realismo realismo · 2020-03-16 · metafisici e sentimentali del romanticismo il termine realismo...
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L’età del Realismo, del Positivismo e del Decadentismo
L’età del Realismo e del Positivismo, Il Naturalismo francese e il Verismo
Il Realismo caratterizzò la cultura europea della seconda metà dell’800, allorché si
diede importanza esclusivamente ai fatti concreti, abbandonando i problemi
metafisici e sentimentali del Romanticismo Il termine realismo indica letteralmente
ogni rappresentazione fedele della realtà.
Assume diversi nomi:
1. Positivismo: in filosofia.
2. Naturalismo: in letteratura francese.
3. Verismo: in letteratura italiana.
Le ragioni storiche della nascita del Realismo vanno ricercate nel fallimento dei moti
insurrezionali del 1948, e nella nascita della Seconda Rivoluzione Industriale
caratterizzata da numerose invenzioni. Tutto questo portò ad avere più fiducia, più
speranza ed ottimismo verso il futuro e nei confronti della scienza.
Il Realismo è anche il periodo di massima affermazione della borghesia, nasce
nell’uomo la convinzione sicura di un progresso, in quanto migliorano le condizioni
di vita, e aumenta l’età della vita media.
Nasce inoltre la grande massa operaia, che vive e lavora in condizioni estreme
(periodo di scioperi e rivolte).
Dalla nuova corrente nasce una nuova filosofia, il Positivismo, così chiamata perché
lo studio dell’uomo si fondava sul dato positivo, ovvero tangibile della realtà
fenomenica. Con questi termini potrebbe sembrare simile all’Illuminismo, ma in
realtà è molto differente: l’Illuminismo era mosso da principi di uguaglianza, libertà e
fraternità, e vedeva la natura e l’uomo come soggetti statici sottoposti a leggi fisico-
matematiche.
Il Naturalismo è una corrente letteraria francese che si sviluppa in questi anni e che
ha i suoi massimi rappresentanti nei fratelli Goncourt, in Emile Zola e in Guy de
Maupassant. Gli scrittori naturalisti applicano al romanzo i principi del Positivismo:
il romanzo deve essere un documento oggettivo della realtà. Il romanziere perciò
deve rappresentare con rigore scientifico tutte le classi sociali, anche quelle più umili
e tutti gli aspetti dell'esperienza, anche quelli più penosi e sgradevoli; la narrazione
deve essere condotta in modo distaccato e descrivere il reale con la maggiore fedeltà
possibile.
Il Verismo è un movimento letterario nato all'incirca fra il 1875 e il 1895 ad opera di
Giovanni Verga e Luigi Capuana con la collaborazione di altri scrittori.
Il verismo nasce sotto influenza del clima positivista, quell'assoluta fiducia nella
scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si
sviluppa e prospera dal 1830 fino alla fine del XIX secolo. Inoltre, il verismo si ispira
in maniera evidente al naturalismo, un movimento letterario diffuso in Francia a metà
ottocento. Per gli scrittori naturalisti la letteratura deve fotografare oggettivamente la
realtà sociale e umana, rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più
umili, in ogni aspetto anche sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli
scienziati analizzando gli aspetti concreti della vita.
I due più grandi narratori dell’Ottocento sono Manzoni e Verga, vissuto l’uno nella
età romantica , l’altro negli anni vicini all’unità d’Italia.
Senza Manzoni non ci sarebbe stato il romanzo in Italia; ma senza Verga nel nostro
paese non si sarebbe sviluppato il romanzo moderno. Manzoni ricorre ancora al
narratore onnisciente, conosce passato presente e futuro dei personaggi. Nel Verga il
punto di vista narrativo coincide rigorosamente con quello dei personaggi. E’ questa
la rivoluzione stilistica di Verga.
Verga nasce a Catania, nel 1840. Le sue opere più importanti sono: Nedda, Rosso
Malpelo ( primo racconto naturalista o verista dell’autore). Nel 1880 escono i
racconti di Vita dei campi, poco dopo I Malavoglia, Novelle rusticane e nel 1889 la
seconda edizione di Mastro-don Gesualdo. L’esclusione della soggettività
dell’autore implica l’impersonalità . Scrive il Ciclo dei Vinti. Con il termine Ciclo
dei Vinti viene indicato l'insieme dei romanzi di cui avrebbe dovuto comporsi un
impegnativo progetto letterario dello scrittore. A costituire il corpus di tale ciclo
avrebbe dovuto essere un gruppo di cinque romanzi a definizione tematica: I
Malavoglia rappresenta la lotta per la sopravvivenza; Mastro-don Gesualdo
rappresenta l'ambizione di scalare la gerarchia sociale; La duchessa di Leyra (che
lascia a metà, oggi si trova solo una piccola bozza): rappresenta l'ambizione
aristocratica; L'onorevole Scipioni: rappresenta l'ambizione politica; L'uomo di lusso:
rappresenta l'ambizione artistica. L'intera serie, secondo il progetto originario dello
scrittore, avrebbe dovuto avere come comune denominatore un tema comune e
universale, quello dell'indiscussa lotta dell'uomo per l'esistenza, per il progresso e la
lussuria. L'opera completa rimarrà incompiuta in quanto La Duchessa di Leyra
rimane solo abbozzato, mentre gli ultimi due romanzi previsti del Ciclo, L'Onorevole
Scipioni e L'uomo di lusso, non verranno neppure incominciati.
Decadentismo e simbolismo Non si tratta di due movimenti diversi, ma di due fasi successive dello stesso
movimento. In realtà, nella Parigi degli ultimi decenni dell’Ottocento, c’erano vari
gruppi indicati collettivamente come “decadenti”: uno di questi era il “Parnasse
contemporein”. I poeti del Parnasse (fra i quali ricordiamo Mallarmé), coltivano un
ideale di poesia emotivamente impassibile e formalmente impeccabile, richiamandosi
agli esempi del classicismo cinquecentesco e seicentesco e a poeti tardoromantici
quali Baudelaire e Gauthier. Nel 1876 questo movimento rifiutò di pubblicare “Il
pomeriggio di un fauno” di Mallarmé. Questo fatto, e la conseguente pubblicazione
del poemetto a spese dell’autore, segnarono l’inizio del simbolismo.
Non c’è una differenza sostanziale a livello estetico fra decadentismo e simbolismo;
il decadentismo, partendo dalla volontà di cogliere i segni della raffinatezza e della
eleganza intellettuale nelle epoche di “decadenza”, coltiva la predilezione per le
esperienze rare, artificiali, “proibite”, evoca un Oriente misterioso e sensuale,
disprezza le idee umanitarie e socialiste, frutto del positivismo borghese, esalta tutto
ciò che è irrazionale, occulto, mistico o, all’opposto, legato al mondo infernale dei
bassifondi, manifesta la consapevolezza dell’appartenenza ad una élite al di sopra
della mischia.
Nei simbolisti il simbolo diventa la regola del fare poesia, la base del procedimento
poetico; il poeta usa come mezzo privilegiato le metafore e le similitudini; la poesia
diventa un prodotto destinato soprattutto ai poeti, il poeta-scrittore parla a un poeta-
lettore. Il Decadentismo italiano ha i suoi massimi rappresentanti più significativi in
Pascoli e d’Annunzio.
Giovanni Pascoli nacque nel 1855, la sua vita fu presto segnata da una serie di
tragedie: l’assassinio del padre, la morte della madre e di tre fratelli. Frequentò il
collegio e si formò quella cultura classica che gli consentì di coltivare per tutta la vita
la composizione di poesie latine. Iniziò presto la carriera di professore e chiamò a
vivere con sé le sorelle verso le quali nutriva un forte attaccamento. Risalgono a
questi anni le sue prime poesie che gli favorirono notorietà, ricevette così l’incarico
di professore universitario. Morì di cancro nel 1912.
Pascoli espose la sua poetica in un trattato intitolato “Il fanciullo”: secondo il poeta
dentro ogni uomo è presente un fanciullo che, nonostante il passare degli anni,
continua a sognare, ad avere paura del buio e a guardare la vita con innocenza e
meraviglia. Il vero poeta è colui il quale riesce ad esternare questa voce fanciullesca e
“mostrarla” agli uomini, ispirando, con la propria poesia, sentimenti e valori positivi.
Nel 1891 esce la prima edizione di Myricae (la definitiva è del 1900). Nel 1897 esce
la prima edizione dei Poemetti mentre nel 1903, la prima edizione dei Canti di
Castelvecchio; nel 1904 escono i Poemi conviviali.
Pascoli interpretò la direzione più "tranquilla" del movimento decadentista. Infatti
molte delle sue poesie prendono spunto dalla "piccole cose" della vita umile e
comune, una vita avvolta nel mistero e nella sofferenza. Per il Pascoli comunque la
vita non è un dramma, ma piuttosto una ricerca del doppio significato delle piccole
cose, un significato che lo può scoprire solo un poeta, che, con la sensibilità e lo
stupore di un fanciullino che scopre per la prima volta il mondo, riesce ad intuire. Il
linguaggio è molto veloce, espressivo, con ritmi cadenza che danno alla poesia un
tono musicale. Il linguaggio è piuttosto ridotto all'essenziale. Il lessico è un'alternanza
di parole dotte a parole comuni, denotando però una profonda conoscenza in ambito
botanico: infatti quando tratta di alberi e piante (ma anche di animali), chiama per il
proprio nome specifico il soggetto in questione. Ma soprattutto Pascoli cerca di
evidenziare il doppio significato delle cose, la loro anima, adottando un linguaggio
ricco di allusioni e analogie. Cura, inoltre, molto l'aspetto fonico, anche questo
presente su due livelli: il primo livello si riferisce a quello diretto che si percepisce
leggendo la poesia; il secondo, più profondo, lo si sente immergendosi nella poesia e
cogliendone ogni suono come se fosse reale, riuscendo così a sentirsi in mezzo al
contesto della poesia. Quindi ogni parola assume un significato fonosimbolico. Le
tematiche assunte dal Pascoli sono quelle della natura e delle piccole cose.
Myricae, questo nome, preso dalla 4° bucolica (componimento poetico spesso in
forma di dialogo) di Virgilio è una raccolta caratterizza dalla presenza di argomenti
semplici e modesti, che spesso ricadono sul tema della famiglia e della vita campestre
infatti nelle opere del Pascoli il paesaggio assume un forte significato, evidenziando
anche l'animo dello scrittore stesso. Le due poesie certamente più importanti di
questa raccolta sono "X agosto" e "Lavandare". Tra le altre opere di Pascoli
riordiamo: Temporale, Novembre, l’Assiuolo e Il gelsomino notturno.
Gabriele D’Annunzio è considerato l’esponente più emblematico del Decadentismo
italiano e l’analisi della sua personalità riguarda, oltre che la storia della letteratura,
l’intera storia della cultura di massa, della politica, del costume e della società
italiana tra l'Ottocento ed il Novecento. Per un lungo periodo, gli stereotipi da lui
creati hanno rappresentato, infatti un modello imitato in ogni campo della vita
nazionale. In D’Annunzio, vita e letteratura si intersecano e si confondono, creando
una figura variegata e ricca di sfumature contraddittorie. E' sempre rimasta costante
in lui l'attitudine a trasformare se stesso in personaggio e a far coincidere l’arte con la
realtà. L’autore ha voluto e saputo costruire un vero e proprio modello di vita e ha
aperto la sua esistenza alle esperienze più svariate e insolite, costruendo
sapientemente un’immagine carismatica di sé, fondata sul prezioso, l’eccentrico,
l’inimitabile. In tal modo egli ha rappresentato un punto di riferimento per ampi strati
della società, rispondendo alle loro esigenze e appagando le loro inquietudini.
D’Annunzio proponeva un’ideologia fondata sulla trasgressione delle regole e su una
illimitata affermazione di sé e suggeriva un tipo di comportamento privo di freni
morali, percorso da un’accesa componente di piacere estetico, di sensualità e di
erotismo. Questo comportamento potrebbe sembrare in contraddizione con la cultura
decadente, che suggeriva un totale disprezzo ed atteggiamento di superiorità nei
confronti della massa, con la conseguente emarginazione dalla società; in realtà anche
D’Annunzio, proprio a causa del suo ruolo di guida, si poneva al di sopra di essa,
poiché la condizione di guida, implica di per sé una certa superiorità. Gabriele
D’Annunzio nasce nel 1863, esordisce con la raccolta di poesie Primo vere del 1879,
nel 1882 pubblica Canto nuovo e Terra vergine. Nel 1889 pubblica il romanzo Il
Piacere, nel 1893 pubblica il Poema paradisiaco e nel 1903 i primi tre libri delle
Laudi: Maia, Elettra e l’Alcyone. Tra le poesie più importanti ricordiamo La pioggia
nel pineto.
La letteratura nel primo novecento
All'inizio del secolo esplodono a livello europeo le cosiddette avanguardie,
movimenti artistici che intendono rompere definitivamente i ponti con le forme più
tradizionali della letteratura. Tra i maggiori movimenti d'avanguardia, sia in campo
artistico che letterario abbiamo il dadaismo; la pittura del Cubismo; l'espressionismo,
che tendeva a far interagire codici linguistici e stilistici diversi tra loro; il futurismo,
la prima e più consapevole avanguardia letteraria in Italia.
Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867. E’ stato un drammaturgo, scrittore e poeta, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i maggiori drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi in lingua italiana e siciliana. Gli elementi fondamentali della poetica pirandelliana sono: la realtà come caos: per Pirandello non esiste una realtà oggettiva, organizzata e conoscibile attraverso la scienza. La realtà è dominata dal caos, non è regolata da leggi, è soggettiva, cioè cambia a secondo di chi la guarda. Pirandello pur partendo dai modelli veristi (Verga e Capuana) poi li supera perché se non esiste una realtà oggettiva, non può esistere neppure uno scrittore che la descrive oggettivamente (come pretendevano di fare i veristi). La realtà è inconoscibile. L’Io frantumato: non solo l’uomo non può conoscere la realtà, ma non conosce veramente neppure se stesso. Freud ha svelato l’esistenza dell’inconscio (luogo degli istinti profondi, delle pulsioni inconfessabili), ha dimostrato che nell’uomo convivono più personalità. Pensiamo di sapere chi siamo (uno), ma gli altri ci vedono diversamente (centomila), per cui alla fine non abbiamo un’identità autentica (nessuno). Tutto ciò può portare alla follia come accade al protagonista di Uno, nessuno e centomila. Per Pirandello non esiste una realtà oggettiva. Ogni uomo ha una sua visione personale, soggettiva della realtà, ha una fede, un’ideologia politica, delle convinzioni. Ognuno di noi, dunque, ha la sua verità, il suo punto di vista sulla realtà, quindi, ognuno è chiuso nel proprio mondo con le proprie opinioni e non riesce a entrare in sintonia con gli altri. Ogni uomo finge di “comunicare”, ma in realtà i rapporti tra gli uomini (anche all’interno della famiglia) sono caratterizzati da ipocrisia e falsità. Tutto ciò accresce la solitudine di ciascuno. Le maschere. Gli uomini quindi per vivere nella società devono indossare delle maschere, interpretare dei ruoli. Le maschere sono delle “prigioni”, a volte soffocanti, e la vita appare come una trappola” senza via d’uscita. Tuttavia è impossibile strapparsi la maschera, significa rimanere escluso per sempre dalla vita (come accade nel Fu Mattia Pascal), oppure abbandonarsi alla follia. Il folle è libero, ma è condannato all’esclusione dalla società. La poetica dell’umorismo: Se l’io è frantumato e la realtà è inconoscibile, non è possibile nessun tipo di rappresentazione oggettiva. L’unica chiave per interpretare la realtà è l’Umorismo che non va confuso con la comicità: comicità è “avvertimento del contrario”, cioè rido dinanzi ad una situazione diversa da come dovrebbe essere umorismo è “sentimento del contrario”: cioè rifletto su quella situazione strana e grottesca e il mio riso si trasforma in un “sorriso amaro”
pieno di malinconia, scopro il dramma che si nasconde dietro quel fatto ridicolo. Insomma l’umorismo ci fa scoprire il dramma che si nasconde dietro ogni situazione apparentemente ridicola o contraddittoria. Quindi l’umorismo nasce dalla riflessione. Le opere più importanti scritte da Pirandello sono: Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani, Così è (se vi pare), Novelle per un anno, Uno , nessuno e centomila, La differenza fra umorismo e comicità, l’esempio della vecchia
imbellettata.
Italo Svevo nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia benestante ed ebrea. E’ passato
alla storia nell’ambito della letteratura italiana per il suo enorme contributo alla
nascita del romanzo contemporaneo del Novecento nella sua accezione più attuale di
opera in cui si parla dei conflitti dell’uomo moderno, di tutte le sue ansie e delle
contraddizioni. Il tema centrale dei romanzi di Italo Svevo è l’approfondimento
psicologico dei personaggi, lo scavare nella loro personalità in maniera quasi
morbosa andando a scrutarne tutte le pieghe e cogliendone le sfumature più confuse.
Attorno ad essi, poi, l’autore crea città e ambienti che fanno da cornice e parlando di
realtà tristi e opache. Italo Svevo ha scritto non solo romanzi ma anche racconti,
opere teatrali e saggi. L’opera per cui è senz’altro più conosciuto è “La coscienza di
Zeno” e una delle sue celebri frasi è «La vita non è né brutta né bella, ma è
originale!». Il linguaggio dell’autore è amaro, ironico, scruta nella coscienza e tira
fuori le debolezze e le miserie umane. Cosa restituisce al lettore? Tristezza, tanta, e
un’amorevole rassegnazione rispetto alla condizione umana e al dramma esistenziale
dell’uomo moderno. Sono molti i temi e le immagini evocati da Italo Svevo, l’inetto:
colui che meglio rappresenta l’uomo moderno, l’antieroe che vive la sua grigia vita
ordinaria aspirando a qualcosa di più ma non avendo la volontà necessaria per
raggiungerlo. Egli cade preda dei propri limiti, della propria inadeguatezza e della
paura. Questi antieroi sono l’opposto dell’eroe di D’Annunzio. La malattia: temi
ricorrenti sono la malattia in contrasto con la salute, la medicina e il rapporto tra
medico e paziente. La stessa “Coscienza di Zeno” si struttura come un diario di Zeno
scritto per il suo medico. La psicoanalisi: grazie all’approfondito studio di Freud, i
personaggi di Svevo si auto-analizzare e fanno lo stesso col proprio modo di
rapportarsi al mondo esterno, col senso di inadeguatezza e coi propri traumi. Proprio
nel periodo tardo della vita si concentrano tutte le contraddizioni che fanno parte
dell’esistenza di ognuno di noi. La vecchiaia: contrapposta alla giovinezza, la
vecchiaia è difficile da vivere in rapporto alla gioventù, con i ricordi e col presente.
L’ironia: non manca mai nei testi di Italo Svevo, anche quando gli argomenti
affrontati sono seri. L’ironia è rivolta prima di tutto verso l’autore e i suoi discorsi,
poi ai personaggi e alle loro storie. Le opere che in merito vanno ricordate sono: Una
vita, Senilità, La coscienza di Zeno.
La poesia nelle età delle avanguardie
Nei primi anni del Novecento, opposta a quella dei crepuscolari fu la voce dei
futuristi. Mentre i primi si ripiegavano su se stessi e con linguaggio prosastico e
dimesso, invocavano un ritorno ai buoni sentimenti del passato, i secondi reagivano
alla caduta di ideali della loro epoca proponendo una fiducia fermissima nel futuro.
Fondatore del movimento futurista è Filippo Tommaso Marinetti che a Parigi nel
1909 pubblica il primo Manifesto Futurista. In esso si proclama la fede nel futuro e
nella civiltà delle macchine, si affermano gli ideali della forza, del movimento, della
vitalità, del dinamismo e dello slancio e si spronano i letterati a comporre opere
nuove, ispirate all'ottimismo e ad una gioia di vivere aggressiva e prepotente. Si
auspica inoltre la nascita di una letteratura rivoluzionaria, liberata da tutte le regole,
anche quelle della grammatica dell'ortografia e della punteggiatura. I futuristi
sperimentano nuove forme di scrittura per dar vita ad una poesia tutta movimento e
libertà, negano la sintassi tradizionale, modificano le parole, le dispongono sulla
pagina in modo da suggerire l'immagine che descrivono. La loro necessità di liberarsi
del passato e il loro desiderio di incendiare musei e biblioteche che lo proteggono,
vengono proclamate con enfasi e violenza: dall'esaltazione del movimento si passa
all'esaltazione euforica della guerra, vista come espressione ammirabile di uomini
forti e virili. I futuristi sostengono la necessità dell'intervento nella prima guerra
mondiale e in seguito aderiscono all'impresa di Fiume e ai primi sviluppi del
Fascismo. Fra i poeti che partecipano all'esperienza futurista, oltre che a Marinetti, si
ricordano Aldo Palazzeschi.
La poesia dei Crepuscolari nel 1910 appare sul quotidiano La Stampa una
recensione del critico Giuseppe Antonio Borgese alle liriche di Marino Moretti, e
altri autori , dal titolo "Poesia crepuscolare", e così venne usato per la prima volta il
termine "crepuscolare" per indicare una categoria letteraria. La metafora del
crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni
tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare, se
non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese, "di non aver nulla da dire e
da fare". Il termine "crepuscolare" cominciò così ad essere usato dalla critica per
delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano
concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi
forma di poesia eroica o sublime. I crepuscolari tendono a ridurre la poesia a prosa e
cercano un verso che, pur mantenendo il ritmo poetico, rompa con la metrica
tradizionale e rimanga nell'ambito della prosa. Questo desiderio di un linguaggio
prosastico e privo di ogni forma aulica e classicistica conduce alla piena affermazione
del verso libero.
Ermetismo
Non si può conoscere davvero la poesia del Novecento senza sapere cos'è
l'Ermetismo, una corrente che ha influito profondamente sulla letteratura italiana.
Nato tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, nel vivace ambiente culturale
fiorentino, l’Ermetismo può essere considerato, almeno all’inizio, una corrente
letteraria piuttosto che una scuola, un atteggiamento di alcuni autori nei confronti
della poesia, delle sue possibilità espressive, dei suoi temi e dei suoi stili.
Un primo connotato di questo movimento è quello di essere una forma di reazione al
dominio culturale fascista e agli anni del Ventennio: estranei e disgustati dalla
propaganda del regime, alcuni intellettuali, gravitanti intorno alla rivista «Solaria»,
scelsero una forma d’arte non compromessa, che ignorasse il regime stesso,
ignorando la Storia.
Il termine “Ermetismo” deriva da un saggio del 1936, dal titolo “Poesia ermetica”,
dove l’autore, il critico, letterario Francesco Flora, lo utilizzò, con chiaro riferimento
alla figura mitica di Ermete Trismegisto, per indicare una poesia oscura e complessa,
che, con chiara ripresa dei canoni del decadentismo francese, e in particolare di
Mallarmé, privilegiava l’analogia e altre figure retoriche di difficile interpretazione,
era connotata da una forte componente simbolica ed esprimeva una condizione
storica ed esistenziale segnata dall’angoscia e dalle difficoltà di cui l’atmosfera
soffocante del regime era la causa principale. Gli ermetici puntano sull’essenzialità
della parola, posta in stretta simbiosi con il gioco analogico; tendono a realizzare
un’espressione raggrumata che dia luogo a folgorazioni liriche, capaci di esprimere
l’inesprimibile, portando alla luce, attraverso frammenti, indizi, corrispondenze, la
sostanza segreta del reale.
Proprio per questo è privilegiata l’analogia; assieme all’analogia l’altra figura che
maggiormente contribuisce a spiegare il procedimento stilistico dell’Ermetismo è la
sinestesia, con cui sensazioni di diversa origine sensoriale e immagini tra loro lontane
sono fuse e collegate.
Il rifiuto di esperienze contemporanee o appena precedenti è evidente anche nei
contenuti refrattari a fiducie ottimistiche e a mitologie consolatorie.
Il rifiuto dei modelli espressivi tradizionali va, comunque, sempre inteso come una
scelta etica prima che stilistica: non ci sono più certezze da affermare, da gridare con
un canto spiegato, resta solo una sensazione di deserto e di naufragio.
In modo simile, privilegiare il valore noumenico della parola, la sua perfezione
geometrica, una rigorosa autocoscienza del poeta, scegliere di riprendere il
frammentismo vociano e richiamarsi alla pura letteratura, non sono solo tratti comuni
dell’esperienza creativa ma una soluzione etica al problema che gli Ermetici si
trovano di fronte: isolandosi nella difficile distillazione della parola ci si salva dalla
contaminazione con la retorica fascista . È però nella produzione poetica che l’Ermetismo trova la sua espressione naturale:
nei temi della solitudine esistenziale, della ricerca del valore della parola essenziale e
dei rapporti analogici, presenti nella poesia nuova di Giuseppe Ungaretti e, con
soluzioni diverse, di Eugenio Montale e di Salvatore Quasimodo.
Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto. Vive a Parigi poi a
Milano. Nel 1915 combatte sul Carso come soldato semplice. Nel 1916 esce Il porto
sepolto e nel 1919 Allegria di naufragi che raccoglie anche le poesie del Porto
sepolto. Nel 1931 il titolo verrà cambiato in Allegria. Nel 1947 pubblica una raccolta
di poesie intitolata Il dolore dedicata al figlioletto morto. Nel 1933 pubblica
Sentimento del tempo. Per quanto riguarda Allegria che racchiude dei testi poetici,
scritti tra il 1914 e il 1919, esprime soprattutto i sentimenti nati dall'esperienza della
Prima guerra mondiale, come dolore ma anche come scoperta dei valori più autentici
di fratellanza ed umanità. Il titolo porta all'idea di un'esultanza che si presenta nei
momenti più terribili del conflitto contro la morte ma che incitano il poeta a
continuare il viaggio con maggiore ottimismo. La poesia del Sentimento del tempo
vuole un ritorno all’ordine, allontanamento del vissuto e ricerca di una poesia pura,
stilizzata, meno originale, più classica, ricca di preziosismi e sublime. Fanno parte di
Allegria la poesia I Fiumi, San Martino del Carso, Natale, In memoria, Veglia,
Mattina, Soldati. Mentre di Sentimento del tempo fanno parte La madre e Caino.
Salvatore Quasimodo nasce a Modica nel 1901, legato prima (sino a Ed è subito
sera, 1942) al clima della letteratura ermetica degli anni Trenta e poi a quello
dell’impegno neorealistico fra il 1943 e il 1956. Nel 1932 esce Oboe sommerso. Nel
1949 La vita non è un sogno, nel 1956 Il falso e vero verde. Quasimodo resta fedele a
una concezione della poesia come momento di sintesi delle contraddizioni personali
e storiche , come punto di vista superiore e privilegiato. A partire dalla raccolta
Giorno dopo giorno del 1947, si nota il passaggio a una poesia ideologica e politica,
ma resta costate lo sforzo di usare un linguaggio classico e letterario. Quasimodo
intende la poesia come denuncia sociale, come distacco e come innocenza. La poesia
si colloca in una dimensione assoluta e la parola si sottrae alla storia e alla società.
Tra le poesie che fanno parte della raccolta Ed è subito sera ricordiamo: Ride la
ragazza, nera sugli aranci, Davanti al simulacro d’ Ilaria del Carretto; mentre della
raccolta Giorno dopo giorno ricordiamo: Milano agosto 1943.
Eugenio Montale è fra i poeti più importanti del secolo, fra i più importanti della
letteratura europea del Novecento. Nasce nel 1896 a Genova. Nel 1916 scrive la sua
prima poesia, Meriggiare pallido e assorto. Nel 1918 è in guerra. Nel 1912 scrive
Ossi di seppia. Nel 1933 conosce Irma Brandeis (Clizia), a cui dedicherà Le
occasioni. Va a vivere con Drusilla Tanzi a cui dedica il secondo libro de Le
Occasioni. Nel 1943 esce Finisterre poi incluso in La bufera e altro. Nel 1971 esce
Satura. Nel 1973 Diario. Montale pur avvicinandosi, non si è identificato né
nell’Ermetismo, né nel Neorealismo, né nella Neoavanguardia, anzi ha preso
posizioni contro tutte queste tendenze. Concilia modernità e classicismo, questa è la
sua più grande originalità. Al centro della sua riflessione continua ad esserci la
ricerca del destino dell’uomo moderno nella società di massa dapprima cercando una
via di scampo, una via di salvezza, poi denunciando questa ricerca ironicamente.
Negli Ossi di seppia abbiamo la Liguria e il paesaggio marino.
Le occasioni sono il periodo fiorentino. Bufera e altro coincidono con il lavoro
giornalistico a Milano. Le poesie di Satura invece coincidono con la nomina a
senatore a vita. Nel 1975 Montale riceve il Premio Nobel per la letteratura. In Ossi di
seppia troviamo: Spesso il male di vivere ho incontrato, Non chiederci la parola,
Incontro, Corno inglese; nelle Occasioni: La casa dei doganieri e Nuove stanze. In
Satura: Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale. In Bufera e altro: A
mia madre e da <<Silvae>>: La primavera hitleriana e L’anguilla.
Salvatore Quasimodo
Salvatore Quasimodo nasce a Modica, in provincia di Ragusa il 20 agosto 1901 e
trascorre gli anni dell'infanzia in piccoli paesi della Sicilia seguendo il padre Gaetano,
capostazione delle Ferrovie dello Stato. Dopo il tremendo terremoto del 1908 si
trasferisce a Messina dove il padre è chiamato per riorganizzare la locale stazione:
inizialmente sono i vagoni ferroviari la loro dimora, come accaduto per molti altri
superstiti.
Questa esperienza di dolore tragica e precoce lascerà un profondo segno nell'animo
del poeta.
Nella città dello Stretto Salvatore Quasimodo compie gli studi fino al conseguimento
del diploma nel 1919 presso l'Istituto Tecnico "A. M. Jaci", sezione fisico-
matematica. A quell' epoca risale un evento di fondamentale importanza per la sua
formazione umana e artistica: l'inizio del sodalizio con Salvatore Pugliatti e Giorgio
La Pira, che durerà poi tutta la vita.
Negli anni messinesi Quasimodo comincia a scrivere versi che pubblica su riviste
simboliste locali.
Conseguito il diploma, appena diciottenne, Quasimodo lascia la Sicilia con cui
manterrà un legame edipico, e si stabilisce a Roma.
In questo periodo continua a scrivere versi e studia il latino e il greco presso
monsignor Rampolla del Tindaro, nello stato del Vaticano.
Nel 1926 viene assunto al Ministero dei Lavori Pubblici e assegnato al Genio Civile
di Reggio Calabria. L'attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi
interessi letterari, sembra però allontanarlo sempre più dalla poesia e, forse per la
prima volta, deve considerare naufragate per sempre le proprie ambizioni poetiche.
Tuttavia il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti ripresi con gli amici messinesi della
prima giovinezza e soprattutto il rinvigorirsi dell'amicizia con Salvatore Pugliatti,
insigne giurista e fine intenditore di poesia, volgono a riaccendere la volontà sopita e
a far sì che Quasimodo riprenda i versi del decennio romano, per rivederli e
aggiungerne di nuovi.
Nasce così nel contesto messinese il primo nucleo di "Acque e terre". Nel 1929 si
reca a Firenze dove il cognato Elio Vittorini lo introduce nell'ambiente di "Solaria",
facendogli conoscere i suoi amici letterati: da Alessandro Bonsanti ad Arturo Loira, a
Gianna Manzini ed Eugenio Montale, che intuiscono presto le doti del giovane
siciliano. Proprio per le edizioni di "Solaria" (che aveva pubblicato alcune liriche di
Quasimodo) esce nel 1930 "Acque e terre", il primo libro della storia poetica di
Quasimodo, accolto con entusiasmo dai critici, che salutano la nascita di un nuovo
poeta.
Nel 1932 Quasimodo vince il premio dell'Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e
nello stesso anno, per le edizioni di "circoli", esce "Oboe sommerso". Nel 1934 si
trasferisce a Milano, città che segnerà una svolta particolarmente significativa nella
sua vita, non solo artistica. Accolto nel gruppo di "corrente" si ritrova al centro di una
sorta di società letteraria, di cui fanno parte poeti, musicisti, pittori, scultori.
Nel 1936 pubblica con G. Scheiwiller "Erato e Apòllion" con cui si conclude la fase
ermetica della sua poesia. Nel 1938 lascia il suo lavoro presso il Genio Civile e inizia
l'attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, il quale più tardi lo farà
entrare nella redazione del settimanale "Il Tempo". Nel 1938 esce la prima
importante raccolta antologica "Poesie", con un saggio introduttivo di Oreste Macrì,
che rimane tra i contributi fondamentali della critica quasimodiana. Il poeta intanto
collabora alla principale rivista dell'ermetismo, la fiorentina "letteratura".
Nel biennio 1939-40 Quasimodo mette a punto la traduzione dei Lirici greci che esce
nel 1942 che, per il suo valore di originale opera creativa, sarà poi ripubblicata e
riveduta più volte. Sempre nel 1942 esce "Ed è subito sera".
Nel 1941 gli viene concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso
il Conservatorio di musica "Giuseppe Verdi" di Milano. Quasimodo insegnerà fino
all'anno della sua morte.
Nel 1947 esce la sua prima raccolta del dopoguerra, "Giorno dopo giorno", libro che
segna una svolta nella poesia di Quasimodo. La poesia di Quasimodo supera quasi
sempre lo scoglio della retorica e si pone su un piano più alto rispetto all'omologa
poesia europea di quegli anni. Il poeta, sensibile al tempo storico che vive, accoglie
temi sociali ed etici e di conseguenza varia il proprio stile. La poesia simbolo di
questa svolta, che inoltre apre la raccolta. è "Alle fronde dei salici".
La sua ultima opera, "Dare e avere" è del 1966: si tratta di una raccolta che è un
bilancio della propria vita, quasi un testamento spirituale (il poeta sarebbe morto
appena due anni dopo). Nel 1967 è l'Università di Oxford a conferirgli la laurea
honoris causa.
Colpito da ictus ad Amalfi, dove si trovava per presiedere un premio di poesia,
Quasimodo muore il 14 giugno 1968, sull'auto che lo sta accompagnando a Napoli. Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo riceve il premio Nobel per la Letteratura. Al Nobel seguirono moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore incremento delle traduzioni. Nel 1960 l'Università di Messina gli conferisce la laurea honoris causa oltre alla cittadinanza onoraria dallo stesso comune.
Primo Levi
Primo Levi fu senza ombra di dubbio uno degli scrittori italiani più importanti del secolo scorso: considerato una pietra miliare della letteratura italiana, è soprattutto una figura fondamentale per capire il dramma e le conseguenze dell'Olocausto, o Shoah. Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebrea di intellettuali piemontesi. Laureato in chimica e chimico di professione, diventa scrittore dopo la traumatica esperienza della deportazione nel campo di lavoro di Monowitz, che faceva parte dello stesso complesso del più noto Auschwitz. È questo l’evento centrale della vita di Levi, che fa scattare la molla della scrittura, sentita come una necessità di confessione, di analisi, oltre che un dovere morale e civile. Il ricordo ed il trauma mai superato della deportazione e dell'esperienza di Auschwitz è anche probabilmente alla base del suo suicidio, avvenuto nel 1987.Fino al '38 Primo Levi è un normale studente con la passione della chimica; le leggi razziali gli fanno aprire gli occhi sulla natura del fascismo e lo spingono verso l’azione politica. Alla fine del '42 entra nel Partito d’Azione clandestino e dopo l’armistizio dell’8 settembre del '43 si unisce a un gruppo partigiano della Valle d’Aosta. Ma catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre dello stesso anno, viene internato nel campo di concentramento di Fossoli e nel febbraio del '44 deportato ad Auschwitz. A testimonianza di questa tragica
esperienza, Primo Levi scrive nel '46 e pubblica nel '47 “Se questo è un uomo “ il
libro che 10 anni più tardi sarà riconosciuto come il capolavoro della letteratura
concentrazionaria.
Dal momento in cui le truppe russe entrano nel Lager di Auschwitz, abbandonato dai
tedeschi in ritirata, prende avvio il secondo libro di Levi, La Tregua pubblicato nel
'63 e considerato da alcuni la sua opera più alta. La tregua narra il tormentato viaggio
di ritorno in patria dell’autore con un gruppo di compagni attraverso un’Europa
ancora sconvolta dalla guerra. Così come l’esperienza del Lager è associabile
all’inferno, l’odissea del viaggio di ritorno, nel quale avviene una lenta resurrezione
alla vita, rimanda al purgatorio, in una sorta di percorso dantesco; ma l'analogia con
Dante si ferma qui: Levi, infatti non potrà mai raggiungere la completa liberazione.
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