analogia, ontologia formale e problema dei fondamenti · 2008-01-08 · logic and...

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Gianfranco Basti Analogia, ontologia formale e problema dei fondamenti Introduzione In questo nostro lavoro ci dedicheremo ad una revisione critica dell’ormai storico articolo sulla formalizzazione della teoria tomista dell’analogia, pubblicato nel 1948 sulla rivista The Thomist e quindi ristampato nel 1968 [Bochenski 1948], per la prima volta tradotto in italiano e riportato in questa raccolta 1 . Questa revisione si concentrerà su alcuni limiti teo- retici dell’approccio del grande logico polacco al problema dell’analogia e della sua formalizzazione, limiti spesso indica- ti con grande lungimiranza ed acume dallo stesso Autore nel- lo scritto che stiamo esaminando. Nella nostra revisione critica ci serviremo, in prima istan- za, dell’approccio all’analisi formale dell’ontologia o ontolo- gia formale 2 , sviluppato in questi ultimi quindici anni da uno 1 Ringrazio il dott. Claudio Testi per gli utili suggerimenti che mi ha dato, dopo la lettura del mio manoscritto, per rendere più intelligibile il formalismo da me usato. 2 Con ontologia formale intendiamo qui molto genericamente l’analisi delle diverse teorie ontologiche proposte nel linguaggio ordinario della ri- flessione filosofica tradizionale, mediante gli strumenti della logica simbo- lica estesa alle logiche intensionali tipiche delle discipline umanistiche e non limitata, come la logica matematica, alle sole logiche estensionali proprie

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Gianfranco Basti

Analogia, ontologia formale e problema dei fondamenti

Introduzione

In questo nostro lavoro ci dedicheremo ad una revisionecritica dell’ormai storico articolo sulla formalizzazione dellateoria tomista dell’analogia, pubblicato nel 1948 sulla rivistaThe Thomist e quindi ristampato nel 1968 [Bochenski 1948],per la prima volta tradotto in italiano e riportato in questaraccolta1. Questa revisione si concentrerà su alcuni limiti teo-retici dell’approccio del grande logico polacco al problemadell’analogia e della sua formalizzazione, limiti spesso indica-ti con grande lungimiranza ed acume dallo stesso Autore nel-lo scritto che stiamo esaminando.

Nella nostra revisione critica ci serviremo, in prima istan-za, dell’approccio all’analisi formale dell’ontologia o ontolo-gia formale2, sviluppato in questi ultimi quindici anni da uno

1 Ringrazio il dott. Claudio Testi per gli utili suggerimenti che mi hadato, dopo la lettura del mio manoscritto, per rendere più intelligibile ilformalismo da me usato.

2 Con ontologia formale intendiamo qui molto genericamente l’analisidelle diverse teorie ontologiche proposte nel linguaggio ordinario della ri-flessione filosofica tradizionale, mediante gli strumenti della logica simbo-lica estesa alle logiche intensionali tipiche delle discipline umanistiche e nonlimitata, come la logica matematica, alle sole logiche estensionali proprie

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dei massimi rappresentanti di questa neo-nata disciplina, illogico e filosofo americano, di evidenti origini italiane, NinoB. Cocchiarella. Si tratta dell’approccio all’ontologia formaledel cosiddetto realismo concettuale, da noi scelto fra gli in-numerevoli altri disponibili, essenzialmente per due ordini dimotivi:

1. Innanzitutto, perché è un approccio che si pone in espli-cita, ma critica e costruttiva continuità con quello di Bo-chenski alla lettura ontologica della logica formale.

2. Secondariamente, e soprattutto, perché il realismo concet-tuale di Cocchiarella intende porsi come approccio formalead un’ontologia comparata fra le diverse ontologie infor-mali – espresse cioè nei termini del linguaggio ordinariofinora usato dalla filosofia – proposte dalla tradizione, so-prattutto occidentale.

Infine, un’ultima notazione introduttoria. In questo nostrolavoro, cercheremo solo di compiere qualche passo nella for-malizzazione della teoria tommasiana dell’analogia, senza ad-dentrarci minimamente nell’analisi metalogica. Solo nella par-te finale di questo articolo accenneremo alla particolare teo-ria della verità semantica che il nostro approccio consente,accennando alle linee di una formalizzazione logico-semanti-ca della teoria dell’induzione costitutiva (teoria dell’epagoghéaristotelica) dell’universale logico, tipica della rivisitazionetommasiana dell’approccio aristotelico.

Questo lavoro si struttura in tre Sezioni.1. Nella Prima Sezione, mostreremo come l’interpretazione di

Bochenski della logica formale, come ontologia formalenon è oggi difendibile in quanto, nell’odierno contestoscientifico, sono considerate due discipline distinte, seb-bene collegate da molteplici punti di vista.

(anche se non esclusive) delle discipline matematiche e di tutte le scienzeche usano il linguaggio matematico per formalizzare le loro procedure d’in-ferenza.

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2. Nella Seconda Sezione, ci concentreremo innanzitutto sullapresentazione della teoria tommasiana dell’analogia di at-tribuzione, presentando e commentando brevemente, il te-sto fondamentale di Tommaso d’Aquino al riguardo, quel-lo del Commento alle Sentenze I, XIX, V, 2c; vedremo co-sì come la formalizzazione dell’analogia di attribuzione diBochenski non riesce a fornire una versione formale suffi-ciente della completezza della teoria tommasiana.

3. Nella Terza Sezione vedremo come l’ontologia formale delrealismo concettuale di Cocchiarella sia in grado di fornireun primo schema formale attendibile del realismo concet-tuale naturalista aristotelico molto più adeguato di quellofornito da Bochenski. Vedremo infine in che senso andreb-be ampliato lo schema del realismo concettuale di Cocchia-rella in modo da includere l’estensione tommasiana della cau-salità equivoca (analoga) atto-potenza aristotelica alla coppiaessere-essenza (dottrina della partecipazione dell’essere), ov-vero alla fondazione metafisica di tutto l’essere dell’ente sin-golo (essenza ed esistenza) e non solo della sua essenza (ar-ticolazione genere-specie), come nel realismo aristotelico.

1. Dalla logica formale all’ontologia formale

Nell’oltre mezzo secolo che ci separa dalla prima pubbli-cazione del lavoro di Bochenski sull’analogia, essa ha acquisi-to un ruolo assolutamente centrale nella discussione scientifi-ca, sia in logica che in informatica e, soprattutto nelle scienzecognitive per molteplici motivi. Innanzitutto, per i limiti teo-retici dei linguaggi formali della logica matematica caratteriz-zati da assoluta univocità [Gödel, 1931]. L’incompletezza el’impossibilità dell’autoreferenzialità nei sistemi formali, lad-dove si usano metodi finitistici (algoritmici) di prova dei teo-remi, oltre a far svanire come neve al sole i miti illuministicidi sistemi scientifici onnicomprensivi e autoconsistenti, rigo-rosamente formali, implicano la necessità di un profondo ri-esame dei legami sistematici a livello di teoria dei fondamen-

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ti della stessa logica formale, fra l’univocità “vuota di conte-nuti” semantici e di riferimenti extra-linguistici dei linguaggiformalizzati e l’equivocità sistematica – come, molto corretta-mente, Bochenski definisce l’analogia, traducendo la sua anti-ca connotazione scolastica di aequivocatio a consilio – “riccadi contenuto” e di riferimenti extra-linguistici tipica dei lin-guaggi ordinari e del loro uso nelle scienze umane, la filoso-fia innanzitutto. In questo senso, appare insufficiente, ancor-ché indispensabile per la logica del discorso scientifico, l’ap-proccio della semantica formale e della teoria dei modelli alproblema del significato, innanzitutto nella soluzione del pro-blema dell’analogia nelle scienze cognitive, malgrado certi en-tusiasmi iniziali. La stessa trattazione della semantica dell’ana-logia mediante la teoria delle categorie [Van Dalen, 1997], si-stematicamente legata alla nozione d’isomorfismo di strutturafra i diversi livelli semantici del linguaggio, della quale proprioBochenski nell’articolo citato è stato uno dei precursori, ap-pare insufficiente per una trattazione formale soddisfacentedell’analogia medesima, come il grande logico polacco era perprimo consapevole. Infine, più recentemente, la crescente pres-sione tecnologica per la simulazione artificiale dei processi co-gnitivi umani, in un’informatica sempre più globale e capilla-re, ha evidenziato la necessità che l’informatica e dunque lalogica simbolica affrontino con mezzi nuovi il problema del si-gnificato e, al suo interno, il problema dell’analogia, essendol’esperienza e il linguaggio ordinari tutt’altro che univoci. I set-tori dell’informatica che in particolar modo richiedono unaformalizzazione delle componenti intensionali del linguaggioordinario sono quelli della robotica di nuova generazione, ca-paci di interagire in tempo reale con ambienti complessi, as-solutamente impredicibili; della domotica3, e più in generale,

3 Con «domotica» s’intende quella branca dell’informatica e della teo-ria dei sistemi automatici finalizzata all’automazione completa della vita do-mestica e dove dunque la capacità della macchina d’interagire con un uten-te non specializzato, in linguaggio ordinario, seguendo la «logica» di talelinguaggio, diviene essenziale.

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dello sviluppo di interfacce con l’utente di tipo semantico. Unanecessità imprescindibile, questa, sia per superare il digital di-vide con i paesi in via di sviluppo – mediante un’estensionedelle nuove tecnologie anche a persone non alfabetizzate4 –sia per l’efficiente gestione in rete di database sempre più enor-mi e globali, chiave di volta dello sviluppo presente e futurodi qualsiasi efficiente rete globale di comunicazione.

Il linguaggio e l’esperienza ordinari sono intrinsecamen-te non-univoci, ovvero hanno sempre «un’ineliminabile di-mensione semantica», e le esperienze ordinarie sono «in-trinsecamente intenzionali» e tutt’altro che puramente «rap-presentazionali», come il paradigma della logica e delle se-mantiche formali, a partire da Kant fino all’approccio del-l’intelligenza artificiale (IA) in informatica, suppongono. Diqui lo sviluppo esponenziale che in questi ultimi anni han-no visto discipline come l’intelligenza computazionale (IC),o computational intelligence, in informatica che ha abban-donato, per simulare processi cognitivi e inferenziali, lo sche-ma rappresentazionale dell’IA, in favore dello schema dis-posizionale tipico dell’approccio dell’intenzionalità. Di quianche lo sviluppo recente di discipline come, appunto, lacosiddetta ontologia formale – inclusa la sua versione infor-matica, la cosiddetta formal ontology engineering5 –, che inqualche modo si pone come “interpretazione” (modellizza-

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4 Si pensi, per esempio, al simputer (simple computer), recentemente svi-luppato da uno specifico progetto del governo indiano, che ha un’interfacciacon l’utente che non richiede la capacità di saper leggere e scrivere, essendototalmente basato sulla vista, il tatto e l’udito consentendo a un analfabeta dinavigare e mandare e ricevere informazione su internet [cfr. www.simputer.org].

5 Per un primo approccio all’integrazione delle due discipline, si con-sultino i siti: www.formalontology.it (più generico), e il sito con la pubbli-cazione online degli Atti del Second International Congress of Formal On-tology in Information Systems (FOIS) del 2001:http://www.informatik.uni-trier.de/~ley/db/conf/fois/fois2001.html (piùspecifico). Da una semplice ricerca sul web si possono trovare anche listedi pubblicazioni e centri di ricerca sul tema.

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zione) ontologica della medesima “logica formale”. Rifacen-dosi ad un classico lavoro di H. Scholz lo stesso Bochenskicosì rispondeva alla questione del come mai l’analogia stapenetrando (fin d’allora, siamo nel 1948!) il dominio dellalogica formale:

La risposta sembra essere data dalla teoria di H. Scholzche afferma che la recente logica formale non è altro che unaparte dell’ontologia classica. È un dato di fatto che la logicaformale recente ha a che fare non con regole, ma con le leg-gi dell’essere nella sua piena generalità; la maggior parte del-le leggi contenute nei Principia Matematica, p.es., in quantoopposte alle regole metalogiche, sono leggi di questo tipo. Seè così non meraviglia che alcune considerazioni devono esse-re fatte sull’analogia, dal momento che “essere” è un termineanalogico e così lo sono i nomi di tutte le proprietà, relazio-ni, etc., che appartengono all’essere in quanto tale [Bochen-ski 1948, p. 446].

Quest’affermazione del logico polacco costituisce infattianche la tesi fondamentale di un altro suo scritto del 1974,Logic and Ontology [Bochenski 1974, p. 288]. Più specifica-mente, l’ontologia non formalizzata o “descrittiva”, come og-gi si ama definirla – l’ontologia espressa in linguaggio ordi-nario delle varie teorie metafisiche della storia della filosofia– viene definita da Bochenski una sorta di «prolegomeno al-la logica» [ibid, 290]. Dove la differenza fra le due consistenon solo nel fatto che la prima rispetto alla seconda è «in-tuitiva ed informale», mentre la seconda è «sistematica e for-male» così da costituire «un’elaborazione assiomatica del ma-teriale pre–trattato dall’ontologia», ma soprattutto nel fattoche mentre l’ontologia viene generalmente considerata come«la teoria più astratta di entità reali», la logica «oggi comeoggi può venir considerata come l’ontologia generale sia dientità reali che ideali».

Tralasciamo qui alcune – peraltro in sé non marginali –difficoltà che la terminologia di Bochenski implica, almenodal punto di vista della metafisica tommasiana cui egli inten-

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de esplicitamente rifarsi, nel distinguere fra «entità reali»6 e«entità ideali». E tralasciamo anche il fatto che il suo sia unapproccio assolutamente non condivisibile all’ontologia tradi-zionale come dottrina che non tratterebbe le «entità ideali»,ma si sarebbe concentrata principalmente su una metafisica

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6 Dal punto di vista della teoria tomista dei trascendentali, cioè dei di-versi nomi dell’unico denotato «ente» e delle distinte ma equivalenti con-notazioni di esso, «entità» (entitas) e «cosa» (res) sono due di queste con-notazioni, esattamente il primo e il terzo dei nomi dell’ente secondo la tom-masiana «tavola dei trascendentali» contenuta nel fondamentale testo delDe Veritate I, i, 1c. In questo senso, allora un’«entità ideale» non è meno«reale», meno res, di un ente fisico. Il problema, semmai non è discettaresulla sua «cosità» o «realtà» – in questo senso «ogni ente è reale», ogni en-te è «cosale», è una «cosa», sia esso astratto o concreto, ma anche sia es-so sostanza o accidente – ma di decidere quale modalità di esistenza com-pete ad un determinato ente in relazione alla sua essenza, p.es., ad un en-te logico in quanto distinto da un ente fisico. Con «cosa» infatti, affermaTommaso, s’intende «il medesimo ente in quanto ad esso compete una de-terminata essenza», qualsiasi essa sia, sia quella di sostanza che quella diaccidente, sia quella di ente fisico, sia quella di ente logico, matematico ofantastico. Gli enti fantastici sono infatti gli enti della «realtà virtuale» odella fiction, tutt’altro che ininfluenti sulla «realtà effettuale», sociale, eco-nomica, culturale, politica, addirittura, oggi certamente più di ieri! È in ba-se alla sua essenza, allora, che si può decidere a quale categoria ontologi-ca un’entità appartenga. Una notazione, questa, che, per esempio, se fossestata compresa da Descartes – che invece confondeva sistematicamente rescon substantia, l’ente in generale con una determinata categoria ontologicadi enti –, avrebbe evitato alla filosofia e all’antropologia moderne di per-dere quattro secoli in discussioni fondamentalmente inutili sulla res cogi-tans. L’atto di coscienza o cogito prova infatti l’esistenza di un’entità (cosa)pensante o, più esattamente, cosciente, non di una sostanza cosciente, comegià Gassendi ebbe il merito di obbiettare al “padre della filosofia moder-na”. Se dunque con «cosa» s’intende per Tommaso un ente in quanto ingenerale ad esso compete una qualsiasi essenza (cfr. nota 20), con «entità»s’intende il medesimo ente in quanto ad esso gliene compete specificamen-te una che determina la sua categoria ontologica e quindi la sua modalitàdi esistenza. Una determinazione oggi formalizzabile mediante un oppor-tuno assioma di comprensione in un’ontologia formale delle categorie on-tologiche, o «classi di realtà», sufficientemente ricca da formalizzare que-ste nozioni di fatto usate nel nostro linguaggio ordinario, come vedremopiù in là in questo saggio. Per un approfondimento della dottrina tomista

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dell’ente fisico (e/o degli enti spirituali della teologia filosofi-ca)7. Ciò che invece non si può passare sotto silenzio è il fat-to che la posizione di Bochenski sull’interpretazione della mo-derna logica formale come una vera e propria ontologia for-male, appare oggi difficilmente condivisibile dalla stragrandemaggioranza dei logici. Come ha recentemente affermato Ni-no B. Cocchiarella, in uno scritto, Logic and Ontology, chefin dal titolo intende porsi in esplicita continuità con quellodi Bochenski del 1974,

L’idea che la logica ha un contenuto, e un contenuto onto-logico in particolare, è oggi descritta come la concezione dellalogica come linguaggio. Tale concezione è generalmente rifiutatain favore della concezione della logica come calcolo astratto, sen-za alcun contenuto suo proprio, e che si basa sulla teoria degliinsiemi come sulla sua struttura di fondo, mediante la quale uncalcolo siffatto può essere sintatticamente descritto e semantica-mente interpretato [Cocchiarella 2001, 118].

Allo stesso tempo, continua il Nostro,

La teoria dei tipi non è il paradigma dominante della logica og-gi e, infatti, l’idea di una logica che ha un qualsiasi contenuto emen che mai ontologico è generalmente rifiutata, in favore della vi-sione di una logica come calcolo che è la visione dominante odier-na. La logica in questa concezione è un calcolo astratto svuotato diogni contenuto suo proprio, ma del quale possono essere date va-rie interpretazioni su domini variabili di cardinalità arbitraria, dovesia i domini sia le interpretazioni sono tutte parti della teoria degliinsiemi. Quindi, se l’ontologia è davvero un prolegomeno alla logi-

dei trascendentali in opposizione alla dottrina moderna – kantiana – di es-si, cfr. Basti 2002, 394ss. sgg.. Per un analoga contrapposizione fra onto-logia del realismo concettuale e ontologia del trascendentalismo modernocfr. Cocchiarella 2001, 134 sgg..

7 Una limitazione questa che, semmai, vale per le metafisiche modernepost-kantiane non certo per la metafisica aristotelica e men che mai perquella tomista.

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ca, allora, in questa visione, dev’essere rappresentata come una par-te della teoria degli insiemi. (...) Non è la teoria dei tipi, in altreparole, ma la teoria degli insiemi che contiene un’ontologia gene-rale (...). Ed infatti, secondo alcuni sostenitori di questa concezio-ne, ogni analisi filosofica e non solo quelle che sono parte dell’on-tologia devono essere sviluppate all’interno di estensioni definitoriedella teoria degli insiemi, ovvero nella teoria degli insiemi con lapossibile aggiunta di oggetti concreti primitivi (urelements) e pre-dicati empirici [ibid, 119].

A onor del vero va rilevato che Bochenski stesso fin dalsuo scritto del 1929, Nove lezioni di logica simbolica, era bencosciente dei problemi teorici che la teoria dei tipi russellia-na implicava, in particolare per l’assioma di riducibilità chetale teoria suppone e che è la ragione teoretica per cui essa,come Cocchiarella stesso rileva, è stata universalmente ab-bandonata [Bochenski, 1991]. Una consapevolezza conferma-ta non solo nel suo scritto sull’analogia del 1948 che qui vo-gliamo esaminare, ma soprattutto nel capitolo dedicato allateoria dei tipi nel suo capolavoro che lo ha consegnato allastoria della logica del ’900, La logica formale [Bochenski 1956,II, p. 503 sgg.]. Da tutti questi scritti emerge che l’impor-tanza della teoria dei tipi per un recupero alla logica forma-le moderna della dottrina classica dell’analogia dell’essere èlegata essenzialmente al fatto che mediante tale teoria divie-ne possibile distinguere fra diversi livelli semantici nell’anali-si formale dei linguaggi. Una condizione che, come vedremo,può essere garantita in molti altri modi all’interno di diversiapprocci alla teoria dei fondamenti, comprese particolariestensioni semantiche della teoria degli insiemi alla logica deipredicati del second’ordine, in grado d’includere un’appro-priata teoria delle categorie (logiche, non ontologiche, benin-teso [cfr. Van Dalen, 1997]).

Resta allora qualcosa della pionieristica proposta di Bo-chenski circa una possibile formalizzazione in termini modernidell’ontologia e delle diverse ontologie che la storia del pen-siero ha proposto? Se non restasse nulla di tale proposta,

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neanche sarebbe possibile una formalizzazione della teoria del-l’analogia e lo scritto di Bochenski che qui vogliamo esami-nare sarebbe da archiviare in una sorta di “museo” delle (mol-te) promesse non mantenute della recente storia della logicaformale moderna.

Fortunatamente, c’è un’altra strada percorribile, basata suun altro principio dell’analisi logica del linguaggio che ci evi-ta un esito così triste e riduttivo, consentendo che logica for-male e ontologia formale, non si sovrappongano come ritene-va Bochenski, ma invece coesistano come di fatto è oggi co-me due discipline distinte, ma strettamente connesse. Taleprincipio, che fra l’altro è ricorrente in tutta la produzione diBochenski stesso, è quello derivante da un’analisi della no-zione stessa di predicazione che, come relazione logica è as-solutamente irriducibile alla relazione di appartenenza (mem-bership) della teoria degli insiemi. Così malgrado la riduzio-ne del predicato alla sola appartenenza di classe o interpreta-zione puramente estensionale del predicato, mantenga tutta lasua importanza nella logica matematica e nella logica forma-le, ma anche in semantica formale, per la costruzione di unateoria di modelli in grado provare una serie di risultati fon-damentali,

nondimeno essa non appare essere il contesto formale ade-guato in cui rappresentare né un’ontologia, né la nostra com-prensione del mondo, sia in termini di senso comune, che in ter-mini scientifici. L’appartenenza, la nozione base su cui la teoriadegli insiemi è costruita, è al massimo una pallida ombra dellapredicazione, che in un modo o nell’altro, è la nozione base sucui il pensiero, il linguaggio naturale e le forme logiche dellaconcezione della logica come linguaggio sono costruiti [Coc-chiarella 2001, p. 123].

In questo senso si può dire che le diverse forme di onto-logia informale che la storia del pensiero ha prodotto corri-spondono ad altrettante diverse teoria della predicazione, ov-vero a diverse teorie degli universali logici: nominalismo (pre-

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dicazioni nel linguaggio), concettualismo (predicazioni nel pen-siero), realismo (predicazioni nel reale extra-linguistico), perseguire la classica tripartizione di Porfirio nella sua Introdu-zione alle Categorie di Aristotele [Cocchiarella 2001, p. 124].Se quindi, seguendo Aristotele, consideriamo gli universali co-me quel tipo di entità che sono predicati di cose e che quin-di sono atti ad essere nei molti, a differenza dei termini sin-golari di cui sono predicati [De Interpret., 17 a 39], appareevidente che, malgrado ciò che purtroppo oggi generalmentesi pensa in logica formale, gli insiemi non sono una rappre-sentazione formalmente corretta degli universali logici medesi-mi. Infatti, la natura predicabile dell’universale, non solo è ciòche fonda la sua universalità, il suo essere-nei-molti, ma perciò stesso denota, almeno nel concettualismo e nel realismo,

un modo di essere (dell’universale) che, diversamente dagliinsiemi (di una gerarchia iterabile) non è generato dalle sue istan-ze e che, in questo senso non ha il suo essere nelle sue istanzeal modo in cui gli insiemi hanno il loro essere nei loro membri[Cocchiarella 2001, 124].

Paradossalmente siamo qui di fronte allo stesso rimprove-ro che Cantor, reso edotto su questo punto dall’antinomicitàcui il suo approccio puramente costruttivo agli insiemi com-portava, faceva a Frege alla fine del XIX secolo. Non è que-stione qui di opporre classi ad insiemi. Ovvero non è que-stione di sperare, come Frege originariamente credeva, che,mediante un’assioma di comprensione (e/o di astrazione ge-neralizzata) per la costituzione dei domini predicativi nellateoria delle classi – invece che di un approccio costruttivo atale costituzione mediante il teorema dell’insieme–potenza, co-me nell’originaria teoria cantoriana degli insiemi – si possanoevitare le antinomie. La scoperta dell’antinomia di Russell,drammaticamente, farà comprendere proprio questo – trop-po tardi! – a Frege. Né la soluzione è quella platonica, comePoincaré, Gödel, Husserl, e più recentemente De Giorgi, han-no cercato di perseguire, rivendicando una primalità episte-

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mologica ed ontologica dell’interpretazione intensionale degliuniversali su quella estensionale. Il problema vero, come Fre-ge stesso seguendo Cantor alfine riconoscerà nella storica let-tera di risposta a Russell che gli evidenziava la famosa anti-nomia che porta il nome del logico inglese, è di come passa-re costruttivamente nella logica come calcolo (insiemistica) daun predicato alla sua estensione. Ovvero, il problema è di co-me fondare le estensioni dei predicati senza, da una parte,usare assiomi ad hoc che garantiscano l’esistenza di oggetti“troppo infiniti” (collezioni che non sono insiemi con la car-dinalità di V) come l’assioma del buon ordinamento in ZFe/o l’assioma dell’insieme-potenza in NGB (e nella teoria de-gli insiemi generici di Cohen), o, d’altra parte, senza usare de-finizioni impredicative di insiemi (come negli approcci di fon-dazione intensionale alla logica estensionale). Una formalizza-zione della risposta di Tommaso a questo problema, che sfug-ge alle due suddette limitazioni, è offerta in § 0, pp. 24ss.

Per Tommaso, come per Cocchiarella e per noi, la stessarealtà intensionale del predicato – e la sua nominalizzazionein logica – è infatti frutto di un processo linguistico di costi-tuzione in logica, e di un processo cognitivo di astrazione,continuamente re-iterato sul dato esperienziale (si pensi allasimplex apprehensio dell’essenza di Tommaso) in epistemolo-gia. La soluzione, semmai, andrebbe cercata nella direzionedi mantenere la dimensione intensionale (autoriferimento) –incomplexa, la definiva Tommaso – ed estensionale (riferi-mento) – complexa, la definiva Tommaso – dell’universale,come due componenti complementari, continuamente e reci-procamente determinatesi perché dai reciproci confini sem-pre mutevoli, nella costituzione processuale, mai terminata,dei domini predicativi all’interno dei diversi contesti lingui-stici. Proprio come lo sono la potenza e l’atto dell’ontologiagenerale aristotelica – ma anche come lo yin e lo yan del prin-cipio femminile e maschile dell’ontologia generale soggiacen-te alle logiche orientali, da cui la distinzione greca della ma-teria e della forma come potenza e atto storicamente e lingui-sticamente deriva. Vanno in questa direzione, sia il principio

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Gianfranco
0, Sostituire con 3.2.2.
Gianfranco
pp. 24ss.
Gianfranco
NOTA GENERALE SUI RIFERIMENTI INCROCIATI: Siccome sono saltati tutti i riferimenti incrociati presenti nel testo, i riferimenti al numero di paragrafo (§) li ho corretti, i riferimenti al numero di pagina (p.**) li ho semplicemente cancellati). Naturalmente il testo cancellato (barrato nel testo) implica un restringimento della riga.

della “doppia correlazione” fra “concetti referenziali” (nomi)e “concetti predicativi” (verbi) di Frege-Cocchiarella nella “lo-gica come linguaggio” (Cfr. infra), come pure il nostro prin-cipio della “mutua determinazione” fra (supporto dell’)argo-mento e predicato (al limite) in ciascun passo della compu-tazione, per garantire “ricorsivamente” la convergenza deicomputi, nella “logica come calcolo” [Cfr. Perrone 1995; Ba-sti & Perrone 1992; 1997].

Come si vede, la semplice eppur profondissima notazioneontologica di Cocchiarella, le cui radici risalgono alle originistesse della logica nel pensiero occidentale – e, aggiungiamonoi, orientale –, è in grado di fondare nella logica formaleuna distinzione di livelli sintattici e semantici e dunque un’a-nalogicità nella nozione di essere espressa nella ben nota (do-po Russell) necessità che, affinché una formula predicativa siadotata di senso e risulti non antinomica, occorre che il pre-dicato sia di tipo logico superiore a quello dei suoi argomenti.In tal senso, molto correttamente, Cocchiarella può recupe-rare il cuore dell’intuizione di Bochenski, ampliandola ed in-tegrandola nel suo approccio comparativo alla logica e al-l’ontologia formali, che va sotto il nome di realismo concet-tuale. Una teoria in cui, fra l’altro, la concezione della logicaformale come calcolo e come linguaggio appaiono tutt’altroche esclusive, ma piuttosto costruttivamente complementari:

Non vi è alcuna inconsistenza nell’idea che le teorie intuiti-ve, informali degli universali che sono state descritte e propostelungo la storia della filosofia sono, ciascuna a suo modo, “il ma-teriale previo di un’ontologia” e che le differenti versioni di que-sto materiale possono essere sistematicamente sviluppate e spie-gate nei termini della metodologia della moderna logica simbo-lica, formulando ciascuna di esse come una teoria formale dellapredicazione che può essere presa come la base sia di una logi-ca formale, sia di un’ontologia formale [ibid.]

Viceversa, nella misura in cui nella teoria degli insiemi vie-ne comunque garantita un’appropriata distinzione dei livelli

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sintattici e semantici della predicazione, senza cadere nellesecche dell’originaria teoria dei tipi di Russell,

la teoria degli insiemi e la semantica basata sulla teoria dei mo-delli, soggette alle appropriate limitazioni dettate da ciascuna teo-ria degli universali, può essere usata come un framework mate-matico mediante il quale costruire e confrontare queste diverseontologie formali – ma, e questa nota cautelativa è importante,solo nel senso di fornire un estrinseco modello dell’ontologia checiascuna di esse si propone di rappresentare al suo interno (ibid).

Sebbene non siamo assolutamente d’accordo che la logicacome linguaggio e l’ontologia formale possano costituire (e menche mai sostituire) una teoria dei fondamenti della logica co-me calcolo, pur tuttavia, possiamo prendere la posizione diCocchiarella come un utile (euristico) punto di partenza.

2. L’analogia tommasiana di attribuzione

2.1. Il problema

Introducendo la sua trattazione formale dell’analogia di at-tribuzione, Bochenski afferma esplicitamente:

Fra i svariati generi di analogia, ve ne sono solo due che sonorealmente rilevanti: l’analogia di attribuzione e l’analogia di pro-porzionalità. Due nomi che sono posti in relazione dalla prima pos-sono essere chiamati “attributivamente analoghi”. Similmente, duenomi che sono posti in relazione dalla seconda possono essere chia-mati “proporzionalmente analoghi” (Bochenski 1948, 434).

Molto correttamente, il logico polacco ricorda che delledue forme di analogia, quella principale, per gli usi tipici del-l’ontologia, è l’analogia di attribuzione. Il problema è, comevedremo, che usando la logica dei Principia, ovvero una teo-ria degli insiemi, estesa mediante la teoria dei tipi ad un usosemantico (logica dei predicati di ordine superiore al primo),

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si riesce a formalizzare in maniera di calcolo logico consistente– dimostrazione sillogistica con termini analogici – solo unaversione molto povera, sia dell’analogia di attribuzione che diquella di proporzionalità. Per di più, nel caso dell’analogia diproporzionalità, in quanto basata su un isomorfismo di strut-tura fra i termini analogati, ovvero su un’identità di proprie-tà formali delle relazioni coinvolte, la logica dei Principia con-sente di formalizzare le proprietà solo di poche relazioni, quel-le rilevanti per la logica formale della matematica (logica ma-tematica). Così, per esempio, continua Bochenski, si riesce aformalizzare della distinzione, fondamentale per la teologiadella Trinità fra Principio e Padre, solo la proprietà di trans-itività che la prima nozione ha rispetto alla seconda.

Di questo limite, molto correttamente, Bochenski ne im-putava la responsabilità al fatto che la logica formale – inte-sa come logica simbolica – era in grado, ai suoi tempi, diformalizzare solo la “più povera delle scienze”, la matemati-ca. Invece,

Non siamo in grado a tutt’oggi di dare un’esatta formula-zione di molte proprietà formali implicate nelle relazioni usatedalla metafisica e dalla teologia; la ragione comunque non è nel-la mancanza di tali proprietà formali, ma nello stato di sotto-sviluppo della biologia e di altre scienze, dalle quali il metafisi-co e il teologo devono trarre i loro nomi (e i loro contenuti)analogici. Un immenso progresso nelle scienze speculative deri-verebbe dalla formalizzazione di queste discipline (Bochenski1948, 443).

Lo sviluppo attuale dell’ontologia formale è oggi certa-mente in grado di fare molti passi in avanti nella formalizza-zione delle proprietà oggetto d’indagine della metafisica e del-la teologia. Cerchiamo subito di vedere in che senso.

2.2 L’analogia di attribuzione e la sua formalizzazione

Il testo tommasiano cui Bochenski fa riferimento per ap-plicare la sua trattazione formale dell’analogia di attribuzione

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transitività [sillabare correttamente: transi- tività]

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è – implicitamente, perché di fatto non viene citato – quelloclassico di S.Th., I, 13,5c, dove parlando dell’analogia di at-tribuzione, nel contesto della semantica dei nomi divini,Tommaso afferma esplicitamente che, in generale – qui il con-testo teologico è assolutamente irrilevante – tale analogia puòessere intesa in un modo duplice:

o nel senso che molti si rapportano8 ad uno [multi ad unum[come “sano” viene detto della medicina9 e dell’urina in quantociascuno dei due si rapporta ordinatamente [habet ordinem etproportionem] alla sanità dell’animale delle quali l’una [l’urinaN.d.R.] è segno, l’altra [la medicina N.d.R.] è causa. Oppure nelsenso che l’uno si rapporta all’altro [unum ad alterum], come sa-no viene detto della medicina e dell’animale in quanto la medi-cina è causa della sanità dell’animale. [...] Questo modo di con-nettere i termini si trova a mezza strada fra la pura univocità ela semplice equivocità. Infatti né vi è in ciò che viene posto inrelazione analogicamente un’identità di connotazione [ratio], co-me nella predicazione univoca, né totalmente diversa come nel-la predicazione equivoca, ma il nome che viene così predicatoin molti modi (multipliciter) significa diversi modi di rapportar-si ad un qualcosa di unico.

Definite le nozioni semantiche di univocità (predicazioneunivoca), Un, e equivocità (predicazione equivoca), Ae, nellateoria semantica della predicazione come relazioni a sette po-sti, rispettivamente,

8 Habent proportionem è detto in latino. La traduzione con “rappor-tarsi” è la più esatta etimologicamente, perché con proportio nel latino diTommaso, si intende letteralmente il rapporto aritmetico fra due grandez-ze numeriche. Non dunque la “proporzione aritmetica”, nel senso formaledi “identità di rapporto” fra due coppie di grandezze numeriche, che vie-ne resa invece con proportionalitas.

9 Bochenski e noi con lui, per uniformarsi all’uso corrente del linguag-gio sostituisce “medicina” con “cibo”. Infatti oggi non si parla di “medi-cina sana”, ma di “cibo sano” esattamente nel medesimo senso in cui simuove l’esemplificazione tommasiana.

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Un(a, b, l, g, x, y) =def S( a, l, f, x) ∧ S(b, l, g, y) ∧ I(a, b)∧ x ≠ y ∧ f = gAe(a, b, l, g, x, y) =

defS( a, l, f, x) ∧ S(b, l, g, y) ∧ I(a, b) ∧ x ≠ y ∧

f ≠ g (2.1)

dove a, b denotano due nomi predicativi; l denota il lin-guaggio in cui gli asserti sono espressi; f, g denotano i duecontenuti semantici o connotazioni dei relativi nomi predica-tivi a, b; x, y i nomi degli oggetti cui i nomi predicativi a, bsono attribuiti, S il significato di un asserto elementare comerelazione a cinque posti fra: un nome predicativo, il linguag-gio, la connotazione del predicato e il nome dell’oggetto cuiil nome predicativo è attribuito; I l’identità notazionale di duepredicati formalmente distinti, la nozione semantica di analo-gicità (predicazione analoga), An, viene definita da Bochenskicome un caso particolare di predicazione equivoca:

An(a, b, l, g, x, y) =def Ae(a, b, l, g, x, y) ∧ F (2.2)

Se dunque Ae con i suoi argomenti denota la relazione equi-voca in generale fra usi di un notazionalmente identico nomepredicativo in contesti linguistici semanticamente distinti, talerelazione diviene sistematicamente ambigua, ovvero analogica(An), secondo la definizione di essa indirettamente data neiPrincipia – che riprende la definizione scolastica di analogiacome aequivocatio a consilio –, quando fra i contenuti seman-tici distinti e i nomi degli oggetti cui i nomi predicativi si ap-plicano sussiste una particolare relazione complessa F.

L’analogia di attribuzione uno-ad-uno (unum ad alterum)(At), relativa al passo di Tommaso citato in precedenza vie-ne perciò così formalizzata da Bochenski:

At(a, b, l, g, x, y) =def Ae(a, b, l, g, x, y) ∧ [(∃ R) C(f, x,R, g, y) ∨ C(g, y, R, f, x)] (2.3)

dove (a, b) denotano i due nomi predicativi (in questo ca-so “sano”), formalmente distinti, ma notazionalmente identici,

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NOTA GENERALE SULLE FORMULE: Quando è evidenziato un simbolo alla FINE o all'INIZIO di una riga vuol dire che il simbolo va ripetuto, rispettivamente, ALL'INIZIO DELLA RIGA SEGUENTE o ALLA FINE DELLA RIGA PRECEDENTE. P.es.: è scorretto scrivere (a+b= c), bisogna scrivere (a+b= =c)

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ovvero I(a, b) e dunque ambigui; l denota il linguaggio in cuigli asserti sono espressi; (f, g,) i due contenuti semantici o con-notazioni dei nomi predicativi, in questo caso, rispettivamen-te “il contenuto di sanità” del cibo (Cfr. nota 9) e dell’ani-male; (x, y) i due oggetti cui i nomi predicativi sono attribui-ti, in questo caso rispettivamente, “il cibo” e “l’animale”.

Nel caso specifico dell’analogia di attribuzione uno-ad-uno(2.3), la F della definizione formale generica di predicazioneanaloga (2.2) è data dall’espressione alla destra di Ae e delsuo argomento, ovvero dalla relazione R (in questo caso, se-condo Bochenski, quella dell’”essere mangiato”) che si arti-cola in una peculiare relazione causale C a cinque posti, fraR, i due contenuti (f, g) e i due rispettivi oggetti (x, y). L’al-ternazione fra due C della formula esprime il fatto che la re-lazione causale può andare nei due sensi. Se infatti per x pren-diamo il “cibo”, sarà la sua “sanità” a produrre la “sanità”dell’animale, nel caso dell’urina, viceversa, sarà la “sanità del-l’animale” a produrre quella dell’“urina”.

Il caso dell’attribuzione molti-ad-uno (multi ad unum),Atm, deriva dal precedente. In tal caso, infatti, l’analogia frai due nomi a e b (in questo caso, “cibo” e “urina”) sarà da-to da un terzo nome c (in questo caso “l’animale”) rispettoal quale i due precedenti saranno attributivamente analoghisecondo la relazione (2.3):

Atm(a, b, l, g, x, y) =def [(∃ c, h, z) At(a, c, l, f, h, x, z) ∧At(b, c, l, g, h, y, z)] (2.4)

Come si vede nella formalizzazione di Bochenski dell’ana-logia di attribuzione manca completamente ogni riferimentoal contesto modale in cui invece la trattazione dell’analogia diattribuzione nel testo di Tommaso viene sviluppata. L’analo-gia di attribuzione, come il suo nome esprime bene, riguardainfatti essenzialmente i diversi modi dell’attribuzione di con-tenuti semantici diversi ad oggetti diversi usando gli stessi no-mi predicativi. Un riferimento modale che manca nell’analo-gia di proporzionalità, dove effettivamente la relazione è so-

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lo fra contenuti semantici diversi, a (nomi di) oggetti diversiusando gli stessi nomi predicativi.

Ciò si vede bene soprattutto nel caso della formalizzazionedell’analogia molti-ad-uno, Atm. Infatti, in questo caso apparechiaro che il contenuto semantico dell’analogato principale (lasanità dell’animale) non appartiene alla medesima categoria on-tologica degli altri due (la sanità del cibo e/o dell’urina). Nel ca-so dell’analogato principale, infatti, il contenuto semantico del-la sanità e il relativo predicato esprime un modo di essere del-l’oggetto (l’animale), si tratta cioè, per seguire la già citata tri-partizione di Porfirio di un universale in re, o cum fundamentoin re , per usare la terminologia scolastica, ovvero denotante unaproprietà naturale dell’oggetto. Nel caso degli altri due oggettianalogati secondari (il cibo e/o l’urina), il contenuto semanticoappartiene invece ad un’altra categoria ontologica. I due conte-nuti semantici della sanità e i relativi nomi predicativi esprimo-no infatti, non un modo di essere dei relativi oggetti ma un mo-do di essere conosciuti o universale concettuale. La “sanità” in-fatti non è una proprietà né dell’urina né del cibo.

Ciò non vuol dire che sia mancante, nel caso dell’analo-gato principale, un contenuto semantico di tipo concettuale e,nel caso degli altri due analogati secondari, un contenuto se-mantico di tipo naturale. Ma nel caso relativo ai due analo-gati secondari, il contenuto semantico naturale non sarà unmodo di essere dell’oggetto relativo (un’essenza e/o qualchesua determinazione, ovvero una sua proprietà naturale) comenel caso dell’analogato principale, bensì un modo di essere inrelazione, sinteticamente, una relazione naturale, nel nostro ca-so causale, dell’oggetto relativo. La mancanza di una distin-zione adeguata delle categorie ontologiche si riflette in unamancanza di distinzione adeguata di categorie formali, si ri-flette nel confondere, cioè, una relazione con una proprietà.Come si vede, l’ontologia formale appare essere una teoriafondativa non solo della verità, ma anche della validità for-male di determinati usi linguistici di tipo semantico, o, se vo-gliamo, la semantica viene logicamente prima della sintassi ne-gli usi semantici, denotativi del linguaggio. Quando dunque

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il Cajetano parlava nell’analogia di un riferirsi confuse all’a-nalogato principale non aveva tutti i torti, come invece Bo-chenski sembra rimproverargli...

Sinteticamente, dunque, limitandoci ad At [cfr. (2.3)], cia-scun contenuto semantico f, g, andrebbe diviso in due, ri-spetto al contenuto concettuale, c, e naturale, n, per ciascunodei due oggetti, x, y, dunque avremmo:

f =def fc ∧ fn ; g =def gc ∧ gn. (2.5)

In tal modo, la generica relazione di equivocità Ae, perpoter essere applicata all’analogia, secondo i principi dell’on-tologia tomista, andrebbe così specificata come una relazionea nove e non sette posti, secondo quella che, con l’aiuto diCocchiarella definiremo come la dottrina della doppia signifi-cazione, concettuale e naturale, degli universali:

Ae(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) =def S( a, l, fc , fn , x) ∧ S(b, l,gc , gn , y) ∧ I(a, b) ∧ x ≠ y ∧ (fc ≠ gc ∨ fn ≠ gn) (2.6)

Ugualmente, la relazione R cui Bochenski fa riferimentonella sua formalizzazione dell’analogia di attribuzione, an-drebbe distinta in due fra una relazione naturale Rn relativaalla causalità C fra i contenuti naturali degli oggetti e una re-lazione intenzionale Rt relativa ad un’altra forma di causalitàT fra contenuto naturale e concettuale, che, evidentemente,nel nostro caso vale solo per la sanità dell’animale, essendoesso l’unico universale concettuale cum fundamento in re. La(2.3) andrebbe così riscritta:

At(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) =def Ae(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) ∧ [(∃ Rn) C(fn, x, Rn , gn , y) ∨C(gn , y, Rn , fn , x) ] ∧ ∧ [(∃R t) T(fc , Rt , fn) ∧ T(gc , Rt , gn)] ∧ fn ≠gn ∧ fc ≠ gc (2.7)

Da questa scrittura formale appare, molto più chiaramenteche da quella di Bochenski, che l’ambiguità sistematica nasce

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=def
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dall’attribuzione della sanità sine fundamento in re nel termineanalogato, secondario perché l’unico fondamento reale di sif-fatta attribuzione è solo quello della relazione Rn nelle due di-rezioni fra i rispettivi contenuti naturali. In altri termini, l’e-quivocità sistematica in questo tipo di attribuzione nasce dalfatto che una relazione viene confusamente intesa a livello con-cettuale come una proprietà. Più esattamente, nell’esempio diTommaso, una relazione, la relazione naturale (causale) Rn fracerte proprietà fn del cibo e/o dell’urina con la proprietà di sa-nità gn dell’animale, viene equivocamente intesa come una pro-prietà: la sanità predicata del cibo e/o dell’urina.

D’altra parte, se ci limitiamo al testo di Tommaso da cuiil logico polacco come noi ha preso le mosse, l’insufficienzadella formalizzazione di Bochenski sembra giustificata dallalettera del testo tomista. Infatti, sebbene sia chiaro il sensomodale del testo di Tommaso, ovvero che qui l’analogia è suimodi della predicazione non sui contenuti di essa, come nel-l’analogia di proporzionalità, è chiaro che l’uso di un unicotermine, ratio, (da noi reso con “connotazione”) per denota-re il contenuto semantico della predicazione, sia che esso de-noti un contenuto concettuale, sia un contenuto naturale, èequivoco. Più esattamente, l’uso del termine ratio in Tomma-so è analogico esso stesso, o, appunto sistematicamente ambi-guo. Qualsiasi lessico tomista concorda infatti nell’affermareche, fra gli svariati significati che il termine ratio può averenegli scritti dell’Aquinate, in contesti simili al nostro, con ta-le termine Tommaso talvolta denota un contenuto naturale(p.es., la natura (essenza) o una proprietà naturale di un de-terminato ente), talvolta un contenuto concettuale (p.es. il con-tenuto della definizione di un’essenza e/o di una proprietà).

Esiste, comunque un testo di Tommaso [In I Sent., XIX,V, 2 ad 1], del tutto parallelo al nostro in cui il termine equi-voco ratio viene esplicato in questa sua duplice componente,concettuale e naturale (ontologico). Da esso si può facilmen-te evincere come la nostra formalizzazione [cfr. (2.7)] dell’a-nalogia di attribuzione, sebbene ancora insufficiente, sia mol-to più aderente non solo allo spirito, ma stavolta anche alla

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lettera del testo tommasiano rispetto a quella di Bochenski[cfr. (2.3)]. Non deve stupire allora che in questo testo, l’a-nalogia di attribuzione, una volta resa esplicita la differenzafra contenuto ontologico e concettuale della predicazione, sipossano distinguere tre diverse classi di analogie di attribu-zione, a seconda che l’ambiguità sistematica riguardi solo unodei due dei contenuti semantici (quello concettuale o quelloontologico) o tutti e due.

Qualcosa può essere predicato analogicamente in tre modi:

1) O secondo il contenuto concettuale (secundum intentionem), manon secondo il contenuto ontologico (secundum esse). E questo èquando un solo contenuto concettuale si riferisce a molti se-condo il prima e il dopo, sebbene non abbia l’essere se non inuno solo. Come per esempio il contenuto concettuale della sa-nità si riferisce all’animale, all’urina e alla dieta in modo diver-so, secondo il prima e il dopo, non tuttavia secondo l’essere,poiché l’essere della sanità non è se non nell’animale.

2) Oppure, secondo il contenuto ontologico, ma non secondo il con-tenuto concettuale. E ciò accade quando molti vengono equipa-rati (parificantur) secondo un contenuto concettuale comune, maquesto qualcosa di comune non ha l’essere secondo la medesi-ma essenza in tutti (non habet esse unius rationis in omnibus),come tutti gli enti fisici possono essere equiparati nel concettodi corporeità. Quindi il logico, che considera solo i contenuticoncettuali dice che il nome “corpo” si predica univocamentedei corpi corruttibili e incorruttibili (i corpi celesti della co-smologia aristotelica, N.d.R.). Ma l’essere di questa natura nonè secondo la medesima essenza (specifica N.d.R.) nei corpi cor-ruttibili e incorruttibili. Quindi, secondo il metafisico e il fisicoche studiano le cose secondo il loro essere, né quanto nome“corpo”, né qualsiasi altro si predicano univocamente dei corpicorruttibili e incorruttibili, come si evince dal X Libro della Me-tafisica secondo il Filosofo (Aristotele N.d.R.) e il suo Com-mentatore (Averroè N.d.R.).

3) Oppure, sia secondo il contenuto concettuale, sia secondo il con-tenuto ontologico. E ciò accade quando (i molti) non sono equi-parati né secondo il contenuto concettuale, né secondo quelloontologico, come il nome “ente” si predica della sostanza e del-

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l’accidente. Per tali oggetti, infatti, occorre dire che la natura co-mune abbia un qualche essere in ciascuno di loro di cui si pre-dica, ma differente secondo l’essenza di una maggiore o mino-re perfezione. E similmente affermo che la verità, la bontà e tut-te le nozioni di questo tipo (i trascendentali N.d.R.) si predica-no solo analogicamente. Quindi è necessario che tutte queste co-se abbiano il loro essere in Dio e nelle creature secondo un rap-porto (ratio) di maggiore o minore perfezione. Dal che ne con-segue che, non potendo esistere secondo un medesimo essere inambedue, vi sono diverse verità.

Dall’esame di questo testo si evince chiaramente come lamia correzione della formalizzazione di Bochenski renda con-to in maniera molto più adeguata della prima delle tre classidi analogia di attribuzione individuate da Tommaso, che po-tremmo definire analogia di attribuzione logica e non ontolo-gica. Nel testo presentato, appare chiarissima la distinzionetommasiana fra contenuti semantici concettuali e ontologici(naturali) nonché il ruolo che gioca l’altra relazione, quella in-tenzionale, per un’adeguata semantica dell’analogia in logicadei predicati e dell’ontologia soggiacente. Addirittura, Tom-maso in una forma ellittica, assai poco formale, ma certamentecomunicativamente efficace, definisce intentiones quelli chenoi, per porci in continuità critica col testo di Bochenski ab-biamo definito contenuti concettuali.

D’altra parte, appare altrettanto chiaro come la formaliz-zazione di Bochenski non possa render conto affatto delle al-tre due forme di analogia di attribuzione, quelle dove entrain gioco l’analogia ontologica di attribuzione, rispettivamentein disgiunzione e in congiunzione con quella logica, dove cioèl’ambiguità sistematica si gioca non sull’equivocità dei conte-nuti concettuali, ma su quella dei contenuti ontologici dellapredicazione. Tale impossibilità sistematica non deriva sol-tanto dalla mancanza di simboli sufficienti per una formaliz-zazione adeguata, ma anche da un’altra e più sottile motiva-zione – sebbene di eccezionale rilevanza teoretica per l’onto-logia tommasiana e la sua formalizzazione.

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Credo che non sia sfuggito al lettore più attento la “stra-nezza” che qui Tommaso, apparentemente, non faccia mai ri-ferimento esplicito alla relazione causale come costitutiva del-l’analogia di attribuzione ed invece usi al suo posto una re-lazione di ordinamento per prius et posterius. Che il “prima”e il “dopo” cui qui si fa riferimento denotino una relazionedi successione temporale e che in questo senso connotino unasemplice relazione causale univoca può pensarlo solo chi an-cora è schiavo dello schema moderno, humiano-kantiano direlazione causale, sia in fisica che in metafisica10. Per inficia-re tale interpretazione, a parte ogni altra considerazione, ba-sta leggere il seguito del testo: in esso Tommaso applica que-sta relazione di ordinamento che sembra sostituire quella cau-sale, esplicitandola come una relazione gerarchica fra livelli diperfezione nell’essere (fra corpi celesti e terrestri, fra sostan-za e accidente, fra Dio e creature)

È chiaro che qui Tommaso faccia riferimento ad un gene-re diverso di causalità, quello che, a differenza dell’altro, uni-voco, che si muove su un solo livello ontologico, per enti ap-partenenti ad un medesimo genere o categoria ontologica, ècaratterizzato formalmente da necessità senza simmetricità del-le relazioni fra causa ed effetto, dove cioè l’effetto rimandanecessariamente alla causa, ma non viceversa, così che la cau-sa debba essere definita equivoca o, appunto analoga. All’a-zione della causa non segue univocamente un effetto, ma unamolteplicità di effetti di livello ontologico inferiore, sebbenetutti gli effetti rimandino univocamente alla medesima causa.Ed infatti Tommaso definisce in molti testi col medesimo ter-mine di causa equivoca o analoga sia la causalità sull’essere del-la forma dei corpi terrestri da parte dei celesti, sia la causali-tà dell’essere dell’esistenza degli accidenti da parte della so-

10 Per una discussione sull’indaguatezza di tale schema – che fa dellasuccessione temporale un ingrediente essenziale della causalità –, non soloper la metafisica, ma anche per l’ontologia della fisica contemporanea, inparticolare della fisica quantistica e dei sistemi complessi, [cfr. Basti 2002].

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stanza, sia la causalità dell’essere totale, formale ed esistenziale(esse ut actus), delle creature da parte di Dio, denotandola– ma con un contenuto semantico completamente diverso –col termine platonico di partecipazione. E la differenza prin-cipale con la metafisica platonica è proprio nel fatto che, men-tre in Platone l’ontologia della partecipazione è di tipo esem-plarista, di chiara derivazione geometrica11, in Tommaso è ditipo causale. Dio è causa esemplare di tutti gli enti non per-ché in Lui esistono i modelli esemplari primi (paradigmi) ditutte le forme degli enti, ma perché Dio è Causa Prima ditutto l’essere degli enti, loro forme incluse.

All’analogia ontologica di attribuzione, multi ad unum fariscontro dunque una causalità analoga unum ad multos12. Ec-co il nucleo teoretico di un’ontologia formale, ancora da svi-luppare completamente, della partecipazione dell’essere, che

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11 È intuitivamente evidente che la struttura formale dell’esemplarismoplatonico coincide in larga parte con quello della geometria proiettiva.

12 La teoria dei sistemi dinamici stabili fuori dall’equilibrio (sistemi com-plessi) fornisce un’esemplificazione nella fisica contemporanea di questo ge-nere di causalità analoga. In tali sistemi (p.es., i sistemi caotici) un unicoinsieme di condizioni iniziali è compatibile con una molteplicità di stati fi-nali della dinamica, secondo traiettorie nello spazio delle fasi che, almenonei sistemi instabili generati da un unico insieme di equazioni differenzia-li non lineari, sono passo passo, grazie alla condizione di differenziabilità,determinabili (l’impredicibilità è solo nel lungo periodo). E’ chiaro allorache, in tali sistemi, la causalità che determina ciascuno dei molteplici statistabili (pseudo-periodi) della dinamica, compatibili con l’unico insieme dicondizioni iniziali non è riducibile a tale insieme. In tali sistemi si dovràparlare di una causalità simultanea, globale, che determina l’intero proces-so. Cfr. su questo punto [Basti 2002, 142-182] e bibliografia ivi citata. Perla continuità fra questa fisica dei sistemi complessi, e l’ontologia fisica ari-stotelica, basata sulla dottrina delle “quattro cause”, cfr. [ivi, pp. 431-457].Per il rapporto fra l’ontologia fisica aristotelica delle quattro cause e l’on-tologia metafisica tommasiana della “partecipazione dell’essere”, e quindicon una teologia della creazione che non identifica l’azione creatrice conle condizioni iniziali della dinamica dell’universo, come nel modello carte-siano, ma con un’azione simultanea a ciascun istante di tempo dell’evolu-zione dinamica dell’universo medesimo cfr. [ivi, pp. 457-470].

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costituisce la novità teoretica principale della metafisica tom-masiana [cfr. infra § 0, pp. 29 sgg. ]. Non stupisce allora cheCornelio Fabro nel suo libro-capolavoro, Partecipazione e Cau-salità [Fabro 1961], nel quale si afferma esplicitamente chel’analogia di attribuzione logica ed ontologica costituisce la se-mantica della metafisica tommasiana della partecipazione, citiproprio questo passo del Commento alle Sentenze come quel-lo che meglio esprime questa semantica, sebbene lo citi conuna terribile mutilazione. Quella della seconda classe di ana-logia di attribuzione, l’analogia secundum esse et non secun-dum intentionem, nell’esplicita, ma erronea convinzione – co-mune a quasi tutti gli Autori del ’900 che si sono confronta-ti con questo testo –, che il fatto che la fisica moderna aves-se ridicolizzato una particolare fenomenologia fisica di questaontologia, la cosmologia aristotelico-tolemaica, rendesse in-consistente anche la soggiacente ontologia fisica. In tal modo,però, dovendo per forza ridurre l’esemplificazione dell’analo-gia di attribuzione ontologica alla sola semantica dei nomi di-vini, Fabro di fatto ha esposto la sua riproposizione della teo-ria metafisica della partecipazione al rischio di una sua ridu-zione nei termini dell’ontoteologia heideggeriana, come gli èstato fatto notare sia da illustri detrattori, come un Emanue-le Severino [Severino, ***], che da illustri sostenitori, comePaul Ricoeur [Ricoeur 1981, 359 sgg.], di questa riduzione.

Questo lungo inciso credo sia servito ad evidenziare qua-le sia il secondo punto che rende inadeguata la formalizza-zione di Bochenski dell’analogia di attribuzione per renderela dottrina completa di Tommaso, così come si evince da que-sto fondamentale testo del Commento alle Sentenze. Nella for-malizzazione di Bochenski, la relazione causale fra analogatoprincipale e analogati secondari può andare nei due sensi, co-me l’alternazione delle due quintuple che formalizzano la cau-salità C, evidenzia. Se ciò è vero per l’analogia di attribuzio-ne logica e non ontologica, esso non diviene più vero quan-do entra in ballo l’analogia di attribuzione nelle altre due clas-si di analogie di attribuzione possibili, in base alla distinzio-

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0,
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3.2.4
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pp. 29 sgg.
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[Severino, ***], sostituire con [Severino 1982],

ne tommasiana dei due contenuti semantici, concettuale e on-tologico. Vediamo ora in estrema sintesi, come la nostra cor-rezione alla formalizzazione dell’analogia di attribuzione pro-posta da Bochenski può costituire la base per una formaliz-zazione della teoria completa tommasiana dell’analogia di at-tribuzione, così come si evince dal testo del Commento alleSentenze che stiamo qui esaminando.

Tommaso, dunque, distinguendo fra contenuto semanticoconcettuale e naturale distingue tre classi di nomi analogiciper analogia di attribuzione che potremmo così ridefinire for-malmente in maniera ancora imprecisa, perché non abbiamoancora modalizzato i quantificatori:

1. Analogia di attribuzione logica e non ontologica (secundumintentionem et non secundum esse) formalizzabile nella no-stra definizione (2.7).

2. Analogia di attribuzione ontologica e non logica (secundumesse et non secundum intentionem), formalizzabile nella se-guente definizione:At(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) =def Ae(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) ∧ [(∃ Rn) C(gn , y, Rn , fn , x) ∧¬C(fn, x, Rn , gn , y) ] ∧ (2.8)∧ [(∃ Rt) T(fc , Rt , fn) ∧ T(gc , Rt , gn)] ∧ fn ≠ gn ∧ fc ≠ gc

Dove appare che l’ambiguità sistematica di questa se-conda forma di analogia di attribuzione è legata all’identifi-cazione equivoca a livello concettuale di due contenuti se-mantici naturali distinti, nella fattispecie dell’esempio diTommaso, la natura materiale fn del corpo terrestre x e quel-la gn del corpo celeste y e dove la relazione di partecipazio-ne con la distinzione di livelli ontologici fra partecipato (su-periore) e partecipante (inferiore) è resa mediante il divietodella simmetricità della relazione causale C, il divieto cioèdi una relazione causale da x a y. Da questa formalizzazio-ne appare così che l’equivocazione è del logico che non hagli strumenti concettuali per distinguere fra natura dei cor-

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=def
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pi celesti e terrestri, mentre il fisico che li ha, sa anche chela relazione causale fra corpi celesti e terrestri si concretiz-za in distinte specificazioni della loro comune natura mate-riale M (= appartenenza ad un medesimo genere, quello de-gli enti materiali), ovvero:

(gn ∨ fn ) ⊂c

M (2.9)

Naturalmente questa inclusione genere/specie su base cau-sale (cfr. l’indice C del simbolo di inclusione) ha da essereappropriatamente giustificata in un’ontologia adeguata, comevedremo nella prossima sezione.3) Analogia di attribuzione logica e ontologica (secundum in-

tentionem et secundum esse):

At(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) =def Ae(a, b, l, fc , fn , gc , gn , x, y) ∧ ∧ [(∃ Rn).C(gn , y, Rn , fn , x) ∧.¬C(fn, x, Rn , gn , y)] ∧ ∧ (2.10)[(∃ Rt) T(fc , Rt , fn) ∧ ¬ T(gc , Rt , gn)] ∧ fn ≠ gn ∧ fc ≠ gc

Dove si evince chiaramente che qui l’ambiguità sistemati-ca nasce riguardo ad ambedue le classi di contenuti semanti-ci. Infatti, l’equivocità riguardo ai contenuti concettuali di-pende dal fatto che, nel caso dell’analogato principale y inquestione (la sostanza rispetto all’accidente o Dio rispetto al-la creatura, nell’esempio di Tommaso), non vi può essere nes-suna conoscenza diretta della natura dell’oggetto. Invece, co-me il metafisico e il teologo sanno, l’unica conoscenza che sipuò avere dei rispettivi gn è quella inferenziale (dimostrativa)di fn come partecipante a (causato da) gn secondo la relazio-ne C. Inoltre l’impossibilità di una conoscenza diretta di gn

implica che non si possa giustificare l’esistenza di alcun ge-nere comune agli analogati, ovvero una relazione del tipo di(2.9), bensì, dato il particolare tipo di relazione C, si può giu-stificare una relazione del tipo:

fn ⊂c

gn (2.11)

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=
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∧∧

Nel caso in cui gn è un nome di Dio, esso rappresenterà ilmassimo di una qualche gerarchia finita di livelli ontologicidi attribuzione di una determinata proprietà. Nel caso in cuiinvece rappresenta il nome di ente attribuito alla sostanza ri-spetto all’accidente, esso rappresenterà un livello ontologicosuperiore.

2.3 Estensione all’analogia di proporzionalità

Se consideriamo l’ultimo esempio di Tommaso nel testodel Commento alle Sentenze, che abbiamo commentato nel-le due sotto-sezioni precedenti [cfr. p. 10] riguardo alla ter-za classe di nomi attributi analogamente, vediamo che essoriguarda precisamente i tre termini (“Dio”, “ente”, “buo-no”) che caratterizzano il sillogismo dimostrativo tipico del-l’uso dell’analogia di proporzionalità in metafisica e teolo-gia, nell’esempio datone da Bochenski stesso [cfr. p. 13]. In-fatti se l’analogia di proporzionalità si caratterizza in gene-rale per la presenza di nomi predicativi equiformi, eppurecon contenuti diversi (equivocità), tuttavia il sillogismo cheha come termine medio nelle due premesse una coppia diquesti nomi “proporzionalmente analoghi” resta valido. Nel-la teoria classica, quella caetanista in particolare, ciò si giu-stifica, secondo Bochenski, per il riferimento di ambeduequesti termini ad un analogato comune contenente in ma-niera confusa (confuse) ambedue questi termini. Questo“analogato comune” sarebbe, nell’interpretazione di Bo-chenski, l’alternazione (somma logica) dei contenuti f e g.Dunque:

[f ∪ g]x =def fx ∨ gx (2.12)

Di qui la definizione di questa particolare interpretazio-ne dell’analogia di proporzionalità come teoria dell’alterna-tiva (alternative theory). Secondo lo schema generale datoda Bochenski dell’analogia in (2.2) come relazione a setteposti, l’analogia di proporzionalità Anp secondo la teoria

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[cfr. p. 10] Eliminare e restringere riga
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[cfr. p. 13] Eliminare e restringere riga

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dell’alternativa verrebbe così formalizzata [Bochenski 1948,p. 437]:

Anp (a, b, l, g, x, y) =def Ae(a, b, l, g, x, y) ∧ [(∃ h) f = [g ∪ h] ](2.13)

Il problema è che seppure questa, formalizzazione è in gra-do di giustificare la consistenza del calcolo sillogistico (della di-mostrazione sillogistica) a termini medi analoghi e non univo-ci, questa formalizzazione dell’analogia di proporzionalità è as-solutamente insufficiente – come Bochenski correttamente di-mostra – a giustificare formalmente la validità del calcolo sil-logistico laddove venisse usato per dimostrazioni sillogistiche incui non solo il termine medio, ma anche l’estremo maggioredel sillogismo è connotato analogicamente, come per esempionel classico sillogismo della cosiddetta analogia entis in teolo-gia. Il sillogismo cioè dove, partendo dal fatto che a Dio puòessere analogamente attribuito il nome di ente, si possono ana-logamente, ma rigorosamente attribuire a Lui anche altri nomiequivalenti a tale nome (trascendentali. cfr. nota 6), come, p.es.,buono, secondo il classico sillogismo “metafisico-teologico” del-l’analogia entis usato per esemplificare da Bochenski stesso:

Ogni ente è buonoDio è ente

∴ Dio è buono

È chiaro che qui, però, non siamo di fronte ad un sillogi-smo basato su un’analogia di proporzionalità, ma di attribu-zione, che ha come analogato comune non un genere, ma l’es-sere, ovvero il nome di ente il nome di buono che è un suoequivalente (– un termine cioè coestensivo sebbene con si-gnificato diverso. Ed infatti, come esplicitavamo all’inizio diquesta sottosezione, non è casuale che Tommaso nel testo delCommento alle Sentenze da noi discusso, usi proprio questodell’attribuzione del nome di ente a Dio come esempio clas-sico di analogia di attribuzione logica e ontologica.

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ente il nome di buono che è Sostituire con: ente, essendo il nome di ente [mantenere i corsivi per "ente" e "buono)
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(– Cancellare parentesi e mantemnere solo il trattino.

È chiaro che, proprio perché la relazione causale di parte-cipazione dell’essere è fondamento metafisico della verità e va-lidità formale di un sillogismo siffatto, si può parlare in que-sto caso anche di una relazione di analogia di proporzionalitàe quindi di un isomorfismo di struttura fra le due coppie ditermini analogati coinvolti – il termine medio “ente” nelle duepremesse, e l’estremo “buono” nella premessa maggiore e nel-la conclusione. Infatti, in generale, nell’analogia di proporzio-nalità, l’identità non è fra i contenuti significati fra i terminianalogici, a e b, ma un’identità di forma. Ovvero, siamo difronte ad un isomorfismo tra: una qualche relazione P fra ilcontenuto f e la cosa x denotata da a, e la relazione Q fra ilcontenuto g e la cosa y denotata da b. In altri termini l’ana-logia An di cui qui si parla è una forma particolare di ambi-guità sistematica legata ad un isomorfismo di relazioni, o piùesattamente fra due diversi insiemi di relazioni:

An (a, b, l, g, x, y) . =def Ae(a, b, l, g, x, y) ∧ [(∃ P, Q) fPx ∧ gQy]∧ Psmorf Q (2.14)Se questo è vero, risulta del tutto falsa, afferma giusta-

mente Bochenski, quell’interpretazione dell’analogia di pro-porzionalità Anp che pone l’analogato comune ai due termi-ni in questione come un’ulteriore relazione R che contiene ledue relazioni P e Q quasi come un genere comune che con-tiene le specie che ad esso appartengono:

Anp (a, b, l, g, x, y) =def Ae(a, b, l, g, x, y) ∧∧ [(∃ P, Q, r) fPx ∧ gQy .] ∧ (P ≠ Q) ∧ (P ⊆ R) ∧ (Q ⊆ R) (2.15)

Questa soggiacente univocità dei termini è infatti ciò cheviene assolutamente negato nell’interpretazione classica tom-masiana e tomista dell’analogia di proporzionalità.

Viceversa, se poniamo che l’analogato comune nell’analo-gia di proporzionalità non è una qualche relazione R univo-camente comune, ma il prodotto di due relazioni diverse P eQ – una condizione perfettamente consistente con la condi-zione di isomorfia così com’è definita in (2.14) –, allora si può

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fra i Sostituire con: dai
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dare il giusto senso teologico al sillogismo “teologico” in Bar-bara sopra ricordato. Esso infatti assumerebbe la forma di que-sta interpretazione esistenziale del sillogismo in Barbara checostituisce una formula corretta del calcolo dei predicati:

{ [∀ x(∃ f ) fPx ⊃ (∃ g) gQx] ∧ [∀ x(∃ h) hDx ⊃ (∃ f ) fPx ]} ⊃⊃ [∀ x(∃ h) hDx ⊃ (∃ g ) gQx ]. (2.16)

Questa formalizzazione, secondo Bochenski, è pienamenteconsistente con la sua interpretazione “corretta” in teologia.Secondo essa infatti si afferma che, sebbene sia assolutamen-te a noi sconosciuto ciò che concerne il contenuto g dellabontà in Dio – come pure il contenuto f della sua “entità”,del suo “essere ente” –, pur tuttavia possiamo validamente ar-gomentare sulla relazione Q fra questo contenuto e Dio, apartire dalla relazione P fra il contenuto f e Dio e dall’iso-morfismo delle due relazioni P e Q.

In generale, dunque, formalizzazione del sillogismo teolo-gico a parte, l’analogia di proporzionalità fra due termini Anpverrebbe formalmente definita in base a questa “teoria dell’i-somorfia” delle relazioni, secondo Bochenski, come una rela-zione a otto posti e non sette, dove l’ottavo posto è occupa-to dalla relazione R, resa però in modo da escludere qualsia-si riferimento a generi comuni, come invece l’errata defini-zione (2.15) autorizzava a pensare.

Anp (a, b, l, g, x, y , R) . =def Ae(a, b, l, g, x, y) ∧∧ [(∃ P, Q, R) fPx ∧ gQy] ∧ (P ≠ Q) ∧ (P ⊆ R) ∧ (2.17)(Q ⊆ R)] ∧ (R ∈ Form)

dove Form è l’insieme di tutte le relazioni formali.

Nulla da eccepire per questa definizione formale dell’ana-logia di proporzionalità. All’opposto, ciò che fatichiamo acomprendere è come essa possa essere messa alla base del sil-logismo metafisico-teologico dell’analogia entis invece dell’a-nalogia di attribuzione logica ed ontologica. In questo caso,

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infatti, cosa sarà mai la relazione R in grado di contenere larelazione P e la relazione Q? Esse infatti, in questa loro par-ticolare interpretazione, non possono essere contenute in al-cun’altra relazione, ma semmai contenere qualsiasi altra vistoche sono quelle poste fra un esistente (x o y, nel nostro ca-so) e le sue determinazioni trascendentali coestensive al no-me di “ente”, rispettivamente dell’ “entità” f e della “bontà”g [cfr. nota 6]. E cosa sarà mai, in questo caso, questo insie-me Form a cui questa fantomatica R dovrebbe appartenere?È evidente che se applichiamo questa formalizzazione dell’a-nalogia di proporzionalità – ripeto, in sé valida per questaforma di analogia qua talis – supponendola erroneamente co-me fondamento della validità del sillogismo metafisico dell’a-nalogia entis, ci esponiamo a commettere un errore di catego-ria in ontologia: quello di confondere l’intensione del nomedi un oggetto (le determinazioni trascendentali di ogni entein quanto ente della sua entità/bontà) con l’estensione di unarelazione. Stiamo cioè confondendo l’intensione del nome “en-te” in due sue distinte, ma estensionalmente equivalenti con-notazioni, con la sua estensione.

Eccoci dunque ritornati all’analogia di attribuzione ed al-la necessità di una sua formalizzazione in termini modali, intermini cioè capaci di distinguere fra diverse categorie onto-logiche, e dunque fra diversi mondi possibili di enti, ciascu-na(o) con una propria modalità di esistenza. Solo in una sif-fatta formalizzazione siamo in grado infatti di giustificare quel-le strane nozioni (contenuto “concettuale” versus contenuto“ontologico”; causalità “univoca” versus causalità “equivoca”;relazione “causale” versus relazione “intenzionale”) che ab-biamo introdotto nella nostra formalizzazione della definizio-ne dei vari tipi di analogia di attribuzione, nella completezzae nella complessità della sua trattazione tommasiana (cfr. § 0).Per far questo ci serviremo in parte dell’ontologia formale delrealismo concettuale di Cocchiarella, in quanto capace, alme-no in prima approssimazione, di fornire uno schema formalevalido tanto del realismo concettuale naturale di Aristotele,quanto di quello intensionale di Platone, candidandosi così

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0). Sotituire con: 2.2).

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ad essere estesa appropriatamente per includere l’ontologiaformale del realismo concettuale ontologico di Tommasodell’”essere come atto” (esse ut actus), in quanto sintesi/su-peramento (ci sia concessa questa concessione puramente ver-bale all’hegelismo) delle due ontologie “originarie”, quella pla-tonica e quella aristotelica, del pensiero occidentale.

3. Verso un’ontologia formale della metafisica tommasiana

3.1 L’ontologia formale del “realismo concettuale”

Forniremo in questa sottosezione una breve sintesi del-l’ontologia formale del realismo concettuale di Nino B. Coc-chiarella in alcuni punti salienti, particolarmente significativiper i nostri scopi di fornire una spiegazione in un’ontologiaformale adeguata della duplice nozione di contenuto semanti-co, naturale e concettuale, nei termini della teoria di una du-plice significazione del medesimo nome predicativo e dellemolteplici relazioni che intercorrono fra essi nell’ordine natu-rale e concettuale.

3.1.1. La relazione con l’ontologia fregeana

Malgrado il realismo concettuale sia una teoria ontologicaben distinta dal realismo logico (logicismo) di G. Frege, purtuttavia essa ha la sua ispirazione fondamentale in una parti-colare nozione della teoria fregeana sui fondamenti della lo-gica e della matematica che appartiene all’ultimo periodo del-la produzione del grande logico e matematico tedesco.

Abbiamo già detto nella Sezione 1 come le differenti on-tologie, esplicitamente o impicitamente sottese alle diverse teo-rie dei fondamenti della logica, possono essere caratterizzateformalmente come diverse teorie della predicazione. NelleGrudgestze di Frege la teoria della predicazione si basa sulladistinzione fra entità saturate o complete – qualcosa di for-malmente analogo in logica alle sostanze prime di Aristotele– e entità non saturate o incomplete – qualcosa di formalmente

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analogo alle sostanze seconde di Aristotele. La differenza fon-damentale è che mentre le sostanze prime aristoteliche sonoesclusivamente oggetti fisici individuali, le entità saturate fre-geane sono anche oggetti astratti come le proposizioni e i fa-mosi “corsi di valori” (value ranges: i domini e codomini difunzioni in quanto definiti su appropriati supporti) della teo-ria fregeana delle funzioni. Più semplicemente: il concetto disaturazione viene dalla fisico–chimica. Con soluzioni satures’intendono in chimica quelle soluzioni, effetto di una rea-zione chimica, in cui tutti i posti “liberi” del reticolo atomi-co del reagente sono occupati da atomi del reattore, così chela reazione termina e la soluzione diviene stabile. Esteso allalogica, con il concetto di “non-saturazione” applicato alle fun-zioni si vuole intendere una funzione per cui non sia statodeciso “il corso dei valori” che i(l) suo(i) argomento(i) puòvalidamente assumere (p.es., il campo numerico e/o lo spazioo varietà su cui sono (è) definiti(o) i(l) suo(i) argomenti(o)).

Nell’approccio di Frege, le entità non saturate sono fun-zioni di diversi tipi o livelli ontologici, a seconda dei loro ar-gomenti e dei loro valori. Per esempio, concetti (Begriffe) diprimo livello sono per Frege le proprietà (Eigenshaften) chesono funzioni dagli oggetti ai valori di verità, mentre concet-ti di secondo livello – p.es. i quantificatori universale ed esi-stenziale – sono funzioni dai concetti di primo livello ai va-lori di verità.

Il nesso della predicazione e la conseguente unità della pro-posizione sono così spiegati da Frege nei termini della rela-zione fra entità non saturate (espressioni predicative) ed enti-tà saturate (oggetti al primo livello, proposizioni saturate alsecondo livello). Una distinzione che per Cocchiarella si ri-trova, nella teoria di Russell, nella distinzione fra funzione co-me “relazione relazionante” in una proposizione e la relazio-ne intesa come uno dei termini della proposizione. Diversa-mente da Frege, tuttavia, Russell considera proprietà e rela-zioni come oggetti, ovvero non come entità non-saturate, macome entità che devono essere poste in relazione da relazio-ni relazionanti di ordine/tipo logico via via più alto ad infi-

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nitum. Sebbene, dunque, Russell rifiuti la distinzione fregea-na fra entità saturate e non-saturate, pur tuttavia, per Coc-chiarella, proprio questa distinzione è alla base della compo-nente “verticale” della sua teoria dei tipi ramificata, visto cheper Frege le funzioni non-saturate che hanno per argomentogli oggetti completi devono essere di livello superiore (di pri-mo livello) rispetto ai loro argomenti. Così le funzioni di se-condo livello includeranno non solo funzioni da concetti e re-lazioni di primo livello ai valori di verità, ma anche relazionidi livello ineguale fra oggetti e funzioni di primo livello, e co-sì via, anche se solo in linea di principio, per tutti gli altri li-velli [Cocchiarella 2001, 130]. Solo “in linea di principio”,però, perché per Frege non c’è alcun bisogno di salire a li-velli superiori al primo.

Infatti, il punto notevole che la teoria fregeana dei fonda-menti, in quanto basata sulla nozione di saturazione, possie-de rispetto a quella russelliana e, in generale, rispetto a qual-siasi teoria insiemistica basata sul teorema dell’insieme po-tenza di Cantor (ogni insieme è sotto-insieme del suo insie-me-potenza), è che, a ciascun livello superiore non esistonomai più entità (concetti e relazioni) di quelli del livello infe-riore, in quanto gli oggetti dal secondo livello in poi non so-no predicati, ma operatori che legano variabili (quantificato-ri). Essi, perciò, diversamente dai predicati, possono esserecommutati ed iterati come pure posti gli uni entro il raggiod’azione di altri. È a questo punto che per Cocchiarella s’in-troduce la nozione di doppia correlazione come un modo perevitare nella teoria fregeana il paradosso di Russell. Sebbeneinfatti il logico tedesco non definì mai così questa nozione,pur tuttavia a giudizio del logico americano, essa è perfetta-mente esplicitata nella logica fregeana quando in essa si af-ferma che tutti i concetti e relazioni di secondo livello e ol-tre (quantificatori) possono essere “correlati con” e “rappre-sentati da” concetti e relazioni di primo livello (predicati) iquali, a loro volta, possono essere correlati e rappresentati dailoro corsi di valori (argomenti definiti su un supporto). In talmodo si spiega per Frege il “miracolo del numero”, ovvero

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l’esistenza di numeri come oggetti di pensiero, denotati danumerali e termini singolari. Come oggetti astratti essi infat-ti sono derivati da certi concetti non-saturati di secondo li-vello rappresentati in questo formalismo da espressioni nu-meriche quantificate. Per esempio,

corrispondente al concetto di secondo livello rappresentatodall’espressione quantificata “vi sono 4 oggetti x”, concetto chepossiamo simbolizzare come “∃ 4x”, vi è un concetto di primo li-vello F tale che un concetto di primo livello G ricade all’inter-no del concetto di secondo livello, se e solo se, (l’estensione de)il concetto G ricade sotto F. In simboli:

(∃ F)( ∀ G) [(∃ 4x) G(x) ↔ F(G) (3.1)

Si noti che l’estensione di un concetto G ricade sotto il con-cetto di primo livello F che viene qui posto, se e soltanto se visono quattro oggetti che hanno G, cioè, se e solo se l’estensio-ne ha quattro membri. E quindi l’estensione del concetto F stes-so è precisamente la classe di tutte le classi di quattro membriche nell’analisi di Frege (e di Russell) è precisamente il numeroquattro, come denotato dal numerale “4” (ibid., 130s.).

La differenza con la teoria di Russell è che, per quest’ul-timo “4”, è considerato come un oggetto di più alto ordine.Ed infatti vi sono nella teoria dei tipi di Russell infiniti nu-meri “4”, uno per ciascun livello maggiore di due della ge-rarchia dei tipi. Ecco dunque in cosa consiste il vantaggio del-la teoria fregeana della predicazione, come saturazione, ri-spetto ad una teoria dei numeri come classi di classi, basatasu un approccio insiemistico. Il che, è certamente un vantag-gio perché consente di evitare il paradosso di Russell senzausare la teoria dei tipi (ibid, 131ss.).

3.1.2. Il proprium del realismo concettuale

Caratteristica tipica dell’ontologia formale, secondo Coc-chiarella, è l’analisi categoriale, in particolare di come le di-verse categorie o modi di essere si relazionino reciprocamen-

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te. Generalmente, nelle diverse ontologie, tanto antiche comemoderne, alcuni modi di essere vengono concepiti come pri-mari rispetto ad altri. Dal punto di vista della teoria degli uni-versali, le analisi categoriali delle diverse ontologie si svilup-pano come analisi delle forme logiche che rappresentano co-me le differenti categorie s’integrano nel nesso della predica-zione. In questo senso, le ontologie differiscono essenzial-mente per la scelta fra queste due alternative: le forme fon-damentali di predicazione riflettono o strutture della realtà ostrutture del pensiero e della ragione. Il punto di iato fra clas-sicità e modernità consiste appunto nel fatto che mentre l’on-tologia del pensiero classico – platonico, aristotelico e me-dievale – è per la prima alternativa, il trascendentalismo mo-derno, kantiano e husserliano in particolare, è per la secon-da13. In particolare, il trascendentalismo moderno fa riferi-mento all’azione della coscienza – trascendentalmente intesa,ovvero non come facoltà di soggetti umani individuali – pergiustificare l’unità del giudizio e dunque dell’enunciato pre-dicativo.

Invece, nell’approccio del realismo concettuale abbiamo unconcettualismo “senza soggetto trascendentale” in quanto l’u-nità del giudizio nelle scienze cognitive (psicologia) e/o del-l’asserto in logica (semantica) viene giustificata mediante unaparticolare variante della nozione di saturazione fregeana.Mentre nel logicismo fregeano l’unità della proposizione si ba-sa sulla distinzione fra entità logiche saturate (oggetti) e non-saturate (predicati), nel realismo concettuale l’unità della pro-posizione si giustifica mediante la complementazione di dueentità logiche non-saturate: concetti con funzione predicativa

13 Anche su questo punto siamo in pieno accordo con Cocchiarella. Siconfronti per questo il quinto capitolo del primo volume del mio manua-le di Filosofia della Natura e della Scienza, e soprattutto la conclusione diquel capitolo, dove – seguendo la terminologia di Cornelio Fabro – si di-stingue fra trascendentale classico (l’essere) e trascendentale moderno (il pen-siero) [cfr. (Basti 2002, pp. 381 ss.sgg.)].

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(verbi) e concetti con funzione denotativa (nomi), così chel’unica entità concettuale satura è la proposizione. Ciò avvi-cina di molto l’ontologia formale della logica del concettuali-smo di Cocchiarella all’ontologia della logica aristotelica in cuinomi e predicati vengono considerati come rispettivamente ma-teria e forma del risultante enunciato predicativo (= ente lo-gico), analogamente a come materia e forma sono considera-ti i costituenti dell’ente fisico, nella sua ontologia fisica. In al-tri termini, nel realismo concettuale i concetti non sono con-siderati come entità logiche – proprietà e/o relazioni – chepossono esistere indipendentemente dalla mente, come nel lo-gicismo fregeano o russelliano.

I concetti predicabili, per esempio sono capacità cognitive in-tersoggettivamente realizzabili o strutture basate su tali capaci-tà, per caratterizzare e porre in relazione oggetti in varie ma-niere. Nel contesto sociale dell’apprendimento di un linguaggio,queste capacità soggiacciono alle nostre abilità di seguire le re-gole nell’uso corretto di espressioni predicative, il che significache essi sono i fattori principali che determinano le condizionidi verità di queste espressioni [Cocchiarella 2001, 135].

L’aspetto molto importante per le scienze cognitive è chequeste capacità intersoggettivamente realizzabili soddisfano inpieno al nuovo paradigma intenzionale e non rappresentazio-nale alle scienze cognitive ed in genere alla Computational In-telligence (CI) in quanto distinta dalla classica Artificial In-telligence (AI). Gli eventi mentali interpretati secondo questoparadigma non sono affatto idee o immagini mentali o, for-malmente, rappresentazioni, ma disposizioni all’azione in fun-zione del best fitting con la realtà esterna in relazione a undeterminato fine da realizzare [Basti 2001; Basti & Perrone2002; Freeman 2000; 2002; Dreyfus 2002]. Ugualmente glieventi mentali, nell’approccio del realismo concettuale, sonointerpretati come “capacità cognitive” – qualcosa che ricordamolto da vicino gli “abiti mentali” della psicologia aristoteli-ca e, incoativamente, tomista in quanto, appunto disposizio-

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ni attive immediate all’esercizio di determinati atti – che han-no una natura insatura, atta cioè

A poter essere esercitata da persone diverse al medesimo mo-mento o dalla medesima persona in momenti successivi e, di fat-to, alcuni di questi concetti potrebbero non essere mai esercita-ti del tutto (p.es., nel caso di certi concetti numerici) [come icosiddetti “grandi cardinali”, N.d.R.], senza per questo diminuireil loro status di capacità atte a poter essere realizzate in deter-minati contesti [Cocchiarella 2001, 135].

E che si tratti di disposizioni attive, piuttosto che passive,come si richiede all’approccio intenzionale alle scienze cogni-tive, è confermato dall’ulteriore precisazione di Cocchiarella,quando li assimila alle disposizioni – tipiche anche di moltiapprocci comportamentisti alle scienze cognitive a partire dalfamoso “comportamentismo disposizionale” di Gilbert Ryle(Ryle 1949) –, ma con l’essenziale differenza rispetto alle dis-posizioni passive del comportamentismo che esse non

Hanno una natura del “dovrebbero (would-have)” essere eser-citate sotto determinate condizioni, ma del “potrebbero (could-have)” esserlo in appropriati contesti. Naturalmente, quando eser-citati, i concetti si attualizzano in oggetti, cioè, in particolari attimentali come i giudizi e, quando espressi esplicitamente, in cer-ti tipi di atti linguistici come asserzioni o enunciati. I concettipredicabili sono dunque ciò che informa questi atti con una na-tura predicabile [Cocchiarella 2001, 135].

Tale attuazione viene resa nell’approccio del realismo con-cettuale con la nozione di “saturazione” di queste disposizio-ni, mediante il contributo di ulteriori disposizioni insature re-lative stavolta, non a concetti predicabili, ma a concetti refe-renziali (= nomi propri o comuni). Sintetizzando:

1. I concetti predicabili sono capacità cognitive insature, ostrutture cognitive basate su tali capacità, atte ad identifi-care, caratterizzare e porre in relazione oggetti in vari mo-

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di, secondo le regole di una determinata comunità lingui-stica che determinano le condizioni di verità per l’uso cor-retto di tali espressioni predicabili.

2. I concetti referenziali sono capacità cognitive insature, ostrutture cognitive basate su tali capacità, complementariai concetti predicabili, mediante le quali si è capaci di ri-ferirsi (o ci si propone di riferirsi) agli oggetti delle espres-sioni predicabili, in vari modi, secondo le regole di unadeterminata comunità linguistica che determinano le con-dizioni di verità per l’uso corretto di tali espressioni refe-renziali.

Si comprende facilmente come un simile approccio all’on-tologia formale delle funzioni cognitive possa costituire unpromettente inizio di formalizzazione della psicologia aristo-telico–tomista dei concetti come abiti (= disposizioni acquisi-te mediante apprendimento) intenzionali, con l’aggiunta del-l’essenziale riferimento alla comunità linguistica di apparte-nenza. Un’aggiunta essenziale per il moderno e che va nellamedesima direzione dell’aggiunta di Bochenski della variabi-le l relativa al linguaggio, indispensabile in ogni formalizza-zione moderna della teoria del significato.

Un ulteriore aspetto della teoria è che essa si applica tan-to a concetti con referenza generica (predicati), come nel ca-so precedente, quanto a concetti con referenza singolare (no-mi), e questi sia che si riferiscano a oggetti esistenti del mon-do fisico che a oggetti esistenti del mondo mentale condivi-so da un determinato gruppo umano (per es., un oggetto mi-tologico o un oggetto matematico), essendo tutti i concetti re-ferenziali strutture cognitive insature intersoggettivamente rea-lizzabili negli appropriati contesti linguistici con le loro rego-le d’uso che ne determinano le condizioni di verità. In primaapprossimazione, la formalizzazione di enunciati referenzialisingolari può essere resa [Cocchiarella 2001, 137] mediantel’uso dei quantificatori ∃ ed ∀ , rispettivamente per enunciatisingolari con (p.es., “Aristotele è greco: (∃ xAristolele)Gre-co(x)”) e senza (p.es., “Pegaso è alato: (∀ xPegaso)Alato(x)”)

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supposizione esistenziale. Ma questa formalizzazione è moltopovera, in quanto non tiene conto di una possibile formaliz-zazione di una spiegazione causale dei diversi generi di esi-stenza possibile (fisica, mentale, materiale, spirituale, etc.) de-gli enti singolari, tipica della metafisica tomista dell’essere co-me atto – quindi dipendente dall’azione dell’opportuna cau-sa efficiente –, la sola in grado di fondare, distinguendoli, di-versi modi e generi di esistenza in relazione alle essenze deidiversi enti.

Cocchiarella compie un primo passo in questa direzione,rendendo la sua ontologia capace di includere la distinzioneformale, comune a tutto il pensiero logico classico, ma per-duto nella logica formale moderna fra essere ed esistere. “Es-sere” ed “esistere” – quest’ultimo nel senso di esistenza con-creta/attuale, per es., nel contesto spazio-temporale di una opiù strutture di cause fisiche sufficienti a determinare l’esi-stenza di un dato ente individuale – possono essere resi nelconcettualismo non come proprietà che le cose possono o nonpossono avere, ma come concetti formali distinti. Così, lad-dove essere (un generico oggetto) vuol dire essere il valore diuna variabile individuale legata dal quantificatore ∃ , esistere(come individuo in un determinato contesto causale) vuol di-re essere il valore di una variabile legata dal quantificatoreesistenziale “assoluto” ∃ e(= esistere come oggetto), dove il pre-dicato “esistere”, E!, può essere definito come segue (Coc-chiarella 1996, 16):

E!(x) =def (∃ e y)(x = y) (3.2)

in cui il quantificatore esistenziale modalizzato ∃ e sta per“esistere come oggetto”, in senso generico e non specifico(non-sortal). È chiaro che “essere”, a differenza di “esistere”,può essere attribuito in questa ontologia, non solo agli entifittizi di fantasia, come nell’esempio precedente, ma ad ogniente in quanto ente nella misura in cui non siano state (o nonpossano essere) specificate le condizioni per la sua esistenzaconcreta, attuale. Esso così, per esempio, si applica anche a

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tutti quegli enti fisici che sono stati o che saranno (futuribi-li), anche se non potranno più (o mai) esistere, ma che co-munque “potrebbero esistere” perché non contraddicono aquelle condizioni di esistenza che un determinato concorso dicause fisiche determina o ha determinato, per es., all’iniziodell’universo. In tal caso, se continuiamo a perseverare nelpregiudizio fisicalista, secondo il quale l’unica modalità di esi-stenza causalmente determinata è quella fisica, la distinzionefra l’essere di Socrate e di Pegaso, molto meglio che con idue quantificatori esistenziale e universale, può essere resa conle seguenti formule (ibid., 17):

(∃ xSocrate) E!(x) e ( ∃ xPegaso) ¬E!(x) (3.3)

Certamente, pur con i suoi limiti, la posizione di Coc-chiarella è molto migliore di quella di Meinong con la suanozione autocontradditoria di “enti che non esistono”, conbuona pace di Parmenide e dei suoi seguaci. Nondimeno, èchiaro che avendo preziosamente recuperato la distinzione fraessere ed esistere come legata ad un determinato concorso cau-sale sull’esistenza, occorre andare fino in fondo, estendendoad ogni ente – sia esso fisico o no – una simile distinzione.Distinguendo cioè fra la nozione di essere, essenza e fra di-verse modalità d’esistenza, fisica o meno, degli enti, come le-gate a diversi concorsi causali in grado di far esistere quel da-to ente a suo modo, e quindi legate alle diverse essenze deivari enti, come vedremo. In tal modo, apparirebbe chiaro co-me la nozione di “essere” è quella che in qualche modo vie-ne prima e dopo quella di “essere dell’esistenza” e “essere del-l’essenza”, includendole come il più perfetto e completo in-clude il meno perfetto e l’incompleto.

In altri termini, ciò che come logici e metafisici non pos-siamo accettare dell’approccio di Cocchiarella è che l’ontolo-gia formale del realismo concettuale possa fornire la base for-malizzata, tanto di una teoria dei fondamenti della logica for-male in logica, quanto di un’ontologia generale dell’essere inmetafisica. Se il realismo concettuale fosse la base formale di

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una teoria dei fondamenti in logica, si ricadrebbe in una for-ma di trascendentalismo intersoggettivo a base naturalistico-cul-turale, come va di moda oggi in certe riletture “naturalizzate”e/o “sociologizzate” del trascendentalismo fenomenologicohusserliano. Ugualmente, in ontologia e in metafisica, l’onto-logia generale (dell’essere in quanto essere) viene prima dellediverse ontologie speciali (dell’essere relativo a diverse moda-lità di esistere). Come una teoria dei fondamenti della logicadev’essere capace di fondare la logica in ogni suo aspetto (lo-gica formale e modale, logica come calcolo e come linguag-gio) senza uscire dall’ambito della pura formalità senza conte-nuti, così un’ontologia formale generale non è la somma o lacollezione di una molteplicità di ontologie formali speciali. Nési può accettare che l’ontologia formale del modo di essere deiconcetti, socio-fisicamente realizzati in strutture disposizionalidel linguaggio – fosse anche “il linguaggio della mente” degliscienziati cognitivi funzionalisti à la Fodor –, possa costituirel’ontologia formale generale di alcunché.

3.1.2 Il realismo concettuale intensionale

In questo senso l’ontologia formale del realismo concet-tuale non può costituire un’ontologia formale fondamentale ditutte le altre, ma può solo rivestire il ruolo di un’ontologiaformale speciale, quella relativa alla costituzione dell’ente lo-gico attraverso le operazioni della mente; per questo non cisembra il caso di considerare il realismo concettuale inten-sionale come un’ontologia a parte da quella del realismo con-cettuale, come invece Cocchiarella pretende. Con la teoria delrealismo concettuale “intensionale”, infatti, Cocchiarella vuolsolo rendere capace la sua ontologia formale d’includere an-che l’ontologia platonica dell’esistenza degli enti logici, inquanto indipendenti dalla modalità di esistenza degli enti na-turali, sebbene non si tratti di una sussistenza indipendentedal ruolo che essi svolgono negli usi concreti del linguaggioe dalla sua evoluzione nella cultura: è in tal senso che si de-ve parlare di un realismo concettuale intensionale. Il proble-

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ma, sintetizza il Nostro, consiste nel definire la categoria on-tologica di appartenenza di quei predicati nominalizzati, pro-dotti dalla capacità riflessiva della nostra intelligenza (p. es.,quando nominalizziamo il predicato “essere-uomo” come“umanità” o “l’uomo”, rendendolo così un possibile sogget-to di predicazione). Il problema cioè è di decidere se questipredicati nominalizzati denotano un ulteriore classe di refe-renti – immateriali e/o a-temporali – come nell’ontologia pla-tonica, oppure denotano dei semplici correlati intensionali deinostri concetti – degli stati disposizionali insaturi delle nostrementi –, sviluppati attraverso l’istituzionalizzazione delle re-gole del processo linguistico della nominalizzazione, e che lacapacità riflessiva della nostra intelligenza ci fa considerare“come se” fossero oggetti. Ma, una volta ammessa la naturainsatura dei concetti, la formalizzazione della nominalizzazio-ne di un predicato, ovvero:

(∀ Fj)(∃ x)(F = x), (3.4)

ci fa comprendere immediatamente che essi non possonoessere, propriamente, dei referenti, visto che solo per espres-sioni logicamente sature, ovvero enunciati predicativi in cui perogni predicato sia definita la sua estensione, è possibile parla-re di referenti dell’enunciato medesimo. In tal caso, referentidell’enunciato predicativo saranno propriamente enti apparte-nenti ad un dato genere naturale (denotati da nomi) con le lo-ro proprietà/relazioni naturali (denotati da predicati) e dove ilnesso predicativo dell’enunciato (con il suo grado di necessi-tà/contingenza dell’appartenenza soggetto–predicato) rifletteràin qualche modo il nesso causale fondante la relazione fra l’en-te e la relativa proprietà. Nel caso si tratti di una proprietà es-senziale dell’ente in questione, il nesso sarà quello necessariofra due generi naturali appropriatamente subordinati (p.es.: tut-ti i cavalli sono mammiferi); nel caso si tratti di una proprietàaccidentale dell’ente in questione, il nesso sarà quello contin-gente fra un genere e una sua possibile proprietà naturale, chenon violi l’insieme di leggi naturali che tale proprietà, in quan-

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to causalmente fondata, suppone (p.es.: alcuni cavalli sono bian-chi). In una parola, anche se non è ben chiaro perché Coc-chiarella non ne parli, i contenuti intensionali di cui qui si par-la sono molto più simili ai noemi husserliani (e alle intentionese ai verbi mentali di Tommaso) che alle essenze platoniche. So-no cioè oggetti mentali e allo stesso tempo medi mediante iquali ci si riferisce a oggetti extra-mentali, mai però oggetti cheesistono indipendentemente dalla mente. Nella nostra forma-lizzazione delle definizioni dell’analogia di attribuzione, si trat-ta dei contenuti semantici concettuali, gc e fc, che ricevono co-sì una loro prima spiegazione teoretica.

Viceversa, nota Cocchiarella, laddove non si tenga presen-te che i concetti sono per l’aristotelismo entità logiche insa-ture (abiti, disposizioni e non atti), s’instaura quel (falso) con-flitto fra Platonismo e Aristotelismo che percorre tutta la sto-ria del pensiero occidentale, visto che nel concettualismo Pla-tonico le entità astratte – ovvero i contenuti intensionali deipredicati – sono concepiti come denotanti essi stessi proprie-tà e relazioni, ma non come entità insature, bensì come verie propri oggetti, duali rispetto a proprietà e relazioni del mon-do naturale, considerate così come altrettante esemplificazio-ni materiali delle prime. La seguente formalizzazione del pro-cesso di esemplificazione che il realismo concettuale può of-frire, evidenzia come in tale teoria l’atto della predicazionepreceda comunque l’atto dell’esemplificazione:

x ∈ y =def (∃ F) [y = F ∧ F(x)] (3.5)

Tale definizione del processo di esemplificazione concet-tuale fornisce la base per un’(assurda) fondazione intensiona-le14 dell’appartenenza di classe. In contesti estensionali – cioè,in applicazioni del realismo concettuale in cui viene assunto

14 L’assurdità di tale fondazione consiste nel far regredire il neo-hus-serlismo a base bio-culturale che caratterizza l’approccio di Cocchiarella co-me, ogni altro tentativo contemporaneo di naturalizzazione della fenome-nologia huisserliana a un insostenibile psicologismo. Almeno Husserl aveva

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un assioma di estensionalità15 per predicati nominalizzati – ladefinizione precedente può essere presa come analisi dell’ap-partenenza di classe nel senso logico – cioè, come estensionedi concetti. Di qui il seguente enunciato “quasi-tomista” diCocchiarella:

Vale a dire, in contesti strettamente estensionali, l’intensionedi un concetto può essere presa come l’estensione del medesi-mo, cosicché solo quando siamo capaci di apprendere (appre-hend) l’intensione di un concetto partendo dal concetto (si pen-si alla tomista simplex apprehensio di un’essenza come primo mo-mento dell’atto intellettivo che precede alla formazione del giu-dizio, N.d.R.), siamo in grado di apprendere anche (un tomistadirebbe qui, per esattezza, comprendere per distinguere bene l’at-to della apprensione intensionale da quello della comprensioneestensionale di un concetto, ovvero la formazione del giudizio,N.d.R.) l’estensione del concetto, partendo dal concetto stesso[Cocchiarella 1996, 30].

In questo senso, Cocchiarella può affermare che gli oggettiastratti non costituiscono solo il prodotto dell’evoluzione cul-turale, ma anche ciò che rende possibile lo sviluppo cultura-le. Infatti, Cocchiarella ammette che un processo di oggetti-ficazione dei correlati concettuali può darsi se formalizziamoin questi termini gli atti intenzionali della mente sotto formadi proposizioni come oggetti intensionali che enunciati nomi-nalizzati denotano come termini singoli astratti. La forma stan-

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ben compreso la lezione della violenta critica fregeana alla sua giovanile“Filosofia dell’Aritmetica” trasformando la sua originaria teoria “psicologi-sta” di una fondazione “intenzionale” e “intensionale” degli insiemi in lo-gica formale, in una teoria “trascendentale” della coscienza intenzionale (“iofenomenologico”) di tale fondazione. Qui invece si fa regredire tale teoriadi nuovo allo psicologismo di cui si era liberata. Dire che ci si trova in unvicolo cieco quando si tenta una fondazione intensionale dell’estensionali-tà dei concetti è dire poco meno di una lapalissiana verità!

15 Nelle logiche estensionali, l’assioma di estensionalità afferma che se dueclassi e i relativi predicati sono estensionalmente equivalenti sono identici(he).

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dard che tali enunciati nominalizzati prendono è quella dienunciati che esprimono attitudini proposizionali, p. es., enun-ciati di credenza come “x crede che φ” o di desiderio “x de-sidera che φ”. Come oggetti dell’ordine intensionale, tali pro-posizioni non sono la medesima cosa degli stati di cose chefanno parte dell’ordine causale del mondo naturale. Nondi-meno, tali oggetti ci permettono di costruire un “mondo travirgolette” di contenuti intensionali, all’interno del quale sia-mo liberi di speculare e costruire ipotesi e teorie sul mondonaturale. In tal modo questo “mondo degli oggetti intensio-nali della mente” serve allo sviluppo della scienza, della tec-nologia e, più in generale della cultura.

3.1.3 Il realismo concettuale naturale

Giustamente Cocchiarella ricorda che un’ontologia delrealismo concettuale che non si estendesse anche al realismonaturale tipico dell’ontologia aristotelica sarebbe un’ontolo-gia idealista, sia essa fondata su una nozione di soggettivitàtrascendentale o meno. Dove con “realismo naturale” nellateoria della predicazione s’intende un’ontologia che ammet-ta l’esistenza di proprietà e relazioni anche nell’ordine na-turale extra-concettuale. Con realismo concettuale naturaleCocchiarella intende così un’ontologia che distingue nellamedesima predicazione due sensi del significare: diretta-mente un concetto, indirettamente una proprietà o una re-lazione “rappresentata” dal concetto. Il realismo concettua-le naturale si distingue così dal realismo aristotelico ed ingenere dal realismo di tutta l’ontologia classica della predi-cazione per il fatto che in quest’ultima i due sensi del si-gnificare sono relativi a due modi di esistenza di proprietà erelazioni: come universali astratti nell’ordine concettuale ecome proprietà di sostanze individuali nell’ordine naturale,dove i secondi sono fondamento della verità logica (seman-tica) dei primi mediante la relazione di induzione astrattiva,la famosa epagoghé aristotelica della conclusione dei Secon-di Analitici [Lib. II c. 19].

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È chiaro allora che il realismo naturale che l’ontologia diCocchiarella è in grado di giustificare è un realismo molto“debole”, più esattamente un realismo che non riesce ad an-dare oltre il realismo interno già teorizzato da Hilary Putnam[Putnam, 1988], in quanto può, al massimo, giustificare l’as-sunzione sotto forma di ipotesi empirica, da confermare o con-futare mediante controllo sperimentale, che il concetto pre-dicativo sia in grado di rappresentare o meno una proprietàe/o una relazione nell’ordine naturale.

Malgrado dunque, la natura disposizionale che il realismoconcettuale di Cocchiarella riconosce al concetto e malgradoa parole sembri ammettere che ogni approccio davvero co-struttivo al realismo concettuale come il suo pretende di es-sere, possa basarsi solo sull’attribuzione di una fondazione cau-sale delle costruzioni concettuali dai referenti extra-mentali chei concetti intendono rappresentare sotto forma di universali lo-gici, nondimeno nel suo approccio manca l’anello fondamen-tale che potrebbe dare coerenza a tutta questa ontologia. Ov-vero, il riconoscimento che la natura disposizionale delle co-struzioni concettuali, sia predicabili che referenziali, esprimeun’effettiva, diversa modalità d’esistenza nell’ordine intenzio-nale dell’universale logico, causalmente fondata su proprietà erelazioni naturali. Una modalità d’esistenza analoga – nel sen-so di un’analogia di proporzionalità e quindi di un’essenzialeisomorfismo di struttura o “identità di forma” secondo la de-finizione data in (2.14) – alla modalità d’esistenza causalmentefondata nell’ordine fisico di proprietà e relazioni naturali. Ciòè molto diverso dalla condizione che porrà invece Cocchiarellanella proposizione (3.7), parlando addirittura di un’equivalen-za fra concetti predicativi e proprietà naturali.

In tal modo verrebbe preservata, la duplice modalità d’esi-stenza dell’universale logico nella mente come concetto predica-bile e nella natura come proprietà e/o relazione tipica del rea-lismo ontologico aristotelico e, d’altra parte verrebbe preserva-to il nucleo del realismo concettuale naturale di Cocchiarella.Ovvero verrebbe preservato il principio che la duplice moda-lità d’esistenza dell’universale nell’ordine concettuale e natura-

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le non si traduce nell’esistenza di due diverse forme di predi-cazione, ma in una duplice significazione del medesimo predi-cato. Una teoria della duplice significazione – concettuale e on-tologica – della quale proprio l’analogia di attribuzione tom-masiana nella sua completezza, secundum esse vel secundum in-tentionem, con la distinzione fra contenuti semantici concettuali,fc e gc, e naturali, fn e gn, più la relazione fondativa T dei primidai secondi che li connette, ci offre un’esemplificazione.

Da questo punto di vista, il realismo concettuale naturaledi Cocchiarella costituisce un primo passo nella giusta dire-zione. Esso infatti intende opporsi esplicitamente all’interpre-tazione di Abelardo che, per giustificare la duplice significa-zione del predicato, concettuale e naturale, pretenderebbe didistinguere, assurdamente, due forme di predicazione, eviden-temente confondendo intensione ed estensione dei predicati.

Viceversa, Cocchiarella fornisce un’altra interpretazione delrealismo naturale aristotelico riprendendo in senso modale l’in-tuizione fregeana dell’indicizzazione dei quantificatori me-diante una giustificazione causale della modalità di esistenza inre di proprietà e relazioni significate dai predicati. In altri ter-mini, come una costante predicativa può essere intesa sia co-me concetto che come proprietà o relazione naturale, così an-che una variabile predicativa a n posti può avere come suoivalori sia concetti n-ari sia proprietà naturali n-arie. Ciò si giu-stifica non perché esistono due “tipi” di predicati e relativevariabili, l’uno nell’ordine intenzionale, l’altro nell’ordine na-turale, bensì due modalità di significazione per quel partico-lare genere di referenza del second’ordine che può essere in-trodotta per mezzo di quei quantificatori indicizzati. Infatti,siffatti quantificatori possono essere attribuiti a variabili pre-dicative e determinano le condizioni sotto le quali una costantepredicativa può essere validamente sostituita alle variabili pre-dicative così legate, senza, da una parte, far riferimento a “ti-pi” logici di ordine più alto del primo, né d’altra parte usaredefinizioni impredicative. In questo senso Cocchiarella riven-dica giustamente come il suo sia un realismo concettuale co-struttivo e non olistico, come altre teorie semantiche oggi mol-

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to di moda – e di solito d’ispirazione fenomenologica [cfr.: Pe-titot 1999; Longo 1999] – in cui si ammettono invece formu-le impredicative e, per evitare contraddizioni e circoli viziosi,non si assegna un valore certo a tutte le variabili individuali,introducendo un fattore d’irrazionalità e di approssimazionenel cuore della logica e della semantica formali.

La particolarità dell’ontologia formale di Cocchiarella con-siste, comunque, nel fornire una giustificazione dell’uso di sif-fatti quantificatori indicizzati che si richiama in maniera deltutto originale al proprium dell’essenzialismo aristotelico ri-spetto a quello platonico nel giustificare causalmente l’esseredelle essenze (nature) dei diversi generi di enti nell’ordine na-turale, invece che concepirle come esistenti in un mondo idea-le immateriale. Ciò viene reso da Aristotele distinguendo l’a-zione di cause universali nell’ordine fisico [i corpi “celesti”:cfr. Basti 2002a, pp. 323 sgg.] sul sostrato materiale elemen-tare dei corpi “terrestri”.

Richiamandosi implicitamente a tale dottrina, Cocchiarellapuò così aggiungere alla sua ontologia formale “concettuali-sta” due nuovi quantificatori indicizzati, ∀ n e ∃ n, che possonoessere usati per vincolare variabili predicative al fine di signi-ficare il riferimento di quei predicati a proprietà e relazioninaturali, in quanto causalmente realizzabili nell’ordine fisico.Così, la tesi fondamentale del realismo naturale aristotelico(RN), secondo la quale ogni proprietà o relazione nell’ordinenaturale – può essere causalmente realizzata, viene formal-mente resa nel seguente assioma (Cocchiarella 2001, 20):

(RN) (∀ nF j ) ◊C (∃ e x1) K (∃ e xj ) F(x1 , ..., xj) (3.6)

dove l’operatore modale ◊C rappresenta una possibilità na-turale o causale e non una mera possibilità logica16 e il quan-tificatore esistenziale ∃ e esprime il modo d’essere dell’esisten-

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16 Qui come altrove, usiamo il simbolo “C”, con la lettera maiuscola,per denotare una relazione causale, mentre usiamo il simbolo “c”, con lalettera minuscola, per denotare un contenuto concettuale.

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za concreta, individuale, entro una particolare struttura cau-sale (anche spazio-temporale, nel caso dell’esistenza fisica, co-me nel nostro caso), secondo la definizione datane in (3.2).Inoltre, qui come in tutte le formule seguenti, le variabili in-dividuali x, y (solo x nel nostro caso) denotano non singoliindividui, ma categorie ontologiche (specie) d’individui, il chegiustifica il numero finito di esse. Per esempio, nel caso chenella formula precedente ci riferissimo alla struttura causaleche ha reso possibile l’esistenza degli atomi nel nostro uni-verso, x1, …, xj denotano i cento e più elementi chimici del-la tavola periodica come altrettante categorie ontologiche diatomi – compresi gli elementi non ancora scoperti o non an-cora sintetizzati più o meno casualmente nei nostri accelera-tori per esperimenti di fisica delle alte energie – e non le po-tenzialmente infinite istanze individuali di atomi dei singolielementi. Si sta cioè affermando che proprietà e relazioni na-turali hanno un modo d’essere all’interno della struttura cau-sale del mondo che non dipende dall’esistenza o meno di en-ti fisici con quelle proprietà e relazioni – ed in questo sensosi va oltre Aristotele (per il quale proprietà e relazioni esi-stono solo nelle loro realizzazioni individuali) e verso Tom-maso –, ma il loro modo d’essere che dipende dal solo fattoche vi potrebbero essere (nel senso di una reale possibilità cau-sale fisica) oggetti che hanno queste proprietà e/o relazioni.

È questa una via che conferma quanto accennato in pre-cedenza a proposito di una sorta di “isomorfismo di struttu-ra” o analogia di proporzionalità fra la fisica aristotelica deicorpi celesti (le cause agenti universali in grado di determi-nare l’esistenza nel sostrato materiale degli enti composti daelementi di determinate proprietà) e la fisica dei costituentiultimi della materia, tanto all’origine dell’universo, come nel“cuore” (nel nucleo degli atomi costituenti) di ciascun entemateriale attualmente esistente [cfr. Basti 2002a, pp. 323 sgg.]

Per i fini immediati della nostra formalizzazione della dot-trina dell’analogia, si capisce ora cosa intendevamo quandoparlavamo della necessità di una formalizzazione modale delparticolare genere di “causalità fisica universale”, o, appunto

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analogica, C (= partecipazione formale in senso aristotelico,causale, e non esemplarista come quella di Platone) che è alfondamento del secondo tipo di analogia di attribuzione, quel-la ontologica e non logica della dottrina tommasiana [cfr. § 0,pp. 7 sgg. e Def. (2.8)].

Tornando a Cocchiarella, l’assunzione che vi è una pro-prietà o relazione naturale corrispondente al concetto a j ar-gomenti per il quale sta una data costante predicativa (o for-mula aperta φ �xi,..., xj�)a j posti, può essere così formalizzata[Cocchiarella 1996, p. 22):

(∃ nFj ) c (∀ x1) ... (∀ x j ) [F(x1 , ..., xj) ↔ φ(x1 , ..., xj)] (3.7)

Una tale specificazione di una proprietà o relazione natu-rale si giustifica perché per esse, a differenza dei concetti, va-le una particolare versione “causale” dell’assioma di estensio-nalità, ovvero una coppia di esse sono identiche se, per unaquestione di necessitazione causale, sono coestensive. For-malmente:

F j ≡c G j =defc (∀ x1) ... (∀ x j ) [F(x1 , ..., xj ) ↔ G(x1 , ..., xj )]

(3.8)

Se usiamo il formalismo dei λ-astratti per connotare i con-tenuti concettuali otteniamo nel realismo naturale una sortadi analogo dell’assioma di comprensione del realismo logicoà la Frege:

(∃ nF j ) ([λx1 , ..., xj φ] ≡C F) (3.9)

con l’importante differenza teorica, notata dal medesimoCocchiarella, che tale assunzione qui può essere al massimosolo un’ipotesi scientifica e che come tale deve essere sotto-posta a conferma o falsificazione empirica. Il che ci confer-ma nella nostra critica all’approccio di Cocchiarella: il reali-smo che la sua ontologia può giustificare è al massimo soloquello molto debole del realismo interno di un Putnam, in-

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terno cioè alla posizione di una determinata ipotesi, dove laposizione della medesima viene sottratta alla possibilità diun’analisi di tipo logico-razionale.

Ed infatti, pur sottolineando com’è essenziale per l’onto-logia del realismo concettuale che si dia un’analogia fra ordi-ne naturale e concettuale, Cocchiarella non riesce ad andareoltre, nell’esplicitazione di questa analogia, l’affermazione cheanche nell’ordine naturale al modo non saturato di essere diproprietà e relazioni, com’è esplicitato nell’assioma RN (3.6)e analogo alla nozione di “concetti predicabili” nell’ordineconcettuale, si aggiunge il modo non saturato di essere dei di-versi generi naturali (= essenze) di oggetti in cui tali proprie-tà si realizzano, analogo alla nozione di “concetti referenzia-li” nell’ordine concettuale. Tesi fondamentale dell’essenziali-smo aristotelico, infatti, è che le stesse essenze o generi na-turali, o, più sinteticamente, nature, degli enti hanno una spie-gazione causale.

Tali generi sono infatti quelli che vengono denotati nel lin-guaggi naturali attraverso l’uso di nomi comuni cui vengonoattribuiti, nella formulazione di proposizioni categoriche con-tingenti, determinate proprietà accidentali, p.es., “alcuni ca-valli sono bianchi”. Oppure, nella formulazione di proposi-zioni categoriche necessarie che esprimono proprietà essen-ziali di un particolare genere di enti, vengono attribuite pro-prietà che di fatto esprimono una subordinazione di generi aspecificazione crescente, come p.es. nella proposizione “tuttii cavalli sono mammiferi”. Ora, sia la particolare modalità dipredicazione (contingente e/o necessaria), sia la conseguentesubordinazione fra generi di specificità crescente trovanoun’immediata giustificazione laddove generi e specie, oggettie proprietà hanno una comune spiegazione causale nell’am-bito di un’ontologia generale dell’universo fisico come pro-cesso causale per la costituzione degli enti che lo compongo-no, delle proprietà che li caratterizzano e delle leggi che li de-terminano in base ai differenti generi di appartenenza.

In tal senso, afferma Cocchiarella [Cocchiarella 1996, p. 24]e noi con lui ([cfr. la nostra critica a Bochenski su questo pun-

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to e Basti 2002a, pp. 323 sgg.), appare essere un grave frain-tendimento dell’ontologia aristotelica interpretare il genere co-me una semplice “somma logica” di proprietà e, insiemistica-mente, come l’unione dei relativi insiemi: il genere (o essen-za) va invece interpretato come il fondamento causale di tale“somma”.

La tesi che ogni genere naturale S, analogamente alle pro-prietà e alle relazioni naturali, sia causalmente realizzabile puòessere espresso nella seguente proposizione:

(K1) (∀ k S) ◊C (∃ e x) (∃ yS) (x = y) (3.10)

Dove l’espressione (∃ yS) (x = y) dice in effetti che “x è(identico a) un S”. In tal modo, la tesi nel suo complesso af-ferma che ogni genere S può essere causalmente realizzabilenella misura in cui può esistere effettivamente un oggetto xche sia un S – insiemisticamente, un x la cui esistenza s’i-dentifica con l’appartenenza alla classe degli S. Ed infatti perCocchiarella l’espressione “x è un S” può essere resa con ilsimbolismo “xS” secondo la seguente definizione:

xS =def (∃ yS ) (x = y) (3.11)

L’espressione quantificata ∃ e, “x esiste”, può essere rim-piazzata da quella più comprensiva ∃ x, “x è”, in base all’as-sunzione tipica dell’essenzialismo aristotelico – che qui, però,come in Aristotele, non riceve alcuna giustificazione teoreti-ca –, secondo la quale solo dei concreti esistenti appartengo-no ai generi naturali e cioè, formalmente:

(K2) (∀ k S)(∀ x)[ xS → E!(x)] (3.12)

La fondamentale distinzione fra la predicazione per se eper accidens, ovvero la distinzione fra la predicazione di pro-prietà essenziali e accidentali, in grado di giustificare la di-stinzione fra le diverse modalizzazioni (indicizzazioni) dei re-lativi quantificatori – “” per proprietà e relazioni naturali ac-cidentali o contingenti e “” proprietà e relazioni naturali es-

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senziali o necessarie – ha nell’essenzialismo aristotelico di nuo-vo una giustificazione causale. Il che può essere espresso nel-la tesi seguente – la più fondamentale di tutte – secondo laquale un oggetto può appartenere a un determinato generenella misura in cui tale appartenenza è essenziale alla sua esi-stenza, ovvero nella misura in cui deve appartenere a quel ge-nere ogni volta che esiste attualmente:

(K3) ( ∀ k S) (∀ x)[ xS → C [E!(x) → xS]) (3.13)

Di qui la possibilità di fondare un principio di ordina-mento dei generi di appartenenza in base al loro grado dispecificità che fa sì che ogni concreto esistente appartengadi fatto, per necessità fisica, ad una catena finita di generi,dal più generico (summum genus) al più specifico (infimaspecies).

In tal modo, la relazione gerarchica fra generi di appar-tenenza, che abbiamo visto essenziale per la formalizzazio-ne dell’analogia di attribuzione, viene giustificata in que-st’ontologia mediante una sorta d’inclusione su base causaledi schemi (templates) di strutture causali che si inserisconol’uno all’interno dell’altro (fit one within other), così che sipuò affermare l’esistenza di un genere sommo – p.es., unadelle dieci categorie aristoteliche intese come categorie on-tologiche o “predicamenti” – che contiene causalmente edunque virtualmente tutti gli altri in esso “inclusi”. In talmodo, riceve una spiegazione quella nozione di “inclusionesu base causale” fra generi e specie che abbiamo visto es-senziale per la formalizzazione dell’analogia di attribuzioneontologica (cfr. in particolare la proposizione (2.9)). Peresempio, l’oggetto naturale di infima specie denotato col no-me comune di “cavallo” (ovvero, la categoria ontologica deicavalli) appartiene ad una catena di generi naturali che van-no da quello “sommo” delle sostanze, all’ “infima specie”dei cavalli passando, nell’ordine, per quello delle sostanzemateriali (= corpi), degli organismi (viventi), degli animali,dei mammiferi, degli equini…

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3.2 Il realismo ontologico di Tommaso d’Aquino

3.2.1 I limiti del concettualismo e la distinzione reale (cau-sale) essere-essenza

Malgrado gli indubbi pregi che l’ontologia formale di Coc-chiarella manifesta essa ha dei forti limiti teoretici, sia comeontologia generale che come teoria dei fondamenti della lo-gica formale. I pregi, rispetto alle finalità del nostro articolo,sono soprattutto quelli di fornire, mediante la teoria della du-plice significazione, un’ontologia formale che da un senso aquella distinzione fra contenuti (connotazioni) concettuali enaturali di oggetti e alla fondazione causale di essi, che ab-biamo visto essere la chiave di volta della formalizzazione del-l’analogia di attribuzione tommasiana, nei suoi vari sensi. I li-miti teoretici sono invece quelli della sua pretesa che il reali-smo concettuale possa fornire un’adeguata ontologia formalegenerale, e men che mai una teoria dei fondamenti della logi-ca formale (insiemistica). Tali limiti possono essere riassuntisotto tre titoli principali:

1. Psicologismo nella teoria dei fondamenti della logica: ovve-ro, pretendere di dare una fondazione concettuale all’e-stensione dei predicati in logica formale – insiemistica in-clusa – dopo aver interpretato i concetti come strutture dis-posizionali della mente, socio-biologicamente fondate.Un’ontologia formale consistente non può porre nozionimodali a fondamento di nozioni formali del calcolo for-male ordinario, essendo il calcolo modale un’estensione delcalcolo formale ordinario. La doppia correlazione fra es-sere dell’ “essenza” (x è) e dell’ “esistenza” (x esiste) – chédi questo ultimamente si tratta – va formalizzata e risoltanei fondamenti della logica formale in senso puramente no-minale, sintattico e non semantico.

2. Ontologismo nell’ontologia formale degli enti naturali: lafondazione causale delle proprietà/relazioni e dei generinaturali (essenze o nature dei corpi) è di fatto una teoriasulla fondazione causale dell’esistenza degli enti naturali,

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sia in senso potenziale (proprietà/relazioni: cfr. proposi-zione (3.6)) che attuale (generi: cfr. proposizione (3.13)).Di nuovo, la doppia correlazione fra “essenza” ed “esi-stenza”, perché sempre di questo si tratta anche in onto-logia formale (cfr. proposizione (3.11)), va formalizzata erisolta prima di qualsiasi modalizzazione dell’essere secon-do i vari modi di essere e di esistere (naturale e concet-tuale). È un problema di ontologia generale (essenza-esse-re) non di ontologie speciali (essenza-esistenza).

3. Ipoteticismo nella fondazione della relazione di referenziali-tà in ontologia ed in semantica. La mancanza di una for-malizzazione adeguata (sintattica) nel calcolo logico-for-male della distinzione reale essere-essenza in ontologia, chefa dell’esistenza dell’individuo il risultato della “reciprocadeterminazione” di questi due principi, ha come risultatoun’inadeguata teoria della fondazione della relazione di re-ferenzialità che non va oltre l’ipoteticismo di una teoria del“realismo interno” alla Putnam.

La teoria formale (nominale) di fondazione della logica co-me calcolo

Già altrove A. L. Perrone [Perrone 1996] ha offerto uninizio di formalizzazione puramente sintattica (nominalizza-zione) della distinzione essere-essenza. Si tratta di una sortadi “estensione all’indietro” di tale distinzione tommasiana, dal-l’ontologia, dove originariamente la formulò Tommaso, alla lo-gica formale tutta, logica come calcolo inclusa, per risolvere insenso assolutamente originale (neo-tomista) il problema deifondamenti della logica formale e della logica matematica subase insiemistica moderna. Questa formalizzazione è stata of-ferta da A. L. Perrone nell’ambito di un’altra ontologia for-male, d’ispirazione più esplicitamente platonica, la teoria deifondamenti della matematica di Ennio De Giorgi e dei suoicollaboratori alla Scuola Normale Superiore di Pisa, così co-m’era stata sviluppata lungo gli anni ’90 del secolo scorso, fi-no alla morte di De Giorgi nel 1996 [Forti & Lenzi 1998;Forti, 2000]. Tale teoria fondazionale identificava un nuovo

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primitivo, la nozione di qualità, che in quanto nozione inten-sionale era l’ente logico primitivo nel termine del quale ri-de-finire le nozioni di proprietà, relazione, collezione, funzione,argomento, variabile…, e via via tutte le nozioni-base esten-sionali dell’ordinaria teoria degli insiemi e delle classi, cometeorie metalogiche formali dell’ordinario calcolo logico pro-posizionale e predicativo.

Per introdurre la distinzione fondamentale essere-dell’essen-za/essere-dell’esistenza mediante la nozione di essere-come-attoche consente di collegare l’uno all’altro dei due sensi dell’es-sere, distinzione che non appariva nella teoria di De Giorgi, inquanto, come in ogni teoria platonica, le qualità o essenze so-no considerate in questa teoria come degli esistenti intensiona-li, A. L. Perrone ha introdotto un ulteriore primitivo, il prin-cipio, simbolizzato con � cosicché l’espressione “x è un prin-cipio” viene simbolizzata con x�. Fra i principi, svolge un ruo-lo fondamentale il principio-essenza E, cosicché l’espressioneEx simbolizza la nozione di “principio-essenza di x”. Per evi-tare fraintendimenti, è bene ricordare di nuovo che qui il prin-cipio-essenza E, come tutti gli altri primitivi della teoria è pre-so in senso puramente nominale. Non denota cioè alcunché,men che mai un contenuto intensionale. In tal modo il suo si-gnificato, come in ogni sistema puramente formale, è solo sin-tatticamente connotato, ovvero connotato mediante l’uso che ditale principio si fa nella teoria, com’è determinato dalle relati-ve regole d’uso (assiomi) della teoria. Ci troviamo insomma nelcontesto della logica come calcolo e non come linguaggio, se vo-gliamo essere fedeli alla terminologia di Cocchiarella.

In tal senso, gli assiomi fondamentali di una siffatta teoriaformale del calcolo logico estensionale diventano i seguenti:

1. Per ogni oggetto x della teoria si dà il principio Ex, “essen-za di x”, come oggetto non autoreferenziale della teoria17.

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17 Differentemente dalle “qualità” di De Giorgi, il fatto di non goderedella proprietà di autoreferenzialità significa che l’”essenza”, come princi-pio fondante ogni oggetto della teoria non può essere mai argomento di

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2. Si definisce un nuovo simbolo di uguaglianza, R� definito ri-

spetto ad una generica relazione R, tale che per due simbo-li x, y, posti così in relazione, non valgono simultaneamen-te la relazione riflessiva, simmetrica e transitiva, che defini-scono la relazione di equivalenza18.

3. Si definisce un operatore binario di esistenza ∃�

(Ex,k) ta-le che, quando applicato ad un’essenza E, restituisce il suoargomento x come esistente, ∃ x, e dunque appartenentealla collezione universale V, x∈ V, se k=1; oppure lo re-stituisce come non esistente, ¬∃ x, e dunque non apparte-nente alla collezione V, x∉ V, se k=0, dove con k si sim-bolizzano le condizioni che determinano l’esistenza di x.Formalmente:

�∃ ,k=1

Ex � ∃ x≡x ∈ V (3.14)

�∃ ,k=0

Ex � ¬∃ x≡x ∉ V (3.15)

nessuna relazione, predicato o operatore dell’ordinario calcolo predicativoo proposizionale. Non è cioè un oggetto esistente nella teoria. Questo si-gnifica essere aristotelici fino in fondo, come solo Tommaso può e sa es-serlo. Detto in termini tomisti, l’essenza è sempre e solo un id quo aliquidexistit (“ciò mediante cui qualcosa esiste”) e mai un id quod existit (“unciò che esiste”).

18 Questo assioma necessita di un minimo di giustificazione filosofica, sul-la nozione d’identità che gli soggiace. Il fatto è che in questa teoria la rela-zione d’identità viene spostata dal campo dell’esistenza a quello dell’essenza,proprio perché la teoria grazie al suddetto assioma è in grado di distingue-re fra queste due nozioni. Infatti, nell’approccio tomista, grazie alla distin-zione reale fra essenza ed esistenza, la nozione d’identità non significa “esse-re la medesima cosa”, ovvero un’identità di esistenti, ma un’identità di es-senza, ovvero sono identici due esistenti distinti la cui essenza è una [(Cfr(cfr.Tommaso d’Aq., In Met., V, xvii, 1021)]. In Tommaso, cioè, due esistenti inquanto tali non saranno mai identici. Due o più esistenti (o due o più oc-correnze di uno) saranno identici (o le due o più occorrenze saranno del me-desimo esistente), solo se condividono la medesima essenza. Per un appro-fondimento su questo punto essenziale, cfr. (Basti 1996, pp. 234 ssgg.).

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Ciò che è notevole di queste scritture molto compatte del-l’azione dell’operatore esistenziale ∃

�, sotto diverse condizioni

k19 è che, data l’asimmetricità dell’uguaglianza rispetto alla re-lazione di quantificazione esistenziale che qui la determina insolo uno dei due termini dell’eguaglianza stessa, se lette dasinistra a destra, significano rispettivamente “x esiste” e “xnon esiste”; mentre, se lette da destra a sinistra, significano“x è” e “x non è”, come esplicitazione che nella teoria sologli oggetti individuali esistono, come il posit nominalistico ri-chiede – predicati inclusi se nominalizzati, ovvero se, date cer-te condizioni, possono essere considerati come individualiz-zazioni delle rispettive essenze –, mentre solo le essenze so-no, ma sempre e solo rispetto a individui esistenti. In altri ter-mini, il quantificatore esistenziale ∃ , conseguente all’applica-zione dell’operatore esistenziale ∃

�sull’essenza, viene preso qui

in senso puramente sostitutivo e non predicativo, come si esi-ge nella logica come calcolo.

Conseguentemente, in ontologia generale, dove cioè x staper (denota l’) “ente” (e non solo per il nome di “ente”), eE per (denota l’) “essenza” (e non solo per il nome di “es-senza”) le due formule si leggerebbero come “x è esistente”e “x è ente”; “x non è esistente” e “x non è ente” rispetti-vamente. Ovvero generalizzando ad ogni ente, facendo cioèprecedere il quantificatore universale ∀ x ad ambedue le for-mule, otterremmo da sinistra a destra gli assiomi parmenideifondamentali per ogni metafisica consistente che “ogni enteè esistente” (nominalizzando: “l’ente esiste”) e “ogni non en-te non esiste” (nominalizzando: “il nulla non esiste”); men-tre da destra a sinistra otterremmo gli assiomi tomisti fon-damentali per ogni metafisica consistente: “l’esistente è en-

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19 In forma più estesa, i diversi esiti dell’applicazione dell’operatore esi-stenziale sul suo duplice argomento in base alle diverse condizioni k di ap-plicabilità può essere così resa:

∃ (Ex,k)� � ∃ x≡x∈ V k=1¬∃ x≡x∉ V k=1

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te”20 e “il non esistente è nulla”. Ma ciò che è ancora piùnotevole è che rendendo nominalmente formalizzabile nel cal-colo logico predicativo la distinzione essenza-esistenza – inquanto derivata da quella più fondamentale essenza-essere –si può giustificare la distinzione essere-esistere senza il ricorsoa modalizzazioni, come invece è costretto a fare Cocchiarel-la e chiunque altro abbia affrontato la questione – sebbenele modalizzazioni siano molto naturalmente inseribili in taleontologia formale generale, per formalizzare ontologie spe-ciali. Infatti, ogni espressione del tipo “x è S”, per usare lostesso simbolismo di Cocchiarella nella sottosezione prece-dente, può essere formalizzato in termini di essenza di unqualche esistente ovvero come xS, ovvero come “x è (la suaessenza) S”, senza ricorrere a scritture modali come quelledella tesi K1 di Cocchiarella (cfr. sopra, p. 23).

Prendiamo, per esempio – sempre seguendo Perrone[1996] –, la definizione di retta R come “luogo geometricodei punti le cui coordinate soddisfano la proprietà L di unarelazione lineare nello spazio euclideo”. Formalmente, tale de-finizione della retta, sarà un modello geometrico del seguen-te schema formale di definizione predicativa di un dominiodi oggetti:

R(y) =def (∀ x) L(x) ∧ x ∈ y (3.16)

È chiaro che in base alla suddetta assiomatica, se consi-deriamo esistente la retta y, allora i punti x, che costituisco-no la sua essenza Ry21 poiché condividono tutti la proprietà

20 Tommaso per dire la medesima cosa affermava nella sua teoria deitrascendentali “ogni ente è cosa” [cfr. sopra nota 6].

21 Si noti la differenza di scrittura fra R(y) (= connotazione predicati-va della retta, in quanto oggetto esistente) e Ry (= connotazione ante-pre-dicativa della retta mediante la sua essenza). Anche in Cocchiarella le duescritture sono giustificabili, ma nel suo approccio l’eliminazione delle pa-rentesi dall’argomento di R è per un atto di astrazione da esistenti. In Tom-maso è invece il contrario: l’essenza e l’operatore esistenziale (nominaliz-zazione dell’essere come atto) vengono logicamente “prima” dell’esistenza,

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L, sono la retta, come parti di essa, ma non esistono nella ret-ta. Viceversa, allorché considerassimo come esistenti qualcu-no (almeno uno) dei suddetti punti, allora non esisterebbe piùla retta. Infatti:

(∃ x)L(x) → (∀ x) L(x) (3.17)

non è una formula valida del calcolo dei predicati.

Per lo stesso motivo, implicazioni valide del tipo: (∀ x)L(x)→ (∃ x)L(x), che sono quelle che in particolare condizioni con-ducono alle antinomie, in questo approccio sono “vaccinate”da conseguenze spiacevoli, visto che sono valide solo quandosiano date condizioni (regole) k comuni che non conduconoa contraddizione. Infatti, dato l’Assioma 3, affermare istanzeindividuali di proprietà generalizzate viene ammesso soloquando siano date regole certe k che consentano di afferma-re che l’essenza comune Lx possa essere predicata di molte-plici istanze individuali di x. In altri termini, l’uso del quan-tificatore universale è subordinato all’uso corretto dell’operato-re esistenziale, che garantisca che l’insieme delle variabili le-gate dal quantificatore universale effettivamente esistano in for-ma consistente, come istanze individuali di una medesima es-senza. Per questo i punti che sono in una retta, perché particostituenti la sua essenza, non esistono in essa, almeno finchéesiste la retta. Finché cioè l’operatore esistenziale si applicasull’essenza-di-retta Ry e non su quella di punto Lx. Vicever-sa quando viene applicato sull’essenza del punto, allora esi-ste il punto, ma non esiste la retta.

In tal modo, le antinomie vengono accuratamente evitate,perché, grazie alla distinzione nominale in logica e reale inontologia fra essere dell’esistenza e essere dell’essenza, vieneevitata ogni impredicatività della relazione parte-tutto, legataalla necessità (per la mancanza di tale distinzione) nella logi-ca formale “classica” di considerarle ambedue simultanea-mente e sotto il medesimo rispetto esistenti. Non è casualeinfatti che riscrivere il teorema dell’insieme-potenza in base a

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una qualche assiomatica che garantisse qualcosa del genere èciò che Cantor stesso – come dimostra la ricerca storica diHallett [Hallett 1988, 138 sgg.; cfr. Basti 1996, 224 sgg.] –cercò inutilmente di fare dopo la scoperta dell’antinomia diBurali-Forti. E una delle cause del fallimento di Cantor fucertamente il fatto che, malgrado avesse chiesto l’aiuto a teo-logi della Gregoriana che gli spiegassero la teoria di Tomma-so, non trovò nessuno in grado di spiegargli correttamente lateoria della distinzione reale essere-essenza, decisamente ri-fiutata dalla scuola Suareziana cui i Gesuiti si rifanno22. Co-sì Cantor cercò di interpretare la distinzione essenza-esisten-za non come una distinzione nominale (= sui principi), maformale (= sulle forme). Ovvero, come gran parte degli in-terpreti moderni di Tommaso – gran parte della scolastica mo-derna inclusa – interpretò la distinzione in chiave aristoteli-ca, secondo una modalizzazione dell’esistenza dei sottoinsie-mi (in potenza) rispetto all’esistenza dell’insieme relativo (inatto), agendo quindi non sul loro essere, ma sulla loro forma.Il risultato fu quello di far collassare ogni insieme alla cardi-nalità unitaria, poiché in tal modo venendo a mancare la for-ma della(e) parte(i), veniva a mancare la possibilità stessa didistinguere le parti (sottoinsiemi) entro la totalità (insieme)[cfr. Basti 1996, p. 225]. L’escamotage di ammettere defini-zioni impredicative, indebolendo il grafico delle relazioni frale parti per non cadere in antinomia segue la stessa logica,col risultato di perdere la costruttività delle definizioni e dun-que l’utilità per il calcolo logico-formale di questa scappatoia[cfr. Longo 1999].

Nulla di tutto questo invece nell’approccio di Perrone do-ve la distinzione essere-essenza viene inserita in chiave pura-mente nominale, sintattica, aggiungendo semplicemente alcu-

in quanto è l’esistenza a derivare dall’essenza mediante l’applicazione del-l’operatore esistenziale.

22 Cfr. la polemica che su questo punto, lungo gran parte del ’900, op-pose Cornelio Fabro alla scuola suareziana.

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ni assiomi all’ordinaria teoria degli insiemi23. La costruttivitàviene così sempre garantita. Il resto del già citato saggio diPerrone [1996], mostra infatti l’utilità di questa assiomaticaper calcolare tutti gli pseudo-cicli di un attrattore caotico, contempi di calcolo che crescono solo linearmente con l’ordine(complessità) dei cicli [cfr. anche Perrone 2000, in cui si mo-stra il completamento del lavoro impostato in Perrone 1995e 1996 sugli attrattori caotici]. Infatti, i sottoinsiemi relativialle combinazioni degli elementi per ciascun ordine di corre-lazione, non devono più esser considerati tutti simultanea-mente esistenti in tale approccio!. Per l’utilità applicativa diuna tale idea, in qualsiasi campo del calcolo sia teorico cheapplicato alle scienze naturali e alla tecnologia, esiste solo illimite della fantasia.

3.2.3 Passaggio all’ontologia formale generale

D’altra parte, dal punto di vista dell’ontologia formale ge-nerale – ovvero dando un valore denotativo ai principi –, sif-fatto posit nominalistico viene qui inserito nell’ambito diun’ontologia generale dove la predicazione viene supposta co-me logicamente precedente all’appartenenza, ma in un nuo-vo senso rispetto a quello di Cocchiarella. Infatti qui la rela-zione di appartenenza viene considerata non come risultatodi una “concettualizzazione”, ma come conseguenza dell’o-perazione di esistenzializzazione degli individui che condivi-dono la medesima essenza. È questo il senso dell’equivalenzanell’Assioma 3 interpretato ontologicamente, fra l’affermazio-ne dell’appartenenza di un individuo x alla collezione uni-versale V e l’applicazione corretta (per k = 1) dell’operatore∃�

all’essenza di x, Ex. In tal modo, viene introdotta una nuo-va nozione costruttiva di collezione – e, sotto particolari con-

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23 In questo senso l’approccio di Perrone si distingue dalle cosiddettefree logic, approccio di Cocchiarella incluso, che cercano ugualmente direndere formalmente la distinzione essere /esistenza introducendo una qual-che forma di modalizzazione nella nozione di esistenza.

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dizioni k, di insieme – come totalità consistenti che si arric-chiscono progressivamente di membri effettivamente esisten-ti, non tutti insieme, ma solo ogni volta che nel calcolo logi-co e/o ontologico se ne presenti la necessità (ovvero perk = 1).

In altri termini, la giustificazione del predicato di esisten-za E! (x) dell’ontologia generale non è solo relativa ad esi-stenti concreti, ovvero esistenti secondo la modalità dell’esi-stenza fisica come nel neo-aristotelismo dell’approccio di Coc-chiarella, ma è relativa a qualsiasi variabile individuale del cal-colo logico che possa essere vincolata mediante un’applica-zione consistente e quindi effettiva del quantificatore esisten-ziale “assoluto” di Cocchiarella ∃ e, (esistere come generico og-getto, ovvero qui, in ontologia generale, come generico ente,come “ente in quanto ente”). Dove la consistenza di tale ap-plicazione è legata nel nostro approccio al soddisfacimentodella condizione (3.14). Simbolicamente, la definizione (3.2)di p. 18 del predicato di esistenza di Cocchiarella in ontolo-gia formale andrebbe riscritta aggiungendovi come condizio-ne l’Assioma 3 (ontologicamente interpretato):

�∃ ,k=1

E!(x )= def (∃ e y) (x = y)∧ Ey � ∃ y (3.18)

Questa “resa predicativa” dell’esistenza che ha senso soloin ontologia, ma non in logica formale, ci fa vedere per con-trasto come, se il principio-essenza nella teoria dei fondamentidella logica formale è preso esclusivamente in senso nomina-listico senza alcuna funzione denotativa, anche l’operatore esi-stenziale ∃

�in logica formale va inteso in senso esclusivamen-

te sostitutivo e non ontologico, predicativo. Nella logica for-male, nella logica come calcolo, cioè, il predicato E! (x) co-me definito più sopra – lo ripetiamo –, non ha e non deveavere alcun senso. In tal modo si conferma come la teoria deifondamenti della logica formale come calcolo (insiemistica) èuna teoria puramente formale senza denotati. Detto in altritermini, una teoria fondazionale della logica come calcolo, on-

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tologicamente deve seguire un posit nominalistico, altrimentisi creano confusioni assurde e si fa fare alla cultura scientifi-ca un salto indietro di almeno quattro secoli: Galilei avrebbesofferto invano!24. A. L. Perrone [Perrone, 1996] ha fatto ve-dere infatti come, integrando la logica dei Principia con de-gli assiomi del tipo dei tre citati in precedenza, si può otte-nere una formalizzazione non–gödeliana dei fondamenti del-l’aritmetica, basata sulla possibilità d’interpretare formalisti-camente il senso del primitivo della relazione di successionesecondo diversi assiomi di successione e quindi secondo di-verse assiomatiche formali dei numeri naturali. Uno dei ri-sultati fondamentali dei teoremi di Gödel è infatti quello didimostrare che non esiste e non può esistere un’unica aritme-tica formalizzata. Gli assiomi di cui sopra garantiscono in li-nea di principio di poter trovare per ciascun problema l’ap-propriata aritmetica formale (o le appropriate aritmetiche for-mali, nel caso di sistemi complessi) con cui calcolarlo, dandoal teorema di Gödel un’interpretazione costruttiva e, se vo-gliamo, fornendo una risposta al desiderio di Aristotele stes-so quando inventò il primo calcolo assiomatico della storiadella logica, il calcolo sillogistico. Diceva infatti lo Stagiritaall’inizio dei suoi Analitici Primi:

(Il metodo sillogistico è quel metodo) che ci dice come tro-veremo sempre sillogismi per risolvere qualsiasi problema (dedu-zione); e per quale via potremo assumere le premesse appropriateper ciascun problema (induzione)» (An. Pr., I,27,43a20-22).

Infine, proprio per il posit nominalistico di cui sopra, at-tento a non confondere l’uso non–referenziale con l’uso refe-renziale del simbolo logico – attento cioè a non confonderel’uso sincategaromatico con l’uso categorematico di predicati

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24 Si torna cioè alla posizione di quegli (pseudo-)aristotelici razionalistidegli inizi dell’età moderna che pretendevano che gli assiomi delle altrescienze, matematica inclusa, fossero teoremi della metafisica, fossero deri-vazioni dagli assiomi della metafisica.

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e variabili, per usare la terminologia cara a Leibniz e alla sco-lastica – esiste un’obbiettiva somiglianza fra l’uso del quanti-ficatore esistenziale nelle formule precedenti e l’uso del quan-tificatore esistenziale nella logica intuizionistica. In particola-re, per il finitismo nei calcoli e per l’impossibilità di passare“automaticamente” dall’uso consistente del quantificatore uni-versale a quello consistente del quantificatore esistenziale fin-ché non sia definito un metodo di calcolo effettivo, ovvero diassegnazione effettiva di un valore a ciascuna delle variabiliindividuali.

Viceversa, nella corrispondente ontologia formale genera-le nella quale soltanto ha un senso l’uso predicativo del ter-mine “esistenza” in base alla Definizione (3.18), come il prin-cipio-essenza E va interpretato in questa definizione come de-notante l’essenza in quanto principio metafisico costitutivodell’ente in quanto ente (ens qua ens), così l’operatore esi-stenziale ∃

�va interpretato in senso ontologico. Ovvero come

denotante l’essere come atto in quanto ulteriore principio me-tafisico costitutivo dell’ente, complementare all’essenza. Lacomplementarietà dell’essenza e dell’essere per produrre l’esi-stenza del relativo ente nell’ontologia tomista, come principimetafisici costitutivi dell’ente in quanto ente (logico, natura-le, etc.) è dunque nella linea della complementarietà dei con-cetti insaturi di Cocchiarella, ma con la differenza di non muo-verci qui in un concettualismo. Di non porre cioè un prodot-to (concetto come conceptus, “concepito”) della mente – sog-gettivamente o intersoggettivamente considerato – a fonda-mento della logica formale e, peggio, dell’ontologia generale.Se facessimo questo, non faremmo altro che sostituire ad untrascendentalismo moderno, fondato su una soggettività logi-ca o fenomenologica quale quello kantiano o husserliano, untrascendentalismo intersoggettivo post-moderno di marca so-cio-biologica cui in qualche modo, forse non volendo, si ri-duce il concettualismo di Cocchiarella. Non basta fondare l’u-nità dell’ente sul principio di mutua saturazione, invece chesull’attività di una supposta soggettività trascendentale, perpoter affermare come fa Cocchiarella di non seguire i mo-

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derni su questo punto, se poi i due oggetti disposizionali com-plementari che si saturano reciprocamente sono comunqueprodotti di un’attività mentale intersoggettivamente concepi-ta (=concetti).

È proprio per questo motivo che ho definito l’ontologiaformale di Tommaso non un realismo concettuale, ma un rea-lismo che, proprio perché è centrato sulla distinzione forma-le (predicativa) fra essere ed esistenza è un realismo ontolo-gico, basato sulla complementarietà di una reciproca deter-minazione, non di concetti, ma di principi logici (il principioessenza e l’operatore esistenziale) e ontologici (essenza e attod’essere), senza alcuna modalizzazione. Proprio per questo,sono possibili estensioni modali di questa logica formale e on-tologia formale generale, laddove ci fosse l’esigenza di esten-dere il formalismo per includere logiche intensionali e/o on-tologie formali specifiche. Legate cioè alla distinzione fra di-verse modalità di esistenza delle variabili (enti, in ontologia)individuali – e, in questo caso, anche predicative (qualità, inontologia) – in semantica e anche in ontologia: esistenza vir-tuale, attuale, naturale, concettuale, fittizia (gli enti di una fic-tion), …, e chi più ne ha, più ne metta.

3.2.4 Passaggio alle ontologie speciali

In tal senso, appare immediatamente includibile nel nostroapproccio la teoria della duplice significazione dei predicati,mediante duplice riferimento a contenuti naturali e concettualidel denotato dei loro argomenti (passaggio dall’uso nomina-le o sintattico dei predicati in logica formale all’uso semanti-co-denotativo di essi attraverso loro opportune modalizzazio-ni) che è forse il maggior pregio teoretico dell’ontologia for-male di Cocchiarella, nonché, per gli scopi del presente la-voro, il cuore della nostra formalizzazione dell’analogia di at-tribuzione.

Del realismo naturale di Cocchiarella, il nostro approcciodi ontologia formale tomista è in grado di far proprio, senzasostanziali modifiche l’approccio modale all’essenzialismo ari-

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stotelico per la fondazione causale di generi (essenze) e pro-prietà-relazioni (accidenti) naturali dei corpi, nonché per lafondazione causale dell’inerenza necessaria degli uni e contin-gente delle altre ai rispettivi soggetti individuali. A tale onto-logia degli enti naturali, l’ontologia tommasiana aggiunge ilsuo “in più” caratteristico di una spiegazione del perché leproprietà essenziali ineriscono necessariamente ai rispettivisoggetti individuali rispetto a quelle accidentali che inerisco-no solo contingentemente. E ciò dipende dal fatto che nel-l’ontologia tommasiana, differentemente dall’ontologia aristo-telica (e da quella di Cocchiarella), anche l’esistenza dei sog-getti individuali, non solo l’essere delle loro proprietà essen-ziali e accidentali, ha una spiegazione causale.

Nei termini, della nostra parziale formalizzazione dell’onto-logia generale tommasiana, non solo il principio-essenza E haun denotato, l’essenza appunto, causalmente fondata, ma ancheil principio-operatore esistenziale ∃

�ha un suo denotato: l’atto

d’essere, l’essere dell’ente in quanto causalmente fondato. Es-so, applicato su un’essenza ha la potenza attiva di produrre,rendere esistenti secondo necessità, una molteplicità infinita dielementi necessariamente appartenenti alla medesima collezio-ne perché condividono la medesima essenza. Differentementedall’essenzialismo aristotelico e dal concettualismo di Cocchia-rella, nell’ontologia tommasiana s’introduce una giustificazione– formale in logica, causale in fisica e metafisica – di tutto l’es-sere (essenza e, mediante l’atto d’essere, l’esistenza) di ogni en-te in quanto ente (= corrispettivo metafisico della nozione teo-logica di “creazione dal nulla” [cfr. Basti 2002a, pp. 428 sgg.].

È chiaro che in tal maniera, la spiegazione causale delladistinzione fra proprietà essenziali e contingenti di enti in fi-sica e metafisica25 ha una sua giustificazione intrinseca che in-

25 In logica formale e quindi in logica matematica, tale modalizzazionedell’inerenza di proprietà a oggetti non ha alcun senso, essendo tutte leproprietà di classi di oggetti ugualmente inerenti secondo la modalità del-la necessità ai rispettivi oggetti appartenenti a quella classe

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vece nell’ontologia di Aristotele (e di Cocchiarella) non ha.Infatti, la spiegazione causale di tale distinzione nei terminidel fatto che certe proprietà sono essenziali per certi oggettiperché senza di esse l’oggetto non può esistere, ha una suagiustificazione solo se si rende anche l’esistenza dell’oggettocausalmente determinata dall’essenza: un principio metafisicoche ha nell’Assioma 3, interpretato ontologicamente, una suaspiegazione ontologico-formale. Viceversa, certe proprietà ri-sulteranno non essenziali se il concorso causale che determi-na l’esistenza di quell’oggetto, non dipende (anche) da quel-le cause che determinano la proprietà. Gli oggetti di cui sipredicano le proprietà hanno in tal caso un’esistenza indi-pendente da quelle proprietà medesime.

Per completare la nostra giustificazione della formalizza-zione dell’analogia di attribuzione tommasiana, ci occorre unultimo passo soltanto. Quello di fornire una formalizzazionedi quella causalità di partecipazione C e di quella causalità in-tenzionale T che, con l’asimmetricità della relazione di neces-sitazione che le caratterizzano, costituiscono, rispettivamentenell’ordine concettuale e nell’ordine naturale, le chiavi per unaformalizzazione adeguata della fondamentale analogia di attri-buzione ontologica (secundum esse). Per far questo occorrespiegare quello che nel realismo concettuale di Cocchiarellaresta inesplicato: la fondazione causale ontologica dell’esisten-za naturale dell’ente fisico, secondo il nome (genere) che locaratterizza (cfr. l’inesplicata estensione dell’operatore di ne-cessitazione causale �C all’esistenza “concreta”, E!, dell’og-getto x nella tesi K3 (3.13) ), secondo lo schema tommasiano:

1. Nell’ordine naturale, della partecipazione dell’essere come at-to (o atto d’essere, l’essere come risultato di un’azione dicausalità efficiente) ad una data sostanza “prima” (indivi-duo), e

2. Nell’ordine concettuale, la fondazione causale intenzionaledi quelli che Cocchiarella definisce i concetti referenziali epredicativi nella loro capacità di “significare” enti e pro-prietà naturali.

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Fondazione nell’ordine concettuale che avviene per Tom-maso secondo uno schema causale formalmente ed esplicita-mente isomorfo nell’ordine logico-semantico (e concettuale inpsicologia), a quello della partecipazione ontologica nell’ordi-ne naturale [cfr. Basti 2002°, pp. 369ss.]. Nell’ontologia in-formale aristotelico-tomista dell’atto cognitivo ciò viene giusti-ficato attraverso la peculiarità della relazione intenzionale, inquanto relazione referenziale ad un ente naturale, in grado difondare causalmente l’esistenza dell’ente concettuale. Tale re-lazione ha una doppia componente, fisica, transitiva dall’og-getto al soggetto conoscente – in psicofisiologia, l’azione cau-sale di stimolazione fisica sull’organo di senso – e una azionea base organica – anche se irriducibile alla sua solo base or-ganica, perché legata ad un processo di generazione dell’infor-mazione –, immanente al soggetto conoscente mediante l’azio-ne di controllo degli organi dei sensi interni26 sui sensi ester-ni e viceversa27. Di qui la “riflessività” dell’operazione globa-le. Risultato di tale “azione immanente” è l’adeguazione dellaforma dell’operazione comportamentale (senso–motoria e/olinguistica) dell’organismo umano nel suo complesso alla for-ma dell’oggetto esterno. Risultato della componente immanente(riflessiva) dell’azione causale intenzionale nel suo complessoè insomma un atto “riflessivo” di costruzione di un isomorfi-smo (ciberneticamente: un processo di auto-organizzazione)28

26 Il cervello nelle sue varie strutture, corticali – senso comune e fan-tasia, o memoria a breve termine, – e sub-corticali – sfera emozionale econnessa memoria a lungo termine: [cfr. Basti 1995].

27 Ciberneticamente, nella teoria matematica dei controlli e dell’infor-mazione, si tratta di un controllo con feedback non-lineare. La non–lie-nearità è legata al fatto che tipicamente ad uno stimolo dall’esterno (input)corrisponderà non uno, ma molteplici stati stabili del sistema (output: di-namicamente, la funzione di potenziale non è ad uno, ma a molti minimi,stabili o addirittura instabili, come nei casi più complessi, al limite caotici,dove neanche è possibile definire tale funzione univocamente), come si con-viene ad ogni processo biologico adattivo. Basti 1995, ***.

28 È questo il senso formale dei due tipici enunciati aristotelici al ri-guardo, secondo cui grazie all’atto cognitivo nel suo complesso “non la pie-

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fra certe proprietà dei propri stati interni disposizionali e pro-prietà degli stati disposizionali fisici indotti dall’azione causa-le fisica dall’oggetto esterno.

Ciò che è notevole, in una modalizzazione dell’ontologiagenerale d’ispirazione tommasiana di cui abbiamo evidenzia-to gli assiomi essenziali relativi alla distinzione reale essere-es-senza, è che l’identico schema formale soggiacente può esse-re formalizzato nei termini dello schema completo della fon-damentale “proprietà euclidea” delle relazioni d’accessibilitàfra mondi possibili della cosiddetta semantica delle relazionidi Kripke [Galvan 1990, pp. 72 sgg.). Tale semantica è un’e-stensione modale della semantica formale di Tarski e della suanozione di verità, fondata, nell’approccio del logico polacco,sulla corrispondenza delle formule allo stato di cose di ununico mondo considerato come attuale. Viceversa, nella se-mantica relazionale di Kripke, la verità delle formule moda-lizzate dipende da stati di cose in mondi alternativi, i cosid-detti mondi possibili, a seconda dell’accessibilità o meno de-gli oggetti di un mondo all’insieme di proprietà e relazioniche caratterizzano gli oggetti di un altro – la verità cioè ces-sa di essere una nozione univoca diventando essa stessa ana-loga come i nomi dell’essere. L’“ambiguità sistematica” dellanozione di verità nei diversi mondi può essere così definitamediante le proprietà che regolano le varie relazioni di ac-cessibilità fra di loro, formalizzabili, in una maniera anche in-tuitivamente molto efficiente, mediante grafici degli schemiformali (frames) di tali relazioni. Questi schemi formali pos-sono perciò ricevere diverse interpretazioni, in modo da co-stituire altrettanti modelli nelle semantiche delle varie scien-

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tra è nell’anima, ma la forma della pietra”. Ovvero l’azione intenzionale im-manente è, secondo la massima tomista corrispondente “un farsi simile deldissimile”. Dove la relazione di similitudine – differentemente dalla rela-zione d’identità – nella logica e nell’ontologia tommasiane è quella relazio-ne che non suppone l’unicità di essenza fra i relati, ma l’unicità di formafra i relati, un isomorfismo, appunto.

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ze che ne fanno uso. Definita metalogicamente la proprietàeuclidea che determina le relazioni di accessibilità R fra tremondi u, v, w come:

(∀ u, v, w) [(uRv ∧ uRw) ⇒ (vRw)] (3.19)

ovvero, graficamente,

Lo schema completo del grafico delle relazioni immedia-tamente conseguenti alla proprietà euclidea di R è il seguen-te (per la deduzione immediata di tale schema, usando sem-plici leggi del calcolo logico dei predicati, a partire dalla re-lazione fondamentale (3.19), [cfr. Galvan 1990, 82 sgg.]):

Dal confronto dei due schemi si vede come dalla relazio-ne euclidea derivino immediatamente, per deduzione direttadagli altri assiomi della semantica relazionale, due relazioni ri-flessive, vRv e wRw, dette di riflessione secondaria e una sim-metricità della relazione vRw = wRv detta di simmetria se-condaria perché tutte derivate da (3.19).

Siffatto schema completo del grafico delle relazioni dellaproprietà euclidea della relazione di accessibilità R è partico-

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larmente utile ai nostri scopi perché si presta a formalizzare,in due appropriati modelli semantici di ontologia formale, ledue relazioni C di causalità (partecipazione) della forma e del-l’essere delle due forme di analogia di attribuzione ontologicadefinite in (2.8) e (2.10), e le tre relazioni T di causalità in-tenzionale presenti in tutt’e tre le forme di analogia di attri-buzione definite in § 0.

Innanzitutto lo schema euclideo delle relazioni d’accessi-bilità formalizza graficamente nell’ontologia degli enti natura-li, il nucleo della relazione causale di partecipazione della for-ma e/o dell’essere, C. come relazione causale di necessitazio-ne transitiva, caratterizzata da un’essenziale asimmetricità nel-la necessitazione causale (uRv e uRw) dal causante u (= “cau-sa fisica universale” (corpo celeste) per le forme e/o “EssereSussistente” o “Causa Prima” per l’essere) verso i suoi effet-ti v e w (categorie di enti per le forme e/o enti contingentiper l’essere). Nel caso della partecipazione dell’essere – e, inteologia, della creazione –, gli enti dipendono necessariamen-te dall’Essere, ma non viceversa. Insomma, “Dio non ha bi-sogno del mondo per essere Dio”, con buona pace della teo-logia hegeliana!

Una relazione, questa della partecipazione dell’essere edelle forme prese insieme, seppur distinguendo ontologica-mente fra di loro, in grado di fondare metafisicamente l’in-seità dell’essere di molteplici sostanze prime (individui) delmedesimo genere – “inseità” della sostanza spiegata da Tom-maso come proprietà di “autoriferimento” di questa parti-colare categoria di enti a se stessi (reditio completa ad se-metipsum: cfr. Tommaso d’Aq., S. Th., I, 14, 2c; Basti 1991,pp. 144 sgg.) o di riflessività (secondaria) nell’essere (vRv ewRw) di ogni sostanza prima o individuo esistente in sé eper sé. Delle sostanze prime o “individui sussistenti” che,proprio per la loro comunanza di genere, sono in grado disostentare relazioni causali transitive fra di loro (di esserecioè “cause seconde”, di con-causare con la Causa Prima egrazie alla Causa Prima l’esistenza dei loro effetti), relazio-ni caratterizzate cioè da simmetricità (secondaria) nella ne-

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cessitazione (vRw = wRv) – “relazioni reali” le definiva Tom-maso. Si tratta dunque delle relazioni causali tipiche del-l’ordinario determinismo fisico (regolato da leggi), dove nonsolo l’effetto rimanda necessariamente alla causa (questo va-le anche nella relazione di partecipazione dalla causa uni-versale e/o dalla Causa Prima), ma anche la causa producenecessariamente l’effetto, rendendo possibile formalmente ladefinizione di una legge causale (= condizione necessaria esufficiente). L’equivalenza dei relativi predicati che conno-tano il genere naturale (essenza naturale o “natura”) comu-ne a più enti individui – ovvero il darsi simultaneo delle re-lazioni transitiva, riflessiva e simmetrica fra di essi – ver-rebbe così ad avere in tale ontologia una fondazione causa-le nella partecipazione della forma in cosmologia – e, ulti-mamente, dell’essere in metafisica.

Correlativamente, il medesimo grafico può essere usatoper modellizare la relazione intenzionale di referenzialità fraconcetti equivalenti ed il medesimo referente, visto l’iso-morfismo di struttura teorizzato da Tommaso [cfr. S.c.Gent,II, 12-15 e Basti 2002a, pp. 369 sgg.] fra relazione di par-tecipazione dell’essere (essenza ed esistenza) dell’ente natu-rale e relazione intenzionale di fondazione dell’essere (es-senza ed esistenza) dell’ente concettuale, sull’essere (essenza)del referente (e/o di fondazione della verità del corrispetti-vo enunciato predicativo). Infatti, in una siffatta modellizza-zione, mediante il medesimo schema formale “euclideo” del-la relazione di referenzialità al medesimo oggetto di concet-ti (psicologia, epistemologia) e/o enunciati (semantica), v, wequivalenti, u rappresenterà stavolta il comune referente. Sif-fatti concetti e/o enunciati veri, risulteranno così “equiva-lenti per referenza”. Ovvero, le proprietà di simmetricità,transitività, riflessività che definiscono formalmente la lororelazione di equivalenza, risulteranno fondate sulla comunereferenza.

In tal modo, viene (finalmente!) definito il grafico formaledella relazione asimmetrica, T, di fondazione causale del conte-nuto concettuale, p.es., fc sul rispettivo contenuto naturale fn, evi-

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denziando, fra l’altro, la condizione per cui più contenuti con-cettuali che, in contesti (mondi) diversi si riferiscono al mede-simo oggetto, possono essere fra loro equivalenti, appunto perreferenza. Ciò significa che siffatto grafico formale di fatto de-finisce una procedura induttiva di costituzione di un universa-le logico (= classe di equivalenza). In altri termini, viene cosìfornito (finalmente!) il grafico formale delle relazioni che ca-ratterizzano quella nozione d’induzione costitutiva degli univer-sali logici dall’essere del referente in epistemologia e in ontolo-gia (non in logica formale), della quale Aristotele e gran partedella scolastica era riuscita finora a dare solo una (non–)giu-stificazione puramente “psicologica”, con la famosa e contro-versa dottrina dell’epagoghé (Cfr. Aristotele, Post. An.****). Inparticolare, a commento del testo aristotelico dei Secondi Ana-litici di cui alla citazione precedente, il grafico “spiega” perchésolo da molte (almeno due) esperienze del medesimo oggetto,iterate in contesti diversi, “si forma” nella mente l’unico uni-versale logico, ovvero formalmente, si costituisce una “classe diequivalenza”: il dominio di un predicato.

Avendo così spiegato completamente le definizioni del § 0possiamo mettere il punto conclusivo a questo nostro lavoro,che forse ha impegnato oltremodo la pazienza del lettore, macrediamo con un qualche frutto!

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