anno 11, numero 6 (109) - giugno 2014 curia e pastorale ...giovanni valente p. 40. giugno 3 2014...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 11, numero 6 (109) - Giugno 2014

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Page 1: Anno 11, numero 6 (109) - Giugno 2014 Curia e pastorale ...Giovanni Valente p. 40. Giugno 3 2014 Vincenzo Apicella, vescovo “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho

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Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degliartefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propriainsindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubbli-cati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizza-zione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

Redazione: Corso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, S.E. mons. Andrea M. Erba,mons. Franco Risi, mons. Franco Fagiolo, don AndreaPacchiarotti, don Antonio Galati, Suore ApostolineVelletri, don Marco Nemesi, don Daniele Valenzi, p. VincenzoMolinaro, Claudio Capretti, Pier Giorgio Liverani, AntonioVenditti, Sara Gilotta, Rigel Langella, Fabio Ciardi, GruppoCaritas - Parr. S. M. Intemerata in Lariano, Collaboratoriparr.li S. Paolo Ap. Velletri, Collaboratori parr.li S.M. Intemeratain Lariano, Monica Casini, Daniele, Monica e Claudio, GiovanniZicarelli, Jacopo Giammatteo,Sara Calì, ValerianoValenzi, Mara Della Vecchia,Giovanni Abruzzese, EdoardoBaietti.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Chiamata dei figli di Zebedeo Marco Basaiti, 1510, Venezia.

- Ogni vocazione è un invito ad uscire da noi stessi

per seguire l’esempio dell’unico Pastore,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- Il Papa della Docilità allo Spirito Santo e il

Papa della Famiglia (...),Stanislao Fioramonti p. 4

- Messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesconella Pasqua 2014, S. Fioramonti p. 5

- Sempre più facile divorziare (...),Pier Giorgio Liverani p. 6

- Fattore “R”: religione questa sconosciuta, Rigel Langella p. 7

- I papi santi: da Pio X a Giovanni XXIII, fino a Giovanni Paolo II, Sara Gilotta p. 9

- Il futuro della famiglia: “maschio e femmina li creò” (Gn 1,27), p. Vincenzo Molinaro p. 10

- Per una partecipazione piena, attiva e consapevole / 10: Tre passaggi conclusivi,

don Andrea Pacchiarotti p. 11

- La Samaritana e la Misericordia,Claudio Capretti p. 12

- Lariano parrocchia S. M. Intemerata: l’esperienza della Caritas, gruppo Caritas parr.le p. 13

- Impegno - Volontariato per il bene personale, degli altri e di tutti, don Antonio Galati p. 14

- La carità nella storia della Chiesa / 8: forza critico -profetica del volontariato,

don Antonio Galati p. 15

- Per chi ha voglia di credere: La gioia semplice, don Gaetano Zaralli p. 16

- Il Cuore di Gesù ci insegna a donare e perdonare,mons. Franco Risi p. 17

- Iniziazione Cristiana. In attesa del nuovodocumento dei nostri vescovi,

don Daniele Valenzi p. 18

- La gioia intima di scoprirsi amati,

Fabio Ciardi p. 19

- Ogni vocazione può nascere solo dall’amore

e crescere nell’amore,

Suore Apostoline di Velletri p. 20- Gaetano di Laura e Luciano Taddei verranno ordinati Diaconi permanenti,

Monica Casini p. 21- Apriti alla Verità, porterai la Vita. 51

a Giornata

Mondiale di Preghiera per le Vocazioni,Suore Apostoline di Velletri p. 22

- Il parroco don Antonio Carughi deceduto dopo

una breve malattia, mons. A. M. Erba p. 22

- “Il servo umile”. Rappresentazione della

Passione, Morte e Risurrezione di N. S. Gesù

Cristo, collaboratori parr. S. Paolo Ap. Velletri p. 23

- Acero 1° Maggio - Festa della Famiglia,

Daniele, Monica e Claudio p. 24

- Colleferro, Parr. S. Bruno. Incontro riflessione

promosso dalla Caritas: Porre l’uomo al centro

del proprio interesse, iniziando da se stessi,

Giovanni Zicarelli p. 26

- Giochiamo da Dio, Jacopo Giammatteo p. 27

- Dalla Comunità di Lariano,

collaboratori parr. S. M. Intemerata p. 28

- Artena in Festa, Sara Calì p. 29

- Dalla Comunità di Segni p. 30

- Il Sacro intorno a noi / 3, Stanislao Fioramonti p. 32

- Scuola: Stop alle riforme, Antonio Venditti p. 34

- Musical: Karol Wojtila la vera storia,Mara Della Vecchia p. 35

- Il mondo in soffitta di Antonio Venditti,Giovanni Abruzzese p. 36

- Doppio appuntamento culturale per il Museo Diocesano di Velletri,

Edoardo Baietti p. 37- Tiziano Vecellio, Amor sacro e Amor profano / 1

don Marco Nemesi p. 38- Betlemme. Significativo fuori programma: il Papa fa fermare la papamobile e sosta in silenzio davanti alla barriera di sicurezza (...),

Giovanni Valente p. 40

Page 3: Anno 11, numero 6 (109) - Giugno 2014 Curia e pastorale ...Giovanni Valente p. 40. Giugno 3 2014 Vincenzo Apicella, vescovo “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho

33GiugnoGiugno20142014

� Vincenzo Apicella, vescovo

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e

vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e

il vostro frutto rimanga�” (Gv.15,16).

QQueste parole di Gesù, pronunciate nell’ultima cena terre-

na con i discepoli, sono indispensabili per comprendere

il vero significato di ogni esistenza cristiana e, in parti-

colare, di ogni vocazione specifica al servizio di Dio e dei fratel-

li. Esse sono inscindibili da quell’altra raccomandazione, sgorgata

dalla compassione per le folle “stanche e sfinite come pecore che

non hanno pastore”: “la messe è

abbondante, ma sono pochi gli ope-

rai! Pregate dunque il signore del-

la messe, perché mandi operai nel-

la sua messe!” (Mt.9,36-38).

La vocazione, quindi, è sempre Dono

da chiedere e Mistero da vivere,

secondo la felice espressione di

San Giovanni Paolo II, che così

intitolò la sua toccante testimonianza

in occasione del suo giubileo sacer-

dotale nel 1996.

La nostra diocesi si appresta ad

accogliere con gioia questo dono

alla fine del mese di giugno, con

l’Ordinazione di un sacerdote, don

Teodoro Beccia e due diaconi,

Luciano Taddei e Gaetano Di Laura:

è un momento importante e deci-

sivo non solo per gli ordinandi, ma

per tutti noi.

Nel rito sacramentale, in tutti e due

i casi, c’è un elemento comune e

suggestivo: la prostrazione sul pavi-

mento degli ordinandi, durante il

canto delle Litanie dei Santi, in atte-

sa dell’imposizione delle mani da

parte del vescovo, gesto che indi-

ca da sempre nella Chiesa il dono

dello Spirito Santo.

“Quel rito ha segnato profondamente

la mia esistenza”, ha confidato il

Papa recentemente canonizzato

e così continua: “Anni più tardi, nella basilica di San Pietro - si

era all’inizio del Concilio - ripensando a quel momento

dell’Ordinazione sacerdotale, scrissi una poesia di cui mi piace

riportare qui un frammento:

Sei tu, Pietro. Vuoi essere qui il Pavimento su cuicamminano gli altri...per giungere là dove guidi i loro passi�Vuoi essere colui che sostiene i passi Come la roccia sostiene lo zoccolare di un gregge:Roccia è anche il pavimento d’un gigantesco tempio.E il pascolo è la croce.

Scrivendo queste parole pensavo sia a Pietro che a tutta la real-

tà del sacerdozio ministeriale, cercando di sottolineare il profon-

do significato di questa prostrazione liturgica. In quel giacere per

terra in forma di croce prima dell’Ordinazione, accogliendo nella

propria vita - come Pietro - la croce di Cristo e facendosi con l’Apostolo

‘pavimento’ per i fratelli, sta il senso più profondo di ogni spiri-

tualità sacerdotale” (Giovanni Paolo II, Dono e Mistero, LEV 1996,

p.53-54).

Diventare ‘pavimento’ è l’espressione che più intensamente espri-

me l’umiltà, nel senso più concreto e quasi materiale del termi-

ne, quello di aderire alla terra, di mescolarci con l’humus nel qua-

le il Signore ci ha posto a svolgere il nostro ministero. Siamo chia-

mati a diventare uomini che sappiano condividere tutto degli uomi-

ni a cui apparteniamo: le gioie e

i dolori, le fatiche e le speranze;

capaci di accogliere nel nostro cuo-

re le persone incontrate nel

cammino, di ‘sporcarci le mani’

con i loro problemi e ‘farci cari-

co’ delle loro croci.

Dal canto suo, Papa Francesco,

nel messaggio recentemente

inviato per la Giornata di preghiera

per le vocazioni, insiste sullo stes-

so tema, ma da un’altra prospettiva:

ci ricorda la dimensione dell’Esodo,

rilevando che ogni vocazione è

un invito ad uscire da noi stes-

si, dalle nostre prospettive ristret-

te, dalle nostre aspirazioni e dai

nostri progetti, per seguire l’esempio

dell’unico Pastore, che “di fron-

te alla gioia che gli era posta dinan-

zi, si sottopose alla croce, dis-

prezzando il disonore, e siede alla

destra del trono di Dio” (Eb.12,2).

Il Presbiterato e il Diaconato sono

due forme di partecipazione alla

funzione di pastore, due livelli diver-

si in cui si esplica il servizio al Signore

e al suo popolo, due modi di dare

la vita, a imitazione del Figlio

dell’Uomo, che “non è venuto per

farsi servire, ma per servire e dare

la propria vita in riscatto per mol-

ti” (Mc.10,45).

Se questo si realizza nel diacono, il cui titolo significa propriamente

‘servo’, si prolunga e si accresce nel presbitero, che deve ren-

dere presente, nei segni sacramentali a cui presiede, l’unico sacri-

ficio del Corpo di Cristo e del suo Sangue, sparso in remissione

dei peccati di ciascuno di noi. Il mistero delle vocazioni ministe-

riali, che ci viene dato di vivere in questi giorni, è grande e ine-

sauribile, non finiremo mai di esplorarlo e di contemplarlo, ma occor-

re sottolineare, per concludere, che esso scaturisce ed è ordinato

al mistero della comunione, che è l’essenza stessa della Chiesa.

In una Chiesa viva germogliano le vocazioni, che, a loro volta,

fanno crescere la Chiesa nella comunione.

Per questo, la mancanza di comunione è lo scandalo più gran-

de, che impedisce ogni vocazione cristiana e distrugge la Chiesa,

rendendola incapace di essere segno credibile di Cristo: “Da que-

sto tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni

per gli altri” (Gv.13,35).

Page 4: Anno 11, numero 6 (109) - Giugno 2014 Curia e pastorale ...Giovanni Valente p. 40. Giugno 3 2014 Vincenzo Apicella, vescovo “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho

44 GiugnoGiugno20142014

a cura di Stanislao Fioramonti

DD omenica 27 aprile, festa dellaDivina Misericordia, papa Francescoha solennemente iscritto nel cata-

logo dei santi della Chiesa cattolica duesuoi illustri predecessori, Giovanni XXIII(Angelo Giuseppe Roncalli) e Giovanni PaoloII (Karol Woityla). Della mattina indimenticabile in piazza SanPietro vogliamo riproporre le parti fondamentalidella omelia del papa (concelebravaanche il papa emerito Benedetto XVI), chea partire dal Vangelo domenicale diGiovanni, quello dell’incredulità dell’apostoloTommaso e della sua voglia di credere solose vedeva le piaghe di Cristo, dei nuovisanti ha evidenziato i tratti salienti dellaspiritualità.

“San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II han-no avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù,di toccare le sue mani piagate e il suo costa-to trafitto. Non hanno avuto vergogna della car-ne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui,della sua croce; non hanno avuto vergogna del-la carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ognipersona sofferente vedevano Gesù. Sono sta-ti due uomini coraggiosi, pieni della parresia del-lo Spirito Santo, e hanno dato testimonianzaalla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, del-la sua misericordia.Sono stati sacerdoti e vescovi e papi del XXsecolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, manon ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro,era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentoredell’uomo e Signore della storia; più forte in loroera la misericordia di Dio che si manifesta inqueste cinque piaghe; più forte era la vicinan-za materna di Maria.In questi due uomini contemplativi delle piaghedi Cristo e testimoni della sua misericordia dimo-rava «una speranza viva», insieme con una «gioiaindicibile e gloriosa» (1 Pt 1,3.8). La speranzae la gioia che Cristo risorto dà ai suoi disce-poli, e delle quali nulla e nessuno può privar-li. La speranza e la gioia pasquali, passate attra-verso il crogiolo della spogliazione, dello svuo-tamento, della vicinanza ai peccatori fino all’e-stremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel

calice. Queste sono la speranza e la gioia chei due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signorerisorto e a loro volta hanno donato in abbon-danza al Popolo di Dio, ricevendone eterna rico-noscenza”.“Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - ha aggiun-to Francesco - hanno collaborato con loSpirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesasecondo la sua fisionomia originaria, la fisio-nomia che le hanno dato i santi nel corso deisecoli. Non dimentichiamo che sono proprio isanti che mandano avanti e fanno crescere laChiesa. Nella convocazione del Concilio sanGiovanni XXIII ha dimostrato una delicata doci-lità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre edè stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata, guidata dallo Spirito. Questo è statoil suo grande servizio alla Chiesa; per questoa me piace pensarlo come il Papa della doci-lità allo Spirito Santo.In questo servizio al Popolo di Dio, san GiovanniPaolo II è stato il Papa della famiglia. Così luistesso, una volta, disse che avrebbe voluto esse-re ricordato, come il Papa della famiglia. Mi pia-ce sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cam-mino sinodale sulla famiglia e con le famiglie,un cammino che sicuramente dal Cielo lui accom-pagna e sostiene.Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolodi Dio intercedano per la Chiesa affinché, duran-te questi due anni di cammino sinodale, sia doci-le allo Spirito Santo nel servizio pastorale allafamiglia. Che entrambi ci insegnino a non scan-dalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarcinel mistero della misericordia divina che sem-pre spera, sempre perdona, perché sempre ama”.

Ulteriori aspetti della personalità dei nuovisanti papa Francesco li ha evidenziati neimessaggi inviati qualche giorno prima ai ber-gamaschi e ai polacchi in vista delle cano-nizzazioni. Del papa bergamasco ha scrit-to tra l’altro:

“Vi invito a ringraziare il Signore per il grandedono che la sua santità è stata per la Chiesauniversale, e vi incoraggio a custodire la memo-ria del terreno nel quale essa è germinata: unterreno fatto di profonda fede vissuta nel quo-tidiano, di famiglie povere ma unite dall’amo-re del Signore, di comunità capaci di condivi-sione nella semplicità.Certo, da allora il mondo è cambiato, e nuovesono anche le sfide per la missione della comu-

nità cristiana. Tuttavia, quell’eredità può ispi-rare ancora oggi una Chiesa chiamata a vive-re la dolce e confortante gioia di evangelizza-re, ad essere compagna del cammino di ogniuomo, “fontana del villaggio” alla quale tutti pos-sono attingere l’acqua fresca del Vangelo. Il rin-novamento voluto dal Concilio Ecumenico Vaticano IIha aperto la strada, ed è una gioia speciale chela canonizzazione di Papa Roncalli avvenga assie-me a quella del beato Giovanni Paolo II, chetale rinnovamento ha portato avanti nel suo lun-go pontificato.Sono certo che anche la società civile potrà sem-pre trovare ispirazione dalla vita del Papa ber-gamasco e dall’ambiente che lo ha generato,ricercando modalità nuove ed adatte ai tempiper edificare una convivenza basata sui valo-ri perenni della fraternità e della solidarietà”.

Per parlare del papa polacco invece il papaargentino utilizzato le parole del papa eme-rito tedesco:

“Papa Benedetto XVI ha notato giustamente,tre anni fa, nel giorno della beatificazione delsuo Predecessore (1 maggio 2011, n.d.R.), chequello che Giovanni Paolo II chiedeva a tutti,cioè di non avere paura e di spalancare le por-te a Cristo, egli stesso lo ha fatto per primo:‘Ha aperto a Cristo la società, la cultura, i siste-mi politici ed economici, invertendo con la for-za di un gigante- forza che gli veniva da Dio -una tendenza che poteva sembrare irreversi-bile. Con la sua testimonianza di fede, di amo-re e di coraggio apostolico, accompagnata dauna grande carica umana, questo esemplarefiglio della Nazione polacca ha aiutato i cristianidi tutto il mondo a non avere paura di dirsi cri-stiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare delVangelo. In una parola: ci ha aiutato a non ave-re paura della verità, perché la verità è garan-zia della libertà’. Mi identifico pienamente conqueste parole del Papa Benedetto XVI. Sappiamo tutti che, prima di percorrere le stra-de del mondo, Karol Wojtyła è cresciuto al ser-vizio di Cristo e della Chiesa nella sua patria,la Polonia. Lì si è formato il suo cuore, cuoreche poi si è dilatato alla dimensione universa-le, prima partecipando al Concilio EcumenicoVaticano II, e soprattutto dopo il 16 ottobre del1978, perché in esso trovassero posto tutte lenazioni, le lingue e le culture. Giovanni PaoloII si è fatto tutto a tutti”.

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55GiugnoGiugno20142014

a cura di Stanislao Fioramonti

Cari fratelli e sorelle, buona e santa Pasqua!

QQuesto è il culmine del Vangelo, è la BuonaNotizia per eccellenza: Gesù, il crocifisso,è risorto! Questo avvenimento è alla base

della nostra fede e della nostra speranza: se Cristonon fosse risorto, il Cristianesimo perderebbeil suo valore; tutta la missione della Chiesa esau-rirebbe la sua spinta, perché è da lì che è par-tita e che sempre riparte. Il messaggio che i cristiani portano al mondo èquesto: Gesù, l’Amore incarnato, è morto sul-la croce per i nostri peccati, ma Dio Padre loha risuscitato e lo ha fatto Signore della vita edella morte. In Gesù, l’Amore ha vinto sull’odio,la misericordia sul peccato, il bene sul male, laverità sulla menzogna, la vita sulla morte. In ogni situazione umana, segnata dalla fragi-lità, dal peccato e dalla morte, la BuonaNotizia non è soltanto una parola, ma è una testi-monianza di amore gratuito e fedele: è uscireda sé per andare incontro all’altro, è stare vici-

no a chi è ferito dalla vita, è condividere con chimanca del necessario, è rimanere accanto a chiè malato o vecchio o escluso. L’Amore è più forte, l’Amore dona vita, l’Amorefa fiorire la speranza nel deserto. Con questagioiosa certezza nel cuore, noi oggi ci rivolgia-mo a te, Signore Risorto!Aiutaci a cercarti affinché tutti possiamo incon-trarti, sapere che abbiamo un Padre e non cisentiamo orfani; che possiamo amarti e adorarti.Aiutaci a sconfiggere la piaga della fame, aggra-vata dai conflitti e dagli immensi sprechi di cuispesso siamo complici. Rendici capaci di pro-teggere gli indifesi, soprattutto i bambini, le don-ne e gli anziani, a volte fatti oggetto di sfrutta-mento e di abbandono. Fa’ che possiamo cura-re i fratelli colpiti dall’epidemia di ebola in GuineaConakry, Sierra Leone e Liberia, e quelli affet-ti da tante altre malattie, che si diffondono ancheper l’incuria e la povertà estrema. Consola quanti oggi non possono celebrare laPasqua con i propri cari perché strappati ingiu-stamente ai loro affetti, come le numerose per-sone, sacerdoti e laici, che in diverse parti delmondo sono state sequestrate. Conforta colo-ro che hanno lasciato le proprie terre per migra-

re in luoghi dovepoter sperare inun futuro migliore,vivere la propria vitacon dignità e pro-fessare liberamentela propria fede.Gesù glorioso, fa’cessare ogni guer-ra, ogni ostilitàgrande o piccola,antica o recente!Ti supplichiamo, inparticolare, per laSiria, l’amata Siria,perché quanti sof-frono le conse-guenze del conflit-to possano riceve-re i necessari aiu-ti umanitari e le par-ti in causa non usi-no più la forza perseminare morte,soprattutto contro la

popolazione inerme, ma abbiano l’audacia di nego-ziare la pace, ormai da troppo tempo attesa! Gesù glorioso, ti domandiamo di confortare levittime delle violenze fratricide in Iraq e di soste-nere le speranze suscitate dalla ripresa dei nego-ziati tra Israeliani e Palestinesi. Ti imploriamo che venga posta fine agli scon-tri nella Repubblica Centroafricana e che sifermino gli efferati attentati terroristici in alcunezone della Nigeria e le violenze in Sud Sudan.Ti chiediamo che gli animi si volgano alla ricon-ciliazione e alla concordia fraterna in Venezuela.Ti preghiamo di illuminare e ispirare iniziative

di pacificazione in Ucraina, perché tutte le par-ti interessate, sostenute dalla Comunità inter-nazionale, intraprendano ogni sforzo perimpedire la violenza e costruire, in uno spiritodi unità e di dialogo, il futuro del Paese. Per tutti i popoli della Terra ti preghiamo, Signore:tu che hai vinto la morte, donaci la tua vita, dona-ci la tua pace!Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!

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66 GiugnoGiugno20142014

Pier Giorgio Liverani

LL’abbreviazione a soli sei mesi della dura-ta delle pratiche da svolgere per otte-nere un divorzio, è stata decisa dal

Parlamento alla metà di maggio, vale a dire incoincidenza quasi perfetta con il triste anniversariodel fallito referendum per l’abolizione del divor-zio (12 e 13 maggio 1974). Quarant’anni dopo tutto quello che era stato pre-visto e si voleva evitare con il referendum, si èinvece e purtroppo realizzato. Anzi: una sedi-cente scienza ginecologica che non rispetta ladignità della persona ha saputo andare al di làanche dell’immaginazione. Ha inventato tecni-che sempre nuove per fabbricare bambini persoddisfare i desideri (umanamente comprensibili,ma eticamente inaccettabili) di tanti mancati geni-tori. Ormai su ogni principio di etica e di rispet-to della persona prevale il cosiddetto “diritto” (civi-le) al figlio, diritto che riduce di fatto, quest’ul-timo, a un oggetto da possedere. I quarant’anni che ci separano da quel tentati-vo di evitare tante ferite alla famiglia sono quel-li in cui la società italiana si è maggiormente tra-sformata sotto la bandiera di una triste “moder-nizzazione” della società. Non soltanto i progressistihanno dimenticato che quello che una donnasocialista, la senatrice Lina Merlin, colei che piùdi ogni altra si batté per la dignità della donna,aveva osservato: che il divorzio altro non è senon «il frutto della più decadente mentalità bor-ghese». Oggi un quotidiano ha avuto il corag-gio, per l’occasione, di scrivere che «la digni-tà della persona umana e il rispetto dei dirittiindividuali sono la bussola del mondo nuovo».È vero, invece, quello che ha scritto un altro,cioè che «la nostra società ha metabolizzato ilprincipio della separazione coniugale»: tutto diven-ta naturale, tutto si fa con disinvoltura, non cisono più scrupoli. Un altro giornale ancora, però, ha costatato che

«il matrimonio con la M maiuscola sembra nonesistere più. Ora l’individualismo è più centra-le della famiglia». È vero, chi aveva puntato sul-la demolizione dell’istituzione che più di ogni altragarantiva la solidità della nostra società - la fami-glia - può oggi dirsi soddisfatto: siamo su quel-la strada. Quarant’anni fa aveva ragione chi pre-vedeva che, oltre lo sfascio di tante famiglie conconseguenze gravissime per i figli, al divorziosarebbe seguito l’aborto, e poi l’eutanasia (quel-la che oggi si chiama “fine vita” o “diritto di mori-re”, idea che, se non fosse tragica, sarebbe qua-si ridicola). Non erano ancora previste, allora, la feconda-zione artificiale umana con tutte le sue varian-ti (commercio di gameti, uso di quelli eterolo-ghi, uteri in affitto eccetera) né l’istituzione del-le coppie di fatto e tanto meno la valorizzazio-ne dell’omosessualità con la previsione del matri-monio e dell’adozione omosessuali.Nonostante ciò sarebbe un errore lasciarsi tra-scinare dal pessimismo. La famiglia è ferita, siè detto, ma non è stata ancora demolita: nel-la crisi morale dilagante essa resiste e, in uncerto senso, il suo contrasto con tutti gli aspet-ti della crisi morale di una gran parte del popo-lo italiano, ne dimostra ancora più il valore peruna società che sembra in disfacimento.Eccone le ferite: oggi un matrimonio su tre siscioglie mentre la durata media delle nozze (com-prese, però, quelle durevoli) è di 15 anni.Frequentissimi sono i matrimoni che durano solotre o quattro anni, un’avventura. E la tendenza è verso una durata sempre piùbreve: secondo l’Istat, di 1000 matrimoni cele-brati nel 1975 ne sopravvivevano, dieci anni dopo,954; nel 2010 di 1000 celebrati nel 2000 solo876 erano ancora in piedi. Nel 1991 i divorziati e separati erano già un milio-ne, nel 2001 salirono a 3 milioni e 200mila, trail 2001 e il 2011 questo numero aumentò di unaltro milione e 400mila. L’ultimo dato noto è l’e-sistenza, oggi, di 2milioni e 400mila famiglie mono-

genitoriali. Contemporaneamente sono anda-te crescendo senza misura le coppie di fatto,il cui numero, comprensibilmente, è quasi impos-sibile registrare, e sono fortemente diminuiti siai matrimoni sia le nascite.Quest’ultimo fenomeno provocato sia dalnumero assai alto di aborti, sia da una diffusatendenza all’instabilità familiare e, quindi, a nonavere figli o a ritardarne la nascita o a limitar-ne il numero a uno o due, anche se ciò si scon-tra, logicamente, con la forte domanda di pro-creazioni medicalmente assistite (PMA). Questi sono i dati diffusi dall’Istat, ma nessu-na statistica potrà misurare le conseguenze psi-chiche e morali dei divorzi come degli aborti sul-le singole persone e, soprattutto sui figli, infi-ne delle nascite da fecondazioni artificiali, soprat-tutto se si tiene conto che, per ciascun bambi-no concepito in provetta o in utero affittato, unadecina, in media, di suoi fratellini in embrionemuoiono per varie cause. Un autorevole quotidiano milanese ha sostenutoarditamente, in questi giorni, che questi mortie questi sfasci familiari, questi traffici di game-ti estranei alla coppia e queste invasioni (bar-bariche, anche se tecnicamente perfette) di per-sone estranee e di gameti eterologhi nei rap-porti più intimi e delicati di due sposi furono solo«il test rivelatore e non il motivo scatenante delprocesso di secolarizzazione della società giàin atto anche in Italia». Un giudizio, questo, certamente discutibile e cheandrebbe a sua volta analizzato.Di fatto, un personaggio come Pier Paolo Pasolinianch’egli discutibile (morì malamente poco piùdi un anno dopo), ma assai lucido nei suoi giu-dizi, osservò, a referendum concluso, che la pre-valenza dei “no” rispecchiava sì la vittoria «dell’Italiapiù avanzata», ma allo stesso tempo anche dell’«ideo-logia edonistica del consumo e della conseguentetolleranza modernistica di tipo americano». Cominciòcon quel voto, in sostanza, la secolarizzazio-ne della società italiana. E va esattamente in questa direzione perico-losa anche l’odierna decisione politica di faci-litare ulteriormente il divorzio, accorciandone itempi. Mai, però, tutto è perduto. Anzi, la crisisuggerisce il modo di vincerla. La Chiesa o, meglio, i cristiani devono sapercogliere l’occasione di una chiara e profetica distin-zione tra matrimonio sacramento e matrimoniocivile. Cioè - dice il sociologo Mauro Magatti,dell’Università Cattolica di Milano - «bisognaaccettare la sfida sulla consapevolezza del signi-ficato della famiglia e di un matrimonio stabilecome il sacramento proclama». In altre parole: si apre oggi e forse era già aper-to da quarant’anni, «un grande spazio per qua-lificare il matrimonio sacramentale rispetto allasua limitata dimensione civile». È un ampio spazio di testimonianza: l’occasio-ne di «recuperare la vera dimensione sacramentale(ma anche laica) del matrimonio, che non è sol-tanto un contratto civile a disposizione dei cit-tadini». Infatti il sacramento è assai più di unatto pubblico: viene da Dio, non dal Sindaco.

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“Caro don Angelo, a 85 anni compiuti (il28 aprile scorso) si comincia a sentire il pesodi tanti impegni e il bisogno e, forse, ancheil diritto di tirare qualche remo in barca.(…)Con grande dispiacere debbo dirle che, dopomolta riflessione e molti dubbi, ho decisodi interrompere la lunga serie di articoli men-sili per Ecclesia, una rivista alla quale miero davvero affezionato… anche se ciò non signi-fica la fine della mia collaborazione.”

AAbbiamo voluto riportare parte della let-tera con cui il dott. Liverani ci ha comu-

nicato l’im-possibilitàdi poter esse-re presentesul nostromensile. Attraversoquesto pic-

colo spazio vogliamo, come comunitàecclesiale e civile, ringraziarlo per il ser-vizio che ci ha reso in questi anni attraversoi suoi articoli sempre attenti al tema dellaVita e dell’Educazione. Temi sui quali si sono

combattute battaglie importanti e per le qua-li abbiamo sempre potuto contare sulla suavoce puntuale, professionale e formata masoprattutto sapiente e sensibile che ci harivelato una coscienza retta e amante del-la Vita dal suo concepimento.Nel ribadire la nostra stima e gratitudinele assicuriamo la nostra vicinanza nella pre-ghiera perché il Signore possa continuarea sostenerla nel suo prezioso servizio e neisuoi affetti familiari.

Don Angelo Mancini, direttore

Rigel Langella*

“Una generazione narra all’altra le tue opere, annunziale tue meraviglie”: così proclama il salmista (sal 145,4), maa quanto pare dalle parti nostre le cose non stanno propriocosì. Come possiamo affermarlo? A dirlo è lo storico AlbertoMelloni, il più grande specialista della materia, dimostran-dolo nelle 500 pagine del Rapporto sull’analfabetismo reli-gioso in Italia, curato per Il Mulino, con la collaborazione dialtri autorevoli studiosi. Come in tutti i dati sociologici c’è una notizia buona e unacattiva. Cominciamo da quella buona: l’analfabetismo di base,quello del leggere e scrivere, è stato praticamente debella-to, tra gli italiani. Ma quella cattiva è molto sconfortante: senon siamo analfabeti generici, lo siamo in modo «speciale», in tre macroa-ree: religione, musica e arte.Che questo avvenga in Italia, dove conserviamo (si fa per dire) il 60%dei beni artistici del mondo; da dove abbiamo esportato l’Opera, il melo-dramma e il bel canto nel mondo, dove ha sede il successore di Pietroè massimamente sconfortante, ma ben noto a qualsiasi operatore cul-turale. Melloni, allora, prende in considerazione il grande buco nero del-l’ignoranza religiosa mettendoci davanti al freddo e triste dato statisti-co. Tra i relatori, in occasione della presentazione al Senato, lo scorsomaggio, anche mons. Nunzio Galantino, segretario generale CEI che hafatto riferimento a una fede light, da superare, per fornire contenuti difede da adulti: «Il preoccupante tasso di analfabetismo religioso regi-strato dal Rapporto - spiega Galantino - penso che, almeno in parte, siaanche il frutto, amaro ma evidente, di un sentimento religioso che pog-gia su tracce cristiane infantilistiche, anche nel linguaggio e nelle imma-gini, che rivelano tutta la loro inadeguatezza e tutta la loro marginalitàrispetto a ciò che conta nel “mondo adulto”, che domanda sempre di piùal credente di “saper dare ragione della speranza” che lo anima e che

innerva le sue progettualità» (www.chiesacattolica.it).Paolo Naso, docente all’Università La Sapienza di Roma, ha redatto peril volume tre contributi significativi: di particolare interesse il saggio cheillustra i dati di una ricerca commissionata a GFK Eurisko dalla Tavolavaldese, su un campione rappresentativo dell’intera popolazione italia-na, alla quale i media hanno dato molto risalto, proprio per il quadro deso-lante che ne emerge. Ecco gli esempi forniti: «Chi ha scritto la Bibbia?Per il 50% degli italiani Gesù e Mosè; più del 50% non sa chi abbia det-tato i dieci comandamenti e comunque il 60% non sa citarne più di uno,generalmente “non rubare”; tra i più negletti, il primo, l’architrave del mono-teismo ebraico e cristiano. Buio profondo anche sui fondamentali del cate-chismo cattolico: l’80% ignora quali siano le virtù teologali».L’analisi è impietosa e non si può minimizzare mettendo questi dati inrelazione al generale decadimento della cultura, cui i nostri governanti,ormai da un ventennio, destinano appena la metà della media di tutti ipaesi europei, anche di quelli in crisi, come la Spagna.Il dato viene analizzato anche per i costi sociali di questa ignoranza, par-ticolarmente preoccupante in un paese che è ormai multireligioso e mul-

Caro dottor Liverani,

mons. Mancini mi ha portato a conoscenza della lette-ra con cui ella ci fa partecipi della sua decisione di interrompe-re la collaborazione stabile con il nostro mensile diocesano.Comprendo benissimo e condivido le sue motivazioni, mentresento il dovere di ringraziarla per il prezioso contributo, pre-stato fedelmente e disinteressatamente durante tutti questi anni.

La sua firma, di giornalistaprofessionalmente affermato e cristianamente impegnato nella difesadei valori umani e civili, è stata per

noi titolo di vanto e punto di riferimento per tanti lettori.Le siamo ulteriormente grati per la sua disponibilità ad

offrirci ulteriori contributi saltuari ed occasionali e continuere-mo a seguirla sulle pagine di Avvenire.

Le auguriamo, comunque, anni ancora numerosi efecondi, anche perché le pagine che ella scrive non dimostranol’età del loro autore.

Il Signore benedica lei, la sua amata consorte e tutta lasua famiglia, che hanno tutto il diritto di godere più distesa-mente del suo affetto e delle sue attenzioni.

Con grande riconoscenza e stima, mi confermo

Suo devotissimoVincenzo Apicella, vescovo

Diocesi di Velletri-Segni

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tietnico, che ci piaccia o meno: 355 parrocchie cristiano ortodosse perun milione e 500 mila immigrati dai paesi dell’Est; 655 luoghi di cultoislamici per un milione 650 immigrati musulmani; 658 chiese neo-pen-tecostali africane; senza dimenticare gli 80mila sikh, con 36 templi (Gurudwara)di cui uno presente anche nella nostra diocesi. Il quotidiano Avvenire a proposito del fattore «R» (che sta per «religio-so»), va giù altrettanto pesante: nella Penisola è sempre più un grandesconosciuto, tanto che meno di un italiano su tre riesce a citare corret-tamente tutti e quattro gli evangelisti (ignorati dal 53% dei laureati!) e incampo biblico regna la massima confusione. Non c’è da meravigliarsi,perché appena il 29% ammette di leggere la Bibbia. L’Italia, dunque, fai conti con l’ignoranza del sacro: sia quello d’impronta ebraico-cristianada cui traggono linfa le nostre radici, sia quello connesso ai flussi migra-tori che hanno trasformato il paesaggio delle fedi nel Paese. Della scarsa trasmissione del sapere religioso, da una generazione all’al-tra, si era parlato anche all’ultimo, recente corso di aggiornamento persoci ATI (Associazione Teologica Italiana), aperto a Roma da Chiara Saraceno,senza far carico di tutto questo all’istituzione più traballante della nostrasocietà, la famiglia, che anche se zoppicante, formata da divorziati o sepa-rati, non deve essere esclusa dal percorso di trasmissione della fede,per evitare la paventatacesura generazionale,ormai in atto. Gli italiani aspettanorisposte alla loro esigen-za di formazione dalla scuo-la, dall’università, daimedia e non solo dalle par-rocchie o dalle comunitàreligiose di appartenen-za. Le risposte però sonoconsiderate insoddisfacentio nulle. In sostanza, secondoMelloni e i curatori delRapporto, il nostro esse-re cattolici è stato ecces-sivamente ideologizza-to, facendoci (erronea-mente) ritenere di possedere un substrato religioso certo che, dunque,non avesse bisogno di verifiche, approfondimenti, conoscenza. Il primoimputato è stato identificato nell’aver bandito la teologia dalle universi-tà di Stato, un ulteriore tassello a questo disegno inspiegabile che haaccomunato integralisti e anticlericali, con la pretesa di relegare l’inse-gnamento religioso nei Seminari e magari in un’unica ora a scuola: «cosìè affiorata una buona dose di ignoranza che accomuna credenti e noncredenti, praticanti e non praticanti». Mentre ciò non è accaduto in Germania, Stati Uniti o Svizzera, con cen-tri attivissimi di formazione, dialogo interreligioso, divulgazione ad altolivello di temi teologici. Vorrei aggiungere, per mia esperienza, la chiu-sura degli ISR che, dopo il Concilio, avevano rappresentato l’aperturadi una finestra di conoscenza teologica formativa per il laicato, con unpercorso strutturato. Questo specialmente negli ultimi anni quando, esaurite le possibilità diottenere un titolo per l’IRC, vedevo arrivare trafelati, negli orari serali piùfaticosi e improbabili, a seguire le mie lezioni di cristologia, viceprefet-ti, primari ospedalieri, docenti universitari, imprenditori, ingegneri e tan-te altre persone ammirevoli, uomini e donne di buona volontà, che chie-devano di approfondire le ragioni del proprio credere e la loro fede (cre-do ut intelligam, intelligo ut credam, secondo Agostino d’Ippona). Tutti loro, superimpegnati o alla ricerca di lavoro che fossero, giovani oanziani, uomini o donne, magnifico spaccato dell’essere Popolo di Dio,con la loro testimonianza vissuta e la loro esperienza di vita mi mette-vano continuamente alla prova, come avviene normalmente nella socie-tà civile e come in parrocchia non usa fare. Tutto finito, ora, e la teologia è tornata nei seminari e nelle segrete stan-

ze dei nostri piccoli cenacoli religiosi, dove, come diceva Carlo MariaMartini bisognerebbe “aprire le finestre e ricambiare l’aria”.La formazione religiosa, come emerge dal Rapporto, non serve soltan-to a interpretare il passato, ma è essenziale anche per essere personecon una coscienza matura e una sensibilità raffinata. Come diceva il teo-logo Karl Barth: in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale, per capireil mondo. Il Rapporto mi ha fatto tornare alla mente l’inizio e la fine delmio percorso di formazione teologica. La spinta a iniziare, oltre al carisma specifico di mons. Giuseppe Centraper i laici e la cultura mi venne entrando in Santa Maria Novella in Firenze.Guardando ammirata gli affreschi del Ghirlandaio ne capivo lo stile, laprospettiva, la tecnica, ma nulla di quanto era raffigurato. Non ero in gra-do di distinguere se un signore in barca con la barba era Noè sulle acquedel diluvio o Pietro a Tiberiade. Mentre stanca, mi sedetti scoraggiata e smisi di guardare, con un occhiogli affreschi e con l’altro la guida del TCI, mi scattò una molla. Una vocedentro di me mi disse: ma come mai con tanta cultura, tanti titoli, tantepubblicazioni resti instupidita davanti a quella che è una Biblia paupe-rum, ossia affreschi che, come fumetti, raffigurano la Storia sacra del-l’antico e nuovo Testamento, per chi era proprio analfabeta?

Una volta alzata da quel ban-co la decisione era presa:non potevo restare tanto igno-rante! Così arrivai al dottoratodi teologia perché amavo l’ar-te più di tutto…In negativo la riprova del-l’analfabetismo religioso aimassimi livelli, l’ho avuta aPerugia, davanti a un affre-sco del Pinturicchio, restau-rato impeccabilmente, raf-figurante la nascita di Gesù,con l’iconografia classica diMaria sdraiata a letto e lalevatrice con la bacinella, pron-ta a lavare il bebè. La spiegazione, redattadalla Sovrintendenza, face-va riferimento, udite udite,

a: presenza di misteriosa figura di offerente…Il Rapporto, dunque, ha parlato proprio del fatto che il mondo accade-mico non riesce a cogliere la valenza culturale dell’elemento religioso,con conseguente incapacità di decifrare il Tesoro Italia: «Senza le coordinate che permettono di avere un’idea su che cosa accad-de col passaggio del Mar Rosso o che cosa sia l’Ultima Cena non pos-siamo comprendere parte delle opere letterarie, artistiche o musicali con-cepite qui», ha affermato Naso, in un’intervista a www.evangelici.net.Per contrastare l’analfabetismo religioso occorreranno - ha ribadito Melloni- intellettuali con una significativa competenza teologica che contribui-scano ad affrontare i problemi legati al dialogo interculturale e all’inte-grazione sociale.I tassi di analfabetismo funzionale in Italia sono molto alti e i suoi effet-ti determinano un innalzamento del disagio e della conflittualità socia-le. Se è vero che la Chiesa non pratica più il principio del “sapere è pote-re”, allora, la via per fugare l’ignoranza è solo una, quella del secondoelemento, praticata e insegnata dai Gesuiti, che mi hanno formata, aiquali si ispira evidentemente anche Melloni: se è buio accendi la luce!Oppure: chiama chi sa fare l’elettricista, perché di giacimenti culturali inu-tilizzati, anche la Chiesa non difetta…

*Associazione Teologica Italiana

A. MELLONI (a cura di), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Il Mulino, Bologna 2014, pp. 528, € 38,00.

segue da pag. 7

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Sara Gilotta

1914: Esattamente un secolo fa moriva Papa Pio X ,canonizzato nel 1954da Pio XII. Dunque il cosiddetto secolo breve tanto drammatico dal puntodi vista storico ha avuto in dono dallo Spirito Santo ben tre pontefici ele-vati agli onori degli altari, di cui il più noto è senza dubbio Papa Woytila.Il primo fu, appunto, Pio X di cui è interessante ricordare qualcosa delletante ed importanti che caratterizzarono il suo pontificato. Egli salì al tro-no pontificio nel 1903 e fu eletto, per così dire, a sorpresa perché il con-clave decise di seguire la volontà dell’imperatore d’ Austria che non con-divideva l’elezione del segretario di stato Rampolla, secondo lui, troppo favo-revole alla Francia. Ma, fatto riferimento a tale questione storico- politica,si deve dire che il Papa che veniva da un’esperienza quasi esclusivamentepastorale,dopo aver affidato la direzione della diplomazia della Curia Romanaal cardinale Merry Del Val nominato segretario di stato, si occupò essen-zialmente dell’indirizzo teologico da dare alla Chiesa, guidato dal suo amo-re per la semplicità e l’umiltà, tanto che scelse come l’attuale pontefice dinon vivere in Vaticano, ma in una dimora molto più modesta. Per alcune delle sue scelte è ricordato come un tradizionalista,come si con-siderò in particolare evidente nell’enciclica Pascendi Domenici gregis e ilDecreto Lamentabilis Sane Exitu. L’enciclica non è facilmente sintetizzabile, ma certamente il documento pon-tificio voleva riaffermare, come dice chiaramente il titolo, il compito del Ponteficedi pascere il gregge di Cristo anche per difenderlo dalle false novità chemiravano a “scrollare la Chiesa dai fondamenti”. Il papa si riferiva appun-to alle cosiddette teorie moderniste e ai loro fautori che giudicava “fra i nemi-ci più dannosi” della chiesa stessa. Perché egli era convinto che le ideemoderniste compendiassero in sé varie e pericolose dottrine, tra le qualila più dannosa si doveva considerare quella dell’agnosticismo, che pretendevadi restringere la ragione esclusivamente nel campo dei fenomeni, cioè soloa quel che “apparisce” e non oltre. E’ chiaro che la fede e la capacità del-l’uomo di innalzarsi a Dio erano esclusi e preclusi alla ragione così inter-pretata, mentre, secondo il papa, esse potevano essere attinte dalla ragio-ne naturale, oltre che dalla divina rivelazione. L’agnosticismo, perciò, fu considerato vera propria ignoranza che sape-va solo ingannare, anche riducendo “la persona di Gesù”a semplice real-tà umana, svilendo in tal modo il sentimento religioso e quasi sovverten-do l’ ordine soprannaturale. Dunque la preoccupazione del pontefice si basòsulla convinzione che le ragioni del modernismo potessero influire al nega-

tivo sulle ragioni stesse dei dogmi più impor-tanti delle religioni e di quella cattolica innan-zitutto, per affermare in modo forte e chia-ro che la “scienza è tutta nella realtà deifenomeni e, mentre la fede dovrebbe, secon-do i modernisti, armonizzarsi con la scien-za, quest’ ultima rimaneva del tutto indi-pendente dalla fede. E forse i timori del Santo Pontefice non era-no del tutto infondati, almeno a guardarea quanto è accaduto successivamente edancora sta accadendo con la “sovranità”della scienza e della tecnologia. Naturalmente l’enciclica è assai più com-plessa nel contenuto e nei concetti da ciòche molto brevemente ho detto, ma cheben descrive le convinzioni e le preoccu-pazioni di un papa che anche cronologi-camente si colloca alla fine di un ‘epocastorica , che gli anni e gli avvenimenti suc-cessivi muteranno fin nel profondo. A cominciare dalla realtà e dagli effetti del-la prima guerra mondiale, che era paven-

tata dal Santo papa già da qualche tempo e che da lui fu definita “guerro-ne”. Ma di Papa Sarto forse si ricorda più facilmente nell’ambito del suoindirizzo teologico, la redazione del nuovo catechismo fatto di semplici doman-de ed altrettanto semplici e brevi risposte sul quale molte generazioni dibambini hanno studiato per prepararsi alla prima comunione. 1958 sale al trono di Pietro Angelo Roncalli, il Patriarca di Venezia, comeGiuseppe Sarto: E’ molto anziano, ma il conclave , si diceva allora, lo scel-se perché la curia non desiderava alcun tipo di cambiamento. Ed inveceGiovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II, che per le sue innovazioniforse ancor oggi non è stato completamente adempiuto. Ma credo che, per cercare di ricordare il magistero del nuovo santo sia inte-ressante ricordare la più nota delle sue enciclica la “Pacem in terris “pro-mulgata l’undici aprile del 1963, solo un anno prima che il pontefice moris-se dopo circa cinque anni di regno. Cinque anni difficili per il mondo, cuiEgli seppe far sentire sempre il suo profondo senso di umanità e a cui nonmancò mai il conforto della sua parola semplice e spontanea:, come quel-le del famoso discorso della luna, in cui chiese a quelli che affollavanopiazza San Pietro di portare la carezza del papa ai bambini rimasti a casa. La luna e i bambini “un sigillo” colmo di tenerezza del suo pontificato peral-tro ricchissimo di iniziative che hanno riscritto la storia della chiesa. E se tra tutte la più importante fu il concilio, credo che, a dimostrare la gran-dezza e la lungimirante consapevolezza nel comprendere i tempi nuovi cheil mondo e la chiesa stavano vivendo ed affrontando , non si possa nonfare riferimento almeno, come dicevo, alla “Pacem in terris”. Perché questa enciclica, fu voluta dal Papa buono “al culmine della guer-ra fredda, quando il mondo stava ancora venendo a patti con la minacciacostituita dall’esistenza e dalla proliferazione di armi di distruzione di mas-sa “. Queste parole scritte da Benedetto XVI colgono certamente l’aspet-to più importante su cui si fondò il messaggio papale, ma è anche veroche nelle pagine dell’enciclica viene delineata una nuova visione del mon-do, un mondo in cui l’uomo deve essere al centro della realtà, così comedel lavoro, che deve rispettarne la dignità e favorirne l’ascesa sociale edeconomica nel rispetto dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla vita, all’in-tegrità fisica e alla libertà religiosa.Diritti, se si vuole, semplici che però il mondo attuale stenta a realizzareanche nel progredito occidente. Ma l’enciclica, e fu un’ altra grande novi-tà, si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà, perché solo tutti insiemesi può realizzare sulla terra il bene comune e la pace. Bene comune e paceche devono coniugarsi basando non solo i rapporti tra i singoli individui,ma viepiù quelli tra le comunità e le nazio-ni sulla verità, sulla giustizia e sulla solidarietà. E se si aggiunge che Giovanni XXIII affer-ma che, per partecipare alla vita politica,è necessario essere competenti, masoprattutto, è fondamentale svolgere le pro-prie attività “nell’ambito dell’ordine morale”,si comprende come dei concetti sempliciabbiano mostrato e stiano ancora mostran-do tutta la loro difficoltà di realizzazione, seè vero che il nostro tempo soffre come epiù gravemente di allora di mancanza di mora-le. E i risultati oltre che offendere la digni-tà dell’uomo, impediscono o per lo menorallentano il progresso e l’attuazione di unasocietà di uguali, in cui l’autorità non puòe non deve essere basata sull’oppressio-ne, sull’utilitarismo più bieco ed egoista. Dell’ultimo : Giovanni Paolo II sarebbe trop-po difficile dire in breve l’importanza del suopontificato e per questo eventualmente scri-verò la prossima volta.

continua

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p. Vincenzo Molinaro*

LLe sentenze della corte costituzionale,in particolare l’ultima, in materia di pro-creazione assistita, hanno messo in movi-

mento non solo le coppie alla ricerca di ottenereun figlio anche attraverso la inseminazione ete-rologa, ma potremmo dire un universo inquie-to che a partire dai centri di ricerca di sessuo-logia e affini spingono sempre più avanti gli obbiet-tivi dei loro studi. Dietro a questi segue, con l’aspettativa di appli-care alle proprie esigenze i risultati delle acqui-sizioni scientifiche, il numero notevole di personee famiglie che desiderano un figlio a qualunque

costo e con qualunque strumento.L’obbiettivo non dichiarato di questo processoè affrancare l’uomo da quelli che vengono pre-sentati come condizionamenti della natura, inparticolare la sessualità e il suo uso con le impli-canze evidenti di carattere fisiologico sulla gene-razione umana. Nei fatti si intende liberare non solo la donnama in generale l’essere umano dal dato inop-pugnabile della natura in cui l’uomo è creato “maschioe femmina” e come tale si intende staccare lanascita di un bambino dalla relazione di coppia. La coppia di genitori, padre e madre, verrebbesostituita da genitore uno e genitore due, sepa-rando i gesti dell’amore dall’esercizio della ses-sualità e ancor più dal concepimento di un figlio.

Questi andrà cercato altro-ve, in un laboratorio e rispon-derà ai gusti e alle preferenzedell’acquirente come quan-do uno va al supermercatoe sceglie la marca preferitadel tonno o della birra.Questa premessa riassu-me la mentalità correntepresso tutti quei luoghi col-legati dai media e dalle lob-bies che tentano in tutti i modidi fissare i canoni del politi-camente corretto e del social-mente accettato. A questi nuo-vi canini votati alla distruzionedell’umano, si oppone con lasua parola semplice ma for-te Papa Francesco.Il 14 febbraio ha detto ai fidan-zati quelle parole che si sonoscolpite nelle loro menti: “Ilmarito ha il compito di farepiù donna la moglie e la moglieha il compito di fare più uomoil marito. Crescere anche inumanità, come uomo e comedonna”.

Sembrano parola di circostanza finché non sisolleva il telo della semplicità a tutti i costi e nonsi ascoltano con il cuore aperto: Il Papa parladi fare più uomo, più donna, di crescere in uma-nità. La sua preoccupazione non è rivolta né alla pre-ghiera, né ai sacramenti, né alla carità: E’ rivol-ta invece alla umanità. Più donna, piùuomo…Come se dicesse che una misura ade-guata di umanità è indispensabile per fondarvisopra un sacramento. L’intervento di febbraio 2014 ha avuto già i suoiprecedenti, a cominciare dalla indizione dei Sinodidei vescovi che verranno celebrati in questo autun-no e in quello successivo con la tematica del-la famiglia in agenda. Allo scopo, ricorderete il questionario che ha fat-to il giro del mondo per coinvolgere tutte le per-sone di buona volontà a far arrivare alla Commissionepreparatoria del Sinodo il pensiero del Popolodi Dio, al quale Papa Francesco riconosce laprerogativa di sapere offrire al Sinodo stesso opi-nioni e suggerimenti. Questa riflessione del Papaelaborata nella Lumen Fidei…52, ispira il gran-de progetto che la Chiesa italiana si è prefissoin questi due anni anche come originale con-tributo alla preparazione al Sinodo. Così si è tenu-to a Nocera Umbra (23-26 aprile 2014) il primoConvegno di studi, con il titolo indicato e il sot-totitolo altrettanto significativo: Le radici spon-sali della persona umana. L’intento è di offri-re alla cultura contemporanea la ricchezza del-la differenza sessuale, la reciprocità tra maschi-le e femminile e i vari luoghi in cui tale bellez-za può emergere.Per tutti coloro che vorranno preparare adeguatamenteil futuro Sinodo sarà utile fornirsi degli Atti delConvegno, non appena saranno pubblicati. Inoltre,lo dico non solo per gli addetti ai lavori, ma pertutti coloro che seguono questa tematica dal pun-to di vista della fede, della cultura, della filoso-fia. Il convegno del prossimo anno sarà ugual-mente importante, da non perdere. Nel frattempo si possono trovare quasi tutte lerelazioni sul sito della chiesa cattolica, al ser-vizio della pastorale della famiglia.Tra tutte le relazioni voglio ricordarne almenodue perché particolarmente vicine alla nostrasensibilità di famiglie credenti che si interroga-no sul proprio futuro e su quello dei figli. E’ possibile approfondire gli aspetti biblici nel-la relazione di Mons. G. Benzi, dal titolo sug-gestivo: Ma io non sono solo (Gv 16,32): il van-gelo della relazione dalla creazione a Cristo.L’altro testo straordinario è quello intitolato: Uomo e donna: le radici sponsali della perso-na umana, presentato da Padre José Granados,vice presidente del Pontificio Istituto GiovanniPaolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia.Relazioni da leggere più volte e da meditare conla certezza che non sarà fatica vana. Esse apri-ranno la nostra curiosità intellettuale verso nuo-vi traguardi che costituiscono l’orizzonte sul qua-le la Chiesa ci invita a proiettarci.

*Delegato diocesano per la Pastorale famigliare

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don Andrea Pacchiarotti

RRileggere la Sacrosanctum Concilium (SC)nel cinquantesimo anniversario della suapromulgazione avvenuta il 4 dicembre 1963,

è stata un’impresa complessa, perché ripercor-rere tutto il documento conciliare non permette-va una rilettura globale, seria e approfondita. In quest’ultimo intervento mi limiterò a richiama-re tre passaggi della SC che a mio parere meri-tano di essere ripresi e meditati ancora: 1. La litur-gia come “culmen et fons” della vita della chiesa(SC 10) 2. La “nobile simplicitas” (SC 34). 3. La “actuosa participatio” (SC 14) espressione che,come visto, ritorna undici volte nella costituzioneliturgica. Al numero 10 di SC leggiamo: «La Liturgiaè il culmine verso cui tende l’azione della Chiesae, insieme, la fonte da cui promana tutta la suavirtù. Infatti, le fatiche apostoliche sono ordinatea che tutti, diventati figli di Dio mediante la fedee il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodinoDio nella Chiesa, partecipino al Sacrificio e man-gino la cena del Signore». L’interrogativo che ci siamo posti nella nostra rilet-tura, è se la liturgia è veramente il culmine e lafonte della vita della chiesa e dunque della vitaspirituale di ogni credente. La nostra preoccupazionenon deve soffermarsi solamente su come i cre-denti vivono la liturgia, quanto piuttosto se i cre-denti vivono della liturgia che celebrano. Come ricorda G. Boselli: “vivere della liturgia chesi celebra significa vivere di ciò che la liturgia favivere: il perdono invocato, la parola di Dio ascol-tata, l’azione di grazie innalzata, l’Eucaristia rice-vuta come comunione. Se vivono della liturgia, icredenti vivranno diversamente la liturgia perchéè essa stessa ad avere in sé quelle energie spi-rituali essenziali per essere sorgente della vita spi-rituale dei credenti. La liturgia, infatti, è il modospecifico attraverso il quale la chiesa vive di Cristoe per Cristo, e fa vivere i credenti di Cristo e perCristo. Le parole e i gesti liturgici sono inordine a questo: Per me vivere è Cristo(Fil 1,21)”. Occorre dunque predisporre tutto affinchéi ciascuno trovi nella liturgia il nutrimen-to della vita di fede, diversamente cele-breremo sempre la liturgia senza viveredi essa. Al numero 34 della SC si legge:«I riti splendano per nobile semplicità; sia-no chiari per brevità ed evitino inutili ripe-tizioni; siano adattati alla capacità di com-prensione dei fedeli e non abbiano biso-gno, generalmente, di molte spiegazioni».Questo testo invita tutti a vigilare affinchéla liturgia resti fedele allo spirito della rifor-ma liturgica del Vaticano II che ha cercatodi declinare la nobile simplictas nelle for-me e nello stile. Lo stile liturgico che manifesta fasto e osten-tazione e che ricerca queste come uni-che forme capaci di manifestare sacrali-tà e narrare lo splendore di Dio è un’illu-sione. Parlare, infatti, di una liturgia sem-plice non significa in nessun modo cede-re a una liturgia sciatta, trascurata e perquesto inespressiva. La bellezza semplicedella liturgia deve essere invece ricerca-

ta con impegno efatica, fino a rappre-sentare un punto di arri-vo desiderato. È molto più faciledeclinare la bellezzanello sfarzo, nellasontuosità, nel lusso che sono le forme monda-ne di bellezza. La bellezza della liturgia cristiananon è imitazione della bellezza mondana ma rifles-so della bellezza stessa di Dio, per questo pos-siamo domandarci ancora una volta le nostre litur-gie rappresentano il Vangelo che annunciano? InSC 14 leggiamo: «La Madre Chiesa desidera arden-temente che tutti i fedeli vengano guidati a quel-la piena consapevole e attiva partecipazione del-le celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natu-ra stessa della Liturgia e alla quale il popolo cri-stiano, stirpe eletta, sacerdozio regale, nazionesanta, popolo di acquisto (1Pt 2,9; cf. 2,4-5), hadiritto e dovere in forza del Battesimo». Il concettodi partecipazione attiva è un’acquisizione fonda-mentale e necessaria del Concilio. Sulla base di un’errata interpretazione della par-tecipazione attiva, si è forse troppo insistito sul-l’esteriorizzazione nella liturgia. Una esteriorizzazione che privilegia la necessitàdi esprimere le devozioni, i sentimenti, di mani-festare le emozioni nella ricerca di un clima perlo più di incontro e di festa. Oggi si avverte, o forse si riscopre, che la litur-gia prima di essere la somma delle emozioni diun gruppo umano è anzitutto «interiorizzazione»,ovvero accoglienza di una Parola che convoca l’as-semblea, la nutre al fine di permetterle di vivereciò che ha ricevuto. G. Boselli ripete spesso il biso-gno di trovare nella liturgia: un’atmosfera più oran-te e più meditativa. In altri termini, il desiderio diuna liturgia contemplativa che accordi il primatoall’interiorità e all’interiorizzazione, ovvero del-l’appropriazione personale da parte del cristiano

di ciò che si dice e sifa nell’azione liturgi-ca. Semplificandomolto, si potrebbedire una liturgia più spi-rituale e meno con-viviale. Più contem-

plativa e meno festante. Dove vi siano meno paro-le e più Parola. Meno segni improvvisati e più signi-ficati compiuti. Siamo qui per fare festa sembraessere – non sempre ma spesso la monizione conla quale introdurre la comunità alla celebrazione.L’autentica festa liturgica è anzitutto interiore, silen-ziosa, calma e sobria, perché è festa della fede.Parlare di festa interiore, di interiorizzazione e diinteriorità non significa in alcun modo auspicareun ritorno all’intimismo e tanto meno cedere al rifiu-to e al disprezzo della insostituibile manifestazionecorporale e sensibile che la liturgia necessaria-mente implica in quanto azione anche umana eanche destinata all’uomo.La chiesa ha sempre creduto che la liturgia è lasua azione più efficace, perché in essa Dio, perl’azione del suo Spirito, agisce in modo infinita-mente più reale e potente di quanto agisca in qua-lunque altra attività che la chiesa decide di intra-prendere. Questa consapevolezza il Concilio Vaticano II l’haespressa in SC 7 quando afferma: «Ogni cele-brazione liturgica … è actio sacra per eccellen-za, e nessun’altra azione della chiesa ne ugua-glia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso gra-do». Giungere a credere che la liturgia è l’azio-ne più efficace della chiesa richiede un serio cam-mino di conversione individuale e comunitaria, uma-na e pastorale al tempo stesso. La rilettura di SCsi pone nel solco di questo cammino di conver-sione e spero che tale riflessione diventino le capa-cità, le possibilità e gli strumenti per una parte-cipazione sempre più piena, attiva e consapevolealla liturgia che celebriamo.

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Claudio Capretti

“O Dio, tu sei il mioDio, dall’aurora io ticerco, ha sete di te

l’anima mia, desiderate la mia carne in terra arida, senz’acqua”.

ÈÈl’ora sesta, l’o-ra in cui la miagente rimane

chiusa nelle case perripararsi dal caldo. Per me, invece, è l’ora incui posso uscire per prendere l’acqua dal poz-zo. Se lo facessi in un ora diversa da questa,incontrerei persone e di sicuro attirerei commentie sguardi che mal sopporterei. Questa è la mia vita, non degna di essere rac-contata infatti, non godo del favore della miagente ed ho come la sensazione che il disprezzoche il mio popolo ha per me, è simile a quelloche i Giudei hanno per il mio popolo. Noi samaritani siamo considerati degli impuriin quanto discendenti dell’unione tra i coloni Assirie gli Israeliti. Siamo distanti anche per le que-stioni cultuali, come il tempio. Infatti, se i Giudeiadorano Dio nel tempio di Gerusalemme, noilo adoriamo nel tempio sul monte Garizim. Qualcosa ci unisce, come il rispetto per lo shab-bat e la convinzione che arriverà il Messia. Conil capo coperto, mi avvicino sempre di più al poz-zo di Giacobbe, e man mano che avanzo diven-ta sempre più chiara una figura di Uomo che,seduto sull’orlo del pozzo, sembra riposarsi oattendere qualcosa o forse qualcuno. Chi sei giudeo, perché in questa ora così inso-lita per tutti tranne che per me ti trovo qui? Ilpasso si arresta dinnanzi a questo Uomo, i nostrisguardi si incrociano per un solo istante, abbas-so la testa per poi iniziare ad attingere l’acqua.Sento i suoi occhi su di me e dal suo respiroavverto che è affaticato. “Dammi da bere”. La richiesta mi disorienta, come posso darti ciòche ancora non ho? E soprattutto: “Come maitu che sei giudeo, chiedi da bere a me che sonouna donna samaritana?”. Cosa penserebbero i tuoi se ti vedessero par-lare con una donna, che per giunta è una sama-ritana? Non verresti considerato un eretico? Non mi dai il tempo di aggiungere altro, e midici: “ Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è

colui che ti dice:”Dammi da bere”, tu avresti chie-sto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”, repli-cando così alla mia domanda, dandomi unarisposta non attinente a ciò che ti ho chiesto.Ed ho l’impressione che Tu vorresti condurmialtrove, darmi risposte diverse dalle miedomande. Ma non riesco ad andare oltre, e quin-di non ho altro da dirti che: “Signore non haiun secchio e il pozzo è profondo; da dove pren-di dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe,che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoifiglie il suo bestiame?” . Mi guardi con una fermezza e una delicatez-za mai incontrata in nessun uomo e mi rispon-di:“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuo-vo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò,non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua cheio gli darò diventerà in lui una sorgente d’ac-qua che zampilla per la vita eterna”. Chi sei Tu per promettermi qualcosa di mai udi-to finora?. Nessuno mi aveva accennato ad un’ac-qua viva di cui mi stai parlando. Ma allora…,se mi dici che c’è un acqua viva, deve esser-ci anche un acqua morta? Ed è forse a questa fonte che io ho condottofinora la mia anima? E’ per questo che la miavita è così arsa? E per quale motivo vuoi donar-mi quest’acqua viva e come posso diventareio stessa una sorgente d’acqua che zampillaper la vita eterna? Forse vuoi farmi volare suali d’aquila, ma la mia incapacità mi spinge soloa dirti: “Signore, dammi di quest’acqua, perchéio non abbia più sete e non continui a veniread attingere acqua”. La mia vita è limitata, vivo costretta ad inse-guire l’istante che passa e che in breve tem-po svanisce nel nulla. Abbasso gli occhi su diTe, come a voler rinunciare a Te, ma il mio sguar-

do è ora ricondottoa Te, quando mi dici:“Và a chiamare tuomarito e ritorna qua”. Perché mi chiediquesto, e perchélo fai con una deli-catezza che finoranessuno mi ha maiusata?. E’ la tua tenerezzache mi spinge amettermi nella veri-tà, a confidare in Tee dirti: “Io non ho mari-to”. Ho infatti vissutocercando di spe-

gnere una sete dissetandomi all’acqua dell’il-lusorio, ma Tu mi stai mettendo dinnanzi la miavita. Non riesco ancora a capire chi sei, e per-ché mai oggi sei qui ad aspettarmi? Fermi di nuovo i miei pensieri, e mi dici:“Hai det-to bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cin-que mariti e quello che hai ora non è tuo mari-to; in questo hai detto il vero”. E’ vero Signore, il sesto marito non è mio mari-to, ma solo il culmine di scelte sbagliate, chehanno privato il mio cuore dell’acqua viva, Tuoggi ti presenti a me nell’ora sesta anteponendotial mio sesto marito e a indicarmi dov’è la verasalvezza. Ma l’anima mia è ancora ribelle, vuo-le ancora sfuggirti. “Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostripadri hanno adorato su questo monte; voi inve-ce dite che è a Gerusalemme il luogo in cui biso-gna adorare”. Mi sento ancora indegna di tut-to questo, cerco di distogliere l’attenzione sudi me, ponendoti vecchi conflitti tra noiSamaritani e voi Giudei. Non mostri nessuna impazienza al mio sfug-girti, forse in cuor tuo sai che non posso anda-re lontano dal tuo spirito, forse hai già arrestatola mia corsa verso il niente. “Credimi, donna,viene l’ora in cui né su questo monte né aGerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi ado-riamo ciò che conosciamo, perché la salvez-za viene dai Giudei. Ma viene l’ora - ed è que-sta - in cui i veri adoratori adoreranno il Padrein spirito e verità: così infatti il Padre vuole chesiano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quel-li che lo adorano devono adorare in spirito everità”. E il cuore per tua grazia avanza un po’di più verso il tuo, indicandomi un Padre cheè la vera fonte di ogni paternità.

continua nella pag. accanto

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Lentamente mi stai conducendo sempre di piùverso di Te. Un’unica domanda mi rimane anco-ra prima di abbandonarmi definitivamente a Te,per questo ti chiedo: “So che deve venire il Messia,chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annun-cerà ogni cosa”. Torna ancora una volta il tuo sguardo a posar-si su di me, e con solennità mi dici: “Sono ioche parlo con te”. E il mio cuore che credevomorto si apre ora a Te che sei il nuovo battito,la nuova vita a cui avevo rinunciato, annullan-do il disincanto della mia esistenza.Mio Signore, solo ora vedo che Tu sei la Forza

ammantata di debolezza, che si è chinata sul-la mia storia, non per condannarla, ma solo persvelarne dolcemente la mia debolezza e perliberarmi. Eri ad attendermi presso il pozzo, luo-go dove gli innamorati si incontrano, ed eri asse-tato di me, della mia fede. Tu sei il pozzo dacui sale l’acqua viva per poi ridiscendere sul-le nostre piccole vite e renderle vive. Ti sei manifestato a me per dissetare la mia ani-ma arsa dalle cose e dai sensi del mondo indi-candomi una sorgente di acqua viva che igno-ravo. Ora lo so, ora lo comprendo, Tu sei il Messiache attendiamo, che viene nella debolezza perentrare nella nostra debolezza e trasformarla

in forza,ed io non sono che l’anfora vuota dariempire di Te. Abbandono a terra ciò che non serve più, l’an-fora, poiché urge che io annunci a tutti chi sei.Non posso trattenere per me la sorgente di acquaviva, devo restituirla al mio prossimo.Corro in paese e non temo di bussare alle por-te delle case e di infrangere ogni mio isolamento,poiché Tu, o Signore, non hai avuto disgustodella mia vita. Ad ognuno di loro do ragione della mia speranzae dico: “Venite a vedere un uomo che mi hadetto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”.

segue da pag. 12

Gruppo Caritas parrocchiale*

LL’attuale Gruppo Caritas di S. MariaIntemerata si è costituito nel 2009, sot-to la direzione del Parroco, Padre Vincenzo

Molinaro. La formazione del nostro gruppo èstata curata dall’Equipe della Caritas Diocesana:a questo proposito vogliamo qui ricordare inmodo particolare l’opera della Sig.ra Giusi che,in pochi mesi, prima della sua prematura scom-parsa, è riuscita a trasmetterci il senso dellavera carità che è principalmente amore ver-so il prossimo.Il gruppo ad oggi è composto da quindici volon-tari che si alternano durante i giorni di ricevi-mento dell’Utenza: lunedì e mercoledì matti-na, giovedì pomeriggio. Sono in dotazione della parrocchia due con-tainer, uno per la distribuzione di vestiario, l’al-tro per lo stoccaggio di generi alimentari chei nostri volontari si prodigano a tenere in ordi-ne e disponibili per gli indigenti. Il Centro di Ascolto parrocchiale è rivolto alle persone ed ai nuclei fami-liari con problematiche socio economiche: mancanza di lavoro, malat-tie invalidanti, situazioni familiari critiche, psicolabili, ecc. In maniera piùrilevante si dà sostegno alle problematiche lavorative, economiche (paga-mento di utenze etc.) e morali di coloro che sono soli o che hanno mala-ti in famiglia.In quest’ottica è iniziata a gennaio 2013 l’opera di volontariato denomi-nata “Aiuto alla Persona” che si effettua presso le abitazioni di perso-ne sole, di anziani, malati, nuclei familiari in particolare stato di disagio.Dopo un breve, ma intenso corso formativo, tenuto dai Volontari dellaCaritas di Roma, alcuni volontari del nostro servizio Caritas hanno comin-ciato a visitare queste persone tenendo loro compagnia una volta allasettimana. Attualmente gli assistiti sono circa una decina, ma contiamodi poterne annoverare ancora.L’obiettivo principale di queste visite è l’assistenza domiciliare leggera:fare compagnia e prendersi cura della persona sola, ammalata o anzia-na per infonderle fiducia dimostrandole la nostra disponibilità; accom-pagnarla per piccole commissioni e disbrigo di eventuali pratiche buro-cratiche. Le segnalazioni dei Ministri Straordinari per l’Eucarestia sonostate di grande ausilio per l’individuazione delle persone che potevanorientrare nel nostro progetto.Nei primi tempi ci era sembrato un compito arduo abbattere l’iniziale bar-riera di diffidenza dei nostri assistiti poi, come un piccolo miracolo, lecase e i cuori si sono aperti: attendevano con ansia la nostra visita. A Lariano, centro abitativo più piccolo e più amicale rispetto alla gran-

de città, il nostro operato assume una connotazione familiare: per noivolontari fare questo servizio significa andare a trovare un amico, un fra-tello. E allora, tra un caffè e un dolce, le ore scorrono parlando delle preoc-cupazioni che li affliggono, sorridendo al ricordo dei momenti piacevolidella nostra vita, aiutando ad “impastare” le fettuccine oppure recitan-do il S. Rosario. Mentre siamo da questi nuovi amici la presenza di Dioè sempre viva nei nostri cuori: davanti a noi abbiamo persone che por-tano la loro croce, talvolta con disperazione, talvolta con grande corag-gio o con rassegnazione. Vediamo delle piccole, ma grandi donne combattere la propria malattiao quella dei loro cari, pregando la nostra Madre Celeste di dare loro laforza di andare avanti. E noi, ogni volta che usciamo da una di questecase, sentiamo di avere ricevuto un grande dono: ci hanno dato amo-re, forza di vivere e la certezza di compiere la nostra missione: Donareun sorriso a chi è triste e speranza a chi è afflitto. In conclusione i gior-ni destinati a questo servizio scorrono velocemente, gli operatori si met-tono nell’atteggiamento dell’ascolto, attento e disponibile. Le persone che vengono al Centro a volte devono attendere, perché lafila è lunga, specialmente in alcuni giorni, ma tutto si svolge nella sere-nità. Ci piacerebbe avere a disposizione un ambiente più confortevole,più autonomo, con locali più ampi: alla fine però ci accorgiamo che ladifferenza la fanno le persone che accolgono con discrezione, pazien-za e semplicità tutti coloro che, mossi dal bisogno, si avvicinano.

*S. Maria Intemerata, Lariano

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don Antonio Galati

NNel pomeriggio di sabato 10 maggio,nei locali della chiesa di SanFrancesco in Velletri, si è tenuto un

laboratorio teorico per la riscoperta e l’in-centivazione del volontariato, come valoreche permette il miglioramento non solodella vita sociale, perché questo è evi-dente, ma anche personale. Aiutati da Elisa Simonetti e EleonoraFusco, operatrici Caritas, rispettivamente,della nostra diocesi e della diocesi diRoma, i partecipanti hanno potuto riflet-tere su tutte le dinamiche che si met-tono in moto nel volontario quando pre-sta il suo servizio.Si è visto come l’opera pratica di assi-stenza e aiuto porta con sé tutta unaserie di motivazioni, modalità, dette ancheabiti mentali, e strumenti spesso datiper scontato o anche sconosciuti, cheperò agiscono e sono comunquesempre presenti nell’opera del volon-tario. Esplicitarli diventa allora il mododi dare a questo valore tutto il suo pesonella vita del volontario, perché met-tendo in pratica il suo servizio in manie-ra più consapevole, riesce a conoscerele sue stesse dinamiche interne cheinformano la sua vita, e, conoscendole,può rafforzarle, e ciò tutto a proprio bene-ficio e per una maturazione persona-le, oltre che degli altri.Inoltre, una delle ultime conclusioni acui si è arrivati insieme è che si è volon-tari non solo in una struttura di assi-stenza che si occupa delle necessità

degli altri, ma, essendo il volontario colui chefa il bene all’altro, è sufficiente avereaccanto una persona per poter stare a suoservizio, e ciò succede in ogni occasione,perché l’uomo, in quanto essere sociale evivendo di relazione, ha sempre qualcuno accan-to, partendo dai propri familiari e dai propri

parrocchiani e fratelli battezzati.La formula è stata quella di un laboratorioteorico, perché, in quanto laboratorio, i par-tecipanti non erano semplici ascoltatori, mal’incontro andava avanti secondo il contributodi ciascuno, ma essendo un confronto su moda-lità, motivazioni e strumenti, il tutto si è svol-to a livello teorico, con l’auspicio, però, chela cosa non resti sul piano dell’idea ma chei partecipanti, vivendo nel mondo, portino lecose dette sul piano pratico della loro vitae del proprio impegno, insegnando anche aglialtri come esplicitare ciò che spinge il loroagire per incentivarne gli aspetti positivi, tut-to a beneficio, quindi, personale e anche deglialtri che si incontrano e si aiutano e, quin-di, alla fine, per il bene di tutti.In ultima analisi è risultato vero quello cheil Manzoni, ne I Promessi Sposi¸ riportandoun’espressione del fantomatico testo anonimoseicentesco che a suo dire ha ispirato il roman-zo, ebbe a dire: «si dovrebbe pensare piùa far bene, che a star bene: e così si fini-rebbe anche a star meglio».

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don Antonio Galati

NNel numero pre-cedente di Ecclesiain cammino ci si

è soffermati sul fenomenogenerale del volontariato edella peculiarità di quellocristiano. In questo articolol’attenzione viene posta sul-la vitalità nuova che il volon-tariato, se espresso almeglio, introduce nellasocietà. Infatti, la presenza delvolontariato all’interno del-la società civile, se da unaparte è segno dell’attenzionedell’uomo all’uomo, dall’altraè una critica profonda allasocietà stessa perché sot-tolinea la sua assenza, ocomunque una sua presenzainsufficiente, in quegliambiti che domandanoun aiuto e che, senza l’im-pegno volontario dei cittadini,resterebbero carenti.In questo essere presen-ti nella società in manieradisinteressata e per l’aiu-to ai bisognosi, i volonta-ri si comportano anche comeprofeti, perché annuncia-tori di una cultura alterna-tiva, fondata su: - rapporti comunitari, alternativi a quelli di for-

za o elitari; responsabilità personale che chia-ma in causa e all’impegno, rispetto all’individualismoderesponsabilizzante;- rapporti e attenzioni personalizzate, al postodi servizi standardizzati attenti al problema manon alla persona;- il servizio vissuto “con” l’assistio, per soste-

nere la sua auto-promozione, e non solo “per”l’assistito;- l’equilibrio tra carità e giustizia per il giusto

peso dei diritti degli uomini, invece di una seriedi sporadiche “buone azioni”;- la gratuità dell’impegno, contro la ricerca esa-gerata del guadagno.In questo essere profeti di una nuova società“allocentrica”, cioè centrata sugli altri, i volon-tari diventano anche testimoni della possibilitàdi realizzare questo nuovo stile societario, per-ché nel loro servizio realizzano quanto espres-so in teoria.

La società allocentrica è la civiltà dell’amore sognata da Paolo VI

“Sogniamo noi forse quando parliamo di civil-tà dell’amore? No, non sogniamo. Gli ideali, seautentici, se umani, non sono sogni: sono dove-

ri. Per noi cristiani, specialmente. Anzi tanto piùessi si fanno urgenti e affascinanti, quanto piùrumori di temporali turbano gli orizzonti della nostrastoria. E sono energie, sono speranze. Il culto, perché tale diventa, il culto che noi abbia-mo dell’uomo a tanto ci porta, quando ripensiamoalla celebre, antica parola di un grande Padredella Chiesa, S. Ireneo: Gloria […] Dei vivenshomo, gloria di Dio è l’uomo vivente”1.Tutto ciò che il volontario realizza, nella sua atti-vità, non è altro che la concretizzazione indivi-duale di quella che sarebbe la società intera sefosse permeata totalmente dai valori cristiani,valori che spingono a mettere al centro dell’in-teresse del singolo e della società non il tornacontopersonale o comunitario, ma il benessere del-l’uomo e dell’ultimo specialmente. Detto in altro modo, la realizzazione della civil-tà dell’amore pensata da Paolo VI e che i volon-tari in qualche modo attuano è la concretizza-zione del Regno di Dio: infatti esso è giustizia,pace e gioia nello Spirito Santo, cioè nell’amore2,e quello che i volontari fanno è instaurare, dovemanca, la giustizia, la pace e la gioia per la digni-tà degli uomini, specie degli ultimi. Recuperando la parafrasi, fatta già nell’artico-lo precedente, dell’affermazione tomista secon-do cui tutta la verità, da chiunque viene detta,

proviene dallo Spirito Santo3,si può affermare che tuttol’amore, da chiunque vie-ne fatto, proviene dallo SpiritoSanto. Applicando questoprincipio alla civiltà dell’a-more, si può comprende-re meglio l’idea che PaoloVI aveva nei confronti delvero progresso, che è talee corrispondente alla suavocazione solo se scaturi-sce dalla carità verso l’uo-mo. Il progresso così inteso avràsicuramente delle conno-tazioni più umane e per-metterebbe di sostenere losviluppo integrale dellapersona e di tutti i popoli,perché sarebbe la perso-na stessa che starebbe alcentro dell’attenzione. E questo, anche se mes-so in campo da una socie-tà laica, sarebbe sicuramenteopera di Dio, perché Eglistesso ha messo l’uomo alcentro delle sue attenzio-ni nel momento in cui hadeciso di mandare il SuoFiglio per la nostra salvezza.Il rinnovamento che il papavedeva come necessario eche il volontario profetizza

con la sua vita è il rinnovamento della politica,intesa nel suo senso più ampio di attenzionecondivisa alla polis, cioè alla città. Un rinnovamento che si basa sulla carità e l’at-tenzione al prossimo che deve interessare neces-sariamente il politico di professione nel suo ser-vizio all’interno delle istituzioni di governo e ammi-nistrative, ma che deve interessare ogni singolocittadino: “la sapienza dell’amore fraterno, la qua-le ha caratterizzato in virtù ed in opere, che cri-stiane sono giustamente qualificate, il cammi-no storico della santa Chiesa, esploderà con novel-la fecondità, con vittoriosa felicità, con rigene-rante socialità. Non l’odio, non la contesa, nonl’avarizia sarà la sua dialettica, ma l’amore, l’a-more generatore d’amore, l’amore dell’uomo perl’uomo, non per alcun provvisorio ed equivocointeresse, o per alcuna amara e mal tolleratacondiscendenza, ma per l’amore a Te; a Te, oCristo scoperto nella sofferenza e nel bisognodi ogni nostro simile. La civiltà dell’amore pre-varrà nell’affanno delle implacabili lotte socia-li, e darà al mondo la sognata trasfigurazionedell’umanità finalmente cristiana”4.1 PAOLO VI, Udienza generale. Mercoledì 31.12.1975. 2 Cfr. Rm 14,17. 3 Cfr. Summa Theologiae, p. I-II, q. 109, a. 1 ad 1.4 PAOLO VI, Omelia. Natale del Signore 25.12.1975.

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1616 GiugnoGiugno20142014

don Gaetano Zaralli

HHo faticato un po’ a mettere insieme ipensieri che un ateo mi ha scaricatosulla posta elettronica. Lui è portoghese

e ha trovato difficoltà a riportare, in una linguache non è la sua, la complessità di un discor-so che merita a mio parere particolare atten-zione.E’ il giorno della Prima Comunione della figlio-la e, da padre responsabile, Renato, questo ilvero nome, desidera motivare il suo “esserci”,senza peraltro rinunciare al suo “essere”…

Cara Comunità di San Michele Arcangelo,

mia figlia Sara farà la sua 1a comunione oggi11 maggio 2014 all’età di 9 anni… Pare che siala prassi per quanto riguarda l’età… Ecco mi viene il dubbio che sia una prassi gene-ralizzata, una “operazione”, appunto, con indi-cazioni precise, con protocolli da rispettare…Molta forma certamente… e tutti sappiamo comela “forma” può riempire i cuori, trascurando spes-so i “contenuti”. A cosa serve la 1a comunione non lo so bene,lo ammetto. Non ho studiato le carte… Ho segui-to tutto da una certa distanza (ma neanche tan-ta)… Ho frequentato quasi tutte le domenichedegli ultimi mesi le messe. Ho frequentato più messe in questi ultimi tem-pi che non nel resto della mia vita…

Ho ascoltato come voi le pre-diche… La vostra fortuna èche non sono un “ateo” in cer-ca di proseliti… Avrei pocolavoro da fare del restodopo quelle messe!… Nonvi ho neanche detto che cre-dere in un Dio, in un Gesùche è resuscitato, in unaMadonna che fa miracoli sareb-be pressoché lo stesso checredere nella magia… Per fortuna viviamo nel XXIsecolo e voi non avete pro-vato a bruciare l’ereticoquale io sono. Sinceramente non mi sieteantipatici a tal punto danon potervi accettare così comesiete: fondamentalmente misono sempre trovato bene quicon voi… perché questaComunità va al di là dell’a-spetto spettacolare della

religiosità. Sarebbe questo il grande lascito diun prete… Anche nel giorno, sempre lontano,in cui lui non ci fosse più, il seme ci sarà. Potrà essere striminzito, potrà apparire sbiadi-to, ma ci sarà…

Per quanto riguarda la comunione, dovresti far-vi una semplice domanda. Se non ci fosse unDio, se Gesù fosse solo un uomo dei suoi tem-pi che predicava l’amore verso gli altri come solu-zione ai tanti mali del mondo, se la Madonnafosse solamente una madre disperata che haperso suo figlio per un ideale, come è succes-so o potrebbe succedere a tante altre donne,non sarebbe tutto ciò sufficiente a svuotare leparole, le testimonianze che avete scrittoinsieme, per voi, per tutti in questa assemblea?Avete, forse, bisogno di un Dio o della speranzadi una vita nell’aldilà, di una Chiesa… per pas-sare ai posteri l’idea di un mondo migliore, peravvalorare le vostre idee, i vostri pensieri, pervivere quello che vi è presentato ogni domeni-ca da un sacerdote?… E i vostri figli hanno bisogno anche loro di segui-re il tortuoso cammino imposto dalle “forme” perpoter fare parte della vostra comunità, di ave-re con voi quella che è la vera comunione, cheè lo stare insieme? Io vi dico che non è cosi,semplicemente perché, se il solo credere è lalocomotiva delle nostre azioni c’è alla base qual-cosa di inconsistente! Se per caso un giorno vi viene dimostrata la ine-sistenza di Dio, cosa farete?

Un mondo “migliore” abbiamo il diritto/doveredi ottenerlo su questo posto nell’Universo doveil caso ci ha fatto nascere, e per ciò, forse, ognigiorno dovrà essere una prima comunione pervoi, per noi, per tutti… Io sono felice che Sara faccia la sua 1a comu-nione in questo posto, in questa assemblea. Sonofelice, non perché improvvisamente sia diven-tato credente nel vostro Dio, ma perché sonoconvinto della gioia semplice, non banale chepassa da queste parti… e questo mi basta.

Renato Rodrigues Pousada

Di tutto il discorso ciò che crea maggiormentedisagio è la domanda quasi innocente che Renatopone all’assemblea in preghiera: “Se per casoun giorno vi viene dimostrata la inesistenza diDio, cosa farete?”La tentazione è grande nel voler assecondarela sfida. Provino i credenti in Dio, magari soloper un tempo limitato, a vivere come se Dio nonesistesse… Cosa potrebbe accadere loro? Forse quelle affermazioni che si ripetono a memo-ria fin dalla giovane età, potrebbero rivelarsi all’im-provviso fragili e appese appena a delle vec-chie tradizioni… Forse, quelle tante parole chesono struttura portante di liturgie vecchiepotrebbero perdersi d’un tratto nel vago colo-re di labili speranze… Forse…Lui, l’ateo, non ha nessuna voglia di fare pro-selitismo, lui vive tranquillo i suoi giorni… e ilcomandamento dell’amore che per noi credentiaffonda le radici nel vangelo, lui lo ha dentro disé, perché l’amore è una risorsa essenziale del-la natura umana e non prerogativa esclusiva diuna religione… Conosco Renato e posso assicurarvi che neisuoi comportamenti è più cristiano di me… ConoscoRenato e lui conosce me e ciò che mi assillaè l’eventuale cattivo esempio che da me potreb-be ricevere, nonostante il mio credere in Dio.

“Io sono felice che Sara faccia la sua 1a

comunione in questo posto, in questa assem-blea. Sono felice, non perché improvvisamen-te sia diventato credente nel vostro Dio, ma per-ché sono convinto della gioia semplice, non bana-le che passa da queste parti… e questo mi basta.”

Grazie, Renato, per la GIOIA SEMPLICE checi riconosci… Grazie, Renato, perché ora, almeno per me, dopoaverti letto, è più SEMPLICE credere in Dio.

Nell’immagine del titolo:un’opera pittorica di Carel Willing.

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1717GiugnoGiugno20142014

Mons. Franco Risi

NNella Chiesa Cattolica, a partire dal seco-lo XII, si è sviluppata una particolareforma di culto che si ispira al Cuore di

Gesù: simbolo di tutto il Suo amore per il Padree per l’intera umanità. Il cuore è una parola ori-ginaria ed indica il centro stesso della perso-na. Questa devozione ricalca con forti tinte l’a-spetto umano della personalità di Cristo. Le immagini del Sacro Cuore ci presentano per-lopiù la sua dolcezza e la sua bontà verso tut-ti e mettono in evidenza i dolori di Gesù vissutidurante la sua Passione. Contemporaneamente dobbiamo mettere anchein evidenza la Resurrezione del Cristo che, capodella Chiesa e del mondo, rivela Dio come futu-ro dell’umanità e come destino trascendente del-l’uomo. Per meglio comprendere la devozioneal Sacro Cuore di Gesù è opportuno rifletteresu tre punti fondamentali: storia della devozio-ne; riferimenti alla Sacra Scrittura, dove si insi-ste sul fatto che “Dio è Amore” (1 Gv 4, 8) einfine i vantaggi del culto al Sacro Cuore perla vita di ogni cristiano. Riguardo alla storia, igesuiti, nel secolo XVII, si impegnarono inten-samente in tale devozione, portandola anchenelle missioni. San Giovanni Eudes (1601-1680) fece appro-vare il 20 ottobre 1672 dall’arcivescovo di Rouene da molti altri vescovi francesi il primo Ufficiocon la Messa e le Litanie proprie al Sacro Cuoredi Gesù. Santa Maria Margherita Alacocque (1648-1690) ebbe direttamente da Nostro Signore larivelazione della devozione al Sacro Cuore inquattro speciali apparizioni, la più importante del-le quali avvenne nell’ottava del Corpus Domininel 1675. Gesù le mostrò «quel cuore che ha tanto ama-to gli uomini» dalla maggior parte dei quali nonriceve che ingratitudine ed oltraggi, e chiese chevenne istituita una speciale festa riparatrice inonore del Sacro Cuore di Gesù.

Attualmente i padri gesuiti, attraverso l’Apostolatodella preghiera, contribuiscono a diffondere etenere viva questa devozione, con pubblicazionedi libri, della rivista “Il messaggio del Cuore diGesù”, ed invio di foglietti alle parrocchie, perfar pregare le comunità secondo le intenzionidel Papa per la conversione dei peccatori e lariparazione dei peccati.Tutta la Sacra Scrittura ci aiuta non solo a com-prendere l’importanza di tale devozione, ma ancheci esorta ad impegnarci ad attuarla nella pro-pria vita per la salvezza propria e degli altri. Da essa comprendiamo che Dio Padre mise-ricordioso viene incontro all’umanità, realizzandocon essa un’alleanza che culmina nella morteredentrice del Figlio: «Dio ha tanto amato il mon-do, da dare il suo Unigenito Figlio» (Gv 3, 16).Questa nuova alleanza si compie sul Golgota,dove «uno dei soldati con una lancia gli (ndr.Gesù) colpì il fianco e subito ne uscì sangueed acqua» (Gv 19, 34); l’acqua «simbolo del bat-tesimo, l’altro dell’Eucarestia. Il soldato aprì ilcostato: dischiuse il tempio sacro, dove ho sco-perto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splen-dide ricchezze[…]. Per il suo sangue nascia-mo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita.Come la donna nutre il figlio con il proprio lat-te, così il Cristo nutre costantemente con il suosangue coloro che ha rigenerato» (san GiovanniCrisostomo). Per questo il cristiano che vuol capi-re la missione della Chiesa, e di riflesso la pro-pria, deve guardare al Cuore trafitto, da doveha avuto origine la Chiesa di Cristo. Per questa ragione Pio XII afferma che la devo-zione al Cuore di Gesù «è in sostanza il cultodell’amore che Dio ha per noi in Cristo, ed insie-me la pratica del nostro amore verso Dio e ver-so gli altri uomini». Nella sua Enciclica, Haurietis aquas, il Papa haapprofondito le parti dogmatiche della Sacra Scrittura,la dottrina dei Padri, la Liturgia e i documentidel Magistero riguardanti il culto al Sacro Cuore;certo, per il cristiano sarebbe molto utile leg-gere e meditare questo documento per com-prendere meglio l’importanza di questa devo-zione in onore di Gesù, nostro vero Salvatore.Tra le figure più significative che hanno contri-buito alla diffusione del culto del Cuore di Gesùlungo i secoli, spicca quella di santa MargheritaMaria Alacoque (1647-1690). In alcune letteredella Santa sono riportate le promesse di Gesùper coloro che onorano il Suo Cuore, ne elen-co alcune:«Porterò soccorso alle famiglie che si trovano in difficoltà e metterò la pace nelle famiglie divise» (Lett. 35 - 131);«Spargerò abbondanti benedizioni sopra tutte le loro opere» (Lett. 141);«Benedirò i luoghi dove l’immagine del Sacro

Cuore verrà riposta e onorata» (Lett. 35);«Il nome di coloro che propagheranno la devozione al Sacro Cuore sarà scritto nel mio Cuore e non verrà mai cancellato» (Lett. 39 – 41 - 89);«Io prometto, nell’eccesso della misericordia del Sacro Cuore, che il mio amore onnipotente concederà a tutti quelli che si comunicheranno nel primo venerdì del mese per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale. Essi non moriranno in mia disgrazia, né senza ricevere i Sacramenti, ed il mio Cuore sarà asilo sicuro in quell’ora estrema».Da questa Grande Promessa possiamo com-prendere che Gesù mette a nostra disposizio-ne l’Onnipotenza del suo amore per la nostrasalvezza eterna. Inoltre incoraggiamo anche aglialtri alla devozione dei primi venerdì perché «chisalva un’anima, assicura la salvezza della sua».L’importanza della devozione dei primi nove vener-dì del mese è confermata dalle apparizioni alleTre Fontane a Roma, dove, come riferisconoBruno Cornacchiola e i suoi tre figli, la Madonnagli apparve per la prima volta il 12 aprile 1947,mentre egli stava leggendo la Bibbia per pre-parare argomenti contro l’Immacolata Concezione.Maria gli parlò dicendo: «Sono Colei tu mi per-seguiti: ora basta! Entra nell’ovile santo. I novevenerdì del Sacro Cuore che tu facesti primadi entrare nella via della menzogna, ti hannosalvato […]». Da quanto detto, il culto al Sacro Cuore di Gesùaiuta il cristiano a scoprire il volto personale diDio, ricordandoci che solo Lui può aiutarci a vive-re e ad amare il nostro prossimo, facendolo feli-ce nella vita quotidiana. Il Cuore di Cristo, sorgente di una vita nuova,ci fa chiamare Dio come Padre e ci fa rifiutareogni indebita divinizzazione delle cose di que-sto mondo, in quanto c’è un solo Dio (cfr. Dt 10,17) e un solo mediatore di salvezza (1 Tm 2,5). In secondo luogo, il culto al Sacro Cuore con-tribuisce efficacemente a trasformare la nostraesperienza religiosa in una testimonianza di amo-re verso gli altri. Tutto ciò ci fa capire che il cristiano che con-templa il Cuore di Cristo, pieno di misericordiaper i più lontani e per i più peccatori, trova il corag-gio di perdonare settanta volte sette (cfr. Mt 18,31): è la forza di rendere bene per male, poi-ché l’amore che ha imparato dal suo maestrocopre una moltitudine di peccati (cfr. Gc 5, 20).Infine, l’amore verso il cuore di Gesù ci inse-gna cosa l’amore è capace di fare: donare eperdonare sempre e ci conduce ad una pienagioia di salvare e rendere felice ogni uomo cheincontriamo nella nostra vita.

Nell’immagine del titolo:Il Sacro cuore, A. Mariani,

Cattedrale S. Clemente, Velletri.

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1818 GiugnoGiugno20142014

don Daniele Valenzi

SSpesso sentiamo dire che la nostra Chiesa sente l’esigenza di unrinnovamento soprattutto in quell’ambito importante e difficile cheè la catechesi. Questi ultimi anni

hanno visto l’operoso impegno eanche le fatiche dei nostri vescovi percercare itinerari che conducano per laprima volta o ad una rinnovata scopertadella persona di Cristo e al conseguenteimpegno di vita cristiana. Nel 2015 la Conferenza Episcopale Italianaaffronterà una rivisitazione globaledell’ambito riguardante l’IniziazioneCristiana. In vista di questo appuntamento, a livel-lo regionale e diocesano si è approfonditoe sviscerato questo tema sotto i diver-si punti di vista. Dal lavoro effettuato è emerso un docu-mento provvisorio, che è stato propo-sto all’attenzione degli uffici catechisticiregionali. In questo lavoro viene sot-tolineato che non è in crisi l’iniziazio-ne cristiana in quanto tale, ma la suapedagogia. La considerazione da cui muovere perripensare un modello di iniziazione cri-stiana dei ragazzi adatto al nostro con-testo riguarda la risposta da dare al cam-bio culturale e dei processi di socializzazione,che sembrano non favorire il tradizio-nale modo di realizzare l’iniziazione eccle-siale. Per superare questo ostacolo, occor-re mettere in stretta unione il rappor-to tra passaggi della fede, passaggi del-la vita e condizioni di apprendimento,

trasformazioneed elaborazionedel personale pro-getto di vita. Occorre, infatti, unmodello di itine-rario olististico,capace, cioè, diincludere le dimen-sioni della vita:conoscenza, ade-sione della volon-tà, abilitazione arealizzare. Il lavoro risultan-te è stato con-segnato nellemani dei nostrivescovi che lavo-rando alacre-mente hanno sti-lato un docu-mento, che è giàstato approvatodalla conferen-za episcopale eche presto saràaffidato alle nostrecomunità cristia-

ne che sarà fondamentale per il rinnovo della catechesi di iniziazionecristiana, preziosissimo strumento di lavoro. Certo si tratterà di avere ilcoraggio di proporre una sfida nuova prima di tutto ai catechisti, testi-moni del Signore, che con il loro vissuto si troveranno ad accompagnare

quanti gli saranno affidati in questo nuo-vo itinerario di accostamento alla fedein Cristo Gesù, in seconda istanza allecomunità cristiane che saranno par-te integrante di questa propedeuticadi discepolato. È difficile prevedere quelli che potran-no essere i risvolti di questa nuova impo-stazione, ma certamente si tratta di unascelta fondamentale e fondante per laChiesa del nostro tempo.“I periodi di rinnovamento della Chiesasono anche tempi forti della catechesi.Infatti vediamo che nella grande epo-ca dei Padri della Chiesa santi vesco-vi dedicano alla catechesi una parteimportante del loro ministero” così leg-giamo nella prefazione del Catechismodella Chiesa Cattolica. Anche noi stiamo attraversando un perio-do di transizione e di rinnovamento gran-de e la catechesi non può esserne esclu-sa. Sono sempre più convinto che lescelte importanti non siano quelle solen-ni, ma quelle nelle quali e per siamopronti a spendere tempo ed energiequesto antico insegnamento viene diret-tamente dal Figlio di Dio che, proprioper iniziarci alla fede, sceglie di veni-re “ad abitare in mezzo a noi” perchénoi vedessimo e toccassimo il Verbodella Vita non considerando un teso-ro geloso la sua uguaglianza con Dio.

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1919GiugnoGiugno20142014

Fabio Ciardi*

CChissà quante idee e immagini ti frulla-no in testa quando senti questa paro-la un po’ misteriosa: vocazione. A me

fa subito venire in mente una cosa semplice estraordinaria: un rapporto di amore intimo e con-creto che si intesse tra Dio e me, un colloquioche si va svolgendo tra lui e me giorno per gior-no, con accenti sempre nuovi. Ogni uomo, ogni donna è chiamato a questo incon-tro con l’Amore: siamo fatti costitutivamente peramare, per incontrarci con la sorgente stessadell’Amore. Siamo fatti per vivere in rapporto dicomunione con lui. La realtà più bella e profondadella nostra umanità è la capacità di stare davan-ti a Dio a tu per tu: è nostro padre e noi siamofigli e figlie suoi.L’iniziativa di questo rapporto è certamente diDio stesso che, liberamente e mosso solo dal-l’amore, da sempre si prende cura di noi e cichiama alla comunione con sé. Dio infatti - ciricorda il Concilio- “nel suo grande amore par-la agli uomini come ad amici e si intrattiene conessi, per invitarli e ammetterli alla comunionecon Sé” (Dei Verbum 2). Il popolo d’Israele ha sperimentatol’amore di Dio in modo così forteche l’ha paragonato ad uno spo-so e lui, il popolo, si è paragona-to ad una sposa. Dio si apre e sirivela, chiama e si comunica. Quanti,raggiunti da tale amore, rispondono- e a loro volta si aprono e si dona-no -, si trovano coinvolti in un rap-porto con lui che tende alla comu-nione più piena. Il senso profondo della vocazio-ne, prima di ogni altra ulteriore espli-citazione, è racchiuso in questo fecon-do dialogo d’amore: è questo stes-so dialogo d’amore. In questo dia-logo l’iniziativa è di chi ama di più,ed è l’Amore stesso che si protendeverso di noi. “In questo sta l’amore - ci ricordal’apostolo Giovanni -: non siamostati noi ad amare Dio, ma è luiche ha amato noi” (1Gv 4,10). È lui che per primo, come lo spo-so del Cantico dei Cantici, ci vie-ne incontro e ci chiama: “Alzati ami-ca mia, mia bella, e vieni” (Ct 2,10).L’iniziativa è sempre sua. È suoil primato d’amore. “Come possiamoamare, se prima non siamo statiamati?” si domandava s. Agostino. Se “noi amiamo”, ci ricorda anco-ra l’apostolo Giovanni, è “perchéegli ci ha amato per primo” (1Gv4,19).

Incontrarsi con Dio è incontrarsi con l’Amore edessere avvolti dall’amore. Ogni rapporto con lui ha in questo amore il suoinizio e il suo compimento. È la grande luce chebrilla nel cuore di colui che crede e che gli fagridare: sono amato dall’Amore! È quella prima autentica illuminazione interio-re di cui parla la lettera agli Ebrei: “Richiamatealla memoria quei primi giorni nei quali foste illu-minati” (10,32). Da essa parte l’autentica vita cri-stiana. È la scoperta gioiosa di avere un Padre che ciama al punto “da dare il suo Figlio, l’Unigenito”(Gv 3,16). La scoperta che il Figlio, fattosi uomoper amore, ci ama fino a dare “la sua vita pernoi” (1Gv 3,16). La scoperta che lo Spirito si river-sa in noi come amore (cf. Rm 5,5): Dio è Amore!E perché amore… ci ama, personalmente, unoper uno. S. Paolo comunicava con gioia ai suoicristiani della Galizia la scoperta che aveva rivo-luzionato interamente la sua vita dandole final-mente un senso vero: il Figlio di Dio “mi ha ama-to e ha dato se stesso per me” (2,20). Paolo non è certo rimasto indifferente davantialla scoperta di essere amato personalmente

da Cristo, suo Signore e suo Dio. Si è buttatoa riamarlo con tutto se stesso. Amore chiamaamore. La rivelazione di Dio Amore non lasciainerte o indifferente nessuno. Essa coinvolge lapersona in tutta la sua interezza. Fa appello alcuore, alla mente, alla volontà. Quando Giovanni nella sua prima lettera scri-veva: “noi abbiamo riconosciuto e creduto all’a-more” (4,16), esprimeva la sua adesione tota-le e incondizionata al dono ricevuto. Il dialogoche si instaura tra Dio e l’uomo è intrinsecamentecoinvolgente. “Mi hai sedotto, Signore, e io misono lasciato sedurre”, gridava Geremia (20,7)incapace di resistere alla forza travolgente del-l’amore di Dio. Allo svelamento che Dio fa di séè così legata intrinsecamente una chiamata.Rivelazione di Dio e chiamata si postulano a vicen-da. La luce brillando illumina. Il fuoco bruciando riscalda. Così la manifesta-zione che Dio fa di sé come Amore è comuni-cazione dell’Amore e nello stesso tempo appel-lo a rispondere all’amore con l’adesione di tut-to se stesso. È come venire rapiti dall’amore di Dio, in quel-l’incanto che fa esclamare, con la sposa del Canticodei Cantici: “Come sei bello, mio diletto” (Ct 1,16).In lui si scopre la pienezza della luce, della vita,della bellezza, l’appagamento di ogni anelito piùprofondo. È un ritrovarsi pienamente in lui. È l’illuminazione, il primo amore, l’inizio della fedecristiana. Parlando di questo amore san

Bernardo scriveva che “l’amorebasta a se stesso; si compiacedi se stesso e per se stesso. L’amore in se stesso è un meri-to, ed è la ricompensa a se stes-so. Al di là di sé, non cerca nes-suna causa e nessun effetto: ilsuo effetto è tutt’uno con la suapratica. Amo, perché amo; amo perchéposso amare… Quando Dioama, non vuole altro che esse-re amato; perché egli ama conil solo scopo di poter essere ama-to,sapendo che coloro che lo ama-no sono benedetti da quello stes-so amore” (Commento al Canticodei Cantici, 83,4). La vocazione è prima di tutto que-sta gratuità dell’amore: scopriredi essere amati e sentirsi chia-mati a rispondere all’amore conl’amore.

*tratto da SE VUOI, www.apostoline.it

a cura delle Suore Apostolinedi Velletri

Nell’immagine:icona di Gesù che chiama Zaccheo.

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2020 GiugnoGiugno20142014

Suore Apostoline Velletri

OOgni vita nasce dall’amore, dall’incontro.Così anche ogni vocazione può nasce-re solo dall’amore e crescere nell’amore.

L’amore genera vocazioni. E una vocazione vis-suta nell’amore e per amore fa nascere altre voca-zioni. La nostra Chiesa diocesana è chiamataogni giorno a crescere nell’amore affinché nasca-no e crescano altre vocazioni. Ciascuno di noi e tutta la comunità ecclesialeha il compito e la responsabilità di chiedere alSignore il dono di nuove vocazioni e di prega-re perché quanti hanno risposto alla chiamatadel Signore possano essere fedeli testimoni delsuo Vangelo. In questo tempo di grazia ringraziamo il Signoreper il dono della vita e della vocazione di donTeodoro Beccia, della parrocchia del SS.Salvatore in Velletri, che il 28 giugno sarà ordi-nato sacerdote a servizio della nostra Diocesi.

Il documento Nuove vocazioni per una nuovaEuropa al n.22a così scrive: “Il ministero ordinato ha un servizio di comunionenella comunità e, in forza di questo, ha l’inde-rogabile compito di promuovere ogni vocazio-ne. Di qui la traduzione pastorale: il ministeroordinato per tutte le vocazioni e tutte le voca-zioni per il ministero ordinato nella reciprocitàdella comunione”. Accompagniamo nella preghiera don Teodoroe auguriamo ogni bene per la sua vita, donan-dogli le parole che papa Francesco domenica11 maggio ha rivolto ai neo-sacerdoti:“Quanto a voi, fratelli e figli dilettissimi, che sta-te per essere promossi all’ordine del presbite-rato, considerate che esercitando il ministero del-la sacra dottrina sarete partecipi della missio-ne di Cristo, unico maestro. Dispensate a tutti quella Parola, che voi stessiavete ricevuto con gioia, dalle vostre mamme,dalle vostre catechiste. Leggete e meditate assi-

duamente la paro-la del Signore percredere ciò cheavete letto, insegnareciò che avete appre-so nella fede, vive-re ciò che avete inse-gnato. Sia dunquenutrimento al popo-lo di Dio la vostra dot-trina, che non èvostra: voi non sie-te padroni delladottrina! E’ la dot-trina del Signore, evoi dovete esserefedeli alla dottrina delSignore! Sia dunquenutrimento al popo-lo di Dio la vostra dot-trina, gioia e soste-gno ai fedeli diCristo il profumo del-la vostra vita, per-ché con la parola el’esempio edifichiatela casa di Dio, cheè la Chiesa. (…) Non stancatevi maidi essere miseri-cordiosi! Per favo-re! Abbiate quellacapacità di perdo-no che ha avuto ilSignore, che non èvenuto a condan-nare, ma a perdo-

nare! Abbiate misericordia, tanta! E se vi viene lo scrupolo di essere troppo “per-donatori”, pensate a quel santo prete del qua-le vi ho parlato, che andava davanti al taber-nacolo e diceva: “Signore, perdonami se ho per-donato troppo. Ma sei tu che mi hai dato il cat-tivo esempio!”.

La nostra Chiesa Diocesana è in festa il 29giugno per l’ordinazione diaconale perma-nente di due nostri fratelli: Luciano Taddei,della parrocchia Santa Lucia di Velletri e GaetanoDi Laura, della parrocchia Santa Barbara diColleferro. “Il suggello più vero della vocazione cristianaè il servizio. Un servizio della fede, nella spe-ranza, con carità. (…) Nella Chiesa del Signorei primi posti e la vera grandezza sono riser-vati al servitore, a chi è disposto a dare lasua vita per l’ “altro” senza cercare ricom-pense. (…) Il diacono, con il suo carisma diservizio della carità, ascolta il grido che sem-pre giunge alla Chiesa dalle esigenze del pove-ro, di colui che soffre, dell’umile. I diaconi sono così servitori di Cristo e del-la comunità, missionari della Parola, porta-tori e strumenti di grazia, di giustizia e pace,al fine di costruire la nuova società basatasull’amore”. Assicuriamo a Gaetano e Luciano e alle lorofamiglie la nostra preghiera, perché possa-no essere sempre più disponibili e genero-si nel servire Dio e il prossimo.

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Monica Casini

GGaetano Di Laura di Colleferro e LucianoTaddei di Velletri verranno ordinati Diaconipermanenti. Il loro cammino, li aveva

visti arrivare insieme il 1° Maggio dello scorsoanno all’ammissione tra i candidati a questo sacroordine, dopo un lungo periodo di studio e discer-nimento. Saranno i primi due aspiranti che giun-gono alla grazia della consacrazione al Diaconatopermanente, portando la testimonianza della lorovocazione in seno ad un gruppo, che è anda-to formandosi in tempi diversi, accogliendo ricer-che in cammino e aprendosi alla gioia del dono.Il Diaconato permanente, ricostituito grazie alloSpirito che ha soffiato nel Concilio Vaticano II,rappresenta una stupenda ed importante voca-zione, la condizione di un servizio pastorale, cheha la forma propria di un Ministero, distinto daquello del sacerdote, ma collegato per la glo-ria di Dio e il bene della Chiesa. “Cercate sette uomini di buona reputazione, pie-

ni di Spirito e di sapienza.”( At. 6,3 )La comunità elesse Stefano, Filippo,Pròcoro, Nicànaore, Timone,Parmenàs e Nicola, per assisteregli Apostoli nel loro compito. Furono chiamati Diaconi perché era-no a servizio della comunità; “ Diakonìa“ è un termine tipicamente biblicoed ecclesiale: significa servizio, erichiama istintivamente il gestocompiuto da Gesù nell’ultimacena, nella lavanda dei piedi agliApostoli.Questo ordine sacro offre a uomi-ni sposati o celibi la possibilità diservire la Chiesa in questo particolaremodo.Il Vescovo consacra il Diacono per-ché sia a disposizione della comu-nità mediante il servizio dellaParola, della Liturgia e della Carità, edificandolae orientandola nel cammino verso la santità comeha fatto Gesù. I Diaconi sposati condividono il loro Ministerocon le loro spose, che danno il loro assenso incon-dizionato a quello che sarà un cammino di cop-pia benedetto nuovamen-te all’interno della sacra-mentalità del matrimonio. Infatti, la vocazione alDiaconato, per sua natu-ra coinvolge, tutta la per-sona, a partire dai suoi affet-ti e dal suo compito,segnando tutti i rapporti ele circostanze in cui si dis-piega la vita.L’Ordinazione Diaconale ècerto una specifica voca-zione e, nella Chiesa unsegno sacramentale diCristo Servo che ci presentagli ideali e la realtà della vitacomunitaria dei cristiani delI secolo, ( At. 2,42 - 47) dimo-strando come la storiadella salvezza si realizzi nelconcreto della vita.Per questo è ancora oggifonte di ispirazione per lecomunità di fede ed incen-tivo all’operato di ognicammino vocazionale, spro-ne ad imparare,ad ascol-tare la Parola come inse-gnamento ed il relativo impe-gno concreto nella vita.

Pregando per ogni vocazione, in questo tem-po che regala alla nostra Diocesi due nuovi Diaconi,ci uniamo a loro e alle loro famiglie come comu-nità festante! I due nuovi diaconi si aggiungo-no al collegio dei diaconi composto attualmen-te da dodici membri.

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Suore Apostoline Velletri

LL’equipe del Centro Diocesano

Vocazioni ha preparato in occasione

della 51a Giornata Mondiale di

Preghiera per le Vocazioni alcuni incon-

tri nella parrocchia di san Giovanni Battista

a Velletri.

Ha animato un rosario

vocazionale, ha organiz-

zato un incontro con il grup-

po giovani molto impegnato

in parrocchia nella cate-

chesi, oratorio, caritas, coro,

ha incontrato il gruppo dei

cresimandi e i genitori dei

bambini del primo e del

secondo anno comunione.

Tutto è culminato con la Veglia di pre-

ghiera per le vocazioni presieduta dal

nostro Vescovo e partecipata dalle

diverse realtà della nostra diocesi.

Il tema che ha guidato queste gior-

nate è stato “Apriti alla Verità.

Porterai la Vita”: è necessario aprir-

si alla Verità, che è Cristo, alla sua

Parola, aprirsi con fiducia e coraggio alla

verità della nostra storia personale, per

poter leggere e riconoscere, accogliere

i segni dell’amore di Dio.

Questo permette alla nostra vita di por-

tare vita, quella vita che non finisce mai!

AAlle prime luci di sabato 10 maggio 2014 entrava nel-

la gioia del Signore Don Antonio Carughi parro-

co della Parrocchia Madonna del Rosario in Velletri l’an-

nuncia il vescovo mons. Apicella unitamente al Presbiterio

e alla Comunità parrocchiale Madonna del Rosario.

Domanda per il laborioso sacerdote la preghiera che l’ac-

compagni a ricevere la corona di gloria per i tanti anni

di servizio alla Chiesa e al popolo cristiano. Le esequie

hanno avuto luogo martedì 13 maggio 2014 nella Cattedrale

di San Clemente I in Velletri.

Nella solenne concelebrazione alla presenza di tanti sacer-

doti e tanta parte del popolo di Dio il vescovo commentando

il vangelo del giorno di Giovanni sul buon pastore ha

tracciato un sintetico profilo di don Antonio come colui

che ha partecipato alla missione del Buon Pastore per

partecipare a tutti la vita eterna affinché nessuno vada

perduto. Anche il vescovo emerito mons. Andrea M. Erba

ha voluto far giungere per iscritto un suo sentito ricordo

e caro saluto.

Ovviamente alla celebrazione era presente, insieme a tan-

ti amici, una folta rappresentanza della Parrocchia

Madonna del Rosario e i partecipanti al Cammino

Neocatecumenale. Don Antonio era nato a Genova il 12.02.1937.

Entrò tra i Cistercensi di Casamari nei primi anni ’60 e

il 19.12.1964 fu ordinato sacerdote dall’allora vescovo di

Alatri mons. Ottaviani nella stessa abbazia di Casamari.

Nel 1978 avendo lasciato la vita monastica entra nel cle-

ro diocesano svolgendo il suo ministero pastorale nelle

parrocchie di santa Maria in Trivio Velletri nel 1978 e suc-

cessivamente a Gavignano, nel 1984 ritorna a Velletri in

qualità di parroco della parrocchia della Madonna del Rosario

a Colle Jonci. Contemporaneamente ha insegnato religione

nelle scuole statali.

n. r. d.

A Sua Eccellenza

Mons. Vincenzo Apicella

Partecipo intimamente al grave lutto che ha colpito la nostra Diocesicon la morte del carissimo Don Antonio, parroco della “Madonna delRosario” in Velletri. Ho sempre conosciuto il caro confratello come vero amico e zelante pasto-

re di anime. Anche recentemente l’ho incontrato e non immaginavo la sua scomparsa dopo breve malattia. Prego con affetto che il Signore lo accolga tra le braccia della Sua misericordia. La morte di Don Antoniosia partecipe del gaudio della risurrezione.Segni, 12 maggio 2014 Mons. Andrea Maria Erba,

Vescovo Emerito

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2323GiugnoGiugno20142014

Collaboratori parr. S. Paolo Velletri

PPer volontà di don Mauro De Gregoris, Parrocodella Parrocchia San Paolo Apostolo edi Nadia Vita, dopo circa tre mesi di lavo-

ro, il 30 aprile è stata messa in scena la SacraRappresentazione “Il Servo Umile”.Il lavoro semplice, pur nella sua profondità e ric-co di catechesi, ha voluto soffermarsi sugli ulti-mi giorni terreni di Gesù Cristo, dalla condan-na a morte mediante crocifissione, fino alla Suarisurrezione. Splendidi i costumi, ideati e rea-lizzati da Nadia Vita e le scenografie, ideate erealizzate da Settimio Specchi, ma anche la scel-

ta del sottofondo musicale (brani da: “Mosè’”-“Fratello Sole e sorella Luna” - “Gesù diNazareth”), arricchita da pezzi classici dal vivodel Maestro Luka Hoti (violino) e cantati:

“Panis Angelicus” (durante la pre-parazione dell’ “ultima cena”) e“Pietà Signore” (durante la fla-gellazione).

Rappresentati nei minimi particolari: l’arresto nelGetsemani e gli incontri sulla Via del Calvariocon Maria, con Simone di Cirene, con Veronicae con le pie donne. Nei locali del “Velydance mes-si a disposizione dai coniugi Rolando ed ElisaColonnelli, si son mossi tutti, interpretando i famo-si personaggi storici da Caifa a Pilato, dai Sacerdotia Nicodemo dalle guardie giudaiche a quelle roma-ne, da Barabba agli Apostoli e alla folla che (pri-ma), festante mentre Cristo entra in Gerusalemme(poi), impaurita e senza speranza, vede soffri-re e morire il Figlio di Dio, ucciso come uno deipeggiori malfattori! La voce narrante di Elio DelleChiaie sottolineava, intanto, i momenti di pura

cronaca, alternati a brani biblico-liturgici per far meditare i presentidurante il continuo susseguirsi didialoghi incalzanti da parte degliattori, non certo professionisti: uomi-ni, donne e bambini, abitanti nelterritorio parrocchiale, non abituatialle luci della ribalta!Nonostante ciò, gli stessi hannosaputo catturare l’interesse di un’at-tenta e commossa platea. Le sce-ne più toccanti: l’innalzamento delcrocifisso e il suo ultimo respirocon la morte in croce di Gesù(Gregory Specchi), ma anche ladeposizione dalla croce di quelcorpo inerme tra le braccia di Maria(Giovanna Latini).

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Daniele e Monica

LL a festa del 1° maggio al Centro di Spiritualità S. Maria dell’Aceroè ormai una tradizione e un appuntamento fisso e atteso perla nostra Diocesi. Anche quest’anno è stato molto bello con-

dividere questa giornata di festa con tante persone, giovani, fami-

glie, ragazzi,… che sono venuti da varie parrocchie della diocesi. La mattina gli educatori dell’ACR hanno animato i giochi con i ragaz-zi, mentre le famiglie hanno potuto ascoltare un’interessante rifles-

sione tenuta dal prof. Gigi Avanti. Da qualche anno questa giorna-ta infatti è proprio dedicata alle famiglie. Abbiamo chiesto a una famiglia della parrocchia di S. Martino di con-dividerci l’incontro: “Metti un bel giorno di maggio, con un sole chesembra sorridere; sembra lo scenario ideale per parlare di AMABI-LITA’ NELLA FAMIGLIA. Questo il tema del IV° incontro delle fami-

glie che si tiene durante la Festa dell’Acero del 1°maggio. L’amabilità è presente in ognuno di noi, maspesso facciamo fatica a dimostrarlo, sì perché assur-damente ci dimentichiamo di farci amare; dimenti-chiamo tutte le espressioni di tenerezza, anche SanGiovanni Paolo II diceva che: “il nostro tempo cosìcarico di tensioni era povero di tenerezza” e che“nelle nostre famiglie c’è così poca vita umana”. Ma

non perché non amiamo ma perché imponiamo il nostro amore e nontrasmettiamo il nostro amore vivendo amabilmente.Gesù è amabile, è affabile, è accogliente; anche quando sembravache si arrabbiasse, non era rabbia, ma amore verso le cose del Padre

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IIl 1° maggio, nella piacevole cornice della Festa della Famiglia,

tenutasi, come ormai di consueto, presso il Centro di Spiritualità

dell’Acero, durante la Celebrazione Eucaristica, presieduta

dal nostro Vescovo, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor

Vincenzo Apicella, sono stati ammessi all’Ordine Sacro del Diaconato

permanente due membri della nostra Comunità Diocesana: Claudio

Barone, della Parrocchia San Giovanni Battista in Velletri e Giuseppe

Baroni della Parrocchia di Santa Maria degli Angeli in Segni.

Ai due neo ammessi gli auguri della Comunità intera affinché si

facciano portatori della Parola con l’Ascolto prima di tutto da par-

te loro, con l’Obbedienza docile e con il Servizio verso i bisognosi,

grati a Cristo per la chiamata.

suo. La sua espressione di amabilità è il Suo affidarsi agli uomini,nonostante lo tradiscano e lo condannino a morte. Il vestito di que-sta amabilità che i coniugi vestono è il sorriso. Il muso è un peccato coniugale, è sintomo di rottura; Dio non met-te mai il muso, può essere adirato ma parla.L’amabilità coltivata giorno dopo giorno porta alla raccolta di quei frut-ti che San Paolo elenca nella let-tera ai Galati: amore, gioia, pace,magnanimità, benevolenza, bon-tà, fedeltà, mitezza, dominio disé; frutti che entrano e trasfor-mano le nostre relazioni. Per poterfar maturare questi frutti dobbiamoamorevolmente usare le 3 paro-le che papa Francesco ha postocome fondamento di ogni comu-nità e aggregazione, tra cui la fami-glia: SCUSA – PERMESSO –GRAZIE. Il nostro primo grazie va al Prof.Gigi Avanti per averci aiutato ariflettere e anche sorridere suinostri numerosi spigoli, e un gra-zie a padre Vincenzo Molinaro,direttore dell’Ufficio della Famiglia,per aver donato alle famiglie del-la nostra Diocesi questa bella esperienza”.Il centro della giornata è stata la celebrazione eucaristica presieduta dalnostro vescovo Vincenzo, nella quale c’è stata l’ammissione tra i can-didati all’ordine del diaconato permanente di Giuseppe e Claudio.

Claudio

NNel pomeriggio c’è stata una bella animazione tra musica, canti, bal-li e giochi popolari che ha permesso alle persone di divertirsi e crea-

re proprio un clima famigliare e semplice! A conclusione della festa c’èstata l’estrazione dellalotteria. Ci teniamo a ringraziaretutti i volontari che ogni annopermettono la realizzazionedella festa: le persone chehanno cucinato e prepa-rato i pasti, quelle impe-gnate nel servizio al bar,quelle che si sono rese dis-ponibili alla pesca dibeneficienza, quanti han-no offerto un po’ del lorotempo per preparare l’a-nimazione del pomeriggio,gli educatori dell’ACR, lefamiglie e tutti coloro chehanno davvero contribui-to a rendere bello e acco-gliente questo posto e bel-

la questa festa per tutti! Speriamo di essere sempre più numerosi e soprat-tutto di crescere come Chiesa diocesana anche attraverso questi momen-ti di convivialità e di fraternità! Il prossimo anno aspettiamo anche te!

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Giovanni Zicarelli

NNei primi quattordici annidel XXI secolo, si èassistito ad una vera

e propria esplosione informatica,peraltro ancora in atto, di cuila causa più evidente è la vista,ovunque, di gente che guar-da costantemente un monitor,che sia quello di un pc o quel-lo di un cellulare.Si naviga senza muoversi, sicomunica con centinaia oanche migliaia di “amici” nel-la solitudine di una stanza. È in questo contesto che si pon-gono il pensiero e l’appello didon Luigi Verdi, che ha tenu-to, martedì 13 maggio, un incontro all’interno del-la navata della chiesa di San Bruno, inColleferro, ospitato del parroco don Augusto Fagnanied organizzato da don Cesare Chialastri, diret-tore della Caritas diocesana che, con una bre-ve introduzione, seguita alla presentazione diSara Bianchini, ha spiegato al pubblico intervenutola figura di don Luigi, fondatore della Fraternitàdi Romena, situata nellaPieve di Romena, nei pressidi Pratovecchio in Casentino(provincia di Arezzo) ove,all’avventore, si vuol far com-prendere l’importanza di recu-perare l’autenticità della vitae dei rapporti sociali. Proprio dalla solitudine a cuista portando la tecnologia èiniziata l’esposizione del sacer-dote, che ha posto il primo pun-to sull’assurdità del vedere grup-pi di ragazzi i quali, puruscendo insieme, sono isolati

in se stessi, intenti a chattare o anche a giocare,ognuno con il proprio telefonino. Ragazzi soli a casa e soli in gruppo che con igenitori scambiano, al più, qualche raro mono-sillabo. Padri e madri presi, specie nei grossicentri urbani, dal vortice della vita moderna, con-cepita come una miriade di cose da fare nel pocotempo gli lascia il lavoro, compreso, anche per

loro, il digitare sulla tastie-ra di un computer o diun cellulare.Ecco, don Luigi Verdi cidice che è tempo di tira-re su il fiato, di fermarsiun momento, di fare,come si dice, il puntosulla situazione. È fondamentale porrel’uomo al centro del pro-prio interesse, inizian-do da se stessi. Dobbiamo sapere chi siamo davvero e perchéciò avvenga, è essen-ziale non rinnegarenulla della nostra vita,le gioie come le soffe-renze, poiché ciò chesiamo lo dobbiamo adogni singola nostra

esperienza a cominciare dal rapporto con il pro-prio padre e la propria madre di cui dobbiamoamare le carezze ma anche i castighi perchétutto ha contribuito a fare di noi ciò che siamo. Poi non resterà che aprirsi ai propri compagni,ai propri figli, al mondo; quello degli sguardi, quel-lo che si tocca, quello che dà calore.

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Jacopo Giammatteo

QQuello che si è visto domeni-ca 11 maggio presso la cit-tadina diocesana di Colleferro

è un qualcosa di straordinario. Più diduecento ragazzi e ragazze si sono sfi-dati a calcetto e pallavolo dando vitaalla terza edizione del torneo sporti-vo diocesano “Giochiamo da Dio”. Provenienti da ogni paese della dio-cesi (e non solo visto che c’è stata lapartecipazione di alcuni ragazzi delladiocesi di Albano, che hanno vinto iltorneo di calcetto maschile) i ragazzihanno foggiato una giornata di sportemozionante, in cui si è subito nota-ta la differenza con i fatti di cronaca,che hanno riempito le prime pagine deiquotidiani nazionali. L’intento del Servizio Diocesano per la PastoraleGiovanile, organizzatrice del torneo, è stato quel-lo di voler dimostrare che si può essere testi-moni autentici e credibili del Vangelo di Gesùanche nell’ambito delle attività sportive. I ragaz-zi hanno reso vivo questo intento, dimostran-do che essere testimoni significa mettere l’uo-mo al centro dell’attività fisica, dedicandosi allapratica sportiva con agonismo, serietà e vogliadi vincere, senza però dimenticare che dietroad ogni avversario c’è una persona, che deve

essere rispettata e onorata. Tutti i partecipanti hanno capito che lo sport rap-presenta, in maniera più o meno immediata, mol-te situazioni della vita e accompagna chi lo pra-tica con impegno ad affrontarle gradualmentee senza timore, consapevoli che ogni occasio-ne è un’opportunità donata da Dio per miglio-rarsi e imparare dagli errori che si sono com-

messi. Inoltre, si è fatto palese che tra la sferasportiva e quella dell’esperienza di fede c’è unparallelismo molto intenso, che può essere sin-tetizzato prendendo ad esempio l’esperienza del-la sconfitta. Infatti è nel momento più tristedello sportivo che lo sportinsegna a non fermarsi, a rial-zarsi per riprovare, ed è in que-sti momenti che la fede va insoccorso dello sconfitto, invitandolo

a riprendere il camminoe soprattutto a non per-dere la speranza. Ed è proprio la spe-ranza che è stata rin-vigorita; infatti gra-zie a questi ragazzi sipotuto mostrare, unavolta per tutte, che l’at-tività sportiva è un mez-zo volto a educare eaiutare l’individuo lungo tutto il suo per-corso di vita. Un bel messaggio datoda questi ragazzi, un raggio di sole inun periodo arido di luce per alcuni ambi-ti dello sport italiano.Il pomeriggio è iniziato con una ceri-monia di apertura che, dopo la sfila-ta di tutte le squadre partecipanti, è sta-ta arricchita dall’ascolto di un estrat-to del discorso chepapa Francescoha rivolto allenazionali di calciodi Ital ia eArgentina in occa-sione della loropartita amiche-

vole svoltasi a Roma nel-l’agosto dell’anno scorso,per poi concludersi con alcu-ne coreografie curate dal-le scuole di ballo Old Foxdi Colleferro e Lucy Dancedi Rocca Priora. Dato il via ufficiale al torneo,

si sono svolte le partite, sia maschili che fem-minili, di calcio a 5 e di pallavolo, provenientida ogni parte della diocesi e non solo (vista lapartecipazione, come già rivelato più sopra, diuna squadra di calcio a 5 maschile provenien-

te da una parrocchia di Albano) di appartenen-za sia parrocchiale che scolastica, oltre che digruppi di amici. In tutto anno partecipato 4 squa-dre per la pallavolo sia maschile che femmini-le, 4 per il calcio a 5 femminile, e 20 squadreper il calcio a 5 maschile. Il tutto è terminato in tarda serata con la pre-miazione delle tre migliori squadre per ogni disci-plina sportiva.

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collaboratori parrocchialiS. Maria Intemerata, Lariano

UUna giornata che suscita tanti ricordi, dal 13 maggio diFatima al 1981 quando San Giovanni Paolo II subìl’attentato in piazza S. Pietro. Questi eventi sono sta-

ti la cornice per un pomeriggio di preghiera mariana vissuto inun contesto particolare: la Fonte Ontanese. Essa è tanto caraalla popolazione di Lariano. In questi ultimi anni essa viene tenu-ta pulita e quindi è un luogo di passeggio specialmente per tut-ti coloro che vogliono camminare in tranquillità. Da anni sopra la fonte è stata posta una statua dell’Immacolata. Visitata e venerata da molti, ogni tanto meta dipiccoli pellegrinaggi. Purtroppo anche da noi ci sono dei van-dali, pensiamo ragazzotti in cerca di emozioni. Infatti non voglia-mo pensare al peggio. Questi circa tre mesi or sono hanno distrutto la statua e la pic-cola grotta dove era collocata. La Associazione la Sorgente siè fatta carico di riposizionare una nuova statua. Così il 13 mag-gio si è pregato il Rosario lungo il cammino pedonale e poi lastatua nuova è stata benedetta e collocata al suo posto. La proposta che ha suscitato molti consensi è di andare fre-quentemente, a pregare il rosario, sia individualmente che neigruppi ecclesiali. Ora aspettiamo di far decollare l’iniziativa. Le autorità comunali presenti in loco, a cominciare dal sinda-co Maurizio Caliciotti, hanno fatto eco alla volontà popolare el’hanno incoraggiata impegnandosi per una maggiore custo-dia. Presenti diversa Associazioni, si civili che religiose, tuttedecise a dare a questo luogo una valenza di spiritualità chela fonte e la statua della Vergine suscitano quasi d’istinto.

Lo staff dell’Oratorio di S. Maria Intemerata

SSiamo ormai al termine di questo percorso oratoriale. Sembra chesiano passati solo pochi giorni da quando abbiamo programmatoi nostri incontri: 12 amen per dire la fede. Un bel percorso che

ha richiesto pomeriggi interi per organizzare gli appuntamenti.

Vivere la Messa: dal segno della croce iniziale, l’atto penitenziale, glo-rificare Dio, la preghiera di colletta, la professione di fede, la preghieradei fedeli, quindi l’offertorio, la consacrazione del pane e del vino, la pro-cessione verso l’Eucaristia, la preghiera silenziosa dopo aver ricevutoGesù, e ecco uscire per portare frutto, esattamente come gli apostoli.Tutto questo è stato possibile grazie alla catechesi su brani biblici, atti-vità, giochi, canti e preghiere. Quanti bei momenti vissuti con i nostri

ragazzi; di riflessione, condivisione e soprat-tutto confidenze personali…di fiducia. La maggior parte di loro sono ormai prossi-mi a ricevere il sacramento della conferma-zione, come poter lasciare nel loro cuore anco-ra un segno? Abbiamo così pensato di svol-gere il nostro ultimo incontro all’Ontanese, unluogo meraviglioso dove la presenza del nostroCreatore è respirabile in ogni angolo. Qui si sono svolti giochi, abbiamo cucinato car-ne alla brace, tante risate e per finire un riepi-logo dei nostri 12 amen dipinti su un grandestriscione. Il vento ha iniziato a soffiare con forza, e men-tre due animatori cercavano di piegare lo stri-scione per andare via ci siamo resi conto chei nostri amen erano sospesi in aria, era dav-vero uno spettacolo: le nostre ultime parolesono state perché tutti i nostri amen abbianoeffetto per portare frutto nella nostra vita. L’elementopresente in tutti è uno solo lo Spirito santo conil soffio che meravigliosamente inarcava il nostrostriscione, allo stesso modo, silenzioso, sof-fia nel cammino di ognuno e ogni giorno con-tinua a compiere prodigi.

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Sara Calì

QQuest’anno la statua del-la Madonna delle Grazieè rimasta nella Chiesa di

Santa Croce fino al 1 giugno. Pernoi artenesi la possibilità di poterpregare la sacra immagine,godendone della soave vista, unasettimana in più rispetto allanormale procedura, è stata fon-te di un’immensa e insperata gioia.Non potevamo avere regalo piùbello noi che nella chiesa delSantuario preghiamo la Santa Madreceleste coperta da uno velospesso per tutto il resto dell’an-no, non aspettando altro che queipochissimi giorni in cui viene “sco-perta”. Sabato 17 maggio la processio-ne in suo onore ha attraversatoil paese, ricreando la suggestio-ne di sempre, soprattutto nella splen-dida cornice del centro storico, conle varie Confraternite precedutedai loro stendardi e con i “Cristiinfiorati”, sempre di una bellez-za commovente per varietà di temie di colori. Quest’anno, al profu-mo delle rose, si aggiunge quel-lo dei gigli e dei garofani, dato illungo periodo di esposizione nel periodo dimassima fioritura della primavera. La processione della Madonna delle Grazie,come sempre, apre le porte all’arrivo dell’e-state e di un lungo e fervido periodo di feste:il 1° giugno si ricorda l’Ascensione di Gesù,l’8 è la Pentecoste.

Il 13 per Artena si snoderà un’altra impor-tante processione, quella in onore diSant’Antonio da Padova, che vede unagrande partecipazione di fedeli, molti dei qua-li il 15, in occasione della SS. Trinità, si reche-ranno, come vuole la tradizione artenese, inpellegrinaggio al Santuario di Vallepietra.

Seguirà, poco dopo, il 22 giugno, la pro-cessione in onore delCorpus Domini e due gior-ni dopo quella in onoredi San Giovanni, moltosentita nella frazione diColubro, la cui chiesa èintitolata al Santo. La festa, molto partico-lare, per la sopravvi-venza e la commistionedi usanze precristiane, pre-vede, la sera preceden-te, di saltare sul “peleo”,ovvero, un fascio di erbearomatiche raccolte l’an-no prima, messo a bru-ciare per saltarci sucome segno di buonaugurio. Un tempo si solevaanche scambiarsi il “garo-fano di San Giovanni” perchiamarsi “comare” o“compare”. Chiude ilmese la festività dei SS.Apostoli Pietro e Paolo

il 29 giugno. Nell’ambito delle attività delle parrocchie, inve-ce, colgo l’occasione per ricordare, a chiun-que fosse interessato, che ogni quarto saba-to del mese sono aperti al pubblico il museoe la biblioteca del Convento francescano convisite guidate gratuite.

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3030 GiugnoGiugno20142014

Valeriano Valenzi*

GGiovanni XXIII e Giovanni Paolo II, acco-munati nella solenne celebrazione del27 aprile in piazza San Pietro, sono testi-

moni fedeli del Vangelo nel mondo di oggi cheha bisogno non tanto di maestri, ma di testimonicoerenti. La cerimonia ha richiamato a Romauna folla immensa di pellegrini, di fedeli alla ricer-ca di una conferma, di individui smarriti, ansio-si di Verità e di Luce.I “media” hanno ampiamente illustrato, median-te l’intervento di biografi, di storici e di teologi,la personalità dei due nuovi Santi, ripercorren-do le tappe del loro cammino spirituale ed ecu-menico in un mondo che, emerso dalle rovinedel secondo conflitto mondiale, affrontava le inco-gnite della globalizzazione.Di papa Giovanni XXIII che si definiva “un sac-co vuoto che lo Spirito Santo ha riempito improv-visamente di forza” è emersa con chiarezza l’in-tuizione decisiva dell’idea dell’aggiornamento rife-rita al rinnovamento della Chiesa, ma radicatanella lotta per il raggiungimento di una auten-tica Santità. Di Giovanni Paolo II è stata evidenziatala tenace difesa della presenza cristiana nellasocietà, il riconoscimento dei martiri cristiani ditutte le chiese come testimoni nostri contemporanei:Karol Wojtyla, ancor prima di diventare papa,era stato un combattente della fede, un cristia-no capace di leggere anche le responsabilità deicristiani nella storia.Le due canonizzazioni sono state volute da papaFrancesco per indicare che la Chiesa, anche inun’epoca di crisi, è in grado di esprimere la san-tità e che questi ultimi successori di Pietro, coeren-

ti alla grande tradizione, l’hanno servita, rendendolaviva, capace di essere ascoltata dall’uomo con-temporaneo. Nell’emozione dell’evento che hacoinvolto un po’ tutti i credenti, nell’ottimismo o,meglio, nella spiritualità della speranza, mi sonochiesto che cosa sono state per me, per il miovissuto quotidiano queste due grandi figure chela Chiesa ci propone come guida per la cristianitàdel terzo millennio.Di papa Roncalli, che non ho avuto la fortunadi conoscere personalmente, è rimasto vivo nelmio animo il ricordo della famosa omelia “delchiaro di luna” quando si rivolse alle madri pre-senti, quella sera in piazza San Pietro, pregandoledi portare ai loro bambini “la carezza del Papa”:si apriva in quel momento una nuova epoca del-la Chiesa, un nuovo porsi del Pastore nei con-fronti del gregge, più vicino alle pagine del Vangelo.Nel 1958, quando l’allora Patriarca di Veneziafu eletto al soglio pontificio, alcuni anziani del-la nostra comunità rammentarono un certo Mons.Roncalli, segretario dell’istituto “De propagan-da fide” che era venuto a Segni nell’ottobre del’22 per una serie di prediche in occasione del-le Missioni.Su richiesta del vescovo, Mons. Sinibaldi, AngeloRoncalli era stato segnalato quale valente pre-dicatore dal cardinale Oreste Giorgi di Valmontone.Durante il breve soggiorno nella nostra città, ospi-te del rev. Canonico Vincenzo Boccardelli, pres-so la sua abitazione di via della Pretura, 5, siera agevolmente adeguato alle abitudini loca-li; la sera, dopo la recita del Rosario, apprez-zava molto le caldarroste accompagnate dal “cac-ciammitti” 1. Alla preghiera rivoltagli da don Vincenzodi non impegnare con prediche troppo lunghe

i fedeli, stanchi per il lavoro giornaliero nei can-tieri e nei boschi, il futuro Pontefice avrebbe rispo-sto: “Lo so. Al mio paese, nel bergamasco, èdiffuso il detto “prediche corte e salsicce lunghe!”.Forse, la fantasia popolare ha colorito l’aned-doto, ma certamente, tra i fedeli si era diffusal’impressione di una naturale laconica e franchezzadel personaggio!Più documentata è la presenza di Mons.Roncalli a Segni nel luglio del successivo anno1923 in occasione delle celebrazioni tenutesi perl’ottavo centenario della morte di San Bruno, patro-no della città. Nell’archivio del Capitolo della Cattedrale2 hotrovato la “Memoria” dei “Festeggiamenti religiosie civili celebratesi in Segni”, redatta, nell’ago-sto 1923, per mano del Segretario Capitolare,canonico don Gaetano Colaicomo. In tale documento viene precisato: “A tarda ora,per nove sere continue, con grande concorsodi popolo, che aumentava di giorno in giorno,si celebrò una funzione solenne, durante la qua-le veniva eseguita egregiamente scelta musi-ca: prima della benedizione eucaristica forbitidiscorsi erano tenuti da dotti oratori, quali il ReverendoCanonico don Bernardino Belloni nelle prime seisere e il Rev. Giovanni Lupidi O.E.S.A., il Rev.moDon Carlo Bolotti, di Solero, città natale del Santo.Il Rev.mo Mons. Roncalli, direttore della“Propagazione della Fede”, per gli ultimi tre gior-ni”. Il 28 ottobre 1960 Mons. Roncalli divenutoormai Pontefice con il nome di Giovanni XXIII,durante la cerimonia di consacrazione vesco-vile del nostro concittadino, Mons. Pericle Felici3,nella sua omelia, come testimoniano vari con-cittadini, tra cui Mons. Franco Fagiolo, ricordòil suo soggiorno nella nostra città.A questo proposito mi auguro che, in occasio-ne dell’attuale canonizzazione, si provveda adaffiggere una lapide a ricordo dell’onore di quel-l’evento, di cui la nostra cittadinanza può fre-

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Segni saluta Suor Camilla

DDomenica 25 maggio u.s. la comunità cristiana che è in Segniha ricordato con affetto Suor Camilla Calibeo, suora della Caritàdi Santa Giovanna Antida Thouret, vissuta per molti anni a Segni

presso l’Istituto San Gioacchino di cui fu superiora. La Messa in suf-fragio è stata celebrata da Mons. Franco Fagiolo presso la cattedraleSanta Maria Assunta. All’inizio della celebrazione è stato delineato unsintetico profilo della religiosa che di seguito riportiamo.Suor Camilla, un nome caro ai segnini, capace di sus-citare ricordi preziosi ed intimi. Arrivata giovanissima nel nostro paese da subito entròin sintonia con la comunità mettendo i propri carismia servizio di quanti, adulti o bambini, gravitavano attornoall’Istituto San Gioacchino.Tranne brevi parentesi haspeso interamente a Segni la sua vocazione religiosa,segnina a pieno titolo, ha vissuto da protagonista levicende del nostro paese.Validissima insegnante di scuola elementare e, neglianni conclusivi della sua carriera scolastica, di scuo-la dell’infanzia, ha aiutato intere generazioni a crescere. Artefice di unadidattica illuminata e all’avanguardia stimolava, nei giovani a lei affidati,l’elevamento culturale, morale e spirituale. Catechista attenta eresponsabile ha accompagnato tantissimi in percorsi di fede che li han-

no portati a ricevere i sacramenti fondamentali della vita cristiana.Abile nel disegno e nella musica metteva volentieri a disposizione i suoidoni per animare e rendere coinvolgente la liturgia.Ritiri spirituali, pellegrinaggi, campi scuola, gite, rappresentazioni teatralil’hanno vista intraprendente e solerte animatrice. Il suo fare operoso,il suo stile essenziale, capace di andare al cuore delle cose, ha fattodi lei, negli anni, un punto di riferimento per quanti avevano bisogno diconsiglio, di discernimento, di consolazione e di incoraggiamento. Contanti aveva intessuto un rapporto di fiducia e di condivisione mantenu-to anche negli ultimi anni quando, ormai anziana, si trovava a vivere

nella casa di Palestrina. Poi, inattesa, la notizia del-la morte di Suor Camilla. Le sue esequie sono statecelebrate il mercoledì della Settimana Santa, in queigiorni in cui le parole devono essere ridotte al min-imo per lasciare spazio alla meditazione del mis-tero di un Dio che si è fatto uomo ed è morto perla nostra redenzione.Anche Suor Camilla se ne è andata in silenzio, sec-ondo il suo modo di fare, abbandonandosifiduciosa nelle braccia del Padre. Per lei ci senti-amo di ripetere le parole di San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho termi-

nato la mia corsa, ho conservato la fede. ora mi resta solo la coro-na di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà inquel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che atten-dono con amore la sua manifestazione”.

giarsi. Più personale e coinvolgente è lamemoria di Giovanni Paolo II, che ho avuto ilprivilegio di incontrare tre volte.In occasione dell’udienza generale ai giornali-sti della stampa italiana ed estera, in due momen-ti successivi, fui ammesso agli abituali incontriche il Pontefice concedeva ai rappresentanti dei“media” che, nella sua lungimiranza, conside-rava nuovi strumenti di evangelizzazione.L’incontro che, in un certo senso, ha segnatola mia vita, risale al 10 febbraio 1989: nella saladelle udienze, alle ore 12.00, senza quasi avve-dermene, mi ritrovai in prima fila al passaggiodel Papa che, soffermandosi per un attimo, mifece una carezza, sorridendomi con uno sguar-do limpido e penetrante. Oggi le immagini televisive ci hanno abituato all’u-manità immediata e spontanea di PapaFrancesco, ma, un quarto di secolo fa, quel gestodi Giovanni Paolo II fu da me percepito comequalcosa di straordinario.Il 1 giugno 1988 avevo già incontrato ilPontefice, grazie all’interessamento di Mons.Vincenzo Fagiolo, arcivescovo della diocesi diChieti4, cui mi ero rivolto per la ricorrenza del-le mie nozze d’argento. Avevo realizzato un qua-dro con lo scorcio di vicolo Colabucci, la casanatale del Mons. Angelo Felici5, allora NunzioApostolico a Parigi e pensai di farne dono alPontefice, che mostrò di apprezzare l’omag-gio, come si evince dal ringraziamento fatto-mi pervenire attraverso la Segreteria di Stato,in data 11 giugno 1988. Tali incontri hanno avvalorato nel mio animo l’im-magine di una grande personalità che, con estre-

ma coerenza, con la tra-sparenza e il coraggiodi mostrare la sofferenzae la fragilità umana, hadato concretezza alla suapredicazione. Ora, nel-la solennità della cano-nizzazione dei due Papi,il ricordo di quello sguar-do sorridente e di quel-la carezza, dà luce e sere-nità alla mia vecchiaia.

*Storico Segnino

1 Primo vinello.2 AIS- Atti diversi, busta n. 107.3 Il vescovo, Mons. PericleFelici, nominato da GiovanniXXIII, fu segretario genera-le del Concilium Vaticano II.Divenuto cardinale, comeDecano, annunciò l’elezionedei Papi Giovanni Paolo I eGiovanni Paolo II.4 Ordinato cardinale, Giuristapontificio in diritto canonico,è divenuto Presidente delPontificio Consiglio per l’in-terpretazione dei testi legis-lativi.5 Nunzio apostolico in Francia,ordinato cardinale, fu prefettodella Congregazione per lacausa dei Santi.

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Stanislao Fioramonti

SSan Franco nacque a Roio, diocesi di Forcona(nel 1256 trasferita all’Aquila), durante ilpontificato di Adriano IV (1154-59). Di fami-

glia benestante, fece i primi studi con un sacer-dote del paese, Palmerio, poi entrò nell’abba-zia benedettina di S. Giovanni Battista di Collimentoa Lucoli (AQ), costruita e dotata dal conte Odorisionel 1077 quando era vescovo di Forcona S. Raniero. Dopo 20 anni lasciò la “sicurezza” del mona-stero per vivere come eremita, scelta allora piut-tosto comune. Passò un primo periodo nei boschidi Lucoli, cibandosi herbulis, glandulis et agre-stibus pomulis (erbe, bacche e frutta selvatica).In un secondo periodo, più incerto, errò primaper la catena centrale dell’Appennino abruzzese,culminante nel monte Velino, poi per la catenadel Gran Sasso. Il terzo periodo lo passò suimonti di Assergi: 5 anni al Vasto, 15 sulle bal-ze del Pizzo Cefalone (m 2533) (foto 1). Al Vasto scelse un luogo erto e pittoresco, ma

arido e privo di rifugi, a quota 1730 sotto la cimadel monte più occidentale della catena del GranSasso (m. 2132), che avrebbe preso il suo nome;si costruì una capanna secondo il sistema tra-dizionale dei pastori e alle sue preghiere l’ac-

qua zampillò dalla rupe: ancora oggi i pellegri-ni salgono a bere e a lavarsi all’”acqua di SanFranco”, per guarire dalle malattie specie del-la pelle. Dopo alcuni anni, per sfuggire ai visi-tatori sempre più frequenti, si trasferì tra i mon-ti Sabini e infine si fermò in una località più vici-na ad Assergi, ma più impervia, dove secondola leggenda un’orsa con tre orsacchiotti lo gui-dò a una grotta e gli fece a lungo compagnia;si tratta della grotta dei Peschioli, sul sentieroper il passo della Portella (m 2260), che colle-ga attraverso le alte quote il versante aquilanodi Assergi con quello teramano di Pietracamela.Da qui, per evitare il traffico dei viandanti, si spo-stò ancora più in alto, a circa 1800 metri di quo-ta, sotto le rocce del Cefalone (foto 2). Non essendo sacerdote, nelle feste principali sirecava in paese per ricevere la Comunione nel-la chiesa abbaziale di S. Maria in Silice, costrui-ta e consacrata nel 1150 dal vescovo diForcona Berardo. Qui avvenne l’episodio del bam-bino in fasce salvato dalla bocca di un lupo, dive-nuto un elemento costante dell’iconografia delsanto (foto 3).Quando l’eremita sentì prossima la morte, chie-se i sacramenti e si ritirò nella sua grotta sottoil Cefalone. Nella notte sul 5 giugno di un annointorno al 1220, quando le campane del paese

suonarono da soleprima del solito ei galli cantarono fuo-ri tempo, la gentesi svegliò, videuna luce sulla grot-ta e capì; gli uomi-ni salirono perriprenderne il cor-po del loro santoe dargli sepolturanella cripta dellachiesa. I miracoli dell’ere-mita del GranSasso richiamaronopellegrini da tuttala regione, speciedall’Aquilano e dalTeramano; ai pri-

mi del ‘300, quando nella chiesa di Assergi almonastero subentrò un capitolo di sacerdoti seco-lari, già si celebrava la sua festa il 5 giugno. All’inizio del ‘400 la chiesa che conservava lesue spoglie si arricchì di una pregiata facciataromanica in pietra, mentre nel 1481 i resti delsanto furono chiusi nell’artistica urna d’argen-to lavorata dal maestro sulmonese Giacomo diPaolo (foto 4). Nel 1757 il vescovo Sabatini ottenne l’estensionedella festa di San Franco a tutta la diocesi dell’Aquila. Aspirando a una dura vita eremitica, Franco rima-se sempre nel ristretto ambito dei suoi impervieremi del versante meridionale del Gran Sasso,rifuggendo le cariche alle quali poteva aspira-re quale uomo di cultura. Quanto ai suoi miracoli, secondo il Clementi egliopera con il meraviglioso: fa uscire l’acqua, fa

Foto 1: Pizzo Cefalone

Foto 2: Grotta di san Franco al Pizzo Cefalone

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sollevare un masso dal peso enorme, devia valan-ghe. Sono miracoli che non hanno riflessi posi-tivi nella vita d’assieme, ma si esauriscono nel-la mirificità di sé stessi. Nella tradizione popolare però, nota Edoardo Micati,è proprio tale mirificità ad aver lasciato la trac-cia più profonda, come è evidente dai molti luo-ghi di culto dedicati al Santo (un monte, due grot-te-eremi, una fonte) e dalla profonda devozio-ne dei numerosi fedeli che giungono da tutta laregione. Per visitare i suoi luoghi di culto si puòiniziare dalla stazione di partenza della funiviadel Gran Sasso, a Fonte Cerreto di Assergi, pren-dendo una strada bianca che risale il Vallonedella Portella fra i pini di un rimboschimento. La carrareccia gradualmente diventa un largosentiero dal quale a tratti si scorgono, sulla destra,le rupi della località Peschioli.A circa 1700 metri di quota, in corrispondenzadi un tornante, si devia a destra, si supera unarido valloncello e si percorre in diagonale il fian-co della montagna giungendo in breve al pin-nacolo dove è la prima grotta-eremo di S. Franco,quella dei Peschioli appunto. Tornati sul sentiero principale, si continua a sali-re fin quasi ai limite del rimboschimento; a unaltro tornante si devia a sinistra e per tracce disentiero si punta verso la base di una fascia dipareti. Si sale tenendosi sotto le pareti e si raggiungela sommità di una piccola cresta e poi una val-letta piuttosto ripida, che si attraversa puntan-

do verso il limite superiore del bosco. Dopo un brevissimo tratto fra gli alberisi prende a destra un’altra valletta ripi-dissima, che in poche centinaia di metrici conduce alla grotta sotto le rocce delCefalone, a circa 1800 metri di altezza,dove S. Franco morì. Per raggiungere l’acqua di S. Franco (foto5) invece occorre prendere la statale 17bis dell’altopiano del Vasto, che colle-ga Assergi con il Passo delle Capannelle.Poco prima della chiesetta rurale di S.Antonino si prende una strada biancasulla destra. Poco dopo che questa ha incrociato ilruscello che scende dall’Acqua di S. Franco,si devia a sinistra per un sentierino che

sale dapprima ripido suun terreno incoerente,poi traversa in diago-nale verso la cappel-lina, così descritta daun cartellone curato daArcheoclub Pescara -Majambiente:“In questa cappellinadedicata al Santo, edi-ficata superiormentea due cabine entro lequali l’acqua scaturiscedalla roccia, si può osser-vare una lapide1 chericorda il restauro fat-to nel 1945 e, sopra lalapide, un pannellocomposto da 24 formellein maiolica che raffiguraun miracolo del Santo:vi fu posto in occasio-ne della costruzione del-la chiesetta da Matteoe Luigi Cappelli nel18542. E’ interessante notare,nella parte alta di talequadro, la rappresen-tazione della sorgentee di alcune persone che vi si bagnano completamentenude. Non è escluso che tale usanza fosse un

tempo più comune di oggi. Il 5 giugno, ricorrenza della mor-te del Santo, numerosi pelle-grini giungono alla sorgente pro-venienti dai paesi vicini e daalcuni paesi della Marsica e delPescarese. Dopo aver visitato la cappel-la e asciugato il sudore dellasalita, i fedeli vanno a bagnar-si alla sorgente. Si riempionobottiglie e taniche per riporta-re a casa l’acqua che sarà dis-tribuita ai vicini e spedita ai paren-ti emigrati. L’acqua di S. Franco, usata percurare ogni genere di malat-

tia, ha la sua specifica applicazione nelle malat-tie della pelle”.

1 “Anno 1945 - mese di giugno -13 agosto. A S. FrancoPatrono Cipicchia Vincenzo ha offerto la ricostruzione dicotesto edificio a proprie spese, per la memoria del pro-prio figlio geometra Tonino, caduto per la Patria il 20 giugno 1944. Ringraziamenti di collaborazione al parroco don Ermanno Morelli, al capomastro Cocco Domenico, a tut-ti gli operai trasportatori ed al popolo di Assergi per aver portato a termine i lavori dopo molte difficoltà”.2 “S. Franco di Assergi. A div(ozio)ne di Matteo e Luigi Cappelli.A.D. 1854”. (La famiglia Cappelli era allora proprietaria del-la montagna, che oggi è comunale per la transazione del13 giugno 1949). Altre scritte lasciate negli ultimi anni daipellegrini dicono: “A S. Franco, questo luogo scelto dal suofiglio prediletto per essere più vicino a Dio, il popolo di Rojo,in memoria ed eterna devozione pose. 13/08/2002”.“Il mio pensiero è rivolto a te, san Franco, perché sono

certo che tu abbia salvato mio fratello Sabatinoil 15 agosto 2004 da un volo di 30 metri. Haiteso le tue braccia mentre cadeva ai piedi del-la fonte e la mia devozione mi ha riportato quiun anno dopo a dirti grazie.15/08/2005.Giovanni e la sua famglia (Loredana, Antonio,Cristina e Paolo)”.Una targa, infine, è stata dedicata da alcuni amici in memoria di un Franco appena scompaso.

Bibliografia: Pasquale Ottaviani, voce in Bibliotheca Sanctorum,vol. V, col. 1248, PUL 1964.Demetrio Gianfrancesco, S. Franco di Assergi ere-mita del Gran Sasso, L’Aquila 1979.

Foto 3: iconografia di san Franco.

Foto 4: Urna di S. Franco nella chiesa di Assergi.

Foto 5: l'acqua di san Franco alle

falde del monte omonimo.

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Antonio Venditti

IIl nuovo Ministro del M.I.U.R (Ministero dell’Istruzione, dell’Università,della Ricerca), Stefania Giannini, ha dichiarato proprio che si devo-no bloccare le riforme, intese come “grandi e lunghi processi”, non

esenti da complicazioni e contrapposizioni che generano, quanto meno,disagi nel mondo della scuola. Tale presa di posizione non significa affatto che tutto resterà immutato,ma tutt’altro, perché già sono stati indicati intenti di modifica della situa-zione esistente. Innanzitutto ci si deve soffermare sul significato che assu-me il proposito di porre uno “stop alle riforme”, in considerazione anchedi tutto ciò che è stato scritto sulla lunga stagione riformatrice attuata inItalia, dall’inizio del nuovo millennio, con tangibili trasformazioni in atto,peraltro lungamente attese nella seconda metà del secolo passato. A mio avviso, il riferimento non è alla “Riforma” che ha trasformato, rin-novando profondamente, l’assetto generale della Scuola italiana, ma ad

un persistente “riformismo”, tipico, del resto, di una mentalità diffusa invari settori, dov’è evidente la volontà di rimettere tutto in discussione,volendo sempre sperimentare diverse soluzioni. La contrarietà del nuo-vo Ministro è stata, infatti, espressa in rilevazione alla “sperimentazio-ne” del ciclo breve negli Istituti superiori (quattro anno) invece dei cin-que regolamentari, che, a differenza del precedente Ministro, ritiene neces-sari. La riduzione di un anno della durata del secondo ciclo dell’istru-zione, non è, infatti, modifica marginale, e riaprirebbe un vecchio dibat-tito, legato alla durata complessiva degli studi in Italia, ma anche allasolidità dei medesimi; se proprio si rende necessario uniformare tale dura-ta a quella di altri paesi, con il termine ai diciotto anni, si può agire sul-l’anticipazione dell’inizio della scuola primaria, del resto già operante,secondo il mese di nascita.Una volontà d’intervento incisivo, è stata, invece, chiaramente indicatadal Ministro, in un anello dell’istruzione, che ritiene “debole”: il trienniodella scuola media, cioè della scuola secondaria inferiore, con la preci-sazione che non ha in mente una “riforma”, ma una “rivisitazione” di talesegmento intermedio e, come tale, “strategico” per la riuscita dell’inte-ro processo di formazione. Il neo Ministro del M.I.U.R, docente di Linguisticanell’Università per stranieri di Perugia, nella prima dichiarazione “pro-grammatica”, ha indicato tre punti che, a suo parere, assumono parti-

colare rilievo: 1° il diritto allo studio, per il quale intende esaltare il “merito” e combat-tere il fenomeno della “evasione”; 2° i titoli di studio, per difenderne il valore; 3° riconoscere per testimoniare. Se per l’Università, il rapporto docenti-discenti, può rappresentare unanecessità da costruire, in molti casi, perché, soprattutto nelle grandi real-tà, esiste, e non da oggi, una separazione, che va a detrimento dellaformazione, si deve riconoscere che, invece, l’integrazione già si rea-lizza nelle scuole del primo e del secondo ciclo; si tratta soltanto di vivi-ficare sempre più tale rapporto, che è operante nel processo di insegnamento-apprendimento, nella quotidiana frequentazione, e favorisce la forma-zione integrale della personalità. L’Università, quindi, uniformemente, dovreb-be arricchirsi di tale dimensione umana, in una ristrutturazione organizzativaradicale, che permetta sempre il contatto continuo e diretto tra docen-te e studente. Così il “diritto allo studio” è rettamente inteso e così può

emergere, nella rela-zione educativa profon-da, il merito, non misu-rabile nel frettoloso esa-me, al termine dellelezioni cattedratiche,rivolte a centinaia didiscenti, distanti e sco-nosciuti; così verrebbeposto argine all’abban-dono dello studio, nei pri-mi anni di università, diproporzioni ben più vastedell’evasione dell’”obbli-go scolastico”. Il valore del titolo di stu-dio, non giuridico, masostanziale, riguarda,innanzitutto, il titolo con-seguito con l’Esame diStato, al termine delsecondo ciclo d’istruzione,ma si estende, inevita-bilmente, al consegui-mento della Laurea, chedev’essere il risultato diuna formazione incisiva,con l’acquisizione dellecompetenze previste dalpiano di studi e corri-

spondenti ai livelli europei, con possibilità effettiva di rapido e adegua-to inserimento nel mondo del lavoro. In siffatta impostazione, al di là diogni formalismo, autoreferenzialità e mistificazione, il merito assume ilgiusto valore, da riconoscere ed utilizzare opportunamente. In tale contesto, emerge la funzione degli insegnanti, in ogni ordine egrado d’istruzione: funzione da risollevare dallo stato di abbandono incui versa, per effetto, principalmente della crisi economica, ma ancheper l’indifferenza, non solo politica, nei confronti di una categoria, sostan-zialmente non considerata, nella fondamentale funzione che svolge edemarginata socialmente. Prima ancora dell’adeguamento, senz’altro necessario, delle retribuzio-ni, tra le più basse in Europa, occorre restituire, nella proclamata “cen-tralità della scuola”, valore alla funzione docente, indispensabile per ilraggiungimento degli obiettivi formativi e sociali. Per far questo, non c’è bisogno di alcuna riforma, ma soltanto del rilan-cio dell’istituzione scolastica, dotata dei mezzi necessari per l’efficien-za organizzativa e per l’efficacia dell’azione educativa e didattica. Non basta, quindi, il piano di ristrutturazione edilizia, pur importante perla risoluzione dei problemi logistici: necessita un piano urgente, per resti-tuire “dignità” e motivazione ai docenti, impegnandoli, con serenità edentusiasmo, nel fondamentale servizio culturale e sociale.

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Mara Della Vecchia

II n concomitanza con la canonizzazione dipapa Giovanni Paolo II, sono state pro-mosse numerose iniziative culturali, oltre

che religiose e spirituali, dunque assistiamo amolteplici pubblicazione di libri, articoli, perio-dici, trasmissioni televisive, opere teatrali. Non poteva mancare il musical, linguaggio cheunisce più discipline artistiche: teatro, musica,danza e che per questo riesce ad arrivare a unvasto pubblico, diffondendosi anche oltre la sin-gola rappresentazione attraverso i momenti musi-cali più belli e significativi. Il titolo dell’opera musi-cal è Karol Wojtila la vera storia, dedicato, quin-di, all’uomo oltre che al Pontefice.La prima mondiale dell’opera è stata rappresentataa Cracovia, città che ospiterà la prossima GiornataMondiale della Gioventù, il 2 aprile scorso, doveè rimasta fino al giorno 5 per poi iniziare a viag-giare per tutto il mondo. In Italia è già stata rappresentata a Roma al tea-tro Brancaccio e sta continuando a girare neiteatri di altre città italiane. L’originalità dell’operaconsiste nell’uso, per la prima volta a teatro, didue tecnologie diverse e cioè le immagini in 3De l’ologramma. La regia dello spettacolo è di Duccio Forzano,che è anche uno degli autori, più conosciuto peraver diretto il festival di Sanremo e altri programmitelevisivi. Le musiche originali e inedite sono diNoa e Solis String Solist. Il cast è formato daben ventisette attori, tra cui anche un giovanissimointerprete, nel ruolo dei Karol bambino. Lo spet-

tacolo, proprio grazie alla tecnologia, siarticola su due piani: quello reale e quel-lo virtuale, allo scopo di raccontare siagli accadimenti che attraversano la vitadel protagonista, sia la sua interiorità,il suo viaggio personale per arrivare alsacerdozio e infine approdare al sogliopontificio. La narrazione della vita di Giovanni PaoloII inizia con il drammatico evento del-l’attentato del 13 maggio 1981, in piaz-za San Pietro e ripercorre gli eventi salien-ti della sua vita attraverso dei flashbacksin dall’infanzia nella sua città natale

Wadovice, perché, comeera solito affermare GiovanniPaolo II, in questa cittadinapolacca aveva avuto ini-zio tutto: la vita, la scuo-la, gli studi, il sacerdozioe si snoda attraverso il rac-conto degli episodi che met-tono in luce la sua deter-minazione, il suo coraggio,la sua grande umanità e

compassione. Poi la sua vita pubblica come pon-tefice della Chiesa cattolica, nota a tutti con inumerosissimi viaggi apostolici in tutto il mon-do, gli incontri con le personalità più potenti del-la Terra, il suo profondo e appassionato inte-resse verso i giovani e le sue indimenticabili Giornatedella Gioventù. Il risultato è uno spettacolo mol-to bello e coinvolgente dove la commistione direcitazione, coreografie, musica, video 3D e olo-grammi trasportano lo spettatore in un’avven-tura emozionante.

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Giovanni Abruzzese

IIl Preside Antonio Venditti torna nel pano-rama letterario con un altro romanzo: “Il Mondoin soffitta”, il terzo dopo “Il Bandito della

Regina” e “Albero secolare del 1999”. Il libro,in copertina e al suo interno è impreziosito dal-le stampe dei dipinti del maestro Agostino DeRomanis. La storia, di pura fantasia, ambien-tata in una località immaginaria, probabilmen-te in Abruzzo, narra di una famiglia che si tra-manda di padre infiglio i valori della vita.Tre, anzi quattro gene-razioni, si scambianoil testimone per tene-re alti i principi di leal-tà, onestà, filantropia,socialità… insommaquei valori di cui tan-to, da sempre, il mon-do ha un assetatobisogno e che solisaprebbero garantirequel modello di vita giu-sto, ideale che spes-so è definito utopisti-co. Dalle voci greche ο «non» e τ πος «luogo»;letteralmente signifi-ca «luogo che nonesiste», si sottintendenella realtà. È, certa-mente assicurato que-sto assioma, quandonon esistono le volon-tà individuali e collet-tive a che certi obiettivi, sogni, progetti… si rea-lizzino: quando, cioè, venga a mancare la “Volontàbuona” perché diventino Realtà. I protagonisti principi della storia sono, oltre allafamiglia Temmeroni, un manipolo di personag-gi a questa legati da affetto, stima, condivisio-ne di idee e relazioni parentali. Questi fanno squadra nel tentativo di isolare oquantomeno contenere i propositi immorali diuna schiera di sostenitori del sindaco in carica:Olimpio Mascioni che volendo riconfermarsi talealle elezioni successive imbastisce una campagnaelettorale fatta di proclami, promesse ambizio-se e spropositate che hanno lo scopo di otte-nere il consenso a poter continuare a fare del-la cosa pubblica un’opportunità di affare priva-to da condividere tra una ristretta schiera di spe-culatori e clienti senza scrupoli. A contenderel’ufficio di sindaco vi è Cosimo Temmeroni, unmeccanico, che mostrerà di possedere lestraordinarie doti di uomo probo, giusto, one-sto, paziente, umile… insomma doti opposte aquelle del Mascioni. L’Autore, con abile capacità di analisi, sa attri-buire ad ogni personaggio quelle caratteristichetipiche che fanno di alcuni dei disonesti profit-tatori e di altri dei semplici esseri umani tena-cemente innamorati della Vita in tutte le espres-sioni in cui questa si manifesta.

Questi si mostrano sensibili al bello naturale deipaesaggi, delle tradizioni culturali, delle opered’arte in tutte le sue forme: pittoriche, architet-toniche, musicali, letterarie…, all’animo umanoche si esprime attraverso la diversità che è ric-chezza di varietà dell’essere persona. Insommasi tratta della lotta tra una visione oltre che razio-nale, anche romantica della vita e la visione solomaterialistica. Il lettore potrà individuare la gam-ma dei comportamenti opposti che si differen-ziano per modo di esprimersi, per strategia adot-

tata e per stile perso-nale. Così ognunopotrà riportare allamente o alla coscien-za ingiustizie, raggiri,beffe, tradimenti, sopru-si subiti, ma anche aiu-ti, solidarietà, azioni bene-fiche, gentilezze, dona-zioni ricevute. L’Autore, nel manteneresempre un atteggia-mento assolutamenteequilibrato nel con-durre la sua disaminadella realtà, non sca-de mai nella lamenta-zione, né nella spietatadenuncia di compor-tamenti riprovevoli:sempre li tratta con pie-tas, con l’atteggia-mento, per nulla super-bo, di chi ha coscien-za che la realtà sicompone anche diquesto e che, pur

essendo determinato ad opporsi ai comporta-menti ingiusti, sa che ci si deve sforzare di faresalvi i personaggi che li adottano, perché comun-que anch’essi figli di Dio, che potranno sempreredimersi e convertirsi al bene prima o poi sesarà forte e determinata la ragione dei giusti.Se veramente si vuole partecipare alla realiz-zazione di un mondo migliore dobbiamo impa-rare tutti a saper cogliere il positivo e celebrar-lo ogni qualvolta si manifesti. Lasciarsi andare a perverso desiderio di con-centrarsi più sugli scandali che sui gesti “nor-mali”, significa rischiare di fare della “anorma-lità” la “normalità” e viceversa: questo giustifi-cherebbe la vera fine del mondo! Il Padre di Cosimo, ritirato nella soffitta di casasua, parla con i nipoti della possibilità che il mon-do finisca. Da questi viene frainteso e solo allafine scoprono che le parole del nonno voglio-no significare che, pur morendo ogni istante ilmondo precedente, ogni giorno, ogni anno, ogniera, sempre e subito ve ne è uno successivoche si fa spazio e che avanza sostituendosi alprimo. Questo non si fonda mai dal nulla, si imper-nia su quello vecchio appena superato.L’immagine rende bene il senso della vita e del-la storia dove il passato, il presente e il futurodevono formare un ordito, che con le necessariediversità mantenga integre alcune forme, alcu-

ni colori, alcuni fili a garantire armonia al tes-suto. Solo quando questa armonia dovesse esse-re veramente e definitivamente compromessada uno strappo irriducibile, allora sì, il mondofinirebbe per davvero! Nel testo si aprono una serie di quadretti checontengono specifici dialoghi sulla cultura, sul-la politica, sull’amicizia, sull’amore figliale,parentale, coniugale e sensuale, sul sentimen-to religioso, sul concetto di pace, difesa, comu-nicazione, filosofia, violenza… insomma è unospaccato rappresentativo del mondo e di chi loabita. Vi sono colpi di scena che, lasciando illettore stupefatto, lo invitano anche a porsi tut-ta una serie di domande, del tipo: “come mi sareicomportato io di fronte ad una situazione del gene-re? Avrei ceduto alla pressione del condizionamentodei luoghi comuni oppure sarei stato capace diagire liberamente, facendomi dettare le regoledi comportamento dalla mia coscienza e dallaragione?”. La lettura di questo libro ci invita ad entrare nel-la dimensione dell’umanità, della natura, dei prin-cipi morali ed etici, in quel mondo che troppospesso rischiamo di perdere di vista presi dal-la frenesia di operare, produrre, consumare, con-fliggere dimentichi che il Mondo, quello vero, nonva messo in soffitta per essere dimenticato, sem-mai per conservarlo e poterlo sempre guarda-re ancora con occhi rinnovati ed entusiastici. Il Preside Venditti, in questa opera manifesta tut-to lo spirito politico che da sempre ha animatoe giustificato il suo agire, come uomo, marito,padre di famiglia, nonno, ma anche e soprat-tutto come professionista: insegnante, prima, pre-side, poi. Avendo avuto il privilegio di lavorarecon lui e di essergli vicino, ho preso ancor piùcoscienza di ciò che nella mia coscienza già ave-va preso ad avanzare: La Politica, quella conla “P” maiuscola ogni cittadino dovrebbe agir-la innanzitutto nell’ambito della propria contin-genza, sforzandosi di tradurre in atti tutti i pro-positi, le idee, i valori che a parole si professa-no comunemente, per sconfiggere la corruzio-ne, l’arroganza, l’accidia, il delirio di onnipotenzae quant’altro contribuisca a generare un mon-do degradato. La differenza tra un “omuncolo” e un “Uomo” degnodi essere così classificato, sta nel fatto che ilprimo agisce per il limitato fine di perseguire suoipersonali e individuali interessi, il secondo lo fasempre tenendo ben in vista il destino dell’in-tera umanità di cui sa di essere solo una par-te significante, ma non propriamente e neces-sariamente significativa. Questi sa che il suo operato, se positivo, river-bererà per il resto del tempo a venire e che cosìpotrà sopravvivere alla morte corporale, restan-do protagonista, con lo spirito, nel mondo checontinuerà a vivere dopo di lui. Il libro è in ven-dita presso la Libreria “Numero 6” di RobertoZaccagnini, in via Croce. L’intero ricavato saràdevoluto all’Associazione umanitaria “Nuova Velletriper il Mali” del prof. Pier Luigi Starace, per aiu-tare quelle sfortunate popolazioni.

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Edoardo Baietti

IIn questi giorni di giugno, ben dueeventi culturali interesseranno lastruttura del Museo Diocesano, preludio ad

un’estate veliterna ricca di sorprese. Seguendol’ordine temporale, la prima iniziativa su cui ren-dicontiamo è la mostra fotografica “LeMadonnelle di Velletri ed altre immagini sacre“,inaugurata sabato 31 maggio. Partecipando all’e-sposizione, curata dall’Associazione Culturale“Click Paolopacephoto” grazie al patrocinio delComune di Velletri e del Museo Diocesano, i visi-tatori avranno la possibilità di visionare oltre cen-to fotografie, frutto di appassionataricerca e documentazione. Le Madonnelle e le immagini sacre,da Tevola ai Cinque Archi, daPratolungo all’Artemisio. La mostra rimarrà aperta finoa domenica 8 giugno,ospitatapresso la sala Silvana PaoliniAngelucci. Speriamo che l’invitopossa raccogliere un vastoconsenso, visto che proprio dal-la partecipazione della cittadi-nanza eventi del genere trovanolinfa vitale. Da segnare sull’agenda l’ap-puntamento del 13 giugno,con la presentazione presso ilMuseo Diocesano alle ore17,00 del volume “In carroz-za con il Cardinale Duca - EnricoStuart: i suoi luoghi, il suo tempo” diGregorio Grande. Una conferenza sulla figuraprotagonista del libro vedrà interventi di ClaudioLurati, Giorgio Orioli, Luca Leoni e Giulio Bernini. Nel corso dell’evento avremo anche la possi-bilità di apprezzare le icone della Theotokos deimaestri Roberto Roncaccia e Fabio Pontecorvi.È sempre piacevole vedere l’ar-te e la cultura andare a braccettocon il sociale, e anche in questocaso ne abbiamo un esempio lode-vole: la diffusione del volumesi inserisce nella campagna“Basta un libro per salvare unavita”, promossa dall’associazio-ne “Lares et Urbs” a sostegnodella maternità dell’ospedale diKalongo -Uganda, in collabora-zione con la Fondazione Dr.Ambrosoli Memorial Hospital. Di seguito, alcune note tratte dal-la scheda tecnica del libro, un pic-colo assaggio prima dell’imminentepresentazione: “Il volume riper-corre la vita e i luoghi di EnricoStuart, Cardinale duca di York (1725-1807), che fu principe e vesco-vo di Frascati per oltre quaran-t’anni. Ma il Cardinale Duca eraanche l’erede legittimo del tronod’Inghilterra: con lui si estinse ilramo principale degli Stuart,

che aveva regnato sulle isole britanniche dallamorte di Elisabetta I alla “Glorious Revolution”del 1688.Cosa aveva portato l’ultimo degli Stuart a nasce-re a Roma e a diventare Cardinale della Chiesacattolica? Perché l’insurrezione scozzese del 1745prese le mosse dal palazzo Savelli di Albano? Qual è il filo sottile che lega al territorio dei CastelliRomani una dinastia protagonista della grandestoria europea?”

Queste brevi note di presentazione chiaramentenon rendono un’epitome onesta della complessitàdel libro di Gregorio Grande, testo che si sno-da tra i vari luoghi del territorio toccati dai pro-tagonisti, con un minuzioso lavoro di documentazioneche non solo impreziosisce il volume, ma lo ren-de adatto per una lettura approfondita e non di

esclusivo, seppur piacevole, divertissement. Albano, Castelgandolfo, Colonna, Frascati,Grottaferrata, Lanuvio, Monte Compatri, MontePorzio Catone, Rocca Di Papa e Velletri i tan-ti comuni interessati e congiunti dalle parole del-l’autore Grande, che collega le varie tappe conla passione dello scrittore e l’accuratezza del ricer-catore. Completano il volume alcuni documen-ti inediti dagli archivi dell’Abbazia di Grottaferrata. Dopo la conferenza seguirà una visita guidata

al Museo Diocesano e alla Cappella della Madonnadelle Grazie, a cura della dott.ssa Sara Bruno.Tante le opportunità, dunque, offerte da questolibro: apprezzare una piacevole lettura che alvalore documentale unisce uno stimolante per-corso, territoriale da un lato e di riflessione dal-l’altro; analizzare una riscoperta della nostra Velletri

e dei comuni limitrofi inte-ressante sia per l’esper-to che per il lettore onni-voro, curioso di conosceresegreti ed eventi chehanno scandito le stradeche oggi percorriamo masecoli prima delle nostrenascite; infine, oltre all’ar-ricchimento culturale, si potràavere anche la soddisfa-zione di poter contribuirecon un piccolo gesto adun importante progetto dibeneficenza. Un doppio appuntamen-to al museo tra arte, sto-ria, cultura e impegno socia-le. Di questi tempi, in cuila qualità troppo spessosoccombe a logiche seria-li o iniziative futili, la pre-senza di iniziative disostanza ci rende senz’altropiù fiduciosi.

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Tiziano Vecellio,

Amor sacro e Amor profano,data presunta 1514-15,

Galleria Borghese, Roma / 1

don Marco Nemesi*

QQuesto quadro è uno dei simboli dellaGalleria Borghese e una delle operepiù belle di Tiziano Vecellio giovane:

colori intensi e corposi, figure femminili sensuali,un paesaggio reso naturalisticamente. Una veracelebrazione della bellezza e della maestrìa colo-ristica del pittore.Ma l’opera condivide lo stesso destino di altri

celebri quadri rinascimentali (La Primavera diBotticelli, La Tempesta di Giorgione, LaFlagellazione di Piero della Francesca): non neconosciamo la data sicura di esecuzione e nem-meno il soggetto reale dipinto. L’opera, di cui non si avrà alcuna notizia sinoalla metà del Seicento e per la quale alla finedell’Ottocento i banchieri Rotschild offrirono inva-no un prezzo enorme per poterla avere, è la piùsignificativa del percorso giovanile di Tiziano,sicuramente una delle più studiate dell’intera sto-ria dell’arte e ancora oggi non del tutto chiari-ta nei suoi significati simbolici. Qui ogni elemento, anche il più minuto e alme-no apparentemente marginale, diventa il segna-le di un nuovo modo di pensare e di ripropor-re il tema figurativo, quale mai prima di allorasi era visto nella pittura italiana.Solo il restauro compiuto nel 1990-93 ha per-messo di scoprire la complessa genesi della com-posizione: i numerosi pentimenti emersi dalleradiografie indicano i dubbi che attanagliaronoil pittore sia riguardo alla concezione generalesia a proposito dell’esecuzione dell’opera.Il dipinto fu realizzato in un periodo in cui la repub-blica di Venezia, dopo l’occupazione di Bisanzioda parte dei turchi e la conquista dell’Americada parte degli spagnoli, che spostarono i traf-fici dal Mediterraneo all’Atlantico, si era vista costret-ta a espandersi verso l’entroterra, ampliando ilsuo raggio d’azione commerciale a spese del-

le terre romagnole dello Stato della chiesa e diquasi l’intero Lombardo-Veneto, spingendosi finoai possedimenti imperiali, come il Friuli, Gorizia,Trieste e FiumeContro di essa la chiesa organizzò la Lega di

Cambrai, al fine di spartirsi, con l’appoggio deifrancesi (che non volevano cedere a Veneziail ducato milanese), degli spagnoli (imparenta-ti con gli imperiali di Massimiliano I d’Austria)e delle signorie di Ferrara e di Mantova, tutti iterritori della Serenissima. Fu il maggior con-flitto delle guerre italiane del Rinascimento, inquanto ai contendenti presto si unirono ingle-si, scozzesi, ungheresi, svizzeri, fiorentini e urbi-nati, in guerra tra loro o contro Venezia o con-tro i francesi.Grazie alla sua abilità diplomatica e con uno sfor-zo enorme, in termini di uomini e di finanze, Veneziariuscì a rovesciare le alleanze più volte, vince-re la guerra (1509-1516) e ritornare quasi aglioriginali confini. Questo anche perché il papa-to, ormai sempre più filo-spagnolo, aveva capi-to che nel caso in cui avessero vinto gli anti-clericali francesi, intenzionati a espandersi nel-la penisola, questi sarebbero stati un nemicoassai peggiore di Venezia, la quale, pur aven-do occupato alcuni territori della Romagna e pre-tendendo di nominare il clero nei propri terri-tori, era sicuramente meno potente dellaFrancia.Conclusa la guerra, si apre per Venezia, unadelle città più importanti d’Europa (la più popo-losa d’Italia dopo Napoli), un periodo di nuovientusiasmi e di ambiziosi progetti di rinnovamentoarchitettonico e artistico. E Tiziano, il maggiordiscepolo di Giorgione, si accingeva a diven-tare il pittore ufficiale della Repubblica.Il committente del dipinto Amor Sacro e AmorProfano, di Tiziano Vecellio, è stata desunto daun fregio della fontana-sarcofago, identificatodal Gnoli nel 1902 e confermato dal Mayer nel1939, come lo stemma araldico del gran can-celliere di Venezia, Niccolò Aurelio, dotto uma-nista e collezionista, committente del dipinto perle sue nozze con Laura Bagarotto nel 1514. L’Aurelio era divenuto gran cancelliere nel 1523,ma poi, caduto in disgrazia, fu condannato all’e-silio a vita. Il blasone della famiglia della spo-

sa, nella decorazione del piatto d’argento sulbordo della fontana, è stato invece identificatonel 1975 dal Wethey.Niccolò Aurelio, già segretario del Consiglio deiDieci sin dal 1507, aveva contribuito a condannarea morte, durante la guerra della Lega di Cambrai,il padre della sposa, Bertuccio Bagarotto, giu-rista padovano, in quanto, dopo la disfatta diVenezia nella battaglia di Agnadello del 1509e in seguito alla caduta di Padova sotto gli impe-riali, egli aveva accettato da quest’ultimi la cari-ca di “Deputato ad Impiria“, pensando di riusci-re in qualche maniera a tutelare gli interessi del-la repubblica veneziana.Quella mossa però fu interpretata dal Consigliodei Dieci come un tradimento e quandoVenezia riconquisterà Padova, il doge AndreaGritti fece arrestare Bagarotto, impiccandolo aVenezia nel 1511. Pare dunque che il matrimoniofosse stato in un certo senso “riparatore”, in quan-to, appurata la falsità dell’accusa, Venezia vole-va rappacificarsi con Padova.L’opera comunque doveva essere non solo unimportante dono di nozze e di riconciliazione colcasato della moglie, ma anche un atto politicoda cui derivasse un simbolo dello splendore degliAurelii presso i veneziani.Il titolo attuale, Amor Divino e Amor Profano,dato nel corso di un inventario del 1693 pres-so la Galleria Borghese, è castigato, in quan-to nel dipinto non vi è nulla di “sacro”, nel sen-so “cristiano” del termine. In verità nel catalogo della Galleria è indicatocon differenti diciture, di cui la prima del 1613è probabilmente quella più vicina alle intenzionidell’autore: “Beltà disornata e Beltà ornata”, cheprobabilmente non metteva in forma nettamenteoppositiva le due figure, essendo peraltro incre-dibilmente somigliantiL’Amore libero della donna seminuda, amman-tato di rosso, è raffigurato in piena luce, poichénon è condizionato da interessi di sorta, men-tre l’Amore convenzionale della donna sposa-ta è fasciato da ricche vesti e si staglia controuno sfondo ombroso: il bilanciamento luministico,cromatico e compositivo assume quindi ancheun preciso significato simbolico.L’opera è di grande importanza per quanto riguar-

continua nella pag. accanto

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da la poetica di Tiziano: si tratta infatti dell’u-nica tela interpretabile in chiave neoplatonica(corrente caratteristica dell’ambiente toscano,cui si contrapponeva l’aristotelismo tipico di Venezia). Il raffinato classicismo, ricco di sottili allusionisimboliche, è una conquista tutta personale delgiovane Tiziano, che si recherà a Roma solonel 1545. Vi è inoltre un altro livello di letturadell’opera, oggi considerato piuttosto supera-to, alludente al comportamento che una buo-na moglie deve tenere in privato e in società,all’immagine irreprensibile che deve dare di séla moglie di un personaggio politico come NiccolòAurelio, peraltro anche amico ed estimatore delBembo, il maggior sostenitore del ritorno al Petrarcae all’uso della lingua italiana.Notevoli restano le proporzioni del dipinto, deci-samente inconsuete per un tema allegorico eper il nudo femminile.Lo sfondo su cui sono collocate le due figuresembra rappresentare il tentativo di mettere inopposizione il piacere (la “Felicità Eterna” chedisprezza le corruttibili cose terrene) col dove-re (la “Felicità Breve”, adorna di gemme e sod-disfatta da una effimera felicità mondana, ter-rena), in quanto il paesaggio non ha una con-tinuità vera e propria;anzi, viene in un cer-to senso diviso dauna folta vegetazione(dietro il putto), cosìcome i bassorilievidel sarcofago sonoseparati visivamenteda un arbusto.Tuttavia le due dif-ferenti orografiepossono ancheessere viste comecomplementari, inquanto la donnanuda pare guarda-re Cupido (l’eros)come possibilemediazione in gra-do di collegare l’e-tica con l’estetica. E’probabile che il gio-vane Tiziano pensasse ancora all’amore comeideale perseguibile da una classe borghese chenon volesse rinunciare alla propria umanizza-zione.A sinistra, dietro l’Amore etico, convenzionale,istituzionale, codificato, si nota un paesaggio oscu-ro, con una vegetazione lussureggiante, una cit-tà fortificata su un colle e due lepri o conigli (sim-bolo di fertilità animale), con un sentiero in sali-ta percorso da un cavaliere diretto al castello,metafora di una vita faticosa per giungere allarealizzazione di sé sul piano secolare, civile, poli-tico, economico. L’alba indica appunto un inizio.A destra il paesaggio più rustico e pianeggiante,al tramonto, punteggiato da greggi al pascoloche evocano le utopie bucoliche; in lontanan-za si scorgono dei cavalieri che si godono unabattuta di caccia, una lepre inseguita da un altro

animale, una coppia di pastori e una chieset-ta di campagna con tanto di campanile (la reli-gione qui è vista in maniera popolare, non isti-tuzionale).Alcuni critici hanno ipotizzato che il Tiziano sisia ispirato al paesaggio della Val Lapisina, pres-so Serravalle, per alcuni anni residenza del pit-tore: così il castello di sinistra corrispondereb-be alla torre di San Floriano e lo specchio d’ac-qua al lago Morto.Secondo E. Panofsky il dipinto rappresenta le“Due Veneri gemelle” nel senso di Ficino. La figura nuda è la “Venere celeste”, che sim-boleggia il principio della bellezza eterna e uni-versale, puramente intellegibile, priva di aspet-ti esteriori (e l’Amorino che gioca con l’acquasarebbe suo figlio). La seconda è la “Venere ter-rena”, che simboleggia la “forza generatrice” checrea le immagini temporanee ma visibili e tan-gibili della bellezza sulla terra. Ambedue sonopertanto, secondo l’espressione ficiniana, “ono-revoli e degne di lode, ciascuna a modo suo”.Il tema delle due Veneri può derivare anche dalSimposio di Platone. Nella visione neoplatoni-ca, condivisa da Tiziano e dalla cerchia degliumanisti veneziani, la contemplazione della bel-

lezza del creato era finalizzata a percepire laperfezione dell’ordine del cosmo, che non neces-sariamente doveva avere un contenuto religioso.Anzi se nel dipinto vi fosse, apparirebbealquanto blasfemo, poiché il simbolo religiosoper eccellenza, il campanile della chiesa sullosfondo, non è stato posto dietro la donna vesti-ta ma dietro quella nuda. In ogni caso Stato echiesa appaiono qui separati.Venere rappresenta la felicità eterna, celestia-le e l’amore spirituale; il manto rosso e la fiac-cola che arde nella sua mano, sono il simbolodella sua natura passionale (il mantello rossoe il lenzuolo bianco sono invertiti nei ruoli del-le due donne). Sullo sfondo, alle sue spalle si vede una chie-sa per sottolineare il carattere sacro della Venereceleste; il paesaggio è montuoso e per un sen-

tiero si inerpica un cavaliere: questo per signi-ficare che il cammino per raggiungere la virtùsuprema è lungo e faticoso.La donna che indossa un sontuoso abito nuzia-le bianco e rosso, stretto da una cintura, e chereca nei biondi capelli sciolti una coroncina di

mirto, pianta sacra aVenere e simbolo del-l’amore coniugale, alle-goricamente rappresen-ta l’iniziazione ai miste-ri dell’amore, aiutata, inquesto, dalla Venerenuda e dal suo pupillo,Cupido, che smuove leacque in superficie nel-la fontana, giocando conil destino dell’uomo. Alla condizione di sposaalludono anche il mazzettodi rose nella mano destrae i guanti. Appare come una grandama formosa, in atteg-giamento di estraneità earistocratico distaccorispetto all’altra e aCupido, come fosse

assorta nello svolgimento di un ruolo prestabi-lito, che le dà un certo prestigio sociale. È stabilmente seduta, più “incassata” rispettoall’altra, come bloccata nell’azione, a mostra-re la sua sicura materialità nei confronti dell’aereaspiritualità della sua compagna, che invece èpiù sciolta, disinvolta, slanciata, armoniosa, mobi-le, il cui sfondo luminoso le dà maggiore sere-nità. Paradossalmente, nonostante la proprianudità, sembra esibirsi meno lei dell’altra. La donna sposata può guardare l’osservatoreproprio perché esprime l’etica, mentre l’altra, sel’avesse fatto, sarebbe parsa eccessivamenteseducente, provocante, ammiccante.

continua

*Direttore Uff. diocesano Beni culturali, Chiese e Arte sacra

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