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NEL PROSSIMO NUMERO TERAPIA CONTINUATIVA Mieloma multiplo • Leucemia mieloide cronica • Sindromi mielodisplastiche • Leucemie acute • Linfomi non-HG • Edizioni Medico Scientifiche - Pavia EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 8 Numero 2 2011 Seminari di Ematologia Oncologica Cellule staminali ISSN 2038-2839

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Page 1: Anno 8 Seminari 2011 di Ematologia Oncologica · 2013. 5. 20. · Federico Caligaris Cappio Università Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano Antonio Cuneo Università degli

NEL PROSSIMO NUMERO

TERAPIA CONTINUATIVA Mieloma multiplo • Leucemia mieloide cronica • Sindromi mielodisplastiche • Leucemie acute • Linfomi non-HG •

Edizioni Medico Scientifiche - Pavia

E D I Z I O N I I N T E R N A Z I O N A L I s r l

Editor in chiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Anno 8Numero 22011 Seminari

di EmatologiaOncologica

Cellule staminali

ISSN 2038-2839

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Edizioni Internazionali srlDivisione EDIMES

Edizioni Medico-Scientifiche - PaviaVia Riviera, 39 - 27100 Pavia

Tel. +39 0382 526253 r.a. - Fax +39 0382 423120E-mail: [email protected]

Editor in ChiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Fondazione IRCCS Ca’ GrandaOspedale Maggiore Policlinico di Milano

Editorial BoardSergio Amadori

Università degli Studi Tor Vergata, Roma

Mario BoccadoroUniversità degli Studi, Torino

Alberto BosiUniversità degli Studi, Firenze

Federico Caligaris CappioUniversità Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano

Antonio CuneoUniversità degli Studi, Ferrara

Marco GobbiUniversità degli Studi, Genova

Fabrizio PaneUniversità degli Studi, Pisa

Mario PetriniUniversità degli Studi, Napoli

Giovanni PizzoloUniversità degli Studi, Verona

Giorgina SpecchiaUniversità degli Studi, Bari

Direttore ResponsabilePaolo E. Zoncada

Registrazione Trib. di Milano n. 532del 6 settembre 2007

Vol. 8 - n. 2 - 2011Biologia e medicina rigenerativa 5ELENA CATTANEO

Plasticità terapeutica delle staminali neurali 23GIANVITO MARTINO, STEFANO SANDRONE

Staminali e rigenerazione cardiaca 35FEDERICO MOSNA, GIOVANNI PIZZOLO,

MAURO KRAMPERA

Staminali e malattie autoimmuni 55RICCARDO SACCARDI

Terapie cellulari nei tumori solidi 69MARCO BREGNI

Cellule staminali

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PeriodicitàQuadrimestrale

ScopiSeminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiorna-mento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione direndere più facilmente e rapidamente disponibili in formazioni suargomenti pertinenti l’ematologia oncologica.Lo scopo della rivista è quello di as sistere il lettore fornendo-gli in maniera esaustiva:a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in formachiara, aggiornata e concisa;

b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gliinteressi culturali degli specialisti interessati;

NORME REDAZIONALI

1) Il testo dell’articolo deve essere editato utilizzando il programmaMicrosoft Word per Windows o Macintosh. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 5gg. dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro.

2) L’Autore è tenuto ad ottenere l’autorizzazione di «Copyright»qualora riproduca nel testo tabelle, figure, microfotografie odaltro materiale iconografico già pubblicato altrove. Tale mate-riale illustrativo dovrà essere riprodotto con la dicitura «perconcessione di …» seguito dalla citazione della fonte di pro-venienza.

3) Il manoscritto dovrebbe seguire nelle linee generali la seguentetraccia:

TitoloConciso, ma informativo ed esauriente.Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senzaabbreviazioni.Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, E-mail del1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza.

IntroduzioneConcisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chia-ra ed esaustiva lo scopo dell’articolo.

Parole chiaveSi richiedono 3/5 parole.

Corpo dell’articoloIl contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte(2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo statodell’arte aggiornato dell’argomento trattato. L’articolo deve esserecorredato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file adalta risoluzione (salvati in formato .tif, .eps, .jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, maaggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione cor-rispondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numera-te con il numero arabo (1) secondo l’ordine di comparsa nel testoe comunque in numero non superiore a 100÷120.

BibliografiaPer lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultareil sito “International Committee of Medical Journal Editors UniformRequirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals:Sample References”.

Es. 1 - Articolo standard1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232:284-7.

Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, MarionDW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone mar-row transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 3 - Letter1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 4 - Capitoli di libri1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano:MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.

Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytesin bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica.2002; 19: (Suppl. 1): S178.

RingraziamentiRiguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizza-zione dell’articolo.

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Seminari

di EmatologiaOncologica

Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia

delle emopatie neoplastiche

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Editoriale Editoriale

GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERSFondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

La terapia cellulare, detta anche rigenerativa, èuna branca neon ata della medicina moderna chemira alla riparazione degli organi danneggiatisfruttando le potenzialità delle cellule staminali siaresidenti nei tessuti che trapiantate. In questo ulti-mo decennio abbiamo assistito a risultati straor-dinari che hanno permesso di curare gravi malat-tie del sangue, della pelle e della cornea, ma leconoscenze si sono più recentemente allargatefino a prospettare per il prossimo futuro l'utilizzoa scopo terapeutico anche delle cellule embrio-nali e delle staminali pluripotenti indotte (iPS). In questo numero di Seminari di EmatologiaOncologica vengono riassunti i risultati, le spe-ranze e gli aspetti di ordine etico che riguardanola ricerca sulle cellule staminali e le relative appli-cazioni cliniche, cercando di mitigare l'eccesso diottimismo che spesso viene trasmesso dai mezzidi comunicazione e che genera nei pazienti illu-sioni e false aspettative.La possibilità di isolare le staminali ed espander-le in laboratorio rappresenta un terreno di ricer-ca fertile per il trattamento delle malattie dege-nerative del cervello e del muscolo cardiaco, inassenza per ora di solide evidenze cliniche. Alla

luce dei risultati sperimentali emerge però il con-cetto di plasticità terapeutica, cioè la capacitàdelle staminali neurali e cardiache di esercitare lafunzione riparativa attraverso altri meccanismi,trofici o di neovascolarizzazione, indipendentidalla differenziazione.L'utilizzo delle staminali emopoietiche nelle gravimalattie autoimmuni e in alcuni tumori solidi, è unaltro campo di ricerca in rapida espansione.Accanto alla loro indubbia utilità nel processo dirapida ricostituzione midollare post-chemiotera-pica, in queste malattie esse svolgono altre fun-zioni, ancora poco studiate, di carattere immuno-logico che contribuiscono all'eradicazione e/o alcontrollo della patologia di base.La ricerca sulle cellule staminali embrionali, iPSe adulte richiede un approccio multidisciplinareintegrato. I risultati ottenuti negli animali potran-no essere traslati sul piano clinico solo se ingrado di fornire al paziente strategie terapeutichesicure e più efficaci rispetto ad altri trattamentidisponibili. In questo senso la storia del trapian-to di cellule staminali emopoietiche, iniziata piùdi 50 anni or sono, rappresenta un esempio para-digmatico.

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n INTRODUZIONE

Normalmente lo sviluppo dei mammiferi procedea senso unico, con cellule dapprima immature chesuccessivamente si specializzano (differenziano),diventano meno versatili, e quindi popolano ecostruiscono i nostri tessuti. È infatti solo in unabreve finestra temporale, e cioè nelle prime fasidello sviluppo, precisamente allo stadio di blasto-cisti, che tutte le cellule hanno la capacità di tra-sformarsi in uno qualsiasi dei 220 tipi cellulari delcorpo umano, dalle cellule cardiache ai neuroni,alle cellule della pelle. È possibile estrarre questecellule dalle blastocisti sovrannumerarie (non inItalia), dando origine a linee di cellule staminaliembrionali (ES) che possono essere propagate invitro in modo illimitato senza che perdano quellaloro straordinaria pluripotenza differenziativa (1). Nelle successive fasi dello sviluppo dell’embrio-ne impiantato, quindi allo stadio fetale, le cellulestaminali che popolano i tessuti in via di forma-zione sono già specializzate avendo acquisitoidentità e potenzialità differenziative più ristrettee tipiche del tessuto in cui risiedono. Queste sta-minali sono anche dette staminali somatiche, otessutali o fetali, ma a volte le si trova raggrup-

pate anche alla voce staminali adulte, intese comecellule staminali dei tessuti già specializzati.Queste cellule garantiscono l’espansione nume-rica e la specializzazione necessaria alla forma-zione dei diversi tessuti di un individuo. Nell’individuo formato, cellule staminali adulte con-tinuano a popolare i diversi organi e tessuti, doven-do garantire quel ricambio necessario per la fun-zionalità dell’organo e la sopravvivenza dell’orga-nismo. In questi singoli tessuti o organi adulti, lapresenza di staminali sarà tanto più abbondantequanto maggiore è la necessità e la capacità rige-nerativa del tessuto in questione. Le staminali adul-te sono quindi molto diverse tra loro, come loca-lizzazione, abbondanza e specializzazione, doven-do generare tessuti diversi. Infine, ultime a com-parire sulla scena, le cellule staminali pluripoten-ti indotte (iPS) sono il risultato del percorso a ritro-so di quanto sopra descritto. Partendo da una cel-lula matura è possibile, in laboratorio, riportare lecellule indietro nel tempo fino ad uno stadio qua-lificabile come simile a quello delle ES vere (2, 3).Sono queste capacità delle cellule staminali, cioèla loro propensione all’autorinnovamento nonchèla potenzialità differenziativa (diversa per le diver-se staminali), ad attirare l’attenzione della ricerca.Questo interesse è soprattutto determinato dallapossibilità e dalla speranza di un loro impiego alivello clinico per trapianti riparativi. Ma le cellulestaminali presenti nei tessuti adulti e nella blasto-cisti rappresentano anche una straordinaria pos-sibilità di studio dello sviluppo umano, oltre adessere un importante strumento di conoscenza dicome si formano e come si ammalano i nostri tes-suti, o dei meccanismi alla base delle malattiegenetiche, potendo anche fornire informazioni cir-ca la potenziale tossicità di farmaci. Il grosso chal-

Biologia e medicina Biologia e medicina rigenerativarigenerativaELENA CATTANEODipartimento di Scienze Farmacologiche e Centro di Ricerca sulle Cellule Staminali, Università degli Studi di Milano, Milano

Parole chiave: staminali, embrionali umane, riprogram-mazione, rigenerazione, blastocisti.

Indirizzo per la corrispondenza

Elena CattaneoDipartimento di Scienze Farmacologiche e Centro di Ricerca sulle Cellule StaminaliUniversità degli StudiVia Balzaretti 9, 20133 Milano ItaliaE-mail: [email protected]

Elena Cattaneo

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6 Seminari di Ematologia Oncologica

lenge sarà però capire se e in quali condizioni que-ste cellule potranno essere impiegate in strategiedi trapianto per sostituire cellule perdute nel cor-so di una lesione o di un processo degenerativo(4, 5). In alcuni limitati ma importanti casi questesperanze sono già una realtà. Per tutte le altresituazioni occorrerà studiare e mettere a confron-to le proprietà di tutte le staminali note, embrio-nali, fetali, adulte e iPS. Soprattutto, per quantostraordinaria una staminale possa essere in vitro,il vero test da superare è quello della sua capa-cità trapiantologica. Questo test rappresenta laquintessenza del comportamento delle staminalipoiché direttamente correlato alle funzioni di basedella staminale, alla sua capacità di integrarsi, ade-rire, migrare, sopravvivere, proliferare, decidere ilproprio destino, differenziarsi e degenerare.

n LE PROPRIETÀ FUNZIONALI DELLE CELLULE STAMINALI

In base a quanto descritto sopra, sono due le carat-teristiche che distinguono le cellule staminali:a) l’auto-rinnovamento (o self-renewal), ossia laproprietà per la quale le cellule sono in gradodi riprodurre se stesse;

b) il potenziale differenziativo, inteso come lacapacità di una singola cellula di dare originea una progenie che comprende differenti tipicellulari (Figura 1).

Una ulteriore caratteristica, ancora più rigorosa,è su base funzionale: una cellula staminale è talequando è in grado di generare tutte le cellule deltessuto in cui si trova per l’intera durata della vitae dell’organismo. In base a tale definizione le sta-minali del sangue o della pelle si collocano ai ver-tici di questa classificazione. Tuttavia, per la mag-gior parte degli altri tessuti e delle altre stamina-li, ad oggi, questa dimostrazione funzionalemanca o è incompatibile con il ruolo della stami-nale in questione (pensiamo ad esempio alla sta-minale del cervello, vedasi poi). C’è quindi mol-to dibattito su quali siano le vere cellule stamina-li. In base alla definizione sopra indicata anche lecellule ES, paradossalmente, non rientrerebberotra le vere staminali essendo presenti nella bla-stocisti solo transitoriamente. Tuttavia nessun’al-tra cellula dell’organismo ne emula la pluripoten-

za e la capacità di autorinnovamento. Le stami-nali possono essere classificate anche sulla basedella loro plasticità. Esse vengono infatti definitepluripotenti o multipotenti (Figura 2). Al gruppo del-le pluripotenti appartengono sia le ES che le iPS.Queste cellule sono in grado di produrre i deriva-ti dei tre foglietti germinativi (ectoderma, mesoder-ma ed endoderma) e quindi generare staminali tes-suto-specifiche, ma anche le successive tipologiedi cellule funzionalmente distinte e mature che daessi derivano. Diversamente dallo zigote, le cel-lule pluripotenti non possono generare un orga-nismo completo in quanto non possono genera-re cellule dei tessuti extra-embrionali (trofoectoder-ma e placenta). Al gruppo delle multipotenti appar-tengono invece le cellule staminali adulte. È impor-

FIGURA 1 - Rappresentazione schematica delle due principalicaratteristiche delle cellule staminali: l’autorinnovamento e il dif-ferenziamento.

FIGURA 2 - Gerarchia delle cellule staminali.

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7Biologia e medicina rigenerativa

tante sottolineare che le staminali adulte (del san-gue, della pelle, del muscolo, del sistema nervo-so, ecc), sebbene raggruppate in un’unica tipolo-gia, comprendono categorie e definiscono ambi-ti di ricerca ben distinti, in quanto a caratteristi-che delle cellule, possibilità del loro isolamento edespansione, potenzialità differenziativa e ipoteticiimpieghi terapeutici. Una nota a parte merita lo zigote. Si tratta di unacellula totipotente in quanto può differenziare dan-do origine ad un organismo completo. È una cel-lula transiente, non espandibile come tale.Diversamente dalle staminali pluripotenti, lo zigo-te può dare origine ai tessuti extra-embrionali.

n LA PLURIPOTENZA DELLEEMBRIONALI E I TESTS DA SUPERARE

Furono Martin Evans e Matthew Kaufman, nel 1981,i primi a riuscire a coltivare in laboratorio le cellu-le ES (6). Partirono da blastocisti di topo, l’embrio-ne in vitro pre-impianto. La blastocisti ha una mor-fologia sferoidale cava, che si forma a partire dal-lo stadio di 32 cellule (3,5 giorni post-coitum neltopo). È composta da una parete esterna costitui-ta da un monostrato di cellule epiteliali polarizza-te, il trofoectoderma, che circonda la cavità inter-na (blastocele) e che racchiude un ammasso di cel-lule non polarizzate, la inner cell mass (ICM), pre-sente ad un polo dello sferoide. Le cellule ES ven-gono isolate a partire dalla ICM. Esse sono stateadattate per crescere e quindi dividersi in vitro gene-rando linee di cellule ES stabili nel tempo e in quan-to a caratteristiche biologiche. Queste cellule pro-liferano pur mantenendo la potenzialità di differen-ziarsi, quando opportunamente stimolate, dandoorigine a tutte le cellule dei tre foglietti embriona-li, come farebbero se non fossero state rimosse dal-la blastocisti. Esse sono quindi in grado di gene-rare cellule del mesoderma, endoderma ed ecto-derma e ai loro derivati cellulari specializzati. Ma iltest d’elezione che le cellule devono superare peressere definite pluripotenti è quello della formazio-ne delle chimere. Cioè, se re-introdotte in una bla-stocisti accettore, le cellule staminali veramente plu-ripotenti devono integrarsi e contribuire a formaretutti i tessuti del corpo in vivo, incluso la linea ger-

minale. Questo test viene comunemente condot-to sulle cellule (e blastocisti) di topo e da qualchetempo anche nel ratto. Infine, un ulteriore test cheviene condotto riguarda la formazione di teratomi.Se iniettate sottocute in un topo immunodepres-so, le cellule pluripotenti generano un teratoma.Questo è un tumore dei tessuti embrionali, gene-ralmente benigno. Esso è composto da tessuti deri-vanti da tutti e tre i foglietti embrionali: ectoderma,endoderma e mesoderma. Di qui la sua compo-sizione morfologica comprendente tessuto nervo-so, peli, tessuto tiroideo, tessuto osseo, cartilagi-neo, muscolare (6). La derivazione di linee di cel-lule ES murine e la loro comprovata capacità dicolonizzare tessuti animali dopo trapianto in bla-stocisti si è rivelata cruciale nel campo della muta-genesi sito-diretta e per indagare il ruolo di geni invivo. È grazie a questa scoperta e allo sviluppo del-la tecnologia del gene knock-out (ricombinazioneomologa), ideata da Mario Capecchi, che oggi èpossibile studiare la funzione di singoli geni in vivo,nell’animale. Infatti, è possibile eliminare in modocostitutivo o inducibile un gene nelle cellule ES.Queste cellule delete poi verranno impiantate nel-la blastocisti e la blastocisti innestata nell’anima-le, generando topi knock-out per quel gene. Nel2007, Oliver Smithies e Mario Capecchi, insiemea Martin Evans ricevettero il premio Nobel per lamedicina per queste scoperte. Anche le cellule iPSsuperano il test della pluripotenza in quanto sonoin grado di colonizzare i tessuti del topo dopo inie-zione nella blastocisti, anche se alcuni lavori sem-brano indicare una intrinseca capacità di genera-re tumori nell’animale. È tuttavia possibile che que-sto fenomeno sia legato alla strategia usata per l’ot-tenimento delle iPS e che questo problema pos-sa essere facilmente superato. In base a quantodescritto sopra non dovrebbe sorprendere che lecellule staminali adulte falliscano nei test di pluri-potenza.

n LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI UMANE: RISULTATI, SPERANZE E CONFLITTI

La disponibilità delle cellule staminali embrionalidi topo ha permesso alla ricerca enormi passiavanti circa lo sviluppo di protocolli e di strate-

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8 Seminari di Ematologia Oncologica

gie per derivare da esse, in modo controllato, pro-genitori tissutali più ristretti, capaci di completa-re il differenziamento in vitro oppure in vivo dopotrapianto. Con questi protocolli è stato possibileottenere dalle ES diverse classi di neuroni matu-ri (ad esempio i motoneuroni che degenerano nel-la sclerosi amiotrofica laterale o i neuroni dopa-minergici che degenerano nel Parkinson) maanche cellule cardiache, cellule muscolari o delpancreas. Dalle ES è anche stato possibile iso-lare quelle tipologie cellulari intermedie, come lestaminali tissutali, cosi’ difficilmente purificabilidirettamente dal tessuto in vivo. Un esempio èrappresentato dalle cellule staminali neurali (7).Presenti in modo limitato nel cervello e difficili daisolare in modo prospettico (vedasi poi) è statopossibile ottenerle partendo dalle ES indotte aintraprendere un percorso di induzione neurale.Dopo circa 10 giorni dall’induzione, le staminalineurali ottenute dalle ES - solitamente transien-temente presenti nel piattino di coltura - sono sta-te indotte in uno stato di continua proliferazionein presenza di mitogeni, prevenendo il loro spon-taneo differenziamento terminale. Queste cellule,note con il nome di NS (da Neural Stem), rappre-sentano la prima staminale tissutali isolata e pro-pagata in modo illimitato e omogeneo (cioè conil 100% della coltura composta da cellule NS)(Figura 3). A seguito di questa scoperta, effettua-ta nel topo, altre cellule simili alle NS sono stateottenute dall’uomo. Si può quindi concludere che

gli studi su cellule ES di topo abbiano illuminatocirca le potenzialità delle ES. Ed era ovvio chel’evento tanto atteso, a questo punto, non pote-va che essere la derivazione di analoghe celluledalla blastocisti umana.Nel 1998 James Thomson e colleghi descrivonola derivazione di linee cellulari ES a partire da bla-stocisti umane (sovrannumerarie) (8). Questecellule hanno una morfologia inequivocabile,caratterizzata dalla crescita a colonia compostada cellule con un nucleo di grosse dimensioni(Figura 4). Queste cellule presentano inoltre unacarta d’identità specifica costituita dalla positivi-tà per una serie di marcatori come Oct4 (Figura5) e Nanog (Figura 6) che ne determinano lo sta-to di pluripotenza.Il grande interesse verso le cellule ES umane risie-de nel fatto che, come la loro controparte muri-na, esse possono differenziare in tutti i tipi cellu-lari (ad esclusione dei derivati extraembrionali) delcorpo umano, fetale ed adulto. In laboratorio, lecellule ES umane sono state differenziate in cel-lule epidermiche, adrenali e cheratinociti, ma anchein cellule dell’endotelio, dell’osso, del muscolo edel cuore, del pancreas e del fegato, anche se l’ef-ficienza di queste conversioni non è totale. È sta-to anche riportato il differenziamento di cellule ESumane in cardiomiociti ed in neuroni elettrofisio-logicamente maturi, comparabili con quelli presen-ti normalmente in vivo. I dati finora ottenuti indi-cano che questa capacità differenziativa non è

FIGURA 3 - Derivazione di cellule NS da ES.Le cellule NS una volta ottenute possonoessere espanse senza che perdano la capa-cità di generare neuroni e glia.

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9Biologia e medicina rigenerativa

emulabile da nessuna altra staminale adulta.Diversi studi condotti in modelli animali, hannodimostrato che il trapianto di cellule derivate dacellule ES umane può migliorare alcune malattiecongenite, incluso malattie cardiovascolari e dia-bete, o traumi del midollo spinale. Tuttavia il rischiodell’insorgenza di teratomi non è da sottovaluta-re e rappresenta uno degli aspetti in studio. Vacomunque sottolineato che nell’applicazione cli-nica, la ricerca su queste cellule mira a differen-ziare parzialmente le cellule ES prima del trapian-to nel paziente. Queste ultime rappresentano infat-ti un materiale più sicuro e già pronto per la tra-sformazione nel tessuto desiderato.

n LE STAMINALI ADULTE, UNA INESAURIBILE FONTE ENDOGENA

Da sempre le cellule staminali adulte attirano l’in-teresse della ricerca di base e clinica per il fattodi essere tessuto specifiche quindi in un certo sen-so già specializzate, di essere endogene e quin-di fisiologicamente rilevanti oltre che di più faci-le accesso rispetto alle ES (9). Ad esempio, l’estre-ma propensione rigenerativa del sangue nell’adul-to è garantita da una inesauribile riserva di cellu-le staminali ematopoietiche che risiedono nelmidollo osseo delle ossa piatte. Ogni giorno, que-ste cellule sono capaci di produrre 2,5 miliardi dieritrociti, 2,5 miliardi di piastrine e 1 miliardo di leu-cociti per kg di peso corporeo per sostituire quel-le usurate. Un altro tessuto ricco in staminali èl’epidermide la quale, ogni minuto, perde (e deverigenerare) 30x103 cellule del suo strato più super-ficiale per permettere al nostro organismo di vive-re. Si può quindi calcolare che ogni 3 settimanel’epidermide si rigenera. Anche la cornea ha unaintensa capacità rigenerativa, praticamente ognidue settimane si forma nuova cornea. Posizioneintermedia hanno i tessuti stabili (o potenzialmen-te rinnovabili) come il fegato le cui cellule espri-mono una capacità rigenerativa solo in seguito alesione. Al polo opposto si trova il cervello, tes-suto perenne per eccellenza il quale, a fronte degliipotetici 100 miliardi di neuroni presenti nell’adul-to, perde circa 85 x103 neuroni sottocorticali algiorno che non vengono più sostituiti. Tuttavia,

FIGURA 4 - Colonia di cellule staminali embrionali umane.L’ingrandimento mostra cellule con un nucleo di elevate dimen-sioni.

FIGURA 5 - Colonia di cellule staminali embrionali umane dopo rea-zione con un anticorpo che riconosce il fattore di trascrizione Oct4.

FIGURA 6 - Colonia di cellule staminali embrionali umane dopo rea-zione con un anticorpo che riconosce il fattore di trascrizione Nanog.

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10 Seminari di Ematologia Oncologica

scoperte degli ultimi 50 anni dimostrano cheanche il cervello adulto possiede una quota, sep-pur limitata, di cellule staminali in grado di gene-rare neuroni e che popolano due zone specifichedell’organo. Queste evidenze indicano che cellu-le con caratteristiche di staminali esistono in vivonell’adulto e in molti casi assolvono a funzioni rige-nerative importanti. Tuttavia è bene ricordare chei protocolli per il loro isolamento da tessuto resta-no ancora primitivi - eccetto per sangue e pelleper le quali, soprattutto per quest’ultima, notevo-li passi sono stati fatti in merito alla loro espan-dibilità. Questo significa che la possibilità di sfrut-tare la differente capacità rigenerativa delle sta-minali endogene portandole in laboratorio al finedi produrne in grande quantità, migliorandone lecaratteristiche senza che perdano quelle fisiolo-giche desiderate (come la capacità differenziati-va) rappresenta ancora terreno esplorato finoracon scarsi risultati, con alcune rare eccezioni. Unesempio emblematico è rappresentato dalle cel-lule staminali ematopoietiche (HematopoieticStem Cell o HSC), probabilmente le cellule sta-minali adulte meglio conosciute. Le HSC posso-no essere isolate in modo prospettico (con anti-corpi specifici), quindi arricchite e utilizzate sia intrapianti di tipo autologo che allogenico per il trat-tamento di pazienti con immunodeficienze eredi-tarie, malattie autoimmuni o altre malattie a cari-co del sistema ematopoietico per ricostituire lediverse tipologie di cellule ematiche e le difese delsistema immunitario. Tuttavia queste cellule nonpossono essere espanse in vitro e numerosi ricer-catori stanno lavorando in questa direzione. Perle staminali adulte della pelle e della cornea esi-stono invece ormai protocolli consolidati che nepermettono l’espansione. Studi di base hannodimostrato che le cellule staminali dell’epidermi-de (lo strato protettivo esterno della nostra pel-le, che non ha vasi sanguigni) possono essere iso-late ed espanse in modo illimitato fino a genera-re un numero di cellule tali da coprire l’intero cor-po umano (10, 11). La capacità di tali cellule diprodurre olocloni (cloni della cellula madre) le qua-lifica come staminali. Anche l’epitelio della cornea dell’occhio adultocontiene cellule con caratteristiche di staminali-tà. Queste sono state identificate al confine tra lacornea (parte trasparente) e la congiuntiva dell’oc-

chio. Si tratta delle cellule del limbus. Queste rige-nerano continuamente l’epitelio corneale, mante-nendone la caratteristica trasparenza, essenzia-le per una corretta visione. Anche queste cellu-le, cresciute come olocloni, sono state trapian-tate con successo (12, vedasi poi).Il muscolo scheletrico contiene un tipo di cellu-le, dette cellule satelliti, che svolgono il ruolo diprecursori miogenici e possiedono caratteristichestaminali. Le cellule satelliti sono ritenute una fon-te stabile e autorinnovante di cellule muscolariadulte e svolgono il loro ruolo funzionale duran-te la crescita e/o la riparazione tissutale. Tuttaviale cellule satelliti sembrano essere meno poten-ti rispetto ad altre staminali nel rigenerare il musco-lo dopo trapianto (13, vedasi poi). La presenza distaminali a livello del muscolo cardiaco rappre-senta invece un fatto ancora molto dibattuto.Sebbene alcuni gruppi abbiano evidenziato unacerta capacità rigenerativa fisiologica del cuoreadulto, altri gruppi hanno fallito nel replicare que-ste scoperte (14).Le cellule staminali sono state localizzate anchein due aree del cervello adulto, l’ippocampo e lazona sottoventricolare (15). La scoperta della pre-senza di queste cellule nel cervello risale al 1962,quando alcuni ricercatori iniettando timidina tri-ziata in un topo adulto osservarono che essa veni-va incorporata e permaneva in cellule che pote-vano essere assimilate a neuroni. Questa scoper-ta e alcune successive che ne validarono la rile-vanza, rimasero tuttavia senza reale impatto finoal 1990 quando un gruppo canadese descrissel’isolamento di cellule con caratteristiche di sta-minalità dal cervello adulto (16). Oggi sappiamoche queste cellule popolano l’ippocampo e sonoin grado di generare nuovi neuroni nell’arco di 4settimane. Studi condotti nell’animale hannodimostrato che questa intensa capacità neuroge-nica dell’ippocampo adulto rende conto deifenomeni di memoria e apprendimento (15). È sta-to infatti possibile documentare che l’esposizio-ne dell’animale ad un ambiente arricchito era ingrado di aumentare la neurogenesi e migliorarele capacità di apprendimento dell’animale. Maanche l’attività fisica ha una funzione neurogeni-ca a livello dell’ippocampo. Ancora più sorpren-dente è la presenza di staminali nella zona sot-toventricolare dell’adulto (17). Queste cellule, che

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circondano i ventricoli laterali, sono presenti incatene multicellulari che si dirigono anteriormen-te, verso l’epitelio olfattorio. Le catene sono com-poste da 4 tipologie cellulari diverse all’interno del-le quali i neuroblasti migrano nella stria migrato-ria rostrale facendo convergere le cellule a livel-lo dell’epitelio olfattorio dove differenziano in neu-roni olfattori (18). A lungo dibattuta è stata anchel’identificazione di quella che si presume sia la sta-minale tra le 4 tipologie di cellule che compon-gono le catene. Oggi sembra assodato che la sta-minale della zona sottoventricolare sia una cellu-la con caratteristiche gliali che riveste le catenee che genera una cellula transiente in grado diamplificarsi per poi produrre il neuroblasto chemigra. La quarta tipologia cellulare delle catene,la cellula ependimale, sembra partecipare a que-sti eventi e alcuni studi la classificano come unastaminale di riserva (17). Nonostante esistano sta-minali neurali nel cervello fetale e adulto, occor-re precisare che le strategie adottate fino ad oraper isolarle ed espanderle sono sempre stategrossolane e retrospettiche e basate sulla sola col-tivazione in presenza di mitogeni. Così, per anni,alla voce espansione di staminali neurali umanein laboratorio, corrispondevano colture (note conil nome di neurosfere e ottenute da tessuto cere-brale fetale abortivo) altamente eterogenee perquanto riguarda la composizione cellulare. Infatti,a fronte di rare staminali non identificabili presen-ti nella neurosfera, il resto era composto da cel-lule a diversi stadi di sviluppo e/o parzialmentedifferenziate. In aggiunta, le neurosfere si presen-tano perlopiù instabili nel tempo, rendendonecessario il continuo ricorso al tessuto fetale. Perovviare alla eterogeneità del sistema, diversi grup-pi stanno lavorando al tentativo di identificaremolecole di membrana espresse solo dalle sta-minali al fine di poterle selezionare mediante sor-ting via Fluorescence activated cell sorter. Anchea prescindere dalla necessità dello sviluppo distrategie innovative per l’isolamento prospetticoe la propagazione omogenea e stabile delle sta-minali neurali è importante osservare che coltu-re di neurosfere sono state impiegate con suc-cesso nel topo e nella scimmia modello di scle-rosi multipla. In questo caso, l’efficacia è dovutaa un effetto di rilascio di sostanze antiinfiamma-torie protettive piuttosto che al differenziamento

ad oligodendrociti delle cellule donatrici che, diver-samente, restano immature in vivo.Anche il sangue da cordone ombelicale contieneuna quantità rilevante (0,3-0,5% del totale) di cel-lule staminali ematopoietiche simili a quelle delmidollo osseo e utili come fonte di cellule stami-nali per individui immunologicamente compatibili(19). Dal 1988 queste cellule staminali da cordo-ne ombelicale sono impiegate per curare il mor-bo di Gunther, la sindrome di Hurler, la leucemialinfocitica acuta e molte altre patologie che inte-ressano in particolare i bambini. Sul sangue delcordone viene eseguita la caratterizzazione HLAper determinare se il ricevente sia compatibile omeno con il tessuto ricevuto. I risultati della tipiz-zazione HLA vengono pubblicati in databasemon-diali accessibili ai centri trapianto autorizzati perpoter avviare una ricerca di tessuto compatibilecon il proprio paziente. I vantaggi relativi all’usodi queste cellule includono una procedura di rac-colta non invasiva, un numero virtualmente illim-itato di potenziali donatori, e una scarsa inciden-za della Graft versus Host Disease nel ricevente.D’altro canto esistono alcuni svantaggi relativi allalimitata quantità di staminali da singolo donatoree soprattutto il diminuito effetto alloreattivo anti-tumorale cioè del Graft verso la leucemia che sivorrebbe aggredire. Dal punto di vista biologicola staminale del cordone sembra essere piùimmatura e dotata di maggior potenziale proli -ferativo rispetto alle staminali presenti nel midol-lo dell’adulto. Solitamente, le cellule del cordonevengono donate alle banche pubbliche mondia-li per scopi di trapianto. Recentemente il bancag-gio privato del cordone a scopo autologo (n.d.r.per lo stesso bambino) ha suscitato notevole inte-resse, con l’idea che le cellule staminali del cor-done possano eventualmente essere utili in casodi malattia. Tuttavia, le evidenze a dimostrazionedi ciò, oggi, non sembrano sufficienti per prospet-tare un reale impiego efficace di tali cellule. In basealle stime fornite dagli esperti, il rischio che il futu-ro bambino possa sviluppare una malattia per laquale le cellule del suo cordone potranno esse-re terapeuticamente utili è dello 0,063%.Soprattutto, anche in tale caso, cellule derivateda donatori presentano una efficacia di migliaiadi volte superiore. Infatti, nel caso di malattie ema-tologiche genetiche, il trapianto autologo non è

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appropriato, mentre in tutti gli altri casi di leuce-mie il tessuto da donatori presenta una maggio-re aggressività verso il turmore. Queste eviden-ze giustificano la necessità di una campagna infor-mativa istituzionale e aggiornata anche circa even-tuali cambiamenti dello stato della ricerca (20).Ciononostante, chi scrive pensa che una leggeche vieti il bancaggio ad uso privato (come esi-ste in Italia), sostenuto cioè con le finanze dei sin-goli individui, sia concettualmente inappropriatae praticamente inefficace. Recenti ricerche ave-vano suggerito l’esistenza di cellule staminali nelliquido amniotico (21). Alcune banche private nelmondo propongono la conservazione a pagamen-to di queste cellule ossia per le esigenze del nasci-turo: la pratica, tuttavia, è generalmente limitataalle donne gravide che devono già sottoporsi adamniocentesi, dato il concreto e documentatorischio di aborto. Numerosissimi studi sono in cor-so per esplorarne le possibilità di impiego. Alcunistudi pubblicati nel 2007 proponevano le stami-nali amniotiche come cellule pluripotenti. Questaproposta non trova tuttavia conferma nei dati spe-rimentali. In conclusione, nonostante le cellule sta-minali popolino i nostri tessuti adulti, il loro iso-lamento e la loro propagazione in vitro, senza chevenga meno la loro straordinaria e fisiologica mul-tipotenza, necessita lo sviluppo di nuove tecno-logie volte a riprodurre o garantire che quelle fun-zioni presenti in vivo non vengano perse nelmomento dell’estrazione e propagazione in labo-ratorio.

n LE CELLULE IPS

Nel 2006 Shinya Yamanaka dimostra che una cel-lula specializzata del corpo del mammifero puòessere riprogrammata, a ritroso nel tempo, finoallo stadio embrionale, generando una nuova cel-lula staminale: la cellula iPS. Si tratta di una sco-perta dapprima messa a punto sulle cellule di topoe, l’anno successivo, validata nell’uomo, sempreda Yamanaka in parallelo al laboratorio guidatoda James Thomson, colui che, nel 1998, isolò perla prima volta le cellule ES umane da blastocistisovrannumerarie (22).Le cellule iPS possono anche essere definite cel-lule ES surrogate in quanto simili (ma non iden-

tiche, 23) alle embrionali vere, soprattutto nel ripro-durne la formidabile pluripotenza - la capacità cioèdi differenziare dando origine alle oltre 220 tipo-logie di cellule specializzate dei nostri tessuti, puressendo generate da un individuo adulto che fisio-logicamente non contiene elementi cellulari plu-ripotenti. Da ogni cellula della nostra pelle (o daaltri tessuti specializzati, come ad esempio il san-gue) sarebbe dunque possibile ottenere cellule iPSdalle quali poi generare neuroni, cardiomiociti, cel-lule muscolari o epatiche da usare come pezzi diricambio. In teoria, infatti, e qualora l’indagine suqueste cellule non riveli lati inattesi, risolto il rischiodi teratomi intrinseco alla pluripotenza e verifica-ta la validità scientifica del trapianto di cellule deri-vate da elementi pluripotenti in tessuti malati, sipotrebbe pensare che ciascun individuo si portiin corpo gli elementi cellulari per procedure di tra-pianto autologo. In un ipotetico approccio di que-sto genere le cellule dell’individuo (ad esempio del-la pelle) verrebbero dapprima riprogrammate e poidifferenziate nella tipologia cellulare di interesse(per esempio neuroni), quindi trapiantati nello stes-so individuo con malattia degenerativa.L’esperimento fu questo: dopo avere avutodimostrazioni nel topo, nel 2007, i gruppi diYamanaka e Thomson esprimevano in modo for-zato, in fibroblasti umani in coltura, alcuni fattoridi trascrizione tipici dello stato di pluripotenza, Sitrattava cioè di proteine notoriamente espressein cellule ES umane vere e senza le quali perde-rebbero la loro staminalità (Figura 7). Due tra i fat-tori utilizzati, Oct4 e SOX2, sono fattori di trascri-zione coinvolti nel mantenimento dello stato di plu-ripotenza delle ES umane; gli altri due, c-Myc eKLF4, sono oncogeni. Ebbene, circa 20 giornidopo la loro espressione forzata (solitamente otte-nuta mediante virus) le cellule venivano ad assu-mere una morfologia più allungata per poi dareorigine, dopo altri 15-20 giorni, ad una colonia tipi-ca della crescita in vitro delle ES vere. Osservandoquesta colonia crescere ed espandersi nel tem-po mantenendo il suo aspetto circolare, è possi-bile vedere che essa è composta da cellule ton-de e con un nucleo che occupa quasi tutto il volu-me cellulare. Questa morfologia cellulare tondeg-giante e con un elevato rapporto nucleo/citopla-sma, distingue le ES da qualsiasi altra cellula. Lecolonie possono poi essere passate, cioè fram-

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mentate o dissociate di modo che le singole cel-lule formino altre colonie, garantendo l’espansio-ne, in teoria, senza alcuna variazione delle lorocaratteristiche di pluripotenza. Possiamo inoltreverificare che tale stato sia stato raggiunto, duran-te la riprogrammazione, e venga mantenuto coni passaggi delle colture riprogrammate ad esem-pio verificando l’espressione del gene Nanog. Unavolta confermata l’effettiva conversione dei fibro-blasti a cellule iPS occorre comunque accertareche le nuove cellule iPS siano davvero pluripo-tenti e quindi in grado di differenziare, per esem-pio, a neuroni, cardiomiociti, cellule muscolari ecc.(23) (Figura 8). È anche bene sottolineare che ciòpuò avvenire in quanto i 4 fattori di riprogramma-zione funzionerebbero in modo transiente per poivenire silenziati, consentendo così il successivo

differenziamento delle cellule iPS. Dalle cellule iPS(come del resto dalle ES) si potrebbero ottenereanche cellule germinali, oociti e spermatozoi. Dopo i primi risultati, i vari laboratori nel mondohanno lavorato per perfezionare e espandere latecnica di riprogrammazione. Un problema erarappresentato dai vettori virali utilizzati per espri-mere in cellule il cocktail di riprogrammazione.Proprio la tendenza di questi vettori, soprattuttodei retrovirus, ad integrarsi in più punti del geno-ma aveva infatti portato ad una aumentata inci-denza di tumori nei topi. Sebbene l’efficienza sianotevolmente ridotta oggi sembra possibile ripro-grammare anche senza c-my. Ulteriori metodisono stati sviluppati per esprimere i fattori di ripro-grammazione. Questi includono adenovirus, sen-dai virus, vettori plasmidi, trasposoni rimuovibili.Altre strategie tendono ad evitare completamen-te l’uso di virus. In questa categoria rientrano i ten-tativi di riprogrammazione utilizzando RNA o pro-teine prodotte ex vivo e veicolate ai fibroblasti (24).Si tratterebbe di metodi certamente più sicuri mache richiedono una lunga procedura, a cui siaggiunge un’efficienza di riprogrammazione anco-ra troppo bassa (inferiore allo 0,001%). Con que-ste varie strategie, sono ormai state riprogram-mate diverse tipologie cellulari, quali fibroblasti,cheratinociti, cellule staminali del sangue, epato-citi, cellule dell’epitelio gastrico, cellule stamina-li neurali, cellule b pancreatiche, cellule del fega-to e persino linfociti B. Questo vasto repertorio di mezzi e strategie haanche permesso di ampliare gli obiettivi della ricer-

FIGURA 7 - Il protocollo di riprogrammazione prevede l’espres-sione forzata di 4 fattori di trascrizione, Oct4, Klf4, Sox2, Myc.A seguito di ciò nel giro di 6-7 settimane i fibroblasti cambianomorfologia, le cellule iniziano a crescere a colonia e acquisisco-no espressione di markers di pluripotenza.

FIGURA 8 - Neuroni ottenuti da cellule iPS.

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ca (25, 26). Essa infatti oggi comprende il miglio-ramento delle conoscenze dei meccanismi chesottendono la riprogrammazione cellulare al finedi un impiego delle cellule iPS in strategie di tra-pianto, ma anche la possibilità di utilizzare que-ste nuove staminali per studiare in vitro le malat-tie umane in modo paziente-specifico. Pensandoalle malattie genetiche, come anche la malattiadi Huntington, malattia neurodegenerativa che col-pisce alcuni neuroni del cervello, queste spessosi presentano con sintomi e caratteristiche sot-tilmente diverse tra i malati tali da fare ipotizzareche l’intorno genico (e non solo il gene mutato)possa influenzare l’esordio, la progressione e/o lamanifestazione sintomatica della malattia. Con lariprogrammazione è possibile ottenere cellule iPSda ogni singolo paziente le quali recheranno nonsolo il gene responsabile della malattia ma anchel’intero corredo genico per poi studiarne in vitrole caratteristiche molecolari, biochimiche e fun-zionali. Cellule iPS sono già state derivate dapazienti con atrofia muscolare spinale, sclerosiamiotrofica laterale, morbo di Parkinson, corea diHuntington, con malformazioni cardiache conge-nite ma anche con diabete giovanile e molte altrepatologie (27-32). Una recente ricerca ha sfrutta-to proprio la tecnologia delle iPS per studiare imeccanismi patofisiologici di una malattia mono-genica cardiaca, la sindrome del QT lungo notaper essere spesso causa di morte improvvisa.Sono state generate cellule iPS dai pazienti col-piti, che sono state poi differenziate in vitro ver-so cardiomiociti battenti, i quali hanno mostratogli stessi difetti funzionali che si ritrovano nel cuo-re dei pazienti. L’orizzonte è quindi aperto alla spe-rimentazione di nuovi farmaci che possano cor-reggere il difetto patogenetico.Ma le cellule iPS sono proprio identiche alle ES?Sembra di no (33). Una serie di studi, alcuni pub-blicati nel febbraio 2011 indicano che le celluleadulte di partenza hanno stabilito nel proprio DNAuna memoria epigenetica che, quando riprogram-mate a iPS, predisporrebbe le cellule a un biasdifferenziativo. Non si è certi del significato e del-l’impatto di questo elemento dal punto di vista del-la pluripotenza delle cellule. Per il momento si trat-ta di osservazioni che potrebbero essere biolo-gicamente irrilevanti, oppure di una caratteristi-ca vantaggiosa o meno. Ma un altro aspetto emer-

so di recente è rappresentato dalle elevate ano-malie cromosomali scoperte in queste cellule.Forse anche questa non dovrebbe però costitui-re una vera sorpresa in quanto è difficile imma-ginare che una cellula forzata a crescere in un piat-tino di coltura possa restare completamente inte-gra dal punto di vista genomico (34-36). A tale pro-posito, comunque, una serie di note di cautelasono state rese pubbliche (37, 38). Certo è che,come anche più volte riferito dagli stessi scopri-tori delle cellule iPS, queste caratteristichepotranno essere studiate e capite nelle differen-ze e nelle somiglianze e quindi per le loro poten-zialità, solamente attraverso un continuo confron-to diretto con le ES umane vere.Infine una novità, degli ultimi mesi, è rappresen-tata dalla possibilità di istruire le cellule adulte aspecializzarsi direttamente, senza passare dalleiPS. È stato infatti dimostrato che è possibile ripro-grammare cellule della pelle umana, direttamen-te a neurone o a cellula cardiaca utilizzando cock-tails di fattori di trascrizione tipici delle cellule spe-cializzate (39). Si tratta di una strategia che puòavere vantaggi e svantaggi ma che, oggi, sicura-mente indica come pochi anni dopo la scopertadelle ES umane e ancora meno dalla rivoluzionedelle iPS, le vele della ricerca sulle cellule stami-nali siano ancora completamente spiegate.

n STAMINALI DI FRONTIERA TRA SCIENZA, SOCIETÀ E POLITICA

Torniamo alle cellule ES umane e alla loro sco-perta. È il 1998. Con mille parole pubblicate suScience, James Thomson e collaboratori descri-vono un risultato che rivoluziona la scienza, espo-nendo la società a nuovi e importanti interroga-tivi. Non è la prima volta. Per chi scrive, questoè tra i compiti più importanti della scienza: offri-re elementi per evolvere i propri pensieri, le con-dizioni di salute e le opportunità decisionali.L’interrogativo in questo caso è delicato: cosa èquella blastocisti (sovrannumeraria), dalla qualeThomson e collaboratori isolarono per la primavolta le cellule ES umane? Si tratta di un proce-dimento che ancora oggi implica la disgregazio-ne e la distruzione della blastocisti. Per chi con-sidera quella blastocisti una persona tale e qua-

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le chi, in questo momento, sta leggendo, quel-l’atto equivale dunque ad un omicidio. Per colo-ro - come chi scrive - che nelle blastocisti sovran-numerarie invece non vedono degli individui, madelle strutture più piccole di un millimetro forma-te da 200 cellule, presenti in un piattino di coltu-ra, che degenererebbero se conservate conge-late per lungo tempo, ma dalle quali si possonoottenere importanti informazioni per capire eaumentare le speranze si tratta di un atto etica-mente legittimo. Si tratta di un dibattito non chiu-so, e di una possibilità di interrogarsi sugli obiet-tivi della ricerca e sul futuro delle blastocistisovrannumerarie (anche di quelle conservate inItalia e destinate al congelamento distruttivo), oltreche sulle conseguenze morali del fare. Ma anchedel non fare, un atto che non è eticamente neu-tro. Si tratta anche di pensieri e posizioni chesaranno sempre importanti ogni volta che permet-teranno di esprimere i rispettivi punti di vista inrelazione a obiettivi e procedure concrete fornen-do, ovunque si possa, le riflessioni morali, filoso-fiche e religiose, gli argomenti e gli elementi sucui ciascun cittadino possa poi costruire la pro-pria opinione. Anche dal punto di vista strettamen-te legislativo, il panorama mondiale è stato spec-chio di questa varietà di posizioni dei diversi sta-ti e dei loro cittadini. Fu il presidente degli Stati UnitiGeorge W. Bush il primo a dare disposizioni inmateria. Con un discorso pronunciato il 9 agosto2001, stabiliva che l’ente federale americano (NIH),avrebbe concesso il finanziamento pubblico soloalle ricerche sulle cellule ES umane ottenute dablastocisti sovrannumerarie prima dell’inizio diquello stesso suo discorso, alle ore 9:00. Le cel-lule prodotte dopo quell’ora e quel giorno nonavrebbero potuto beneficiare del fondo federalepubblico. Ma le linee di ES disponibili erano pochee generate con metodi che si voleva migliorare.Del resto, il decreto di Bush non vietava lo svol-gimento di ricerche sul suolo americano. Questepotevano quindi continuare con fondi privati peresempio ottenuti dalle numerose fondazioni noprofit o da altri enti non pubblici e cittadini e i risul-tati messi a disposizione della comunità scientifi-ca e del mondo intero. Così, negli anni del divie-to di Bush, la ricerca americana sulle ES potevaprocedere liberamente (e con successo) senza ilcappio federale. Un cappio che comunque intro-

duceva nel dibattito etico-sociale una serie di con-traddizioni che ritroveremo in altre politiche nazio-nali, inclusa quella italiana. Risultava infatti diffici-le comprendere a quale principio morale si ispi-rasse la posizione dell’amministrazione Bush chevietava con il pubblico ciò che consentiva (e dacui poi beneficiava) con il finanziamento privato.Dopo alcuni anni il fronte americano cominciò asfaldarsi. La California, con il suo governatore,andava al voto referendario per dissociarsi dallapolitica di Bush in tema di ricerca sulle cellule ES,finendo con l’approvare nel 2004 la Proposition71. Questa varava uno stanziamento ciclopico di3 miliardi di dollari per la ricerca californiana sul-le cellule staminali, incluso le ES. Iniziava così unconflitto con il governo federale che non impedìagli altri stati americani di seguire l’esempio del-la California. Nel frattempo, il Congresso ameri-cano approvava a maggioranza il cambio dellarotta Bush ma, nel 2006, per la prima volta dal-la sua presidenza, il presidente americano deci-se di esercitare il suo potere di veto rimandan-do al Congresso (quindi bocciando) la legge cheripristinava i finanziamenti federali alla ricerca sul-le cellule ES umane. E l’Europa? Nel 2002 si apri-va il 6° programma quadro della Ricerca Europeache mirava ad aumentare la competitività dellaricerca del continente. Creato con l’idea di raffor-zare la coalizione tra ricercatori europei, il program-ma prevedeva la partecipazione in uno stesso net-work (consorzio di ricerca) anche di 20-25 grup-pi di ricerca da nazioni europee diverse. In que-gli stessi anni, a seguito del parere favorevole delParlamento Europeo, la Commissione Europea sitrovava a dovere decidere come regolare la pos-sibilità del finanziamento alle ricerche sulle cellu-le ES. Seguì quindi un anno di moratoria - chie-sta da alcuni dei ministri degli allora 15 paesi euro-pei - al fine di stabilire se queste ricerche pote-vano essere contemplate e quindi competere peril finanziamento e con quali procedure. Sul tavo-lo dei ministri in Europa veniva quindi posto unaquestione complessa visto che ai fondi dellaCommissione Europea per la ricerca contribuiva-no paesi come l’Inghilterra, notoriamente su posi-zioni liberali e che chiedevano, avendone avutoil mandato dai propri cittadini e dal proprio gover-no, il pieno utilizzo di quelle risorse. Ma a quei fon-di contribuivano anche paesi con posizione

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opposta come l’Italia, l’Austria e la Germania. Sitrattò quindi di un primo importante confrontoanche sulle politiche per l’Europa che partiva dal-le tre pagine su Science del 1998. Anche perchèin uno stesso network di ricerca potevano coe-sistere ricercatori inglesi (con una legge naziona-le permissiva) con ricercatori tedeschi (allora conuna legge più simile a quella americana che impe-diva l’uso di staminali prodotte dopo il 2002) ospagnoli (ma anche israeliani) per i quali la ricer-ca sulle ES non solo è scientificamente necessa-ria e lecita, ma anche moralmente importante.L’anno di moratoria chiesto dai ministri che siopponevano terminò con un nulla di fatto. Il 5dicembre 2003, sotto la presidenza italiana, l’al-lora Ministro L. Moratti non aveva nulla da comu-nicare. Una beffa per quei ricercatori che per unanno avevano atteso che i ministri in carica si con-sultassero e elaborassero strategie per regolarequesto ambito del sapere e del fare. Forse, sipotrebbe dire poi, una fortuna, visto che nel gen-naio 2004, a seguito del mandato già da temporicevuto dal parlamento europeo, la CommissioneEuropea fu costretta ad aprire alla ricerca sulleES umane. Lo fece con una serie di cautele eregolamentazioni tutt’ora vigenti che mirano adare a tutti strumenti per decidere. Oltre alla ovviarigorosa valutazione scientifica, i progetti cheincludono cellule ES richiedono una valutazioneetica indipendente, ma anche di un parere eticonazionale favorevole (in assenza del quale il pro-getto, anche se scientificamente outstanding, nonverrà mai approvato), oltre all’ovvio riconoscimen-to e adeguamento alla legge nazionale. La quinta regola prevede anche che tali progettivengano infine votati dalle delegazioni nazionali,uno ad uno. Non saprei come classificare il signi-ficato di questo voto. Certamente non si tratta diun voto di merito sulla scienza. E nemmeno di unvoto circa l’eticità del progetto. A seguito di tuttociò, i progetti europei di ricerca sulle cellule ESumane sono numericamente pochi a fronte di deci-ne di progetti finanziati sulle staminali adulte.Guardando all’Italia, dopo pareri contrastanti deiComitati Nazionali di Bioetica che si sono succe-duti, la legge 40/2004 introdusse il divieto, sanzio-nandolo penalmente, alla derivazione di nuove lineeES da blastocisti umane sovrannumerarie (comun-que destinate alla distruzione). È però possibile

importare linee già derivate (anche generatedomani) da ricercatori all’estero che le abbiano pro-dotte per le loro ricerche. Queste cellule vengonoscambiate nell’ambito di progetti europei collabo-rativi, aderendo quindi completamente alle impo-sizioni della Legge 40. Sebbene (parzialmente) per-missiva, il cappio alla ricerca sulle ES in Italia vie-ne tuttavia dal finanziamento. A titolo di esempio,a luglio 2009 il Ministero della Salute emanava unbando per la ricerca sulle cellule staminali dal qua-le venivano escluse le ricerche sulle ES. Tre ricer-catori, tra i quali la scrivente, hanno presentatoricorso contro il Ministero (40, 41).Nel frattempo, il nuovo Presidente degli USA, conil suo primo discorso alla nazione lo scorso 9 mar-zo 2009 azzerava il provvedimento messo in attoda Bush che proibiva lo stanziamento di fondi fe -derali alla ricerca sulle cellule ES. Presto si creòun contenzioso. Due ricercatori, insieme ad associazioni di variaestrazione, si appellarono contro l’ammini strazioneObama sostenendo che la sua apertura andavacontro il decreto Dickey-Wicker del 1996 il qua-le vietava il finanziamento pubblico a ricerche checomportavano la distruzione di embrioni. Il loroprimo ricorso non venne accolto poiché non fuchiaro quale eventuale danno la posizione dell’am-ministrazione Obama recava agli appellanti. Il lorosecondo ricorso venne invece improntato sulladiscriminazione che le ricerche (sulle staminaliadulte) dei due ricercatori avrebbero subito nelmomento in cui anche progetti sulle ES umaneavrebbero potuto competere per il finanziamen-to pubblico. Il 23 agosto 2010 un tribunale distret-tuale USA accoglieva questa curiosa argomen-tazione ammettendo - con azione immediata - ildivieto dell’utilizzo dei fondi pubblici per la ricer-ca se gli embrioni venivano distrutti, confonden-do quindi cellule (non citate dal decreto Dickey-Wicker) e embrioni. Il finanziamento federale allaricerca sulle cellule ES umane veniva così istan-taneamente bloccato e i ricercatori impegnati suqueste ricerche costretti ad interrompere il lavo-ro e congelare tutti gli sforzi progettuali in atto.L’amministrazione Obama si appellò contro ladecisione del giudice ottenendone la sospensio-ne del giudizio e permettendo il riavviarsi dellericerche già finanziate. Lo scorso maggio 2011 lacorte concluse dando ragione al governo ameri-

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cano. Tuttavia, la non unanimità del giudizio ren-de ancora possibile un ulteriore ricorso da partedei due ricercatori. Tornando in Europa, la Germania è ora in procin-to di passare una legge che estende i limiti tem-porali a linee prodotte entro il 2007. La Svizzeraha autorizzato l’uso di blastocisti sovrannumera-rie per un periodo di tempo. La Francia sta discu-tendo un allargamento. La Spagna permette laderivazione di linee, così come il Belgio e lo sta-to di Israele.

n MEDICINA RIGENERATIVA

Il termine medicina rigenerativa identifica quellabranca della medicina il cui obiettivo è portare alrecupero permanente dei tessuti e degli organidanneggiati sfruttando le potenzialità rigenerati-ve delle cellule staminali. Gli avanzamenti dellamedicina rigenerativa sono quindi strettamentecorrelati ai progressi delle conoscenze sulla bio-logia delle cellule staminali in quanto le cellule sta-minali ed i loro derivati specializzati, naturali o inge-gnerizzati, forniscono le componenti funzionali diun regime terapeutico rigenerativo. Due sono le strategie di intervento della medici-na rigenerativa. Il primo prevede l’approccio in vivoche si basa sulla stimolazione farmacologica del-le cellule staminali residenti nei tessuti endogenidi interesse al fine di stimolarne il potenziale ripa-rativo. Il secondo approccio, ex vivo, mira al tra-pianto di cellule staminali, o progenitrici, espan-se e/o modificate geneticamente in vitro che vada-no a colonizzare il distretto di interesse e nesostengano l’aspetto rigenerativo-riparativo. Inquesta sezione ci focalizzeremo principalmentesugli aspetti di terapia cellulare in medicina rige-nerativa, tralasciando le strategie in vivo in quan-to ancora difficili da immaginare a scopo terapeu-tico per la maggior parte delle malattie. Le appli-cazioni di terapia cellulare basate sul trapianto allo-genico di midollo osseo o di cellule ematopoie-tiche per la cura di diverse malattie del sangue,sono gia’ state ampiamente trattate dalla rivistae quindi non verranno incluse. In questa sezionesono riassunte alcune sperimentazioni innovati-ve e un caso di successo, la cura delle lesioni allacornea, basate su cellule staminali.

Le lesioni degli epiteli di rivestimentoUno degli ambiti con sicure applicazioni clinicheoggi è quello della riparazione degli epiteli squa-mosi. Questi includono l’epidermide e la cornea.In questi casi, già da diversi anni è possibile effet-tuare dei trapianti di pelle autologa. Il nuovo tes-suto cutaneo viene generato in vitro su matricidi collagene e matrigel, a partire da progenitorie staminali cutanee derivanti da piccole biopsiedella cute del paziente. Pioniere di questo filonedi ricerca fu Howard Green che nel 1983 eseguìil primo trapianto di pelle coltivata su tre bambi-ni ustionati gravi (10). Da allora centinaia dipazienti hanno beneficiato di questo trattamen-to che viene applicato ai pazienti con ustioni diterzo grado. Tuttavia la letteratura è priva di infor-mazioni circa i meccanismi alla base dell’integra-zione del nuovo tessuto. Ancora oggi, quindi, pre-dirre l’efficacia di un trapianto è impossibile e lelinee guida per il trapianto non si sono evolutein modo significativo negli ultimi 25 anni. Ciononostante, nel 1987 uno studio di YannBarrandon ha proposto una metodologia efficien-te per la crescita di cellule staminali della pellein vitro e la produzione di cheratinociti a partireda esse, anche se i costi elevati e la necessitàdi diversi mesi per ricostruire lembi di pelle este-si, di fatto ne limitano la piena diffusione in cli-nica. In aggiunta, sebbene questo oggi rappre-senti uno straordinario trattamento salvavita, imalati trapiantati chiedono una vita migliore. Lapelle così rigenerata, infatti, non è ottimale inquanto priva di ghiandole sudoripare e di bulbipiliferi. La pelle inoltre è secca, provocando ano-malie nella termoregolazione e nella fisiologia diquesto importante tessuto. Ecco quindi che ènecessario capire la normale fisiologia di svilup-po e rigenerazione della pelle e capire la biolo-gia delle staminali della pelle. Oggi sappiamo chele staminali cheratinocitiche sono localizzate indiverse zone dell’epidermide. In laboratorio,queste cellule possono essere propagate gene-rando olocloni in grado di sostenere anche 200divisioni e che quando trapiantati riescono a rige-nerare pelle o cornea. Altre staminali sono pre-senti nel bulbo pilifero e nelle ghiandole sudori-pare. Quelle del bulbo pilifero sembra partecipi-no attivamente anche alla riparazione dell’epider-mide in seguito a danno.

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Un altro epitelio che è possibile rigenerare com-pletamente è l’epitelio corneale (12). In caso dilesioni alla cornea, l’epitelio congiuntivale, checostituisce la parte visibile bianca dell’occhio,prende il sopravvento portando alla formazionedi quello che in termini clinici si chiama pannuse che copre tutto il bulbo, causando cecità. In mol-ti casi, è possibile ricostruire la cornea partendoda staminali presenti a livello del limbus dell’oc-chio, una striscia di cellule, di cui circa il 10% concaratteristiche staminali, che circonda la cornea.Sebbene il prelievo non possa essere mirato allesole staminali limbari, è presumibile che il siste-ma di espansione in vitro selezioni per le stami-nali corrette le quali, una volta messe in coltura,sono in grado di ricostruire in circa 3-4 settima-ne un lembo di epitelio corneale che viene impian-tato al posto di quello compromesso. Tra i pio-nieri di questa tecnologia vi sono GraziellaPellegrini e Michele De Luca attualmenteall’Università di Modena, che nel 1997 pubblica-rono il primo studio sulla coltivazione della cor-nea a partire da staminali. Più di recente, questiricercatori, insieme a Paolo Rama, del SanRaffaele di Milano hanno perfezionato la tecnicaarrivando a confermare il recupero totale della vistaanche 6 anni dopo il trapianto (42, 43).

Le disfunzioni cardiacheIl cuore è uno degli organi che si pensava dispen-sato da processi rigenerativi. In realtà, alcuni stu-di hanno suggerito che nel miocardio umanopotrebbero risiedere dei progenitori, evidenzia-bili grazie all’espressione di marcatori quali adesempio c-kit o sca-1, i quali potrebbero rigene-rare, in condizioni normali, l’intero gruppo di mio-cardiociti di un cuore adulto in circa 4-5 anni.Tuttavia questi risultati sono molto dibattuti, siaper quel che riguarda l’effettiva capacità rigene-rativa sia per la presenza concreta di progenito-ri nel cuore adulto (44-46). Nonostante ciò, l’uti-lizzo delle cellule staminali per riparare il tessu-to cardiaco rappresenta uno degli ambiti appli-cativi che ha attratto i maggiori interessi anchese non è ancora chiaro come ottenere cellule delmiocardio che siano il più possibile simili a quel-li della sede cardiaca lesionata. Le cellule cardio-miocitiche differiscono infatti tra loro a secondadella zona del cuore e della specifica funzione. Per

esempio, le cellule cardiache che conducono lostimolo elettrico e sono responsabili del battitocardiaco sono diverse da quelle che si contrag-gono. Ad oggi, l’unico tipo di cellule da cui si pos-sono ottenere i cardiomiociti sono le cellule ES(e le loro omologhe surrogate, le iPS). Altre tipo-logie, quali le staminali adulte, non sono in gra-do di formare cardiomiociti ma, se trapiantate, sipensa possano aiutare la ripresa della funziona-lità cardiaca con un’azione comunque molto limi-tata nel tempo e attraverso meccanismi ancoranon chiari. Fu uno studio del 1992, firmato dalgruppo di Piero Anversa a stimolare l’interesse ver-so il trapianto di staminali come terapia per l’in-farto al cuore. Questo studio indicava infatti chele cellule del midollo osseo erano in grado trasfor-marsi in cellule cardiache. Subito iniziarono le pri-me sperimentazioni sull’uomo. Tuttavia, studi suc-cessivi smentirono il dato originale. Oggi, e inassenza di solide evidenze precliniche, molti ospe-dali offrono trapianti di staminali (di diverso tipo)post-infarto. Guardando ai più recenti risultati disperimentazioni controllate sembra che il bene-ficio, se presente, sia modesto, specialmente alungo termine. Si presume inoltre che le stami-nali trapiantate possano limitare il danno ische-mico successivo all’infarto miocardico o stimo-lare l’angiogenesi e quindi aumentare l’afflusso disangue al muscolo cardiaco (14). Queste incer-tezze non riducono comunque l’importanza diinvestire su strategie che stimolino la rigenerazio-ne intrinseca o estrinseca del cuore. Al contrario,può essere molto importante costruire scientifi-camente su quei (pochi) risultati di migliorata per-formance all’esercizio fisico dopo trapianto, evi-dente fino a 4-6 mesi, soprattutto per i pazienticon una maggior area infartuata. Alcuni beneficisono stati descritti anche dopo trapianto in un pic-colo gruppo di pazienti affetti da angina pecto-ris. In questo panorama, le ES umane (o le iPS)offrirebbero una marcata capacità di trasformar-si nel tipo cellulare corretto. Tuttavia, una volta dif-ferenziate in vivo, potrebbero contrarsi spontanea-mente, producendo aritmie. A queste problema-tiche si aggiunge la necessità di eliminare ognirischio che una quota di cellule donatrici rimasteindifferenziate produca teratomi. Infine, nonessendo autologhe, queste cellule verrebbero eli-minate, rendendo necessaria una terapia immu-

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nosoppressiva. Le cellule iPS potrebbero risolve-re quest’ultimo aspetto. Tuttavia è bene ricorda-re che l’impiego delle iPS prevede modalità di tera-pia cellulare personalizzata, la quale, anche lad-dove si riveli efficace, resterebbe probabilmenteper lungo tempo inaccessibile ai più. Il successodelle ES (o delle iPS) a livello preclinico sembracomunque passare da protocolli che permetta-no l’isolamento prospettico delle tipologie di pro-genitori cardiaci desiderati e in grado di cresce-re e differenziare in modo omogeno. Il primo tra-pianto di cardiomiociti ottenuti da ES fu effettua-to nel cuore del maiale. In questo studio si dimo-strò che le cellule donatrici potevano funzionareda pacemakers biologici e quindi da veri cardio-miociti in grado di battere dopo trapianto. Tuttaviaevidenziò anche il potenziale rischio di aritmielocali. I successivi studi, estesi al tentativo di ripa-rare l’intero miocardio infartuato, dimostrarono lacapacità di sopravvivenza delle cellule donatricima anche la formazione di sincizi tra le celluleumane donatrici che non si connettevano conquelle dell’ospite roditore. In conclusione, diver-se tipologie cellulari sono in studio per la terapiadel cuore infartuato (47). Uno dei primi obiettivisarà garantire la sopravvivenza delle celluledonatrici al fine di ottenere un effetto rilevante ea lungo termine. L’efficacia potrebbe derivare dal-l’inserimento delle nuove cellule nel circuito car-diaco ma anche dalla formazione di nuovi vasi eda effetti paracrini. Sarà necessario studiare ilmeccanismo al fine di migliorarne l’eventualebeneficio. Potrebbe inoltre essere interessanteconcepire strategie combinate con staminalidisposte su matrici cellulari al fine di preallinearei cardiomiociti in modo da garantire una correttacontrazione dopo il trapianto. L’effetto della tera-pia cellulare potrebbe anche essere prolungatoattraverso l’impiego di cocktails composti da fat-tori di sopravvivenza oppure effettuando il trapian-to dopo la fase postinfiammatoria iniziale. Tuttiquesti studi e l’interpretazione dei risultati dipen-dono comunque dalla risposta ad una semplicedomanda: i roditori sono modelli utili per le pato-logie del cuore? Il cuore del roditore batte 400-600 volte al minuto mentre quello dell’uomo pre-senta 60-100 battiti. È quindi possibile che cel-lule umane trapiantate degenerino o muoiano pertachicardia locale, anche qualora riescano a crea-

re sincizi con le cellule endogene. Del resto, èimportante che sperimentazioni cliniche control-late possano procedere sulla base delle eviden-ze sperimentali che si renderanno disponibili.

Il diabeteL’idea di sostituire le cellule producenti insulinaper trattare il diabete di tipo 2 è addirittura del1894. Tuttavia il primo trapianto efficace di cellu-le delle isole pancreatiche nel ratto è del 1972.Poi furono Shapiro et al. nel 2000 a pubblicare ilprimo dato di successo sull’uomo usando isoleda tre donatori. I risultati, buoni inizialmente, dimo-stravano però un ritorno allo stato di insulinadipendenza dopo 5 anni, anche se si stima chel’80% dei pazienti conservava una funziona resi-dua del trapianto. Ancora più rimarchevoli sonogli esempi di pazienti in cui la sopravvivenza e fun-zione permaneva a lungo termine (>10 anni), evi-denziata con la capacità di mantenere una nor-male glicemia. Nonostante le ragioni di questa effi-cacia sia ignota, questi esempi dimostrano cheè possibile normalizzare la funzione del pancre-as a lungo termine attraverso il trapianto alloge-nico di isole di Langherans. Tuttavia, il maggiorproblema di questa strategia risiede nella scarsadisponibilità del tessuto donatore essendo deri-vato da cadaveri. In ambito di staminali in gradodi produrre cellule beta pancreatiche insulina pro-ducenti, esistono alcune possibilità, ma nessunaveramente ottimale ad oggi (48). Alcuni studi ini-ziali dimostrarono la capacità di cellule stamina-li adulte di generare cellule beta. Tuttavia questedimostrazioni non includevano prove di funziona-lità convincenti così come non discutevanol’espandibilità delle cellule, requisito necessario alfine di una applicazione clinica. La speranza oggirisiede nella possibilità di ricapitolare in vitro lo svi-luppo normale delle cellule beta a partire dalle ES.Alcuni studi recenti mostrano che è possibile otte-nere endoderma a partire da ES. Questo viene poiconvertito in progenitori pancreatici e cellule simi-li alle beta pancreatiche responsive ai livelli di glu-cosio dopo trapianto (48). Altre strategie, per orasperimentali, dimostrano che è possibile conver-tire cellule esocrine acinari in cellule endocrinebeta pancreatiche attraverso l’espressione forza-ta di tre fattori di trascrizione. E con un solo fat-tore di trascrizione sembra possibile trasformare

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in vitro cellule alfa che producono glucagone incellule beta insulina secernenti.

Le patologie degenerative del muscoloscheletricoIl muscolo scheletrico è il tessuto preponderan-te del corpo umano e contiene una popolazionedi progenitori muscolari, le cosiddette cellule satel-lite che sono in grado di provvedere al riparo fisio-logico di questo tessuto mediante l’aggiunta dinuove fibre muscolari. Per il trattamento dellepatologie degenerative del muscolo sono stateanalizzate diverse cellule staminali con attività mio-genica. Tra queste vanno annoverate le cellulesatellite, ma anche le cellule CD133+ estratte dalmuscolo scheletrico o dal midollo osseo, oltre aiprogenitori endoteliali e ai mesangioblasti. Tuttequeste popolazioni mostrano capacità miogeni-ca in vitro; tuttavia una vera e consistente capa-cità miogenica in vivo in seguito a trapianto è sta-ta evidenziata solo per le cellule satellite ed imesangioblasti, anche se le prime sono caratte-rizzate da una limitata sopravvivenza. I mesangio-blasti, isolati dal topo nel 2003 dal gruppo di GiulioCossu, sono cellule capaci di differenziare in diver-si tipi cellulari del mesoderma, incluso il musco-lo scheletrico. Il loro trapianto, per via endoveno-sa, in topi distrofici produce un recupero funzio-nale dei muscoli iniettati e un miglioramento cli-nico nel cane. È stata di recente avviata una spe-rimentazione clinica su un ristretto numero dipazienti distrofici.

Le patologie degenerative del sistemanervoso centrale (SNC)Le malattie del SNC sono un’eterogenea fami-glia di malattie con caratteristiche ezio-patolo-giche e sintomatologiche ben distinte tra loro eprive di cura. Gli approcci saranno quindi diver-si e le staminali più o meno indicate a secondadella malattia. Detto questo, è importante sot-tolineare come negli ultimi vent’anni, l’approc-cio trapiantologico in clinica, mediante l’utilizzodi tessuto nervoso fetale umano, sia stato spe-rimentato per il morbo di Parkinson e per la coreadi Huntington ottenendo risultati eterogenei intermini di sopravvivenza del materiale e di recu-pero funzionale per il paziente. Questo anchecome conseguenza della limitata standardizza-

zione della procedura che, come nel caso del tra-pianto di isole nel diabete, poteva produrre risul-tati ottimi in alcuni limitati casi di pazienti ai qua-li fu addirittura sospesa la terapia farmacologi-ca. Negli ultimi anni, grazie alla possibilità di iso-lare ed espandere in vitro cellule staminali neu-rali umane ottenute da cervello fetale o adultoo da cellule pluripotenti (ES ed iPS), le speran-ze di raggiungere risultati più soddisfacenti sisono moltiplicate. Probabilmente la malattia can-didata al trapianto di staminali è il Parkinson.Questo per la selettività della lesione e per ilnumero relativamente limitato e circoscritto dineuroni dopaminergici da sostituire. Diverse sta-minali sono state proposte, a partire dallemesenchimali o dalle cordonali, ma le evidenzedisponibili in ambito preclinico a questo propo-sito sono ancora troppo limitate e il meccanismoignoto (49, 50). Gli unici risultati consolidati e viavia migliorati nel tempo nel modello animale sonostati ottenuti con i progenitori dopaminergici otte-nuti da ES dalle quali è stato possibile ottenereneuroni dopaminergici funzionalmente attivi.Alcune applicazioni tuttavia sono già in sperimen-tazione sull’uomo, tra le quali alcune probabilmen-te portate in clinica troppo precocemente. Molte,se non tutte, sotto la guida di ditte biotecnologi-che. Ad esempio, la ReNeuron (http://www.reneu-ron.com/company_info/ren001_for_stroke/), stavagliando l’uso di cellule staminali neurali immor-talizzate (ottenute da feti umani alla 12ma settima-na) in pazienti colpiti da ischemia cerebrale. I pri-mi dati a proposito sembrano indicare una scar-sa sopravvivenza delle cellule trapiantate e nonmostrare beneficio per i pazienti. Questi studi sibasano su linee cellulari fetali prodotte anni fa attra-verso una procedura (l’immortalizzazione) che oggirisulterebbe obsoleta. La StemCells (http://www.stemcellsinc.com/Therapeutic-Programs/Clinical-Trials.htm) e la Neuralstem (http://www.neural-stem.com/index.asp?pgid=1) sta invece effet-tuando studi che prevedono l’impianto di cellulestaminali neurali umane non immortalizzate per iltrattamento della sindrome di Batten, della scle-rosi laterale amiotrofica e delle lesioni midollari cro-niche. Infine, la Geron (http://www.geron.com/GRNOPC1Trial/) ha ottenuto l’autorizzazionedall’FDA americano per un trial clinico in fase I uti-lizzando precursori oligodendrogliali derivati da cel-

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lule ES umane per il trattamento di lesioni midol-lari acute. Anche la Advanced Cell Technology haavuto l’autorizzazione a procedere con staminaliembrionali umane per la degenerazione macula-re. Nell’insieme, questi studi forniranno dei dati ini-ziali sull’utilizzo clinico delle cellule staminali peril trattamento di patologie degenerative cerebra-li, soprattutto per quel che concerne la sicurezza.Quest’ultimo rappresenta un aspetto fondamen-tale, soprattutto in relazione alle sempre più nume-rose ditte nel mondo che offrono trattamenti basa-ti su staminali per trattare diverse patologie, tra lequali anche quelle relative al cervello (51, 52). LaISSCR ha già espresso le preoccupazioni dellacomunità scientifica relativamente ad un apparen-te eccesso di ottimismo nelle informazioni chespesso si rendono disponibili attraverso web e siè organizzata per fornire tutte le informazioni dispo-nibili, anche sui rischi per il paziente che intendeavvicinarsi a una di queste strategie. Purtropposignificativo è il caso, riportato recentemente, diun bambino israeliano di 9 anni con una malattiarara del cervello (atassia telangectasica) trattatocon (presunte) cellule staminali fetali in una clini-ca russa. Quattro anni dopo i ripetuti trapianti, inseguito all’insorgenza di una sintomatologia neu-rologica grave, una TAC evidenziava lo sviluppodi un tumore al cervello e al midollo spinale pro-vocato dall’eccessiva proliferazione delle cellule tra-piantate (53, 54). In conclusione, i riflettori punta-ti sulle staminali devono anche portare scienzia-ti, medici, enti regolatori e bioeticisti ad agire inmodo coordinato, per potere procedere verso unaresponsabile traslazione della ricerca sulle cellu-le staminali in applicazioni cliniche appropriate ebasate sull’evidenza.

n CONCLUSIONI

Le terapie cellulari e la medicina rigenerativa, sem-pre più basate sui progressi della biologia dellecellule staminali, hanno iniziato a porre le basi del-la pratica clinica del futuro. Le sfide ancora aper-te al fine di sfruttare appieno le potenzialità del-le cellule staminali sono tuttavia molteplici e richie-dono un approccio multidisciplinare integrato.Nonostante l’entusiasmo degli studi sulle stami-nali, non vi è probabilmente nulla di più sbaglia-

to del procedere al trapianto nell’uomo prima deltempo e senza prove consolidate e pubbliche.L’utilità clinica delle staminali potrà essere certasolo se in grado di fornire al paziente strategiesicure, a lungo termine e sostanzialmente più effi-caci di qualsiasi altro trattamento disponibile.È inoltre necessario che gli aspetti etici, legali ecommerciali riguardanti la ricerca sulle cellule sta-minali e alle relative sperimentazioni cliniche con-tinuino ad essere discussi su obiettivi concreti eattraverso strategie che si presentino semprecome medicalmente obiettive, scientificamenteoneste e socialmente utili.

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n INTRODUZIONE

Già 2500 anni fa l’uomo era affascinato dalla rige-nerazione delle lucertole e delle salamandre, deigamberi e dei vermi, dei polipi e delle lumache,tuttavia riteneva che questa proprietà rigenerati-va non appartenesse agli esseri umani e soprat-tutto non fosse una caratteristica intrinseca delsistema nervoso, considerato da sempre tessu-to perenne. La visione imperante era che solo pic-cole porzioni del sistema nervoso periferico fos-sero in grado di ricrescere e che gli assoni taglia-ti diventassero rapidamente distrofici (1). Tale visio-ne cambiò radicalmente a partire dall’inizio del’900. È il 1907 quando Francisco Tello, un colla-boratore di Santiago Ramón y Cajal, dimostra cheil nervo ottico può ricrescere quando amputatose al suo moncone viene contrapposto un mon-cone di nervo sciatico. Questo dato evidenzia, perla prima volta, come, in presenza di un microam-biente permissivo, sia possibile assistere a feno-

meni rigenerativi anche nel sistema nervoso cen-trale (SNC). Convinto dagli studi di Tello, Cajal,seppur inizialmente scettico, è costretto alcunianni più tardi a ricredersi circa l’irreversibilità deidanni subiti dal SNC.Malgrado i lavori di Tello e il convincimento diCajal, però, solo verso la metà degli anni ’70 siinizia a comprendere realmente come il potenzia-le rigenerativo del sistema nervoso dei mammi-feri fosse maggiore di quanto la comunità scien-tifica avesse potuto immaginare fino a quelmomento. È, infatti, nel 1965 che Joseph Altmane Gopal Das scoprono, nel cervello di roditori adul-ti, la presenza di cellule staminali neurali (neuralstem/precursor cells o NPCs) in grado di dare ori-gine a nuovi neuroni (2). Grazie a questa scoper-ta, ed a molte altre che si sono poi susseguite neltempo, oggi possiamo affermare che i processirigenerativi che avvengono sia in condizioni fisio-logiche (processi di mantenimento) che patologi-che (processi riparativi) non solo sono parte fon-damentale della vita ma sono anche presenti nelSNC. Questi processi, seppur variando a secon-da della specie e dell’individuo, sono finalizzati asostenere sia l’omeostasi (perdita cellulare con-seguente a normale usura cellulare) che la ripa-razione (perdita cellulare conseguente ad un dan-no) tissutale.La scoperta delle NPCs - a cui ha fatto seguitol’identificazione delle caratteristiche sia cellulariche molecolari che ne governano il comportamen-to e la loro capacità di generare nuovi elementi

Plasticità terapeutica Plasticità terapeutica delle staminali neuralidelle staminali neuraliGIANVITO MARTINO, STEFANO SANDRONEUnità di Neuroimmunologia, Istituto di Neurologia Sperimentale (INSpe), Divisione di Neuroscienze, Istituto Scientifico San Raffaele

Parole chiave: cellule staminali neurali, plasticità tera-peutica, infiammazione, neurodegenerazione.

Indirizzo per la corrispondenza

Gianvito MartinoIstituto di Neurologia Sperimentale (INSpe),Divisione di Neuroscienze,Istituto Scientifico San Raffaele, DIBIT-IIVia Olgettina, 58 - 20132 MilanoE-mail: [email protected]

Gianvito Martino

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cellulari di tipo neuronale - e la loro relativa faci-le coltivabilità in vitro, hanno rappresentato il siste-ma teoretico su cui si sono basati innumerevolitrapianti sperimentali utilizzanti NPCs per promuo-vere la riparazione del SNC. I risultati ottenuti finoad ora suggeriscono che il trapianto di NPCs puòpromuovere la riparazione tissutale non solo attra-verso una sostituzione diretta delle cellule dan-neggiate, ma anche prevenendo il danno cellu-lare attraverso la secrezione di molecole neuro-protettive.Proprio di quest’ultimo aspetto ci occuperemo inquesto articolo; in particolare, ci focalizzeremo sul-la notevole plasticità terapeutica delle NPCs endo-gene ed esogene (trapiantate) nel promuovere lariparazione del SNC. Particolare attenzione ver-rà posta al dialogo che si instaura tra le NPCs ele cellule del sistema immunitario - sia quelle cherisiedono nel SNC (i.e. microglia) che quelle cheprovengono dal sangue - come evento crucialeche sostiene la neuroprotezione mediata dalleNPCs. Concluderemo esplicitando il concetto diplasticità terapeutica delle NPCs, e cioè la capa-cità delle NPCs trapiantate di esercitare diverseazioni terapeutiche in base al contesto in cui ven-gono trapiantate - sostituzione cellulare diretta,supporto neurotrofico, immunomodulazione -con la finalità ultima di riparare il SNC danneg-giato.

n NEUROGENESI COME PRESUPPOSTO AL TRAPIANTO DI NPCs

Nel 1965, Altman e Das (2) dimostrano, per la pri-ma volta, che la nascita di neuroni maturi - lacosiddetta neurogenesi - può avvenire anche nel-l’età adulta sconfessando la nozione imperanteche faceva risalire la nascita dei neuroni solo alperiodo embrionale e fetale. Nel 1983, FernandoNottebohm non solo conferma l’ipotesi dello svi-luppo di neuroni maturi anche nell’età adulta ma,soprattutto, dimostra che i nuovi neuroni gene-rati sono funzionalmente attivi: nel canarino, laneurogenesi è finalizzata all’acquisizione e al man-tenimento del canto (3). Il percorso si completaalla fine degli anni ’90 quando Elizabeth Gould eFred Gage dimostrano che la neurogenesi avvie-

ne anche nel cervello adulto di scimmie ed esse-re umani (4, 5). Nel frattempo, Brent Reynolds eSamuel Weiss riescono a coltivare in vitro le NPCsadulte dal cervello di topo così da renderne dispo-nibile un cospicuo numero per coloro i quali neglianni successivi si cimenteranno nei trapianti cheabbiamo accennato in precedenza (6). Grazie aqueste scoperte, oggi sappiamo che, in diversespecie di mammiferi, le cellule staminali - le cuidue caratteristiche biologiche essenziali sono:1) l’autorinnovamento (self-renewal), ovvero la

capacità di dare origine, in seguito ad una divi-sione cellulare, ad altre cellule staminali checonservano lo stesso potenziale di differenzia-zione della cellula madre;

2) la multipotenza di differenziazione, cioè l’abi-lità di dare origine a diversi tipi di cellule conun maggior grado di differenziazione.

Sono presenti anche nel cervello adulto. In par-ticolare, sappiamo che le NPCs risiedono in duearee ben precise del cervello adulto: la zona sub-granulare del giro dentato dell’ippocampo (sub-granular zone o SGZ), e la zona subventricolaredei ventricoli cerebrali laterali (subventricolarzone o SVZ). In queste due aree, le NPCs risie-dono in zone denominate nicchie germinali,microambienti specializzati che ne regolano l’au-torinnovamento e la differenziazione (7).

n TRAPIANTO DI NPCs: CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

La scoperta della neurogenesi adulta ha indub-biamente favorito lo sviluppo di terapie basate sultrapianto di NPCs. Molti sono gli studi che, ad oggi, hanno eviden-ziato un potenziale beneficio del trapianto di NPCsin modelli animali di diverse malattie neurologi-che sia acute che croniche, anche se un nume-ro crescente di evidenze suggeriscono che glieffetti delle cellule trapiantate non sono da attri-buire soltanto alla generazione di nuovi neuronio di cellule gliali (8). La sostituzione cellulare, infat-ti, non è l’unica strategia che le NPCs trapianta-te adottano per favorire la rigenerazione. Ad oggi,infatti, possiamo prevedere uno scenario terapeu-tico più complesso, che gravita attorno al con-cetto di plasticità terapeutica: le NPCs adattano

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il loro destino e le loro funzioni al contesto tissu-tale nel quale vengono trapiantate e all’interno diquesto contesto possono esercitare molteplici fun-zioni terapeutiche che vanno dalla sostituzionecellulare al supporto neurotrofico e all’immuno-modulazione. Ma a prescindere dal modo con cuile NPCs trapiantate riparano il tessuto danneg-giato, sono ancora molte le questioni irrisolte inambito trapiantologico alle quali si devono darerisposte concrete prima di pensare ad una realetrasferibilità di tali terapie nell’uomo. Quali sonole sorgenti ideali di NPCs da usare? Qual è lamigliore via di somministrazione delle cellule?Come si integrano le cellule trapiantate nel tes-suto e per quanto tempo rimangono funzionan-ti? Nei prossimi paragrafi, cercheremo di dare del-le risposte a queste domande che, seppur par-ziali, pensiamo possano dare un’idea comples-siva dello stato dell’arte in ambito trapiantologi-co per quanto riguarda le NPCs e le malattie neu-rologiche.

Identificare la migliore sorgente cellulareIn linea di principio, sia le cellule staminaliembrionali (embryonic stem cells o ES) che le cel-lule staminali somatiche adulte sono sorgenti cel-lulari adeguate per i trapianti (Figura 1). Tuttavia,è di fondamentale importanza notare che entram-be le sorgenti cellulari hanno intrinseche limita-zioni.Le NPCs adulte sono multipotenti, cioè posso-no dare origine a tutti e tre i lineages neurali (i.e.neuroni, astrociti, oligodendrociti) e sono otteni-bili da SNC proveniente sia da tessuti fetali, cheneonatali o adulti. In colture prive di siero ma con-tenenti epidermal growth factor (EGF) e fibroblastgrowth factor (FGF)-II, le NPCs proliferano inmodo quasi indefinito e formano sfere multicel-lulari chiamate neurosfere; le neurosfere, coltiva-te in assenza di fattori di crescita, sono poi capa-ci di differenziare spontaneamente in cellule figliepost-mitotiche di tipo neurale (neuroni, astrocitie oligodendrociti). Tuttavia, anche le NPCs cre-

FIGURA 1 - Rappresentazione delle diverse sorgenti tissutali da cui è possibile ottenere cellule staminali da espandere poi in vitromediante tecniche di coltivazione specifiche per ogni tipo cellulare. FIV = fertilizzazione in vitro; iPSC = induced pluripotent stemcells. Adattata e modificata (87).

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sciute come neurosfere diminuiscono, con il tem-po, sia l’attività delle telomerasi sia la lunghez-za dei telomeri e mostrano, dopo diversi passag-gi in vitro, una riduzione della loro capacità pro-liferativa. Recenti evidenze indicano che NPCscresciute in aderenza e prive di siero possonoessere propagate in colture omogenee ed espan-se senza limiti, superando quindi i limiti di cre-scita intrinseci delle neurosfere (9). A parte i pro-blemi di crescita, le NPCs adulte hanno ancheun altro limite reale: ad oggi, infatti, l’unica sor-gente di NPCs utilizzabile per il trapianto nell’uo-mo è di tipo fetale, quindi allogenico; da qui lanecessità di accompagnare i trapianti con tera-pie immunosoppressive anti-rigetto.Le ES sono pluripotenti, cioè in grado di genera-re tutte i tipi cellulari che originano dai tre fogliet-ti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoder-ma), incluse le NPCs. In teoria, quindi, le ES pre-levate e messe in coltura potrebbero garantire unaresa maggiore rispetto alle cellule somatiche adul-te di cui sopra. È importante sottolineare in teo-ria, perché, per ottenere ES, è necessario soppri-mere gli embrioni: questa pratica causa problemietici in una parte della società civile e rappresen-ta, dunque, un limite. Proprio nel tentativo di evi-tare la soppressione degli embrioni (10-12), lacomunità scientifica ha sviluppato diverse tecni-che (13) - e.g. il trasferimento nucleare alterato, lapartenogenesi e l’utilizzo di ES derivate da un sin-golo blastomero - che sono culminate, nel 2006,nella scoperta delle cosiddette cellule staminaliindotte pluripotenti (induced pluripotent stemcells o iPSC). Modificando geneticamente fibro-blasti adulti sia murini che umani - attraverso l’in-serimento di quattro geni che codificano per quat-tro diversi fattori di trascrizione espressi durantela vita embrionale (Oct4, Sox2, c-Myc, e Klf4) - siottengono cellule simili alle ES (14-17). Le iPSCsi configurano, quindi, a tutti gli effetti come unanuova sorgente di cellule staminali pluripotenti (15,18, 19): sono indistinguibili dalle ES per quantoriguarda la morfologia, la capacità di crescere, lostato della cromatina, il profilo di espressione geni-ca e il potenziale differenziativo in qualsiasi tipo cel-lulare (20-22). Inoltre, la possibilità di derivare cel-lule staminali pluripotenti direttamente dalle cel-lule del paziente stesso per produrre cellule sta-minali autologhe - incluse le NPCs - si configura

come un grande vantaggio per le terapie di tra-pianto di cellule staminali grazie alla mancanza dirisposta immune da parte del paziente. Qualsiasi sia la sorgente primaria di ES, non c’èdubbio che l’utilizzo di queste cellule nella prati-ca clinica presenta un rischio intrinseco: ES pri-ma coltivate in vitro e poi trapiantate in vivo pos-sono causare tumori (23). Tuttavia, sono statirecentemente descritti nuovi protocolli di colturadelle ES, utilizzando i quali si potrebbe evitare laformazione di tumori (i.e. teratocarcinomi) in vivodopo il trapianto (24).

La via di somministrazione delle celluleLa via di somministrazione rappresenta una que-stione cruciale per il trapianto di NPCs e, sche-matizzando, possiamo affermare che dipendesostanzialmente dal sito e dal numero (focale vsmultifocale) delle lesioni presenti nel SNC.Le caratteristiche anatomo-patologiche dellemalattie focali del SNC, come il morbo diParkinson (Parkinson disease o PD) o la malattiadi Huntington (Huntington disease o HD) sugge-riscono che il trapianto cellulare locale e diretto(intralesionale) possa facilitare la rigenerazione deltessuto, mentre il carattere multifocale di altrepatologie del SNC - come nel caso delle malat-tie demielinizzanti, ad esempio la sclerosi multi-pla (multiple sclerosis o MS) - può rappresenta-re un grande limite agli approcci di tipo intrale-sionale. In questi casi, il trapianto sistemico (i.e.intravenoso, intratecale) delle NPCs può rivelar-si terapeuticamente efficace: è stato, infatti,dimostrato che le NPCs iniettate direttamente neltorrente circolatorio o all’interno del liquido cefa-lorachidiano (cerebrospinal fluid o CSF) sono ingrado di interagire specificamente con le celluleendoteliali ed ependimali infiammate e di raggiun-gere selettivamente il tessuto danneggiato. In unmodello sperimentale di MS, il rallentamento, ilrotolamento, la ferma adesione alle cellule endo-teliali infiammate e la migrazione trans-endotelia-le attraverso la barriera emato-encefalica nelle areedel SNC infiammato delle NPCs sono mediati inmodo sequenziale dall’espressione costitutiva dimolecole di adesione (cell adhesion molecules oCAM) (i.e. CD44) (25), integrine (i.e. a4, b1) e recet-tori delle chemochine (i.e. CCR1, CCR2, CCR5,CXCR3, CXCR4) (8, 26-28). La specificità del mec-

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canismo di reclutamento tissutale delle NPCs tra-piantate risiede proprio nel fatto che le moleco-le di cui sopra sono maggiormente espresse nel-le aree di intensa infiammazione (8, 28).

Sostituzione, differenziazione e integrazione La possibilità di differenziarsi in diversi tipi cellu-lari non garantisce che, una volta trapiantate, leNPCs si differenzino effettivamente nel tipo cel-lulare corretto e si integrino funzionalmente nel tes-suto al quale sono destinate. Questo obiettivoambizioso richiede un processo complesso chenon prevede solo la migrazione delle NPCs nel-le zone adeguate, ma anche una loro integrazio-ne funzionale in circuiti pre-esistenti: integrazio-ne che dipende dalle condizioni patologiche spe-cifiche - i.e. eccitotossicità, infiammazione, emor-ragia, degenerazione - e dal tipo cellulare premi-nentemente danneggiato - neurone o glia (29). Nel caso della degenerazione di cellule neurona-li, l’esito favorevole della sostituzione cellularedipende dalla complessità del pattern di connet-tività che deve essere ricostruito. Fin dalla secon-da metà degli anni ’80, il trapianto di tessuti uma-ni fetali di mesencefalo ventrale (contenentiNPCs) nello striato di pazienti con PD - malattiacaratterizzata da un’estesa perdita di neuronidopaminergici nella pars compacta della substan-tia nigra e nei terminali striatali (30) - è stato adot-tato come terapia nelle fasi avanzate di malattia(31-35). Dopo numerosi e incoraggianti studi inaperto, tre studi randomizzati in doppio cieco econ placebo hanno stabilito che il trapianto nondeterminava benefici facilmente misurabili. Unodei problemi che si sono dovuti affrontare è chealcuni pazienti, in due degli studi, hanno svilup-pato discinesie persistenti a fronte di una riduzio-ne dei farmaci dopaminergici utilizzati che a lorovolta possono causare discinesie (36). Si tratta dirisultati che sono stati considerati indicativi di unainadeguata ed aberrante integrazione dei neuro-ni neoformati dalle cellule trapiantate nei circuitineuronali pre-esistenti. Inoltre, quattordici annidopo il trapianto, i neuroni trapiantati hannomostrato, oltre ad una diminuita quantità di tra-sportatore della dopamina e di tirosin idrossilasi(TH) (entrambi indicativi di una ridotta capacità disecernere dopamina), inclusioni positive per l’al-fa-sinucleina e l’ubiquitina, e quindi simili alle inclu-

sioni (i.e. corpi di Lewy) osservabili nei neuronidopaminergici che sono sofferenti nel PD (37-39).Modifiche patologiche, dunque, che sono ilsegno di un processo in corso che colpisce sia ineuroni dopaminergici della sostanza nigra chele cellule trapiantate nello striato (37).Un’effettiva sostituzione cellulare è ancora piùimpegnativa (e molto difficile da ottenere) quan-do è necessario ricostruire con precisione anchela connettività neuronale (29, 40). Nei casi in cuispecifiche popolazioni cellulari sono colpite -come nella HD, nella sclerosi laterale amiotrofica(amyotrophic lateral sclerosis o ALS) o nella dege-nerazione cerebellare - affinché il trapianto abbiasuccesso è necessaria sia la sostituzione selet-tiva dei neuroni danneggiati che la ricostruzionedei pattern di connessioni originari. Il trapianto inmodelli sperimentali, come ad esempio in topimutanti con degenerazione delle cellule diPurkinje, ha mostrato che neuroni fetali cerebel-lari (i.e. cellule di Purkinje) hanno una notevolecapacità di integrarsi in modo specifico nei cir-cuiti ospiti (41), portando ad un lieve miglioramen-to comportamentale (42). Tuttavia, un recuperosignificativo della funzione motoria è ostacolatodall’inabilità delle maggior parte delle cellule diPurkinje trapiantate di riconnettersi con i neuro-ni endogeni presenti nel cervelletto danneggiato(40, 41). Infine, quando la sostituzione cellulareviene eseguita per il trattamento di lesioni focaliche causano una degenerazione massiva neu-ronale globale - così come accade in seguito alesioni traumatiche o vascolari - è necessario chesiano soddisfatti ulteriori requisiti: in questi casi,infatti, le cellule trapiantate devono essere in gra-do di generare più tipi cellulari diversi, produrreun numero appropriato di cellule per ogni tipo,ricostruire circuiti locali, e, infine, ristabilire anchele connessioni a lunga distanza.Nel caso il danno colpisca le cellule gliali, l’esi-to favorevole dipende dalla capacità delle cellu-le trapiantate di differenziarsi in specifici tipi cel-lulari in grado di ristabilire le relazioni adeguatetra singola cellula gliale e neuroni. Tra tutte lemalattie della glia, quelle caratterizzate principal-mente da danno mielinico - e.g. le malattie chepresentano dismielinizzazione su base geneticae le malattie infiammatorie demielinizzanti acqui-site (come la MS) - sono un bersaglio altamen-

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te attrattivo per strategie terapeutiche di tipo cel-lulo-mediato (29). Queste malattie sono infatticausate dalla perdita di un singolo tipo cellulare(i.e. oligodendrociti) e la completa ricostruzionedell’organizzazione anatomica originale non ènecessariamente richiesta per ottenere un recu-pero funzionale (43, 44).Nelle malattie geneticamente trasmesse, difettiereditari portano ad un fallimento della mieliniz-zazione durante lo sviluppo o a danni prematuridella guaina mielinica: molte regioni sono demie-linizzate e impoverite delle cellule gliali progeni-trici competenti (e.g. oligodendrocyte precursorcells o OPCs). Dal momento che la popolazionedi progenitori gliali residenti in loco è incapace diprodurre mielina in queste condizioni, il trapian-to di cellule capaci di formare la mielina è una del-le poche strategie possibili per raggiungere unaricostruzione della mielina sia a livello anatomicoche funzionale (45). Per raggiungere questo sco-po, le cellule trapiantate dovrebbero essere innumero sufficiente, capaci di promuovere un’este-sa rimielinizzazione e di integrarsi stabilmente nelSNC. A livello sperimentale è stato eseguito il tra-pianto di vari tipi cellulari di tipo staminale, inclu-si NPCs, OPCs, e cellule olfattive (olfactoryensheating cells o OECs). Nonostante si sia vistoche sia le OPCs, che le OECs e le NPCs promuo-vono la rimielinizzazione, le OPCs si sono dimo-strate le cellule più efficienti nel mielinizzare local-mente le aree demielinizzate in vari modelli ani-mali (29, 43, 46-49). Sia le OPCs fetali che quel-le adulte sono efficaci anche se con qualche dif-ferenza. Le OPCs fetali migrano più facilmente,anche per lunghi tratti, ma rimielinizzano più len-tamente; le OPCs adulte, invece, mostrano ridot-te capacità migratorie ma, oltre a maturare piùrapidamente delle OPCs fetali, danno luogo adoligodendrociti in proporzioni molto più alterispetto ai loro omologhi fetali, riuscendo ad avvol-gere più assoni per cellula (48). Nelle malattie infiammatorie demielinizzanti acqui-site - la più comune delle quali è la MS - l’inte-razione tra fattori ambientali e geni di suscettibi-lità (50, 51) innesca una cascata di eventi che coin-volgono il sistema immunitario il quale provocaun danno infiammatorio cronico che esita in unaestesa demielinizzazione ed, alla fine, in un dan-no assonale irreversibile (52-54). Questa serie di

eventi provoca la formazione di lesioni demieli-nizzanti multifocali nel SNC che sono altamenteeterogenee tra loro e presentano un’infiammazio-ne sia di tipo acuto che cronico (55-57). Alla lucedella complessità dell’ambiente patologico, l’ef-ficacia della terapia cellulare in queste malattie nonpuò basarsi solamente sulla rigenerazione dellaguaina mielinica; le cellule trapiantate necessita-no di raggiungere i molteplici siti specifici dellamalattia, migrare ed integrarsi nel tessuto ospi-te, e, infine, sopravvivere all’ambiente colpito daglieventi infiammatori di cui sopra che esitano in neu-rodegenerazione. Ad oggi sia le NPCs derivate daES che quelle adulte somatiche si sono dimostra-te terapeuticamente efficaci in diversi modelli spe-rimentali animali di MS (8, 28, 58-69): queste cel-lule, infatti, hanno mostrato non solo di esserecapaci di raggiungere il sito della lesione, maanche di modificare il microambiente inospitale alfine di innescare una cascata di eventi che indu-cono neuroprotezione e che vanno sotto il nomedi effetto bystander.

L’effetto bystander e le nicchie atipicheCome precedentemente accennato, una volta chele NPCs sono state trapiantate e raggiungono lazona di danno devono integrarsi stabilmente conil tessuto danneggiato per svolgere la loro funzio-ne rigenerativa e protettiva. Fino all’inizio degli anni2000, si pensava che tale integrazione rigenera-tiva fosse dovuta esclusivamente alla capacità del-le NPCs di trasformarsi in cellule specifiche delSNC (neuroni o glia) e quindi di rimpiazzare le cel-lule danneggiate andate perse. La possibilità dieseguire la sostituzione cellulare - sia a livello neu-ronale che gliale - da NPCs trapiantate ha di con-seguenza catalizzato la maggior parte delleattenzioni dei ricercatori, lasciando però in secon-do piano un’altra serie di altri benefici potenzial-mente offerti dalle NPCs trapiantate. Benefici chesono stati notati per il fatto che, a prescindere dal-le caratteristiche della malattia sperimentale - cor-so della malattia (acuto vs cronico), caratteristi-che neuropatologiche (focale vs multifocale),tipo di infiammazione (primaria vs reattiva) - il recu-pero funzionale ottenuto dal trapianto di NPCs nonsempre correlava con il numero assoluto di cel-lule neuronali/gliali derivate dal trapianto e diffe-renziate in modo terminale (29). NPCs trapianta-

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te in roditori con PD o HD raramente differenzia-no in neuroni TH-positivi, nonostante si assista adun significativo miglioramento comportamentale(28). Topi con lesioni del midollo spinale (spinalcord injury, SCI) mostrano un notevole recuperolocomotorio, nonostante evidenze patologiche diun preferenziale destino astrogliale delle NPCs tra-piantate (28). Una situazione analoga si verificaanche nell’ictus ischemico. La maggioranza del-le NPCs iniettate per via intravenosa in topi conemorragie cerebrali sperimentali o con ictus ische-mico acuto mantengono l’espressione di marca-tori (come la nestina), ai confini del tessuto cere-brale ischemico restando, quindi, indifferenziatefino a 30 giorni dopo il trattamento (70). Anchenel topo e nella scimmia con MS sperimentale(experimental autoimmune encephalomyelitis oEAE) il bassissimo tasso di differenziazione (in oli-godendrociti) delle NPCs trapiantate è in appa-rente contrasto con l’evidenza di una significati-va protezione assonale misurata secondo para-metri neurofisiologici (8, 65).Ma come è spiegabile un miglioramento clinicoin assenza di una differenziazione cellule adegua-ta delle NPCs trapiantate? Per spiegare questofenomeno, è necessario sottolineare che leNPCs, a prescindere dalla modalità del trapian-to (e.g. per via sistemica, intralesionale, ecc.), siaccumulano nel SNC preferenzialmente all’inter-no di aree perivascolari sede di infiammazione.In queste aree formano nuove entità anatomichee funzionali, chiamate nicchie atipiche ectopicheperivascolari (Figura 2). Le nicchie atipiche sonofunzionalmente simili alle nicchie germinali pro-totipiche, ma differiscono nelle componenti cel-lulari poiché contengono le NPCs trapiantate, cel-lule infiammatorie di origine ematica (i.e. linfoci-ti, monociti), e cellule residenti nel SNC (i.e. astro-citi, microglia). In queste nuove entità anatomiche,le NPCs mostrano una scarsa e inappropriata dif-ferenziazione terminale, mantenendo per lungotempo un fenotipo indifferenziato; in questa con-figurazione, inoltre, dialogano con le cellule delsistema immunitario che co-localizzano all’inter-no della nicchia atipica. Cosi facendo le NPCs tra-piantate possono essere terapeuticamente effica-ci attraverso meccanismi bystander (paracrini)alternativi alla sostituzione cellulare poiché stimo-late dall’ambiente in cui si trovano a secernere

mediatori solubili di tipo infiammatorio e fattori dicrescita (28) (Tabella 1). Le NPCs, dunque, nonsi differenziano, ma determinano un miglioramen-to della patologia attraverso altri meccanismi chesono diversi dalla vera e propria differenziazionecellulare e che si basano sulla secrezione in locodi sostanze neuroprotettive e immunomodulanti.Questa azione, orchestrata dalle NPCs trapian-tate, stimola le cellule residenti nel SNC (i testi-moni dell’effetto bystander) a riparare le celluledanneggiate. Ma cerchiamo ora di dettagliare meglio i mecca-nismi molecolari ad oggi conosciuti che sotten-dono l’effetto bystander neuroprotettivo orchestra-to dalle NPCs. L’effetto bystander è solitamenteaccompagnato da un’aumentata biodisponibili-tà in vivo dei principali fattori neurotrofici come ilNGF (nerve growth factor), il BDNF (brain-derivedneurotrophic factor), il CNTF (ciliary neurotrophicfactor) e il GDNF (glial cell line-derived neurotro-

FIGURA 2 - Rappresentazione della nicchia vascolare atipicaectopica. Le cellule staminali neurali (in verde, colorazione perGreen Fluorescent Protein, GFP), trapiantate per via endoveno-sa in un modello sperimentale di ictus ischemico cerebrale, silocalizzano specificatamente all’interno della zona peri-ischemi-ca del cervello in prossimità di vasi sanguigni (in blu colorazio-ne per il fattore di von Willebrand) ed in stretto contatto con cel-lule infiammatorie (in rosso colorazione per F 4/80, proteina tran-smembrana presente sulla superficie dei macrofagi).

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phic factor) (28). Questi fattori da una parte invia-no segnali di sopravvivenza alle cellule neurona-li sopravvissute al danno e dall’altra interferisco-no direttamente con i meccanismi responsabilidella morte neuronale, e.g. sovraespressione diproteine antiapoptotiche e/o inibenti lo stress ossi-dativo (71, 72). NPCs iniettate nel midollo spina-le dopo una lesione traumatica promuovono losprouting assonale attraverso la secrezione diNGF, BDNF, GDNF e della neurotrofina-3 (NT-3)(73). In modelli di neurodegenerazione come il PD,le NPCs diminuiscono efficacemente i sintomilegati al PD salvando i neuroni dopaminergiciattraverso la produzione di stem cell factor (SCF)(15) o di GDNF (74). Allo stesso modo, il trapian-to di NPCs nel midollo spinale lombare in rodi-tori con ALS ritarda l’inizio della malattia, preser-va la viabilità dei neuroni motori e prolunga lasopravvivenza degli animali; sono stati trovati inol-tre effetti clinico-patologici che correlano conaumentati livelli in situ di VEGF, IGF-1, GDNF eBDNF (75, 76). Un’altra modalità con cui si estrinseca l’effettobystander è quella che prevede l’utilizzo di mole-

cole immunomodulanti. Le NPCs trapiantateindifferenziate possono, infatti, rilasciare moleco-le solubili (come chemochine e citochine) edesprimere recettori immuno-rilevanti (come irecettori per le chemochine e CAMs), che sonoin grado di cambiare profondamente l’ambien-te infiammatorio (28). Il trapianto di NPCs in rat-ti Lewis con EAE attenua il processo infiamma-torio a livello del SNC e la severità clinica dellamalattia (63). Il trapianto di NPCs - iniettate sianel parenchima cerebrale che nei ventricolicerebrali - in topi C57BL/6 con EAE attenua ilprocesso infiammatorio, stimola le capacitàrimielinizzanti della riserva endogena di OPCs,riduce il danno assonale (acuto e cronico) con-seguente alla demielinizzazione, e migliora lamalattia sia dal punto di vista clinico che neu-rofisiologico (62, 67). Questi effetti immunomo-dulatori sono estrinsecati attraverso diversimeccanismi. Da un lato, le NPCs possono indur-re l’apoptosi selettiva delle cellule immunitarie ditipo infiammatorio (e.g. denominate Th1) ma nondi quelle con profilo anti-infiammatorio (Th2)aumentando l’espressione di ligandi per i recet-tori di morte cellulare (e.g. death receptorligands: FasL, TRAIL, Apo3L) (8). Dall’altro lato,le NPCs possono inibire l’attivazione e la proli-ferazione delle cellule T attraverso un’azioneimmuno-soppressiva che si estrinseca attraver-so la soppressione della produzione di citochi-ne pro-infiammatorie, come interleuchina (IL)-2,tumor necrosis factor (TNF)a e interferone (IFN)g(61-63). Qualunque sia l’esatto meccanismo, èoramai un dato di fatto che le NPCs trapiantatesono in grado di utilizzare multipli meccanismidi protezione terapeutica all’interno di uno spe-cifico microambiente infiammatorio in vivo (28).

n CONCLUSIONI

Il SNC non è dunque soltanto una massa di cel-lule organizzate, ma un complesso insieme di cir-cuiti, una gran parte dei quali è composto da cavie contatti sinaptici con una fine organizzazionespaziale. Questa fine organizzazione ha portato,nel passato, a credere che gli unici meccanismiattraverso i quali il cervello può mantenere for-ma e contenuto durante l’età adulta - fenomeno

TABELLA 1 - Trapianto di NPCs adulte in modelli murini di patologiedel SNC in cui è stato evidenziato l’effetto bystander.

Patologia Tipo di NPCs trapiantate

Malattie demielinizzanti NPCs adulteTraumi cerebrali C17.2-CD‡ NPCs

NPCs embrionali

Ischemia cerebrale C17.2-CD NPCsMHP36‡ NPCsHB1.F3‡ NPCsHB1.F3 NPCs

NPCs fetaliMorbo di Parkinson C17.2-CD NPCs

NPCs fetaliNPCs embrionali

NPCs adulteMalattia di Huntington NPCs fetaliTrauma spinale C17.2-CD NPCs

NPCs fetaliNPCs embrionali

NPCs adulteEpilessia NPCs fetali

Legenda: *Con NPCs si intendono cellule staminali e/o precursori neu-rali derivati da SNC embrionale, fetale, neonatale ed adulto; ‡Nomenclatura usata per definire linee immortalizzate di NPCs.

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indicato con il temine plasticità cerebrale - si tro-vino a livello sinaptico: le sinapsi si fanno e disfa-no continuamente e così facendo mantengonoi circuiti cerebrali integri e funzionanti. Le ricer-che degli ultimi decenni hanno sfidato questavisione del cervello: oggi sappiamo che esiste lapossibilità che nel cervello adulto si formino con-tinuamente nuove cellule da cellule pre-esisten-ti, la cosiddetta neurogenesi. Oggi possiamoquindi affermare che il SNC è intrinsecamentecapace non solo di rinnovamento sinaptico maanche cellulare (77). Pur tuttavia, l’efficienza dimeccanismi di automantenimento come la neu-rogenesi e la sinaptogenesi non è sufficiente agarantire al SNC una capacità rigenerativa intrin-seca tale da permettere una ricostruzione funzio-nale adeguata in seguito ad un danno. Da ciò lanecessità di studiare a fondo sia i meccanismiintrinseci di riparazione del SNC sia i meccani-smi che ne determinano il malfunzionamento incaso di malattie. Questi studi hanno portato aconcludere, ad oggi, che i fattori che limitano iltasso di rigenerazione del SNC, una volta dan-neggiato, risiedono principalmente nella asincro-nia spaziale e temporale tra eventi dannosi edeventi protettivi: fatto, questo, che ha permessol’emergere di nuovi ambiti di ricerca con l’obiet-tivo di identificare la precisa relazione tra le dif-ferenti parti chiamate in causa (29).Tra gli obiettivi raggiunti, quelli secondo cui leNPCs trapiantate sono capaci di ingaggiare un’in-terazione deterministica con le cellule immuni eche da questa interazione emergono paradigmiterapeutici efficienti a riparare il SNC hanno rice-vuto molta attenzione da parte della comunitàscientifica (8, 67, 78-83). Questi dati, infatti, nonsolo smentiscono l’opinione, ancora diffusa,secondo cui l’infiammazione sostenuta da cel-lule immunitarie è ostile alla rigenerazione ma,soprattutto, suggeriscono che le NPCs utilizza-no molecole infiammatorie per esplicare il pro-prio effetto terapeutico una volta trapiantate nelSNC. Come discusso in precedenza, queste eviden-ze sono emerse attraverso l’analisi dei dati gene-rati da trapianti di NPCs in vari modelli sperimen-tali di malattie neurologiche di tipo infiammato-rio e neurodegenerativo. Da tali studi si è chia-ramente visto che la sostituzione cellulare non

è più la modalità d’azione terapeutica esclusivadelle NPCs trapiantate. Il trapianto di NPCs pro-muove la riparazione del SNC attraverso intrin-seche capacità bystander primariamente eser-citate da NPCs indifferenziate che producono, alivello del danno tissutale, un milieu di moleco-le neuroprotettive. Questo milieu contiene diver-se molecole (i.e. sostanze immunomodulatorie,fattori di crescita neurotrofici e regolatori delle cel-lule staminali) alcune delle quali sono espressecostitutivamente dalle NPCs per il mantenimen-to dell’omeostasi tissutale sia durante lo svilup-po che nella vita adulta (84). La natura intrinse-ca (pleiotropismo e ridondanza) di queste mole-cole così come la loro espressione costitutivapossono aiutare a spiegare l’evidenza secondocui altre sorgenti di cellule staminali somatiche(i.e. le cellule staminali mesenchimali), dotate ditrascurabili capacità di transdifferenziazione,possa giocare un ruolo importante nella ripara-zione del SNC (85, 86). Alla luce di questo, emer-ge il concetto di plasticità terapeutica delle cel-lule staminali e cioè la capacità che queste cel-lule hanno di adattare il loro destino e le loro fun-zioni terapeutiche alle specifiche condizioniambientali risultanti da condizioni patologichediverse.Non ci resta quindi che indagare a fondo i mec-canismi molecolari e cellulari che sostengono l’in-terazione tra le cellule immuni residenti nel SNC(i.e. microglia), le cellule immuni di derivazioneematica (cellule T e linfociti), le NPCs endogenee le NPCs trapiantate per capire a fondo su checosa si basa l’abilità delle NPCs trapiantate di pro-teggere il cervello da diversi tipi di lesioni usan-do diversi e/o articolate strategie bystander. Laconoscenza esatta e il potenziale impatto delleinterazioni tra il sistema immunitario e il sistemadelle cellule staminali ci consente di immaginareun futuro in cui avremo la possibilità di regolarein modo esogeno i diversi effetti terapeutici media-ti dalle cellule staminali somatiche (convenziona-li vs non-convenzionali) per trattare in modo piùproduttivo, senza alcun effetto tossico o colla ter-ali, disturbi neurologici che, al momento, sonoancora incurabili.Si arriverà dunque ad una medicina che rigene-ra, a patto che lo si faccia raccogliendo solide evi-denze sperimentali, precliniche e cliniche.

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35

n INTRODUZIONE

L’ultima decade ha visto il fiorire di una serie diapprocci sperimentali innovativi finalizzati al rag-giungimento di un’efficace rigenerazione cardia-ca dopo infarto miocardico acuto (IMA). Almomento attuale, due di questi approcci hannogià determinato studi clinici randomizzati di faseIII: l’uso di cellule mononucleate di midollo osseo(BM-MNC) (1-5) e di mioblasti scheletrici (6). Nelprimo caso la procedura si è rivelata fattibile suvasta scala e sicura, ma i vantaggi associati, perquanto comprovati da studi clinici randomizzatie da follow-up prolungato, sono stati per moltiaspetti inferiori alle attese iniziali (1-5). Nel secon-do caso, i potenziali benefici derivati dall’impie-go di mioblasti scheletrici sono stati limitati dal-la mancata integrazione delle aree di rigenerazio-ne cardiaca con il miocardio residuo peri-infartua-le, con conseguente squilibrio della funzione dipompa e aumento del rischio di insorgenza di gra-vi aritmie (6).

Teoricamente, il miglior candidato per studi di rige-nerazione cardiaca dovrebbe essere un precurso-re già orientato verso tutti i tipi cellulari cardiaci (car-diomiociti, cellule muscolari lisce, endoteliociti). Lascoperta di cellule progenitrici cardiache (CPC)capaci di costituire un pool di precursori variamen-te differenziati persistente anche nel cuore postna-tale (7-10), potenzialmente isolabile ed espandi-bile in vitro, ha aperto la strada ad una nuovapotenziale via terapeutica e, al contempo, ad unavisione completamente nuova del cuore e della suafisiologia. Infatti, l’idea che cellule dotate a tutti glieffetti delle caratteristiche proprie delle cellule sta-minali formassero nicchie capaci di automanteni-mento nel cuore ha pesantemente intaccato unparadigma solido da più di un secolo, quello delcuore come di un organo terminalmente differen-ziato, definito per numero di cellule e architetturafunzionale già poco dopo la nascita (11). Cosìcome è stato per il sistema nervoso centrale, ancheil cuore si è presentato come un organo capacedi turnover cellulare e di un adattamento funzio-nale anche a livello cellulare assai più vasto diquanto ritenuto in passato (11).Tuttavia, esistono ancora dei dubbi relativi all’ef-fettiva natura dei precursori staminali isolati dacampioni cardiaci: nonostante le evidenze speri-mentali, non esiste infatti ancor oggi una provadefinitiva sulla loro natura di cellule staminali pro-prie del cuore, oltre che riscontrabili nel cuore.Inoltre, diversi studi hanno finora riportato risul-tati contradditori relativi all’effettiva capacità di iso-lare questi precursori da campioni ottenibili clini-camente, e, soprattutto, da pazienti già gravati daetà non giovanile e da malattie cardiache ed even-tuali comorbidità.

Staminali e Staminali e rigenerazione cardiacarigenerazione cardiacaFEDERICO MOSNA, GIOVANNI PIZZOLO, MAURO KRAMPERALaboratorio di Ricerca sulle Cellule Staminali, Sezione di Ematologia, Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Verona

Parole chiave: cellule staminali, rigenerazione cardia-ca, terapia cellulare, infarto miocardico acuto, cellulestaminali cardiache.

Indirizzo per la corrispondenza

Dr. Mauro KramperaLaboratorio di Ricerca sulle Cellule StaminaliSezione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Università degli Studi di VeronaPoliclinico “G.B. Rossi” Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata VeronaP.le L.A. Scuro, 10 - 37134 VeronaE-mail: [email protected]

Mauro Krampera

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36 Seminari di Ematologia Oncologica

Tipo Fonte Espandibile Differenziazione Contrazione In vivo Studi clinici Citochine Bibl.cellulare in vitro? in vitro spontanea

in vitro

BM-MNC m. osseo difficile linee ematiche; no miglioramento anche studi clinici il G-CSF 2-5,l’espansione transdifferen- a lungo termine della prospettici è stato usato 21-22, degli elementi ziazione in linee funzione cardiaca randomizzati come agente 25immaturi cardiache a bassa (LVEF). Nessun di fase III mobilizzante,

percentuale miglioramento con risultatiin altri studi contrastanti

Lin-/c-kit+ m. osseo no linee ematiche no bande di rigenerazione no il G-CSF è stato 19-20,BM cells cardiaca, piccoli usato come agente 104

cardiomiociti, vasi mobilizzante in topi e capillari splenectomizzati,

con buoni risultaticellule m. osseo no linee ematiche no miglioramento spt. studi di fase I/II; il G-CSF e il 57-58,CD34+ in cardiopatia ischemica fase II in corso plerixafor sono 109

e infarto cronico stati usati come agenti mobilizzanti, con risultati contrastanti

MSC m. osseo sì osteoblasti, sì generazione di studi di fase I/II; non sono 35-36,e molti altri condroblasti, cardiomiociti, fase II in corso disponibili 39-44, tessuti adipociti, cellule cell. musc. lisce evidenze 47, 49

neurogliali, ed endoteliociti; scientifichecardiomiociti attecchimento stabile

dopo pre-differenziazioneMAPC m. osseo sì pluripotenti no contribuiscono a tutti no non sono 50-54

i tessuti embrionali dopo disponibiliinserimento in una evidenzeblastocisti; miglioramento scientifichedella funzione contrattile dopo iniezione dopo IMA; arteriogenesi; nessuna evidenza di attecchimento a lungo termine

hMASC m. osseo, sì pluripotenti sì non disponibili studi no non sono 55fegato, in vivo disponibilicuore evidenze

scientificheMioblasti muscolo difficile miociti scheletrici sì generazione di tessuto nessun non sono 6,scheletrici scheletrico espansione (precursori contrattile non integrato miglioramento disponibili 65-69

commissionati) in studio clinico evidenzedi fase III, scientifichenonostante incremento del rischio di aritmia

EPC m. osseo, no endoteliociti, sì generazione non nell’ambito non sono 108-109vasi cardiomiociti (potenziali di piccoli vasi in della disponibilitissutali d’azione) modelli di ischemia rigenerazione evidenze

cronica; preservano dopo IMA scientifichela funzione cardiaca residua in vari modelli di IMA; miogenesi

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37Staminali e rigenerazione cardiaca

TABELLA 1 - Confronto tra le principali cellule usate per studi di rigenerazione cardiaca.

Tipo Fonte Espandibile Differenziazione Contrazione In vivo Studi clinici Citochine Bibl.cellulare in vitro? in vitro spontanea

in vitro

c-kit+ CSC cuore sì cardiomiociti, no generazione di piccoli studi di fase I/II IGF-1 regola 7-8,cellule muscolari cardiomiociti, vasi in corso sopravvivenza e 11, 61,lisce, endoteliociti e capillari; preservano proliferazione; 70

e migliorano la funzione HGF regolacardiaca; bande di chemiotassi erigenerazione sopravvivenza

Cardio- cuore sì cardiomiociti, sì generazione di studi di fase I/II non sono 9, 78-82sphere- cellule muscolari piccoli cardiomiociti, in corso disponibiliforming lisce, endoteliociti vasi e capillari; evidenzecells preservano e migliorano scientifiche

la funzione cardiaca; bande di rigenerazione

Isl1+ cuore sì cardiomiociti, sì generazione di piccoli no non sono 10,Cardiac cellule muscolari cardiomiociti, vasi e disponibili 83-85Cells lisce, endoteliociti capillari; preservano evidenze

e migliorano la funzione scientifichecardiaca; bande di rigenerazione

SP cuore sì linee ematiche, sì generazione di no non sono 86-88cardiac cardiomiociti cardiomiociti, cellule disponibilicells muscolari lisce ed evidenze

endoteliociti scientificheSca-1+ cuore sì osteoblasti, sì generazione di no non sono 89-90cells adipociti, cardiomiociti disponibili

cardiomiociti evidenze scientifiche

iPS cellule sì pluripotenti sì attecchimento stabile; no non sono 12-13,somatiche possibile pre- disponibili 91-102riprogram- differenziazione prima evidenzemate di impianto; possibile scientifiche

teratogenicità

duzione delle iPS, mentre rimane in realtà anco-ra ignoto il loro effettivo potenziale di differenzia-zione in vivo nell’uomo ed il rischio effettivo di tera-togenicità in vivo (12, 13). Nella presente review si cercherà di ripercorrerele tappe che nell’ultimo decennio hanno condot-to agli attuali studi clinici di terapia cellulare. Si cer-cherà di evidenziare come dati sperimentali fina-lizzati ad un obiettivo clinico-terapeutico molto con-creto, la rigenerazione di tessuto contrattile inte-grato dopo infarto del miocardio (neocardiomio-genesi), abbiano portato ad evidenze sperimen-tali inattese ed a concetti biologici nuovi come tran-sdifferenziazione, turnover cellulare cardiaco, cel-

L’applicazione di metodiche di trasferimento geni-co e riprogrammazione nucleare alla generazionedi cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) ha quin-di aperto un’ulteriore possibilità terapeutica (12, 13).Queste nuove cellule potrebbero condensare i van-taggi propri di cellule staminali embrionali (ES) (qua-li la crescita virtualmente illimitata in vitro, la plu-ripotenza, la versatilità d’impiego) con quelli di unaderivazione autologa dal paziente da trattare, sen-za i problemi etici, legali e immunologici propri del-le ES (12, 13). Tuttavia, la ricerca in merito alle appli-cazioni delle iPS in protocolli di rigenerazione car-diaca deve ancora superare problemi tecnici rela-tivi all’affidabilità e sicurezza della metodica di pro-

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38 Seminari di Ematologia Oncologica

oggi è possibile analizzare criticamente. Anche ilsecondo studio di Orlic et al. (20) ha generato unalinea di ricerca clinica traslazionale importante,basata sull’uso del G-CSF in pazienti infartuati,da solo o in combinazione con l’ormone parati-roideo, l’eritropoietina e altri agenti mobilizzanti.Nessuno di questi studi è stato in grado di ripro-durre la significatività dei risultati di Orlic et al. (20),realizzati in un modello murino splenectomizza-to dove le cellule midollari erano già state mobi-lizzate in circolo dall’uso di alte dosi di G-CSF eSCF, precedentemente all’induzione dell’IMA.Per quanto non sia obiettivo della presente trat-tazione l’approfondimento di questi studi, essi sibasano tutti su un concetto biologico ancora nondel tutto chiarito e che verrà affrontato in segui-to, e cioè il contributo fisiologico di cellule circo-lanti di derivazione midollare nell’omeostasi tis-sutale cardiaca.

Studi clinici prospettici randomizzati di faseIII facenti uso di BM-MNCAl momento attuale, sono documentate quattroesperienze principali, i cui caratteri principali sonoriportati nella Tabella 2 e confrontati con l’unicostudio di fase III disponibile ottenuto tramite l’im-piego di mioblasti scheletrici:- BOOST trial. Lo studio Bone marrow transferto enhance ST-elevation infarct regeneration(BOOST) ha dimostrato un incremento di 6,7 pun-ti percentuali, rispetto al gruppo di controllo, nel-la frazione di eiezione ventricolare sinistra globa-le (P=0,04) (1). I pazienti sono stati trattati una solavolta con l’iniezione intracoronarica di BM-MNC(in media 24,6x108 cellule), raccolte e usate dopocinque giorni dall’IMA. La funzione cardiaca è sta-ta quindi monitorata tramite risonanza magneti-ca (MRI) cardiaca seriale, il test probabilmente piùobiettivo e riproducibile per la valutazione dellafunzione cardiaca post-infarto (1, 23). La terapiacellulare si è confermata sicura e riproducibile,ma i suoi effetti sono stati pareggiati dallo spon-taneo e più lento recupero di funzione anche delgruppo di controllo, al punto che l’update a 18mesi (1) documentava la scomparsa della signi-ficatività statistica a favore del gruppo trattatoanche con le BM-MNC (+6,7 vs 0,7 punti percen-tuali a 6 mesi, 5,9 vs 3,1 a 18 mesi) (1). In que-sto senso, più che generare nuovo tessuto con-

lule staminali cardiache, ricircolo cellulare cardio-midollare. Si cercherà quindi di confrontare criti-camente i vari protocolli sperimentali di rigenera-zione cardiaca e si valuteranno le attuali difficol-tà a trasferire evidenze sperimentali in trial appli-cabili alla realtà clinica effettiva.La Tabella 1 riporta un confronto tra le principalicellule staminali usate in protocolli di rigenerazio-ne cardiaca dopo IMA.

n CELLULE DEL MIDOLLO OSSEO

L’idea che si potessero usare cellule del midolloosseo per rigenerare il cuore dopo infarto nascenegli ultimi anni ’90, sulla base delle prime eviden-ze nel ratto di attecchimento nella zona peri-infar-tuale ed espressione de novo di proteine mioci-tarie da parte di BM-MNC (14, 15), e sulla basedel riscontro di cardiomiociti dotati del cromoso-ma Y nel cuore di maschi trapiantati con il cuoredi donatrici femmine (16, 17), o viceversa, inpazienti trapiantate con midollo osseo maschile(18). Sulla base di questi studi, Orlic et al. (19) mise-ro a punto due studi pilota di rigenerazione car-diaca dopo infarto: nel primo si osservò una ban-da di tessuto miocardico rigenerato derivante dacellule immature midollari prive di vari marcatoridi linea ematopoietica e caratterizzate dall’espres-sione del c-kit, il recettore per lo Steel-factor/StemCell Factor (SCF) (lineage-negative c-kit+), iniettate inacuto 9 giorni prima nella zona peri-infartuale diun IMA indotto poco prima. Nel secondo studiosi ottenne un livello equivalente di riduzione delvolume infartuale in topi splenectomizzati pretrat-tati con G-CSF e SCF e sottoposti, dopo mobi-lizzazione di cellule midollari, a IMA (20).Questi primi studi comportarono un trasferimen-to alla sperimentazione clinica tanto rapido quan-to, a posteriori, prematuro, e generarono una serieimpressionante di piccoli studi clinici di sommi-nistrazione di BM-MNC autologhe in prossimitàdi un evento infartuale assolutamente eterogenei,che si è cercato recentemente di interpretare insenso globale (21, 22). Questi studi, che nel lorocomplesso dimostravano almeno la relativa sicu-rezza di questo approccio in termini di rischio direstenosi e/o di aritmie, piuttosto che la sua poten-ziale efficacia (21, 22), condussero poi a studi cli-nici prospettici randomizzati su vasta scala, che

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39Staminali e rigenerazione cardiaca

TABELLA 2 - Confronto tra i principali studi clinici randomizzati di fase III in merito di rigenerazione cardiaca dopo infartomiocardico.

Studio Tipo cellulare Posologia Via di Test in vitro Valutazione Risultati Eventi Bibl.sommini- della funzione avversistrazione cardiaca significativi

BOOST BM-MNC 24,6 x 10 intra- percentuale MRI +6,7 vs +0,7 punti percentuali nessuno 1autologhe e8 ± 9,4 x 10 coronarica CD34+; cardiache nella frazione di eiezione isolate a e8 a 4,8 ± 1,3 saggi CFU seriali a favore del gruppo trattatofresco, dopo giorni dallo (a 6 mesi) (P=0,04);separazione IMA +5,9 vs +3,1 (P=0,27) a 18 mesisu gradienteFicoll

ASTAMI BM-MNC 0,68 x 10e8 intra- test di vitalità SPECT, +0,6 punti percentuali alla SPECT nessuno 2autologhe (range coronarica ecocardiografia, (P=0,77); +0,6 punti percentualiisolate a interquartile MRI cardiache all’ecocardio (P=0,70);fresco, dopo 0,54 x 10e8 seriali +3.0 punti percentuali alla MRIseparazione - 1,30 x 10e8) (P=0.054); tutto a 6 mesisu gradiente a 6 giorni Ficoll (range

interquartile 5-6)

REPAIR- BM-MNC 2,36 x 10e8 intra- test di vitalità, angiografia del +2,9 punti percentuali (P=0.01) nessuno 3-4AMI autologhe ± 1,74 x 10e8 coronarica saggi CFU, sinistro; all’angiografia a 4 mesi;

isolate a a 4,3 ± 1,3 test di ventricolo a 2 anni: end-point cumulativofresco, dopo giorni dallo migrazione, ecocardiografia; di morte, reinfarto o necessitàseparazione IMA test di ripristino MRI cardiache di rivascolarizzazione inferioresu gradiente della perfusione seriali nel gruppo trattato conFicoll tissutale in modelli BM-MNC (Hazard Ratio:

di ischemia 0.58; 95% CI: 0.36-0.94; P=0.025)dell’arto end-point combinato morte,

reinfarto e ospedalizzazione per scompenso cardiaco inferiore nel gruppo trattato con BM-MNC (HR 0.26; 95% CI: 0.085-0.77: P=0.015)

AMI- BM-MNC 2,05 x 10e8 intra- angiografia +2,9 vs -0,4 (precursori cardiaci) nessuno 5TOP- autologhe ± 1,1 x 10e8 coronarica del ventricolo e -1,2 (controllo) punti percentualiCARE isolate a vs 0,22 x 10e8 sinistro; a 3 mesi (P<0,001)

fresco, dopo ± 0,11 x 10e8 ecocardiografia;separazione ± precursori MRI cardiachesu gradiente cardiaci vs seriali; SPECT,Ficoll nessuna terapia PET

cellulare (controllo) a >3 mesi dallo IMA

MAGIC mioblasti 4 x 10e8 (n=33) iniezione ecocardiografia +4,4 punti percentuali (range aumento 6scheletrici vs 8 x 10e8 chirurgica interquartile 0,2 - 7,3) vs 3,4 dell’incidenza

(n=34) vs nella zona (-0,3 – 12,4) vs 5,2 (-4,4 – 11,0) di aritmienessuna peri-infartuale; nei tre gruppi di trattamento rispettoterapia impianto (P=NS) al gruppo cellulare concomitante di controllo(n=30) di un defibrillatore

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40 Seminari di Ematologia Oncologica

do gli end-point cumulativi di morte, reinfarto onecessità di rivascolarizzazione e di morte, rein-farto e ospedalizzazione per scompenso cardia-co sono risultati entrambi significativamenteinferiori nel gruppo trattato con BM-MNC rispet-to al gruppo di controllo (Hazard Ratio: 0,58; 95%CI: 0,36-0,94; P=0,025 e HR 0,26; 95% CI: 0,085-0,77: P=0,015) (4). Anche dopo un follow-up piùprolungato il ricorso alla terapia cellulare è risul-tato un fattore significativo e indipendente da altricomuni fattori di rischio nel ridurre la progressio-ne post-infartuale verso l’insufficienza cardiacacronica (4). Non si è registrato un aumento dieventi avversi, quali restenosi coronariche o arit-mie cardiache rispetto al gruppo di controllo (4,24), né la comparsa di tumori (4).- TOPCARE-CHD trial. In questo studio(Transplantation of progenitor cells and regene-ration enhancement in acute myocardial infar-ction), vari tipi cellulari sono stati trapiantati 3 mesidopo l’evenienza di un infarto cardiaco nell’ar-teria perfondente il territorio infartuato, dopo lariperfusione. I maggiori benefici funzionali sonostati osservati nel gruppo trattato con BM-MNC:allo studio di imaging, inoltre, solo questo grup-po dimostrava un aumento dell’attività contrat-tile locale all’interno della zona peri-infartuale (5).- BALANCE. Per quanto non sia uno studio ran-domizzato di fase III, è rilevante ricordare infineanche lo studio caso-controllo BALANCE, l’uni-co finora disponibile con follow-up di 5 anni, su62 pazienti trattati con BM-MNC intracoronari-che (25). Rispetto ad una popolazione di confron-to statisticamente paragonabile, anche questostudio ha documentato un vantaggio a lungo ter-mine derivante dall’impiego di BM-MNC, relati-vamente alla capacità di sforzo e, più significa-tivamente, alla sopravvivenza globale dopo IMA(una sola morte contro 7 nei due gruppi a con-fronto) (25).

Quali sono le cellule del midollo osseoeffettivamente responsabili della rigenerazione cardiaca?I primi studi di Orlic et al. (19, 20) si basavanosull’impiego di cellule midollari lineage-negative c-kit+, cellule tradizionalmente identificate nel topocome cellule staminali ematopoietiche (HSC) dal-la letteratura relativa (19, 20). Tuttavia, due stu-

trattile, le BM-MNC iniettate avrebbero solo resopiù rapido un recupero che comunque si sareb-be verificato anche spontaneamente (1).- ASTAMI trial. Lo studio norvegese AutologousStem-cell Transplantation in Acute MyocardialInfarction (ASTAMI) non ha dimostrato differen-ze statisticamente significative dopo 6 mesi di fol-low-up tra il gruppo trattato con BM-MNC e ilgruppo di controllo (2). In questo studio, le BM-MNC sono state isolate, conservate overnight nelplasma eparinato e reiniettate nel paziente,mentre la funzione cardiaca è stata verificata tra-mite ecocardiografia, SPECT e MRI cardiaca.- REPAIR-AMI trial. Il Reinfusion of EnrichedProgenitor cells And Infarct Remodeling in AcuteMyocardial Infarction (REPAIR-AMI), lo studio ran-domizzato di fase III finora più numeroso (n=168),ha dimostrato un vantaggio modesto ma stati-sticamente significativo a favore del gruppo trat-tato con BM-MNC (+2,9 punti percentuali nellafrazione di eiezione, LVEF, a 4 mesi; P=0,01). Ipazienti che partivano da valori maggiormentedepressi di funzione ventricolare (LVEF ≤48,9%)hanno inoltre dimostrato il maggior beneficio dal-la terapia cellulare (+5.0%). Simile nell’impiantogenerale all’ASTAMI, il REPAIR-AMI differiva daquesto in molti aspetti non marginali:- la funzione cardiaca veniva valutata tramiteangiografia del ventricolo sinistro (3) e MRI car-diaca seriale in un sottogruppo di pazienti (n=54)(23). Quest’ultima indagine ha confermato unamigliore funzione contrattile nel gruppo trattatocon BM-MNC (P<0.001) (23).- dopo isolamento, le cellule erano mantenute inun terreno di coltura commerciale arricchito percellule ematopoietiche, supplementato da sieroautologo del paziente al 2% (3).- prima della reiniezione, un’aliquota delle BM-MNC raccolte veniva testata per vitalità, conta-minazione, potenziale clonogenico (CFU), capa-cità migratile e potenziale di ripristino del flussoematico in un modello di ischemia dell’arto infe-riore (3), cioè un complesso di esami funzionalie controlli di qualità molto più completo rispet-to ad ogni altro studio realizzato prima.Diversamente dal trial BOOST, il vantaggio nelgruppo trattato con BM-MNC registrato dalREPAIR-AMI è stato sostanzialmente conferma-to ad un follow-up più prolungato (2 anni), quan-

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ti studi (33). Infatti, esse tendono a differenziarein vitro in miociti dopo esposizione alla 5-azaci-tidina (35), un agente demetilante aspecifico ingrado di modulare il controllo epigenetico del-l’espressione genica. Secondo alcuni studi (35,36) MSC esposte in coltura alla 5-azacitidinaacquistano marcatori sarcomerici, miocitari e dicellule muscolari lisce nel giro di poche ore dal-l’esposizione, si connettono nel giro di due set-timane con le cellule adiacenti e cominciano l’at-tività contrattile spontanea poco dopo; infine, pro-ducono peptide natriuretico atriale, mostrano varitipi di potenziali d’azione e presentano un feno-tipo genico simile a quello espresso da cardio-miociti fetali ventricolari (36). L’effettiva entità diquesti fenomeni, tuttavia, è stata messa in dub-bio da studi successivi (37), che hanno anche sol-levato perplessità sulla corrispondenza esisten-te tra la genesi di potenziali d’azione da parte diqueste cellule e l’effettiva comparsa di marcato-ri di differenziazione cardiomiocitaria (38).L’insieme di questi dati suggeriscono l’esisten-za di un livello di eterogeneità nelle MSC espan-se in vitro anche nell’ambito del loro potenzialedifferenziativo. Inoltre, non sono a tutt’oggi chia-ri i geni rimodulati dall’azione della 5-azacitidina,né quindi i meccanismi d’azione. Tuttavia, è pos-sibile ottenere con frequenza molto limitata car-diomiociti dalle MSC anche con modelli alterna-tivi alla 5-azacitidina, quali l’esposizione ad unacombinazione di bone-morphogenetic protein-2(BMP-2) e fibroblast-growth factor-4 (FGF-4) (39),insulina, desametasone e acido ascorbico (40),o ancora tramite cocoltura con cardiomiociti adul-ti di ratto (41).In vivo, le MSC mostrano l’espressione de novodi marcatori miocitari dopo l’iniezione diretta nelmiocardio e l’organizzazione del proprio citosche-letro in sarcomeri contrattili lungo le linee di for-za (42). Sono in grado di ridurre l’estensione e laprofondità di crioinfarti sperimentali e di miglio-rare significativamente la funzione cardiaca neglianimali trattati (39, 43), connettendosi con il tes-suto perinfartuale residuo tramite la formazionedi connessina-43 e GAP-junctions complete (43).Le MSC possono inoltre localizzarsi nel tessutoinfartuale dopo breve mobilizzazione a seguito deltrattamento con G-CSF, contribuendo in loco afenomeni di rigenerazione cardiaca (44). Ciò

di successivi (26, 27) negarono l’evidenza di feno-meni di attecchimento a lungo termine e di tran-sdifferenziazione a carico di HSC isolate secon-do criteri immunofenotipici molto stringenti(KTLS LT-HSC) e usate in modo simile sumodelli di IMA. Sulla base di questi risultati discor-danti, altri gruppi hanno studiato la possibilità dirigenerare infarti del miocardio tramite cellulemidollari di diversa natura:- Human Bone Marrow-derived Stem Cells(hBMSC) (28). Sono cellule non ematopoieticheisolabili dal midollo osseo umano e distinguibilisu base immunofenotipica sia dalle linee emato-poietiche che da quelle mesenchimali (CD90-nega-

tive, CD105-negative, c-kit-negative e oct-4-negative). Sonodotate di intensa attività telomerasica e di note-voli capacità espansive clonali in vitro. In co-col-tura con cardiomiociti neonatali mostrano sia feno-meni fusione cellulare che di differenziazione mio-citaria, in diverse proporzioni. Dopo iniezione nel-la zona perinfartuale di modelli di IMA, le hBMSChanno aumentato la densità capillare delle zoneiniettate, si sono differenziate in cellule di tutti etre i lineage cardiaci e hanno determinato il sal-vataggio di zone di tessuto infartuato attraversola promozione di fenomeni di cardiomiogenesi.Infatti, una serie di fattori di crescita pro-angio-genici, come VEGF-A, HGF, bFGF, angiopoietin-1 e -2 e PDGF-b sono risultati indotti nel gruppodi animali trattati rispetto ai controlli.- Cellule Stromali Mesenchimali Multipotenti(MSC). Precedentemente note con il termine dicellule staminali mesenchimali, identificano unpool di precursori non-ematopoietici di tutte lecellule stromali, originariamente isolato dal midol-lo osseo (29), ma virtualmente presente in tutti itessuti (30) e anche, a bassissima concentrazio-ne, in circolo (31). Vengono identificate sulla basedi un immunofenotipo mesenchimale (CD106,CD105, CD90, CD73, CD44, CD29), in assenzadi marcatori ematopoietici ed endoteliali, e dal-la dimostrazione in vitro di potenzialità clonoge-niche mantenute durante i vari passaggi di col-tura e di un potenziale differenziativo almeno tri-lineare (osteoblastico, adipocitario e condrobla-stico) dopo esposizione ad opportuni agenti dif-ferenzianti (32-34).Le MSC sono state indicate come potenziale fon-te cellulare per la rigenerazione cardiaca da mol-

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efficacia nel miglioramento della funzione ventri-colare di modelli murini di IMA (51, 52), mentreun terzo studio non ha registrato benefici signi-ficativi nel gruppo trattato (53). Dal momento chenon ci sono evidenze di un attecchimento a lun-go termine da parte delle cellule iniettate, si è ipo-tizzata spesso l’azione paracrina di numerosecitochine prodotte dalle MAPC, quali MCP-1,VEGF, PDGF-BB e TGF-®1 (50, 51), per spiega-re gli effetti riscontrati in alcuni studi. Le MAPCsembrano particolarmente prone a facilitare l’ar-teriogenesi in vitro e in vivo (54). Come le MAPC,anche le hMASC (55) esprimono fattori di trascri-zione tipici delle cellule staminali embrionali (oct-4 e nanog), mostrano alti tassi di clonogenicità(17-20%) ed estesa capacità differenziativa plu-rilineare in vitro. Non esistono ancora studi defi-nitivi in letteratura relativi all’impiego di queste cel-lule in vivo.- Altre cellule midollari. Le cellule staminali peri-feriche lineage-negative/CD34+, un sottogruppo dicellule midollari eterogeneo usato nella realtà cli-nica da più di un decennio per i trapianti di cel-lule staminali emopoietiche, ha trovato un suoambito di impiego clinico molto particolare nel-la terapia dell’angina instabile. Oltre che da nume-rosi modelli animali di cardiopatia ischemica cro-nica (56), questo dato è convalidato da uno stu-dio clinico di fase I/II (57), dove i pazienti tratta-ti con le cellule CD34+ hanno registrato un miglio-ramento della frequenza di episodi di angina, del-la necessità di nitroglicerina sublinguale, delCanadian Cardiovascular Society Class index edella qualità di vita (misurata tramite questiona-ri psicologici) rispetto al gruppo di controllo trat-tato con le stesse terapie farmacologiche ma sen-za l’infusione intracoronarica di CD34+ (57). Un sottotipo delle cellule CD34+ (CD34+/CD133+),arricchito nella frazione di precursori a basso gra-do di differenziazione, ha anche dimostrato unanotevole efficacia nel miglioramento della frazio-ne di eiezione ventricolare del gruppo trattato (58).Diversamente dagli altri studi, questo vantaggioè risultato però associato ad un incremento anchedel rischio di ristenosi coronarica (47,3% vs 25%;P<0,05). I pazienti trattati che non hanno dimo-strato ristenosi hanno registrato anche un incre-mento significativo dell’uptakemiocardico di glu-cosio a studi valutativi PET (58).

nonostante, sulla base dei dati accumulati negliultimi anni, è oggi opinione corrente che gli even-ti di transdifferenziazione delle MSC riguardinoin effetti una ristretta minoranza delle MSC iniet-tate nei vari studi sperimentali, e gli effetti bene-fici derivanti da questa forma di terapia cellula-re siano per lo più dovuti all’estesa produzionedi citochine, chemochine e fattori trofici angio-genetici da parte di queste cellule (45, 46). Questieffetti paracrini potrebbero comprendere l’immu-nomodulazione delle reazioni infiammatorie in attonel miocardio dopo IMA: infatti, le MSC hannoanche un’estesa capacità immunomodulativa invitro e in vivo nei confronti della maggior partedelle cellule del sistema immunitario (33), che alivello teorico ne potrebbe consentire un più faci-le uso allogenico (33). In effetti, le MSC hannomostrato capacità di attecchimento nella cicatri-ce infartuale di modelli animali di IMA di grossataglia in assenza di immunosoppressione (47). Ciònonostante, la possibilità di fenomeni di differen-ziazione eterotopica nelle sedi di inoculo, dimo-strata su modelli murini in alcuni studi (48), indu-ce comunque prudenza nella progettazione distudi clinici su vasta scala con MSC. Un approc-cio potenziale per ovviare a queste limitazionipotrebbe essere la differenziazione in senso mio-citario delle MSC prima del loro impiego (35, 36,49). I dati relativi all’uso delle MSC in ambito dirigenerazione cardiaca dopo IMA sono ancora perlo più preclinici: si attendono quindi i risultati dinumerosi trial clinici in corso.- Multipotent Adult Progenitor Cells (MAPC) eHuman Multipotent Adult Stem Cells (hMASC).Le MAPC sono cellule di derivazione midollareottenute dopo propagazione in vitro a lungo ter-mine della frazione a crescita aderente delmidollo osseo. Sono cellule di natura mesenchi-male, potenzialmente appartenenti ad un poolmolto precoce, contraddistinto dall’espressionedi oct-4, un fattore di trascrizione cardine dellecellule staminali embrionali, e dall’ampia capa-cità proliferativa e differenziativa. Dopo impian-to in una blastocisti, contribuiscono allo svilup-po di praticamente tutti i tessuti dell’embrione(50). Le MAPC presentano problemi tecnici di iso-lamento, coltura e riproducibilità dei risultati otte-nuti negli studi originali. In ambito di rigenerazio-ne cardiaca, due studi hanno dimostrato la loro

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AMD3100) (63). Tuttavia, vi sono evidenze diun’omeostasi indipendente propria del cuoreanche nel caso del turnover vascolare: un precur-sore coronarico unico (lineage-negative/c-kit+/KDR+)è stato infatti recentemente isolato nell’uomo,localizzato in nicchie specializzate lungo la pare-te vascolare delle arterie coronariche. Diversamente da altri precursori vascolari, que-sto tipo di cellula sembra in grado di generare sta-bilmente arterie conduttive di grosso e medio cali-bro, in anastomosi con l’albero coronarico, dopoiniezione in un modello di stenosi prodotta in uncane immunosoppresso (64).

n MIOBLASTI SCHELETRICI

Pur non essendo cellule staminali ma precurso-ri commissionati delle cellule muscolari scheletri-che, i mioblasti scheletrici presenterebbero alcu-ni innegabili vantaggi ai fini della rigenerazione car-diaca: sono cellule di facile isolamento ed espan-sione, anche in quantità molto elevata; sono cel-lule pre-commissionate verso la differenziazionemiocitaria, praticamente prive dei rischi di una dif-ferenziazione eterotopica in vivo; possono esse-re usate in un contesto autologo; resistono beneall’ischemia in vitro. Inoltre, mostrano un attecchi-mento stabile e prolungato nella cicatrice infar-tuale dopo iniezione chirurgica nel tessuto peri-infartuale (65). Per tutte queste ragioni i miobla-sti scheletrici sono state tra le prime cellule adessere impiegate in protocolli clinici rigenerativi suvasta scala (66-68). Tuttavia, anche queste cel-lule sono gravate da sostanziali svantaggi, qualil’incapacità di integrarsi funzionalmente ed elet-tricamente con i cardiomiociti residui post-infar-tuali e di produrre cellule diverse dai miociti stes-si (ad es. cellule muscolari lisce ed endoteliociti,indispensabili per la neovasculogenesi degliimpianti cellulari). Se fenomeni di angiogenesilocale possono provvedere a lungo termine alsostentamento degli impianti (69), il problema del-la mancata integrazione elettrica ha determinatofin dal primo gruppo di studio un tasso di aritmiepost-infartuali, anche letali, decisamente superio-re a quanto atteso (66-68). Inoltre, lo studio cli-nico prospettico randomizzato di fase III MAGIC,eseguito su 97 pazienti infartuati con pesante defi-cit sulla funzione ventricolare (frazione di eiezio-

Qual è il ruolo fisiologico delle cellule del midollo osseo nell’omeostasi tissutalecardiaca?È possibile che un sottogruppo di cellule midol-lari venga mobilizzato a seguito di segnali chemio-tattici emessi dal miocardio infartuato e si localiz-zi successivamente nel cuore: ciò è stato dimo-strato nel modello sperimentale per alcune cellu-le midollari non ematopoietiche esprimenti fatto-ri di trascrizione propri di precursori cardiaci aseguito di gradienti di SDF-1, HGF e LIF (59). Alcontempo, Fazel et al. (60) hanno dimostrato all’in-terno del cuore infartuato di topo un incrementodi cellule c-kit+/CD45-negative sostenuto dagli effet-ti paracrini (via VEGF, angiopoietina e altri fattori)esercitati verosimilmente da cellule VEGFR2+/c-kit+/Sca-1+ mobilizzate dal midollo osseo a segui-to dell’IMA (60). Le cellule indifferenziate c-kit+ iso-late dal cuore sono da alcuni considerate celluledi derivazione midollare, annidate nel cuore in nic-chie transitorie. Il gruppo di Piero Anversa ha dimo-strato l’esistenza di nicchie cardiache in cui lec-kit+ CSC manifestano fenomeni di divisione sim-metrica e asimmetrica (8), consentendo quindi siail self-renewal del pool indifferenziato che la gene-razione di precursori commissionati, e dove lamaturazione del cardiomiocita avviene attraversostadi intermedi progressivi (8, 61). Inoltre, l’uso ditopi transgenici di lineage-mapping ha consenti-to di identificare cellule c-kit+ anche durante lo svi-luppo embrionale murino precoce, ad un tempo(E7,5) che precede la mobilizzazione in circolo dicellule staminali ematopoietiche dalla zona aorto-gonado-mesonefrica (E10) e lo sviluppo di una cir-colazione coronarica completa (62). Pertanto, que-ste cellule contribuirebbero all’ontogenesi cardia-ca indipendentemente dallo sviluppo del sistemacircolatorio e di quello emopoietico.Parallela alla domanda sul contributo midollare almiocardio sta l’osservazione sul ruolo svolto dal-le endothelial progenitor cells (EPC) di originemidollare nel turnover endoteliale coronarico: l’inie-zione intracoronarica di cellule midollari CD34+

migliora significativamente la vascolarizzazionecardiaca e la qualità di vita di pazienti affetti daangina instabile (57); inoltre, si è ottenuto un simi-le miglioramento su pazienti coronaropatici ancheattraverso la somministrazione di un bloccante far-macologico del sistema CXCR4-SDF1 (plerixafor,

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modello murino le CSC hanno ridotto le dimen-sioni dell’infarto dal 53% al 48% della parete ven-tricolare a 10 giorni (p<0,001), e dal 70% al 48%a 20 giorni (7) (p<0,001). Sono organizzate in nic-chie diffuse su tutto il tessuto cardiaco, ma piùnumerose in prossimità delle auricole e dell’api-ce ventricolare (11, 61), ed esprimono i compo-nenti di un sistema recettoriale basato su IGF-1(con effetti proliferativi e anti-apoptotici) e HGF(con effetti chemiotattici e anti-apoptotici) (70);inoltre, mostrano elevata attività telomerasica,indenne dopo le procedure di isolamento edespansione (71, 72). È possibile isolare un nume-ro adeguato di CSC anche da soggetti di etàavanzata, per quanto vi sia un progressivo calodi attività telomerasica e un conseguente accor-ciamento telomerico in CSC isolate da pazientianziani (72, 73); comunque, la loro somministra-zione in vivo si dimostra capace di migliorare lafunzione cardiaca anche in questo caso (72). Oltrealla loro funzione nel mantenimento dell’omeosta-si tissutale, le CSC reagiscono ad una serie dipatologie: aumentano in numero, a scopo com-pensatorio, durante l’instaurarsi di uno stato diinsufficienza cardiaca progressiva e nell’ipertro-fia cardiaca secondaria a stenosi aortica (74-76)e diminuiscono in numero ed efficienza nel casodi diabete (77). Riscontrate con caratteristichesimili in numerose specie animali (11), sono sta-te infine isolate anche nell’uomo (8); in particola-re, CSC umane espanse in vitro ed iniettate in topiSCID infartuati generano bande di miocardio con-trattile chimerico, funzionalmente integrato conquello peri-infartuale residuo murino (8), con bene-ficio degli animali in termini di riduzione della pres-sione telediastolica ed incremento della contrat-tilità cardiaca complessiva post-infartuale (8).- Cardiosphere-forming cells. Similmente alleCSC, le cellule-formanti-cardiosfere gemmanospontaneamente da piccoli campioni cardiaci (25mg, biopsie endomiocardiche) dopo coltura pri-maria del tessuto in appositi mezzi di coltura (7,78). Diversamente dalle CSC, questi precursori car-diaci formano spontaneamente corpi cellularisferoidi in vitro dopo 3-6 giorni di coltura (12-18giorni nel caso di cellule umane) (9). Le cardiosfe-re crescono quindi in sospensione, con un corecentrale di cellule proliferanti c-kit+ (il 30% del tota-le) circondate da uno strato di cellule nutrici

ne residua ≤35%) tutti sottoposti a bypass aor-tocoronarico con impianto di defibrillatore cardia-co, non ha documentato un miglioramento sta-tisticamente significativo a 6 mesi nei gruppi trat-tati con mioblasti ad alto (8x108) e basso dosag-gio (4x108) rispetto al gruppo di controllo (6). Allaluce di questi risultati, la terapia cellulare con mio-blasti scheletrici ha subìto al momento un sostan-ziale arresto. Non è possibile però al momentoescluderne una potenziale riabilitazione in futuroin casi altamente selezionati.

n CELLULE STAMINALI CARDIACHE

A quasi dieci anni dalle prime evidenze relativeall’esistenza anche nel cuore di un compartimen-to staminale (7), l’idea inizialmente rivoluzionariadel cuore come organo a lento, ma costante tur-nover nella vita postnatale e adulta sembra ormaiconsolidata da numerosi studi (8, 11). Infatti, cel-lule dotate delle fondamentali proprietà della cel-lule staminali (self-renewal, clonogenicità e poten-ziale di differenziazione multilineare) sono state iso-late dal cuore da gruppi indipendenti (7-10), concaratteristiche per lo più simili e capacità differen-ziativa in tutte e tre le principali linee cellulari car-diache, e cioè cardiomiociti, cellule muscolari lisceed endoteliociti. Al momento, sono distinguibili nelcuore almeno due tipi di precursori cardiaci concaratteristiche di vere e proprie cellule staminalicardiache [c-kit+ cardiac stem cells o CSC (7, 8)e cardiosphere-forming cells (9)], a cui si aggiun-ge un terzo precursore [Isl+ cells (10)], probabil-mente appartenente ad un sottotipo cellularedistinguibile già durante lo sviluppo embrionale,e due precursori (cellule cardiache side-popula-tion, SP-cells, e cellule cardiache Sca-1+) isola-bili anch’esse dal cuore ma dotati di caratteri signi-ficativamente diversi.- C-kit+ Cardiac Stem Cells (CSC). Le cellule sta-minali cardiache c-kit+ (c-kit+ CSC) vengono iso-late da piccoli campioni cardiaci, prevalentemen-te atriali (40-60 mg) (8) tramite coltura primaria oisolamento delle cellule c-kit+ attraverso unimmunosorting condotto sulla sospensione cel-lulare ottenuta dalla digestione parziale del tes-suto (7, 8). In vitro, queste cellule possono esse-re indotte a differenziare in senso cardiomiocita-rio, endoteliale e muscolare liscio. In vivo nel

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elettricamente competenti in cocoltura con mio-citi neonatali, senza fenomeni di fusione cellulare(10). Inoltre, cellule Isl1+/Nkx2,5+/flk1+ possonoessere differenziate a livello clonale nelle cellule del-le tre principali linee cardiache (85). Tuttavia, nonsi conosce per ora il reale potenziale di queste cel-lule in studi di rigenerazione cardiaca, dal momen-to che il loro riscontro nel cuore adulto è un even-to comunque raro (la quasi totalità delle c-kit+ CSCnon esprimono infatti Isl1) (11) e che le stesseappaiono come un sottotipo di progenitori cardia-ci distinti, che contribuisce solo in modo margi-nale allo sviluppo embrionale della massa contrat-tile cardiaca (11, 83).- Altre cellule progenitrici isolabili dal cuore. Leside-population cells (SP cells), isolate sulla basedella loro capacità di estrudere il colorante sopra-vitale Hoechst 33342 (86), presentano profili diespressione genica in parte sovrapponibili a quel-li delle EPC e delle cellule staminali ematopoieti-che, per quanto contraddistinte da un immuno-fenotipo diverso (CD34-negative/CD45-negative/CD31+/Sca-1+) (87). Considerate di origine midollare, sonoin grado di originare colonie ematopoietiche (86),osteoblasti e adipociti (88), e cardiomiociti dotatidi attività contrattile spontanea dopo esposizioneall’ossitocina o alla tricostatina A, ma non dopo5-azacitidina (88). Iniettati endovena dopo IMA,mostrano la capacità di attecchire nel tessuto infar-tuato e di differenziarsi a bassa frequenza in feno-tipi cardiaci (88). Coesistono processi di fusionecellulare con elementi locali (86). Pure di originemidollare appaiono le cellule cardiache Sca-1+, checondividono con le SP cardiac cells la possibilitàdi differenziarsi, almeno in vitro, in osteoblasti eadipociti (89, 90). Dopo iniezione intravenosa silocalizzano nel tessuto infartuale e vanno incon-tro in pari misura a processi di differenziazionecompleta in cardiomiociti o di fusione cellulare concellule locali (89).

n INDUCED PLURIPOTENT STEM CELLS (iPS)

Cellule staminali ad estesa potenzialità differenzia-tiva, virtualmente paragonabile a quella delle cel-lule staminali embrionali (ES), sono state ottenu-te da fibroblasti somatici tramite l’inserimento diquattro fattori di trascrizione embrionale (Oct3/4,

CD105+, mostrano contrazione spontanea in vitroe contribuiscono attivamente a fenomeni di rige-nerazione cardiaca dopo l’impiego in vivo in varimodelli di IMA (9, 78). Dallo smembramento del-le cardiosfere è possibile ottenere le cardiosphe-re-derived cells (CDC), che si differenziano in car-diomiociti dopo la co-coltura con cardiomiocitineonatali di ratto o l’esposizione a specifici mez-zi di induzione. È possibile anche il processo con-trario, dal momento che c-kit+ CDC sono in gra-do di rigenerare cardiosfere complete se prese aiprimi passaggi di coltura. L’impiego delle cardio-sfere e delle CDC ha determinato un miglioramen-to della funzione cardiaca sia in modelli animali digrossa taglia (79, 80) che in topi SCID trattati concardiosfere umane: in quest’ultimo caso, unamedia di 10 cardiosfere per iniezione ha prodot-to un considerevole vantaggio sull’eiezione ven-tricolare globale (37% vs 18%; p<0,05) (9). Cosìcome le c-kit+ CSC, anche le CDC esprimono laconnessina-43 e si integrano funzionalmente conil miocardio per-infartuale in vivo.Recentemente, è stato sviluppato un approcciosemplificato per l’ottenimento rapido di cellule pro-genitrici cardiache, senza il passaggio intermediodelle cardiosfere in espansione (81): non sonoancora disponibili indicazioni sull’impiego di taleprocedura semplificata su animali di grossataglia, per quanto uno studio di comparazione tracardiosfere e CDC eseguito su modelli suini (mini-pig) ha riportato risultati superiori con l’impiegodi cardiosfere rispetto alle sole CDC (80). Tale van-taggio, riscontrato anche in studi con cellule uma-ne in topi immunodepressi SCID (82), è stato spie-gato con la natura più eterogenea della cardio-sfere, contenenti cellule nutrici mesenchimali oltreagli effettivi precursori cardiaci (80). Studi clinicidi fase I/II sono in corso sia per le c-kit+ CSC cheper le cardiosphere-forming cells (CDC).- Cellule cardiache Isl1+. Le cellule Isl1+, contrad-distinte dall’espressione di un attivatore trascrizio-nale di MEF2C, costituiscono un sottogruppoembrionale cardiaco distinto (83), finalizzato allagenerazione principalmente del cono di efflusso,del nodo seno-atriale e di parte degli atri e del ven-tricolo destro (10, 83-85). Usando Isl1 come mar-catore, si è riusciti ad isolare anche dal cuore dianimali adulti cellule indifferenziate capaci digenerare in un secondo momento cardiomiociti

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so approccio, finalizzato alla riduzione del rischiodi teratogenicità, gli stessi fattori impiegati per lagenerazione di iPS (Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc) han-no forzato la differenziazione di fibroblasti embrio-nali murini in cardiomiociti organizzati in bande acontrazione spontanea senza il passaggio attra-verso uno stadio indifferenziato (103).Nonostante la scarsità di studi a riguardo, le iPSsi confermano come un interessante modello spe-rimentale anche nell’ambito della rigenerazionecardiaca; saranno tuttavia necessari numerosiulteriori approfondimenti prima del possibileimpiego nell’uomo.

n MECCANISMI D’AZIONE DELLE CELLULE STAMINALI

Differenziazione/transdifferenziazioneL’effettiva transdifferenziazione di BM-MNC in vivodopo iniezione in un modello murino di infarto (19,20) è stata confermata da un successivo studio basa-to sull’impiego di metodiche di tagginggenetico contre topi transgenici differenti e di ricerca del cromo-soma Y nel tessuto rigenerato tramite FISH (104).Tuttavia, l’effettiva persistenza di BM-MNC tran-sdif-ferenziate in senso cardiaco è stata dimostrata soloin pochi studi e non ci sono dati relativi alla persi-stenza a lungo termine di queste cellule.

Effetti paracriniGli effetti positivi esercitati dalla terapia cellularedell’IMA hanno dimostrato di perdurare ben oltrele attuali evidenze di persistenza nel cuore dellecellule impiegate (4, 46). Per giustificare questoapparente paradosso, è stata ipotizzata l’evenien-za di eventi trofici paracrini (45, 46) ad opera deinumerosi fattori proangiogenici e cardioprotetti-vi, quali VEGF-A (28, 105), HGF (28, 105), IGF-1(105), b-FGF (28), angiopoietin-1 and -2 (28),PDGF-b (28) e IL-10 (106), prodotti dalla maggiorparte delle cellule staminali impiegate in protocol-li di rigenerazione cardiaca (45, 46). Tuttavia, soloun ristretto numero di studi ha effettivamentedimostrato sul modello sperimentale l’aumentodella sopravvivenza cardiomiocitaria dopo insul-to ischemico (105), della vascolarizzazione capil-lare (105) o dell’attività del pool di precursori car-diaci residenti (28) dopo la somministrazione del-le cellule.

Sox2, c-Myc e Klf4), un processo definito ripro-grammazione nucleare (91, 92). Pur conservandole capacità proliferative e plastiche estremamen-te estese proprie delle ES (91, 92), le inducedPluripotent Stem Cells (iPS) sono prive di impli-cazioni etiche e legali e presenterebbero il vantag-gio di un potenziale impiego autologo in molte con-dizioni patologiche. Tuttavia, le iPS condividonoanche molti limiti propri delle ES, quali l’immuno-genicità dovuta all’espressione di antigeni fetali ela teratogenicità in vivo (91, 92); inoltre, ci sonoancora problemi tecnici relativi sia all’efficienza delloro ottenimento, in genere abbastanza bassa edifficilmente prevedibile (12, 13), che all’uso di vet-tori lentivirali per il trasferimento dei geni di ripro-grammazione, evento potenzialmente associatoall’attivazione di oncogeni (13). In ambito cardio-logico, l’iniezione intramiocardica di iPS ha deter-minato la formazione in vivo di cardiomiociti, cel-lule muscolari lisce ed endoteliociti in modelli muri-ni di IMA, con recupero della funzione contratti-le post-infartuale, dello spessore di parete e del-la stabilità elettrica del tessuto (93). Per ovviareal potenziale teratogeno delle iPS, si è testata lapossibilità di pre-differenziare in vitro le cellule ver-so la linea cardiomiocitaria, applicando metodi-che già note per la differenziazione delle ES (94-97); i risultati, su cellule murine e umane, sono sta-ti paragonabili per tempistica ed efficienza a quan-to ottenuto su queste ultime (97, 98).Sfortunatamente, tutti questi studi hanno impie-gato le metodiche di riprogrammazione nucleareoriginali, comprensive dell’uso del protoncogenec-Myc (91, 92). Sono invece in studio metodichealternative basate sull’uso di una diversa combi-nazione di fattori embrionali (99-100), di vettori piùsicuri o addirittura del trasferimento proteico deisoli fattori di trascrizione in forma già attiva (13).Inoltre, approcci sperimentali diversi sono statitestati per standardizzare in modo anche quanti-tativamente più prevedibile il processo di genera-zione delle iPS (101). Questi diversi approcci spe-rimentali hanno confermato la possibilità di otte-nere cardiomiociti da cellule iPS, con attività elet-trica spontanea di tipo nodale o ventricolare feta-le, organizzate in noduli a contrazione spontaneaall’interno di corpi embrioidi in vitro e capaci di inte-grarsi elettricamente con cardiomiociti di cuori noninfartuati dopo iniezione in vivo (102). In un diver-

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FIGURA 1 - Meccanismi d’azione delle cel-lule usate per studi di rigenerazione cardia-ca. Lo schema raffigura le cellule usate neiprincipali studi di rigenerazione cardiacapost-infartuale. La zona segnata dalla lineatratteggiata nera indica schematicamente unazona di infarto. La zona segnata dalla lineatratteggiata rossa rappresenta una zona dimiocardio residuo peri-infartuale. Le linee nerecontinue indicano meccanismi di differenzia-zione e transdifferenziazione (i punti interro-gativi segnano i casi in cui gli esperimenti invivo non sono ancora stati completati o su cuinon esistono dati conclusivi). Le linee punteg-giate azzurre indicano meccanismi paracrini.Le linee continue rosse indicano fenomenineoangiogenetici. Al centro, le cellule rossezebrate indicano cardiomiociti residui; quel-le verdi zebrate cardiomiociti di nuova forma-zione. I punti gialli disegnati tra queste indi-cano GAP-junctions (giunzioni canale) posi-tive per connessina-43. Come indicato, i car-diomiociti di derivazione dai mioblasti sche-letrici non sembrano formare giunzioni cana-le con i cardiomiociti residui peri-infartuali.

canismi di azione dei principali tipi cellulari usatiin protocolli di rigenerazione cardiaca dopo IMA.

n PROBLEMI ANCORA APERTI

É possibile isolare cellule staminali dacampioni disponibili nella pratica clinica?Parte della fortuna goduta negli ultimi anni dallesperimentazioni con BM-MNC e mioblasti sche-letrici sta nella possibilità di isolare in grandenumero queste cellule da pazienti mediante pro-cedure di scarsa invasività e limitate misure di iso-lamento e/o coltura. Tuttavia, è possibile espan-dere in vitro anche altri tipi di cellule in numerocompatibile con il loro impiego in protocolli di tera-pia cellulare. Infatti, una singola biopsia endomio-cardica può generare fino a 7-70 milioni di cellu-le in un mese e mezzo di coltura (9). Recentemente, uno studio mirato ha cercato divalidare sistematicamente la metodica di espan-sione di cardiosphere-forming cells e CDC dabiopsie endomiocardiche ottenibili in ambito cli-nico (110). Problemi di produzione e riproducibi-lità limitano invece, al momento, la diffusione del-

Fusione cellulareEventi di fusione cellulare potrebbero essereimportanti per cardiomiociti violentemente colpi-ti dall’insulto ischemico, facilitandone il recuperofunzionale. Tuttavia, eventi di fusione non rigene-rano tessuto contrattile all’interno della cicatriceinfartuale, né spiegano un ripristino significativoa lungo termine della funzione cardiaca. Questaipotesi è stata testata in numerosi modelli speri-mentali, sia con CSC (7, 8) che BM-MNC (19, 104,107), senza conferma definitiva (8).

NeovascolarizzazionePrecursori endoteliali (EPC) sono presenti a bas-sa frequenza nel pool eterogeneo rappresentatodalle BM-MNC (108). Infatti, nella maggior partedegli studi clinici facenti impiego di BM-MNC siriscontra neoformazione vascolare, sia nella for-ma di neovasculogenesi che di promozione del-l’angiogenesi da parte dei vasi preesistenti nel tes-suto (109). Questo è probabilmente il risultato siadi fattori paracrini rilasciati dalle cellule staminali(45, 46), che dell’effettiva transdifferenziazione insenso vascolare di parte delle cellule impiegate(109). La Figura 1 riporta uno schema dei vari mec-

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l’uomo, su cuori di deceduti per causa non ricon-ducibile a patologia cardiovascolare di etàcompresa tra i 19 e i 104 anni (73).Due studi indipendenti hanno recentementedimostrato l’importanza del sesso nella determi-nazione del numero e della funzione delle CSC,in accordo con la nota minore incidenza di even-ti cardiovascolari nel sesso femminile rispetto aquello maschile: nel primo (118), il sesso femmi-nile e l’isolamento dall’atrio destro (confrontatocon l’atrio sinistro e con entrambi i ventricoli) sonorisultate i due fattori, indipendenti l’uno dall’altro,associati all’ottenimento di migliori raccolte di c-kit+ e Isl1+ CPC all’analisi statistica multivariata(118). Nel secondo studio (73), ad ogni classe dietà si è registrato un maggiore potenziale proli-ferativo e telomeri più lunghi in CPCs derivate dacuori femminili rispetto a quelli maschili (73).Sul fronte della patologia, oltre al diabete, variemalattie cardiovascolari influenzano il pool delleCSC; nei pazienti affetti da aterosclerosi grave, leCSC isolate mostrano fenomeni apoptotici più fre-quenti e iper-espressione di p16INK4a (115); cam-pioni cardiaci ottenuti da pazienti affetti dascompenso cardiaco terminale contengono unnumero maggiore di CPC c-kit+ rispetto a control-li dotati di un miglior grado di compenso (119);analoga osservazione è stata fatta in pazienti affet-ti da stenosi aortica non corretta (76).Nell’impossibilità di un uso autologo per insuffi-ciente isolamento, una possibile alternativa con-sisterebbe nell’impiego di cellule allogeniche. Atale scopo, cellule dotate di intensa attivitàimmunomodulativa intrinseca quali le MSCpotrebbero risultare avvantaggiate (33).

Qual è il migliore protocollo clinico?- Modalità di somministrazione: la somministra-zione endovenosa determina un tasso di attec-chimento precoce di solo l’1% delle cellule iniet-tate (120). L’inoculo intracoronarico presupponel’adeguata rivascolarizzazione tramite angioplasti-ca dei vasi che perfondono la zona infartuata, edipende in termini di efficienza dallo stato dellamicrocircolazione e dell’endotelio a livello dellazona peri-infartuale (121). Anche l’iniezione diret-ta intramiocardica, una procedura più invasiva epotenzialmente associata ad aumentato rischio diaritmia (122), risulta in tassi di attecchimento del

le iPS in studi di rigenerazione cardiaca (12, 13).Anche una volta superati tutti i problemi tecnici,rimangono tutte problematiche normative relati-ve alla procedura di isolamento ed espansionesecondo l’elevato standard delle norme di GoodManufacturing Practice (GMP). La legislazioneeuropea prevede infatti che le cellule da utilizza-re per protocolli clinici siano trattate al pari di far-maco iniettabile e come tale rientrino nella legi-slazione relativa allo sviluppo e impiego di nuovifarmaci (111). Questo fatto implica la necessitàdi ambienti dedicati (camere bianche), procedu-re standard, modelli preclinici e protocolli speri-mentali finalizzati a garantire la produzione e som-ministrazione di un farmaco cellulare sicuro, ripro-ducibile ed efficace (111). Inoltre, sono necessa-ri diversi controlli di qualità che includono anchel’analisi della stabilità genetica delle cellule espan-se in vitro per uso clinico. Pertanto, molte dellesperimentazioni cliniche del passato oggi nonsarebbero più autorizzate dagli enti regolatori. Pertale ragione, consorzi internazionali si stanno for-mando allo scopo di condividere le competenzenecessarie per la stesura di protocolli standardiz-zati e riproducibili.

È possibile ricavare un numero sufficientedi cellule staminali autologhequalitativamente efficaci?Esistono ancora pochi dati, a volte discordanti,su quanto pesino sul pool di CSC e precursoricardiaci alcune variabili come sesso, età, etniae comorbilità quali l’ipertensione arteriosa, il dia-bete, l’ipercolesterolemia e varie dislipidemie.L’età e la presenza di comorbilità sembranoinfluenzare il numero e la funzione delle CSC(112): infatti, al crescere dell’età si riduce l’atti-vità telomerasica del tessuto cardiaco e dellavascolatura coronaria (113), mentre sia l’età (114,115) che alcune patologie come il diabete (116)gravano sul miocardio e sulle CSC in particola-re attraverso un aumento dello stress ossidati-vo ambientale (77). Nei topi, cardiomiociti iso-lati da animali più anziani hanno dimostratoaumentata apoptosi, telomeri di lunghezza infe-riore e maggiore facilità ad andare incontro afenomeni di senescenza cellulare (evidenziati dal-l’espressione della proteina p16INK4a) (72, 117).Questi fenomeni sono stati confermati anche nel-

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n CONCLUSIONI

A dieci anni dai primi rivoluzionari studi di rige-nerazione cardiaca con cellule di midollo osseo,centinaia di pazienti sono stati trattati in tutto ilmondo con questa metodica, e nuove cellule sisono aggiunte alle BM-MNC e ai mioblasti sche-letrici nei trial clinici di terapia cellulare dell’IMA.Le BM-MNC si sono dimostrate sicure nel loroimpiego ed efficaci nel mantenimento della fun-zione cardiaca e nella riduzione della cicatriceinfartuale, con un impatto a lungo termine sulrimodellamento post-infartuale (4) e sulla soprav-vivenza (25). Tuttavia, è ancora ignoto il mecca-nismo attraverso cui esse funzionino, anche senell’uomo probabilmente esso non riguarda,come inizialmente pensato, fenomeni transdiffe-renziativi, ma piuttosto estesi effetti paracrini sulmiocardio residuo peri-infartuale (45, 46).Diversamente dalle BM-MNC, i mioblasti sche-letrici hanno dimostrato scarsa efficacia nelmiglioramento della funzione cardiaca, mancataintegrazione con il tessuto peri-infartuale e, con-seguentemente, un incremento significativo delrischio di aritmia dopo il trattamento (6), e il loroimpiego ha subito, di conseguenza, una drasti-ca riduzione. La scoperta di cellule staminali car-diache ha aperto nuove possibilità di cura e stu-di clinici di fase I/II sono attualmente in corso siaper le c-kit+ CSC che per le CDC. C’è infine gran-de attesa anche per gli studi con MSC, cellule difacile espandibilità e dotate di notevoli capacitàimmunomodulative, proprietà che potrebberoavvantaggiarle rispetto alle altre in contesti clini-ci particolari, quali l’uso allogenico. Anche se pri-ve per il momento di studi nell’uomo, le iPS pre-sentano un notevole interesse potenziale in con-siderazione della loro superiore capacità espan-siva e differenziativa, una volta superati i limiti tec-nici relativi alla loro produzione e sicurezza.Per quanto tutti questi tipi cellulari abbianomostrato evidenze sperimentali di differenziazio-ne in senso miocitario, è evidente quanto questecellule siano biologicamente diverse e difficilmen-te paragonabili tra loro. L’efficacia e la sicurezzarelativa di ciascuna di loro emergerà dai risultatidei molti studi clinici attualmente in corso. È pos-sibile tuttavia immaginare un futuro prossimo in cuidiversi tipi di terapia cellulare possano coesiste-

12-22,9% secondo PET/TAC, a seconda delmodello impiegato. In tutte le modalità di inocu-lo la maggior parte delle cellule iniettate fuorie-scono dal cuore in tempi brevi, passando nellamicrocircolazione e quindi nelle vene coronariche.Ci sono pochi studi di confronto tra le varie meto-diche in letteratura: uno di essi (123) ha registra-to tassi di ritenzione cardiaca superiori, pur a valo-ri sempre molto ridotti, dopo inoculo intracorona-rico (6%) piuttosto che dopo iniezione diretta (3%)o somministrazione endovenosa (0%) (123).Recentemente, sono state pubblicate delle lineeguida da parte dell’International Society forCardiovascular Translational Research relative alleprocedure tecniche per la somministrazioneendocardiaca, intracoronarica, nel seno corona-rico ed epicardica di cellule staminali e altri pro-dotti biologici nel corso di studi clinici sperimen-tali (124).- Dosi e tempistica: i tempi di somministrazionedopo IMA sono estremamente variabili a secon-da degli studi, con un intervallo che va da 24 orea 7 giorni dall’infarto. In genere, la maggior par-te degli studi preferisce un’attesa molto breve eun’unica inoculazione delle cellule in concomitan-za con la procedura di coronaroplastica, là dovequesta venga effettuata nella terapia dell’IMA.Tuttavia, è rilevante il fatto che lo studio REPAIR-AMI abbia documentato il vantaggio maggiore nelsottogruppo di pazienti trattati con BM-MNC adalmeno 4 giorni dall’IMA (3), una tempistica chevede il sostanziale esaurimento della spiccata rea-zione tissutale di tipo infiammatorio successivaall’infarto stesso. Benefici derivanti dall’impiegodi terapia cellulare sono stati dimostrati anche nelcontesto di cicatrici infartuali stabilizzate (5).

Quali pazienti sottoporre al trattamentosperimentale?I pazienti dotati di una frazione di eiezione criti-ca (LVEF≤48,9%, nello studio REPAIR-AMI) sem-brano maggiormente beneficiare della terapia cel-lulare (+5,0 punti percentuali nella LVEF per il grup-po trattato con le BM-MNC) (3). Tuttavia, conl’espansione di questa strategia, la decisione diquali pazienti eleggere alla terapia cellulare richie-derà l’elaborazione di criteri clinici condivisi di sele-zione, che inevitabilmente incideranno a loro vol-ta sull’applicazione stessa delle metodiche.

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RingraziamentiSi ringrazia il Prof. Piero Anversa (Center ForRegenerative Medicine, Brigham and Women’sHospital, Harvard Medical School, Boston, MA,USA) per la preziosa collaborazione scientifica eculturale intrecciata in questi anni.

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n INTRODUZIONE

Le malattie autoimmuni (AD) sono un gruppo dicondizioni patologiche, accomunate da una alte-rata reattività del sistema immunitario nei confron-ti di antigeni self. Il decorso clinico è generalmen-te di tipo cronico, con estrema variabilità in ter-mini di organi interessati ed evoluzione clinica. La maggior parte dei pazienti presenta un qua-dro relativamente benigno con una risposta sod-disfacente ai trattamenti convenzionali che sono,in linea di massima, improntati all’immunosoppres-sione. Alcuni pazienti presentano un quadro più aggres-sivo scarsamente controllato da successive lineedi terapia. È da ricordare come al danno d’orga-no proprio della malattia frequentemente si asso-ci quello derivato dagli effetti collaterali della tera-pia immunosoppressiva somministrata cronica-mente.L’impiego del trapianto di cellule staminali ema-topoietiche (CSE) nelle malattie autoimmuni ori-gina dall’osservazione della sua capacità di

indurre remissioni nella modellistica sperimenta-le (1-5). In particolare il trapianto allogenico è ingrado di trasmettere la malattia da un ceppo mala-to ad uno sano e di indurre una remissione nelsenso contrario. Sorprendentemente nel modello di forme indot-te anche il trapianto autologo si è mostrato in gra-do di indurre una remissione clinica, seppure conuna frequenza inferiore all’allogenico (Figura 1). Nel frattempo l’osservazione clinica di rispostemaggiori in pazienti sottoposti a trapianto di CSEper una malattia oncologica ed una malattiaautoimmune associata, gettava le basi per ipo-tizzare l’impiego di questa procedura nel tratta-mento delle forme severe che progredivanodopo aver fallito le terapie convenzionali (6-8). Leprime esperienze cliniche di pazienti trapiantaticon l’indicazione primaria di una malattia autoim-mune risalgono alla seconda metà degli anninovanta (9-13). Nei dieci anni successivi la pro-cedura si è affermata in diversi settori specialisti-ci, ed in particolare in ambito neurologico e reu-matologico (14-17). I dati riportati in letteratura mostrano che la pro-cedura è in grado di fornire una risposta maggio-re nella maggior parte dei pazienti affetti da ADresistenti ai trattamenti convenzionali. La duratadella risposta è variabile soprattutto in funzionedella diagnosi (18); la procedura si confermacomunque come un’utile opzione terapeutica inpazienti a cattiva prognosi. Il ruolo del trapiantodi CSE deve essere consolidato mediante trial pro-spettici attualmente in fase di realizzazione o dipianificazione.

Staminali e Staminali e malattie autoimmunimalattie autoimmuniRICCARDO SACCARDIS.O.D. Ematologia, Azienda Ospedaliera-Universitaria Careggi, Firenze

Parole chiave: trapianto, cellule staminali, malattieautoimmuni.

Indirizzo per la corrispondenza

Riccardo SaccardiS.O.D. EmatologiaAzienda Ospedaliera-Universitaria CareggiVia delle Oblate, 150141 Firenze, ItalyE-mail: [email protected]

Riccardo Saccardi

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56 Seminari di Ematologia Oncologica

n GENERALITÀ

Nella tabella 1 si riporta l’esperienza dell’EuropeanBone Marrow Transplantation Group (EBMT) aldicembre 2010; la distribuzione per sesso riflet-te la predisposizione per il sesso femminile tipi-ca di queste forme patologiche. Il forte sbilancia-mento verso il trapianto autologo è giustificato dalminor rischio trapiantologico associato. Nellatabella 2 è riportata la distribuzione per diagno-si; la sclerosi multipla (MS) è la forma più frequen-

temente sottoposta a trapianto, seguita dalla scle-rosi sistemica (SSc), malattia che, nella sua for-ma diffusa con interessamento viscerale, non haad oggi trattamenti efficaci.Per tutte le forme l’indicazione al trapianto seguealcuni principi generali espressi alla fine degli anni90 (19): le linee-guida sono attualmente in fasedi revisione all’interno del Working Party sullemalattie autoimmuni. I pazienti devono aver fal-lito una o più linee di trattamento convenziona-le, devono avere una prognosi severa in terminidi sopravvivenza o di grave disabilità, non devo-no avere un danno d’organo irreversibile. In una recente analisi del database dell’EBMT su900 pazienti riportati al registro (18), la diagnosi,seguita dall’esperienza del Centro si è mostrataun fattore significativamente associato alla mor-talità trapiantologica in analisi uni e multivariata(Tabella 3); la seconda (l’esperienza del Centro) èin analogia a quanto già osservato in ambito ema-tologico (20). In termini di outcome, la diagnosi è

FIGURA 1 - Modelli pre-clinici di trapianto di cellule staminali ematopoietiche nelle malattie autoimmuni.

TABELLA 1 - Trapianti di CSE per malattie autoimmuni. DatiEBMT (Dicembre 2010).

Procedure di trapianto 1294Pazienti 1262Maschi/Femmine (%) 38/62Centri/Paesi 221/29Autologo/Allogenico (%) 1211/82 (93/7)Follow-up globale (anni) 2,9 (<1-24)

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57Staminali e malattie autoimmuni

TABELLA 2 - Distribuzione per diagnosi nel database EBMT (Dicembre 2010).

Numero di pazienti

Pediatrici* Adulti Totale

Malattie neurologiche 9 489 498Sclerosi Multipla 7 457 464Altre Malattie neurologiche, es. myasthenia gravis 2 32 34Collagenopatie 30 363 393Sclerosi Sistemica 9 252 261Lupus eritematoso sistemico 18 79 97Polimiosite-dermatomiosite 15 15Altre collagenopatie, incluso la malattia di Sjogren’s 2 16 18Artrtiti 65 92 157Artrite reumatoide 1 77 78Artrite reumatoide giovanile 63 10 73Altre artriti, incluso quella psoriasica 1 5 6Vasculiti 6 27 33Ematologiche 25 42 67Piastrinopenia autoimmune 4 21 25Anemia emolitica autoimmune 4 9 13Sindrome di Evans 11 5 16Altre ematologiche, incluso pure red/white cell aplasia 6 7 13Malattie infiammatorie intestinali croniche 12 47 59Morbo di Crohn 8 44 52Colite ulcerosa 2 1 3Altre 2 2 4Diabete tipo 1 10 10Altre 7 21 28Totale 154 1091 1245

TABELLA 3 - Analisi della mortalità a 100 giorni dopo autotrapianto nelle malattie autoimmuni. Database EBMT (18). TRM = transplant related mortality.

% TRM Univariata Multivariata

Età >35 4±1 p=0.45Età <35 6±1

Anno TX <2001 5±1 p=0.53Anno TX ≥2001 4±1

Esperienza del CentroN trapianti per AD >13 3±1 p=0.004 p=0.003, HR 0.32N trapianti per AD ≤13 7±1 95%CI (0.16-0.69)

Intensità Condizionamento- Bassa 4±1 p=0.51- Intermedia 3±1- Alta 5±2- Non specificata 6+1

Diagnosi P<0.0001 p=0.03

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ancora il maggior determinante della sopravviven-za libera da progressione di malattia, seguita dal-l’anno del trapianto e dall’età del paziente (Tabella4). È interessante notare come, contrariamente aquanto riportato in una precedente analisi su 420pazienti (21), l’intensità del condizionamentoappaia ora meno rilevante; è verosimile che unamigliore selezione dei pazienti possa rendere con-to di questo cambiamento.Il trapianto allogenico rappresenta una quotaminoritaria delle procedure sia nel registro Europeo(22) che in quello Americano, a causa del rischiotrapiantologico che è considerato inaccettabilenella maggior parte della patologie autoimmuni(23) ad eccezione delle citopenie autoimmunisevere, specialmente laddove l’autotrapiantopresenti difficoltà tecniche ad ottenere un’adegua-ta raccolta di CSE (24).Dal punto di vista della tecnica di trapianto (25),l’impiego della chemioterapia nella procedura dimobilizzazione (es ciclofosfamide 2-4 g/mq)associata a fattore di crescita previene l’insorgen-za di esacerbazioni di malattia (26, 27) e diminui-sce il numero di cellule linfocitarie nella raccolta,verosimilmente rendendo non necessaria una T-deplezione ex-vivo. Per quanto riguarda quest’ul-tima, non esistono dati che ne supportino l’im-piego in clinica (28, 29) ed è pertanto riservata aprotocolli clinici con uno specifico razionale. Dal punto di vista dei regimi di condizionamen-

to, non vi sono ad oggi indicazioni all’impiego ditrattamenti mieloablativi quali ad esempio ilbusulfano o la panirradiazione corporea (TBI) adosaggio pieno. L’impiego di protocolli cosiddetti linfoablativi è infase di studio e necessita di una analisi prospet-tica; risultati preliminari nella sclerosi multiplamostrano una qualche tendenza all’incrementodelle recidive (30). Nell’ambito delle malattieautoimmuni i regimi sono stati classificati, analo-gamente al trapianto allogenico (31), in alta, inter-media e bassa intensità (21). L’attuale orientamen-to in ambito europeo è quello di utilizzare regimiad intensità intermedia quali il BEAM (BCNU, eto-poside, ARA-C e melfalan) seguito da gammaglo-bulina policlonale antilinfocitaria (ATG) nella scle-rosi multipla; nelle altre patologie la ciclofosfami-de a dosaggio pieno (200 mg/kg in 4 giorni), sem-pre associata ad ATG. L’uso di anticorpi mono-clonali (es alemtuzumab) può essere considera-to all’interno di protocolli specifici; è stata peral-tro riportata un’elevata incidenza di piastrinope-nie secondarie in pazienti sottoposti a trapiantoper sclerosi multipla (30).È infine da ricordare come il trapianto di CSE nel-le malattie autoimmuni sia da considerare una pra-tica sperimentale e come pertanto la sua appli-cazione sia da circoscrivere a protocolli cliniciapprovati dall’autorità competente, idealmenteinseriti in studi multicentrici, o a casi singoli con

TABELLA 4 - Trapianto nelle malattie autoimmuni. Analisi della sopravvivenza libera da progressione di malattia mortalità a 3 annidal trapianto. Database EBMT (18). PFS = progression free survival.

PFS a 3 anni (%) Univariata Multivariata

Età <35 56±3 p=0.001 p=0.004, HR 1.37 Età >35 46±3 95%CI (1.1-1.7)

Anno TX <2001 43±3 p<0.0001 p=0.0015, HR 1.47Anno TX >2001 59±3 95%CI (1.16-1.86)

Esperienza del centroN trapianti per AD >13 53±3 p=0.45N trapianti per AD ≤13 48±3 Intensità Condizionamento- Bassa 46±4 p=0.011- Intermedia 57±3- Alta 46±6- Non specificata 49+4

Diagnosi p<0.00001 p=0.0007

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documentata indicazione interdisciplinare [clinicaloption secondo le linee guida EBMT (24)]. La com-plessità della gestione clinica di questi pazientirende indispensabile la formazione di team inter-disciplinari sia a livello medico che infermieristi-co, preferibilmente in centri accreditati per il tra-pianto allogenico in considerazione del livello diimmunosoppressione raggiunto che è marcata-mente più elevato rispetto a quello di un trapian-to autologo per un’indicazione convenzionale. Èinfine indispensabile riportare al registro i dati este-si del trapianto e del follow-up attraverso l’uso dimoduli specifici per ogni diagnosi (MED-B,http://www.ebmt.org/4Registry/registry3.html).

n SCLEROSI MULTIPLA

Si tratta di una malattia infiammatoria del siste-ma nervoso centrale (SNC), a carattere prevalen-temente demielinizzante e verosimile patogene-

si autoimmune, nella quale si riscontrano infiam-mazione, demielinizzazione, gliosi e degenerazio-ne assonale. Clinicamente si manifesta con sin-tomi e segni di disfunzione neurologica focaleassociati a lesioni che possono interessare tuttoil SNC. Il decorso è cronico, multifocale e polifa-sico. Lesioni focali a carico del nervo ottico, delmidollo spinale e dell’encefalo possono regredi-re in vario grado e poi ripresentarsi nell’arco dimolti anni (32).L’avvento di tecniche avanzate come la risonan-za magnetica nucleare (RMN), in grado di iden-tificare anche lesioni clinicamente non evidenti,ha ovviato alla dipendenza della diagnosi di scle-rosi multipla (SM) da criteri esclusivamente cli-nici ed ha consentito un importante strumentodi monitoraggio dell’evoluzione del quadro pato-logico. Le manifestazioni della SM possono variare dauna forma benigna ad una malattia rapidamenteevolutiva ed invalidante che obbliga a profonde

FIGURA 2 - La procedura di autotrapianto è qui schematizzata: i riquadri in beige riportano 4 variabili che, variamente associate tradi loro, determinano l’intensità del trattamento.

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modificazioni dello stile di vita e, nelle sue formepiù estreme, può ridurre significativamente l’aspet-tativa di sopravvivenza. Nonostante vi sia una notevole eterogeneità cli-nica individuale, la SM presenta un decorso abba-stanza tipico: nella maggior parte dei casi è carat-terizzato all’esordio da ricadute e remissioni (for-ma relapsing-remitting, o RR) (80%), mentre in unaminoranza di casi è presente un quadro neuro-logico progressivo ab initio (20%) (forma prima-riamente progressiva, o PP), (Figura 3). Le ricadute, o attacchi, rappresentano il correla-to clinico degli episodi di infiammazione focale del

SNC, che tendono poi ad esaurirsi con recupe-ro funzionale più o meno completo. Possonoassociarsi ad una sintomatologia nuova o al ripre-sentarsi di una sintomatologia precedente. Dopoun periodo variabile, tuttavia, la ricorrenza di taliepisodi cede usualmente il posto ad una fase didisabilità progressiva (forma secondariamente pro-gressiva, o SP), che sembra invece riflettere unacombinazione di demielinizzazione persistente,gliosi, e perdita assonale. La terapia si basa su farmaci immunomodulan-ti quali il glatiramer-acetato ed il beta-interferon,seguiti in escalation da farmaci immunosoppres-sivi quali il mitoxantrone e, più recentemente, l’an-ticorpo monoclonale natalizumab. Altri farmacisono in fase di avanzata sperimentazione e sene prevede la disponibilità in clinica nei prossi-mi due anni.I dati di letteratura sul trapianto di CSE nella SMsi basano su una serie di studi di fase1 e 2 mono-centrici (27, 33-38) e multicentrici (39, 40), emostrano una sopravvivenza libera da progres-sione variabile tra 50 e 70% ad oltre 5 anni (41)(Tabella 4). È interessante notare che la mortali-tà trapiantologica è diminuita sensibilmente dalprimo quinquennio di attività al periodo succes-sivo (Figura 3).Lo schema di condizionamento più frequentemen-te utilizzato in Europa è il BEAM associato ad ATG.L’esperienza sinora accumulata non mostra unvantaggio nella manipolazione del graft in termi-ni di outcome neurologico (29). Recentementel’analisi del follow-up a lungo termine di due casi-

FIGURA 4 - Mortalità associata al trapiantonelle sclerosi multipla. Il tasso globale è del3,13% ed è passato dal 7,3% del quinquen-nio 1995-2000 all’1,8% del periodo succes-sivo (dati EBMT).

FIGURA 3 - Forme cliniche di sclerosi multipla.

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stiche monocentriche ha riportato come le formeRR (42) o le forme SP con attività di risonanza almomento del trapianto (43) presentino un outco-me neurologico sensibilmente migliore, in accor-do ai presupposti patogenetici.I pazienti per cui si ritiene opportuna l’indicazio-ne trapiantologica sono le forme RR ad elevataattività infiammatoria sia dal punto di vista clini-co (frequenti recidive) che del quadro di risonan-za, e che accumulano disabilità nonostante lasomministrazione di una o più linee di terapieapprovate. I pazienti con forma SP possono avere un’indi-cazione laddove presentino ancora manifestazio-ni infiammatorie (cliniche e di risonanza) ed abbia-no mostrato un’evidente progressione della disa-bilità nell’anno precedente al trapianto. Tutti ipazienti devono ancora avere capacità di deam-bulazione (EDSS ≤6.5) ad eccezione delle formemaligne (Marburg) che possono clinicamente nonavere recuperato a causa delle recidive estrema-mente ravvicinate (41).Dopo una prima, pionieristica fase in cui la mag-

gior parte dei dati riportati proviene da osserva-zioni spontanee o studi di fase 2, sia in Europache in Nord America sono in corso o in fase dipianificazione studi prospettici (44, 45). Queste ini-ziative, condivise a metà tra il mondo ematologi-co e gli specialisti di riferimento, forniranno un’evi-denza clinica del ruolo del trapianto nella terapiadella SM.

n SCLEROSI SISTEMICA

La sclerosi sistemica (SSc) è una rara malattiaautoimmune di origine sconosciuta caratterizza-ta da fibrosi cutanea e viscerale (organi interes-sati: polmone, sistema cardiovascolare e gastro-enterico, rene) secondaria ad eccessiva deposi-zione di collagene (46). Sulla base dell’estensione dell’interessamentocutaneo, di quello viscerale e del quadro autoan-ticorpale, si distinguono una forma diffusa ed unalimitata (47). Le forme diffuse che progredisconorapidamente nei primi 4 anni hanno una soprav-

TABELLA 5 - Studi prospettici sul trapianto nella sclerosi multipla.

References Patients EDSS Mobilization Ex-vivo Conditioning In-vivo Clinical (n) score T-cell regimen T-cell outcome

depletion depletion

Follow-up (years) PFS

Fassas et al. (37) 25 4,5-8 CY and G-CSF In 10 pts BEAM Yes 3-7 76%

Kozak et al. (34) 33 5-8,5 CY and G-CSF In 20 pts BEAM In 13 patients 5 70%

Saccardi et al. (41) 21 5-6,5 CY and G-CSF No BEAM Yes 8,5 58%

Nash et al. (40) 26 5-8 G-CSF Yes TBI and CY Yes 2 73%

Burt et al. (35) 21 3-8 G-CSF or CY Yes TBI and CY No 1,8 61%and G-CSF

Openshaw et al. (27) 5 5,5-7,5 G-CSF Yes busulfan and CY Yes 1,8 40%

Carreras et al., (33) 14 4,5-6,5 CY and G-CSF Yes carmustine and CY Yes 6 62,5%

Xu et al. (77) 22 4,5-7,5 G-CSF In 9 pts BEAM No 3 77%

Samijn et al. (38) 14 5,5-6,5 BM Yes TBI and CY Yes 3 36%

Atkins et al. (36)

Freedman et al. (45) 17 3-6 CY and G-CSF Yes busulfan and CY Yes 3 75%

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vivenza stimata a 3-5 anni compresa tra 50 e 80%(48). La ciclofosfamide, somministrata in tempiprolungati per via orale, è l’unico farmaco conqualche efficacia nel rallentare l’evoluzione dellamalattia (49).Le prime segnalazioni dell’impiego del trapiantodi CSE (50, 51) hanno mostrato sin dall’inizio lapossibilità di ottenere delle risposte maggiori, conregressione della componente cutanea (52) esostanziale stabilizzazione di quella polmonare(53) (Figura 5), ma anche una rilevante tossicitàin questo subset di pazienti che presentano unacompromissione cardiaca e polmonare legate allamalattia di base (11). L’esperienza maturata haconsentito di modificare i criteri di inclusione deglistudi successivi ed i protocolli di screening (54)con importante riduzione della tossicità (55). Ipazienti per cui si ritiene opportuna l’indicazio-ne trapiantologica sono quelli con forma diffusa,durata di malattia ≤5 anni, con un indice diRodnan ≥15 ed un documentato interessamen-to d’organo (polmonare, cardiaco o renale). Sonoda escludere pazienti con danno d’organo seve-ro (LVEF <50%, aritmie non controllabili, clearan-ce della creatinina <40 mL/min, DLCO<40%,pressione polmonare >50 mmHg). Anche per laSSc il protocollo di scelta in Europa è la ciclofo-sfamide ad alte dosi con ATG, ± selezione di cel-lule CD34+.Due studi prospettici controllati sono stati attua-ti in Europa (www.astistrial.com) e in NordAmerica (www.sclerodermatrial.org), con criteri diinclusione simili e protocolli di condizionamentodiversi (TBI in Nord America, ciclofosfamide inEuropa). I due trial hanno recentemente chiusol’arruolamento ed iniziato il follow-up.

n LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO

Il lupus eritematoso sistemico (SLE) è una formaautoimmune estremamente eterogenea con unaspiccata prevalenza nel sesso femminile (>85%)e nella popolazione di origine africana. La progno-si è migliorata nell’ultimo decennio in conseguen-za della diagnosi precoce e della disponibilità diimmunosoppressori di ultima generazione (56). La risposta al trattamento è variabile, ma circa il20% dei pazienti mostra una risposta insoddisfa-

cente; un coinvolgimento renale, cerebrale o pol-monare, persistente sin dall’esordio, rappresen-ta un criterio prognostico sfavorevole (57).Sono stati effettuati nel mondo circa 200 trapian-ti per questa diagnosi, in buona parte a Chicago,dove è stata riportata una sopravvivenza globa-le dell’84% a 5 anni con una disease free survi-val (DFS) (definita come indipendenza daalte/intermedie dosi di steroidi) del 50% (58). InEuropa l’EBMT ha effettuato una survey dipazienti analizzati fino al 2002 mostrando similirisultati (59). Una seconda survey è attualmente in fase di rac-colta dati. I pazienti candidati ad una terapia tra-

FIGURA 5 - Miglioramento dell’indice di Rodnan e stabilizzazio-ne del DLCO dopo trapianto di CSE. Analisi del database EBMT.(Adattato da 53).

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piantologica sono quelli con malattia attiva o reci-divata (categoria A BILAG) e/o che rimangonodipendenti da steroidi dopo almeno 6 mesi dal-la migliore terapia praticabile. Pazienti con defi-cit d’organo severo debbono essere esclusi.Anche in questo caso il condizionamento consi-gliato è la ciclofosfamide ad alte dosi associataad ATG.

n MORBO DI CROHN

Il morbo di Crohn (MC) è una malattia infiamma-toria cronica a decorso intermittente caratteriz-zata da infiltrati infiammatori trans-murali a cari-co di diversi segmenti del tubo gastroenterico.Anche in questo caso la terapia è fondamental-mente immunosoppressiva e si avvale di steroi-di, citostatici e biologici (prevalentemente anti-TNF). Anche nel MC una quota di pazienti nonrisponde al trattamento convenzionale e neces-sita di alternative terapeutiche efficaci (60).L’autotrapianto è stato impiegato sia negli USA(61) che in Europa (62, 63), con un recente fol-low-up di quello americano (64).

L’incidenza di risposte maggiori è elevata ma,laddove il follow-up sia adeguato, l‘incidenza direcidive è consistente e pone il problema diun’eventuale terapia di mantenimento (65). Lamodesta esperienza presente in letteraturarichiede estrema prudenza nella selezione deipazienti che è raccomandabile inviare al trapian-to solo all’interno di protocolli clinici adeguata-mente condivisi. I candidati ideali sono pazienti con malattia atti-va e resistente a più linee di terapia, con formeestese in cui la resezione esporrebbe al rischiodi conseguenze iatrogene, o malattia periana-le severa in cui il paziente rifiuta la stomia defi-nitiva.L’EBMT ha promosso insieme alla società euro-pea per il Crohn e la colite ulcerosa (ECCO) unostudio prospettico in cui i pazienti vengono mobi-lizzati con ciclofosfamide e G-CSF e successiva-mente randomizzati per un trapianto precoce oad un anno dalla mobilizzazione (studio ASTIC,www.nottingham.ac.uk/scs/divisions/nddc/astic/astictrial), figura 6. Lo studio è stato recentemente chiuso per rag-giungimento dell’arruolamento pianificato.

FIGURA 6 - Schema dello studio ASTIC.

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n CITOPENIE AUTOIMMUNI

La casistica riportata nei registri è estremamen-te frammentata (66) e non consente indirizzi chia-ri e certamente non l’effettuazione di studi pro-spettici. Nel database EBMT 52 pazienti con pia-strinopenia autoimmune, (ITP) anemia emoliticaautoimmune e sindrome di Evans hanno ricevu-to un trapianto autologo o allogenico dal 1996al 2008 in 50 Centri, con una sopravvivenza glo-bale del 61±5%. Da segnalare che in ambito pediatrico il trapian-to allogenico mostra una sopravvivenza libera daprogressione del 60% contro il 35% dell’autolo-go. In linea di massima, il trapianto può essereindicato in pazienti refrattari ad almeno 2 linee ditrattamento (incluso rituximab e agonista del recet-tore per la trombopoietina nella ITP). Negli adulti al di sotto dei 50 anni il trapianto allo-genico è consigliabile laddove non ci sia un fami-liare HLA compatibile. Nei bambini è consiglia-bile l’opzione del trapianto allogenico sia con undonatore familiare che da registro, con il trapian-to autologo in caso di non disponibilità.

n ALTRE MALATTIE AUTOIMMUNI

Nel registro EBMT sono riportati casi di forme rarein tutte le discipline specialistiche. Vale la penaricordare che l’artrite reumatoide era la più fre-quente indicazione al trapianto nel 2000 ed è pres-soché scomparsa dopo l’introduzione dei biolo-gici (67). L’impiego dell’autotrapianto nel tratta-mento del diabete di tipo 1 ha suscitato recen-temente interesse dopo la pubblicazione dellacasistica brasiliana (68, 69) che ha mostrato unprolungato periodo di indipendenza da insulinanella metà dei pazienti. Risultati simili sono statiriportati in una casistica europea (70).

n CELLULE STROMALI MESENCHIMALI

Negli ultimi anni, è stato proposto l’impiego di cel-lule stromali (MSC) espanse ex-vivo per il tratta-mento delle malattie autoimmuni severe. Anchein questo caso il suggerimento viene dalla

modellistica sperimentale (71-73), dal favorevo-le esito del trattamento con queste cellule di for-me gravissime di malattia trapianto verso l’ospi-te (GVHD) (74) e di rare segnalazioni in pazienticon AD severe (75). Si tratta in questo caso di cellule estensivamen-te manipolate che rientrano nella categoria delleterapie avanzate, riconosciute da apposite diret-tive europee. In linea di massima, questo interes-sante approccio terapeutico dovrebbe essere ini-zialmente riservato a quelle forme particolarmen-te acute per le quali anche un trapianto conven-zionale presenta delle controindicazioni di tipomedico. Tuttavia uno studio multicentrico di com-parazione MSC vs placebo e successivo cross-over è stato proposto ed è attualmente in prepa-razione per la Sclerosi Multipla (76).

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n INTRODUZIONE

Le terapie cellulari nei tumori solidi sono in con-tinua evoluzione, e nonostante le indicazioni simodifichino di continuo in base agli studi e all’espe-rienza clinica, alcune linee di tendenza si posso-no individuare negli ultimi anni. Per motivi di chia-rezza e in base alla prassi consolidata si è ritenu-to di schematizzare l’esposizione dividendola in:trapianto autologo; trapianto allogenico; e in unanuova e promettente applicazione della terapia adalte dosi, terapia linfoablativa e reinfusione di lin-fociti autologhi come immunoterapia adottiva.

n TRAPIANTO AUTOLOGO

Gli studi di Skipper e Schabel hanno dimostratoche ad un incremento di dose di farmaco aumen-ta la frazione di cellule tumorali eliminate; questoeffetto è particolarmente significativo nel caso difarmaci alchilanti (la curva dose-risposta: Figura1) (1). Il concetto di intensità della dose si fonda

sulla teoria che l’aumento dell’intensità della che-mioterapia con farmaci attivi, somministrando dosipiù elevate nell’unità di tempo o la stessa dosecumulativa in un periodo più breve, induce unincremento dell’efficacia antitumorale. Tale incre-mento a sua volta migliora i tassi di risposta e disopravvivenza, e la durata della sopravvivenza (2).Vi sono dati che suggeriscono che questa teoriaè probabilmente valida per la terapia a dosi con-venzionali (3).La mielotossicità è la tossicità limitante l’incremen-to di dose: la mielotossicità comporta anemia,neutropenia con aumentato rischio di infezioni, etrombocitopenia con rischio di sanguinamento.Per superare tale tossicità, è possibile sostituireil midollo osseo danneggiato con il midollo dellostesso paziente (autologo) criopreservato primadel trattamento, e reinfuso in vena dopo la som-ministrazione della chemioterapia. L’impiegosempre più ampio della chemioterapia ad alte dosicon trapianto autologo è stato reso possibile dalmiglioramento delle terapie di supporto antiinfet-tiva e antifungina, dall’introduzione in clinica deifattori di crescita ematopoietici, e soprattutto dal-l’impiego dei progenitori ematopoietici da sangueperiferico, che hanno permesso una ricostituzio-ne ematopoietica più rapida, completa e duratu-ra. Dai dati dell’European Bone MarrowTransplantation group (EBMT) nel 2004 è eviden-te che virtualmente tutti i trapianti autologhi (e piùdel 70% dei trapianti allogenici) sono ormai basa-ti sull’uso di cellule ematopoietiche circolanti(Figura 2). Queste strategie hanno permesso diridurre la mortalità legata al trapianto a tassi con-

Terapie cellulari Terapie cellulari nei tumori solidinei tumori solidiMARCO BREGNIIstituto San Raffaele, Milano; Solid Tumour Working Party, European Group for Blood and Marrow Transplantation

Parole chiave: trapianto autologo, trapianto allo geni-co, immunoterapia adottiva.

Indirizzo per la corrispondenza

Dr. Marco BregniDipartimento di EmatologiaIstituto San RaffaeleVia Olgettina, 60 - 20132 MilanoE-mail: [email protected]

Marco Bregni

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70 Seminari di Ematologia Oncologica

sistentemente inferiori all’1-2%. Per una trattazio-ne più esaustiva dell’argomento si rimanda allerevisioni specifiche (4).

Indicazioni nei tumori solidiIl trapianto autologo nei tumori solidi ha avuto unaparabola ascendente fino alla fine degli anni 90,poi un consistente calo (Figura 3), legato soprat-tutto alla diminuzione dei trapianti nel carcinomadella mammella, come viene spiegato più avan-ti. Nel 2009 l’EBMT ha pubblicato il report sullapratica corrente di trapianto in Europa (5), com-prendente le nuove indicazioni in base agli studipubblicati e all’esperienza clinica (Tabella 2). Inqueste indicazioni si prendono in considerazio-ne il carcinoma della mammella, il tumore a cel-lule germinali, il carcinoma ovarico, il medullobla-stoma, il microcitoma, il carcinoma del rene, e i

sarcomi dei tessuti molli, con le relative raccoman-dazioni e i livelli di evidenza che le supportano.Abbiamo limitato la scelta espositiva, per motividi spazio e di interesse clinico, al carcinoma del-la mammella in fase adiuvante e ai tumori a cel-lule germinali.

Carcinoma della mammellaIl carcinoma della mammella è stato selezionatofin dagli anni ’80 come un bersaglio ideale per lachemioterapia ad alte dosi con trapianto autolo-go grazie alla sua chemiosensibilità. In particola-re, nella fase adiuvante di malattia, la terapia adalte dosi è apparsa in grado di eliminare effica-cemente le micrometastasi che danno origine allarecidiva di malattia. Studi iniziali di fase II di che-mioterapia ad alte dosi come terapia adiuvantenelle pazienti operate ad alto rischio di recidiva,

FIGURA 1 - La curva dose-risposta ai farma-ci antitumorali. Ascissa: dose del farmaco;ordinata: logaritmo del numero di cellulesopravviventi.

FIGURA 2 - Percentuale di pazienti del regi-stro EBMT sottoposti a trapianto autologo oallogenico con cellule staminali periferichenegli anni 1990-2004 (per gentile concessio-ne della Dottoressa Helen Baldomero, EBMTActivity Survey).

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71Terapie cellulari nei tumori solidi

cioè con un elevato numero di linfonodi ascella-ri coinvolti dalla malattia, hanno mostrato tassi disopravvivenza libera da recidiva e di sopravviven-za globale decisamente superiori, all’incirca del15%, rispetto a quelli della chemioterapia a dosiconvenzionali (6, 7). Sulla base di questi dati sono iniziati a livello mon-diale studi clinici prospettici randomizzati di faseIII, per dimostrare in modo inequivocabile la supe-riorità della nuova terapia rispetto a quella stan-dard. Tuttavia, in base ai risultati incoraggianti deglistudi iniziali, molte pazienti hanno iniziato a richie-dere la chemioterapia ad alte dosi al di fuori distudi clinici controllati. A metà degli anni ’90, le pazienti con carcinomadella mammella erano di gran lunga la popolazio-ne più numerosa sottoposta a trapianto autolo-go: più di 15.000 pazienti in tutto il mondo sonostate trattate con questa terapia al di fuori di stu-di clinici. Al congresso dell’American Society ofClinical Oncology (ASCO) del 1999, sono stati pre-sentati i risultati di tre studi clinici di fase III nelcarcinoma della mammella in fase adiuvante: duedi essi hanno mostrato che la terapia ad alte dosinon era più efficace della terapia standard (8, 9).Il terzo studio, favorevole alla terapia ad alte dosi,è stato successivamente discreditato dopo che

l’investigatore principale aveva ammesso di ave-re falsificato i dati (10).Questi fatti hanno scoraggiato gran parte deiCentri di trapianto dal proseguire l’attività nel car-cinoma della mammella, come dimostrano i datidell’EBMT dal 1999 in avanti; non hanno tuttaviachiarito in modo definitivo il ruolo, se esiste, deltrapianto autologo nella terapia del carcinomamammario. Questo per motivi intrinseci aglistessi studi clinici: gran parte di essi erano di pic-cole dimensioni, inadatti a mettere in evidenza unvantaggio di sopravvivenza a meno che questonon fosse superiore al 30%. Per questo motivo, a metà degli anni 2000, il SolidTumor Working Party dell’EBMT e l’MD AndersonCancer Center di Houston, hanno intrapreso unametanalisi basata sui dati individuali delle pazien-ti arruolate nei 15 studi randomizzati di fase III nelcarcinoma della mammella in fase adiuvante. Inquesti studi le pazienti sono state randomizzatead una chemioterapia ad alte dosi con supportodi trapianto autologo di progenitori ematopoieti-ci o ad una chemioterapia a dosi che non richie-dessero supporto ematopoietico (11). L’obiettivo principale dello studio era definire sela terapia ad alte dosi effettivamente non sia piùefficace della terapia standard. Rispondere a que-

FIGURA 3 - Numero di pazienti con carcinoma della mammella in fase adiuvante trattate con trapianto autologo in negli anni 1990-2009 (dati del registro EBMT).

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72 Seminari di Ematologia Oncologica

sto quesito è complesso perché la terapia ad altedosi non è una singola terapia: nei 15 studi ana-lizzati sono stati utilizzati 14 trattamenti diversi.Inoltre le terapie standard utilizzate come control-lo erano anch’esse estremamente variabili, da nes-suna terapia a terapie intensificate e/o con far-maci non utilizzati ad alte dosi. Il secondo obiet-tivo principale era definire se esistono sottogrup-pi di pazienti che possano beneficiare della tera-pia ad alte dosi come terapia adiuvante: il carci-noma della mammella presenta una grandevariabilità biologica e clinica, e dai vari studi sonostati suggeriti vantaggi della terapia ad alte dosiin vari sottogruppi, in particolare nelle pazienti ingiovane età e in quelle con tumore HER2-nega-tivo. Nessuno studio individuale è in grado di defi-nire un beneficio in un sottogruppo di pazienti, perle limitazioni intrinseche di numerosità del cam-pione e di bias legati allo studio dei sottogruppi.Gli endpoints valutati nella metanalisi sono stati:la sopravvivenza libera da recidiva (relapse-freesurvival, RFS) e la sopravvivenza globale (overallsurvival, OS) sulla popolazione totale e su sotto-gruppi definiti da: età, numero di linfonodi posi-tivi, dimensioni del tumore, istologia, stato recet-toriale, e stato di HER2/neu. Inoltre, data l’etero-geneità dei trattamenti e delle dosi impiegate, itrattamenti sono stati valutati in base alla inten-sità di dose settimanale e totale secondo il meto-do di Hryniuk (12).Dei 6.210 pazienti inclusi in questa analisi, 3.118sono stati randomizzati alla terapia ad alte dosie 3.092 alla terapia standard. I gruppi erano benbilanciati per le caratteristiche cliniche; purtrop-po molti dati relativi alla espressione di HER2 era-no mancanti dal momento che all’epoca (inizioanni ’90) non era stata ancora definita l’importan-za prognostica e predittiva di HER2 nel carcino-ma mammario. Il follow-up mediano è stato di 6anni; 3.082 (50%) delle pazienti sono andateincontro ad una recidiva di malattia e 2.468 (40%)sono decedute. Dei 15 studi valutati, in tre si èregistrato un vantaggio statisticamente significa-tivo in RFS, e solo in uno un vantaggio significa-tivo di OS. Nel complesso, la terapia ad alte dosiha mostrato un vantaggio non significativo del 6%di riduzione del rischio di mortalità (HR=0,94; 95%confidence interval [CI]: 0,87-1,02; P=0.13), ed unariduzione statisticamente significativa del 13% del

rischio di recidiva (HR=0,87; CI: 0,81-0,93;P=0,0001). Il fatto che il vantaggio nella RFS non si è tradot-to in un analogo vantaggio in sopravvivenza glo-bale può essere spiegato, almeno in parte, dal fat-to che le pazienti che recidivano dopo terapia adalte dosi avevano un aumento significativo delrischio di morte del 16% in confronto alle pazien-ti che recidivavano dopo la terapia standard. Ilcomputo della intensità di dose ha mostrato chead una intensità di dose maggiore corrispondevauna riduzione significativa sia di RFS che di OS.L’analisi dei sottogruppi non ha mostrato differen-ze significative di sopravvivenza eccetto nel sot-togruppo di pazienti con tumore HER2-negativo,nelle quali si è notato una riduzione statisticamen-te significativa del 21% nel rischio di morte; la man-canza dei dati relativi all’HER2 nella maggior par-te degli studi non ha permesso di definire ulterior-mente questo sottogruppo, in particolare quellodelle pazienti cosiddette triple negative (recettoriormonali negativi, HER2 negativo), per le quali nonvi sono attualmente terapie veramente efficaci. Perquanto riguarda i secondi tumori, non si è registra-to un eccesso di leucemie o di sindromi mielodi-splastiche secondarie nel braccio ad alte dosi (17contro 16 nel braccio a dosi standard). La mortalità iatrogena è stata chiaramente supe-riore nel braccio ad alte dosi (72 decessi corre-lati alla terapia contro 17 nel braccio standard),come prevedibile in base alle procedure e alle tera-pie dell’epoca (non fattori di crescita, impiego dimidollo osseo); escludendo le morti per terapia,la sopravvivenza globale sarebbe a favore dellaterapia ad alte dosi (hazard ratio 0,90; 95% CI:0,83-0,99; P=0,011).In conclusione, la metanalisi non dimostra un van-taggio di sopravvivenza nelle pazienti con carci-noma primario della mammella trattate con che-mioterapia ad alte dosi a scopo adiuvante, né unvantaggio in sottogruppi definiti da fattori clinicie/o biologici. È evidente che l’eterogeneità deglistudi e dei programmi terapeutici, l’accettabilitàgenerale della terapia da parte degli oncologi edelle pazienti, oltre che le dimensioni degli studistessi, non rendono possibile ulteriori studi clini-ci di fase III: rimane pertanto il dubbio che si siatrattato di una occasione sprecata, e non più ripe-tibile in era di terapie a bersaglio molecolare.

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73Terapie cellulari nei tumori solidi

Tumori a cellule germinaliI tumori a cellule germinali (germ cell tumors, GCT)rappresentano i tumori più frequenti tra gli ado-lescenti e i giovani adulti. La malattia in fase ini-ziale è pressoché sempre guaribile con la tera-pia locale e una breve terapia sistemica. Se lamalattia è avanzata, circa il 30% dei pazienti avràuna recidiva dopo la terapia di prima linea, e cir-ca il 20% morirà di malattia. La terapia standardper i GCT è la polichemioterapia secondo sche-ma BEP (bleomicina, etoposide e cisplatino) perquattro cicli; gli studi nei pazienti con malattiaavanzata si sono concentrati sulla definizione dialto rischio e sul tentativo di intensificare la tera-pia nei sottogruppi a prognosi peggiore, o dimigliorare la prognosi con una terapia di salva-taggio efficace. In entrambi i casi, vista l’alta che-miosensibilità della malattia, la giovane età deipazienti e il non coinvolgimento del midollo osseo,la chemioterapia ad alte dosi con trapianto auto-logo è parte dell’armamentario terapeutico neiGCT. La prima dimostrazione che la chemiotera-pia ad alte dosi è in grado di superare la resisten-za al cisplatino venne da un studio di fase I-IIdell’Indiana University (12). Nonostante la pregres-sa chemioterapia e l’alta mortalità correlata al tra-pianto (21%), il 24% dei pazienti trattati ottenneuna remissione completa (RC) duratura, stabilen-do così la prova di principio che la chemiotera-pia ad alte dosi è potenzialmente efficace nellerecidive di GCT. Numerosi studi successivi, qua-si tutti basati sulla combinazione di etoposide adalte dosi e carboplatino, con o senza ifosfamide,hanno riportato tassi di remissione tra il 40 e il60% con un generale miglioramento della mor-talità (1-3%) grazie al miglioramento delle terapiedi supporto. Alcuni gruppi hanno anche definitodei fattori prognostici di successo della terapia adalte dosi: in uno dei più numerosi, Beyer et al. (13)hanno studiato retrospettivamente 310 pazientitrattati in 4 centri in Europa definendo cinque fat-tori associati con prognosi sfavorevole (localizza-zione mediastinica, malattia non responsiva alcisplatino, refrattarietà al cisplatino, malattia in pro-gressione al momento del trapianto, HCG >1000mU/mL). Recentemente Einhorn et al. (14) hanno descrit-to 184 pazienti a prognosi sfavorevole trattati pres-so l’Indiana University in terza linea con carbo-

platino-etoposide ad alte dosi seguiti da trapian-to autologo, ottenendo un significativo 63% diremissioni a lungo termine. Nel tentativo di definire in modo inequivocabile laterapia ad alte dosi come lo standard di cura nel-la recidiva dei GCT, il Groupe d’Etude desTumeures Uro-Genital (GETUG) e l’EBMT hannoorganizzato uno studio randomizzato (IT94) in cui280 pazienti in progressione dopo una terapia diprima linea a dosi convenzionali sono stati ran-domizzati a ricevere una terapia di salvataggio adosi standard (VIP o VelP per 4 cicli) o la stessaterapia per 3 cicli seguita da un singolo ciclo diterapia ad alte dosi con carboplatino, etoposidee ciclofosfamide (carboPEC) (15). Non vi è statoalcun vantaggio per la terapia ad alte dosi: tutta-via, molti ritengono che un singolo ciclo di tera-pia ad alte dosi sia insufficiente per conferire unvantaggio di sopravvivenza. A questo proposito,il German Testicular Cancer Study Group ha ten-tato di verificare se cicli sequenziali di chemiote-rapia ad alte dosi fossero più efficaci di un sin-golo ciclo, ma ha dovuto interrompere prematu-ramente lo studio per tossicità inaccettabile nelbraccio a ciclo singolo (16). Un gruppo di lavoro internazionale, chiamatoIGCCCG-2, ha recentemente definito dei criteriprognostici uniformi per pazienti che recidivanodopo terapia di prima linea, analizzando i dati dicirca 2.000 pazienti trattati in 38 Centri in Europa,Usa e Canada. I sette fattori prognostici identifi-cati (istologia, sito iniziale del tumore, risposta allachemioterapia di prima linea, durata della progres-sion free survival (PFS), valori di AFP e HCG allarecidiva, e presenza di metastasi a fegato, ossae SNC) permettono di identificare 5 sottogruppia diversa prognosi e pertanto di stratificare ipazienti per futuri studi di confronto tra chemio-terapia standard e chemio ad alte dosi (17).La chemioterapia ad alte dosi con trapianto auto-logo è pertanto un trattamento utilizzato frequen-temente nella recidiva del GCT, come dimostra ilnumero di trapianti annuali - circa 400 - registra-ti nel database dell’EBMT (Figura 4). Tuttavia nonè stato ancora dimostrato in modo inequivoca-bile, cioè con uno studio prospettico randomiz-zato controllato, la superiorità della terapia ad altedosi rispetto a quella convenzionale in questasituazione di malattia.

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Per questo un gruppo internazionale sta organiz-zando uno studio clinico prospettico (studioTIGER: Randomized Phase III Trial of InitialSalvage Chemotherapy for Patients with Germ CellTumors) che coinvolgerà 334 pazienti con GCTrecidivato dopo una adeguata terapia di prima linea(almeno tre e non più di sei cicli di chemioterapiacomprendenti cisplatino). Questi pazienti sarannostratificati in base all’indice prognostico IGCCCG-2 e verranno randomizzati a terapia a dosi con-venzionali secondo schema TIP (paclitaxel, ifosfa-mide, cisplatino) per 4 cicli o a programma TI-CE(due cicli di TIP seguiti da tre cicli sequenziali diCE - carboplatino ed etoposide ad alte dosi) contrapianto autologo. L’endpoint principale dello stu-dio è la sopravvivenza libera da progressione a dueanni. Questo studio verosimilmente fornirà le infor-mazioni definitive sul valore della terapia ad altedosi come salvataggio nei GCT.

n TRAPIANTO ALLOGENICO

Il trapianto allogenico di cellule ematopoietiche dadonatore familiare HLA-compatibile è una terapiaconsolidata per malattie ematologiche maligne ad

alto rischio o in recidiva (18). Ha come obiettivol’eradicazione della malattia con due vantaggirispetto al trapianto autologo, l’infusione cioè dicellule libere da leucemia e l’effetto di graft-ver-sus-tumor (GVT) mediato dai linfociti del donatore.Il primo lavoro relativo ad un trapianto allogeni-co in un tumore solido è stato pubblicato nel 1996(19). Da allora, numerosi studi clinici con casisti-che piccole sono stati pubblicati negli anni 90, edè cresciuto l’interesse all’impiego dell’effettoGVT dopo trapianto allogenico in tumori solidi, inparticolare nel carcinoma del rene e della mam-mella (20-26). Per evitare l’elevata tossicità e mor-talità trapianto-correlata associata all’impiego diregimi di condizionamento mieloablativi, sono sta-ti sviluppati programmi di condizionamento non-mieloablativi, o a ridotta intensità, con o senza l’im-piego di infusione di linfociti dal donatore (donorlymphocyte infusion, DLI) (27-30) (Figura 5).Risposte cliniche suggestive di un effetto GVTsono state riscontrate in vari tumori, e ad oggi piùdi 1000 pazienti con tumori avanzati o refrattarisono stati sottoposti a trapianto allogenico in cen-tri europei.Diversi dati forniscono l’evidenza indiretta di uneffetto GVT dopo trapianto allogenico in malattie

FIGURA 4 - Numero di pazienti con GCT trattati con trapianto autologo negli anni 2000-2010 (dati del registro EBMT).

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ematologiche maligne: i pazienti con graft-versus-host disease (GVHD) hanno una probabilità mino-re di recidiva in confronto ai pazienti senza GVHD;il rischio di recidiva è maggiore nei pazienti chericevono un trapianto depletato di cellule T; ipazienti che ricevono un trapianto allogenico han-no un rischio di recidiva minore dei pazienti trat-tati con il trapianto autologo. L’evidenza diretta cheesiste un effetto GVT contro la leucemia è venu-ta dalla osservazione che l’infusione di linfociti deldonatore (DLI) può indurre la remissione inpazienti con leucemia recidivata dopo trapiantoallogenico senza ulteriore terapia citotossica (31-33). Un effetto GVT mediato da splenociti allogenicinon compatibili per antigeni del complesso mag-giore di istocompatibilità (MHC) è stato documen-tato da Slavin et al. in un modello murino di car-cinoma mammario in topo BALB/c (34, 35). Inseguito gli stessi Autori hanno esaminato l’effet-to del trapianto MHC-compatibile con disparitànegli antigeni minori di istocompatibilità, dimo-strando che le cellule del donatore sensibilizza-te o con il tumore o con splenociti normali diver-si per antigeni minori erano in grado di mediareun effetto antitumorale significativo in topi inocu-lati con minime dosi di cellule di carcinoma mam-mario (36). In base a questi dati preclinici e alle osservazio-ni di risposte cliniche in pazienti trapiantati, sonostati effettuati studi per cercare di identificare gli

antigeni bersaglio dell’effetto GVT, mediantel’isolamento di linfociti T citotossici in grado di lisa-re cellule del tumore da pazienti con GVHD. I risul-tati dimostrano che una classe di antigeni pepti-dici denominati antigeni minori di istocompatibi-lità (mHags) sono derivati da proteine cellulari evengono presentati ai linfociti T nell’ambito dellemolecole del complesso maggiore di istocompa-tibilità (MHC). Molti mHags sono espressi da cel-lule ematopoietiche normali (es. progenitori, lin-fociti B e T, monociti), cellule epiteliali (cheratino-citi, fibroblasti, epiteli dell’intestino e del fegato),e da cellule ematopoietiche maligne. Alcuni di essihanno una espressione ristretta a tessuti speci-fici, e sono pertanto buoni candidati a fungere dabersaglio della GVT senza GVHD. Il gruppo diLeiden (37) ha descritto un mHag denominato HA-1, che è espresso da cellule della linea ematopo-ietica; l’emergenza di linfociti T citotossici (CTL)HA-1 specifici dopo trapianto allogenico hacoinciso con la remissione di leucemia mieloidecronica e di mieloma multiplo. Questo stesso antigene mostra espressioneectopica in cellule di tumori solidi, e CTL speci-fici per HA-1 sono in grado di eliminare linee cel-lulari di tumore in vitro (38). Inoltre CTL specificiper HA-1 ed altri antigeni minori (HA-3, HA-8),sono stati isolati dal sangue di pazienti con car-cinoma renale in risposta clinica dopo trapiantoallogenico (39). Pertanto, i mHags possono ave-re un ruolo importante nella risposta GVT. Neltumore renale, il più studiato ad oggi, altri anti-geni putativi tumore-associati sono stati descrit-ti (es. G250/carboanidrasi IX) (40, 41). Del tuttorecentemente, il gruppo di R. Childs all’NIH ha iso-lato, dal sangue di pazienti con carcinoma rena-le dopo allotrapianto, CTL CD8+ di origine daldonatore. Utilizzando la stessa strategia descrit-ta dal gruppo di Seattle (39), ha identificato un epi-topo peptidico ristretto in HLA-A11 come antige-ne bersaglio di CTL specifici per il tumore rena-le (42). I geni che codificano per questo antige-ne sono derivati da un retrovirus umano endoge-no (HERV) di tipo E, e sono espressi in linee ditumore renale e in tumori primari, ma non in tes-suto renale normale o in altri tessuti. Il retrovirusHERV-E risulta essere attivato nel carcinoma rena-le, con conseguente iperespressione dell’antige-ne riconosciuto dai CTL, e regolato dalla protei-

FIGURA 5 - Schema di trapianto allogenico con programma dicondizionamento non mieloablativo. D: donatore; H: ricevente.

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na Von Hippel Lindau (VHL) (R. Childs, comuni-cazione personale, 2011). In uno studio Morita etal. (43) hanno monitorato la frequenza di CTL cir-colanti reattivi con un noto antigene tumore-asso-ciato, la proteina codificata dal gene Wilms tumor1 (WT1), nel sangue periferico di due pazienti concarcinoma renale dopo trapianto allogenico. Gliautori hanno riscontrato livelli significativi di CTLanti-WT1, e una correlazione positiva tra frequen-za di tali CTL e risposta clinica al tumore.L’impiego del trapianto allogenico è limitato dal-la elevata mortalità correlata al trapianto (tran-splant-related mortality, TRM). La tossicità del pro-gramma di condizionamento, cioè la radioterapiae/o la chemioterapia somministrati prima del tra-pianto per indurre remissione della malattia e perottenere l’attecchimento, gioca un ruolo crucialenella genesi della maggior parte delle complican-ze legate al trapianto. La sua intensità è critica neldeterminare tossicità d’organo e danno alle bar-riere mucose, ed entrambi questi effetti sono cor-relate ad una aumentata incidenza di GVHD acu-ta. Questa a sua volta gioca un ruolo importan-te nella TRM: la sua incidenza in pazienti di etàsuperiore ai 45 anni dopo trapianto allogenico concondizionamento ad intensità standard è intornoal 50-60% (44). I pazienti con tumori solidi sonofrequentemente di età avanzata e sono stati sot-toposti a varie linee terapeutiche, un altro fatto-re di rischio per la TRM. In effetti, l’esperienza iniziale di trapianto alloge-nico in tumori solidi con programmi di condizio-namento mieloablativi ha evidenziato una altaTRM, nel range del 30%. Negli anni ‘90 tuttavianuovi regimi di condizionamento cosiddetti non-mieloablativi o a ridotta intensità sono stati spe-rimentati in Europa e in USA (Bethesda; Houston;Gerusalemme; Seattle/Lipsia) (27-30). La remis-sione della malattia utilizzando programmi nonmieloablativi non si basa sull’effetto citoriduttivodei farmaci somministrati pre-trapianto, ma piut-tosto sull’effetto immunologico del trapiantostesso. A questo scopo vengono utilizzati diver-si farmaci: la fludarabina a dosaggi da 75 mg a200 mg/mq, associata a irradiazione corporeatotale a basse dosi (2 Gy) o a farmaci alchilanti(ciclofosfamide, busulfan, thiothepa), e/o ad altripotenti immunosoppressori (immunoglobulineanti cellule T o anticorpi monoclonali). Queste

diverse combinazioni offrono la possibilità dimodulare l’intensità della immunosoppressione edella mieloablazione. Quindi il condizionamento non-mieloablativo pri-ma del trapianto allogenico per pazienti con tumo-ri solidi può ottenere attecchimento mieloide e lin-foide completo, attività antitumorale, e una net-ta riduzione della TRM.

Carcinoma renaleIl carcinoma renale (renal cell carcinoma, RCC) èfrequentemente diagnosticato in pazienti anziani(>65 anni), e in un terzo dei casi si presenta giàmetastatico alla diagnosi. La prognosi del RCCmetastatico (mRCC) è grave, con una sopravvi-venza mediana di 7-15 mesi per i pazienti ad altorischio, e una sopravvivenza a 5 anni inferiore al5% (45). Il tipo istologico predominante è quelloa cellule chiare, che comprende più dell’85% deicasi di mRCC. I casi rimanenti includono l’isto-logia papillare e quella cromofoba. La chemiote-rapia citotossica e l’ormonoterapia non hannodimostrato efficacia. Fino a pochi anni fa, l’unicotrattamento efficace, nell’istologia a cellule chia-re, è la terapia con citochine (interferone-alfa (IFN-alfa) o interleukina-2 (IL-2). Lo studio della biolo-gia del mRCC ha identificato l’attivazione del geneHIF-1 alfa dovuta alla mutazione del gene VHLcome una via metabolica critica nella tumorige-nesi, così come l’attivazione delle vie diEGF/RAS/RAF/MAP e di AKT/PI3K/mTOR. L’inibizione di tali vie metaboliche si è dimostra-ta efficace nel controllare la malattia e nell’indur-re prolungamento della sopravvivenza libera daprogressione e, in alcuni casi, della sopravviven-za globale (vedi sotto).Dopo la pubblicazione del primo studio di trapian-to allogenico nel mRCC da parte di Childs et al.(21), si è verificato un incremento nel numero ditrapianti allogenici per carcinoma renale in USAe in Europa (Figura 6). Nel giro di pochi anni, tut-tavia, e nonostante l’evidenza in alcuni studi di uneffetto antitumorale del trapianto (Tabella 1), ilnumero di trapianti è diminuito drasticamente:questo fenomeno è dovuto principalmente all’in-troduzione in clinica di nuovi farmaci (“a bersa-glio molecolare”), che hanno costituito per ilmRCC quello che l’imatinib è stato per la leuce-mia mieloide cronica. Vale la pena rivedere ana-

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FIGURA 6 - Numero di pazienti con carcinoma renale metastatico trattati con trapianto allogenico negli anni 2000-2010 (dati delregistro EBMT).

TABELLA 1 - Raccomandazioni EBMT per il trapianto nei pazienti adulti, 2009. S: standard of care; CO: clinical option; D: developmental; GNR: generally not recommended.

Tipologia di trapianto Allogenico Autologo

Malattia Stato di Donatore Non-familiare Non-familiare malattia familiare identico non identico,

HLA-id o familiare non identico

Carcinoma Adiuvante GNR/III GNR/III GNR/III CO/Imammella alto rischioCarcinoma Metastatico D/II D/II GNR/III D/CO/IImammella responsivoTumori a Recidiva GNR/III GNR/III GNR/III CO/IIcellule germinali responsivaTumori a cellule Terza linea GNR/III GNR/III GNR/III S/Igerminali refrattarioCarcinoma ovarico RC/RP GNR/III GNR/III GNR/III D/ICarcinoma ovarico Recidiva GNR/III GNR/III GNR/III GNR/III

platino-sensibileMedulloblastoma Dopo chirurgia GNR/III GNR/III GNR/III D/CO/IIIMicrocitoma Limitata GNR/III GNR/III GNR/III D/IRCC Metastatico, CO/II CO/II GNR/III GNR/III

refrattario alle citochine

Sarcomi Metastatico GNR/III GNR/III GNR/III D/IItessuti molli responsivo

Livelli di evidenza:I Evidence from at least one well-executed randomized trialII Evidence from at least one well-designed clinical trial without randomization; cohort or case-controlled analytic studies (preferably from more than one

center); multiple time-series studies; or dramatic results from uncontrolled experimentsIII Evidence from opinions of respected authorities based on clinical experience, descriptive studies, or reports from expert committees.

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liticamente i dati dopo dieci anni di esperienza ditrapianto.Nello studio di Childs et al. (21), 19 pazienti cheerano recidivati o resistenti all’immunoterapia conIL2 e/o IFN-alfa hanno ricevuto un trapianto allo-genico da un donatore familiare HLA-identicodopo un programma a ridotta intensità con ciclo-fosfamide e fludarabina. Il tasso di risposte com-plete più parziali in questo studio è stato del 53%.Childs et al. (42) hanno in seguito aggiornato que-sti dati: sono stati trapiantati in totale 74 pazien-ti con una mediana di due siti metastatici. La pro-filassi della GVHD è stata effettuata con sola ciclo-sporina A nella coorte iniziale, e in combinazio-ne con micofenolato mofetil (MMF) o mini-dosemethotrexate (MTX) nelle coorti successive. Lerisposte tumorali, spesso precedute da progres-sioni, sono state tardive (130-160 giorni dopo iltrapianto), e in alcuni casi durevoli. Globalmente,un attecchimento completo e duraturo si è otte-nuto in 74/75 pazienti. Una GVHD acuta e croni-ca si è verificata in circa il 50% dei pazienti.Decessi da TRM sono avvenuti nell’8% dei casi,metà dei quali correlati alla GVHD. In totale, nel38% dei pazienti si è riscontrata una risposta cli-nico/radiologica (27% RP, 9% RC) ad una media-na di 160 giorni post-trapianto (range 30-425).Alcuni fattori prognostici erano associati alla rispo-sta, in particolare un numero limitato di siti meta-statici, sole metastasi polmonari, istologia a cel-

lule chiare e lenta progressione di malattia pre-trapianto. Le metastasi epatiche erano un fatto-re prognostico negativo (tasso di risposte 11%),mentre le metastasi polmonari erano un fattoreprognostico favorevole (risposte nel 55% dei casi).Non si sono osservate risposte in tumori ad isto-logia non a cellule chiare. Altri studi hanno con-fermato questi risultati (22, 24).Nel 2004, Artz et al. (46) hanno rivisto la lettera-tura e l’esperienza di Chicago: di 163 pazienti valu-tabili riportati in 14 studi, 7 e 32 pazienti hannopresentato una risposta completa o parziale,rispettivamente, per un tasso di risposte del 24%.Altri studi con diversi programmi di condiziona-mento e varie modalità di profilassi della GVHDsono stati pubblicati (Tabella 2): molti di essi sonopiccoli (meno di 10 pazienti), ed alcuni documen-tano un effetto GVT, anche se con tassi di rispo-ste molto variabili (8-57%). Da notare l’assenzadi risposte in due studi [Pedrazzoli et al. (47) e Riniet al. (46)], in cui la mortalità da progressione dimalattia si è verificata precocemente a 3 e 5.5mesi, rispettivamente. Sebbene eterogenei, alcu-ne caratteristiche comuni in questi studi sono indi-viduabili;a) le risposte del tumore sono:- tardive (a volte dopo 4-6 mesi dal trapianto);- frequentemente precedute da progressione;- associate con la conversione da chimerismo

misto a chimerismo completo;

TABELLA 2 - Studi pubblicati di trapianto allogenico nel carcinoma renale metastatico.

Autore (anno) Pazienti (n) Programma di % TRM Tasso di condizionamento risposte (%)

Childs (2000) (21) 19 Flu+Cy 12 53Bregni (2002) (22) 7 Thio+Flu+Cy 14 57Pedrazzoli (2002) (47) 7 Flu+Cy 29 0Rini (2002) (48) 12 Flu+Cy 33 33Ueno (2003) (24) 15 Flu+Mel 22 47Hentschke (2003) (49) 10 Flu+TBI 30 30Baron (2003) (50) 7 Flu+TBI 0 14Blaise (2004) (25) 25 ATG+Bu+Flu 9 8Nagakawa (2004) (51) 9 ATG+Bu+Flu 0 11Massenkeil (2004) (52) 7 ATG+Flu+Cy 14 29Tykodi (2004) (39) 8 Flu+TBI 0 13Rini (2006) (53) 22 Flu+Cy 9 0Peres (2007) (54) 16 Flu±Cy±TBI 12 31Ishiyama (2009) (55) 7 Flu+Cy±TBI 14 71

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- talora avvengono in seguito alla somministra-zione di interferone o DLI;

- avvengono solo nei tumori a cellule chiare e nonin altre istologie;

- più frequenti in pazienti oligometastatici, conmetastasi ad esclusiva localizzazione polmo-nare, e malattia a lenta progressione;

b) la TRM in questi studi iniziali è stata di 0-33%,e chiaramente correlata al performance status pre-trapianto.Nel 2006, Barkholt et al. (56) hanno riassuntol’esperienza europea di trapianto allogenico nelmRCC tra il 1999 e il 2003, con un follow-upmediano di 15 mesi (range 3-41). Sono stati ana-lizzati 124 pazienti da 21 centri, di età mediana52 anni (range 18-68). Nella maggioranza dei casila malattia era a cellule chiare (N=111; 90%) edin progressione al momento del trapianto (N=108;87%). Tutti i pazienti sono stati trattati con un pro-gramma di condizionamento a intensità ridotta,e tutti hanno ricevuto un trapianto allogenico dicellule staminali periferiche, nella massima parteda un donatore familiare HLA-identico (n=106;84%). La profilassi della GVHD ha impiegato laciclosporina A, con o senza altri farmaci. Tutti ipazienti, eccetto tre, hanno attecchito. L’incidenzacumulativa di GVHD acuta di grado ≥2 e di GVHDcronica è stata rispettivamente del 40% e del33%. La TRM ad un anno è stata pari al 16%(95% CI: 5,4-23,6%). Infusioni di DLI sono stateutilizzate in 42 pazienti, principalmente per pro-gressione/recidiva di malattia. Risposte comple-te e parziali sono state documentate in 4 e 24pazienti rispettivamente, per un tasso cumulati-vo di risposte del 32% (95% CI, 18-46%). Lasopravvivenza globale era associata con malat-tia oligometastatica (HR 2,61, p=0,002) e buonKarnofsky performance status (HR 2,33, p=0,03).Nonostante gli evidenti bias di selezione di que-sti pazienti, è interessante notare che i pazientiche hanno presentato GVHD cronica e hanno rice-vuto DLI (n=16) hanno avuto una sopravvivenzaa 2 anni del 70%. Questo studio retrospettivo,sebbene eterogeneo nella selezione dei pazientie nel trattamento, sembra confermare I dati pro-spettici di Childs et al. (21).Nel tentativo di identificare in modo prospetticoi pazienti che possano beneficiare al meglio deltrapianto allogenico, Peccatori et al. (57), da par-

te del STWP dell’EBMT, hanno esaminato le carat-teristiche pre-trapianto di 70 pazienti che hannoricevuto un trapianto allogenico per mRCC in varicentri Europei. In analisi multivariata il performan-ce status, la PCR e l’LDH erano in grado di stra-tificare i pazienti in due gruppi con sopravviven-za mediana molto diversa (3.5 mesi per i pazien-ti a cattiva prognosi, e 23 mesi per quelli a buo-na prognosi). Gli autori concludono che questiparametri clinici facilmente disponibili possonoidentificare i pazienti candidati all’allotrapianto, eassistere nella scelta del trattamento più appro-priato. Il gruppo dell’Istituto Paoli Calmette ha trattato unacoorte omogenea di 32 pazienti di età mediana45 anni (range: 17-61), che hanno ricevuto il mede-simo programma di condizionamento [fludarabi-na (150 mg/mq), busulfano (8 mg/kg), e thymo-globulin (2,5 mg/kg) o TLI (1Cgy)] da un donato-re familiare HLA-identico (BM: 9%; PBSC: 91%)seguito da ciclosporina come profilassi della GVHD(25). I pazienti avevano tutti ricevuto una terapiacon citochine, e una mediana di due ulteriori lineeterapeutiche pre-trapianto. Al momento del trapian-to tutti i pazienti avevano malattia misurabile conuna mediana di due (range 1-4) siti metastatici (pol-mone: 87%; osso: 41%; fegato: 12% e linfonodi:28%): secondo i criteri RECIST, 21 pazienti (66%)erano in progressione (PD) e 11 pazienti (34%) ave-vano una malattia stabile o rispondente (10malattia stabile (MS), 1 remissione parziale (RP)).Due dei 32 pazienti sono deceduti per TRM (6%).Quattro pazienti hanno riportato un RP tra i gior-ni +90 e +180, e un paziente ha ottenuto una rispo-sta completa (RC) al giorno +270, per un tasso glo-bale di risposte del 16%. Durante il follow-up, 27pazienti sono deceduti di progressione di malat-tia, con una sopravvivenza globale a due anni del21% (range 11-39). Dividendo i pazienti in baseallo stato di malattia pre-trapianto, si è verificatoche tutti i pazienti con malattia in progressione nonhanno risposto al trapianto, mentre i pazienti conmalattia stabile o in risposta hanno riportato un36% di risposte con 5 pazienti sopravviventi piùdi due anni, e 3 pazienti oltre i tre anni. Questo stu-dio conferma la bassa TRM da condizionamentonon mieloablativo nel mRCC, e l’importanza del-la selezione dei pazienti in base allo stato di malat-tia pre-trapianto.

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Recentemente il gruppo di Milano (58) ha pub-blicato il follow-up a lungo termine dei propripazienti con mRCC sottoposti a trapianto alloge-nico: 25 pazienti hanno ricevuto un trapianto dadonatore familiare HLA-identico dopo un program-ma di condizionamento non mieloablativo conthiotepa, fludarabina e ciclofosfamide, e una pro-filassi della GVHD con ciclosporina e MTX. Lasopravvivenza a un anno è stata del 48%, e del20% a cinque anni. Ad una mediana di osserva-zione di 65 mesi cinque pazienti sono vivi, uno inRC, uno in remissione parziale (RP) e tre conmalattia stabile. La sopravvivenza dei pazienti tra-piantati a rischio favorevole o intermedio secon-do lo score del MSKCC (45) era decisamentemigliore rispetto a quella predetta dai controlli sto-rici. Gli autori concludevano che il trapianto allo-genico è in grado di indurre la sopravvivenza alungo termine di una sottopopolazione di pazien-ti con mRCC refrattario alle citochine. Nel complesso, è ragionevole affermare che uneffetto GVT contro il tumore renale esiste, e cheil trapianto allogenico è fattibile ed è in grado dicontrollare la malattia in una frazione di pazienti,in particolare quelli in buone condizioni generalie con malattia non in progressione. Nuove acquisizioni sulla biologia del RCC sonostate rese possibili dal clonaggio del gene onco-soppressore VHL e dallo studio del suo ruolo nelregolare l’espressione di fattori di crescita asso-ciati con l’angiogenesi. Sia le forme sporadicheche quelle ereditarie di RCC sono associate conmutazioni del gene VHL, localizzato sul cromo-soma 3p (59). Il prodotto del gene VHL si situa inun complesso multiproteico che ubiquitina il fat-tore inducibile dall’ipossia 1-alfa (hypoxia-induci-ble factor 1 alpha, HIF-1). La funzione normale delcomplesso HIF-1 è di regolare l’espressione di varigeni determinanti la crescita e la sopravvivenzacellulare in risposta allo stress ipossico (60). Incondizioni normali, vale a dire con VHL non muta-to e normale tensione di ossigeno, HIF-1 è enzi-maticamente idrossilato, e successivamente ubi-quitinato dal complesso VHL e degradato dal pro-teasoma. In condizioni di ipossia, HIF-1 non èidrossilato, e non si può legare ed essere ubiqui-tinato dal complesso VHL. L’inattivazione bialle-lica di VHL, come avviene nel RCC, previene allostesso modo la degradazione di HIF-1. Oltre ad

essere regolato dal complesso VHL, HIF-1 è rego-lato da fattori di crescita e molecole di adesione.Se un fattore di crescita si lega ad un recettoretirosino chinasico, la proteina di HIF-1 aumentaattraverso la via metabolica di PI3K/AKT/mamma-lian target of rapamycin (mTOR) e diRAS/RAF/MAPK. Una volta stabilizzato, HIF-1 tra-sloca nel nucleo, dove si combina con HIF-1 betacostitutivamente presente per formare il comples-so HIF-1, che è il fattore trascrizionalmente atti-vo. Il complesso HIF-1 si lega ad una serie dicofattori trascrizionali che attivano i geni induci-bili dall’ipossia, cioè il vascular endothelial growthfactor (VEGF), l’epidermal growth factor receptor(EGFR), il platelet-derived growth factor (PDGF),i trasportatori di glucosio (eg, GLUT-1), il transfor-ming growth factor alpha (TGF-alfa), e l’eritropo-ietina (61). Molte di queste proteine sono coinvol-te nell’angiogenesi, la sopravvivenza cellulare, laregolazione del pH e il metabolismo delle sostan-ze nutritive. Molti composti a bersaglio molecolare, che cioèinterferiscono con le vie metaboliche appenadescritte, sono stati introdotti in clinica: tra que-sti, anticorpi monoclonali che legano fattori di cre-scita dell’angiogenesi e piccole molecole che ini-biscono la porzione chinasica del recettore tiro-sino chinasico. Oggi sei farmaci a bersaglio molecolare - sora-fenib, sunitinib, temsirolimus, everolimus, beva-cizumab e pazopanib - hanno l’indicazione perla terapia del mRCC. I risultati degli studi ran-domizzati di fase III con sorafenib, sunitinib, etemsirolimus hanno mostrato un vantaggio diquesti ultimo rispetto alla terapia convenziona-le con interferone, e il bevacizumab in combi-nazione con interferone ha mostrato di raddop-piare la sopravvivenza libera da progressione inconfronto al solo interferone in uno studio ran-domizzato (62, 63).In dettaglio, sunitinib aumenta la PFS in confron-to all’IFN in pazienti con prognosi buona o inter-media da 20 a 25 mesi; in uno studio di follow-up, ha mostrato di aumentare anche la soprav-vivenza globale da 21,8 a 26,4 mesi (64, 65). Ilsorafenib aumenta la PFS, ma non l’overall sur-vival (OS), in pazienti pretrattata (66, 67); il tem-sirolimus aumenta la OS nel sottogruppo dipazienti con fattori prognostici sfavorevoli (68). Il

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pazopanib ha mostrato di incrementare la PFS inconfronto al placebo, e i dati di OS non sonoancora maturi (69). L’everolimus, un compostoorale derivato dal sirolimus, è efficace in secon-da linea in pazienti refrattari ad una prima tera-pia con inibitori delle tirosino-chinasi (70). In gene-rale, i pazienti arruolati in questi studi di fase IIIhanno caratteristiche diverse, e nessun confron-to diretto tra i vari farmaci citati permette di giu-dicarne la relativa efficacia e tollerabilità. Inoltrein queste popolazioni di pazienti sono sottorap-presentati gli anziani e i pazienti con comorbidi-tà, che rappresentano la maggioranza dei pazien-ti con mRCC.Nel complesso la terapia a bersaglio molecolarepuò essere somministrata per via orale, può esse-re sospesa se insorgono effetti collaterali, e nonrichiede le complesse terapie di supporto neces-sarie per il trapianto allogenico. In effetti, l’arruo-lamento di pazienti ai programmi di trapianto èconsiderevolmente diminuito dopo l’introduzionein clinica di questi farmaci. Tuttavia essi non sonoprivi di effetti collaterali, non sono attivi in una fra-zione di pazienti, e soprattutto la loro attività e pal-liativa, con insorgenza di resistenza nel giro di mesio anni dall’inizio della terapia. Esiste quindi la pos-sibilità di miglioramento nel trattamento del car-cinoma renale, e di combinare i nuovi farmaci conl’immunoterapia adottiva rappresentata dal tra-pianto allogenico.

Carcinoma della mammellaI risultati del trapianto allogenico con condiziona-mento non mieloablativo nel carcinoma dellamammella metastatico hanno dimostrato, dopole iniziali osservazioni di Ueno et al. (20), risposteattribuibili ad un effetto GVT nel 16-37% dei casi,con alcune risposte a lungo termine. La TRM èrisultata piuttosto elevata, nello 0-22% dei pazien-ti. Bishop et al. (26) hanno definito l’esistenza diuna GVT anti-carcinoma mammario utilizzando lin-fociti allogenici come terapia cellulare adottivadopo un condizionamento non mieloablativo e untrapianto allogenico depletato di cellule T da dona-tore familiare HLA-identico: regressioni del tumo-re attribuibili alle DLI si sono verificate in seipazienti, in due di essi dopo progressione dimalattia. Carella et al. (71) hanno utilizzato unachemioterapia ad alte dosi con trapianto autolo-

go prima del trapianto allogenico a ridotta inten-sità per ottenere una citoriduzione del tumore, eper ridurre la tossicità e la TRM del condiziona-mento a dosi mieloablative. Nella loro casisticanon si è verificata TRM nei primi 100 giorni post-trapianto; 5 pazienti hanno sviluppato GVHD acu-ta di grado II-III, e 6 pazienti GVHD cronica.Ueno et al. (72) hanno analizzato retrospettivamen-te la casistica di 66 trapianti allogenici nel carci-noma mammario di 15 Centri dell’EBMT e delCIBMTR. il follow-up mediano è stato 40 mesi(range 3-64). Il 59% delle pazienti ha ricevuto uncondizionamento mieloablativo e il 41% un pro-gramma a ridotta intensità. La TRM è stata infe-riore nei trapianti a ridotta intensità (7 contro 29%a 100 giorni, p<0,03). In 9 di 33 pazienti (27%) chehanno ricevuto una manipolazione immunitaria perpersistenza o progressione di malattia si è verifi-cato controllo del tumore, suggestivo di un effet-to GVT. La PFS a un anno è stata del 23% conil condizionamento mieloablativo e 8% con quel-lo a ridotta intensità (p<0,09). L’insorgenza diGVHD dopo condizionamento non mieloablativoha ridotto il rischio di recidiva o progressione (RR3,05; p<0,03), ancora suggerendo un effetto GVT.

Carcinoma ovaricoLa prognosi del carcinoma ovarico è miglioratanegli ultimi 30 anni grazie all’introduzione di nuo-vi farmaci quali i taxani, ma non si sono verifica-ti ulteriori significativi miglioramenti terapeutici. Iltumore ovarico è notoriamente sensibile all’incre-mento di dose della chemioterapia (73), ma anchein questo caso non si sono verificati incrementisignificativi della sopravvivenza (74). Nel 2002, Bayet al. (75) hanno riportato 5 pazienti trattati contrapianto allogenico per carcinoma ovarico refrat-tario: essi hanno osservato regressioni del tumo-re in quattro pazienti in corso di GVHD acuta ocronica. Recentemente Bay et al. (76) hanno rie-saminato la casistica dell’EBMT di trapianto allo-genico nel carcinoma ovario: questo studio retro-spettivo multicentrico comprendeva 30 pazientisottoposti a trapianto allogenico tra il 1995 e il2005. Prima del trapianto 8 pazienti erano in RCo in RP, 11 erano in malattia stabile, e 13 in pro-gressione. Una risposta obiettiva è stata osser-vata nel 50% (95% CI, 33-67) delle pazienti. Intre pazienti la risposta è seguita allo sviluppo di

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GVHD acuta. L’incidenza cumulativa di GVHDcronica è stata del 34% (95% CI, 18–50). La TRMè stata del 7 e del 20% a 100 giorni e a un anno,rispettivamente. Con un follow-upmediano di 74,5mesi (range 16-148), la PFS mediana è stata di6 mesi, e la sopravvivenza mediana di 10.4 mesi.L’insorgenza di GVHD cronica ha influito inmodo favorevole sulla OS (17.6 contro 6.5 mesi,p<0.042), ma non sulla PFS (12 contro 3,7 mesi,p<0,81). In conclusione, un effetto GVT è verosi-milmente presente nel carcinoma ovarico dopotrapianto allogenico, sebbene mascherato dallaprogressione di malattia. Rimane da definire la suarilevanza clinica.

Carcinoma del colon-rettoIl carcinoma del colon-retto metastatico è unamalattia incurabile se chirurgicamente non aggre-dibile. Le recenti acquisizioni nella chemioterapia,insieme con l’introduzione di anticorpi monoclona-li diretti contro il VEGF e il EGFR hanno migliora-to la prognosi globale della malattia, e la suasopravvivenza mediana (77, 78). Esistono eviden-ze indirette di un controllo immunitario sulla cre-scita del carcinoma del colon-retto (79): in effetti,uno dei maggiori bersagli dell’alloreattività è lamucosa del colon. Il gruppo del Karolinska Institutein Stoccolma ha trapiantato 6 pazienti con malat-tia avanzata, ottenendo 1 RC ed una risposta mista(80). Il gruppo di Candiolo ha recentemente pub-blicato i dati di 15 pazienti trapiantati con malattiaavanzata, ottenendo 1 PR e tre stabilità di malat-tia (81). In 6 pazienti con assetto HLA-A2 l’indu-zione di risposte specifiche all’antigene tumoreassociato CEA è stata determinata mediantepentameri: linfociti CD8+ sono stati identificati in3/3 pazienti in concomitanza con l’insorgenza diGVHD, ma non in 3 pazienti che non hanno svi-luppato una GVHD. Aglietta et al. (82) hanno recen-temente pubblicato una analisi retrospettiva del-l’esperienza EBMT di trapianto a ridotta intensitànel carcinoma del colon-retto metastatico: si trat-ta di una casistica di 39 pazienti trattati con diver-si programmi di condizionamento, la maggioran-za (31 pazienti, 80%) in progressione al momen-to del trapianto. Una GVHD acuta grado II-IV si èsviluppata in 14 pazienti (35%) e una cronica in 9(23%). La TRM è risultata limitata al 10%. I risul-tati sono stati: 1 RC, 7 RP, e 10 stabilità di malat-

tia, per un controllo di malattia totale del 46%. Iltrapianto allogenico risulta quindi una procedurafattibile, con risultati comparabili a quelli delle tera-pie convenzionali di terza linea.

Carcinoma rino-faringeoNegli ultimi 15 anni numerose esperienze hannodimostrato l’efficacia della terapia cellulare diret-ta contro gli antigeni del virus di Epstein Barr(EBV) nel controllo delle malattie linfoproliferati-ve EBV-correlate nel paziente immunocompro-messo (83, 84). L’impiego di tale strategia neitumori EBV-associati quali il linfoma di Hodgkine il carcinoma rino-faringeo (CRF) ha mostratoche, nonostante alcune difficoltà legate alla natu-ra degli antigeni bersaglio (85. 86) e l’effetto ini-bitorio del microambiente tumorale (87), è pos-sibile ottenere la regressione di tumori resisten-ti e voluminosi (88, 89). Appare quindi ragione-vole utilizzare una immunoterapia adottiva qua-le quella veicolata dal trapianto allogenico in que-sto ambito. Il CRF è un tumore endemico inEstremo Oriente, scarsamente chemio- e radio-sensibile. Essendo un tumore EBV-associato, lecellule esprimono le oncoproteine virali EBNA1,LMP1 e LMP2 che possono fungere da bersa-glio per i CTL. In uno studio di fase II, Toh et al.(90) hanno trattato 21 pazienti con CRF metasta-tico con un trapianto allogenico HLA-identicodopo un condizionamento immunosoppressivo(ciclofosfamide, irradiazione timica e timoglobu-line), ottenendo chimerismo stabile in quasi tut-ti i pazienti. Sette pazienti (33%) hanno ottenu-to una RP e 3 (14%) una stabilità di malattia.Quattro pazienti sono lungo-sopravviventi a344-550 giorni dal trapianto. Pur essendo unaesperienza iniziale, questo studio suggerisce chenei tumori virus-associati l’immunoterapia puòconferire un beneficio duraturo.

n TERAPIA LINFOABLATIVA E REINFUSIONE DI LINFOCITI AUTOLOGHI COME IMMUNOTERAPIA ADOTTIVA

La mielotossicità causata dalla chemioterapia adalte dosi si accompagna in modo consistentead una tossicità sul sistema immunitario.

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Questo effetto causa problemi infettivi al pazien-te sottoposto a trapianto autologo, ma puòessere utilizzata anche per un vantaggio tera-peutico: basti pensare alla terapia delle malat-tie autoimmuni, di cui si parla in un altro capi-tolo di questo numero.Gli effetti immunomodulanti della chemioterapiaad alte dosi con trapianto autologo possono esse-re utili anche in un altro assetto terapeutico, quel-lo dell’immunoterapia adottiva. SI intende conquesto termine l’isolamento di linfociti antigene-specifici, la loro espansione e attivazione ex-vivo,e la successiva reinfusione autologa nel pazien-te con tumore. Gli studi di immunoterapia adot-tiva hanno ricevuto un grande impulso dalla sco-perta che i tumori umani esprimono numerosi anti-geni tumore-associati e tumore-specifici (90), chepossono essere riconosciuti da linfociti autologhipresenti nel sangue periferico o nello stroma checirconda il tumore; questi linfociti possono esse-re isolati e espansi ex-vivo, e reinfusi al paziente.Questa procedura può potenzialmente evitaremolti dei meccanismi di resistenza e di evasioneimmunitaria che il tumore mette in atto quando ilpaziente viene sottoposto ad una immunoterapiaattiva (vaccinazione) (92). Tuttavia i primi studi cli-nici di reinfusione di linfociti immuni in pazienti conmelanoma metastatico non hanno prodotto risul-tati clinici di rilievo. Grazie all’impiego di modelli preclinici, si è rea-lizzato che la manipolazione del sistema immu-nitario del ricevente ha grande importanza nelmodulare la risposta ai linfociti reinfusi, a causadi diversi meccanismi ancora non del tutto com-presi: l’eliminazione dei linfociti T regolatoriCD4/CD25+, la creazione di spazio nel compar-timento linfocitario, e la disponibilità delle citochi-ne omeostatiche IL15 e IL7 (93). Questi principi,insieme con una procedura più efficiente di pro-duzione dei linfociti immuni (94), ha portato al dise-gno di studi di terapia linfocitaria adottiva prece-duta da un programma di chemioterapia linfoa-blativa in pazienti con melanoma metastatico(Figura 7). La chemioterapia consisteva in ciclo-fosfamide e fludarabina, una combinazione in gra-do di indurre mielotossicità transitoria e elimina-zione dei linfociti circolanti per circa una settima-na. Ad essa seguiva la somministrazione di altedosi di linfociti autologhi reattivi contro il tumore

espansi ex-vivo, con la concomitante sommini-strazione di IL2. Nel primo studio, questa strate-gia ha indotto risposte complete più parziali nel50% dei pazienti, anche in siti normalmente inac-cessibili come il sistema nervoso centrale (SNC),della durata mediana di circa un anno (95). A que-sto risultato notevole sono seguiti altri studi chehanno confermato il risultato iniziale su un nume-ro più esteso di pazienti (96). Da questi studi pilota è possibile individuare alcu-ni parametri che sono essenziali per la riuscita del-la terapia: alte dosi di linfociti espansi ex-vivo(mediana 6,3x10e10 CD3+); chemioterapia immu-nosoppressiva (ALC <50/mcL); persistenza e pro-liferazione dei linfociti in-vivo; IL-2 in-vivo doporeinfusione dei linfociti. Dai risultati degli studi pre-clinici si evince inoltre che la entità della linfoa-blazione è critica per la persistenza e la prolife-razione in vivo dei linfociti reinfusi: negli studi suc-cessivi viene quindi incrementata l’intensità del-la terapia pre-infusione aggiungendo 2 o 12 Gydi irradiazione corporea totale (TBI) e il trapiantoautologo di progenitori ematopoietici CD34+(97). Le risposte in 93 pazienti con melanomametastatico sembrano incrementare in funzionedell’intensità della terapia linfoablativa, raggiun-gendo il 70% nei pazienti trattati con TBI 12 Gy,in tutti i siti viscerali incluso il SNC.In conclusione l’immunoterapia adottiva con lin-fociti autologhi preceduti da terapia linfoablativasembra una terapia con grandi potenzialità,ancora in gran parte da esplorare.

FIGURA 7 - Schema di immunoterapia adottiva con reinfusio-ne di linfociti autologhi espansi ex-vivo dopo chemioterapia lin-foablativa.

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