anno 9 - numero 1 (82) - gennaio 2012 curia e pastorale per la … · 2015. 7. 1. · registrazione...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 9 - numero 1 (82) - Gennaio 2012

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Page 1: Anno 9 - numero 1 (82) - Gennaio 2012 Curia e pastorale per la … · 2015. 7. 1. · Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica

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22 GennaioGennaio20122012

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia

esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola maiin nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la

redazione Queste, insieme alla proprietà,si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di

pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni.

Articoli, fotografie ed altro materiale, anche senon pubblicati, non si restituiscono.

E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita

autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari,don Dario Vitali, mons. Franco Risi, mons. Franco Fagiolo,don Antonio Galati, mons. Paolo Picca, mons. Cesare Chialastri,Suore Apostoline Velletri, Suor Palmira e Comunità Figliedi Maria Ausiliatrice di Colleferro, don Claudio Sammartino,don Marco Nemesi, don Fernando De Mei, don DanieleValenzi, p. Vincenzo Molinaro, diac. Massimo Facchini,Francesco Cipollini, Ufficio Catechistico, diac. Franco Montellanico,Claudio Capretti, Sara Calì, Fabricio Cellucci, Pier GiorgioLiverani, Enrico Mattoccia, Piero Capozi, Antonio Venditti,Sara Gilotta, Francesco Canali,Mara Della Vecchia, RossanaFavale, Volontari Museo diocesano Velletri, Rubina Brugugnoli.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Giovani della Diocesi di Velletri - Segni

a Madrid, agosto 2011

- Gesù è la nostra Pace, + Vincenzo Apicella p. 3

- Educare i Giovani alla Giustizia e alla Pace,

S. Fioramonti p. 4

- “Se non le donne, chi può proteggere la vita?”Pier Giorgio Liverani p. 6

- Giornata per la Vita 5 febbraio 2012 “Giovani

aperti alla Vita”, Consiglio Permanente della C. E. I. p. 7

- La speranza di un 2012 come anno di

rinnovamento e di concordia,Sara Gilotta p. 8

- Il Culto della Beata Vergine Maria nella Chiesa,

Don Dario Vitali p. 9

- Osservare la Parola è condizione per mantenere

una vita pura, mons. Luigi Vari p. 10- Carissimo Isaia, Claudio Capretti p. 11

- Il Battesimo/ 3: Aspetti pastorali,don Antonio Galati p. 12

- Poveri di “diritti”, don Cesare Chialastri p.14

- VII Incontro mondiale delle famiglie, Milano 2012,p. Vincenzo Molinaro p. 16

- Due giorni per i cresimati all’Acero,Ufficio Catechistico p. 17

-Educare al rapporto tra evangelizzazione e

vocazione, mons. Franco Risi p. 18

- Il Perdono come prova decisiva,

Fabricio Cellucci p. 19- Per scegliere.... Il Matrimonio testimonianze,

Sr. Apostoline p. 20- Diaconato: La “Chiamata” al diaconato di Franco

Montellanico, diac. F. Montellanico p. 21

- In ricordo di un amico: Mons. Agostino De Angelis,

+ Vincenzo Apicella p. 22- 31 Gennaio: Festa di S. Giovanni Bosco. Colleferro,

la comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice in festa,

Suor Palmira e comunità p. 23- Dalla Comunità di Segni p. 24- Ritorno alla storia locale / 1,

don Claudio Sammartino p. 25- La Festa di S. Antonio Abate nella tradizione

gavignanese, F. Canali p. 25- Nel pensiero di San Bruno: La grande virtù

della speranza, don Daniele Valenzi p. 26- Lariano: Dopo un anno di malattia P. Mauro

Giacometti dell’O. M. D. torna alla casa del

Padre, P. Vincenzo Molinaro p. 27- Artena, paese di presepi, Sara Calì p. 28

- Orientamenti per la Musica e il Canto nella

Celebrazione del Matrimonio,

mons. Franco Fagiolo p. 29

- Tempus Fugit / 9: Gennaio, porta del nuovo anno, S. Fioramonti p. 30

- L’Oratorio, Enrico Mattoccia p. 31- Un visitatore d’eccezione a Segni: il prof. Mike Widener, bibliotecario della Yale University,

Piero Capozi p. 32- Completata l’edizione italiana di tutte le opere letterarie di Papa Innocanzo III,

S. Fioramonti p. 34- Al Museo Diocesano di Velletri: “L’Arte al costo di... un Caffè!” Un anno dopo...,

Volontari del museo p. 35- Collettiva “L’Arte è Salute”,

Rubina Brugugnoli p. 35- Scuola : Educazione ecologica,

Antonio Venditti p. 36- La Musica Ildegarda di Bigen,

Mara Della Vecchia p. 37- Piero della Francesca, Il Battesimo di Cristo, National Gallery, Londra

don Marco Nemesi p. 39- A. C. I. Presidenza Diocesana,

Rossana Favale p. 39

p. 38

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33GennaioGennaio20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

“Educare i giovani alla Giustizia e alla Pace”: è questo iltema scelto da Benedetto XVI per la celebrazione del-la 45ma Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2012.Forse nella sua mente e nel suo cuore sono rimaste le

immagini e i volti degli innumerevoli giovani incontrati a Madridl’estate scorsa, forse è un richiamo all’impegno che la Chiesaitaliana si è assunta in questo decennio di dedicare ogni sforzoall’educazione, forse è l’aggiornamento di un tema già enunciatoda Giovanni Paolo II in precedenti analoghe occasioni.Sta di fatto che, se la Pace è un dono che viene dall’alto, comecantano gli angeli nella notte del Natale del Signore (Lc.2,14),essa è anche il frutto di un cammino, spesso arduo e faticoso,che dobbiamo essere capaci di intraprendere e proseguire.D’altra parte, se lo stesso Gesù è la nostra Pace, come affer-ma s. Paolo (Ef.2,18), Egli lo è diventato “per mezzo della cro-ce, eliminando in se stesso l’inimicizia” (Ef.2,16) e creando inse stesso “un solo uomo nuovo” (Ef.2,15) ed annullando ogniseparazione. Iniziare l’anno nuovo senza chiedere di diventareuomini nuovi, a immagine di Gesù, significa voler restare nellavecchiaia di un mondo deturpato da vecchi odi e vecchi conflit-ti, nonostante i tappi di spumante e i fuochi d’artificio.Forse è un’altra delle sapienti intuizioni di questo Pontefice, anzia-no ma non vecchio, puntare sulle nuove generazioni per trova-re la strada giusta verso un mondo più pacifico e fraterno: in esseegli scorge l’attesa di un futuro migliore, l’entusiasmo e la spin-ta ideale, che possono offrire una nuova speranza al mondo. Manessuno “nasce imparato” e costruire la pace è un mestiere cheoccorre apprendere anche da parte dei giovani e richiede mae-stri e testimoni che sappiano insegnarlo.Ecco, allora, che il Messaggio del Papa è rivolto a tutti e riguar-da ognuno di noi, perché tutti siamo chiamati a diventare in Cristouomini nuovi. Particolarmente coinvolti sono quanti hanno respon-sabilità dirette e immediate in campo educativo, a cominciare daigenitori e dalle famiglie, per passare poi a tutte le componentiformative, alla scuola, agli operatori nei vari ambiti della vita reli-giosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunica-zione. A tutti costoro viene ricordato che “essere attenti al mon-do giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamenteun’opportunità, ma un dovere primario per la costruzione di unfuturo di giustizia e di pace” (n1), ma i giovani stessi sono chia-mati ad essere protagonisti della loro formazione, “anche i gio-vani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stes-si ciò che chiedono a coloro che li circondano” (n.2).Certo, i problemi e gli ostacoli oggi non mancano: la crisi dellafamiglia, l’esigenza di una formazione seria e profonda, la dis-occupazione, che in Italia riguarda quasi il 30 per cento dei gio-vani, la difficoltà di partecipazione effettiva alla costruzione di unasocietà più umana e solidale.Nell’anno passato il disagio giovanile si è manifestato aperta-mente in tante regioni del mondo, dalla Spagna agli Stati Uniti,senza dimenticare quello che è accaduto a Roma poco tempofa, segni di un fenomeno che non è possibile o, almeno, non èsaggio trascurare. L’invito del Papa è duplice: da una parte occor-re ripartire dalle domande fondamentali: “chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, unasete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso del-la vita – perché è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio…Perciò la prima educazione consiste nell’imparare ad avere unprofondo rispetto per ogni essere umano ed aiutare gli altri a rea-lizzare una vita conforme a questa altissima dignità” (n.3).Dalla consapevolezza di quello che siamo, cioè persone in rela-zione con Dio e con i fratelli, deriva anche l’autentica dimensione

della libertà, che è l’esatto contrario del porre se stessi comemisura di tutte le cose: “il retto uso della libertà è dunque cen-trale nella promozione della giustizia e della pace, che richie-dono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dalproprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pacee giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reci-proca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibili-tà del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che sifa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei con-fronti dei più deboli, come pura la disponibilità al sacrificio” (n.3).Dall’altra parte, siamo tutti invitati a “alzare gli occhi” verso l’al-to, verso il Signore, rimedio efficace contro ogni scoraggiamento,sorgente inesauribile di quella speranza incrollabile, che permettedi continuare a lottare con le armi invincibili dell’amore, senzacedere alla tentazione di soluzioni facili e, quindi, sempre false.“E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?” (n.6), quel-l’amore che abbiamo contemplato nell’umiltà del presepio, checi viene incontro nello sguardo di un Bambino, che è il criteriocon cui tutti siamo giudicati, perché da Lui proveniamo e versodi Lui inevitabilmente siamo tutti in cammino.

Buon anno Nuovo!

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44 GennaioGennaio20122012

Stanislao Fioramonti

IIl messaggio del papa per la XLV Giornata Mondiale della Pace,che sarà celebrata il 1° gennaio 2012, è dedicato in particolare aigiovani. “Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno?”, si

chiede il papa nel paragrafo introduttivo; e ricordando l’uomo di fedeche attende il Signore come le sentinelle l’aurora (Salmo 130), ci invi-ta a guardare al 2012 con lo stesso atteggiamento fiducioso.“E’ vero che nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazioneper la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’econo-mia, una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche”.Ma se questa è la notte che oscura il nostro tempo, la luce, la nuovasperanza al mondo non potrà venire che dai giovani, dal loro entusia-smo e dalla loro spinta ideale. Perciò il messaggio del papa si rivolgeanche ai genitori, alle famiglie e a tutte le componenti educative della

società, e ai responsabili della vita religiosa, sociale, politica, economica,culturale e della comunicazione; ascoltare e valorizzare il mondo gio-vanile è un dovere di tutta la società: tutti devono insegnare ai giovaniil valore positivo della vita e il desiderio di spenderla al servizio del Bene.I giovani del nostro tempo desiderano poter guardare con speranza fon-data verso il futuro e sono perciò preoccupati di ricevere una formazioneche li prepari ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia,a trovare un posto di lavoro stabile, a contribuire efficacemente al mon-do della politica, della cultura e dell’economia, per costruire una socie-tà più umana e solidale. Tutte le componenti della società devono porre attenzione alle doman-de giovanili; la Chiesa, da parte sua, incoraggia i giovani a ricercare laverità, a difendere il bene comune, a saper scorgere le “cose nuove”del mondo.

Riflettendo sui responsabili dell’educazione, il papa nota che il pro-cesso educativo è dato dall’incontro di due libertà, quella dell’adulto (edu-catore) e quella del giovane (discepolo); i primi in particolare devonoessere non semplici dispensatori di regole e informazioni, ma testimo-ni autentici, capaci di vivere il cammino che propongono. Tra i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustiziaBenedetto XVI cita in primis la famiglia, dove “i figli apprendono i valo-ri umani e cristiani per una convivenza costruttiva e pacifica e impara-no la solidarietà tra le generazioni, il rispetto delle regole, il perdono el’accoglienza dell’altro”. In un mondo dove la famiglia e la vita stessasono costantemente minacciate e spesso frammentate (per condizionidi lavoro non armonizzabili con gli impegni familiari, ritmi di vita frene-tici, migrazioni in cerca di un sostentamento, preoccupazioni per il futu-ro), il papa esorta i genitori a non perdersi d’animo, a esortare i figli conl’esempio della loro vita a porre la speranza anzitutto in Dio.

Dopo i genitori, l’appello è airesponsabili delle istituzionieducative, perché in ognimomento e circostanza vegli-no sul rispetto e la valorizza-zione della dignità di ognipersona, curino che ogni gio-vane possa scoprire e segui-re la propria vocazione, assi-curino le famiglie per un iter for-mativo non in contrasto con lacoscienza e i principi religiosidei figli. Ogni ambiente educativo,sostiene Benedetto XVI, sia unluogo di apertura al trascendentee agli altri, di dialogo, coesio-ne, ascolto, di valorizzazionedelle ricchezze interiori, dicostruzione di una società piùumana e fraterna.Ai responsabili politici il papachiede di aiutare concretamentele famiglie e le istituzioni edu-cative, di supportare adegua-tamente la maternità e lapaternità, di assicurare l’istru-zione a tutti, di permettere allefamiglie di scegliere liberamentele strutture educative preferi-te, di favorire il ricongiungimentodelle famiglie divise dallenecessità di sussistenza; infi-ne “offrano ai giovani un’immaginelimpida della politica, come veroservizio per il bene di tutti”.Al mondo dei media, per il suo

ruolo particolare nell’odierna società (“non solo informano, ma forma-no lo spirito dei destinatari e quindi possono dare un apporto notevoleall’educazione dei giovani”), il papa ricorda che l’educazione avvienemediante la comunicazione, che perciò influisce positivamente o nega-tivamente sulla formazione della persona.Infine l’appello va ai giovani stessi, che devono avere il coraggio di vive-re in prima persona quanto pretendono da coloro che li circondano, facen-do un uso consapevole della loro libertà; anch’essi sono responsabilidella propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace.Nel paragrafo Educare alla verità e alla libertà, papa Ratzinger citan-do S. Agostino (“Che cosa desidera l’uomo più fortemente della liber-tà?”) afferma che l’educazione riguarda la formazione integrale della per-sona, inclusa la dimensione morale e spirituale; ma per educare allaverità occorre prima di tutto conoscere la natura della persona umana,

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la quale “porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità, perchéè stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Imparare a riconoscere nell’uomo l’immagine del Creatore e dunque rispet-tare profondamente ogni essere umano è il fondamento della prima edu-cazione; allora non si può sacrificare la persona per raggiungere un beneparticolare, economico o sociale che sia. E ancora l’autentica libertà non

può essere l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio; l’uomo nonè l’assoluto, ma è un essere che vive in relazione con gli altri e con Dio;allontanarlo da Lui non porta mai all’autentica libertà. Ma la libertà puòessere fraintesa e usata male; il relativismo imperante nella nostra socie-tà e cultura è un grave ostacolo all’opera educativa perché, afferman-do che nulla è definitivo, ammette come unità di misura del mondo l’in-dividuo, con il suo egoismo e la separazione dall’altro e il dubbio sullabontà della vita stessa e dei rapporti che la costituiscono. Per esercitare la libertà dunque l’uomo deve andare oltre il relativismoe conoscere la verità su sé stesso e riguardo al bene e al male. Scopriràallora dentro di sé una legge che non si è dato, la legge morale natu-rale, che lo spinge a fare il bene e ad evitare il male e a responsabiliz-zarsi del bene o del male compiuto. E’questa legge che gli permette l’esercizio della libertà, esprime la digni-tà di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri e quindi dellaconvivenza giusta e pacifica fra le persone. Il retto uso della libertà èfondamentale per la giustizia e la pace.Educare alla giustizia è possibile considerando che il concetto di giu-stizia non va separato dalle sue radici trascendenti, specie oggi che ilvalore della persona è seriamente minacciato dalla tendenza di ricor-rere solo ai criteri della utilità e del profitto. Certe correnti della culturamoderna hanno alienato il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti,separandolo dalla carità e dalla solidarietà. E invece, “beati quelli chehanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6).Educare alla pace è possibile mediante la tutela dei beni delle perso-ne, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignitàdelle persone e dei popoli, la pratica della fratellanza. La pace infatti è frutto della giustizia ed effetto della carità, ma è anzi-tutto dono di Dio. Oltre che dono da ricevere, la pace è opera da costrui-re, mediante la compassione, la solidarietà, la collaborazione, la fraternità;ricercando adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di pro-

mozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo, di risoluzione deiconflitti. Perciò, “beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figlidi Dio” (Mt 5,9). Ma poiché la pace per tutti nasce dalla giustizia di cia-scuno, e nessuno può eludere l’impegno di promuovere la giustizia, ilpapa invita i giovani a ricercare la giustizia e la pace anche quando ciòcomporta sacrificio o obbliga ad andare controcorrente.

Anche nel paragrafo conclusivo Benedetto XVI interpella i giovani, dicen-do loro “con forza” che non le ideologie salvano il mondo, ma solo ilvolgersi al Dio vivente, che è misura della giustizia ed amore eterno. Eche cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?, prosegue il papa. “Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società.

Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà enon abbandonatevi a false soluzioni... Non abbiate paura di impegnar-vi... Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e pienadi entusiasmo. Siate voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti... Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voistessi...”. “A voi tutti, uomini e donne che avete a cuore la causa del-la pace! La pace nonè un bene già raggiunto,ma una meta a cui tut-ti e ciascuno dobbia-mo aspirare. Guardiamo con mag-giore speranza al futu-ro..., lavoriamo perdare al nostro mondoun volto più umano efraterno, e sentiamo-ci uniti nella respon-sabilità verso le giovanigenerazioni presenti efuture, in particolare nel-l’educarle ad esserepacifiche e artefici dipace”.

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66 GennaioGennaio20122012

Pier Giorgio Liverani

SSe in Europa – è stato calcolato – ogniora muoiono 28 bambini perché abor-titi, in Cina le cose vanno assai peg-

gio. Nell’ex Celeste Impero nascono 124maschietti ogni 100 femminucce, contro la mediamondiale di 104 a 100. Questo, che pare un semplice dato statistico o,al massimo, un dramma, è invece una terribiletragedia. La cosa è nota, perché i giornali nehanno parlato più volte ed è conosciuta anchela causa di questo squilibrio tra nascite di maschie nascite di femmine: l’aborto “selettivo” dellebambine, sempre gradite meno dei bambini, inCina, perché comportano spese molto maggiori(soprattutto per la dote matrimoniale) e menosperanze di sostegno economico di quanto, cre-sciuti, ne offrano, con il loro lavoro, i maschi e,per i contadini, il governo con l’assegnazionedi un piccolo appezzamento di terreno. Alla base di questa tragica selezione sta il pro-gramma governativo di Pechino che, sin dallafine degli Anni Settanta e per frenare la forte cre-scita demografica naturale della popolazione,ha imposto alle famiglie l’obbligo di generare unsolo figlio con severe pene per chi ne dà allavita più di uno. Con questa minaccia ha provocatouna corsa sia alle analisi prenatali per scopri-re il sesso di chi dovrebbe nascere sia alla pra-

tica tempestiva dell’aborto se si tratta di una fem-mina; oppure una serie di infanticidi o di abban-doni. È stato calcolato che in questi trent’annisono mancanti all’appello da 100 a 120 milionidi femmine cinesi, quasi certamente tutte abor-tite, con la conseguenza sociologica che ad altret-tanti uomini è di fatto impedito il matrimonio.La scrittrice e giornalista pechinese Xinran Xue,che per sua fortuna è nata nel 1958, è poi emi-grata a Londra nel 1997 e ha studiato a fondoil femminicidio del suo Paese, ha pubblicato unlibro (“Le figlie perdute della Cina”, Longanesieditore) in cui documenta anche gli orrendi par-ticolari di questa strage. Per esempio, in occasione dei parti si usano spes-so recipienti a due livelli che contengono in quel-lo inferiore acqua bollente e in quello supe-riore acqua tiepida: quando nasce, il maschioè lavato in quello di sopra, la femmina invece…,oppure, sempre in quest’ultimo caso, la picci-na viene abbandonata per la strada o uccisa subi-to. Per fortuna, da quando la Cina si è apertaalle adozioni internazionali, circa 120mila bam-bine sono state salvate perché affidate a geni-tori stranieri.Alla vigilia della 34ª Giornata per la Vita, che sicelebrerà domenica 5 febbraio, questi impres-sionanti dati di cronaca hanno due motivi: mostra-re a quali orrori conduce il mancato rispetto perla vita umana e lanciare un allarme per l’inizio

di una simile pratica anche in Italia negli ambien-ti dell’immigrazione cinese, indiano (anche in Indiail femminicidio mediante aborto si va diffondendo,anche senza leggi repressive) e albanese. Il segnale è venuto dall’Agenzia regionale di sani-tà (Ars) della Toscana, che ha costatato in que-ste donne straniere innanzitutto una frequenzadi aborti molto maggiore che in quelle italiane(le indiane: 350 aborti su mille nascite; le cine-si 300 e le albanesi 280 contro le 192 delle ita-liane). Inoltre ha registrato che queste immigratemettono al mondo molti maschi e poche fem-mine: il rapporto è di 115 maschi per 100 fem-mine. Conoscendo il tristo costume cinese e india-no, l’Ars ha sospettato una tragica selezione delsesso del nascituro con aborti giustificati con altrimotivi. Lo si deduce dal fatto che, a questo sco-po, le straniere ricorrono spesso alla villocen-tesi o all’amniocentesi, praticabili molto primadell’ecografia e solitamente non usate per sta-bilire il sesso del concepito. Al contrario il rapporto dei sessi tra i nati da don-ne marocchine e romene è nella norma: 106 e105 contro 100. Bisogna aggiungere che in Italiasta prendendo sempre più piede una sorta digiustizia che non può nemmeno definirsi “crea-tiva”, perché emana vere sentenze di morte: ricor-do i casi Welby ed Eluana e poi la sentenza del-la Corte Costituzionale che ha cancellato il divie-

continua a pag. 7

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77GennaioGennaio20122012

to della Legge 40 di trasferire in utero tutti i treembrioni prodotti in vitro, con il conseguentepericolo di morte di quelli non adoperati. L’ultimo episodio da ricordare è l’aborto di quel-la sedicenne di Torino che ha subito dai suoi geni-tori fortissime pressioni per “liberarsi” del figlioin grembo: fino al ricorso a un tribunale, che perfortuna ha respinto la richiesta. Purtroppo i geni-tori hanno ottenuto ugualmente che la figlia abor-tisse. Il rifiuto del tribunale didi obbligare la ragazza a un aborto, non è sta-to accompagnato, però, da un procedimento del-l’ufficio del Pubblico ministero di accertamentocirca la libertà di decisione della ragazza. Era più che giustificato, infatti, nel comportamentodei genitori, il sospetto di un reato di istigazio-ne all’aborto, che è punito persino dalla legge

194 con il carcere. Così la giovanissima madreha finito per cedere e l’aborto è avvenuto conun aspetto di piena legalità. Il Movimento per la vita, di conseguenza, ha fat-to conoscere il suo auspicio che l’autorità giu-diziaria voglia verificare se in questa vicenda sia-no state rispettate le disposizioni di legge. Questa nuova tragedia accadeva proprio men-tre, in Campidoglio, a Roma, il Movimento perla Vita italiano, nel ricordo di Chiara Lubich, chetanto ha difeso e promosso la vita umana nascen-te, assegnava alla sua memoria il “Premio euro-peo Madre Teresa di Calcutta” e mentre lo stes-so Movimento dichiarava la propria totale dis-ponibilità a sostenere, anche economicamen-te, la giovanissima gestante e suo figlio. Va sottolineato come quel riconoscimento met-tesse insieme “due Donne per la vita” e venis-

se consegnato il sabato immediatamente pre-cedente la domenica (4 dicembre) della secon-da manifestazione delle donne italiane a Roma,in piazza del popolo e in molte altre città. Questa volta lo slogan gridato nelle piazze era:“Se non le donne, chi?” Un motto bello ed efficace, ma condizionato dalcontenuto che gli si vuol dare. Allora perché nonriempirlo di un senso totalmente opposto a tut-to ciò che qui si è riferito? Perché non prenderlo come un incoraggiamentoa non trascurare, nella rivendicazione dei dirit-ti della donna, la “missione” della maternità? Se non le donne, chi altri potrebbe meglio, volen-dolo, proteggere la vita di ogni essere umanonei momenti della sua maggiore debolezza e fra-gilità: la nascita e la morte?

segue da pag. 6

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88 GennaioGennaio20122012

Sara Gilotta

MMentre nelmondosi parla

ormai da tempodelle profezie deiMaya con tutto illoro carico disventure, mi sem-bra importantericordare che lastoria stessa delCristianesimo siè svolta accom-pagnata da ope-re di carattereprofetico derivanti fondamentalmente dal desi-derio, anzi dalla necessità avvertita fortementeda molti pensatori di un rinnovamento che fos-se capace di ricondurre innanzitutto la Chiesaalla santità e alla povertà primitive. E già GregorioMagno nelle sue omelie e poi nella sua stessaopera teologica intitolata “Moralia” predicò il ritor-no di Cristo per ammonire tutti della necessitàdi pentirsi nell’imminenza del giudizio universa-le. Ma certamente la voce profetica più forte edimportante di tutto il Medioevo fu quella di Gioacchinoda Fiore vissuto nel XII secolo e ricordato da Dantenel canto XII del Paradiso con queste parole pro-nunciate da San Bonaventura: “ …E lucemi dacanto il calavrese abate Gioacchino di spirito pro-fetico dotato”. Non a caso, infatti, gli studiosi delFiorentino hanno ritenuto che forte fu l’influen-za di Gioacchino sull’opera di Dante, anche seè altrettanto vero che il poeta volle chiaramen-te distinguersi dal frate profeta a cominciare dalfatto che il pensiero gioachimita fu legato ad unavisione del mondo futuro quale comunità mona-stica, mentre per Dante troppo importante era

“la milziaterrena”volta arestaura-re l’autoritàimperialenecessa-ria per lafelicità ter-rena del-l ’ uomo.Né d’al-tra parteDante puòconside-rarsi in

alcun modo partecipe di quelle teorie gioachi-mite ritenute dalla Chiesa addirittura eretiche, men-tre certamente egli condivise con il frate cala-brese il lamento sulla decadenza morale, sullacorruzione di troppi uomini di chiesa , sul pre-valere dei vizi e, quindi, sulla necessità di unapalingenesi che fosse capace di riportare il mon-do e, prima ancora la chiesa a sentimenti for-temente etici e morali. E’ chiaro, perciò, che Dante avvertiva il bisognodella venuta di un riformatore che avrebbe sapu-to mutare le condizioni del mondo. Ma a qualeriformatore Dante pensava? Forse innanzituttoa San Francesco, il Santo, in cui molti hanno rav-visato persino il riformatore indicato nella famo-sa e misteriosa terzina del Veltro , di cui già nelprimo canto dell’Inferno dice “non ciberà terrané peltro,ma sapienza, amore e virtute”. Come negare allora che nella corruzione dei suoitempi, nei quali ben evidente era la sottomissionedei più al denaro e alle ricchezze, uniche verecoordinate del vivere sociale, Dante vedesse lanecessità della venuta di “qualcuno” che nondesiderasse se non vivere secondo amore e vir-tù? Non intendo naturalmente dire che tra la visio-ne medioevale e cristiana e le profezie dei Mayasi possa in qualche modo istituire un paragonedi ordine dottrinale o religioso, ma in questi tem-pi di confusione e corruzione, che hanno già por-tato con sé nuove e tristi povertà di ordine mate-riale e spirituale, mi sembra importante cerca-re di comprendere se esista nella storia del mon-do una linea ininterrotta di pensiero attraversocui comprendere meglio la storia tutta e quelladel nostro tempo in particolar modo. E in tal sen-so ancora una volta può aiutare Dante, che con-siderò fondamentale il problema della povertànel mondo e nella chiesa. Povertà non certo da leggere come effetto nefa-

sto di scelte poli-tiche ed econo-miche calate dal-l’alto di superpoteri,come nelnostro tempo,ma come capa-cità di cogliere ladistinzione, nem-meno troppo sot-tile, tra il con-siderare il dena-ro nella sua fun-zione “strumen-tale”, qualeinsomma mez-zo necessario

per vivere in modo decoroso ed un uso esage-rato e fine a se stesso di esso con tutte le real-tà ad esso legate e da esso derivanti. E proprio qui risiede,secondo me , il collegamentotra l’antico profetismo e le istanze certo più lai-che, ma non meno sentite e forti, che attraver-sano tanta parte delle cronache ed ancor di piùil pensiero e le preoccupazioni di una umanità,che, educata a basare la sua vita sulla “vene-razione” del denaro, si senta, nelle difficoltà pre-senti, privata non solo della sicurezza necessariaper vivere,ma avverta quasi l’incapacità a basa-re la vita in modo diverso. Non perché l’unico modo di vivere debba esse-re quello basato sulla povertà, che, al contrario,se la società riuscisse a diventare più giusta edequa dovrebbe colpire un numero sempreminore di individui, ma perché dovrebbe muta-re nel profondo il nostro atteggiamento nei con-fronti della vita e degli altri. Nella ricerca di un benessere spirituale e nonsolo materiale che permetta di riconsiderare lavisione stessa del progresso, per inserirlo in unmondo diverso, in cui la vita sia luogo di veri-tà, pace e compassione, illuminate dalla graziadivina. In questo senso è bello concludere conle parole che Geremia dedica al popolo di Israeleanche come augurio per l’anno appena inizia-to, affinché nella parola di Dio tutto ritrovi la sualuce e la sua bellezza:

“La gioia si è spenta nei nostri cuori,si è mutata in lutto la nostra danza.Ma tu, Signore,rimani per sempre,

il tuo trono di generazione in generazione.Perché ci vuoi dimenticare per sempre?Ci vuoi abbandonare per lunghi giorni?

Facci ritornare a te, Signore e noi ritorneremo;

rinnova i nostri cuori come in antico.”

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99GennaioGennaio20122012

Don Dario Vitali*

IIl lungo capitolo del-la Lumen Gentium sul-la Beata Vergine

Maria, nella quarta sezio-ne – nn. 66-67 – affron-ta ala questione del cul-to che si possa tributarealla Madonna. Il pas-saggio è particolarmen-te importante, perché laChiesa è stata spesso accu-sata di trasformare Mariain una specie di dea, tributandole un culto chespetta unicamente a Dio. Bisogna ammettereche la devozione popolare ha spesso manife-stato esagerazioni, attribuendo a fenomeni secon-dari come apparizioni e rivelazioni privategrande importanza. Basta pensare ai fattirecenti che riguardano presunte apparizioni del-la Madonna anche dalle nostre parti. D’altra parte, questa deriva ha molto a che farecon un bisogno di sicurezza, che cerca figurein grado di offrire protezione, o con una ricer-ca di immediatezza nel contatto con il divino,che sfugge ad ogni mediazione e ricerca vie diret-te che assomigliano tanto a scorciatoie.Fenomeni, questi, che non riguardano solo ladevozione mariana, ma tutte quelle forme di reli-giosità – peraltro non esclusi ove del cattolice-simo, o del cristianesimo – che si nutrono di atteg-giamenti e convinzioni motivate più dai bisogniche dalla fede.Il testo conciliare è molto equilibrato. Il culto spe-ciale che la Chiesa attribuisce alla Madonna èmotivato dal fatto che Maria, in quanto «Madresantissima di Dio, che ha preso parte ai miste-ri di Cristo», è stata «esaltata per la grazia diDio, dopo suo Figlio, al di sopra di tutti gli ange-li e gli uomini» (LG 66). D’altra parte, il culto allaVergine risale fino ai primi secoli, come dimo-stra una preghiera antichissima – il Sub tuumpraesidium – richiamata nel testo: «Sotto la tuaprotezione veniamo a rifugiarci, santa Madre diDio. Non respingere le preghiere che ti rivolgiamonelle necessità, ma liberaci da ogni pericolo, oVergine gloriosa e benedetta».Lo sviluppo di questo culto è legato, per il con-cilio, alla definizione dogmatica del concilio diEfeso, nell’anno 430, che dichiarava Maria comeMadre di Dio, e non solo come Madre di Cristo.Il dogma, teso a garantire la salvezza cristianadifendendo la natura divina di Cristo, Verbo incar-nato, è diventato anche il fondamento e la giu-stificazione di un culto alla Vergine Madre, asso-ciata alla gloria dovuta al Figlio, unico Mediatoretra Dio e gli uomini.Pur motivando, giustificando e promuovendo ilculto mariano, il concilio ne precisa i limiti, distin-guendolo con chiarezza da quello dovuto allasola Trinità: «Questo culto, quale sempre fu nel-la Chiesa, sebbene del tutto singolare, differi-sce essenzialmente dal culto di adorazione, chesi deve prestare al Verbo incarnato, come pureal Padre e allo Spirito santo». La teologia di untempo distingueva tra un culto di latria, cioè di

adorazione, dovuto solo a Dio, e un culto di dulia,cioè di venerazione, con cui si possono onora-re gli angeli e i santi, parlando per Maria di unculto di iperdulia. Né questo culto mette in dub-bio o in ombra la centralità di Cristo nella cele-brazione del mistero cristiano: chiarissime era-no già state le indicazioni della costituzione sul-la liturgia, secondo cui «nella celebrazione delculto annuale dei misteri di Cristo, la santa Chiesavenera con particolare amore Maria santissima,Madre di Dio, congiunta indissolubilmente conl’opera di salvezza del Figlio suo; in Maria ammi-ra ed esalta il frutto più eccellente della reden-zione, ed in lei contempla con gioia, come in unaimmagine purissima, ciò che essa, tutta, desi-dera essere» (SC 103). Anche la LumenGentium insiste su questo legame della devo-zione mariana con il culto dovuto al Figlio: «Infatti,le varie forme di devozione verso la Madre diDio, che la Chiesa ha approvato, entro i limitidi una dottrina sana e ortodossa, secondo le cir-costanze di tempo e di luogo e l’indole e la men-talità dei fedeli, fanno sì che, mentre è onora-ta la Madre, il Figlio … sia debitamente cono-sciuto, amato, glorificato, e siano osservati i suoicomandamenti» ((LG 66).Fissati la natura e i limiti di questo culto, il con-cilio detta delle regole pastorali circa il culto maria-no. Anzitutto lega il culto alla dottrina, sottraendoload ogni esagerazione di carattere devoziona-le. L’esortazione rivolta a tutti perché promuo-vano il culto mariano riguarda anzitutto il cultoliturgico. Le feste mariane sono distribuite lun-go l’anno liturgico con abbondanza di solenni-tà, feste, memorie: il 1 gennaio è la solennitàdella Madre di Dio, il 2 febbraio la Presentazionedi Gesù al tempio, l’11 febbraio la memoria del-la Beata Vergine Maria di Lourdes, il 25 marzol’Annunciazione, il 31 maggio la Visitazione; nelsabato dopo il Sacro Cuore di Gesù la memo-ria del Cuore Immacolato di Maria; il 16 lugliola memoria della Madonna del Carmine, il 15agosto l’Assunta e una settimana dopo la memo-ria di Maria Regina; l’8 settembre la Natività diMaria e il 7 ottobre la memoria della Madonnadel Rosario, per terminare il 21 novembre conla presentazione di Maria al tempio, e l’8 dicem-bre con la solennità dell’Immacolata Concezione.Se le feste e le memorie sono distribuite prati-camente per ogni mese, esiste un tempo litur-gico che è mariano per eccellenza, e cioè l’av-vento, durante il quale la figura d Maria è mes-sa in evidenza come modello della Chiesa che

attende la venuta del Signore. D’altronde, la litur-gia prevede la possibilità, ogni sabato duranteil tempo per annum, di celebrare la memoria diSanta Maria in sabato.In questo modo la liturgia offre un registro tut-to particolare per penetrare nel mistero di Cristoe comprenderlo secondo la logica della relazione:ciò che è intercorso tra la Madre e il Figlio deveintercorrere tra la Chiesa e il suo Signore-Oltre al culto liturgico, il concilio esorta a colti-vare banche le pratiche e gli esercizi di pietàche da secoli alimentano la devozione del popo-lo cristiano, soprattutto quelli che il magisteroha approvato e raccomandato, in primis, evi-dentemente, il rosario.Ma in questo, il concilio insiste perché si evitiqualsiasi esagerazione, tanto nelle rappresen-tazioni iconografiche, per le quali la Chiesa hagià stabilito dei criteri ben precisi, come pure nel-la predicazione.Particolare accento pone poi sulla ricerca teo-logica, dove si possono proporre idee che for-zano l’equilibrio della dottrina mariana, in sen-so massimalista come minimalista: «Con lo stu-dio della Sacra Scrittura, i teologi illustrino ret-tamente i compiti e il privilegi della Beata Vergine,che sempre hanno per fine Cristo, origine di ogniverità, santità e devozione». La raccomandazione vale soprattutto in ragio-ne del dialogo ecumenico, dove la verità è con-dizione di vero scambio; per questo i teologi sonoinvitati, «sia nelle parole che nei fatti, a evitarediligentemente ogni cosa che possa indurre inerrore i fratelli separati o qualunque altra per-sona, circa la dottrina della Chiesa» (LG 67),nel senso, naturalmente, sia di esagerare chedi minimizzare la figura e il posto di Maria nelmistero di Cristo.Il testo si conclude con una raccomandazioneai fedeli che può e deve essere rammentata eapplicata oggi che una reviviscenza delladevozione mariana sembra accompagnarsi a feno-meni di esaltazione collettiva o comunque di esa-gerazione, mai segno di vera devozione: «I fede-li a loro volta si ricordino che la vera devozio-ne non consiste né in uno sterile e passegge-ro sentimento, né in una vana credulità, bensìprocede dalla fede vera, dalla quale siamo por-tati a riconoscere la preminenza della Madre diDio e siamo spinti a un amore filiale verso laMadre nostra e all’imitazione delle sue virtù».

*Teologo docente alla P.U.G. di Roma

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1010 GennaioGennaio20122012

Mons. Luigi Vari*Salmo 119, 9-16

NNell’iniziativa della lettura della Bibbia in modo continuativo: “LaBibbia giorno e notte”, tenutasi nella Basilica di Santa Crocein Gerusalemme, a Roma, la lettura del Salmo 119 fu affida-

ta al noto giocatore della Juventus: Le Grottaglie. Penso che sia stata una scelta voluta perché questo Salmo, subito allaseconda strofa, parla di un giovane, anzi dei giovani in generale, ponen-do una domanda curiosa, soprattutto se non se ne interpreta corretta-mente il contenuto:9 Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando la tua parola.

Osservare la Parola è condizione per mantenere una vita pura. Il donopiù grande della giovinezza è la limpidezza, intesa come generosità,fede forte nelle idee che si sposano, disponibilità a spendersi per le coseche si credono. Le immagini più forti di questi ultimi decenni rappresentano giovani, chesi spendono e rischiano: dall’immagine del giovane che affronta i car-ri armati nella piazza di Pechino, a quelle degli indignati di oggi, ele-vati dal New York Times, a personaggi dell’anno, perché hanno la vogliadi protestare contro la deriva finanziaria della civiltà occidentale. La voglia di migliorare il mondo in cui si vive, il desiderio di relazionibuone, sono altri elementi, che determinano la purezza di una vita. Perchi legge è spontaneo fare il collegamento con la vita buona di cui siparla in questi anni nella Chiesa italiana. Le parole del salmo dicono che questa vita pura, buona, è un bene daconservare; il verbo ebraico, che noi traduciamo con “tenere”, andreb-be tradotto con conservare, è lo stesso verbo (smr), che si usa per lasentinella, indica l’azione di guardare con attenzione, vigilare. L’uso delverbo indica che la vita di cui si parla è un bene difficile da mantene-re; che ne è stato delle generazioni, che avevano sognato sulle cordedell’uguaglianza e della solidarietà? Quanti dei contestatori di un tem-

po sono attivi nelle mul-tinazionali e quanti han-no provocato con sceltefollemente egoistiche, lacrisi che ci stringe? I sogni muoiono all’alba,recita il titolo di un film eanche qualcuno di noi sisarà trovato a trattare conautosufficienza le idee diqualcuno più giovane, giu-dicandole frutto dellamancanza di maturità edell’inesperienza. Il problema è che, di soli-to, è da giovani che si fan-no le scelte, che impegnanola vita. Che cosa dobbiamodire, allora, che la vita èsolo una serie di brutti risve-gli? Il Salmo propone lapossibilità di conservarelimpida la vita, di non rin-negare, oltre le intem-peranze, le cose che sicredono giuste. Come far-lo? Come non lasciarsiprendere dalla vita, al pun-to di dimenticarsi di viver-la come si desidera?La risposta raggiungelapidaria il lettore: osser-vando la Parola. Di nuovo, la relazione conla Parola non è relegata

a una periferia qualunque della vita, ma è una relazione fondante. LaParola cui si fa riferimento è quella della Legge, che determina l’iden-tità e la dignità del popolo. Dio, nelle parole del Salmo,parla a perso-ne che ama perché riescano nella vita, e la vivono non percorrendo sen-tieri che le allontanano da essa; ma che la rendano più pura, più bel-la. Il salmista dice a Dio di parlargli per essere felice, di continuare aparlargli per non perdersi, durante il cammino, tutte le cose prezioseche rendono una vita degna di essere vissuta.Si osserva spesso, che la nostra cultura è caratterizzata dal silenzio diDio; si evita di sottolineare che ci sono due silenzi: il primo è quello del-la Parola, che non ha bisogno di parole, e non è un vero silenzio; il secon-do è quello per cui si costringe Dio a non parlare; si evita la Parola.Questo secondo è misurabile dalla mancanza di stima della vita, checaratterizza tante generazioni, dalla disperazione, dalla decadenza. Questo secondo silenzio non lo dobbiamo volere né per noi e né pergli altri. Il salmista, che fa, invece, esperienza della Parola, continuacon la lode, alla quale ci associamo:10 Con tutto il mio cuore ti cerco:non lasciarmi deviare dai tuoi comandi.11 Ripongo nel cuore la tua promessaper non peccare contro di te.12 Benedetto sei tu, Signore:insegnami i tuoi decreti.13 Con le mie labbra ho raccontatotutti i giudizi della tua bocca.14 Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia,più che in tutte le ricchezze.15 Voglio meditare i tuoi precetti,considerare le tue vie.16 Nei tuoi decreti è la mia delizia,non dimenticherò la tua parola.

*parroco e biblista

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1111GennaioGennaio20122012

Claudio Capretti

CC arissimo Isaia, tempo fa ho rivisto un mioamico e collega, con il quale iniziai lacarriera militare. Come capita in que-

ste circostanze, ci siamo messi a ricordare i nostritrascorsi, in modo particolare i turni di guardiache svolgevamo spesso insieme. Ricordavamoche i peggiori erano quelli che dovevamofare nel cuore della notte, in cui si sembravache il tempo non passasse mai. All’iniziodi ogni turno gli rivolgevo sempre la stes-sa domanda: “A Ciro, ma quanno ce pas-sa?”, e lui da buon napoletano mi ripete-va sempre la stessa risposta: “Wagliò, hada passà ‘a nuttata”. Conoscevo la suarisposta ancor prima di formulargli la doman-da, ma mi piaceva molto sentirglielo diree in effetti, anche quella notte sarebbe fug-gita via al primo timido raggio di sole cheper primi, intravvedevamo dalle nostre garit-te in quanto orientate ad est. Caro Isaia, non so se l’accostamentosia improprio, ma in un certo senso sia-mo stati colleghi, io come militare etu in modo più profondo e ampio comeprofeta e fu in virtù di questa missioneche in un particolare momento, il buon Dio tipose come sentinella (in senso profetico), sulsuo popolo. Ed è solo su questo tuo aspetto spe-cifico che desidero soffermarmi. La tua storia si intreccia in un momento tragi-co per il popolo d’Israele, in cui diverse nazio-ni erano in guerra fra di loro. Morte, devasta-zione ed esilio divennero presto le signore incon-trastate del dolore. A breve molte cose sareb-bero cambiate, l’intero assetto geograficosarebbe mutato nel momento in cui i conflitti sareb-bero cessati. In questo contesto, il Signore ti posecome vedetta sulla casa d’Israele (Is 21,6) pron-ta a leggere nei segni dei tempi l’imminente cadu-ta di Babilonia. Giungeranno “gente che caval-ca cammelli” (Is 21,7) ed annunceranno: “E’ cadu-ta è caduta Babilonia! Tutte le statue dei suoidei sono a terra, in frantumo” (Is 21,9). Questi sarebbero stati i segni annunciatori di buo-ne notizie e tu dovevi essere lì, rimanere in pie-di e vigilare in attesa che questa notizia giun-gesse per poi trasmetterla al tuo popolo.A chi ti chiedeva: “ Sentinella, quanto resta del-la notte?” (Is 21,11), non esitavi a rispondere:“Viene il mattino e poi viene la notte; se voletedomandare, domandate, convertitevi, venite” (Is21,12) . Molti vedono in questa domanda il legit-timo desiderio che la notte, cioè quelle situazionidi sofferenza e di angoscia passino presto. Invece tu, per far capire che il problema non èl’immediata risoluzione di quelle particolarisituazioni di dolore, dai a loro un’altra risposta:“Convertitevi!”. Ecco allora che il senso di quel-la “notte” è finalizzato ad un qualcosa di più gran-de che è il ritorno a Dio, perché il nuovo gior-no o meglio una vita nuova, giungerà solo dopoessere ritornati a Lui. Solo allora diviene pale-se che, come possiamo essere la causa del nostrodeclino, possiamo anche essere riscatto di noi

stessi. Nel tuo essere sentinella della notte seistato fedele alla tua missione, la tua purezza dicuore e la tua vicinanza al Signore, ha fatto siche il tuo cuore non si addormentasse e non haicercato segni diversi da quelli che il Signore tiaveva indicato. In un’omelia mons. Bregantini parlando del ruo-lo della sentinella (sempre in senso profetico s’in-tende) diceva: “Una sentinella deve fare tre cose:vegliare o meglio, non far addormentare il suocuore e rimanere in attesa; deve svegliare lagente della sua città qualora si affacci un peri-colo, e deve intravvedere, deve interpretare isegni dei tempi, e anticipare ciò che accadrà”.Da ciò se ne deduce che la missione di senti-nella non è facile (ma quale missione che Dioci affida lo è?), ed è per questo che occorre chelo Spirito che abita in noi sia sempre desto conla preghiera, che l’orecchio sia attento alla SuaParola e che la sentinella-profeta sia rivestito “del-l’armatura di Dio” (Ef 6,11). Molti sono chiamati ad essere sentinelle di unaporzione di un popolo, ma in definitiva ognunodi noi è costituto sentinella di se stesso e di colo-ro che gli sono più prossimi e ad ognuno vieneaffidato un bene da compiere. Ma nel momen-to in cui ci incamminiamo per compiere questobene, il male, si mette di traverso tra noi e quelbene da realizzare. Vorrebbe allontanarci, dis-togliendoci dal Bene, cercando con tutto se stes-so di trasformarci in:“guardiani cechi che non siaccorgono di nulla. Cani muti incapaci diabbaiare; che sonnecchiano accovacciati, cheamano appisolarsi”.

Dove: “Ognuno segue la sua via, ognuno badaal suo interesse, senza eccezzione” (Is 56,10-11). Divenendo facili prede di colui che: “comeleone ruggente che va in giro cercando chi divo-rare” (1Pt 58) , “egli, non potendo nulla controDio, vorrebbe rubare ciò che è di Dio, le ani-me delle sue creature” (San Luigi Monfort - Trattatodella vera devozione a Maria). A tale scopo, vorrebbe fare di noi quel model-lo di guardie che pur facendo la ronda, nel sen-so che svolgiamo un servizio apparentemen-te buono, qualora un’anima in cerca dello Sposoci dovesse chiedere: “Avete visto l’amato delmio cuore?” (Ct 3,3), non saremmo in gradodi indicarglielo perché noi per primi sedotti dalmale, non Lo abbiamo ancora trovato inquanto mai cercato. O rincorso altri idoli e nonLui. Qualora cadessimo nel suo tranello,farebbe di noi delle creature invidiose per il desi-derio che quell’anima ha di ricongiungersi con

lo Sposo, forse potremmo arrivare a “per-cuoterla” (Ct 5,7), per mezzo delnostro cumulo di parole, distogliendo-la dalla Parola, cercando di farla desi-stere dalla sua ricerca. Di certo la spo-

sa passerà oltre di noi poiché l’amoredell’Amato è “forte come la morte” (Ct 8,6),

ma noi non diverremmo altro che“operatori diiniquità” (Lc 13,29). Caro Isaia, perdonami se ti ho scritto eviden-ziando solo questo tuo particolare aspetto, sobenissimo che un grande profeta come te meri-tava molto di più, ma attraverso la tua storia eall’inizio di questo nuovo anno, mi premeva ricor-dare a me stesso che: “La notte è avanzata, eil giorno è vicino” (Rm 13,12) quindi occorre rima-nere desti in attesa del ritorno dello Sposo, noncessando di alimentare le nostre lampade conle opere della luce. Nel parlare con Ciro, non cisiamo accorti che la notte era passata e stavanascendo un nuovo giorno. Nel raccontarci le “notti oscure” che abbiamo vis-suto in questi ultimi trenta anni, è stato bello sco-prire che in ognuna di esse c’è sempre stata lasilenziosa mano di Dio, che si manifestava permezzo della Chiesa. Abbiamo accolto il nuovogiorno scherzando sui segni che il tempo ave-va fisicamente impresso su di noi, ma rallegrandocipoiché la grazia di Dio, a dispetto delle nostreumane debolezze, non era passata invano e que-sto era fonte di gioia. E’ venuto spontaneo iniziare quel nuovo gior-no con la preghiera “chiedendo a Dio, solo Dio”(Sant’Agostino), ringraziandolo di tutto ciò checi aveva donato in questi anni. Poi il pensieroè andato a tutti i nostri colleghi e ai loro fami-liari, in modo particolare a coloro che erano tor-nati alla casa del Padre, nell’adempimento delloro servizio. Per loro, silenziose sentinelle di pacecadute in Somalia, in Libano, in Iraq, inAfghanistan, per garantire un futuro più giustoe pacifico a quelle popolazioni lacerate dalla guer-ra, si è levata la nostra preghiera in quel gior-no che stava appena nascendo.

Nell’immagine: Il Profeta Isaia, di Raffaello Sanzio, 1511 - Roma

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1212 GennaioGennaio20122012

Don Antonio Galati

NNei due mesi precedenti abbiamo con-centrato la nostra attenzione sulBattesimo, guardandolo da due pun-

ti di vista: quello biblico e quello liturgico. Con questo terzo intervento il punto di vista èquello pastorale. Per brevità non possiamo esa-minare le implicazioni pastorali e pratiche ditutto il rito battesimale e, tanto meno, concentrarcisu tutte e due le sue forme, quella per i bam-bini e quella per gli adulti.Punteremo, quindi, l’attenzione solo su un aspet-to, non per essere esaustivi, ma per mostra-re come il Battesimo, e per estensione, qua-lunque altro sacramento non è una parentesinella vita del cristiano, ma imprime la direzio-ne, e porta i suoi effetti, su tutta intera l’esi-stenza del fedele. Ci concentreremo, quindi, sugli effetti che il Battesimoporta nella vita dei cristiani. Dice il Catechismodella Chiesa Cattolica: «i due effetti principa-li [del Battesimo] sono dunque la purificazio-ne dai peccati e la nuova nascita nello SpiritoSanto»1.

La purificazione dai peccati

Circa il primo dei due effetti, si può dire che ilBattesimo cancella ogni forma di peccato, siaquello originale che quelli personali, come can-cella anche ogni pena dovuta ai peccati. «Incoloro che sono stati rigenerati, infatti, non rima-ne nulla che impedisca loro di entrare nel regnodi Dio»2, cioè, il neo-battezzato è fatto piena-mente erede del Paradiso. Ciò non toglie, tuttavia, che resta nell’uomo bat-tezzato l’inclinazione al male, chiamata ancheconcupiscenza, ma, ci ricorda il concilio di Trentocitato letteralmente dal Catechismo dellaChiesa Cattolica, «essendo questa [la concu-

piscenza] lasciata per la prova, non puònuocere a quelli che non vi acconsentonoe che le si oppongono virilmente conla grazia di Gesù Cristo»3. In parole povere, il Battesimo non ci togliela tentazione, ma questa in sé non èpeccato, e può essere vinta se si ci affi-da all’aiuto di Dio. Anzi, la tentazione è definita una pro-va, cioè quel mezzo che Dio usa per“testare” la nostra fede. “Testare” nonnel senso che dobbiamo dimostrarci degnidi conquistarci la salvezza – questa civiene donata gratuitamente da Dio –,ma nel senso che noi dimostriamo a noistessi che possiamo vincere le tenta-zioni e rimanere in quella purezza dona-

ta dal Battesimo, proprio grazie a questo sacra-mento e all’aiuto di Dio che da esso ci viene.

La nuova nascita nello Spirito Santo

L’altro effetto del Battesimo è la rinascita nel-lo Spirito Santo. Ciò implica, a sua volta, diver-se conseguenze: l’essere una creatura nuo-va; l’incorporazione alla Chiesa; l’unità dei cri-stiani; avere impresso un sigillo indelebile. Tratutti ci si concentrerà solo sui primi due. L’esserecreatura nuova significa essere un uomo nuo-vo. Ma l’uomo nuovo è lo stesso Gesù Cristo.Quindi, di conseguenza, essere una creaturanuova, per il battezzato, significa esserecome Gesù. Il Battesimo, cioè, configura l’essere umano alSignore. Ciò significa che il battezzato può vive-re la sua vita come l’ha vissuta Gesù, cioè dafiglio di Dio, erede del Regno, capace, comeGesù, di sperimentare consapevolmente l’a-more del Padre e vivere sotto la luce di que-sto amore.Diventare figlio di Dio è possibile perché il bat-tezzato viene inserito nel corpo stessodell’Unigenito Figlio di Dio, cioè Gesù. Diviene,cioè, un membro del suo Corpo, lo stesso Corpoche è vissuto in mezzo a noi, che è stato cro-cifisso e che è risorto. Lo stesso corpo che oraresta presente nel mondo nella forma della Chiesa.Essere battezzato, quindi, significa appartenere“di diritto” alla Chiesa. Un’appartenenza che non è solo nominale, mafattuale, cioè attiva. Facendo l’esempio del cor-po umano, un’appartenenza di tipo nominalesignifica che un membro è attaccato al corpo,ne fa parte, ma non gioca nessun ruolo all’in-terno del corpo, anzi rischia di diventare un pesomorto, un impedimento. Un’appartenenza fattuale, invece, significa cheil membro partecipa attivamente alla vita delcorpo, gli permette di agire e di vivere piena-

mente. Tornando al Corpo di Cristo che è laChiesa, un battezzato che vive solo nominal-mente il suo essere cristiano non accresce vera-mente la vita della Chiesa, ma, anzi, rischia dioffuscarla e rallentarla.Solo se il battezzato si rende conto di essereun membro vivo della Chiesa, può attivarsi evivere per essa e in essa, e solo così la Chiesa,il Corpo di Cristo, può vivere nel mondo in pie-nezza. Ciò significa che il Battesimo chiede diessere messo in pratica con una partecipazioneattiva alla vita della Chiesa in tutte le sue for-me (la parrocchia, i gruppi ecclesiali, una vitadi preghiera e di carità intense e consapevo-li, un impegno civile per orientare la società avivere e incarnare i valori cristiani, e tutte quel-le realtà e attività in cui la Chiesa agisce ed èpresente).

Un doppio impegno per tutti

In sintesi, gli effetti che il Battesimo porta consé sono capaci, se accolti nella loro pienez-za, di trasformare tutta la vita del battezzatoe, attraverso di lui e la Chiesa, tutta la vita delmondo. Se la nostra società italiana ed euro-pea, e anche mondiale, sembra aver perso divista l’orizzonte dei valori cristiani dipende anche,ma non solo ovviamente, da alcune scelteche ha fatto questa società, che veniva defi-nita e si definiva cristiana, in un passato remo-to e anche recente. Se allora, sono stati anchei battezzati a dare questa struttura alla socie-tà attuale, possono essere sempre i battezzatia cambiarla nuovamente per riportare all’internodi essa quei valori e, forse, riassorbirli anchein maniera più matura, non dandoli per scon-tati e battendosi sempre perché siano difesi eapplicati. Per concludere, quest’intervento a mes-so in luce pochissimi aspetti tra tutti quelli impli-cati nel sacramento del Battesimo, e ne ha tra-lasciati molti altri che andrebbero in qualchemodo approfonditi o, meglio, rivalutati e ricon-siderati. Un secondo impegno può essere allo-ra, oltre ad un rinnovamento delle nostre per-sonali vite e, attraverso di esse, quella dellasocietà e anche della Chiesa, quello di risco-prire tutte le altre implicazioni del Battesimo,casomai proponendo ai parroci dei cammini diformazione e di approfondimento. Questo perché, quest’approfondimento, comesi è cercato di dimostrare, non amplifica solouna conoscenza intellettuale, ma influenza tut-ta la nostra vita, che chiede di essere vissutasempre sotto l’ottica del Vangelo e dell’amore.1 CCC n. 1262.2 CCC n. 1263.3 CCC n. 1264.

San Paolo, Battesimo, Cappella palatina, Palermo, 1140 - 70, copia

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1313GennaioGennaio20122012

Giornata nazionale offerte:

20 novembre una domenica per i sacerdoti

mons. Paolo Picca

IIn tutta Italia domenica 20 novembre si è svolta la giornata di sensibi-lizzazione per le offerte per il sostentamento dei sacerdoti. In tutte lechiese è stato affisso il manifesto con lo slogan: I SACERDOTI AIU-

TANO TUTTI. AIUTA TUTTI I SACERDOTI. Nella chiesa i sacerdoti dedi-cano tutta la loro vita e le loro migliori energie per annunciare il Vangelo trala gente, per portare conforto, speranza e carità. Quante persone hanno ritro-vato il sorriso, la speranza e la forza per andare avanti, dopo aver incon-trato un prete che le ha ascoltate e ha saputo dar loro la parola di fede cheha risanato le ferite del cuore. Il sacerdote è l’amico e la guida che accom-pagna le persone in un cammino di fede.La vita del sacerdote è per gli altri, non per se stesso. Molti che sono lon-tani dalla Chiesa pensano che i sacerdoti facciano una vita comoda e sen-za problemi, ma non appena hanno l’occasione di stare loro vicino, si spa-ventano nel vedere la mole di lavoro che svolgono. Ma chi pensa al lorosostentamento? Anticamente c’erano i benefici ecclesiastici: le persone anzia-ne ricordano le cosiddette “corrisposte”, le rendite di terreni donati alle chie-se, e la congrua statale (una specie di restituzione che lo Stato si era impe-gnato a dare ai parroci ai canonici e ai beneficiati, dopo aver confiscato qua-si tutti i beni immobili della Chiesa). Ma nel 1984, con il nuovo concordatofu abolita anche la congrua e si introdusse l’otto per mille per la carità e perle opere pastorali. Il sostentamento del clero fu affidato alle offerte dei fede-li come si faceva nelle prime comunità cristiane. Purtroppo queste offerte subase nazionale coprono appena il 2,6% del necessario e nella nostra dio-cesi di Velletri – Segni si scende allo 0,7%. Il resto viene preso dall’otto permille. Per rendere più efficace la sensibilizzazione dei fedeli, il nostro VescovoMons. Vincenzo Apicella con un decreto ha stabilito di fare una raccolta del-le offerte distribuendo ai fedeli le buste come si fa per la giornata missio-naria. Abbiamo così raccolto la somma di € 14803,57 superiore alle offer-te del 2010 quando la raccolta non è stata effettuata con le buste. Per offri-re una visione più chiara, pubblichiamo le tabelle con i dati elaborati dal ser-vizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica.

OFFERTE SOSTENTAMENTO CLERO DELLA DIOCESI DI VELLETRI-SEGNI 2009 e 2010

COMUNIN°

OFFERTE

2009

IMPORTI

2009

OFFERTE

2010

IMPORTI

2010

VARIAZIONI

OFFERTE

VARIAZIONI

IMPORTI

ARTENA 4 120 5 140 25.00% 16.67%

COLLEFERRO 46 1.941 33 1.765 -28.26% - 9.07%

GAVIGNANO 2 35 0 0 - 100% - 100%

LARIANO 5 185 4 135 - 20.00% - 27.03%

MONTELANICO 7 240 3 170 - 57.14% -29.17%

SEGNI 15 1.110 10 695 -33.33% - 37.39%

VALMONTONE 15 605 9 265 -40.00% - 56.20%

VELLETRI 46 2.646 54 3.795 17.39% 43.42%

TOTALE

DIOCESI

140 6.882 118 6.965,00 -15.71% 1.21%

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1414 GennaioGennaio20122012

Don Cesare Chialastri*

“Se i poveri avessero dei diritti, il primo sareb-be quello di poter sperare in una vita miglio-re, per sé e per i propri figli, e sapere chel’uscita dalla povertà è possibile. Invece oggi esiste una <cultura diffusa> secon-do cui le azioni dello Stato sono una spe-cie di benevolenza, una concessione da accor-dare utilizzando i margini del bilancio sta-tale e da attuare quando le condizioni eco-nomiche lo consentono, una cura di man-tenimento per povertà di lungo periodo dacui è difficile uscire”.

II nizia così il Rapporto 2011 su povertà edesclusione sociale in Italia dal titolo Poveridi diritti, edito da Il Mulino e presentato

a Roma il 17 ottobre u.s.Il Rapporto 2011 curato dal-la Caritas Italiana e dal-la Fondazione “E. Zancan”ha un titolo evocativo, chenasce da una semplice con-siderazione: “alle perso-ne che vivono in condizionidi povertà si pensa soloin termini di insufficienti risor-se economiche, ignoran-do che esiste tutta una seriedi altre privazioni chepeggiorano lo stato di pre-carietà e ne impedisconoil superamento”. Sempre più si evidenzia-no i diritti violati ai dannidei poveri: il diritto all’u-guaglianza, il diritto al lavo-ro, il diritto alla realizza-zione di una famiglia, il dirit-

to alla tutela da parte dello Stato nelle situazionidi fragilità, il diritto di partecipare alla realizza-zione del bene comune. L’attenzione del Rapporto 2011 è rivolta in modospecifico al legame esistente tra la povertà e idiritti-doveri dei cittadini. I poveri hanno gli stes-si doveri di tutti i cittadini, se non adempiono ildovere essi sono sanzionati come gli altri e tal-volta più degli altri. Qui vengono presi in considerazione soprattuttoi diritti dei poveri, che richiedono da parte del-l’autorità e della comunità, una particolare atten-zione, a causa della loro sempre più permanentecondizione di debolezza. Da un punto di vistaquantitativo l’Istat nei mesi scorsi ha delineatola situazione di povertà in Italia. Nel 2010 8 milioni e 272 mila persone erano pove-re (circa il 13% della popolazione) contro i 7 milio-ni e 810 mila del 2009. È aumentata la pover-

tà tra le famiglie di 5 com-ponenti e tra le famiglie mono-genitoriali; la povertà èaumentata anche tra lefamiglie che hanno come per-sona di riferimento un lavo-ratore autonomo e con untitolo di studio medio-alto. Ilprimo diritto ad esserenegato è quello alla fami-glia: alla povertà che col-pisce le famiglie con più didue figli, si aggiunge un gene-rale modo di vivere, una insta-bilità delle relazioni socia-li, la precarietà del lavoro ela netta insufficienza delloStato sociale. In modo particolare sono lenuove famiglie giovani a paga-re il prezzo più alto di que-sta crisi economica. Sempre più una quota piùalta di giovani, non solo alsud del Paese, scivola ver-so l’inattività prolungata,

che si vive all’interno della famiglia di origine.Il fenomeno è confermato dai dati che abbia-mo dei Centri Caritas: il 20% delle persone ita-liane che si rivolgono ai Centri di Ascolto han-no meno di 35 anni, e negli ultimi cinque anniil numero dei giovani presi in carico dalle Caritasè aumentato del 53%.La crisi ha prodotto un incremento del fenomenodel lavoro nero e della sottoccupazione, anzi negliultimi mesi diminuisce anche l’offerta di lavorodentro questi ambiti. Mentre è in aumento l’incidenza della disoccu-pazione di lunga durata tra le persone che ven-gono aiutate dalle Caritas. Qui non c’è bisogno di parole per evidenziareil nesso tra il diritto effettivo al lavoro e la garan-zia contro la caduta nella povertà. Nelle storiedelle persone ascoltate dalla Caritas, il proble-ma della casa si sta configurando nei termini di

una vera “emergenza abi-tativa” in molti nostri comu-ni. Negli ultimi quattro anni,i problemi abitativi sonoaumentati del 23%. La povertà economica col-pisce anche coloro chesono proprietari di casa ecoloro che stanno pagan-do il mutuo. Di particolare gravità è la situa-zione delle famiglie in affit-to, che devono sostenerecanoni elevati per le loro cas-se e che vivono in situazionedi precarietà abitativa (man-canza di contratto di affitto,numeri elevati di presenzee conflittualità familiare)E di questo passo per tan-

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1515GennaioGennaio20122012

ti altri diritti che non vengono riconosciuti: il dirit-to all’acqua e all’alimentazione, il diritto allasalute, il diritto all’educazione, il diritto allagiustizia. Questo ci porta a dire che nel nostroPaese esistono violazioni di diritti a danno di unnumero consistente di persone, la cui unica col-pa è quella di essere poveri.

Il Rapporto non si limita a descrivere i diritti man-canti, ma indica i passi e le strategie per inver-tire la rotta: gli Enti locali continuano ad inve-stire tante risorse assistenzialistiche nel tenta-tivo di contrastare la povertà, ma con scarsi risul-tati. Prevale la logica dell’emergenza per cui sipreferisce dare un contributo economico per tam-ponare la situazione, piuttosto che tentare di atti-vare dei servizi. Questo modo di fare rende cronici la povertà,il disagio e allontana dall’orizzonte del poverol’effettivo riconoscimento di un suo diritto. Questo modo di contrastare la povertà deve fareriflettere anche la Caritas e le diverse associa-zioni di volontariato: non sempre ci si distaccada una prassi assistenzialistica che favorisce chialza di più la voce e lascia molti in situazionedi non autosufficienza economica, sociale, cul-turale e politica. Quali le politiche per andareoltre questa emergenza?Prima di tutto occorre prendere consapevolez-za che si sono mischiate in questi ultimi annidiverse misure con le quali si tenta di rispon-dere alla fragilità e povertà di tante persone. Peres. oggi esistono circa 30 misure di sostegnoal reddito familiare che sono promosse quasitutte da istituzioni nazionali e locali.Il primo passo che viene indicato dal Rapporto2011 è quello di evitare trasferimenti economi-ci standard che non prevedano la responsabi-lizzazione dei diretti interessati. È invece auspi-cabile privilegiare misure che prevedono accor-

di di più soggetti (istituzioni, volontariato, ecc)che hanno come base un progetto personaliz-zato di inserimento sociale. Qui occorre evidenziare il difficile rapporto del-le Caritas e mondo del volontariato con i Comuni.Quest’ultimi tendono a scaricare i poveri sul volon-tariato. Ci si muove su binari paralleli; non si riescea capire le quote di denaro pubblico su cui si

può contare ed è ancora lontano pensare di for-malizzare convenzioni e collaborazioni, anco-ra meno avviare progetti organici di lotta alla pover-tà. Ma è una strada obbligata per tutti! Sono inoltre necessarie strategie di Welfareglobali, non basate su singole misure ma su uninsieme progettuale di interventi: aiuti economicidiretti, riduzione dei costi per l’accesso ai ser-

vizi locali, agevolazioni di tariffe, inserimento inprogrammi lavorativi e sociali che richiedono unimpegno attivo da parte dell’interessato, eccConservare e alimentare all’interno della nostrasocietà, un numero così esteso di poveri, pri-vandoli dei loro diritti essenziali, equivale a direche non solo la società è malata ma che tutti,in proporzione alle disponibilità,devono farsi cari-

co di questa grave lacuna. Lo devono fare le ammini-strazioni pubbliche (Regionie Comuni) che sono respon-sabili del bene comune. Essenon possono illudersi che lalogica del mercato possa risol-vere di colpo le disuguaglianze:è un compito della politica.Nemmeno si può delegareil tutto al volontariato, alleChiese, alla Caritas. Lodevono fare i cittadini perla loro responsabilità civica.L’economia sommersa èstimata intorno ai 270 miliar-di di euro. Nel frattempo lamanovra economica cercadi recuperare decine dimiliardi con tagli alle spese. Le risorse ci potrebbero esse-re, è davvero necessario uncambio culturale, che aiutia capire che l’evasione è unfurto ai danni della comunità.Infine anche gli stessi pove-ri sono chiamati a dare il loro

apporto al superamento della povertà, superandola passività e fatalismo. Oggi, per tutti, la strada lavorativa è in salita,esige capacità di adattamento anche ai lavoriumili. L’alternativa è emarginazione, l’assi-stenzialismo e la dipendenza a vita.

*Direttore Caritas diocesana

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1616 GennaioGennaio20122012

P. Vincenzo Molinaro

AA ncora non si è diffusa la notizia del pros-simo VII Convegno delle Famiglie chesi terrà a Milano dal 30 maggio al 3

giugno 2012. Il Santo Padre lo ha indetto conil consueto anticipo nel mese di agosto 2010 eha dato anche il tema che si annuncia partico-larmente stimolante. La nostra Diocesi ha voluto iniziare il percorsoformativo annuale con la conoscenza del tema.Ci siamo affidati alla parola ricca di Marco Lora,direttore generale del Forum nazionale delleAssociazioni familiari. Ed è stata una serata cal-da, il 24 novembre, con il caminetto acceso eil desiderio di ricominciare il cammino. In verità l’avvio, il primo incontro dell’anno, c’e-ra stato il mese precedente con una veglia dipreghiera e un momento di convivialità. Ora si fa sul serio. E siamo lieti che anche daSegni siano venuti per partecipare e dare spes-sore all’impegno diocesano. Cia auguriamo checresca e coinvolga tutte le parrocchie.

Marco Lora non si è fatto pregare e ci ha pre-sentato il tema Famiglia, lavoro, festa: versoMilano 2012.La prima parte riguarda una realtà che a occhiosi osserva soffrire sotto i colpi svariati degli even-ti. Una diffusa mentalità di relativismo cultura-le, oltreché morale, che vuole disfare i legamifamiliari e che si avvicina alla primaria istituzionenaturale solo con gli occhi dell’opportunismo eco-nomico. In tal modo si sono trasformati in fat-tori economici quelli che sembravano elemen-ti di carattere liberale e di attenzione ai più debo-li. Vedi tra separazioni, divorzi, aborto, procreazione(ir)responsabile, come anche la nostra societàoccidentale si stia riducendo numericamente einvecchiando, al punto che si sente parlare difallimento degli Enti previdenziali, che rischia-no il tracollo per mancanza di entrate e di lavo-ro per i giovani.In questa precaria situazione la famiglia tendeistintivamente a chiudersi nel privato, mentre lasocietà si muove come un insieme di individuie tutti i legami previi vengono ignorati.Il gioco delle relazioniL’impostazione che l’incontro mondiale propo-ne è quello di uno sguardo ampio sul tema fami-glia nel contesto delle relazioni, sia interne cheesterne. Lavoro e festa rappresentano due momen-ti importanti per rompere l’accerchiamento del-la famiglia e proiettarla nella società. Vivere la famiglia come spazio di relazioni vuoldire “aprire la casa”. Dove casa è espressionesintetica e simbolica di tanti fatti, legami affet-tivi e aperture al mondo circostante.Aprire la casa potrebbe essere il superamen-to della concezione dell’amore romantico e del-l’apertura al mondo con tutti gli altri elementi del-la vita civile, religiosa, culturale. Tra questi, pri-ma di tutto il lavoro. Questo non va considerato solo come il mez-zo del sostentamento economico ma dovreb-be esprimere il mondo delle identità personalie familiari che si aprono e si misurano con lasocietà. Vengono al pettine, come è ovvio, tut-ti i temi e conflitti moderni, a cominciare dalla

parità tra i sessi, al lavoro delle donne,al ruolo delle casalinghe.E poi, attualissima, la mancanza di lavo-ro per i giovani, questa allontana la pos-sibilità di stabilire un rapporto stabile conil matrimonio; altrettanto vale per l’in-certezza del lavoro che non è più a vita,quindi richiede di avvicinarsi ad esso comea un traguardo temporaneo, senza maichiudersi alla possibilità o necessità ditrovare un altro lavoro.La festaE’talmente complesso il rapporto lavo-ro/festa che già si può dire scomparsodal modo comune di pensare. Caso maisi dice lavoro/riposo settimanale. Per mol-te persone è lontano dalla idea che la dome-nica era in origine il giorno del risposoanche con finalità religiosa, per lo menoumana, sociale. Il riposo si connette allosvago, allo sport, al fine settimana sul-la neve o al mare. Quasi sempre que-

sto è percepito più come un fatto sociale chefamiliare. Per avere una certa reputazione devifare una vacanza che stupisca, quindi devi acqui-stare un’auto che sia apprezzata. Insomma l’ap-parire ha ricoperto l’ambito festivo e non si vedo-no tracce di spiritualità o di relazioni umane chenella festa sprigionano particolare significato. Proporrealle famiglie di umanizzare questo tempo vuoldire mostrare la via perche la festa esprima rela-zioni profonde familiari e sociali e non si perdaancora nella soddisfazione dell’individuo. Si tratterà di riscoprire la gratuità che dovreb-be segnare la caratteristica più valida del rap-porto familiare. Gioverà, nell’incontro di Milano,il ritrovarsi di tante culture, di tanti popoli, ognu-no con la propria sensibilità e le proprie tradi-zioni. Certamente lo scambio e la comunioneecclesiale arricchirà dei doni più belli patrimo-nio dei vari gruppi.Il Papa al Pontificio Consiglio per la famigliaNella udienza al Pontificio Consiglio della fami-glia, il primo dicembre scorso, a conclusionedel convegno di studio sulla Familiaris Consortioa 40 anni dalla sua promulgazione, il Santo Padrediceva: “La nuova evangelizzazione dipende ingran parte dalla Chiesa domestica (cfr ibid., 65).Nel nostro tempo, come già in epoche passa-te, l’eclissi di Dio, la diffusione di ideologie con-trarie alla famiglia e il degrado dell’etica sessualeappaiono collegati tra loro. E come sono in rela-zione l’eclissi di Dio e la crisi della famiglia, cosìla nuova evangelizzazione è inseparabile dal-la famiglia cristiana. La famiglia è infatti la via della Chiesa perchéè “spazio umano” dell’incontro con Cristo. I coniu-gi, “non solo ricevono l’amore di Cristo, diven-tando comunità salvata, ma sono anche chia-mati a trasmettere ai fratelli il medesimo amo-re di Cristo, diventando comunità salvante” (ibid.,49) Sulla scorta di queste parole autorevoli, ciaccingiamo a celebrare le feste natalizie e in par-ticolare quella della Santa Famiglia di Nazaret.Sempre per offrire spunti per unire le forze e susci-tare attenzione sulle potenzialità pastorali del-la straordinaria realtà che è la famiglia.

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1717GennaioGennaio20122012

DUE GIORNI PER I CRESIMATI ALL’ACERO

Prendete la vostra vita efatene un capolavoro

QQ ueste parole del Beato Giovanni Paolo II hanno ispirato ladue giorni per i cresimati, svoltasi al Centro S. Maria dell’Aceroil 26 e 27 novembre. Per la prima volta l’Ufficio Catechistico

ha promosso tale iniziativa, con l’intento di dare continuità all’esperienzache i cresimandi avevano svolto nello scorso anno pastorale, nel qua-le vi sono state tre iniziative di questo tipo per i ragazzi che si prepa-ravano a ricevere il sacramento della Confermazione. I ragazzi hanno avuto l’occasione di riflettere sulla ricchezza che la for-za della Pentecoste può dare alla loro vita, scoprendo che il rapportocon Gesù può essere continuato anche dopo i sacramenti dell’inizia-zione cristiana, ma esige sempre una loro scelta. Il sabato pomeriggio i partecipanti, provenienti dalla Parrocchia di S. Martino

di Velletri e S. Stefanodi Artena, iniziandocon la meditazionedel salmo 138, han-no partecipato alaboratori di cucinae manualità. Il fine era di scopri-re in maniera sem-plice ed esperienzialeil rapporto tra Creatoree creature, potendomanifestare libera-mente la loro fantasia,

usando materiale riciclabile ed apparentemente di poco valore, come ibruscolini, con l’aiuto di persone esperte in questi ambiti. La visione serale di un film ha stimolato i ragazzi a interrogarsi sui lorodesideri, sul sentirsi adeguati rispetto ad essi, per poter nella giornatadi domenica approfondire il rapporto con se stessi, con Gesù e con glialtri attraverso i giochi nei lavori di gruppo.La consegna del sacchetto di semi, simbolo della due giorni, al termi-ne della celebrazione eucaristica con le famiglie, ha invitato i ragazzi,mediante la continuazione del cammino di fede in parrocchia, a cer-care di essere “granel-lo di senape, che producerami tanto grandi che gliuccelli del cielo possonorifugiarsi sotto la suaombra”(Mc 4,31-33)

Ufficio catechistico

Storia dei semiBruno Ferrero

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone, c’era un angelo.«Che cosa vendete qui?», chiese il giovane.«Tutto ciò che desidera», rispose cortesemente l’angelo.Il giovane cominciò ad elencare: «Vorrei la fine di tutte le guerre delmondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stra-nieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunionenella Chiesa e…». L’angelo lo interruppe: «Mi dispiace, signore. Lei miha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi».

Riflessione

«I talenti sono come dei semi… Un seme è piccolo, pesa poco, ma quandodiventa un albero pesa molto di più… E sai cosa serve per far crescere un seme? Serve solo dell’acqua, ma dell’Acqua giusta, direi dell’Acqua di Vita». Dio stes-so è venuto sulla terra come un seme, un minuscolo germoglio. Un seme è un miracolo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate leimprese e i valori più grandi.

Brevi esperienze di

due ragazze:

A me è piaciuta molto la canzone che abbiamoascoltato; mi ha fatto molto riflettere sui doni ricevuti,cose di cui non mi ero mai accorta.(Elisa, parrocchia S. Martino)

Secondo me questo campo è stato fantastico! Con l’aiuto degli educatori sono riuscita a capire quan-to è importante per ciascuno, indipendentemente dapregi e difetti, fare della propria vita un capolavoro.

(Elisa, parrocchia S. Martino)

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1818 GennaioGennaio20122012

Mons. Franco Risi

Dinanzi al fenomeno così preoccupante della scri-stianizzazione dei popoli cristiani di vecchia data,urge, senza alcuna dilazione una nuova evan-gelizzazione: “Solo una nuova evangelizzazio-ne può assicurare la crescita di una fede limpi-da e profonda, capace di fare di queste tradizioniuna forza di autentica libertà”. (Ch L 34).

Il tempo che oggi siamo chiamati a vive-re è caratterizzato da molti cambiamen-ti talmente veloci che sembra che l’umanità

stessa non riesca a stare al passo; per esem-pio, non facciamo in tempo a comprare un com-puter o un telefonino che il giorno seguente neè già uscito un altro di qualità superiore. In que-sti ultimi cinquant’anni i cambiamenti sono sta-ti così tanti e rapidi che hanno lasciato nel sen-tire comune una serie di vuoti che sembrano incol-mabili. Sembra di essere comeun edificio che ha subito dei cam-biamenti di tipo strutturale, sul-le sue strutture portanti. E’ il pen-siero questo sostenuto da diver-si sociologi, i quali dicono che vivia-mo in un tempo in cui si deter-mina una crisi a tutti i livelli, eco-nomico, sociale, istituzionale, cul-turale, morale e spirituale. Essisottolineano che non si tratta solodi una crisi congiunturale, ma diuna vera e propria crisi struttu-rale. La prima crisi si ha quan-do cambiano gli equilibri interni,pur restando salde le strutture por-tanti della società. Invece l’altracomporta un crollo delle strutturestesse, perché a cambiare è ilmodello stesso di società.Pensiamo con un esempio ad unappartamento in cui viva una fami-glia; in essa si realizza la crisicongiunturale quando la cresci-ta del nucleo familiare compor-ta delle modifiche dovute a una nuova distribu-zione degli spazi. La crisi strutturale corrispon-de alla caduta di un pavimento e di un muro por-tante. Sempre i sociologi affermano che la cri-si strutturale, che la società attuale sta attraversando,è dovuta alla crisi della civiltà industriale alla qua-le va emergendo sempre più un nuovo model-lo culturale (cfr. Il Messaggio del Cuore di Gesù,12/12/2011, pp. 3-6). In tutto ciò, emerge la neces-sità di tutta la Chiesa di impegnarsi a trasmet-tere il Vangelo in un mondo che cambia, per aiu-tare a riscoprire i valori che danno senso pienoalla vita dell’uomo. La crisi che stiamo vivendooggi infatti non è solo economica, i recenti rime-di economici che andranno a risolvere, speria-mo, con non pochi sacrifici le sorti della nostranazione, raggiungeranno i loro obiettivi solo sefaranno propri i principi etici e di solidarietà chemirano al bene comune di tutta la società. Tuttoil Magistero dei Vescovi italiani insieme al Papa,sono orientati ad additare a tutta Chiesa questeindicazioni, che sono assolutamente ispirate allaSacra Scrittura. San Paolo, per esempio, ci ricor-

da che: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma èDio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, néchi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere.Non c`è differenza tra chi pianta e chi irriga, maciascuno riceverà la sua mercede secondo il pro-prio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, evoi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Sietevoi che piantate e irrigate, ma è Dio che, per mez-zo di Gesù Cristo, ha fatto crescere il vostro lavo-ro” (1 Cor 3, 1-9). Di fronte a questa meravigliosarealtà a cui noi siamo a volte inconsapevolmenteimmersi, come Mosè davanti al Roveto Ardente,il quale comincia a rendersi conto di quanto ilsuo popolo in schiavitù stava vivendo, così anchenoi in atteggiamento di preghiera dobbiamo pren-dere consapevolezza di quanto la nostra socie-tà sta vivendo e come Mosè, dovremmo rendercidisponibili davanti a Dio e alla Chiesa dell’azio-ne evangelizzatrice, nonostante le difficoltà che

possono emergere. La questione è di estremavitalità; I cristiani devono uscire dal torpore e agi-re in tutti i campi, in tutti i settori della società,portando con l’esempio della propria vita, conla coerenza delle proprie azioni suscitate e ispi-rate all’unica verità del Vangelo. Le nostre comu-nità cristiane devono riscoprire in questo contestola propria intrinseca istanza vocazionale. Uno stimato educatore M. Presciuttini qualcheanno fa dichiarava con forza “Si tratta di esse-re comunità chiamate a comunicare, confrontarsi,dialogare, ricercare insieme, mettersi in ascol-to dei bisogni della società, lavorare insieme sen-za contraddire la verità dell’annuncio evangeli-co”. Guardando a Gesù, Figlio di Dio fatto uomo,al suo esempio, egli non ha rinunciato a fare suotutto ciò che di umano può riguardare la salvezzadi ogni persona, cominciando dalla dimensionefamiliare. Il Concilio Vaticano II già prevedeva:“Perciò i genitori si rendano esattamente contoche la famiglia autenticamente cristiana ha perla vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio.Il compito di impartire l’educazione che spetta

primariamente alla famiglia, ha bisogno dell’aiutodi tutta la società”. (GE n.3). la famiglia trova ilsuo significato nel disegno iniziale di amore diDio; è responsabilità di tutti gli uomini promuo-vere e riportare continuamente in superficie il valo-re sociale e religioso che essa esprime. Essa attuail valore sociale che rappresenta, sia come cul-la della vita e dell’amore, sia come luogo primariodella educazione e delle abilità sociali e delle sanerelazioni tra persone. Rinforzata dal matrimonio, elevato da Cristo aSacramento, la Chiesa vede la famiglia come laprima comunità naturale in cui si sperimenta lasocialità umana e che contribuisce in un modounico ed insostituibile al bene della società. Una società a misura di famiglia è la migliore garan-zia contro ogni deriva di tipo individuale o col-lettivista, perché in essa la persona viene sem-pre considerata come un fine e mai come un mez-

zo. Nondimeno va sottaciu-to il delicato compito educativodi cui è investita; un ruolo chenon può essere facilmentedelegato ad altre agenzie edu-cative. Esercitando la sua mis-sione educativa, la famigliacontribuisce al bene comu-ne e costituisce la prima scuo-la di virtù sociali, di cui tut-te le società hanno bisogno.La comunità familiare, per-tanto, titolare di diritti invio-labili, non trova la sua legit-timazione nel riconosci-mento da parte dello stato.In ultima analisi essa si giu-stifica a partire dalla naturaumana ed è per questo cheessa non può essere rico-nosciuta come soggetto chela società o lo stato posso-no modellare a proprio pia-cimento. Sono la società elo stato, semmai, ad esse-

re a servizio della famiglia. (Cfr. GE 4. 5. 6. 7.8.) L’azione della comunità cristiana in questoambito è preziosa, anche se si deve fare anco-ra molto: per esempio, si deve andare incontroalla nostra gente, la dove essa vive, lavora, sidiverte, portando loro la gioia del Vangelo di Cristo,che è fedele sempre, che salva e dona vita, per-ché Dio non ama in astratto ma raggiunge l’uo-mo, ogni uomo, laddove egli è. Si tratta alloradi invitare i nostri fratelli a imparare a tenderel’orecchio, ad ascoltare la voce di Dio che non-ostante i rapidi mutamenti sociali e culturali, con-tinua a chiamare e ad amare l’uomo di oggi. Losviluppo di questo mondo contribuisce a costrui-re, come ci ricordava il Papa Paolo VI, la civil-tà dell’amore e il Natale che abbiamo da pococelebrato, ci ricorda che la vita in questo mon-do è la primizia della vita piena promessa da Dioagli operatori di giustizia e di pace. Tutti noi siamo quindi orientati a rispondere a que-sta visione di eternità impegnandoci nell’oggi arealizzare la propria vocazione conforme a que-sto Progetto di Dio.

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1919GennaioGennaio20122012

Fabricio Cellucci *

LLa nostra umanità cammina lungo la lineadella storia, in questo cammino si confi-gura non come un automa ma possiede

una ragione che la porta a riflettere e a formu-lare diverse considerazioni, idee e se percepia-mo una certa contrapposizione fra quello che ilVangelo ci propone e i nostri sentimenti è per-ché queste parole provengono dal cielo e non dal-la terra. È Cristo che le proclama, che le ha com-piute perfettamente con il suo esempio e che ciha concesso il dono del suo Spirito per poter ama-re i nostri nemici, fare del bene a quelli che ci odia-no, pregare per quelli che ci perseguitano e cicalunniano. In realtà, Cristo stesso, con il suoesempio, con la sua morte e risurrezione, èla misura del perdono che riceviamo da Dioaffinché anche noi sappiamo perdonarecompletamente. È Lui che ci annuncia la Pace,la mattina di Pasqua, affinché la possiamo con-dividere in un mondo rinnovato dall’amore; cicolma del suo Spirito perché possiamo ama-re tutti. Il perdono dei nemici, come hanno fat-to i martiri di tutti i tempi, è la prova decisivae la manifestazione autentica della radicali-tà dell’amore cristiano. Dobbiamo perdonare perché Dio ci perdonae ci ha rinnovato in Cristo. Se non perdonia-mo del tutto, non possiamo pretendere di esse-re perdonati. Invece, se i nostri cuori si apro-no alla misericordia, se si suggella il perdo-no con un abbraccio fraterno e si stringono ivincoli della comunione, proclamiamo dinan-zi al mondo la forza soprannaturale della reden-zione di Cristo. Come costruttori della pace,siamo chiamati figli di Dio; siamo “figli del Padreceleste, che fa sorgere il suo sole sopra i mal-vagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giu-sti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45).( GIOVANNI PAOLOII, omelia per i fedeli Salvadoregni sulla spia-nata “Siglo XXI)Il tempo della formazione in Seminario, hacome obbiettivo di formare ed educare pre-sbiteri che siano icona vivente del Cristo buonpastore, misericordioso. Questo cammino con-duce per mano noi seminaristi a scoprire e poifar maturare delle particolari arti: l’arte del per-donare e conseguentemente l’arte di amare. Il tem-po della preghiera personale di compieta la serama anche la meditazione quotidiana è tempo perverificare quanto queste arti siano maturate nelcuore di ognuno. Possiamo guardare il nostro cuore e fare una veri-fica profonda e vedere se la scelta profonda del-la nostra vita è orientata verso Gesù, che abbia-mo scelto di seguire oppure no. Questo alla lucedella legge dell’Amore del vangelo che non vuo-le la nostra oppressione ma vuole la nostra feli-cità più vera: molte volte quando pecchiamo cisentiamo oppure veniamo messi con le spalle almuro, veniamo puniti e non guariti. Quindi inte-riormente cresce il senso di colpa e non il sen-so del peccato, senso che mi permette di averepresente che sono peccatore ma che possiedola dignità di Figlio di Dio che per suo volere puòricevere perdono se confessa davanti al Signoreil proprio peccato. Sentirsi perdonato e Perdonare

non è fargliela pagare all’altro attraverso la ven-detta, ma è perdonare, cancellare l’offesa rice-vuta, riabilitare la persona ce mi ha offeso e rico-minciare con lei un rapporto di fiducia;purtroppomolte volte per noi uomini è proprio il contrario,basta aprire un giornale e delitti di vedetta sonoquasi all’ordine del giorno. Umanamente molte volte è difficile perdonare leoffese ricevute, in particolare quando è verso fra-telli adulti che hanno le nostre stesse forze, per-ché interiormente ed egoisticamente, si pensa cheil nostro perdono possa renderli più forti, dan-dogli così la possibilità di rivoltandosi contro dinoi e farci soccombere. Come Pilato anche glialtri possono metterci in croce, come hanno fat-

to con Gesù, ma nella nostra fede, nell’incontropersonale con il Risorto, facendo memoria di Luiche ha vinto la morte a cui l’uomo lo ha condannato,siamo sicuri che non potranno mai toccare la nostraanima la nostra vera identità al cospetto del Signore. Noi siamo del Signore ed Egli è il più forte di tut-ti. Perdonare è saper amare. Dobbiamo svilup-pare la vista del cure che ci mostra il fratello comenoi, fragile, peccatore, ma che comunque è degnodi essere e di meritare amore anche quando sba-glia e riconosce di aver sbagliato. Siamo tutti biso-gnosi di amore e di affetto, prima di tutto di quel-lo di Dio e anche di quello dei fratelli, in partico-lare quando sbagliamo. Verificare il nostro cuore ci fa percepire la con-sapevolezza che diventare come il Padre mise-ricordioso, della parabola dell’evangelista Luca(Lc 15, 11-38), è lo scopo della vita spirituale delcristiano in genere e in particolare del sacerdo-te e di coloro che si preparano se è volontà delSignore a divenire suoi ministri. Gesù vuole manifestare che Dio, è Dio di mise-ricordia, che accoglie gioiosamente i peccatori pen-titi. Se Dio, perdona i peccatori rendendoci sal-

vi e purificati, anche coloro che hanno fede in Diodovrebbero fare lo stesso. Far crescere in noi glistessi sentimenti di Gesù, è il cuore del messaggioche ci ha consegnato (Cfr. NOUWEN H. J. M, l’ab-braccio benedicente, meditazioni sul ritorno delfiglio prodigo, Queriniana 2007). Vediamo, allora, come nella vita di ogni uomo edonna, che nell’oggi rappresenta il figlio minoree quello maggiore, senta il bisogno di affetto. Ilbisogno di affetto è un bisogno che ci spinge aduscire dal nostro IO per dare in modo gratuito.Ma a volte capita che doniamo in modo interes-sato e diventiamo possessivi, gelosi e questo gene-ra quegli atteggiamenti di rivalità e invidia che costrui-scono solo dei muri. Riflettendo se percepiamo

una certa contrapposizione fra quelloche il Vangelo ci propone e i nostri sen-timenti è perché queste parole provengonodal cielo e non dalla terra. In quantoil Signore con la sua stessa vita, ci hainsegnato che la cifra del percorso èil dono gratuito della Croce che con-duce come esito la Risurrezione. L’ultima parola non è della morte maè della vita: l’Amore gratuito e obbe-diente alla volontà del Padre che haun progetto per ognuno di noi. Siamochiamati all’amore gratuito. Gesù chie-de a me, a noi in cammino verso il Signoredi relazionarmi con amore. In una rela-zione empatica, che si manifesta nelsapersi mettere nei panni del fratelloche ho davanti e nel rimanere ben pre-sente a me stesso. Nell’avere rispet-to per l’altro. Manifesto quando io comu-nico ad un altro, con il mio linguaggioverbale e non, che i suoi sentimenti ele sue esperienze sono importanti.Mettendo insieme al passo del rispet-to quello della sollecitudine. Maggiore,quindi, sarà la maturità con cui guar-do la mia identità, la mia storia, le mozio-ni, le idee insomma tutto quello che miidentifica, tanto più allora sarò capa-

ce di rivolgermi all’atro. Amare vuol dire saper-mi amare per quello che sono, allora potrò ave-re un vero sguardo umile. L’arte di amare in sostan-za si vede nell’umile: in chi non si sente auto-suf-ficiente ma libero di amare perché lo sente den-tro di sé, in chi è consapevole che Dio ha river-sato in lui il suo amore e la sua potenza.Amare in modo gratuito nelle relazioni. Siamo comel’impalcatura della casa: attua la sua esistenzain dipendenza dalla casa. Quando sono finiti i lavo-ri deve crollare, perché altrimenti non permetteche venga a manifestarsi la bellezza della casache anch’essa ha contribuito a costruire. In Gesù vediamo il suo amore totale per l’uomonel suo segreto messianico: per amore ha dovu-to accettare di essere frainteso, non capito e con-siderato addirittura un poco di buono. Possiamosperimentare quanto sia grande l’amore di Gesùche anziché chiedere l’interesse a quello che vie-ne a portare, dopo essere stato tradito fa addi-rittura una preghiera di ringraziamento. Lui il Figliodi Dio l’altissimo, non solo non pretende il Grazie.

*Seminarista diocesano

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2020 GennaioGennaio20122012

Suore Apostoline

Dopo aver parlato in generale della vocazione al matri-monio vogliamo adesso lasciare la parola a chi giàlo vive e a chi si prepara a viverlo come scelta divita. In particolare abbiamo chiesto a Marco e AnnalisaDe Meis, sposi dal 2005 e ad Andrea Ianni e LauraPaglia, prossimi al matrimonio, di raccontarci in bre-ve la loro esperienza.

Marco e Annalisa che cosa significa per voiche il “matrimonio è una vocazione”?La parola “vocazione” ha ormai assunto una con-notazione prettamente religiosa, nel senso cheviene associata all’idea di una scelta di vita con-sacrata, ma, di per sé ha un significato più ampio,comprensivo di molti aspetti di vita. “Vocazione”significa letteralmente :chiamata, che viene asollecitare una risposta responsabile in chi la rice-ve e si articola secondo le circostanze, le atti-tudini e la disponibilità dell’interessato. Nella storia interiore di ogni uomo c’è sempreperò una vocazione profonda all’amore e allafelicità, che sono i due aspetti della piena rea-lizzazione umana. Per questo crediamo che ilmatrimonio cristiano non sia solo una formali-tà amministrativa o burocratica e neppure unasemplice convenzione sociale, ma in modo piùprofondo è una vocazione.Come tutte le vocazioni anche questa va colti-vata giorno per giorno e non va abbandonataalla routine quotidiana.Come coltivate questa vocazione?Uno dei tanti modi per fare questo è allenare il

cosiddetto “sguardo positivo”.Questo sguardo positivo è un mezzo molto con-creto. Consiste nel ricercare costantemente, siste-maticamente, ogni giorno, nell’altro uno o piùaspetti positivi, un gesto compiuto o una rea-zione, una parola o qualunque altra cosa posi-tiva da parte sua, e ringraziarne il Signore.Questo sguardo positivo poggia su una decisione:sulla decisione di aprire il proprio cuore all’al-tro. Non è sentimentalismo, anzi, è il contrariodel sentimentalismo. È una decisione, non dipen-de dunque dall’umore del momento.Non basta avere uno sguardo positivo sull’al-tro, ma bisogna anche agire positivamente neiconfronti dell’altro. Come lo sguardo positivo,anche l’atto positivo deve poggiare sulla deci-sione di aprire il cuore all’altro, di cercare ciòche può fare piacere all’altro tenendo conto deisuoi desideri, dei suoi gusti e non soltanto deinostri. Quello che è importante è imparare, allascuola di Gesù, la gratuità del dono.

Dall’atto positivo che si compienon dobbiamo aspettarci subi-to e ogni volta una contropar-tita immediata.Come vivere ogni giorno il matri-monio?Spesso dopo un periodo di matri-monio si è presi da tante occu-pazioni: dai figli, dal lavoro, dagliimpegni sociali ed ecclesiali edè difficile trovare il tempo perstare insieme in maniera gra-tuita. E’ invece di fondamentaleimportanza ritrovarsi di tanto intanto a tu per tu con il propriocompagno di vita in un tempoprivilegiato di condivisione.Questo è ciò che avviene in modonaturale durante il periodo delfidanzamento, c’è il desideriodi conoscersi e stare insiemee questo è un po’ lo spirito daavere per sempre!

Andrea e Laura che cosa è per voi il matri-monio?E’ ciò che ci renderà una famiglia a tutti gli effet-ti, con tutte le difficoltà che questo legame com-porta, e che solo l’amore può superare.Sentiamo che il nostro amore in questo sacra-mento si trasformerà: non sarà più solamentela motivazione profonda per la quale siamo arri-vati a questo passo, ma diverrà la forza con laquale realizzare il nostro progetto di vita. Questo SÌ ha il sapore di una promessa di verafelicità!Perché la scelta del matrimonio e non del-la convivenza come fanno molti giovani?La vita è un investire tempo ed energie in quelche ci interessa, ci appassiona e soprattutto cirende felici. L’investimento è (o facciamo di tut-to perché sia) proporzionale al nostro coinvol-gimento. Che alternativa puoi avere se un belgiorno arriva quell’attimo in cui realizzi che haidi fronte a te la persona che vorresti vicino tut-ta la vita? Investi... tutto te stesso. In quell’attimo realizzi con precisione cos’è chevuoi, e tutti i discorsi “logici” come “fare una pro-va” o “vedere come va” non sono all’altezza delsentimento che provi in quel momento, strido-no completamente. Realizzi che sarà difficile,ma aneli al “per sempre”! Su cosa volete fondare il vostro matrimonio?Sulla Verità innanzitutto, che ci rende capaci diaccogliere e custodire le debolezze reciproche.In questo modo l’amore e il dialogo daranno frut-ti di vera unione anche nei momenti più diffici-li. Sulla felicità, e sul riscoprirla ogni giorno intutti i modi possibili. Se un progetto non portaalla felicità vera e profonda non e’ il progetto diDio!Infine, sull’importanza di tener sempre vivoil nostro amore, cercando di continuare a cre-scere come persone e come coppia per tuttala vita. Questo mondo è infinito, scoprirlo in duesarà più bello, discuterne in due porterà più ric-chezza nei nostri cuori e nelle nostre menti, con-dividerlo con i nostri figli, se Dio ce li concede-rà, sarà il dono più grande!

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2121GennaioGennaio20122012

Franco Montellanico

NN ell’ultimo incontro dei diaconi con lefamiglie, abbiamo pensato di raccontarela storia del diaconato nella nostra

diocesi, attraverso l’esperienza di ognuno di noi,come e perché abbiamo pensato di diventarediaconi permanenti.Sono Franco Montellanico e la mia storia ini-zia nella chiesa del SS. Crocifisso di Velletri,dove con Don Claudio Gamboni avevamo fon-dato la “Comunità del Vangelo” nel 1969. Pienidi gioia per le novità del Concilio Vaticano II,la nostra comunità era viva e fiorente per la par-tecipazione di molti giovani. Le attività spunta-vano come funghi, erano tantissime, incontrodel Vangelo, giornalino, teatro, spettacoli musi-

cali, animazione nelle case di riposo, orfano-trofi, quartiere ecc.Un giorno Don Claudio mi disse: “vuoi diven-tare diacono?” ed io risposi: “ma che roba è?”.“Non ti preoccupare” rispose “poi capirai”. Insieme a mia moglie Nadia cominciammo a chie-derci se questa scelta di vita che coinvolgeva

il nostro matrimonio poteva essere unqualche cosa che avrebbe messo in dif-ficoltà noi e i nostri figli. Eravamo sposati da tre anni e aveva-mo Emanuela, il giorno dell’ordinazio-ne Nadia aspettava Marco. Decidemmodi iniziare questa avventura che si rive-lò, si rivela e sicuramente si rivelerà bel-lissima. Iniziai la scuola di teologia, e il2 luglio 1983 il Vescovo Mons. MartinoGomiero mi ordinò diacono permanen-te. Sotto la guida di Don Fernando DeMei e dei diaconi già ordinati iniziai il miocammino sperando di capire sempre dipiù chi era questa bestia rara chiama-ta “Diacono permanente”. Continuai ad animare la Comunità delVangelo insieme a Don Claudio per altrisette anni e nel 1990 andai nella chie-

sa di San Lorenzo di Velletri chiamato da DonGiuseppe Centra. In questa chiesa insieme a mia moglie e ad alcu-ni amici, cominciammo la nuova storia che duraancora oggi con la stessa gioia, la stessa viva-cità e un entusiasmo sempre nuovo.Nonostante tutti questi anni trascorsi e tutte leattività svolte e in svolgimento devo dire che que-sto diaconato ancora ha qualche cosa di oscu-ro, e questo, se prima era motivo di dispiace-re, oggi è motivo di grande gioia perché mi spin-ge a scoprire cose nuove e a capire sempre dipiù che cosa Dio vuole da me, mi proietta ver-so un futuro bellissimo che posso sicuramen-te chiamare “Vangelo”.Quello che faccio e che un diacono può farenon mi importa, ma sapere di essere stato scel-to da Dio per essere l’icona del servizio e poterdire a tutti che essere servi nella veste di padre,madre, operaio, impiegato, dirigente ecc, è sicu-ramente un atto “sacro”e che porta alla santi-tà mi riempie di gioia. Ciao a tutti e grazie, per chi ne vuole saperedi più sono alla Chiesa di San Lorenzo di Velletritutti i pomeriggi.

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2222 GennaioGennaio20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

IIl 30 novembre scorso è tornato allacasa del Padre Mons. Agostino DeAngelis.: era Prelato Uditore della Rota

Romana, giudice della Corte d’Appello del-lo Stato della Città del Vaticano, nonchéprestigioso canonista in questioni civili.

Così si legge nel necrologio pub-blicato sull’Osservatore Romano e si potreb-bero aggiungere ancora molti titoli e bene-merenze: era Cappellano del Senato del-la Repubblica e Rettore della Chiesa di S.Ivo alla Sapienza, docente di Giurisprudenzadello Studio Rotale, ma perme è soprattutto un gran-de prete romano, che hoavuto la grazia di avere comeamico.

E’ stata una sor-presa, al mio arrivo aVelletri come vescovo,scoprire che Agostino mi ave-va già da molto tempo pre-ceduto in questa diocesi,tanto da essere stato nomi-nato Canonico Onorario del-la Cattedrale di SanClemente.

E, forse, l’aggetti-vo che più si adatta a descri-vere la sua personalità èproprio “sorprendente”, nelsenso che non finiva maidi stupire per la competenzae la saggezza dei consigli,per l’energia e la decisio-ne di cui dava prova nei momenti diffici-li, nonostante l’apparenza di persona timi-da e indifesa, ma, soprattutto per il vero

culto dell’ami-cizia e la bon-tà profonda, che

a volte poteva far-lo sembrare

anche ingenuo. Ci siamo cono-

sciuti 47 anni fa, ione avevo 18 e luipoco più di 21, almio ingresso comealunno del CollegioCapranica e le fotodi questa paginasono state recu-perate dai ricordi diquei tempi lontani,quando avevamo

costituito il club alpino capranicense; la pas-sione comune per le passeggiate inmontagna fu l’occasione per conoscercimeglio e stringere un legame destinato adiventare sempre più vivo e profondo.

Da preti le nostre strade si sonodivise, io in parrocchia, lui negli uffici di curia,ma al servizio della stessa Chiesa di Roma,che Agostino ha amato e servito fino all’ul-timo e con tutte le sue forze e capacità,organizzando e potenziando l’ufficio lega-le del Vicariato, necessario e indispensabile

baluardo giuridico della diocesi, che gli devenon poca riconoscenza se le tante inizia-tive e attività si sono sempre svolte nel segno

della giustizia e dell’equità.Sbaglierebbe comunque di gros-

so chi pensasse che fosse solo abile a destreg-giarsi tra innumerevoli articoli di codici civi-li e canonici e questo è l’aspetto più sor-prendente, emerso in modo evidente datante testimonianze espresse al momen-to del suo funerale.

E’ stato prete fino in fondo e il suoquotidiano e gravoso impegno specificonon gli ha impedito di dedicarsi alla curadiretta di gruppi di giovani e di famiglie,alla catechesi e ai campi scuola, al mini-stero dell’educazione e a quello sacramentaleed è significativo che i due aspetti dellasua vita sacerdotale siano scaturiti dallastessa sorgente dell’ansia e della caritàpastorale.

E’ stato sorprendente anche nelmodo con cui ha affrontato il terribile momen-to della malattia, che ha stroncato pre-maturamente la sua vita terrena: ne ha cono-sciuto la gravità fin dall’inizio, ma questonon gli ha impedito di proseguire nel suolavoro fino all’ultimo giorno, di presiede-re l’Eucarestia fino all’ultima domenica, dicreare l’occasione, consapevole dellafine imminente, per salutare i suoi cari.

Quando gli chiedevo della sua salu-te le sue risposte rivelavano preoccupa-

zione, ma anche serenità efiducia, quasi un certo dis-tacco, come si trattasse diun fatto da mettere in con-to e da accettare, che occor-reva far gestire non solo daimedici, ma soprattutto dal-la Volontà e dalla Provvidenzadel suo Signore.

Siamo stati privatidei suoi preziosi consigli, del-la sua presenza rassicurantee competente, di cui anchela diocesi di Velletri - Segniha fatto ampia esperienza,della sua allegria serena negliincontri con gli amici, ma rima-ne la sua testimonianza dicristiano e di prete e la comu-nione di vita, delle quali nonfiniremo mai di rendere gra-zie a Colui che ci ha chia-mati a partecipare delle sue

Beatitudini, i cui tratti abbiamo potuto rico-noscere tutti nel volto di Agostino.

Nella foto: La messa di mons. Arrigo Miglio e mons. Agostino De Angelisai prati del Nivolet, nel 1967

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2323GennaioGennaio20122012

Suor Palmira e comunità Figlie Maria Ausiliatrice,

Colleferro

NN ella presentazione del Card. Angelo Bagnasco agliOrientamenti pastorali della Cei per il decennio 2010/2020,si legge che “essi intendono offrire alcune linee di fondo per

una crescita concorde delle Chiese in Italia nell’arte delicata e sublimedell’educazione. In essa (…) riconosciamo una sfida culturale e un seg-no dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanentedella nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo e di farsì che ogni uomo possa incontrarlo, scoprendo la forza trasformantedel suo amore e della sua verità, in una vita nuova caratterizzata datutto ciò che è bello, buono e vero”.Nell’orizzonte dell’attualità ecclesiale, che assume la sfida grande del-l’educazione, non si può non raccogliere l’eredità di tanti santi e sante- che hanno fatto dell’educazione la via privilegiata dell’evangelizzazione- la cui eredità viene custodita dai molti Istituti religiosi da essi fondati.Tra questi, quello delle Figlie di Maria Ausiliatrice guarda a don Boscocome un santo la cui vita e la cui esperienza di sacerdote ed educa-tore è eloquente ed efficace ancora oggi.L’intuizione di Don Bosco è stata quella di cogliere, in un momento stori-co di grande transizione – la seconda metà dell’Ottocento - che face-va di Torino una città ricca di fermenti e di movimenti sociali, quantofosse urgente dedicare una specifica cura al mondo giovanile che,sebbene carico di povertà, fosse luogo privilegiato e bacino dirisorse incommensurabili in cui gettare le basi per un futuro fonda-to sulla giustizia, sulla pace, sulla solidarietà, dunque, ambitonon più trascurabile per una capillare azione di evangelizzazione.La Famiglia religiosa voluta da don Bosco, che vedeal suo interno gruppi di consacrati (Salesiani, Figlie diMaria Ausiliatrice, ecc.) e laici (Salesiani Cooperatori,ecc.) nel tempo ha dato vita a opere ed istituzioni educa-tive molto diversificate (oratori, parrocchie, scuole, uni-versità, centri di formazione professionale, casefamiglia, convitti, pensionati universitari, ecc.) che, cer-cando di stare al passo con i tempi, si impegnata arispondere ai bisogni del mondo giovanile.Ci si chiede qual è il “cuore” pulsante di una gammacosì vasta di attività, qual è la “cifra” del carisma dona-to a don Bosco e da lui trasmesso ai suoi figli. Ripercorrendo

la storia di 150 anni di presenza salesiana in Italia e nel mondo intero,si scorge nel cosiddetto “sistema preventivo” il cuore di un’azione educa-tiva che mira allo sviluppo integrale della persona e che don Bosco rias-sumeva nella formula “educare buoni cristiani e onesti cittadini”. Taleazione educativa poggia su tre pilastri che don Bosco ha chiamato: ragione,religione, amorevolezza. Per don Bosco, come prima istanza, l’educazione – per essere tale –non può non fare appello ai valori fondamentali della vita umana e fon-darsi sulla capacità di raggiungere la verità, la bellezza, la bontà. In seconda istanza, don Bosco crede che la persona umana è aperta,per sua natura, alla trascendenza, all’ “oltre” del “qui” e “ora”, le cui esi-genze trovano risposta e senso in una vita cristiana vissuta intensa-mente che costituisce la ricchezza degli ambienti educativi da lui isti-tuiti. E, come ultima istanza, don Bosco sa che “l’educazione è cosadi cuore” per cui un’azione educativa efficace deve partire dal “cuore”degli educatori e arrivare “al cuore” dei ragazzi, luogo delle scelte e delledecisioni fondamentali della vita.Il sistema educativo di don Bosco è compito di una ”comunità educante”,cioè l’azione educativa – per essere tale – necessita di un ambienteeducativo in cui gli educatori condividono la stessa visione della realtà,gli stessi valori, e mettono insieme le risorse per raggiungere gli obi-ettivi educativi concertati. In tale ambiente, i ragazzi “respirano” e “sentonodi essere amati”, accolti e accettati così come sono, ma anche così comesaranno in grado di diventare.“Fare memoria” di don Bosco educatore è un‘occasione privilegiata pervolgere lo sguardo al mondo giovanile di oggi, per lasciarsi interpellaredalle domande di senso che esso pone al mondo degli adulti e, nellostesso tempo, riprendere fiducia – semmai essa si fosse indebolita davan-

ti ai mille problemi che l’educazione oggi comporta – e apprendereda un maestro come lui, esperto in umanità,

la strada per rendere il mondo piùumano perché più

“educato”.

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2424 GennaioGennaio20122012

San Vitaliano e il card. Pericle Felici

Francesco Cipollini*

NNel 672 si spegneva papa Vitaliano. Eranato a Segni. Ci troviamo dunque a cele-brare oggi il 1340° dalla scomparsa. Il

1° ottobre 1972, l’allora diocesi di Segni, per ini-ziativa del vescovo Luigi Maria Carli, volle ricor-dare con diverse celebrazioni il XIII anniversariodella morte del nostro concittadino successore diPietro nel governo della chiesa. Ma come ricor-deranno i lettori più attenti di questo giornale, in

quest’anno la diocesi ha ricordato anche il primocentenario dalla nascita di un nostro grande con-cittadini che è stato (così dicono le voci ben infor-mate) molto vicino all’essere anch’egli uno dei suc-cessori di Pietro, il card. Pericle Felici. Mi sem-brava doveroso abbinare le due ricorrenze. Trale possibili opzioni, per poter significare meglio ilrapporto di unione fra i due concittadini che han-no servito la chiesa e il popolo di Dio con cosìgrandi responsabilità, ho scelto di riproporre unalettura dell’omelia che il quel 1° ottobre di 40 annifa, l’illustre porporato segnino tenne in una magni-fica cattedrale parata a festa per l’occasione, pro-prio per commemorare il papa segnino. Spero di riuscire a rendere omaggio in questo modoad entrambi: insieme ad altri, sono coloro che han-no contribuito a far conoscere il nome di Segniin tutta la chiesa e, con una punta di campanili-smo neanche tanto velata, in tutto il mondo. Muovendodal confronto fra il papa segnino ed altri pontefi-ci, il card. Felici si rammarica che la memoria diVitaliano non sia altrettanto diffusa: “non è ricor-dato da molti come un grande papa, alla pari, adesempio di Innocenzo III, nato pure egli nella dio-cesi di Segni; la sua santità non avuto largo cul-to, come quella di un Gregorio VII, che alla dio-

cesi di Segni fu unito per la collaborazione di sanBruno”. Prosegue però il suo discorso evidenziandoquanto, ad una analisi più approfondita, sia fon-damentale la sua opera “tuttavia la sua figura sistaglia nel firmamento del pontificato romano nonsolo per aver governato la chiesa in tempi diffi-cili (ma quali sono i tempi facili per la chiesa?)per circa 15 anni [...] ma anche per aver promossoun profondo rinnovamento liturgico, un desideriofattivo di pace e di unità con l’Oriente e un sin-golare spirito missionario”. Analizzando il pen-siero ecclesiologico del papa segnino, il card. Felicifa riferimento all’immagine che egli usa per defi-nire la chiesa “unica colomba di Cristo” e la para-gona alla colomba del diluvio come portatrice dipace: “l’immagine usata da Vitaliano mi sembrache essa sia oltre che poeticamente fascinante,teologicamente esatta e piena di significato nonsolo per quanto riguarda la Chiesa nella sua atti-vità ad intra, come si è detto nel concilio, ma anchenei suoi rapporti con il mondo, al quale la chie-sa porta la purezza e la pace di Cristo, la purez-za della verità e dei costumi, la pace delle coscien-ze, delle famiglie e delle nazioni”. Un altro aspetto trattato dal porporato segnino èil complesso rapporto tra il nostro papa e l’imperatored’Oriente Costante II. Vitaliano si è trovato al cen-tro di complesse problematiche legate al ruolo delpapa nelle sue relazione con gli altri patriarchi del-l’oriente e nella definizione dell’ortodossia riguar-do alle due nature nell’unica persona di Cristo.Concludendo la sua disamina del comportamentodel pontefice durante la discussa visita a Romadell’imperatore Costante II, così viene sinte-tizzato l’operato del nostro pontefice: “qualunquesia il giudizio che gli storici possano dare sulmodo di comportarsi di Vitaliano versoCostante II, rimane evidente l’amore del papaalla chiesa e la sua rettissima intenzione diben servirla anche in quella circostanza”. Untema caratterizzante del pontificato di Vitalianofu l’evangelizzazione dell’Inghilterra. Così ladescrive il card. Felici: “Vitaliano mostrò unaqualità specifica della chiesa, messa in gran-de risalto dal Vaticano II. La Chiesa è per natu-ra sua missionaria. Come fu un grande papaecumenico, S. Vitaliano fu un papa missionariocon il metodo che il Vaticano II espone e qua-si consacra nel suo decreto sulle missioni”.Trovo molto interessante questa attualizzazionedell’operato di Vitaliano, in relazione al det-tato conciliare del Decreto Ad gentes al n.°10. Una riproposizione che viene proprio dacolui che di quel concilio fu il Segretario gene-rale! Chiude così l’analisi sull’attività missio-naria: “come Gregorio magno inviò inInghilterra Agostino, così papa Vitaliano inviòTeodoro che fu, come il primo, vescovo diCanterbury. S’incrementò in Inghilterra con la

fede, il culto liturgico secondo le venerande tra-dizioni romane; le relazioni con Roma si feceropiù cordiali e più frequente e fruttuoso divennel’invio di giovani inglesi a Roma; talché l’ingleseFilippo Michele Ellis, vescovo di Segni nel XVIIIsec. poté chiamare Vitaliano «coapostolodell’Inghilterra» insieme a Gregorio Magno”. Una omelia che, pur collocata nello specifico del-le celebrazioni centenarie della morte del papasegnino, conserva intatta la sua valenza e la suaattualità, non solo per come ripercorre le princi-pali direttrici del ministero petrino svolto dal papasegnino, ma anche e soprattutto per l’attualità concui lega la devozione a S. Vitaliano con l’impe-gno che ogni giorno, il cristiano mette nel trasformarela sua vita in quella sequela Christi che è la pie-na realizzazione del cammino dell’uomo. A que-sto servono i santi, non tanto ad essere contemplatima piuttosto ad essere imitati: in fondo loro ci han-no preceduto sulla strada che oggi noi percorriamoe che ci porterà all’incontro finale con il Padre.Prendo in prestito le parole conclusive del cardi-nale: “illuminati dalla luce di Cristo, seguendo ilegittimi pastori, innanzitutto il papa, saremo, inforza del battesimo e della cresima, veri aposto-li, edificando così nel posto che a ciascuno com-pete, il mistico edificio che ha per pietra angola-re Cristo [...] la Vergine Addolorata, Regina delRosario, ci aiuti con la sua intercessione e ci con-forti con il benedicente materno sorriso”.

*Docente IRC e Storico della Chiesa

PARROCCHIA S. MARIA ASSUNTA CONCATTEDRALE - SEGNI

Festa di S. Vitalianopapa segnino

Nei giorni 25 - 26 - 27 gennaio 2012

TRIDUO DI PREPARAZIONE

Ore 17.00 Rosario e S. Messa con breve omelia.

DOMENICA 29 GENNAIO 2012Ore 10.30 SOLENNE CONCELEBRAZIONE

presieduta da MONS. VINCENZO APICELLA,VESCOVO DI VELLETRI-SEGNI

animata dalCOLLEGIUM MUSICUM SIGNINUM

diretto dal M° G. PIZZUTI.Ore 11.30 In Piazza S. Maria

INTRATTENIMENTO MUSICALE

con la BANDA CITTÀ DI SEGNI,

diretta dal M° M. VARI.Al termine, trasferimento della Banda,

degli Ospiti e delle Autorità all’Istituto Mons. Sagnori.

CONCERTO DELLA BANDA

NEL CORTILE DELL’ISTITUTO.Nel corso della manifestazione,

tradizionali doni ai presenti.

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2525GennaioGennaio20122012

Don Claudio Sammartino

CCari Segnini, scusate la domanda che visembrerà oziosa, ma vorrei chiedervi: “Perquale motivo i nostri antenati, durante l’e-

pidemia di colera del 1854 pregarono, per la lorosalvezza, sotto il quadro dell’Addolorata e nonsotto il grande dipinto dell’Assunta, cui peraltroera ed è dedicata la Cattedrale? Perché non sivotarono ad altre devozioni?”.Non si trattò d’una scelta emotiva e casuale odettata dal fatto che dalla 2a metà del 1700 iPadri Dottrinari, che officiavano al Gesù, avevanointrodotto in Segni la devozione alla Vergine del-la Pietà, poi chiamata più familiarmente“l’Addolorata”( il cui quadro si trovava nella sud-detta chiesa). I nostri antenati si rivolseroall’Addolorata perché sapevano – ripetiamo - sape-vano che circa 60 anni prima l’immagine dellaMadonna, conservata al Gesù, era stata ogget-to di un fenomeno “prodigioso”. C’è infatti a Roma,nell’archivio generale dei Padri Dottrinari, un docu-mento in cui si legge: “l’immagine della Vergine(l’Addolorata n.d.r.) fu in più occasioni veduta congli occhi ora aperti ora chiusi da più persone, qua-si presagire volesse l’infelicità dei tempi”.Peccato che non ci sia un chiaro riferimento all’an-no in cui il prodigio avvenne; il Padre LudovicoVivaldi, che fu rettore del Gesù dal 1807 al 1828scriveva ancora, nel documento citato, che il feno-meno si verificò: “sul finire del secolo andato”.Siamo quindi nel decennio che precede il 1800,

e già si era a cono-scenza del moti-vo per cui il qua-dro dell’Addolorataera ritenuto “mira-coloso”! Ed èsempre il P. Vivaldiche, caduto efratturatosi “mala-mente” una gam-ba, da devoto dell’Addolorata rivolse a Lei le suapreghiera e fu esaudito immediatamente con unaguarigione istantanea, tanto che per ringrazia-mento offrì come ex-voto una gamba in argen-to dorato. Questo scriveva, nel suo libretto com-memorativo “Memorie della Prodigiosa Immaginedi M. SS. ma Addolorata” , Mons. Sagnori nel1915; anzi ricordava anche, come poi riprese mons.Navarra nel suo opuscolo “La Vergine Addolorata”(Segni 1987), che la prima ad accorgersi (allafine del 1700) del movimento degli occhi dellaVergine fu una certa Vittoria Della Peco, che concelerità fulminea divulgò la notizia ai Segnini, checonstatarono anch’essi il prodigio. Allora sareb-be il caso di correggere l’inesattezza ed infon-datezza dell’affermazione, spesso riportata in alcu-ni scritti, secondo cui….”non sappiamo per qua-li motivi (il quadro) sia definito miracoloso” nel-l’inventario che così lo catalogò per la prima vol-ta nel 1832. Sappiamo bene invece, e meglio losapevano i Segnini che vissero a cavallo dei seco-li XVIII e XIX, per quali motivi prodigiosi il qua-

dro dellaVergine deidolori era par-ticolarmentevenerato dainostri antena-ti, che si reca-vano a porta-re le loro richie-ste più ango-

sciose ai piedi di quell’immagine che in seguitosarà sempre più venerata ed amata.Queste brevi righe vogliono essere, con tutta l’u-miltà di chi non è storico né archeologo, un augu-rio che per l’avvenire, quando si apriranno le por-te del Gesù per mostrarne le bellezze, chi istrui-rà i visitatori si ricordi che “sappiamo benessi-mo” da fonti scritte (seppur esigue!) per quali fat-ti straordinari il quadro dell’addolorata era con-siderato miracoloso fin dall’ultimo decennio delXVIII secolo ed attirò la particolare devozione deiSegnini che nel 1854… A proposito, chiedo scusa alla esigua pattugliadi estenuati lettori se in queste fugaci note si sonoripetute notizie già pubblicate in Ecclesia del novem-bre 2010, in un articolo che metteva in relazio-ne il fenomeno del movimento degli occhidell’Addolorata con l’esplosione, tra il 1796 edil 1799, di centinaia di prodigi analoghi verifica-tisi in Roma ed in numerosi centri dell’allora StatoPontificio, tra i quali Gavignano.Ma come dice-vano gli antichi Romani: “Repetita iuvant” ?

Francesco Canali

UUno dei Santi più popolari della cristianità,è certamente S. Antonio Abate, Santo tau-maturgico, patrono degli animali, “lottatore”

formidabile contro il demonio e fulgido esempiodi virtù cristiane. Antonio nasce a Coma, MedioEgitto, verso la metà del III sec. da una ricca fami-glia di agricoltori. Alla morte dei genitori, seguen-do l’esortazione evangelica “se vuoi essere per-fetto, và, vendi ciò che hai e dallo ai poveri”, dis-tribuì tutte le sue sostanze ai poveri e visse perpiù di ottantanni nel deserto egiziano, raccogliendoattorno a sé numerosi discepoli, i cosiddetti “padridella chiesa” che vivevano in grotte e anfratti sot-to la guida di un eremita più anziano e con Antoniocome guida spirituale. Fu il più illustre tra i monaci della chiesa antica,il fondatore e il “patriarca del monachesimo cri-stiano” nonché primo degli abati. Morì ultracentenarioil 17 gennaio dell’anno 357, giorno commemo-rativo della festa del Santo. Il culto di S. AntonioAbate a Gavignano è antichissimo, legatosoprattutto alla vocazione agricola del paese ealla presenza degli Antoniani. Infatti il Santo, nonsolo era invocato contro le epidemie, le pesti edaltri morbi contagiosi e in particolare contro il “maledegli ardenti” più conosciuto come Fuoco di S.Antonio e corrispondente a due diverse malat-

tie, l’ergotismo e l’herpes zoster, ma èanche il patrono del mondo contadino;in particolare egli protegge le case colo-niche, le stalle e i fienili dagli incendi. E

proprio nelle stalle e nei fienili, è ancora oggi faci-le trovare appesa l’immagine del Santo attorniatoda animali domestici. Le prime notizie certe suifesteggiamenti di S. Antonio Abate a Gavignano,risalgono agli inizi del Settecento. La festa, organizzata dai “forti e potenti” bovarie carrettieri, aveva inizio di “buon ora” con lo scop-pio dei mortaretti e il consueto “giro” del tambu-rino attorno al paese. Dopo la celebrazione del-la S. Messa nella chiesa del Calvario ove era custo-dita la statua del Santo, aveva luogo lungo la “pas-seggiata del Calvario (oggi località pincetto), latradizionale benedizione degli animali durante laquale il celebrante benediceva “ogni sorte di bestia-me che a questo fine approntati si ritrovano, doveli padroni de li quali, chi con cera e chi con altricon denaro, per sua devozione al sopradetto Santoofferiscono”. Nel pomeriggio si svolgevano i tra-dizionali giochi popolari come la corsa dei “sac-chi”, la corsa dei somari e la “gara” delle pigna-te”. In qualche circostanza, a partire dalla metàdell’Ottocento, veniva estratta anche una tombola.La statua del Santo viene così descritta: “alta cin-que palmi con brace in mano destra et un cam-panello” con ai piedi il fedele maialino. E’ la raffigurazione iconografica tramandata dal-la tradizione: ” un vecchio calvo dalla barba bian-ca, con il fuoco in mano e il maialino”. Il simula-cro, proveniva dal Santuario Mariano di Rossilli

posto lungo l’antica Via Latina, sede per oltre tresecoli dell’Ordine degli Antoniani, Ordine sorto nelXII sec. per l’assistenza dei pellegrini e dei vian-danti lungo le principali vie di comunicazione. La festa di S.Antonio Abate si è svolta fino allaseconda metà del secolo scorso quando i gavi-gnanesi, dimentichi delle proprie radici culturalicontadine, al posto del mite e preziosissimo asi-no, dell’elegante e superbo cavallo, del “pio” bove”,delle chiassose oche e dei simpatici cani e gat-ti, hanno sostituito le roboanti automobili più con-sone per la frenetica e caotica società moderna.

Nell’immagine: Sant'Antonio abate tentazioni,Hieronymus Bosch, Rotterdam

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2626 GennaioGennaio20122012

Don Daniele Valenzi

IIl secondo capitolo del secondo libro dellesentenze di Bruno di Segni ci porta a fer-mare il nostro sguardo sulla grande virtù

della speranza. Nel magnifico accordo delle trevirtù teologali la speranza sta nel mezzo, tra lafede e la carità, formando quasi la nota di pas-saggio dalla prima alla seconda. La fede dischiudealla mente gli orizzonti delle verità divine, la spe-ranza si apre alle incommensurabili ricchezze del-la divina bontà. La speranza dunque riposa suuna verità di fede: la bontà e l’amore divino. Quandola volontà si attacca con confidenza a questa divi-na bontà, sotto la mozione di una virtù sopran-naturale speciale, si ha la speranza. Essa è tal-mente legata alla fede, che non si può parlaredella vita e dello spirito di fede, senza parlare del-la confidenza che essi infondono nell’anima, ciòche è entrare nel campo della speranza. Dalla speranza ci si può allontanare in due modi:per difetto e per eccesso. Coloro che si allonta-nano da questa grande virtù per difetto sono costo-ro che disperano della salvezza o si scoraggia-no da suo conseguimento. Il primo atteggiamentopuò essere determinato o dall’incredulità o dal-

l’eccessivo attac-camento ai benidi questa terra. Ladisperazione inve-ce, è il più dellevolte determina-ta dalla sfiducia.Talvolta però ledue forme si

incrociano: è il caso di chi, non credendo, dispe-ra, non trovando nulla quaggiù che possa appa-gare i suoi desideri. Del resto la sfiducia non raggiunge comunementeil grado della disperazione se non quando s’in-debolisce nell’anima la fede: solo chi non credepiù, come dovrebbe, alla carità di Cristo, può dubi-tare della sua benevolenza e della sua miseri-cordia. Anche lo scoraggiamento è un atto di dispe-razione, non solo quando pesa involontariamentesull’anima, ma anche quando è accolto nella volon-tà. Lasciamo ora che siano le parole del vesco-vo segnino a guidarci sulla via di chi sperandonel Signore si sente accolto e sicuro. Un gran-de ornamento della Chiesa di Dio è la speran-za, chi non la possiede è nudo di ogni bontà, eper ogni creatura è infelice. Gli spiriti maligni nonla possiedono, e quindi si sforzano al massimo,perché possono ingannare chiunque e portarefino alla disperazione. Ma colui al quale è suc-cesso questo a causa del proprio male, quellonon in parte ma totalmente è posseduto dal demo-nio. Questo peccato non è perdonato agli uomi-ni né in questo mondo, né nel futuro (Mt 12, 32).Non c’è infatti nessun peccato che la penitenzanon rimetta e senza la penitenza nessun pec-

cato sarà rimesso. Per questo il salmista, dopoaver detto: “Abbi pietà di me,Signore, secondo la tuagrande misericordia (Sal 50,1),” sapendo questo, che cioèsenza la penitenza non puòessere rimesso nessun pec-cato, subito aggiunse: “poi-ché io conosco la mia iniquità”.Egli conosce la sua iniquitàe che si vergogna e si pen-te per il suo peccato. Pertanto,se i peccati non sono perdonatisenza penitenza, è chiaro cheil peccato della disperazionenon sarebbe mai stato per-donato; in quanto esclude tut-to la penitenza, ed è miserabilel’uomo a cui non è consen-tito di allontanarsi dalla suainiquità. Così, opportuna-mente, il nostro Signore eSalvatore, nel modo più sicu-ro di argomentare non inBelzebul ma nello Spirito Santoaveva dimostrato di fare e direogni cosa, e ha subito aggiun-to, dicendo: “Qualunque pec-cato e bestemmia sarà per-donata agli uomini, ma labestemmia contro la spirito non

sarà perdonata (Mt 12, 31)”. È come se avessedetto, miseri farisei (stava parlando per loro) raz-za di vipere, alberi del male, potatori del fruttodel male, così vi ha accecato il diavolo, e nellamalizia vi ha rafforzati da non credere in ogni momen-to allo Spirito Santo, e ne da essere allontana-ti dalla malvagità, e questo peccato, in effetti, nonvi sarà mai perdonato. Ma poiché questo pec-cato di disperazione si dice che sia fatto solo con-tro lo Spirito Santo, è invece manifesto che chiun-que pecca contro lo Spirito Santo pecca versoil Padre e verso il Figlio; il Padre, il Figlio e loSpirito Santo sono una cosa sola e per questomotivo chiunque offende una persona, ovviamente,offende tutti. È difficile tale questione, ma lo SpiritoSanto, di cui parliamo, ci insegna egli stesso comedobbiamo capire. Cioè, ora come penso, è evi-dente che, oltre al peccato di disperazione, nonc’è nessun altro peccato, che la penitenza nonpuò cancellare. La ragione del fatto che la peni-tenza non lo cancella, è perché non ammette peni-tenza. Perché se avesse ammesso la peniten-za, questo così come tutti quanti gli altri avreb-be potuto essere cancellato dalla penitenza. Vanotato che, come ricevere la carne appartieneal Figlio solo, perché così ci può riscattare, in talmodo allo Spirito Santo solo appartiene di appa-rire in lingue di fuoco, perché ci insegnasse e illu-minasse. Quindi non solo nel fuoco, ma ugual-mente in lingue e in fuoco si dice sia apparso,e intendiamo per la lingua la dottrina, e per il fuo-co la luce, dal momento che con la lingua è fat-ta la dottrina, e con il fuoco la luce. Ma il fattoche lo Spirito Santo procedendo dal Padre al Figliovenga ad insegnare e ad illuminare il mondo,loindica il Signore stesso, parlando ai discepoli: “.Quando egli verrà, dice, lo Spirito di verità, vi gui-derà alla verità tutta intera (Gv 16, 13)” Perché,se lo avesse voluto, il Signore lo avrebbe potu-to fare da se stesso: ma piacque alla somma eindivisa Trinità, che il Figlio ci riscattasse e lo SpiritoSanto ci insegnasse. Pecca dunque contro lo SpiritoSanto chi nella sua dottrina non accetta e obbe-disce ad un maestro tanto grande. Tutti i suoi consigli sono nella legge, e nei Profeti,e sono scritti nei Vangeli. Qualunque sia gli apo-stoli e gli insegnanti predicano, l’altro tutto ciò chel’intelligenza e cuore sincero per la verità che pre-dicano, sono consigli non dell’uomo, ma dello SpiritoSanto. Per questo il Signore stesso dice: “Nonsiete voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostroche parla in voi (Mt 10, 29).” “Oggi, dunque, ascol-tate la sua voce, non indurite i vostri cuori (Sal94, 8) .” Ascoltate l’Apostolo, anzi attraverso l’a-postolo lo Spirito Santo che parla e dice: “tu perla tua durezza e per il cuore impenitente accu-muli verso te stesso ira per il giorno dell’ira e del-la rivelazione del giudizio di Dio (Rm 2, 5)”. Poiché,quindi, è stato dimostrato che ogni peccato e ognidisobbedienza sembra essere fatta in particolare,soprattutto, contro lo Spirito Santo, il maestro ditutti i Dottori della Chiesa, vieta di fare questoogni giorno. Coloro che perseverano, però, solo nel male edisperano della misericordia di Dio non sono con-vertibili mai alla penitenza. E questo a causa del-la vastità del crimine, al quale se vengono para-

continua a pag.27

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2727GennaioGennaio20122012

P. Vincenzo Molinaro

AAlle 2,30 di domenica 4 dicembre u.s. P.Mauro Giacometti cessava di vivere. Eraricoverato all’Ospedale Civile di Velletri

da una settimana nel corso della quale, dopo unlieve miglioramento avvenuto martedì 29 novem-bre sotto l’effetto di potenti farmaci, era andatoprogressivamente perdendo la facoltà di inghiot-tire qualunque alimento e quel che è peggio, lasua capacità respiratoria si era ridotta a nulla.Una settimana di sofferenza, con una speran-za sempre più fiacca, man mano che le forze man-cavano. Era la brutta copia della settimana pre-cedente, quando assistito a casa, spesso face-va capire che si aspettava la morte. Purtroppola sua era una di quelle malattie che non per-donano, magari ti danno il tempo di preparartia una bella morte. Prima di uscire di casa perl’ospedale, aveva ricevuto i sacramenti, con tota-le coscienza e partecipazione. Ma sapeva chenon era una delle solite visite ospedaliere, comequando partiva la mattina presto con il fidato Rodolfoverso il Santa Maria Goretti di Latina, dove è sta-ta scoperta la malattia e curato per un intero anno.Il tempo che gli era stato dato e che lui intuivaanche senza conoscerne i termini.Le tappe principal: P. Mauro era nato a Napoli,il 12 maggio del 1940, da una famiglia nume-rosa, assidua frequentatrice della parrocchia diS. Maria in Portico a Chiaia. La mamma, una don-na di preghiera straordinaria che si faceva accom-pagnare alla messa anche quando non vedevapiù. Il papà, un dipendente delle Ferrovie delloStato, aveva dato ai figli un segnale di ricono-scimento, un caratteristico fischio. Così all’im-provviso, veniva a trovare il figlio nel seminariodi Fosciandora o a Lucca. Anch’io ero con P. Mauro,durante il ginnasio. Di tanto in tanto si sentivaquesto fischio a cui nessuno faceva caso, sal-vo Mauro che saltava subito e diceva: “E’ papà”.Bisogna dire che era la gioia di tutti, perché maiveniva a mani vuote e poi aveva quella manie-ra tipica napoletana, ossia una sensibilità un po’scherzosa che ci faceva felici tutti. L’allegria diP. Mauro veniva da una buona fonte.Gli anni della formazione: Così siamo cresciuti,

a Lucca il Noviziato e a Roma per fini-re il liceo e poi alla Gregoriana per filo-sofia e teologia. Venne il giorno della pro-fessione solenne, il 17 luglio del 1965,e poi l’ordinazione sacerdotale, il 18 dicem-bre dello stesso anno. Poi P. Mauro fuinviato a Gallipoli, nella comunità del SacroCuore, un parrocchia del centro città, luo-go di incontro per le varie generazioni.Qui anche con l’insegnamento di religionenella scuola media è divenuto popola-re, potremmo dire parte integrante del-la comunità. Per tanti anni è rimasto aGallipoli, poi ha fatto della brevi pause,a Tolone, a Lariano (solo un anno) e unatriennale a Napoli nella parrocchianatia, dove è stato parroco. Quindi di nuo-vo a Gallipoli, fino al 2055. Infine è venu-to a Lariano come vice parroco eresponsabile dell’accoglienza a Villa MaterDei.Gli anni della pastorale: Cosa avevamaturato Padre Mauro, durante gli stu-di e la formazione e come quegli anni sono sta-ti poi tramutati in atteggiamenti pastorali? La comu-nità dell’Ordine della Madre di Dio per lui era laseconda famiglia, se volgiamo la sua propria quel-la che aveva scelto. Il sentimento dell’apparte-nenza a un Ordine Mariano per lui era diventa-to naturale. Nella pastorale, portava un caricodi umanità che partiva dalle doti della natura edel carattere, ma si univa alla propria consape-volezza di umiltà e di impotenza per cui river-sava la sua fiducia e quasi sempre riusciva a orien-tare quella degli interlocutori verso la fonte del-la grazia. Il Signore Gesù, e l’Eucaristia in par-ticolare, sono stati la stella polare di una esistenzadedicata all’annuncio del regno. Un annuncio fat-to senza predicazioni complicate. Era capace difare le battute sulle sue frasi troppo impegnati-ve, quasi a dire: ma cosa ho detto? Non mi pren-derete sul serio. Questo atteggiamento provo-cava una immediata simpatia che non era maisoltanto un’ amicizia ma diventava immediata-mente coinvolgimento. Le generazioni di ragazzi e adolescenti che hacresciuto a Gallipoli e lo hanno tenuto nel cuo-

re in questi ultimi anni di lontananza, sono sta-ti rappresentati da un gruppo di alunni della ScuolaMedia di Lariano. Sono stati gli unici che han-no ottenuto l’autorizzazione a partecipare al fune-rale e hanno, si può dire, improvvisato una let-tera di saluto nella quale hanno scritto il lega-me che P. Mauro con poche parole, magari dellinguaggio sportivo, era riuscito a stabilire conloro. Il funerale, al quale insieme con il P. Generalee i confratelli dell’Ordine ha partecipato il Vescovoe gran parte del Presbiterio diocesano, è statala celebrazione della croce portata con il sorri-so e la speranza della vita eterna mai offusca-ta. Mi piace riportare in chiusura alcune paroleche un gruppo di famiglie di Gallipoli ha scrittoai familiari di P. Mauro, i quali sono stati frater-namente presenti al loro congiunto specialmentein questi mesi di calvario: “Vogliamo ricordarloin tutta la sua semplicità, la sua umiltà e bontà. Ci è stato Padre e Fratello nei momenti più dif-ficili, è stato un punto fermo sul quale poter con-tare. Con il suo sorriso ha riempito i nostri cuo-ri di gioia, con la sua giovialità ha allietato le nostrevite…” E’ bello essere ricordati così.

gonati tutti gli altri peccati, sembra non esserci un peccatotanto grande. C’è una grande differenza tra quelli che pec-cano e sono convertibili in qualsiasi momento o subito dopo,e quelli che peccano tanto grandemente, che non si convertonomai. È molto meglio che il servo, che, dopo la fuga torna piut-tosto quello che non torna più dopo la sua fuga. Quello infat-ti è perdonato, ma questo invece merita ogni castigo. Quantasperanza e quanta letizia generano queste parole! Ecco, ognipeccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini. Questo diceil Signore: Non dubitare, solo uno è il peccato che non è per-donato (Mt 10). Qual è? Perseverare nella malizia, e per questo motivo dispe-rare della misericordia di Dio. Per niente può sperare in qual-cosa di buono, chi non si discosta dal peccato e non cercala penitenza, soprattutto perché il Signore dice:“Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, nonentrerete nel regno dei cieli (Mt. 18, 3).” Hai peccato, ces-sa; allontanati dal male e fa il bene, e sarai sicuro.

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2828 GennaioGennaio20122012

Sara Calì

VV erso sera, quando siaccendono i lampioni,Artena sembra un pre-

sepe di cartapesta, come quel-li che si vedono a Napoli, aSan Gregorio Armeno. Eproprio nel centro storico, anchequest’anno, durante il perio-do natalizio, si ripete la ras-segna di presepi allestiti nel-le cantine. L’iniziativa già attiva da diver-si anni, dà spazio ai lavori deiparrocchiani di S. Croce e dichi vuole cimentarsi in que-sta antichissima arte. Curiosandoancora per le vie del paese,si arriva a S. Maria, dove sipuò ammirare il bellissimo pre-sepe permanente, creato daAntonio Palone, che ritrae minu-ziosamente alcuni antichivicoli di Artena, accresciuto,quest’anno, dall’aggiunta di unnuovo scorcio.Anche nelle altreparrocchie si è lavorato a lun-go, dando spazio all’inventi-va, quella di S. Stefano ha indet-to una gara tra i ragazzi delcatechismo per ammirare il pre-sepe più bello. La parrocchia di S. Maria diGesù, grazie al “Gruppo fami-glia”, ha esposto un bellissi-mo presepe animato e ha ono-rato la tradizione organizzandouna gita con il gruppo di gio-

vani, A. Fra. (amici di S.Francesco), a Greccio, doveil Santo fece il primo prese-pe, e nella Valle Santa di Rieti,con una sosta a PoggioBustone, a trovare P. PasqualeVeglianti.Ma tutto il mese di dicembreè dedicato all’attesa delNatale, dall’8 dicembre allafesta di S. Lucia, festeggia-ta dalla parrocchia di S. Stefano,ci sono state numerosecelebrazioni, l’incontro con leconfraternite avvenuto a S.Croce il 17 dicembre, duran-te la Messa, alla presenza delvescovo S. E. Mons. VincenzoApicella, le novene di Natalee tante altre iniziative comel’incontro dei giovani A. Fra.con gli anziani, i mercatini ela pesca.A S. Croce è stata organiz-zata anche una mostra foto-grafica dal tema “Artena e ilNatale”. Quando si è bam-bini si aspetta sempre con tre-pidazione il Natale e poi, altermine delle feste, con unpo’ di amarezza nel cuore,si ripongono gli addobbi e lestatuine. A pensarci bene èbello vivere in un paese che,all’imbrunire, ogni giornodell’anno, accende le sue lucie appare, a chi lo guarda, simi-le ad un presepe.

Pubblichiamo due poesie sul tema del Natale tratte dall’ultimo

volume di Don Fernando De Mei, raccolta intitolata

“CALENDIMAGGIO”.

NATALE

Si apri la bocca al sorriso

in canti si sciolga la lingua.

E’ nato un Bambino

col braccio

detiene il dominio.

E’ il giorno di Dio

splendente di luce.

Passa la notte

sorge l’aurora d’un mondo nuovo

e si dissolve in su la terra

l’antica paura.

La pace scacciata

torna a regnare.

(Norma, 25 Dicembre 2010)

I PASTORI NELLA GROTTA

Fredda è la notte,

gelide le ossa.

Trema la fiamma

nel fondo della grotta.

Il bue e l’asinello

riscaldano

col tiepido respiro,

che vaga leggero

sul Bimbo,

sul fieno,

su duri legni della vecchia greppia.

Chiamati da celeste luce,

stanno umili pastori ...

“Scansati pastore,lasciami guardare quel volto,quel tenero volto di bimbo,ch’è tutta la mia vita! ...”.

(Norma, 26 Dicembre 1998)

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2929GennaioGennaio20122012

Mons. Franco Fagiolo

RRiprendiamo il discorso iniziato suEcclesia di ottobre 2011, tenendo pre-sente quanto già scritto e cioè che quel-

lo che diciamo non è per una presa di posizionepersonale, ma per promuovere uno stile litur-gico che rispetti e valorizzi il ruolo del canto edella musica nella celebrazione del matrimo-nio. Limitarsi soltanto a farne un ornamento ouna specie di colonna sonora, significa tradi-re una esigenza liturgica fondamentale, perchéil canto e la musica sono elementi rituali chefanno un tutt’uno con la celebrazione liturgica,la servono e la integrano (cfr. SacrosanctumConcilium, 112). Il punto di partenza è che la celebrazione delMatrimonio è una celebrazione ecclesiale. Non è una azione privata degli sposi, né si fasoltanto per gli sposi.Naturalmente gli sposi vanno educati e preparatialla celebrazione liturgica del sacramento, per-ché possano sapere ciò che spetta ad essi eciò che spetta a tutti i partecipanti e possanofare la loro parte con fede e spirito di servizio.Così, collaboreranno responsabilmente ecoscientemente perché dalla celebrazione delloro matrimonio si manifesti l’amore grande cheCristo ha riservato alla sua Chiesa.Allora, per quanto riguarda la scelta dei cantie delle musiche la priorità assoluta va data alcanto dell’assemblea radunata, pur sapendo chel’assemblea in una celebrazione del Matrimoniospesso e volentieri è “problematica”.Ecco, pertanto, l’urgenza di educare i nostri cri-stiani, le nostre assemblee. Inoltre, è fondamentaleformare i musicisti che svolgono un servizio perla liturgia nuziale: non siano soltanto bravi ese-cutori di musiche richieste dagli sposi, o dai lorogenitori, o magari dagli amici…Pertanto, quando si preparano i canti per la cele-brazione nuziale, si faccia in modo di garanti-re almeno il minimo indispensabile: il cantodell’Alleluia e del Santo, per una “parteci-pazione attiva, cosciente e responsabile”alla liturgia. Nulla vieta la partecipazione di un Corosecondo le norme liturgiche. I canti scelti abbia-

no un chiarocontenuto teo-logico e sianoadatti almomento ritua-le specifico. Per il canto diingresso, all’of-fertorio e allacomunione, senon è possibi-le farlo canta-re dall’assem-blea, ma è ese-guito dal coro,almeno ven-gano messi adisposizione ditutti i partecipantii testi dei can-ti per un mini-mo di parteci-pazione.Nella impossi-bilità di eseguirequesti canti,può essercibenissimo ilsuono dell’or-gano, lo stru-mento liturgicoper eccellenza.Le musichescelte siano belle e piacevoli, adatte ad espri-mere e a far percepire prima di tutto la presenzae l’azione di Dio, e nello stesso tempo riesca-no a mettere l’assemblea nella condizione diuna vera partecipazione interiore.Sono da escludersi nella maniera più catego-rica quei canti che appartengono al repertoriocanzonettistico dei festivals, dei films, delle com-medie musicali, dei concerti pop o della musi-ca lirica e che non sono in alcun modo legatiall’azione liturgica che si sta compiendo. Per esempio, quelle arie o lieds come la cosid-detta “Ave Maria” di Schubert e di Gounod, oil “Largo” di Haendel, nati come canti solisticiin particolari contesti culturali, con intenti

diversi da quelli necessari per vivere questi momen-ti liturgici. E poi, il Direttorio di Pastorale Familiaredella Conferenza Episcopale Italiana si raccomandache i canti non siano occasione di distrazioneo di esibizionismo per singole persone.Inadatte e non più proponibili sono anche le tra-dizionali marce nuziali, Mendelssohn o Wagnerche sia, consunte dall’uso cinematografico epubblicitario. Esistono brani del repertorio organistico adat-ti a creare un clima di autentica e originale festacristiana: così gli sposi stessi, ma anche gli invi-tati più distratti e i meno motivati dei presentisono invitati ad entrare e partecipare con tut-ta la propria umanità e la propria fede.

Allora, non basta dire questo sì e que-sto no, mettere divieti o concedere favo-riti, stilare un programma di canti e musi-che più o meno consentite…… il nostrocompito è quello di creare una nuovamentalità, con criteri che si ispirano aivalori del sacramento, per promuove-re uno stile liturgico che rispetti e valo-rizzi il ruolo del canto e della musicanelle celebrazioni del Matrimonio.

*Responsabile Diocesano del Canto per la Liturgia

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3030 GennaioGennaio20122012

Stanislao Fioramonti

II l mese di Gennaio era dedicato dai nostriantenati Latini al dio Giano (Janus; di Giano= Januarius, da cui anche il nome proprio

Gennaro). La divinità proteggeva i limiti della casa,e quindi i confini di uno stato, di un popolo. Januain latino significa infatti “porta”, accesso a uno spa-zio preciso, privato,ma anche iniziativa, novità, affa-ri, tutto posto sotto la custodia appunto di Giano.Il quale era rappresentato con due facce (Gianobifronte), perché guardava davanti e dietro, den-tro e fuori; quando Roma entrava in guerra, i suoiconsoli facevano chiudere le porte del tempio alui dedicato nel Foro romano, per riaprirle alla fir-ma della pace. A lui erano dedicate feste(Agonàlia) che si celebravano il 9 gennaio e si con-sideravano istituite addirittura da Numa Pompilio,secondo re di Roma. Al terzo re Servio Tullio risalgono altre feste di gen-naio (dal 24 al 26), le Paganalia, legate al villaggio(pagus), alla difesa dei contadini e alla purifica-zione dei campi. Addirittura a Romolo il fondato-re riportavano infine le Carmentalia (11 e 15 gen-naio), dedicate alla ninfa Carmenta e più estesamentealle donne romane. Fu Giulio Cesare, nel promulgareil nuovo calendario (46 a.C.), a stabilire che l’an-no iniziasse con il mese di gennaio anziché conmarzo, come era stato fin dai tempi del padre Romolo,e la sua decisione restò in vigore finché durò l’im-pero romano. Durante il Medioevo ogni stato ocittà adottò un proprio “stile di datazione”, che sichiamò dell’Incarnazione, della Natività o dellaCirconcisione a seconda che l’anno partisse dal25 marzo, dal 25 Dicembre o dal 1° Gennaio, gior-ni nei quali la Chiesa celebrava quelle feste litur-giche. Il calendario Giuliano, e anche il nostro daquando papa Gregorio XIII lo ripristinò nel 1582,

inizia dunque a gennaio con unaserie di feste di Gesù, il Redentoreappena nato. Il 1° gennaio è ricor-data la sua Circoncisione, cheper i bimbi ebrei avveniva a ottogiorni dalla nascita, come ciricorda il Vangelo di Luca (2,21);il 2 è il Santo Nome di Gesù, chegli fu posto proprio nella cerimo-nia della circoncisione; il 6 la suamanifestazione (Epifanìa) aipopoli non ebrei, rappresentati daiMagi venuti da lontano a Betlemme;nella domenica dopo l’Epifania sicelebra la Sacra Famiglia; il 13gennaio infine il Battesimo di Gesùnel fiume Giordano per mano diGiovanni. Nella seconda parte delmese la Chiesa ricorda alcuni suoisanti molto popolari, e anche mol-ti “antichi”, essendo vissuti tutti nelsecolo IV; ci riferiamo in partico-lare a S. Ilario vescovo e Dottoredi Poitiers nelle Gallie (m. 368) il14; a S. Antonio abate, egizia-no, fondatore del monachesimoorientale (m. 356) il 17; ai mar-tiri Sebastiano ufficiale della guar-dia dell’imperatore e Agnese ver-gine romana (c. 300) il 20 e il 21

gennaio; per non parlare della Conversione diS. Paolo celebrata dalla Liturgia cattolica il 25.Si tratta di santi che hanno lasciato “segni” anchea Valmontone: a S. Ilario sono intitolate le cata-combe famose poste presso il fiume Sacco al con-fine con il comune di Colleferro; S. Antonio aba-te è il titolo della chiesetta extraurbana sorta intor-no all’anno Mille, oggi nota anche come Madonnadelle Grazie; a S. Sebastiano è dedicata la secon-da parrocchia di Valmontone, sorta dopo la secon-da guerra mondiale sul colle Piscarello e che ripren-de il nome della scomparsa chiesa rurale di viadella Pezzaga, costruita dai nostri antenati dopola grave pestilenza del 1656. Non ci dilunghiamosui vari aspetti popolari del loro culto (il latte allepuerpere per S. Ilario, la benedizione degli ani-mali domestici e i giochi popolari per S. Antonioabate, la nomina di S. Sebastiano compatrono diValmontone ecc.) perché li abbiamo già trattati qual-che anno fa su questa rivista, illustrando le chie-se di Valmontone. Vogliamo ricordare peròche se “Pasqua Befanìa tutte le feste seporta via” (il 6 gennaio si concludonole festività del tempo di Natale), a “S.Antonio, un’ora de crescimonio” (cioèle giornate si allungano di un’ora), e a“San Bastiano tutte le feste rincomin-ciamo” (perché inizia il tempo diCarnevale, che durerà fino a metà feb-braio). Indubbiamente è la prima set-timana di gennaio a concentrare il sen-so del mese, anzi dell’intero anno cheinizia. Se l’anno vecchio era stato con-gedato la sera del 31 dicembre con il “TeDeum laudamus” di ringraziamento peril tempo trascorso, la mattina di Capodanno,dopo la messa cantata durante la quale siintonava anche il “Veni, creator Spiritus”, si

esponeva sull’altare il SS.mo Sacramento per l’a-dorazione fino alla funzione serale, per chiedereprotezione per il tempo futuro. Si pensava allo spi-rito, ma anche al corpo, e un’altra credenza popo-lare di gennaio era quella delle “Calende”, il ten-tativo di prevedere il tempo che avrebbe fatto neidodici mesi avvenire in base al tempo verificatonei primi dodici giorni di gennaio; così se il 4 gen-naio era piovoso, sarebbe stato piovoso il mesedi aprile, se il 10 c’era il sole, anche ottobre sareb-be stato “asciutto” eccetera; unica eccezione il 1°gennaio: “Se piove a Capodanno, piove tutto j’an-no”. Anche queste previsioni indicano l’importanzache aveva il clima per la popolazione valmonto-nese, in maggior parte contadina e che dal lavo-ro della terra ricavava tutto il suo benessere. Perciòanche il noto detto “Chi magna lenticchie a Capodanno,conta quatrini tutto j’anno”, e il relativo piatto dilenticchie con la salsiccia obbligatorio in tavola quelgiorno, era più una scaramanzìa che altro.Veniva infine la notte tra il 5 e il 6 gennaio, la not-te della Befana. Quando le nostre nonne o bisnon-ne erano bambine, la tradizione di Babbo Natalenon esisteva (fu importata dal mondo anglosas-sone nel secondo Dopoguerra), perciò i piccoli pote-vano aspettarsi dolci o regali solo dalla Befana.Prima di andare a letto dunque appendevano conuna molletta la loro calzetta (un calzino norma-le) a un filo sopra il camino e di corsa, mai ubbi-dienti come quella sera, andavano a infilarsi sot-to le coperte e ad aspettare che la vecchia a caval-lo della scopa passasse con i suoi doni anche incasa loro. Doni e dolciumi per i bimbi buoni, cene-re e carbone per i cattivi. La mattina dopo, appe-na svegli, di corsa prima al presepio, ad aggiun-gere le statuine dei Re Magi con i loro cammellidavanti alla Capanna, poi al camino a vedere cosafosse stato loro riservato; ed ecco che dalle cal-ze ora rigonfie e pesanti uscivano mandarini, cara-melle, biscotti e giocattolini che mostravano sod-disfatti ai grandi di casa quando chiedevano: “Chet’ha portato la Befana?”. I più discoli invece tro-vavano davvero cenere e carbone nella calza, mapoi i genitori, veri autori della messinscena, addol-civano la loro delusione con gli stessi oggetti deglialtri, che facevano cadere dall’alto dopo che i pic-colicontinua a pag. 31 avevano detto la filastroccaabituale: “Befana, mia Befana, con le scarpe di

continua a pag. 31

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3131GennaioGennaio20122012

Enrico Mattoccia

Oratorio, originariamente indica un luogodestinato alla preghiera, difatti deriva dallatino “orare”(pregare); il termine è usa-

to anche per una composizione musicale di carat-tere poetico-religioso; col tempo il significato siè allargato e al primitivo luogo di preghiera si sonoaffiancate altre attività, come le lettura della Bibbia,la conversazione e comunione umana e, nel XVIsecolo, si è aggiunta anche la educazione deiragazzi. Difatti, intorno al 1550, a Roma, il fio-rentino Filippo Neri (1515-1595), costituì dellecomunità di sacerdoti e laici per la preghiera, ilcomune sostegno, l’apostolato....l’educazione deiragazzi: prima a S. Girolamo della Carità, poi aS. Giovanni dei Fiorentini e infine, nel 1575, aS. Maria in Vallicella, quando Gregorio XIII nonsolo approvò quello che stava facendo ma gli con-cesse anche l’uso della chiesa e di edifici annes-si. Nacque così il primo oratorio che fu imitatoda molte altre comunità ecclesiali, non solo inRoma. Si crearono molti luoghi dove i ragazzitrovavano modo di giocare, ricevevano una cate-chesi e anche una formazione culturale, eranolontani dai pericoli della strada....Nel 1831, a Venezia, S. Maddalena di Canossacreò il primo oratorio per ragazze, con gli stes-si scopi di S. Filippo Neri. Sulla stessa scia nel1841, a Torino, S. Giovanni Bosco iniziò ad incon-trare i giovani nella sacrestia della chiesa di S.Francesco, per trasferirsi poi, nel 1846, in peri-feria a Valdocco, dove iniziò con una tettoia eun prato per far giocare i ragazzi. La località diven-ne poi uno dei centri principali della congrega-zione dei Salesiani, grandi sostenitori e diffusoridegli oratori come luoghi di aggregazione e for-mazione religiosa e umana e occupazione deltempo libero nel gioco. L’iniziativa di S. G. Bosco e dei suoi discepoli,fu una ulteriore spinta alla diffusione degli ora-tori. In breve tempo gli oratori, divennero mol-tissimi, soprattutto nel settentrione d’Italia. In alcu-ni casi, con l’oratorio, nacquero addiritturasquadre di calcio, basket, pallavolo.... e l’immancabile“calcio balilla”!A Milano, uno dei più conosciuti propagatori deglioratori fu il cardinale Andrea Carlo Ferrari (1850-1921), dichiarato beato dal papa GiovanniPaolo II nel 1987; egli si adoperò perché in ogniparrocchia della sua vasta diocesi ci fosse unoratorio maschile e uno femminile.Il suo ultimo successore, cardinale Scola, ha ini-ziato il proprio apostolato nella DiocesiAmbrosiana con una lettera che annunciava l’a-pertura delle attività degli oratori. Fino a non mol-ti anni fa gli oratori erano così diffusi che nel 2001furono riconosciuti dallo Stato Italiano per la loro

funzione sociale ed educativa e furono emana-ti anche provvedimenti legislativi per sostener-li. Purtroppo, con la carenza di sacerdoti, il cam-biamento dei gusti..., forse anche per la poca inven-tiva...molti oratori hanno chiuso. I ragazzi,soprattutto in alcune località, non hanno altro sva-go che la televisione spesso diseducativa, sonocondannati alla solitudine del computer correndonumerosi pericoli, altri ancora si rifugiano in cir-coli dove non ci sono educatori ma persone chepensano ad incassare qualche soldo....Vengono i brividi quando, leggendo i giornali, siscoprono situazioni tragiche in cui vengono a tro-varsi i ragazzi soli perché i genitori sono entram-bi al lavoro o li trascurano. Se ci fosse l’oratorio, sarebbero più tranquilli igenitori, più sicuri i ragazzi.... e ne guadagne-rebbe anche la società che si troverebbe con “delin-quenti” in meno.Fortunatamente, da qualche tempo si registra unritorno all’oratorio, sia pure in forma riveduta ecorretta per i nostri tempi, con l’impegno di qual-che giovane sacerdote, aiutato da giovanidell’Azione Cattolica, dagli Scouts o, più sem-plicemente, da persone di buona volontà.Senza dimenticare le parrocchie della nostra dio-cesi che hanno un oratorio, mi piace citare l’e-sempio di un paesino a circa 20 Km. da Agrigento,Santa Elisabetta, dove, grazie all’invito di caris-simi amici, ho potuto assistere, poco tempo fa,all’intitolazione di un oratorio parrocchiale a SanGiovanni Battista De La Salle, un altro grandesanto che dedicò tutta la vita ai ragazzi e fon-dò la congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane,diffusa ora in tutto il mondo. Il paese di S. Elisabettaattualmente conta circa quattromila abitanti ma

prima erano molto più numerosi: sono emigratiin cerca di lavoro! Malgrado ciò, il parroco donCalogero Morgante, coadiuvato da alcuni deicirca 50 professionisti (alcuni ormai in pensio-ne) del piccolo centro che, tra il 1950 e il 1970,studiarono presso l’Istituto di Santa Venerina(Catania)tenuto dai figli di S. Giovanni Battista De La Salle.Hanno voluto affermare in questo modo la vali-dità della formazione e degli insegnamenti rice-vuti, ai quali sono rimasti fedeli. E ciò è certamente di vanto e di soddisfazioneper coloro che li educarono e per tutta laCongregazione dei Fratelli. La cerimonia dell’intitolazionesi è svolta in due parti: dopo la Messa di mez-zogiorno il Parroco ha spiegato gli scopi che siprefigge l’oratorio; dopo la Messa serale, officiatada mons. Giuseppe D’Oriente (originario di S.Elisabetta ed ex-alunno dei Fratelli delle ScuoleCristiane, attuale rettore del Seminario maggioredi Agrigento) ha benedetto i locali e un quadro,opera del professor Giuseppe Marotta, origina-rio del paese e fratello delle Scuole Cristiane. L’oratorio dispone di un grande salone, adiacentealla chiesa e attrezzato per spettacoli teatrali oaltre attività (non manca neppure il calcio-balil-la!), un campo da gioco....c’è pure una scholacantorum e.... non mancano i collaboratori.La cerimonia è stata semplice e cordiale, segnodi caratteri forti che vedono le necessità, ama-no poco la retorica e vanno al sodo, con sacri-ficio e impegno personale, seguiti dalla popola-zione che trova nella Parrocchia unità e inizia-tive per la promozione di grandi e piccoli. Con sinceri complimenti, auguriamo che l’ini-ziativa si diffonda, si dilati, passi il mare e risal-ga la Penisola.

cioccolata, col vestitino rosa, buttami qualche cosa.Lancia, Befà!”. Anche i grandi, in occasione dell’Epifania,si facevano regali, soprattutto qualche capo di abbi-gliamento nuovo, da cui il proverbio: “Pasqua Befanìas’aremmuta la signoria”. Dopo la messa vespertina dell’Epifania e la fun-zione conclusiva del periodo natalizio, la statua

del Bambinello, che dalla messa natalizia di Mezzanotteera esposta sull’altare maggiore della Collegiata,tra Maria e Giuseppe, il bue e l’asino, veniva por-tata giù dal parroco e presentata al bacio dei fede-li, prima di essere riposta. Il giorno dopo si tornava a lavoro e a scuola, per-ché Pasqua Befanìa – come abbiamo detto, eanche se per pochi giorni (fino a S. Sebastiano)

– tutte le feste si porta via. Questa era la prima(quella invernale) delle tre Pasque dell’anno cele-brate un tempo nel nostro paese; la seconda erala Pasqua di Resurrezione, che veniva a mar-zo-aprile, e la terza la Pasqua Rosa, cioè Pentecoste,che giungeva alla fine della primavera (maggio-giugno) come ultima delle grandi solennità dell’annoliturgico cattolico.

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3232 GennaioGennaio20122012

Piero Capozi*

LLo scorso venerdì 25 novembre l’ArchivioStorico “Innocenzo III” ha avuto un visi-tatore di eccezione: il prof. Mike Widener,

bibliotecario (Rare Book Librarian) della LillianGoldman Law Library1 nella Yale University, giun-to a Roma per un importante evento culturale nel-la Biblioteca del Senato.La Yale University2 di New Haven, Connecticut,è una delle prime cinque università del mondo,secondo la QS World University Rankings che sti-la in proposito una severa graduatoria ogni anno.Per la classe del 2012, Yale ha ammesso 1.892studenti sui 22.813 che avevano fatto domandaregolarmente, raggiungendo la percentuale di ammis-sione più bassa tra le università degli Stati Uniti(8,3%). Yale ha sfornato personaggi chiave degliultimi due secoli, tra cui numerosi vincitori di PremiNobel, Premi Pulitzer, inventori, uomini d’affari, cin-que presidenti degli Stati Uniti, alcuni capi di sta-to del mondo, più di cento tra senatori e gover-natori, diplomatici e giudici della Corte Supremadegli Stati Uniti, musicisti, attori e atleti di famainternazionale. Particolarmente conosciute sonoil suo college, lo Yale College, e la sua facoltà diGiurisprudenza, la Yale Law School, da cui appun-to è venuto il nostro visitatore. Mike Widener erain rapporti con l’Archivio già da qualche tempo,per studi connessi agli statuti comunali italiani dicui è un’autorità, in quanto la Lillian Goldman LawLibrary ne conserva una grande raccolta, al pun-to da rappresentare la seconda collezione al mon-do di questi preziosi e rari documenti dopo quel-la della Biblioteca del Senato. In una splendida mattinata da tardiva “Ottobrata”romana, dopo avere visitato brevemente Artenaed il palazzetto del Governatore, noto per esserestato la sede del locale Archivio Notarile per oltredue secoli, egli, assieme alla consorte, è giuntoa Segni, sullo sfondo dei gialli autunnali del pae-saggio lepino, con l’impatto visivo della Porta Saracenae delle mura poligonali. In questa “promenade”

da piccolo “grand tour” sua guida è stato il diret-tore dell’Archivio, Alfredo Serangeli, con l’interpretedi lingua inglese, Ambra Serangeli, che hatradotto con bravura la gran parte delle conver-sazioni intercorse durante tutta la giornata. La passeg-giata di Pianillo e la piazza S. Pietro, ovvero l’acrop-oli della città, gli hanno poi offerto in sequenza ilpanorama senza fine della valle del Sacco oltreal riuso dei luoghi e dei manufatti romani con gliedifici succedutisi in varie epoche. Dopo iltradizionale incontro conviviale con i collaboratoridell’Archivio in cui l’ha fatta da padrone l’eccel-lenza dei sapori della cucina locale offerti dal maes-tro chef Marco Graziosi, il gruppo si è diretto all’in-terno dello stesso Archivio “Innocenzo III”. Qui sisono uniti il Sindaco di Segni Stefano Corsi, l’as-sessore alla Cultura Valente Spigone e l’asses-sore alle Risorse Umane ed Organizzazionedell’Apparato Amministrativo Alberto Pennese.Durantela visita albibliotecariodella Yale èstato presen-tato il prezio-so patrimoniodocumentarioe librario iviconservato,ricco di eccel-lenze e di sor-prendenti rari-tà: un fram-mento delle“Etymologiae”di S. Isidoro diSiviglia delsec. XIII, su unfoglio in per-gamena chereca le tracceprobabilmen-te dovute all’in-cendio di

Segni del 1557 che distrusse tutti gli archivi e lebiblioteche della città; una pagina rifilata di un librocorale del XIV-XV secolo, riutilizzata in epoca suc-cessiva come coperta di un registro contabile del1560. Poi, un registro parrocchiale, tra i più anti-chi, che presenta nelle sue pagine una partico-lare decorazione fatta per evidenziare la registrazionedi un battesimo del 1650: il figlio del pittore Generoli- che stava lavorando nella cattedrale - ha duepadrini eccellenti, il Card. Federico Sforza e la Principessadi Piombino Isabella Appiani.Ancora, una piantadel 1756 in cui sono riportati dei terreni del Seminariocon il curioso disegno di un agrimensore al lavo-ro con il suo strumento professionale, ovvero losquadro agrimensorio, mentre un cacciatore pun-ta il suo fucile contro un volatile. Tra i vari reper-ti anche il rame originale su cui Pietro Bombelliincise nel 1777 il “Vero Ritratto dell’antichissimaImmagine di Maria SS.ma del Gonfalone, che sivenera nella Chiesa di detto titolo in Valmontonenel Lazio”. L’Archivio conserva alcuni documen-ti che si collegano in qualche modo alla famigliadegli Stuart, come quello che reca la firma auto-grafa di Philip Michael Ellis, vescovo inglese diSegni (1708-1726), che fu Cappellano di GiacomoII Stuart, ultimo re cattolico d’Inghilterra, Scoziae Irlanda (1685-1688); ovvero un documento del1800 del Card. Enrico Benedetto Stuart, duca diYork e figlio di Giacomo III, qui nella sua veste divescovo di Ostia e Velletri, che reca lo stemmareale degli Stuart. Il prof. Widener da par suo, come si può intuireanche dalle fotografie, ha molto apprezzato i mate-riali presentatigli diffondendosi in domande, inte-ressanti osservazioni ed approfondimenti storici,bibliofili od anche sulle stesse tecniche di restau-ro relative ad alcuni pezzi. In proposito ha elogiatola bontà del lavoro effettuato dal Laboratorio diRestauro del Libro dell’Abbazia di Grottaferratache cura i “grandi malati” dell’archivio segnino.L’attività scientifica condotta in questi anni dal per-sonale dell’Archivio Storico, distaccandosi da unlocalismo sterile e fine a se stesso, ha ricolloca-to l’analisi delle fonti all’interno di un quadro di com-prensione storica a più ampio respiro. Al riguar-

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do è nata la collaborazione con il Comune di Segniper l’inventariazione e la salvaguardia dell’ArchivioNotarile di Segni: un’operazione culturale moltoimportante, in quanto gli archivi notarili rappresentanole fonti primarie per la storia sociale ed econo-mica di un territorio. Sono anche le uniche fonticon informazioni sulla vita della gente comune chealtrimenti non avrebbe voce nella storia!In proposito Piero Capozi, che insieme a M. CarolinaOnorati, si sta occupando della inventariazioneha intrattenuto Widener sulle modalità e sulle fina-lità di tale lavoro. È stata poi la volta della biblioteca, o meglio delfondo antico (ricco di 4.000 opere) della Bibliotecadel Seminario Vescovile, annessa all’Archivio solonel 2007. Questa biblioteca è stata il supporto essen-ziale della scuola dello stesso seminario vesco-vile, dove per duecentocinquant’anni si è forma-to non soltanto il clero locale e regionale ma ancheil meglio delle classi dirigenti di varie epoche. Èevidente il suo carattere eminentemente eccle-siastico ma con livelli culturali davvero elevati el’esigenza di una conoscenza a tutto campo. L’opera più datata è un prezioso e raro incuna-bolo del 1491, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio,stampato a Venezia da Tommaso de Blavis appar-

tenente ad una famiglia di tipografi tra i più affer-mati di quel periodo. Quest’opera curiosamenteè anche l’ultima fatica del De Blavis, in quanto subi-to dopo non se ne hanno più notizie. Per la medi-cina che nel nostro territorio ha sempre avuto unagrande tradizione - basti pensare ai medici EzioCleti, Francesco e Girolamo Fanfoni (quest’ulti-mo fu medico personale dei sovrani di Polonia dal1674 al 1693), per arrivare fino al più recente AmintaMilani (medico personale di Pio XI) - è il caso dicitare la De Chalcantho Medica Disputatio, ope-ra di Ezio Cleti del 1623 che tratta dell’applica-zione di un minerale contenente rame nella far-macopea. Questo medico segnino, a cui si devo-no i primi studi sulla pleurite e sull’asma, visse acavallo tra il Cinquecento ed il Seicento (1584-1666) e il volume in questione ne rappresenta l’u-nica opera conservata in loco. All’ospite è statapoi mostrata anche la sua firma autografa, recen-temente rinvenuta in un registro dell’Archivio Vescovile!Al prof. Widener, per ovvie ragioni di appartenenzaaccademica, hanno molto interessato le opere giu-ridiche come: il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano,composto dai 3 Digesti (Vetus, Novum e

Infortiatum), dal Codex e dalleInstitutiones nelle rare e bellissimeedizioni lionesi in-folio degli anni 1556-1558, interamente impresse in ros-so e nero; il Corpus Iuris Canonicicostituito dalle sei collezioni de ilDecretum Gratiani, le Decretales diGregorio IX, il Liber Sextus diBonifacio VIII, le Constitutiones diClemente V, le Extravagantes di GiovanniXXII e le Extravagantes communes,tutti nell’edizione torinese in-folio del1588. Tra le numerose cinquecen-tine conservate nel fondo antico sonostate esibite quelle stampate nellatipografia veneziana della famigliaManuzio. Il simbolo dei Manuzio, ossia un’anco-ra con avvolto un delfino che rievoca il motto lati-no “Festina lente”, ha generato un simpatico con-ciliabolo tra il bibliotecario della Yale e il diretto-re dell’Archivio. Mentre la non comune Storia diNapoleone del Norvins, nella sontuosa edizionedel 1838 arricchita da grandi e splendide incisioni(in foglio ripiegato), ha impegnato GiampaoloBuontempo, collaboratore dell’Archivio ma anchestudioso e presidente del Centro Romano di Studi

Napoleonici, in un’ampia trat-tazione sull’argomento cheha raccolto il vivo interes-se dei presenti. La lunga visi-ta si è conclusa con un pic-colo cammeo. Infatti è sta-ta mostrata all’ospite la pri-ma rivista di astrofisicapubblicata nel mondo, ossia“Memorie della Societàdegli spettroscopisti italiani”che fu fondata dal padreAngelo Secchi (1818-1878),direttore dell’OsservatorioAstronomico del CollegioRomano. Nel congedarsi ilprof. Widener ha volutorivolgere a tutti un caloro-

so ringraziamento per l’amichevole ospitalità rice-vuta e l’attenzione di cui era stato circondato tut-to il giorno, dichiarandosi sinceramente colpito perun tipo di organizzazione su base volontaria cosìefficiente! Altresì, nel sottolineare l’alto livello diprofessionalità riscontrato nell’attività dell’Archivio,ha voluto complimentarsi non solo per l’eviden-te salvaguardia di un’importante eredità cultura-le ma anche per l’opera volta al recupero ed alladiffusione della stessa memoria sto-rica del territorio. Mentre la notte diPianillo inghiottiva l’auto del diret-tore dell’Archivio che riportava a Romal’accademico americano con la moglie,mi è tornata in mente una frase let-ta in un libro qualche tempofa:“Una traccia. I resti di quel cheera stato. La memoria delle fatichedi centinaia di migliaia di uomini, dicui aveva voluto preservare ilricordo e la bellezza….”3

* Collaboratore dell’Archivio Storico“Innocenzo III”

1In precedenza Mike Widener è stato responsabile dellecollezioni speciali della Tarlton Law Library adAustin nell’Universitàdel Texas. Inoltre, è stato consulente per le biblioteche dilegge presso la Texas Tech University, St. Mary’sUniversity, mentre per l’Universidad Nacional Autónomade Mexico si è occupato delle collezioni di libri rari. 2 Fu fondata nel 1701 con il nome di Collegiate School,poi rinominata Yale College per onorare una ingente dona-zione da parte di Elihu Yale, un governatore della com-pagnia delle Indie Orientali. I beni dell’università includo-no 22,5 miliardi di dollari di dotazione (la seconda più alta

per ogni tipo di istituzione accademica, dopo l’Universitàdi Harvard) e più di una dozzina di biblioteche che rac-chiudono una collezione di 12,5 milioni di volumi (il secon-do sistema di biblioteche universitarie più grande). Yale,che è organizzata come una società senza scopo di lucro,dà lavoro a più di 3.300 persone che insegnano a 5.300laureandi e a 6.000 studenti che stanno seguendo corsipost-laurea. 3 A. Lapierre, Vita straordinaria di William Petty, p. 371.

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Stanislao Fioramonti

NNel De miseria humanae conditionis (Miseriadella condizione umana), sua opera pri-ma destinata a divenire uno dei mag-

giori best sellers del Medioevo, Lotario di Segni(Innocenzo III) analizza con disincantato reali-smo l’origine, lo sviluppo e la conclusione del-la vita umana, con il corteo di debolezze, pec-cati, vizi e squallori connessi alla sua natura. I tre libri (parti) dell’opera sono un crescendodi critiche alla corporeità, quando non illuminatadalla speranza della fede, fino alla morte fisicae morale e alla condanna nell’ultimo giudizio.Questo volume doveva però essere la prima par-te, quella negativa, di un dittico che avrebbe dovu-to comprendere una seconda opera sulladignità e il valore della condizione umana, chel’Autore non poté mai comporre forse perché ina-spettatamente chiamato al pontificato, a soli 38anni. Nel valutare allora questa parte che ci èrimasta, dovremmo sempre ricordare che noi vedia-mo solo una faccia della medaglia, quella piùpessimistica, che sarebbe stata senz’altroriequilibrata da quella più positiva, rimasta pur-troppo solo nelle intenzioni dell’Autore. Innocenzo III (1198-1216), uno dei più grandipapi del Medioevo, compose quest’opera ver-so il 1195, prima dunque di essere eletto pon-tefice, quando ancora si chiamava Lotario di Segnied era cardinale diacono dei SS. Sergio e Baccoal Foro Romano. La scrisse – dice nel Prologo – per stigmatiz-zare il vizio principale, la superbia, e per occu-pare al meglio, con una riflessione morale sul-la pochezza della condizione umana, un perio-do di riposo in mezzo a tante preoccupazioni,specie una che non ci svela, ma che ben cono-sceva il cardinal Pietro Gallocia, vescovoPortuense, al quale l’opera è dedicata.Uno dei motivi di forza dell’opera (i limiti di spa-zio ci consentono di evidenziarne qui uno solo)

credo sia dato dal coinvolgimento diretto dell’Autorecon i temi trattati. I temi del peccato, del pentimento e del per-dono sono infatti sempre presenti nelle ope-re innocenziane e rappresentano anche l’ul-timo importante messaggio che il grande pon-tefice ha voluto lasciarci. Se infatti in questache è la sua prima e più nota opera rimpro-vera quasi all’umanità l’arroganza del pecca-to e la scarsa volontà di redenzione, su que-sti punti tornerà a insistere anche da ponte-fice, specie nella sua predicazione; e nell’ul-timo e forse meno famoso dei suoi trattati,Commentarium in Septem Psalmos Poenitentiales(Commento ai Sette Salmi Penitenziali),composto nel 1216 a soli tre mesi dalla suaimprevista morte, papa Innocenzo si ritrovaa fare gli stessi discorsi del cardinal Lotario

di Segni, in questo senso chiudendo quasi uncerchio aperto da giovanissimo prelato. E lo chiu-de dopo aver dimostrato questa coerenza anchenella sua opera pontificale; dice GiorgioPetrocchi che Innocenzo III elaborò un’auste-ra riforma spirituale e disciplinare della Chiesae fissò i punti essenziali della teoria del domi-nio universale del papato e della superiorità delpotere spirituale su quello temporale; ma fu anchecolui che dette il “primo sigillo” all’ordine religiosodi Francesco d’Assisi, ordine mendicante, fon-dato sulla povertà assoluta e su quel disprez-zo della ricchezza e della felicità terrena che Lotarioaveva esaltato nel suo trattato. E fu il papa cheapprovò anche l’altro grande ordine mendicantedei Predicatori di S. Domenico Guzman. Con questi si avvierà una vasta opera di rinnovamentoreligioso che toccherà anche ogni aspetto del-la cultura. Già nel 1998, insieme al p. MicheleMarinotti OFM, ho pubblicato per le Edizioni Diocesidi Velletri-Segni la stessa opera, con lo stes-so titolo, per partecipare alle celebrazioni chela nostra Diocesi stava organizzando in occa-sione dell’8° Centenario dell’elezione al ponti-f icato diInnocenzo III,nostro con-diocesano per-ché nato aGavignano nel1160/61. L’ e d i z i o n eattuale si basaperò sul testolatino dedottoda p. MicheleMaccarrone,uno degli stu-diosi più impor-tanti del“nostro” pon-tefice, nella

sua edizione critica del De miseria pubblicataa Lugano nel 1955; e a differenza del lavoro del’98, in questo abbiamo potuto porre accanto allanostra traduzione italiana il testo latino a fron-te, cosa che rende l’edizione più completa anchedal punto di vista scientifico.Questa nostra pubblicazione è arricchita da unaprefazione del defunto cardinale segninoVincenzo Fagiolo, la stessa che scrisse per l’e-dizione del ’98, che ho voluto riproporre perchétuttora adeguata e per ricordare l’uomo di fedee di cultura e l’amico personale, e da una pre-sentazione del p. Elvio Celestino Fontana , dell’Istitutodel Verbo Incarnato, che ha curato l’edizione dellavoro. Essa conclude un ciclo, durato tredici anni,durante il quale grazie a una serie di circostanzefortunate ho avuto l’opportunità e il privilegio ditradurre le sette opere – teologiche, morali e litur-giche – composte da Innocenzo III, di sei di essecurando pure la prima edizione italiana. Ho potuto così approfondire non solo l’Autorein tutte le sue sfaccettature, ma anche la suaepoca, i personaggi suoi contemporanei, le ideee gli ideali prevalenti nel suo tempo, il modo divivere comune di allora, tra la fine del XII e gliinizi del XIII secolo, un’epoca che per tanti ver-si può considerarsi il preludio dell’epoca moder-na.Chiudiamo dunque un ciclo tornando alle ori-gini, perché terminiamo un lungo percorso, fat-to di faticoso impegno e di gioiosa gratificazio-ne, riprendendo il soggetto iniziale; e questo, piùche una riproduzione (in piccolo!) dei cicli chesempre si ripresentano nella storia – i corsi ericorsi storici di Giambattista Vico di liceale memo-ria -, lo interpretiamo piuttosto come unanecessità culturale, legata al fatto che il De mise-ria, scritto ottocento e più anni fa, ha qualcosada dire anche agli uomini di oggi, sempre assil-lati dall’ansia del vivere e dalle domande sui gran-di perché dell’esistenza, e che dunque nemmenooggi è inutile riproporla e rimeditarla.

COMPLETATA L’EDIZIONE ITALIANA DI COMPLETATA L’EDIZIONE ITALIANA DI

TUTTE LE OPERE LETTERARIE DI TUTTE LE OPERE LETTERARIE DI

PAPA INNOCENZO IIIPAPA INNOCENZO III

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3535GennaioGennaio20122012

Un anno dopo...Un anno dopo...Volontari del Museo Diocesano

PP ortare avanti questa iniziativa è stata un’av-ventura veramente stimolante! Partendodal presupposto che, per avvicinare i visi-

tatori bastasse pensare qualcosa per loro, nonabbiamo fatto altro che rivedere la nostra colle-zione pezzo per pezzo, in funzione delle loro esi-genze, dando un senso alle visite guidate chenon fosse solamente di osservare degli oggettisplendidamente antichi, ma ricercare nelle ope-re d’arte che custodiamo un rimando ad una Velletridel passato quasi dimenticata. Intento, questo,che ci siamo riproposti in tutti gli appuntamenti,cercando così di stimolare la curiosità ed il dia-logo del visitatore.Ne “L’arte al Costo di un Caffè” ha per esempio,ripreso vita l’antico complesso di Santa Maria dell’Orto,oramai distrutto dalla Restaurazione del 1814 edai bombardamenti che si sono susseguiti, dalquale l’enorme affresco di Antoniazzo Romanoè stato fortunatamente strappato via all’incede-re del tempo. Un brivido ci è corso lungo la schie

na ripensando agli anni della peste in cui il ter-rore del contagio era sempre presente e ci sia-mo commossi di fronte alla bellezza dellaMadonna del Soccorso e della Madonna della Carità,entrambe commissionate nel XV secolo per gioi-re la fine dell’epidemia. Abbiamo rivissuto i lun-ghi viaggi rigorosamente a piedi verso i campi,allietati dai canti Mariani pieni della speranza divedere crescere con abbondanza il frutto del durolavoro e ci siamo ricordati del perché San Clementeassieme ai Santi Eleuterio, Geraldo e Ponzianovennero nominati quali protettori della nostra Città.Non sapevamo che Via della Neve fosse un tri-buto alla Madonna della Neve e che esistessenel XVI secolo la tradizione pasquale, di porta-re in processione per le vie della Città un enor-me Cristo deposto alto più di 2 metri. Si tratta oramai di riti vissuti con distacco, rele-gati ad un passato che pensiamo non ci appar-tenga più, di fronte al quale invece ci troviamoogni giorno tramite le icone sacre che caratte-rizzano la nostra cultura cittadina e alle manife-stazioni architettoniche che con le nostre magni

fiche Chieseaccompagnano la vitaveliterna, senza contare tutti i det-

ti popolari che vengono tramandati di gene-razione in generazione. A tutto ciò hanno pensato i volontari del MuseoDiocesano, che hanno accolto e guidato i visi-tatori in questo viaggio nel tempo (riscoprendoun modo di comunicare orale sempre meno uti-lizzato), grazie al supporto della Diocesi di Velletri-Segni, al costante sostegno morale e nella pro-mozione degli appuntamenti mensili di mons. AngeloMancini, alle dott.sse Sara Bruno e Mihaela Lupu,oltre al Direttore don Marco Nemesi.Un ringraziamento è dovuto soprattutto ai nostrivisitatori, coloro che ci hanno seguito in questopercorso a ritroso: ci hanno dato la voglia di docu-mentarci e, senza di loro, raccontare la storia del-la città di Velletri e delle sue tradizioni non ci sareb-be stato possibile. Alcuni di loro si sono mostra-ti coinvolti ed interessati, altri semplicemente incu-riositi, altri ancora capitati per caso, ma con tut-ti si è condiviso questo spazio, quasi come fos-se stato ritrovarsi al bar per prendere un caffèassieme, per poi salutarci piacevolmente arric-chiti gli uni dagli altri.Per tutti questi motivi, ungrande Ringraziamento!

*Simone, Silvia, Anna, Eleonora, Maria Grazia, Michela, Marisa, Alessandro

Collettiva L’ARTE è SALUTERubina Brugugnoli

SS abato 17 Dicembre 2011, presso la Sala Silvana PaoliniAngelucci del Museo Diocesano, alle ore 18.00 si

è inaugurata la collettiva L’arte è salute.L’arte “è il potere di guarigione e l’agente di spiritualiz-zazione più naturale di cui abbia bisogno la comunità uma-na” scrisse il filosofo Maritain. A 150 anni dalla sua nasci-ta come Stato, l’Italia affronta un momento storico diffi-cile; per un artista operare in tali circostanze diventa sem-pre più complesso. Ma non per questo meno urgente,anzi … l’arte diventa sempre di più una missione. La cari-ca e la tenacia di tutti coloro che vogliono continuare adesprimere la loro creatività, dimostra che gli animi sonovivi, pulsano idee e sono bisognosi di comunicazione.

Paola Dondoni, Francesco Guidoni, Smeralda Donato,Giovanna Tolomeo e Raffaella Caminiti, sono 5 artisti impe-gnati in un percorso che si snoda tra pittura, antiche tec-niche decorative, esposizione di maioliche italiane dal model-lo alla cottura a Gran Fuoco, scultura e tecniche di assem-blaggio di diversi materiali. In occasione del finissage del-la mostra, venerdì 30 Dicembre 2011 alle ore 21.00, si sonoesibiti i Threecology. Forti di un’esperienza passata, il grup-po nasce dal ricongiungimento di tre musicisti che, rias-saporano una seconda giovinezza, riscoprendo i saporidel blues, del funky e del jazz. Rielaborando alcuni bra-ni musicali tratti dalla discografia di Stevie Wonder, SimoneFascianelli, Luca Romagnoli e Bruno Agnoni, hanno resoomaggio ad un grande artista e genio della musica ame-ricana, accompagnando gli spettatori in una rivisitazio-ne personale delle celebri melodie del musicista del Michigan.

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3636 GennaioGennaio20122012

Nelle terrificanti visioni di fra-ne, crolli e alluvioni, veramenteangelico appare il messaggiofrancescano del Cantico di fra-te Sole : “Laudato si’, mi Signore,per sòr AcquaLa quale è molto utile , e

ùmele, e preziosa e casta”“Laudato sì, mi Signore,per sòra nostra madre TerraLa quale ne sustenta egovernaE produce diversi frutti ecolorati fiori e erba”

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prof. Antonio Venditti

II n quest’anno che, inautunno, sembra evi-denziare l’”unità” d’Italia

in chiave catastrofica, nonsolo con l’acuirsi dell’ormai ende-mica crisi economica, maanche con un irrefrenabiledeterioramento del territorio peninsulare ed insu-lare, l’intensificazione delle piogge stagionali pro-voca devastazioni, terrore e morte al centro, comeal nord ed al sud. Non si tratta soltanto del per-manente pericolo, in varie regioni ed in grandicittà, di straripamento dei grandi fiumi (Po, Arno,Tevere), ma ancora più gravi dappertutto sonostate le piene di fiumi minori e torrenti, non moni-torati sistematicamente, se non addiritturadeviati, costretti in percorsi sotterranei, violati dal-la cementificazione, nella costruzione di abita-zioni ed altre strutture, anche scuole ed ospe-

dali. Inoltre tra le cause si devono mettere in risal-to i disboscamenti, l’abbandono delle coltivazioninei terrazzamenti, le mancate opere di manutenzioneordinaria e straordinaria, le interessate quantopericolose concessioni edilizie anche a pochi metridi distanza dai corsi d’acqua , l’abusivismo, che,invece di essere stroncato e punito, è stato sana-to dai reiterati condoni.Il dissesto idrogeologico non è quindi casuale,ma ha diffuse responsabilità negli amministra-tori di ogni livello, da quello locale a quello regio-nale e nazionale; ma non si possono ignorare

le responsabilità degli spe-culatori, dei tecnici edanche dei singoli citta-dini che in ogni zona, sen-za tener conto dei vin-coli o dei noti rischi, han-no deciso di costruire cono senza le autorizzazionidi rito.In particolare, in Liguriaed in Toscana, come pre-cedentemente inCampania ed in altre zoned’Italia, si sono cosìripetute, come da copio-ne, scene di stradeinterne a centri abitati,trasformate in fiumi in pie-na, invadenti i primi pia-ni delle abitazioni, chenella furiosa corsa han-no trasportato comefuscelli automobili, moto-cicli e purtroppo corpi ina-

nimati, assieme a cas-sonetti, alberi divelti ed altridetriti, lasciando al terminepaesaggi spettrali con ton-nellate di fango, mischia-to a carcasse ammon-ticchiate di macchine e adaltri materiali. Emblematicoè il caso della città diGenova, dove è stato inon-dato il quartiere Marassi,costruito sui torrenti chesi sono drammatica-mente riappropriati del loroterreno invaso dallecostruzioni. E tale irrazionalesconvolgimento dell’e-quilibrio naturale ha cau-sato, come nel passato,distruzioni e morti : quat-tro donne hanno perso lavita, mentre andavano ariprendere, nonostanteil pericolo, i bimbi ascuola ed anche due di

questi sono stati inghiottiti dalla funerea piena.Anche la contestazione della mancata chiusu-ra delle scuole, ritenute invece “sicure” dalla auto-rità cittadine, accresce la drammaticità della situa-zione e lascia una ferita profonda nella coscien-za cittadina. Dal fosco quadro sopra descritto deriva l’urgenzadi rieducare la popolazione adulta coinvolta neidisastri ambientali, nelle diverse sfere di respon-sabilità, individuale e sociale, mentre si deve por-re l’educazione ecologica al centro di ogni ordi-ne di studi, per poter avere la certezza di un avve-nire diverso e migliore. Sono fondamentalmente diseducative, perché ipo-crite, le polemiche che si sono scatenate con lastessa furia delle acque, tra accuse e difese inu-tili. Le responsabilità riguardano tutti, cittadini edamministratori, di ogni colore politico, che si sonoavvicendati, nei vari livelli, nella gestione del pote-re. Perciò, nell’ennesimo disastro idrogeologicoprevedibile e quindi annunciato, è meglio per tut-ti tacere : esaminare in silenzio le proprie colpee cambiare sistema di vita, partendo dalla risco-perta dell’autentico amore per la natura in cui sia-mo stati provvidenzialmente posti e che per noie con noi è stata creata da Dio. Natura violatadeve essere curata e risanata, a costo di ognisacrificio, anche in questi tempi di dura crisi eco-nomica. Chi governa deve riconoscere che que-sta è una priorità, in un autentico servizio per lacomunità, dando esempio di probità e di vera giu-stizia. Ogni cittadino, superando l’egoismo,deve accettare sacrifici e rigore nel rispetto deivincoli, per ristabilire un sano rapporto con l’am-biente, che va amato come il bene prezioso chegarantisce la vita sana e serena di tutti. Il bam-

continua a pag.37

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3737GennaioGennaio20122012

bino, già nella famiglia, deve respirare quest’arianuova di attenzione e rispetto per l’ambiente, con-solidando tale positivo atteggiamento nella scuo-la dell’infanzia. Giunto alla scuola primaria deve appren-dere, tra le regole ed i conseguenti doveri, il giu-sto comportamento verso la natura che lo circon-da, cominciando a capire che l’equilibrio ambien-tale è indispensabile per la nostra vita. Scuola secondaria di primo e secondo grado, lo stu-dio deve concernere tutte le forme di indispensa-bile mantenimento dell’ambiente. Quindi rispetto assoluto della natura, conoscenzadelle caratteristiche dei suoi elementi, prevenzio-ne dei rischi e necessarie opere di contenimentoe di manutenzione, a protezione delle comunità. Poichétutto ha un costo economico, si deve riconoscereche le spese per il risanamento e la prevenzionesono indispensabili, ma, comunque, di gran lungainferiori a quelle per la riparazione delle disastro-se conseguenze dei mancati interventi. I cittadinidevono chiedere energicamente a coloro che li gover-nano le necessarie misure a difesa dell’ambiente;i governanti devono rispondere positivamente, appron-

tando subito le soluzioni degli annosi problemi, perevitare il ripetersi dei lutti e delle distruzioni. Gli inse-gnanti, al di là di vacue e verbalistiche esortazio-ni alla responsabilità civica, smentite dai compor-tamenti ricorrenti, devono instaurare un autenticodialogo educativo, dimostrando che il bravo citta-dino si riconosce, non da quello che dice ma daquello che fa per difendere e migliorare l’ambien-te in cui vive. L’esempio nell’educazione è fonda-mentale: esempio che dobbiamo dare con la lim-pidezza della nostra vita, in coerenza con i princi-pi professati; in altre parole i nostri allievi devonosapere che cosa noi concretamente siamo dispo-sti a fare e facciamo regolarmente, ispirandoci, oltre-ché alla nostra coscienza, anche ad esempi trattidalla storia dell’umanità. Il “Cantico di frate Sole” 1

attribuito a San Francesco d’Assisi è un riferimentodi tale potenza da servire come un faro luminosoper tutta la vita, anche se afflitta da gravi proble-mi, per riacquistare la giusta percezione dei beniche sono a disposizione di ogni persona nel Creato.

1 P. Carli A. Sainati , Scrittori italiani Vol.I, Le Monnier, Firenze 1955, pagg. 6-8

segue da pag.36

Mara Della Vecchia

IIldegarda di Bigen è una singolare figuradi donna nella chiesa, vissuta nel medioe-vo dal 1098 al 1179, fu profetessa, misti-

ca, filosofa, donna di medicina, visionaria, scien-ziata, poetessa e anche musicista, probabilmentela prima donna musicista nella musica cristia-na di cui si ha notizia certa.Entrata molto presto nel convento benedettinodi Disibodenberg, la prima parte della sua vita,trascorre piuttosto tranquillamente, nel frattempo,alla morte della maestra Jutta, diventa bades-sa del monastero. Ma a quarantadue anni, quando già da cinqueanni era badessa, una crisi fisica e spirituale laspinge a rendere pubbliche le sue visioni cheaveva fin dall’infanzia. Così, nonostante la salute sempre più malferma,inizia a scrivere e pubblica la sua prima operalo Scivias (conosci le vie). Da questo momen-to la sua attività in numerosi campi del sapereè inarrestabile: compone musica, scrive poesie,si occupa di medicina, di fitoterapia e di moltoaltro, la sua fama si diffonde presto, tanto cheil papa stesso le concede il permesso di scri-vere ciò che le viene ispirato dallo Spirito nel-le sue visioni.Ildegarda entra in contatto con tanti personaggieminenti del suo tempo con i quali intrattienescambi epistolari discettando di politica e di filo-sofia. Durante le visioni vede delle immagini mol-to nitide che descrive e fa dipingere, ma la suaesperienza di mistica e visionaria si differenzianotevolmente dai tanti fenomeni di visioni e pro-fezie che proliferano nel medioevo. Ildegardanon si autoproclama in nessun senso come pro-fetessa o altro di simile, ma anzi rende noto ilcontenuto delle sue visioni solo quando ne vie-ne autorizzata e ella stessa asserisce che que-

ste avvengono in unostato di coscienzavigile, non in stato diestasi o di trance,così che è in grado diriferire con precisionequanto ascolta o vedeo sente, infatti oltre alleimmagini, Ildegarda sen-te anche musica cele-stiale che lei, pur nonavendo studiato lamusica, trascrive. Ella stessa dice:“Composi anche can-zoni e melodie in lodedi Dio e dei santi, sen-za che nessuno me loinsegnasse e le can-tavo, anche se nessunomi aveva insegnato lanotazione musicalee il canto”, e compo-ne canti davvero par-ticolari, che non ricalcano puntualmente lo sti-le in uso all’epoca, cioè il gregoriano, ma con-tengono elementi di innovazione, la sua musi-ca è costituita prevalentemente da un limitatonumero di temi ai quali applica delle interessantivariazioni, inoltre, il testo non rispetta le rego-le della metrica del tempo, sono versi liberi, mamirabilmente aderenti alla musica che compo-ne. Per lei l’armonia musicale coincide con l’ar-monia celeste, usa il termine Simphonia per espri-mere il suo pensiero filosofico sull’universo e sul-la musica, simphonia non indica solo l’armo-nia dei suoni musicali: voce e strumenti, ma anchel’armonia dell’universo e l’armonia dell’anima uma-na la quale è essa stessa simphonalis, carat-teristica che si evidenzia sia nel fare musica sia

nell’unione armonica tra anima e corpo. Fare musi-ca riporta l’uomo, anche se per un istante, allostato di pace celestiale in cui si trovava primadel peccato originale quando, asserisceIldegarda, il canto era spontaneo. Ancora oggi la sua musica è amata ed eseguitain tutto il mondo e Ildegarda continua ad esse-re un esempio di donna di fede, ma anche discienza e artista e studiosa, fonte di ispirazio-ni per tanti.

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3838 GennaioGennaio20122012

Bollettino diocesano:

Prot. VSCA 44/2011DECRETO DI NOMINA DELL’ASSISTENTE UNITARIO DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA DIOCESANADesiderando assicurare all’Azione Cattolica Diocesana un’Assistente esperto e che possa coordinare tutti i settori dell’Associazione, avendo a cuore la bene-merita istituzione a cui siamo particolarmente legati Nomino per il proseguo del triennio 2011/2013

Mons. Leonardo D’AscenzoAssistente Ecclesiastico Unitario e Assistente dei settori ACR, Giovani e Adulti dell’Azione Cattolica Diocesana

Gli Assistenti sono chiamati ad esercitare il loro servizio ministeriale come collaboratori della missione del Vescovo, animando nell’ambito dei rispettivi settoriaffidati, vari campi d’apostolato, così da rendere piena la comunione ecclesiale dell’Associazione.Nell’infondere nuovo vigore alla prima delle associazione laicali, che tanto a cuore sta alla nostra Chiesa, ti assista lo sguardo materno di Maria SS.maImmacolata e la mia paterna benedizione.Velletri 01.12 2011 + Vincenzo Apicella---------------------------------Prot. VSCA 45/2011Velletri, 7 dicembre 2011Eccellenza Reverendissima, il sacerdote don Antonio SICA, ordinato da S.E. Mons. Sotir Ferrara l’11gennaio 1998 e incardinato il 1° marzo dello stessoanno nella diocesi di Velletri-Segni da S.E. Mons. Andrea Maria Erba, mi ha manifestato la sua intenzione di continuare il suo mistero presbiterale nella dio-cesi di Rossano-Cariati per motivi strettamente familiari. Avendo Vostra Eccellenza, secondo quanto comunicatomi dallo stesso sacerdote, espresso parerefavorevole in merito alla sua richiesta di incardinazione, desidero dichiarare che NULLA OSTA da parte mia a che don Antonio Sica sia accolto nel VostroPresbiterio. Tanto vale come decreto di Escardinazione e, mentre auguro a don Antonio e a Vostra Eccellenza una proficua e cordiale collaborazione nelSacro Ministero, mi valgo della circostanza per confermarmi, con i sensi del più cordiale ossequio

dell’Eccellenza Vostra ReverendissimaA Sua Eccellenza ReverendissimaMons. SANTO MARCIANO’E p.c.A don ANTONIO SICA---------------------------------Prot. VSCA 45/2011

Oggetto: Riorganizzazione patrimonio immobiliare Parrocchia S. Maria Assunta in Segni. Conferimento delega.

Nell’ambito di una ampia riorganizzazione del patrimonio immobiliare di proprietà della Parrocchia S. Maria Assunta in Segni, la Diocesi congiuntamente alLegale Rappresentante della Parrocchia S. Maria Assunta, intende procedere al censimento e alla verifica dei contratti di affitto degli immobili detenuti daiprivati al fine di consentire la regolarizzazione o la eventuale successiva vendita il cui ricavato verrà destinato a migliorare le strutture Parrocchiali adibite alMinistero Pastorale.A tal fine, rilevato che occorre procedere ad incaricare un tecnico di fiducia e di comprovata esperienza nel settore, con la presente,

INCARICAl’ing. Aldo Tedeschi

a svolgere per conto di questa Diocesi e per essa la Parrocchia S. Maria Assunta in Segni, la ricognizione dei beni immobili di proprietà della Parrocchia ealla eventuale vendita, previa autorizzazione della Diocesi, degli immobili non riconducibili alle finalità di Ministero Pastorale della Parrocchia, salvaguardan-do, inoltre, gli aspetti economici della Parrocchia da ogni azione da parte di eventuali detentori che a qualsiasi titolo ne fossero in possesso.Velletri 07.12 2011 + Vincenzo Apicella

Il cancelliere vescovileMons. Angelo Mancini

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3939GennaioGennaio20122012

Piero della Francesca, Il Battesimo di Cristo,

National Gallery, Londradon Marco Nemesi*

LLa festa del Battesimo del Signoresegna, come un grande portale, il con-fine fra il tempo liturgico del Natale e quel-

lo Ordinario. Poco nota in occidente, è tenutain somma considerazione nella chiesa orienta-le dove, accanto al Natale, all’Epifania e alle noz-ze di Cana, è una delle grandi Manifestazionidel Signore. È nella cornice del Giordano cheavviene la prima rivelazione del MisteroTrinitario, rivelazione che s’imprime così profondamentenell’animo dei primi discepoli da essere men-zionata da tutti e quattro gli evangelisti e dal librodegli Atti. L’accorata preghiera del profeta Isaia:“Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” trova quipiena risposta: Giovanni Battista vede aprirsi icieli e ode la voce del Padre certificare: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!”.Lo Spirito Santo poi, sotto apparenze di colom-ba, scende su Gesù e vi rimane cancellando cosìl’antica maledizione: “Il mio spirito non rimarràper sempre nell’uomo a causa del peccato” (Gen6,3). Chiunque aderisce per fede a Cristo, entranell’esperienza del dimorare nello Spirito e con-templa nel Figlio la gloria del Padre:Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mez-zo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua glo-ria, gloria come di unigenito dal Padre, pienodi grazia e di verità (Gv1,14).Per penetrare più profondamente in questo miste-ro, vogliamo farci aiutare dalla voce eloquentedi Piero della Francesca, originale artista italiano

del quattrocento, che ci ha lasciato un mirabi-le commento pittorico del Battesimo di Cristo.Il Battesimo fu una delle prime opere di Piero(alcuni studiosi suggeriscono come datazionegli anni fra il 1440-1445) e, se raffrontata alleopere contemporanee (quelle dell’Angelico adesempio, o quelle del Veronese, maestro del-lo stesso Piero), è di una modernità straordinaria. La religiosità dell’evento traspare dall’intensitàdella luce e dalla bellezza armonica della com-posizione. Né Cristo, né il Battista, né gli ange-li hanno aureole e la colomba dello Spirito Santosi distingue appena dalle nuvole che attraver-sano il cielo. Piero invita l’osservatore ad anda-re a Dio attraverso l’umanità di Cristo. Tutto, nel dipinto, è molto umano e incarnato,eppure tutto è spirituale e limpidissimo, di unabellezza che riporta alla creazione originaria. IlGiordano è raffigurato come uno dei torrenti umbri,così come umbra, e per nulla ispirata alla Palestina,è la vegetazione che lo attornia. Alla destra delCristo, sullo sfondo, s’intravede un piccolo cen-tro abitato, è Borgo San Sepolcro cittadina del-l’autore e cornice geografica della chiesa cui eradestinato il dipinto. Questo paesaggio, così notoal pittore e ai suoi contemporanei, è immersoin un’aria diversa: in un’atmosfera carica di miste-ro e di bellezza.L’incarnazione del resto è la restaurazione di tut-te le cose in Cristo e chi aderisce a Lui per mez-zo della fede, entra nelle acque salutari del suobattesimo e riemerge rinnovato. Piero della Francescacelebra qui la limpida bellezza di un mondo rin-novato dalla grazia. Questo dipinto è un’inten-sa meditazione del mistero di Cristo attraversola Scrittura. L’evento del Battesimo è letto allaluce degli oracoli profetici: lo Spirito del Signorescende sul Messia (Is 61,1); i monti e i colli si

sono appianati e le valli colmate (Is 40, 3-5), lascian-do il posto a un paesaggio dolce e primaveri-le, con teneri germogli che spuntano qua e là.L’intera natura partecipa alla nuova alleanza: Diorisponde all’uomo, scendendo dal cielo e il cie-lo - riflesso nelle acque del ruscello - rispondealla terra, come canta Osea (2, 23-24).Contrariamente all’iconografia classica, che dipin-ge il Cristo immerso nel Giordano, Piero lo raf-figura all’asciutto: le acque del Giordano, infat-ti, si ritirano dinanzi al passaggio del Signore,così come si ritrassero nei giorni antichi, al pas-saggio di Giosuè a capo del popolo. Pace e con-cordia, rappresentata da due dei tre angeli, siabbracciano e l’uomo (in secondo piano sullerive del ruscello) sciolto dal peccato che lo tene-va ricurvo, si riveste del Signore Gesù Cristo.L’arte si rivela così un mezzo prezioso per lapreghiera e la meditazione dei semplici, aiutandolia conoscere e a penetrare i misteri della Parola.Già San Gregorio Magno affermava: ciò che loscritto ottiene a chi legge, la pittura fornisce aglianalfabeti che la guardano; ed è necessario chetutti possano giungere alla conoscenza delle Scritturepoiché, come attesta san Gerolamo: “ignoran-za delle scritture è ignoranza di Cristo“ e dun-que conosce veramente Cristo, il suo mistero,solo chi penetra e conosce la sua Parola.L’opera di Piero, era originariamente collocatadietro l’altare maggiore della Cattedrale di BorgoSan Sepolcro, dove il sacerdote celebrava l’Eucaristia.Si comprende allora come la discesa dello SpiritoSanto su Gesù rimandi all’epiclesi della SantaMessa: la colomba si libra proprio sopra il capodel Signore e la mano destra del Battista s’in-terpone fra i due proprio come le mani del sacer-dote sulle offerte. La colomba si trova al cen-

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Rossana Favale*

LL’ 8 dicembre, giornodedicato alla festad e l l ’ I m m a c o l a t a

Concezione, giorno in cui l’AzioneCattolica, rinnova il proprio impegno di appartenenza alla chiesa, que-sto giorno è la festa dell’identità associativa: nella quale ritroviamo lequattro mete formative, dell’interiorità, della fraternità, della responsa-bilità e dell’ecclesialità che è il progetto formativo che l’azione catto-lica consegna ai propri aderenti. Il Papa Giovanni Paolo II ha chiestodi fissare lo sguardo su Gesù per essere semplicemente cristiani in tut-ti gli aspetti della vita. L’Azione Cattolica è presente nella nostra dio-cesi fin dai primi anni della fondazione dell ‘associazione. Essa svol-ge le attività statutarie in varie parrocchie di Velletri, Segni,Valmontone, Colleferro, Montelanico, e sono tesserati 98 adulti, 53giovani, 131 ragazzi. Un grande movimento che coinvolge le personein tutte le fasi della vita. Nel messaggio del Santo Padre Benedetto XVI,all’ ultima assemblea nazionale, si evidenzia in sintesi, l’importanza eil ruolo che l’associazione svolge: “l ‘Azione Cattolica è una forza qua-lificata, sostenuta da buoni strumenti, da una tradizione più che cen-

tenaria. Sapete educare bambini e gio-vani, sapete organizzare percorsi educativicon adolescenti, siete capaci di una for-mazione permanete per gli adulti ….. nel-le vostre azioni vi seguono sacerdoti assi-

stenti che sanno bene che cosa significa educare alla santità …… Nelle diocesi siete chiamati a collaborare con i Vescovi in maniera costan-te, fedele e diretta alla vita e alla missione della chiesa ….. All’interno dell’Azione Cattolica i sacerdoti assistenti, nominati dai Vescovi,partecipano alla vita dell’associazione per contribuire e migliorare la vitaspirituale, il senso di appartenenza e di apostolato.L’ assistente esercita il suo servizio ministeriale quale partecipe dellamissione del Vescovo, segno della sua presenza e membro del pre-sbitero, tale collaborazione tra sacerdoti e laici rende piena la comu-nione ecclesiale dell’ associazione. Nella precarietà delle presenze sacer-dotali che la nostra diocesi soffre in questi anni e tra i tantissimi impe-gni che i sacerdoti hanno, sia il Vescovo che gli incaricati hanno sem-pre dimostrato attenzione nei confronti della nostra associazione.Durante la mia presidenza , il Vescovo ha nominato Mons. Franco Fagiolo,Mons. Angelo Mancini, Don Corrado Fanfoni, ai quali va un ringraziamentoa nome dell’ associazione e personale per la missione svolta, per aver-ci accompagnato a scoprire le meraviglie che il Signore ci dona ed esse-re popolo di Dio. Con viva gioia apprendo la notizia che Sua Eccellenzail Vescovo ha nominato Mons. Leonardo D’ Ascenzo , come assistentediocesano, a lui i nostri più sinceri auguri di cuore e impegno di gran-de collaborazione.

*Presidente AC Diocesana

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tro di un ampio cerchio che abbraccia la vol-ta e si chiude nella parte sottostante, con lalinea suggerita dal braccio destro dell’an-gelo e dal braccio sinistro, leggermentepiegato, del Battista: la sfera del divi-no irrompe nell’umano e lo trasfigu-ra. I tre misteriosi angeli sulla sini-stra, non partecipano al rito portandole vesti del Salvatore, come inve-ce avviene nella maggior parte del-le raffigurazioni del Battesimo, masono pure presenze che invi-tano - con la posizione del cor-po e con lo sguardo - a entra-re nel mistero rappresentato.Fra le tante ipotesi avanzate suquesti tre angeli, qualcuno havisto in essi la personificazionedella Trinità o vi possiamo scor-gere le tre virtù teologali: la fede,la speranza e la carità median-te le quali si possono penetrarei divini misteri. Giovanni il Battista, insieme conl’angelo in vesti rosse e blu, con-duce l’osservatore a fissare losguardo su Gesù autore e per-fezionatore della fede (Eb12, 2).Entrambe le figure, infatti, conun gesto delicato della manoindicano il Salvatore. GiovanniBattista, guardando versoGesù e genuflettendosi leg-germente su una delle ginoc-chia, invita all’adorazione,mentre il colore degli abiti delprimo angelo alludono al miste-ro che si adora: il rosso, l’umanità di Gesù -la sua passione e morte - e il blu, la sua divi-nità. Gli stessi colori si ritrovano nell’abito diCristo dell’icona della Trinità di Rublëv. Le alimulticolori dell’Angelo rievocano le piume delpavone o dell’uccello del paradiso, entram-bi simboli della risurrezione. Dalle cose visi-bili impariamo così, grazie alla fede, a vede-re Dio visibilmente. San Gregorio Magno, chefu un grande difensore della funzione didat-tica dell’immagine, diceva: “altro è adorareun dipinto, altro è imparare da una scena rap-presentata in un dipinto che cosa adorare.”Così, come da un’immagine di arte sacra, real-tà visibile, impariamo a conoscere e ad ama-re l’invisibile, così dalle realtà visibili dei sacra-menti abbiamo accesso al Mistero grazie allosguardo della fede. Fissare il mistero, con-templare a lungo l’Eucaristia e leggere alla sualuce la Parola conducono a vivere conCristo, per Cristo e in Cristo. Sullo sfondo deldipinto, a destra dell’osservatore si scorgeun uomo seminudo, colto nell’atto di indos-sare l’abito. Il biancore della sua pelle, del tut-to simile a quella di Gesù, fa pensare al neo-fita che ha già attraversato le acque salutaridel Battesimo e si riveste di Cristo. Candido,come la pelle di Cristo e del neofita, è anche

il tronco dell’albero in primo piano. Quest’albero,e quell’altro più in ombra semi nascosto dagliangeli, è volutamente diverso dagli altri pre-senti nel paesaggio. Sullo sfondo abbiamo del-le conifere, mentre gli alberi in primo piano,belli e frondosi, sono più simili agli alberi dafrutta e rimandano ai due alberi del paradi-so terrestre: l’albero della conoscenza del benee del male e (quello in ombra) l’albero dellavita. Il simbolismo è chiaro: chi si riveste delSignore Gesù Cristo ed entra nella familiari-tà con Lui, riacquista il candore e la bellez-za originaria.Dietro al neofita si intravedono altri uomini,in abiti ampi e con copricapo di diversa fog-gia. Questi, in contrapposizione alla compo-stezza degli altri personaggi, sembrano muo-versi e discutere animatamente. Se si fa rife-rimento al Vangelo, possiamo vedere rappresentatiin essi farisei e sadducei, ma se si fa riferi-mento al momento storico in cui Piero dellaFrancesca ha dipinto il Battesimo, allora que-sti personaggi sembrano rappresentare la con-troversia tra la chiesa d’oriente e quella d’oc-cidente attorno al Mistero della Trinità, con-troversia che si placò nel 1439, in seguito adun accordo raggiunto col Concilio di Firenze.L’accordo tuttavia fu breve, decadde subito

dopo e non fu mai sancito. Piero dipinge lasua tavola, quando appunto la prospettiva di

una ritrovata concordia fra le due Chiese eraormai sfumata. L’uomo seminudo, non ha

abiti che permettano di collocarlo in un’e-poca; non indossa, come Cristo, il peri-

zoma; non è un uomo del tempo diGesù, ma è il credente di ogni tem-po, è la Chiesa che attraversa i seco-li e le epoche: già santificata, peri meriti e la grazia di Gesù Cristo,

eppure sempre bisognosa di per-fezionarsi, di rivestirsi di Cristoper essere senza macchia né ruga.L’arte sacra è un annuncio di sal-vezza: chi la contempla non puòrimanere uguale a prima. Nel dipin-to i tre angeli posti fra i due albe-ri dell’Eden ci inquietano; ad essiPiero affida il compito di provocarel’osservatore. Essi, come già det-to, sono stati variamente inter-pretati. A causa del Concilio diFirenze alcuni li hanno identifi-cati con le tre persone della SS.Trinità (i colori delle loro vesti:rosso, bianco e blu erano i colo-ri dell’Ordine dei Trinitari). Altrihanno visto nei due angeliabbracciati, la concordia e la pace.L’angelo centrale, infatti, ricor-da l’immagine di Flora, simbo-lo della primavera e della con-cordia. L’angelo con il serto diolivo rappresenta invece, lapace; ma è soprattutto il loro sguar-do a porci degli interrogativi.

L’angelo della concordia guarda il mistero chesi sta compiendo e il suo sguardo è assortoe contemplativo, va oltre il visibile. La sua car-ne, bianchissima come quella di Gesù, espri-me purezza e luminosità. Egli ci interroga cir-ca il mistero, quale posto occupa nella nostravita la contemplazione e il silenzio, il rapportocon Dio. L’angelo della Pace ci guarda dirit-ti in volto. Osserva proprio noi, mentre abbrac-cia la concordia, quasi a rimarcare d’essereuna sola cosa con lei. La pace e la concordia sono in parte doni diDio e in parte impegno dell’uomo. Egli dun-que rinvia al nostro rapporto con gli altri, alnostro impegno per la giustizia e per la pace.L’ultimo angelo ci volge le spalle, ma si tro-va nella nostra stessa posizione rispetto alMistero. Anch’esso sembra guardare il Cristo,eppure il suo sguardo si dirige più lontano,forse si posa sull’uomo ricurvo, appena usci-to dal lavacro purificatore, oppure scruta gliuomini in ampie cappe e mantelli. Egli ci invi-ta a riflettere sui segni dei tempi. Invita a guar-dare la storia, non con l’occhio distratto del-la cronaca, ma con lo sguardo penetrante diDio, alla luce cioè, della rivelazione che tro-va in Cristo la sua pienezza.

*Direttore Uff. Diocesano Beni Culturali

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