena il giovane
cassiere mi ha visto mi ha detto "Signora, lei è incredibil-
mente fortunata, una coppia ha trovato le perle e ce le ha
portate, ma non ha lasciato il nome, né l’indirizzo".
Ero euforica e mi sono immaginata un signore anziano,
nel suo completo elegante, scarpe lucide e occhiali alla
moda a braccetto con la moglie in un bel vestito, trovare la
collana e consegnarla alla cassa; so che si sta per dire
che è quello che tutti dovrebbero fare, ma si sa che in
realtà non funziona così! Il mio unico rammarico è quello
di non aver potuto incontrare la coppia per ringraziarla, ma
forse una volta, in qualche modo, capiterà loro di leggere
questa storia, sapete che sono una inguaribile ottimista!
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La collana che già significava l'amore e l'orgoglio da gio-
vani ha ora un valore aggiunto di fiducia.
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SENSO DI APPARTENENZASENSO DI APPARTENENZASENSO DI APPARTENENZASENSO DI APPARTENENZA
Anita era la seconda di tre sorelle ed era completamente
diversa da loro: lei era chiara, mentre loro erano scure,
aveva lunghi capelli lisci e loro avevano i capelli corti e ric-
ci .... bene le differenze erano senza fine e non solo legate
all’apparenza. Una volta, quando era una bambina, la so-
rella maggiore le aveva detto che lei era stata adottata e
questo l’aveva davvero turbata per molti anni: neanche i
suoi genitori avevano capito che scherzo crudele fosse
stato e quanto l’avesse segnata in profondità. Per la mag-
gior parte delle persone sembrava solo una burla, ma per
Anita era stata una ferita profonda dalla quale non è mai
del tutto guarita. Crebbe diventando una persona solitaria,
mai molto vicina alla sua famiglia e non riuscì a farsi degli
amici veri e propri a scuola o all'università. Avrebbe sem-
pre voluto appartenere a qualche luogo e, forse, a qualcu-
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no, ma in ogni rapporto mancava qualcosa. Si sentiva
sempre un po’ insicura e timorosa di essere giudicata.
Dopo il matrimonio, si trasferì a Milano e si innamorò per-
dutamente di questa città, fu conquistata dalla sua bellez-
za e, cosa da non crederci, ha anche amato il suo clima.
Le fredde, grigie e nebbiose giornate invernali le sembra-
vano romantiche e incantevoli. Si sentiva libera in questa
città.... Una società dove nessuno la conosceva e nessu-
no la giudicava. Lei lì non era la figlia o la sorella di nes-
suno, non aveva tradizioni familiari delle quali essere
all’altezza, lei era solo Anita. Avrebbe potuto incontrare
delle persone alle sue condizioni. Per lei, uno degli aspetti
più belli di Milano era stato il fatto di potersi sentire sia
"chiunque" che "qualcuno". Ciò significava che in alcuni
casi poteva proprio perdersi nella folla della città e con-
fondersi con il resto della gente, e nessuno le avrebbe
prestato molta attenzione o mostrato curiosità. In tal modo
poteva agire, vestirsi e comportarsi come voleva e sentirsi
completamente a suo agio. I suoi vicini non la guardavano
SENSO DI APPARTENENZA
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con curiosità, né suoi colleghi di lavoro le facevano com-
menti sprezzanti.
Ma lei mi ha anche spiegato che dall'anonimato del sentir-
si una persona "qualsiasi" ha percepito che si potesse im-
provvisamente diventare "qualcuno", perché se hai un
piano, un sogno, un progetto in mente, è qui, proprio a Mi-
lano, che hai tutti i mezzi necessari per realizzarlo, o al-
meno hai a disposizione tutte le infrastrutture necessarie
per perseguirlo. Milano ti dà sempre la possibilità di prova-
re le cose, naturalmente non può garantire il successo che
può o può non arrivare, ma Milano ti dà sempre un tram-
polino da cui saltare.
Anita era una ragazza con molta fantasia, ma era stato
fatto poco per nutrire la sua creatività. Mi ha detto quanto
fosse contenta di vedere piatti quadrati e rettangolari nei
negozi di Milano, che come sapete sono considerati molto
chic. Beh, molto, molto tempo fa, quando lei era una bam-
bina, aveva espresso il suo parere sullo stile delle stovi-
glie, dichiarando che dei piatti quadrati sarebbero stati me-
ravigliosi. Quel commento le era valso un sacco di scher-
GiveMeAChance Editoria Online
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no e l’aveva resa diffidente nell’esprimere la propria opi-
nione! Ma a Milano poteva proporre quello che voleva, la
gente poteva essere in disaccordo, e talvolta lo era, ma
non c'era disprezzo e tutte le sue idee venivano ascoltate
con rispetto. A Milano ha così potuto lavorare con entusia-
smo su progetti culturali nelle scuole e si è resa conto che
cose che tutti sapevano fare nel suo paese qui erano con-
siderate delle abilità speciali. Una volta, in una scuola, ha
insegnato ai bambini come creare stoppini di candela e
lampade a olio, lasciando le persone semplicemente stu-
pefatte, e ricordava come a casa tutto ciò non fosse affat-
to considerate un talento, per cui se non si ricevevano cri-
tiche per non saperlo fare, di certo l’ opposto non suscita-
va lodi. Ha anche imparato che nulla è assoluto, ciò che
viene considerato speciale in un luogo può essere comu-
ne in un altro, bello in un posto e brutto da qualche altra
parte, tutto è relativo. Come si dice, niente è di per sé
buono o cattivo, è il pensarlo a renderlo tale.
Anita, per la prima volta nella sua vita sentiva un senso di
appartenenza oltre che di libertà. Certamente aveva an-
SENSO DI APPARTENENZA
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che i suoi dubbi occasionali: dopotutto era una straniera e
le cose le sembravano un po’ confuse, perché anche se
lei era considerata “chiara” nel suo paese qui di certo non
era. O, per esempio, quando al suo paese lei andava in un
negozio di alimentari, diceva in un colpo solo tutte le cose
di cui aveva bisogno e così facevano gli altri, ma qui si do-
vevano chiedere le cose una alla volta. Se voleva compra-
re sei uova, cento grammi di prosciutto, un pezzetto di brie
e del pane, allora si devono prima chiedere le uova, una
volta che il commesso le ha preparate chiede "Vuole qual-
cos’altro?", così si dice “Un etto di prosciutto per favore”, e
così via. Per questo a volte si sentiva un po’ disorientata;
ma di certo era sicura che la sua carnagione color miele e
i suoi lunghi capelli scuri erano molto apprezzati a Milano!
Se trovava il droghiere lento e tutto il processo un po’ irri-
tante, beh, non era poi così importante!
Viveva appena fuori Milano e spesso prendeva un auto-
bus intorno alle 9.30, che la portava alla stazione di Bi-
sceglie della metropolitana. Si fermava quasi ogni mattina
in un caffè nelle vicinanze per afferrare una brioche e
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mandar giù un cappuccino. Ultimamente non doveva
nemmeno più ordinarlo, dopotutto era una cliente fissa,
sentiva di appartenere a quel posto. Quando il cameriere
la salutava ogni mattina e diceva “Il solito?” …. era musica
per le sue orecchie. Non si era mai sentita così a suo agio
e benvenuta da nessun’altra parte. Aveva persino preso
l’abitudine di chiacchierare con il cameriere ed i proprieta-
ri, la fermata al caffè era diventata parte integrante della
sua routine quotidiana. Stesso posto, stessa ora, stesse
cose, ma sempre qualcosa di piacevole.
Alcuni mesi fa la sua cara amica Sukanya è venuta a farle
visita da Singapore con il suo bambino di un anno. Le due
amiche avevano deciso di fare una passeggiata e di se-
dersi a un tavolino per una lunga chiacchierata al solito
bar. Erano assorbite dalla loro conversazione mentre il
bambino giocava tranquillo quando vi fu un movimento
brusco e ogni cosa sembrò prendere il volo, tazze, piatti-
ni, bricchi, posacenere, tutto andò in mille pezzi. Mentre le
amiche erano prese dalla chiacchierata, il bambino, an-
noiato, aveva dato uno strattone alla tovaglia colorata.
SENSO DI APPARTENENZA
27
Ora, eccitato da tutto quel trambusto e per l’attenzione ri-
chiamata, gorgogliava per il successo ottenuto. Le due ra-
gazze erano veramente imbarazzate: inutile dire che tutti
gli occhi erano puntati su di loro. Il rumore e la confusione
erano troppi per poter essere ignorati. Sukanya non aveva
idea di cosa fare, mentre Anita si profondeva in scuse e si
offriva di rassettare. Il proprietario e sua moglie al contra-
rio non erano per nulla turbati, ripulirono tutto tranquilla-
mente, continuando a conversare, rassicurandole che con
i piccoli certe cose possono capitare. Il loro primo pensiero
fu per il bambino, che non si fosse fatto male. Quando
Anita si offrì di ripagarli per le stoviglie rotte, i proprietari ri-
fiutarono e le dissero: “Tu sei una di noi, non ci sogne-
remmo mai di chiederti del denaro per questo ….”
Anita, che si era sempre fatta dei problemi per la sua sup-
posta non-appartenenza, fu così commossa che quasi non
riuscì a ringraziarli. Era proprio sopraffatta dall’emozione.
Mi confessò che spesso le sembrava di vivere in due
mondi e di non appartenere veramente a nessuno dei due.
Ma ora sentiva di avere un piccolo mondo di cui faceva
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parte. Quello che poteva parere una cosa da poco era im-
portante, molto importante per lei.
Non è ancora riuscita a trovare le parole giuste ed il mo-
mento adatto per ringraziare i proprietari, ma prima o poi
lo farà: magari a Natale, con una copia di questo libro.
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VEDERE NON VUOL DIRE CAPIREVEDERE NON VUOL DIRE CAPIREVEDERE NON VUOL DIRE CAPIREVEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE
Spesso quando osserviamo le cose, non vediamo vera-
mente la situazione nel suo insieme, non ce ne rendiamo
conto e giungiamo di frequente a conclusioni distanti dalla
realtà. Molte incomprensioni sono causate dalla nostra in-
capacità di vedere l’intero quadro o anche da una man-
canza di comunicazione.
Vi racconto una storiella sul “vedere e non vedere”. Era in
corso un convegno scientifico e si discuteva sulle distanze
spaziali. Quando qualcuno si rivolse a un politico affer-
mando che la distanza tra luna e terra era molto maggiore
della distanza, diciamo, tra l’Italia e l’Iran, egli scoppiò in
un risata esclamando che non era così sciocco da non
capire lo scherzo: “Anche uno stupido può vedere che la
luna è molto più vicina e si può vedere chiaramente
dall’Italia, mentre l’Iran non è affatto visibile!”Può sembra-
GiveMeAChance Editoria Online
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re incredibile, ma la nostra situazione è molto simile, se
non altrettanto assurda.
Lasciate che vi racconti di Lucia.
Lucia fa la stessa strada da più di venticinque anni. Lavora
come assistente di un legale e ogni giorno prende lo stes-
so autobus alla stessa ora. Abita in un paese a 20 km da
Milano. Dopo venticinque anni conosce la maggior parte
dei passeggeri abituali e degli autisti se non di nome,
senz’altro di faccia. É una persona molto comunicativa,
così spesso si mette a conversare con gli altri. Qualcuno
può trovarla un po’ troppo loquace, beh, non si può dire
che sia riservata, ma non si può nemmeno negare che sia
disponibile ad aiutare la gente.
Paolo e Francesca prendono spesso l’autobus tre fermate
dopo la sua. A volte sono insieme, a volte da soli. Sono
fratello e sorella, entrambi su una sedia a rotelle. La mag-
gior parte degli autobus è equipaggiata per gestire le se-
die a rotelle, come naturalmente dovrebbe essere, ma
sappiamo che c’è spesso un abisso tra ciò che dovrebbe
essere e ciò che effettivamente è!
VEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE
31
La scorsa estate per qualche tempo il percorso di Lucia è
stato coperto da autobus non equipaggiati per le sedie a
rotelle. Un giorno l’autista ha visto Francesca in attesa alla
fermata. Chiaramente non poteva lasciarla lì, quindi si è
fermato, ma ha dovuto prendere rapidamente una deci-
sione. Io non conosco esattamente le norme e i regola-
menti, ma so che cosa chiede il senso di solidarietà. An-
che il conducente non ha avuto dubbi sull’azione da com-
piere. Normalmente, su questi autobus la gente sale dalla
porta anteriore e scende da quella posteriore. La regola è
scritta chiaramente e la maggioranza dei conducenti vi si
attiene. Quel giovedì mattina, dopo essersi fermato, il
conducente è saltato giù per spiegare a Francesca che
non poteva salire in autobus con la sedia a rotelle per pro-
blemi tecnici. Lei ha iniziato ad alterarsi e ha risposto che
doveva andare a Milano per un appuntamento e non pote-
va aspettare l’autobus successivo che sarebbe arrivato
un’ora dopo. Il conducente ha preso una decisione veloce
e, ritengo, corretta: quella di mettere la sedia a rotelle nel
bagagliaio e di aiutare la ragazza a salire sull’autobus.
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Naturalmente per Francesca è stato difficile e doloroso. è
stata fatta sedere sul sedile anteriore che è un pieghevole
di fronte alla porta: la conclusione è che Francesca era sa-
lita, ma nessun altro sarebbe potuto salire da quella porta
, non rimanendo sufficiente spazio per muoversi.. La
fermata successiva l’autista ha aperto solo la portiera po-
steriore, costringendo i passeggeri a salire e scendere dal-
la stessa porta, il che naturalmente non rappresentava la
procedura abituale. La gente si è risentita ed ha comincia-
to a borbottare.. Nessuno però si è alzato a chiedere spie-
gazioni, si sono limitati a mormorare a bassa voce. “Solo
noi siamo tenuti a rispettare le regole. Gli autisti possono
fare quello che vogliono” “Manderò una mail alla compa-
gnia dei trasporti”. Per fortuna Francesca e il conducente
non potevano udirli perché troppo lontani, ma Lucia li sen-
tiva e capì che doveva fare qualcosa. Si rese anche conto
che se la gente avesse conosciuto la situazione reale,
probabilmente non si sarebbe lamentata. Il loro disagio
non era nulla a paragone del dolore e dei fastidi che Fran-
cesca stava sopportando. Non si era affatto lamentata:
VEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE
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con una smorfia di sofferenza, era sprofondata nel sedile
ringraziando l’autista per la sua gentilezza.
Lucia era anche dispiaciuta per l’autista, che sembrava
essere il principale bersaglio del malcontento generale. La
signora seduta vicino a lei sentenziò: “Deve essere la sua
ragazza. Oggi i giovani fanno ciò che vogliono, senza al-
cun rispetto per i valori”. Lucia non ne poté più e spiegò al-
la signora esattamente cos’era accaduto, puntualizzando
che le cose erano molto, molto lontane da quello che lei
stava dicendo.
Vi fu un attimo di silenzio, poi, quando la signora parlò sot-
tovoce al suo vicino e la notizia si diffuse velocemente, il
silenzio scese su tutto l’autobus e parecchie persone ap-
parvero decisamente a disagio, probabilmente rimpian-
gendo i loro commenti aspri e precipitosi.
Forse qualche volta, come Lucia, bisognerebbe interveni-
re, invece di preoccuparsi solo dei fatti propri. In questo
caso, per esempio, quando la verità è passata da una
persona all’altra, l’intero autobus si è reso conto della si-
tuazione e l’atmosfera surriscaldata si è trasformata velo-
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cemente in calore umano. Quanto spesso balziamo alle
conclusioni senza vedere l’intero quadro, ma soltanto una
parte, e sfortunatamente - e questo accade dovunque -
quanti sono i pensieri negativi, tante sono le parole nega-
tive pronunciate inutilmente.
Probabilmente a volte, se condividiamo i nostri pensieri,
possiamo aiutare noi stessi e anche gli altri. Se i passeg-
geri avessero saputo di Francesca, sicuramente non si sa-
rebbero sentiti infastiditi e Lucia non si sarebbe inquietata.
Proprio l’altro giorno si è verificata la stessa situazione,
ma appena i passeggeri, che non conoscevano la storia,
hanno incominciato a lamentarsi, la signora della volta
precedente si è affrettata ad informarli. Di fatto, quando
Francesca è dovuta scendere, alcuni di loro si sono
preoccupati di aiutarla. In effetti, ci vuole così poco a spia-
nare le cose.
Il trasporto pubblico rappresenta un’area di conflitto conti-
nuo, gente che non vi lascia salire, gente che non vi lascia
scendere, quelli che spingono, quelli che non cedono mai
il posto agli anziani, o, anche peggio, occupano spudora-
VEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE
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tamente i posti riservati. Bene, la lista è senza fine, ma
sull’autobus o in metropolitana possono accadere anche
cose positive. Anch’io ne ho raccolte tante e forse un gior-
no potrò condividerle con voi.
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