anno xxxiv n°1 redazione: piazza duomo, 12 brindisi € 1,00 ... · morti e 79 feriti. l ......

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Anno XXXIV 1 15 Gennaio 2011 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Ultim’ora. A Veglie un morto sul lavoro Mentre chiudiamo questo numero giunge la notizia di un’ennesima vittima sul lavoro. Si tratta di Claudio Liaci, operaio 50enne di Veglie, morto per il crollo di un solaio mentre stava lavorando in un cantiere edile a Porto Cesareo, in località Ingegna. Il fatto è avvenuto intorno alle ore 9,20 del 12 gennaio. Secondo i primi accertamenti, nel cantiere di una privata abitazione, erano in corso lavori di demolizione quando ha ceduto una pensilina a tre metri di altezza e un solaio è crollato travolgendo l’operaio, che è morto all’istante. Una nuova vittima che, a dispetto di recenti disposizioni, contribuisce ad allungare il lungo elenco dei «caduti per lavoro» La necessità di essere testimoni Angelo Sconosciuto C itando a memoria l’evan- gelista Giovanni, quante volte abbiamo fatto ri- suonare in un canto: «Vi ricono- sceranno da come vi amerete»? E come ammiriamo i nostri bambini quando nelle aule di catechismo si entusiasmano solo a leggere il titolo del sussidio, che offre loro il significativo impe- gno: «Sarete miei testimoni». E scoprono, loro (noi adul- ti dovremmo essere già nella fase più avanzata ed efficace di questa scoperta), che il «rende- re testimonianza» niente altro traduce in italiano se non una parola greca, che fa accappo- nare la pelle nell’immaginario collettivo solo a sentirla: «mar- tirio». I recenti fatti, accaduti non molto lontano da noi, già dico- no a guardarli superficialmente dell’annullamento della persona umana e dell’emergere di una be- stialità imperante; se li leggiamo con un minimo di attenzione co- gliamo la dimensione del rende- re testimonianza – del martirio, appunto – che sollecita tutti noi a non essere cristiani a giorni alter- ni, peggio ancora secondo la con- venienza del momento. E rendere testimonianza non significa neces- sariamente tingere di rosso sangue la propria esistenza, ma rispon- dere – anche qui, e soprattutto qui – ad una domanda semplice e impegnativa: vivo da cristiano? «È doloroso dover constatare la divaricazione tra la prassi religio- sa e l’azione sociale e politica – si legge nel Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi” (1093) -… Solo da un’assidua opera educa- tiva ci si può attendere una solida coerenza dei credenti e un sano costume di tutti i cittadini. Serven- do l’uomo e la società con la forza della carità e alla luce del vangelo, i cristiani manifestano che Cristo salvatore è presente nella storia e dona un anticipo di salvezza». Ad Alessandria il riconoscimento è stato facile e le conseguenze lo dimostrano; qui da noi – pur tra le mutate circostanze – chissà. For- se, però, la nostra risposta sarebbe davvero balbettante quando ci verrà chiesto: «Dov’è tuo fratel- lo?». EDITORIALE Un grave lutto ha col- pito il nostro direttore Angelo Sconosciuto. Nel tardo pomeriggio del 4 gennaio u.s., nella sua abitazione di Mesagne, è deceduta la signo- ra Diana Catarozzolo mamma di Angelo Sco- nosciuto. Donna di elevate virtù, la signora Diana ha de- dicato la sua esistenza alla famiglia diventando un punto di riferimento non solo per i figli, ma anche per tutte le per- sone che hanno avuto la fortuna di conoscerla. Al nostro direttore, alla moglie Maria Gra- zia, alla piccola Enrica e al fratello della signora Diana, mons. Angelo Ca- tarozzolo, Arcidiacono Presidente del Capito- lo Cattedrale, vanno le condoglianze della reda- zione e dei collaboratori di “Fermento”. Italiani da 150 anni Speciale alle pagg. 12-13 Lutto per il nostro direttore Primo Piano Riforma dell’Università. Intervista con il rettore Laforgia Pagine 2-3 Ecumenismo Al via la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani A pagina 6 Accadde nel... Anniversari locali e nazionali. Per ricordare e riflettere A pagina 23 La strage dei cristiani ad Alessandria d’Egitto P roprio nel giorno in cui la Chiesa celebrava la 44ª Giornata mon- diale della pace sul tema: “Libertà religiosa, via per la pace” , si è ve- rificata una nuova strage di cristiani in Medio Oriente. Ad Alessan- dria d’Egitto, un’autobomba, esplosa davanti la chiesa copto-ortodossa dei Santi, alla fine della messa di mezzanotte del 31 dicembre, ha fatto 21 morti e 79 feriti. L’attacco è giunto ad un anno da quello (7 gennaio 2010) di Nag Hammadi dove, sempre per un attentato, persero la vita sette fe- deli ed un poliziotto. Altamente significative sono, a riguardo, le parole di Benedetto XVI, pronunciate nell’omelia della messa del 1° gennaio, in occasione della celebrazione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio: «L’uma- nità non può mostrarsi rassegnata alla forza negativa dell’egoismo e del- la violenza; non deve fare l’abitudine a conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro dei popoli. Di fronte alle minacciose tensioni del momento, di fronte specialmente alle discriminazioni, ai soprusi e alle intolleranze religiose, che oggi colpiscono in modo particolare i cri- stiani, ancora una volta rivolgo il pressante invito a non cedere allo scon- forto e alla rassegnazione. Esorto tutti – ha detto il Pontefice - a pre- gare affinché giungano a buon fine gli sforzi intrapresi da più parti per promuovere e costruire la pace nel mondo. Per questo difficile compi- to non bastano le parole, occorre l’impegno concreto e costante dei responsabili delle Nazioni, ma è necessario soprattutto che ogni perso- na sia animata dall’autentico spirito di pace, da implorare sempre nuo- vamente nella preghiera e da vivere nelle relazioni quotidiane, in ogni ambiente». La comunità copta in Italia si dice “profondamente addolorata per le continue aggressioni, gli omicidi, gli attacchi e le ingiustizie subite, nel corso degli ultimi anni, dai nostri fratelli Copti in ogni parte d’Egitto fin negli angoli più remoti della Nazione” . A tale riguardo il testo cita un fatto di violenza “ad Omraniyya” , vicino al Cairo, dove “sono morti due giovani, e 70 sono rimasti feriti… Quel giorno ad Omraniyya è scoppiata una guerra sproporzionata tra giovani inermi e legioni delle forze di si- curezza egiziane che li hanno attaccati impietosamente e picchiati con i manganelli” .

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Page 1: Anno XXXIV n°1 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi € 1,00 ... · morti e 79 feriti. L ... sempre per un attentato, persero la vita sette fe-deli ed un poliziotto. Altamente significative

Anno XXXIV n°1 15 Gennaio 2011 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Ultim’ora. A Veglie un morto sul lavoro

Mentre chiudiamo questo numero giunge la notizia di un’ennesima vittima sul lavoro. Si tratta di Claudio Liaci, operaio 50enne di Veglie, morto per il crollo di un solaio mentre stava lavorando in un cantiere edile a Porto Cesareo, in località Ingegna. Il fatto è avvenuto intorno alle ore 9,20 del 12 gennaio.Secondo i pr imi accer tamenti, nel cantiere di una privata abitazione, erano in corso lavori di demolizione quando ha ceduto una pensilina a tre metri di altezza e un solaio è crollato travolgendo l’operaio, che è morto all’istante. Una nuova vittima che, a dispetto di recenti disposizioni, contribuisce ad allungare il lungo elenco dei «caduti per lavoro»

La necessitàdi esseretestimoni

Angelo Sconosciuto

Citando a memoria l’evan-gelista Giovanni, quante volte abbiamo fatto ri-

suonare in un canto: «Vi ricono-sceranno da come vi amerete»? E come ammiriamo i nostri bambini quando nelle aule di catechismo si entusiasmano solo a leggere il titolo del sussidio, che offre loro il significativo impe-gno: «Sarete miei testimoni».

E scoprono, loro (noi adul-ti dovremmo essere già nella fase più avanzata ed efficace di questa scoperta), che il «rende-re testimonianza» niente altro traduce in italiano se non una parola greca, che fa accappo-nare la pelle nell’immaginario collettivo solo a sentirla: «mar-tirio».

I recenti fatti, accaduti non molto lontano da noi, già dico-no a guardarli superficialmente dell’annullamento della persona umana e dell’emergere di una be-stialità imperante; se li leggiamo con un minimo di attenzione co-gliamo la dimensione del rende-re testimonianza – del martirio, appunto – che sollecita tutti noi a non essere cristiani a giorni alter-ni, peggio ancora secondo la con-venienza del momento. E rendere testimonianza non significa neces-sariamente tingere di rosso sangue la propria esistenza, ma rispon-dere – anche qui, e soprattutto qui – ad una domanda semplice e impegnativa: vivo da cristiano? «È doloroso dover constatare la divaricazione tra la prassi religio-sa e l’azione sociale e politica – si legge nel Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi” (1093) -…Solo da un’assidua opera educa-tiva ci si può attendere una solida coerenza dei credenti e un sano costume di tutti i cittadini. Serven-do l’uomo e la società con la forza della carità e alla luce del vangelo, i cristiani manifestano che Cristo salvatore è presente nella storia e dona un anticipo di salvezza». Ad Alessandria il riconoscimento è stato facile e le conseguenze lo dimostrano; qui da noi – pur tra le mutate circostanze – chissà. For-se, però, la nostra risposta sarebbe davvero balbettante quando ci verrà chiesto: «Dov’è tuo fratel-lo?».

editoriale

Un grave lutto ha col-pito il nostro direttore Angelo Sconosciuto. Nel tardo pomeriggio del 4 gennaio u.s., nella sua abitazione di Mesagne, è deceduta la signo-ra Diana Catarozzolo mamma di Angelo Sco-nosciuto.

Donna di elevate virtù, la signora Diana ha de-dicato la sua esistenza alla famiglia diventando un punto di riferimento non solo per i figli, ma anche per tutte le per-sone che hanno avuto la fortuna di conoscerla.

Al nostro direttore, alla moglie Maria Gra-zia, alla piccola Enrica e al fratello della signora Diana, mons. Angelo Ca-tarozzolo, Arcidiacono Presidente del Capito-lo Cattedrale, vanno le condoglianze della reda-zione e dei collaboratori di “Fermento”.

Italianida 150 anni

Speciale alle pagg. 12-13

Lutto per il nostro direttore

Primo Piano

Riforma dell’Università. Intervista con il rettore Laforgia

Pagine 2-3

Ecumenismo

Al via la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani

A pagina 6

Accadde nel...

Anniversari locali e nazionali. Per ricordare e riflettere

A pagina 23

La strage dei cristiani ad Alessandria d’Egitto

Proprio nel giorno in cui la Chiesa celebrava la 44ª Giornata mon-diale della pace sul tema: “Libertà religiosa, via per la pace”, si è ve-rificata una nuova strage di cristiani in Medio Oriente. Ad Alessan-

dria d’Egitto, un’autobomba, esplosa davanti la chiesa copto-ortodossa dei Santi, alla fine della messa di mezzanotte del 31 dicembre, ha fatto 21 morti e 79 feriti. L’attacco è giunto ad un anno da quello (7 gennaio 2010) di Nag Hammadi dove, sempre per un attentato, persero la vita sette fe-deli ed un poliziotto.

Altamente significative sono, a riguardo, le parole di Benedetto XVI, pronunciate nell’omelia della messa del 1° gennaio, in occasione della celebrazione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio: «L’uma-nità non può mostrarsi rassegnata alla forza negativa dell’egoismo e del-la violenza; non deve fare l’abitudine a conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro dei popoli. Di fronte alle minacciose tensioni del momento, di fronte specialmente alle discriminazioni, ai soprusi e alle intolleranze religiose, che oggi colpiscono in modo particolare i cri-stiani, ancora una volta rivolgo il pressante invito a non cedere allo scon-

forto e alla rassegnazione. Esorto tutti – ha detto il Pontefice - a pre-gare affinché giungano a buon fine gli sforzi intrapresi da più parti per promuovere e costruire la pace nel mondo. Per questo difficile compi-to non bastano le parole, occorre l’impegno concreto e costante dei responsabili delle Nazioni, ma è necessario soprattutto che ogni perso-na sia animata dall’autentico spirito di pace, da implorare sempre nuo-vamente nella preghiera e da vivere nelle relazioni quotidiane, in ogni ambiente».

La comunità copta in Italia si dice “profondamente addolorata per le continue aggressioni, gli omicidi, gli attacchi e le ingiustizie subite, nel corso degli ultimi anni, dai nostri fratelli Copti in ogni parte d’Egitto fin negli angoli più remoti della Nazione”. A tale riguardo il testo cita un fatto di violenza “ad Omraniyya”, vicino al Cairo, dove “sono morti due giovani, e 70 sono rimasti feriti… Quel giorno ad Omraniyya è scoppiata una guerra sproporzionata tra giovani inermi e legioni delle forze di si-curezza egiziane che li hanno attaccati impietosamente e picchiati con i manganelli”.

Page 2: Anno XXXIV n°1 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi € 1,00 ... · morti e 79 feriti. L ... sempre per un attentato, persero la vita sette fe-deli ed un poliziotto. Altamente significative

Primo Piano2 15 gennaio 2011 Primo Piano 315 gennaio 2011

Una svolta epocale, dopo attese, rinvii, poteste lecite e non, finalmente la tan-to agognata approvazione del Senato;

dopo anni di attesa infatti è stata varata la rifor-ma universitaria che il Paese da tempo atten-deva.

Un grande risultato per gli studenti e per l’Italia intera, che finalmen-te vede l’ università dotarsi di strumenti per combattere il ba-ronato e l’inefficienza dei suoi atenei; meri-to e trasparenza, con questi due aggettivi si possono sintetizzare i contenuti di questa legge a cui il Governo ha voluto dare mas-sima priorità, e così dopo due anni di mo-difiche, discussioni, aggiunte, la riforma dell’università è finalmente legge.

Né l’ostruzionismo parlamentare, né le incivili proteste fomentate dall’opposizione sono riusci-te ad ostacolare la realizzazione di un importan-te lavoro che ha visto cooperare insieme gover-no, professori e rappresentanze studentesche. Doveroso soffermarsi su quest’ultima categoria dopo le note proteste di piazza (e di tetto..) pre-natalizie. È bene ricordare, infatti, che assieme agli studenti che protestano ce ne sono molti di più che questa riforma la richiedono a gran voce, e che vi hanno dato un contributo effettivo attraverso le proposte ed i pareri dell’unico orga-no nazionale di rappresentanza studentesca, il CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Uni-versitari), organo democraticamente eletto da più di duecentomila studenti, la cui maggioran-za ha sempre lavorato a sostegno della riforma “Gelmini”.

Con la nuova riforma si leva un energico e de-ciso “no”ai baronati dei “super-professori”, agli

eccessivi poteri nelle mani dei rettori, all’assenteismo dei docenti, alla man-canza di un monitoraggio dei fondi di ricerca. La riforma intende bloccare temporaneamente l’ apertura di nuovi atenei e ridurre il consistente numero di sedi decentrate al fine di raziona-

lizzare e riqualificare l’offerta formativa e il sistema universitario in generale.

Ritengo positiva inol-tre la valorizzazione del ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) nella valutazione del settore della ricerca; altrettan-to importante è la rior-ganizzazione dei corsi di dottorato parallela-

mente alla promozione delle scuole di dottorato. Allo stesso modo l’intero Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari ha manifestato la propria preoccupazione circa l’iniziale esiguità dei fondi precedentemente program-mati, ma le rassicurazioni del Mini-stro sull’ulteriore reperimento di fondi sono divenute realtà con il sostanzioso incremento dei Fondo Ordinario per le Università avvenuto nel mese di di-cembre.

Si è segnato il primo passo verso la nuova università italiana, costruita attorno allo studente, che premia chi merita, che vigila su chi amministra, senza sprechi e senza privilegi, una università più europea e più vicina al mondo del lavoro.

Da questo momento l’istruzione italiana ab-bandona e mette in archivio il metodo dell’ap-piattimento sessantottino, premia l’ eccellenza,

toglie all’università il ruolo di ammortizzatore sociale, riconsegna alla stessa l’onore e il rispetto che rivendica da decenni.

Francesco Mattia SguraPresidente Commissione

Diritto allo Studio al CNSU

Roma, 14 dicembre 2010. Manifestazione di protesta contro la riforma dell’Università

Rettore Laforgia, cosa ne pensa della riforma dell’Università re-centemente approvata dal Parla-mento italiano?

«Ritengo che ci siano molti elementi innovativi utili all’ammodernamento del sistema universitario italiano in-sieme ad alcune criticità che dovreb-bero essere presto corrette. Purtroppo, un dibattito realmente costruttivo è stato fortemente condizionato e ridot-to dallo scontro provocato da alcune misure annunciate, come la cancella-zione della ricostruzione delle carrie-re nei passaggi di ruolo che era stata mantenuta, invece, per il comparto della magistratura; dalla presentazio-ne della legge come uno strumento per punire il sistema universitario e, infine, dalla aspirazione ad una ope legis da parte di alcuni ricercatori. In questa confusione le ombre hanno fi-nito per prevalere sul buon impalcato generale della riforma».

Quali sono i punti che non la con-vincono?

«La mancata previsione di un pa-racadute, con un impiego nella pub-blica amministrazione, per i nuovi ricercatori a tempo determinato, che non dovessero conseguire l’idoneità a professori associati, è l’elemento più serio perché, non dando certezze per il futuro, provocherà un incremento della fuga dei cervelli oltre a causare una dannosa ed ingiusta promozione generalizzata per evitare che questi ricercatori restino disoccupati. Occor-re effettuare questa correzione che, per altro, era già presente nel sistema universitario italiano anteriore al 1980 quando l’assistente ordinario che non conseguiva la libera docenza, esame analogo a quello attuale, veniva fatto transitare obbligatoriamente nei ruoli della pubblica amministrazione. Aver insegnato e svolto ricerca per almeno sei anni nell’Università qualifica suf-ficientemente per tale passaggio e si manterrebbe un alto livello di qualità e di competitività internazionale nel sistema Universitario facendo cosa utile anche alle amministrazioni ri-ceventi. Un riforma senza fondi ma in presenza addirittura di tagli appare poi priva di spinta propulsiva e deter-mina preoccupazioni per la sua realiz-zazione anche alla luce dell’eccessivo numero di decreti delegati».

Non le sembra una buona propo-sta quella di ridurre gli sprechi e di premiare i migliori?

«Sono un difensore della meritocra-zia e ho, da subito, ridotto ogni forma di spreco, azzerando immediatamen-te la mia indennità di carica per dare il buon esempio e poter chiedere sa-crifici a tutti con maggiore libertà. Ma la legge non interviene sugli sprechi, che possono essere già eliminati nel-la situazione attuale, e non garantisce di premiare i migliori. Questi sono temi abusati nella campagna stampa mediatica, che non ho gradito per-ché facevano di ogni erba un fascio senza guardare ai sacrifici di alcune Università che erano all’avanguardia nella riduzione degli sprechi e nella meritocrazia. La meritocrazia è un Va-lore che deve permeare nel sistema e deve essere sostenuto dall’indignazio-ne di coloro che si accorgono di cose scorrette e le denunciamo invece di

restare in un silenzio omertoso. Questo valore, in verità, non rie-sce a permeare adeguatamente la cultura italiana per certi versi ancora ancorata a schemi fami-listici o alla “raccomandazione” del tal politico, che non sono pe-culiari del sistema universitario ma appartengono a tutti i com-parti della società: dalla politica all’imprenditoria, alle professioni anche quelle artistiche. Non ba-sta un piccola riforma di settore come questa per cambiare questo atteggiamento del nostro Paese».

Come mai, secondo Lei, ogni governo mette mano alla Scuola e all’Università scate-nando reazioni e polemiche?

«La competitività di un Paese e il futuro dei suoi giovani si basa-no sulla Scuola e sull’Università. Ciascuno vorrebbe introdurre la propria idea per migliorare il si-stema, ma alle volte i guasti sono maggiori dei miglioramenti come ha dimostrato la situazione della Scuo-la che è finita al 40° posto negli anni, mentre nel dopoguerra vantava risul-tati decisamente migliori. Le reazioni e le polemiche sono fatti naturali in ogni sistema che tende a conservar-si per la paura del cambiamento e le recenti esperienze hanno sicuramen-te motivato tali paure. Devo dire an-che che le polemiche possono essere strumentali, ma alcune volte vengono prodotte da un atteggiamento arro-gante di chi si considera innovatore e non ha neppure un pregresso degno di cui avere fiducia. Comunque, la ricetta migliore è quella del dialogo continuo fra gli attori perché spiegan-do e ascoltando si chiariscono le idee di tutti».

In ogni capoluogo della nostra Regione, Brindisi compreso, ci sono corsi di laurea legati a fa-coltà degli atenei pugliesi. Non Le sembra si sia esagerato un po’ con le sedi distaccate?

«Anche questa è una verità falsata. Le norme nazionali impongono un numero massimo di studenti per corso di studio e quando tale numero è su-perato o si introduce il numero chiuso ovvero si sdoppia il corso. Inseguire l’utenza e realizzare i corsi sdoppiati nelle sedi da cui provengono gli stu-denti non mi sembra un errore. Chi può sostenere che sia più economico far muovere ogni giorno 150 studenti invece di 3 o 4 docenti? Nel sistema pugliese ci sono stati effettivamen-te delle iniziative che si sono rivelate inefficaci e che stanno rientrando, ma ci sono stati molti corsi che tenuti nei poli didattici di Brindi e Taranto stan-no avendo un grande successo. Pen-sare che la città di Taranto, seconda in Puglia per popolazione, non debba avere dei poli didattici universitari, mi sembra assurdo ma occorre scegliere tali corsi in funzione della domanda del territorio e non in base alle vellei-tà accademiche di espansione. Ricor-do, poi, che il potenziale di sviluppo territoriale di un insediamento uni-versitario è enorme e condivido l’esi-genza, che tutti esprimono, di godere nel proprio ambito di un tale insedia-mento. Sta alla politica e al coordina-mento delle Università il compito di

moderare queste ambizioni e realiz-zare solo gli interventi realmente utili e necessari».

In concreto, cosa cambierà nell’Università del Salento alla luce della riforma “Gelmini”?

«Il numero delle Facoltà e dei Dipar-timenti sarà ridotto per conseguire le previste razionalizzazioni ammi-nistrative e funzionali. Spariranno i consigli di Facoltà e i Dipartimenti avranno il compito di governare tutti i processi accademici. Verranno ride-finiti ruoli, competenze e composizio-ne del Senato Accademico e del Con-siglio di Amministrazione. Verranno potenziate le attività del Nucleo di va-lutazione. Sarà introdotto un sistema di valutazione interno che misurerà le prestazione di tutti gli operatori uni-versitari, nessuno escluso. I primi ri-sultati dell’Osservatorio della Ricerca diventeranno la base per ridiscutere il finanziamento ai Dipartimenti e la distribuzione delle risorse umane alle Facoltà. Al rettore non verrà conces-so di ricandidarsi e vedrà allungato il suo mandato di due anni per attuare la riforma e guidare l’Università nella transizione».

I vescovi italiani, negli Orienta-menti pastorali per il decennio 2010/2020, ribadiscono il ruolo dell’Università, chiamata a for-mare le nuove generazioni e ga-rantire loro “una preparazione che consente di orientarsi nella complessità culturale odierna”. Non crede che ultimamente si parli sempre e solo di finanzia-menti e tagli e non, invece, di qua-le debba essere il vero compito di una Università?

«Credo che il compito di una Uni-versità sia molto chiaro e molto simile a quello della Chiesa, cioè promuove-re l’elevazione culturale e scientifica dell’umanità facendo progredire la ricerca in tutte le direzioni. Effettua-re tagli su Università come la nostra vuol dire sottrarci risorse per svolgere questo ruolo e danneggiare irrimedia-bilmente lo sviluppo del nostro terri-torio».

Giovanni Morelli

Il rettore Laforgia: «Elementi innovativiassieme a criticità che vanno corrette»

P er noi parroci le feste natalizie hanno una gioia in più: quella di rivedere i nostri uni-

versitari che rientrano dalle varie sedi, per tra-scorrere le vacanze nella famiglia e negli am-bienti di origine. Vengono a salutarci, vivono con noi le celebrazioni, si fermano a chiacchierare sul sagrato con gli amici del gruppo di cui face-vano parte prima andare a studiare fuori. E noi cerchiamo di cogliere, da tanti segnali, se sono ancora quei ragazzi che sono cresciuti con noi e che conoscevamo molto bene o se sono cambia-ti: dal loro sorriso, dalle battute che fanno, dalla naturalezza con cui ci chiedono di confessarsi, dall’interesse che mostrano su come vanno le cose in parrocchia, dalla collaborazione spon-tanea che offrono o non offrono più, da quel-lo che ci raccontano sulla loro vita fuori, dalla spontaneità o dall’evasività con cui ci rendono partecipi di ciò che stanno facendo….

Sì, ad ogni rientro, noi li guardiamo con spe-ciale attenzione, e cerchiamo di individuare nel modo come si ritrovano nella comunità di origi-ne segnali di conferme o di mutamenti. Eppure è logico che l’esperienza del periodo universita-rio porti cambiamenti. Sotto certi aspetti è un periodo decisivo. Per questo vorremmo poter fare qualcosa di più per loro, e siamo contenti quando sentiamo che hanno trovato un bravo cappellano universitario e sono riusciti a inserir-si in qualche gruppo di pastorale universitaria.

Che cos’è l’università ? Qual è il suo compito ? - si chiedeva il Papa preparando il discorso che in-tendeva pronunciare in quel mancato incontro a

“La Sapienza” a Roma – “Penso che si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuole sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità”. Nella fase universitaria i nostri gio-vani esprimono in modo nuovo questa ricerca di verità che caratterizza l’uomo. La cercano con gli strumenti del sapere a livello universitario. La cercano con lo stimolo di nuovi incontri, di nuo-vi ambienti, di nuove persone che entrano nella loro vita, di nuovi docenti, di nuovi compagni, di nuove domande poste alla loro intelligenza, di nuove sfide poste alla loro fede, di nuove provo-cazioni alla loro fedeltà come discepoli di Gesù. Tutto ciò non è un male. Anzi di per sé è un’oc-casione propizia per approfondire, per scegliere, per prendere posizione, per consolidare e per-sonalizzare il dono della fede. Che gioia quando ci accorgiamo che l’esperienza universitaria li sta maturando, quando ci raccontano di nuove realtà ecclesiali che stanno conoscendo e da cui stanno ricevendo stimoli positivi! Ma, come sap-piamo, nelle molteplici provocazioni intellettuali e comportamentali del periodo universitario c’è anche il rischio di smarrirsi, di non ritrovarsi più nell’appartenenza ecclesiale, di lasciar crescere dubbi senza sottoporsi alla fatica di cercare le risposte, di lasciarsi trascinare dalla corrente, di credere emancipazione la rinuncia al patrimo-nio della propria formazione cristiana. Non è un caso che i fautori dello “sbattezzo” si diano da fare particolarmente nei cortili e nei corridoi nelle varie università.

È ben comprensibile allora che gli Orien-tamenti pastorali dell’Episcopato italiano per questo decennio riservino un’atten-zione particolare al mondo della scuola e dell’università. L’impegno pastorale della

Chiesa, soprattutto con gli universitari, è quello di “far maturare competenze per una comprensione viva del messaggio cristiano e a renderne ragione nel contesto culturale odierno” (n. 49). Questo rin-novato impegno ha alle spalle una lunga e am-mirevole storia. Proprio in questi giorni ho avuto fra le mani e ho letto con gusto una pubblicazio-ne dell’editrice Studium dal titolo: “Una rara ami-cizia”. Si tratta di un carteggio fra Giovanni Bat-tista Montini e un suo amico carissimo, Mariano Rampolla. Entrambi a servizio della Santa Sede, entrambi impegnati nell’appassionato servizio dei giovani fucini, gli universitari cattolici. Le lettere documentano la loro fraterna amicizia, il loro amore per la Chiesa e la passione educativa che li accomunava. Sappiamo quali frutti sono venuti da quella stagione di intelligente aposto-lato fra gli universitari; è sufficiente fare il nome di Aldo Moro.

Ogni stagione ha le sue caratteristiche, ma co-noscere certe pagine di storia ecclesiale ha senza dubbio un valore esemplare. Nell’oggi della no-stra Chiesa diocesana, durante il Sinodo, abbia-mo riflettuto anche sulla pastorale con gli uni-versitari e abbiamo espresso il nostro consenso ad alcune linee di impegno, formulate nelle va-rie proposizioni dedicate a questo tema.

don Fabio CiollaroVicario Episcopale

per la Pastorale Scolastica

La nostra Chiesa e gli universitari

«Per me, studente, si trattadi una svolta epocale»

Riforma dell’Università, vediamoci chiaro oltre le contestazioniLa riforma “Gelmini”

Il 23 dicembre 2010 il Senato ha approvato

in via definitiva la rifor-ma dell'università voluta dal ministro Maria Stella Gelmini: 161 i voti a fa-vore (Pdl, Lega e Fli), 98 i voti contrari (Pd e Idv), 6 gli astenuti (Api, Udc, Autonomie). La maggio-ranza ha blindato il testo prima del via libero de-finitivo, evitando di far passare provvedimenti che richiedano un suc-cessivo passaggio parla-mentare alla Camera.

La riforma Gelmini è composta da 29 artico-li che cambieranno il volto gestionale ed or-ganizzativo dei 66 ate-nei pubblici italiani. Ad iniziare dai consigli di amministrazione (cda), i quali verranno caricati di maggiori responsabili-tà su assunzioni e spese, ma anche di più rappre-sentanze di privati (40%) al fine, secondo gli idea-tori del disegno di legge, di garantire una valuta-zione oggettiva e impar-ziale. Il presidente potrà essere esterno. Introdu-zione della contabilità economico-patrimoniale uniforme, secondo cri-teri nazionali concordati tra Istruzione e Tesoro. Commissariamento e tolleranza zero per gli atenei in dissesto finan-ziario.

Introdotto il limite massimo al mandato dei rettori di complessi-vi 6 anni, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. Un rettore po-trà rimanere in carica un solo mandato e sarà sfiduciabile. Distinzione netta di funzioni tra Se-nato accademico e cda: il Senato avanzerà pro-poste di carattere scien-tifico, ma sarà il cda ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese. Ci sarà un direttore generale, al po-sto del direttore ammini-strativo, che avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere del-le sue scelte, come un vero e proprio manager dell'ateneo. Adozione di un codice etico per evi-tare incompatibilità e conflitti di interessi lega-ti a parentele. A questo proposito viene anche stabilito che per parte-cipare ai concorsi non si dovranno avere, all'inter-no dell'ateneo, parentele fino al quarto grado.

Il rettore Laforgia © Max Frigione

Nella foto: Francesco Mattia Sgura

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Vita Diocesana4 15 gennaio 2011

Eccellenza grazie di essere venuto, come in ogni festa, a trova-

re i suoi fratelli più poveri e più sfortunati.

Grazie per averci fatto avere, attraverso il suo vi-cario, Mons. Satriano, i suoi auguri la mattina di Natale, un piccolo raggio di sole quel giorno ha illu-minato la nostra giornata, altrimenti triste per la mancan-za dei nostri cari. So bene quello che la gente pensa dei detenuti, e, proprio per questo, apprezzo di più chi, come Lei e il nostro Cappellano Padre Giovanni, ci dedica tanto amore e tanta ab-negazione.

Siamo la porzione più povera della Sua chiesa siamo qui per espiare le nostre colpe confidan-do nel perdono e nella miseri-cordia di Dio e nei momenti di sconforto, mi creda sono tanti, ci rifugiamo nella preghiera.

Vorrei ringraziarLa di cuore per il regalo che ci ha fatto l’an-no scorso, dandoci la possibilità, una volta alla settimana di vede-re un film. Grazie anche per tutti gli altri aiuti materiali e spirituali che, tramite Padre Giovanni, il nostro amatissimo cappellano, ci fa pervenire. La popolazio-ne carceraria, però, non può ri-cambiare tanta Sua generosità, abbiamo molto poco…tuttavia, nelle nostre povere preghiere ci ricordiamo sempre di Lei.

Nel carcere regna l’accidia, qui siamo inoperosi almeno venti ore al giorno e per l’emergenza continua non possiamo neanche professare tutte le domeniche la nostra fede. Partecipiamo alla S. Messa a domeniche alterne. Ma

questo non indebolisce la nostra fede, anzi la rafforza. Qui nella nostra fragilità umana, abbiamo maggiormente bisogno di con-forto, ci piacerebbe incontrar-La più spesso e, magari passare qualche ora con Lei condividen-do anche un semplice dolce. La Sua presenza ci onora e ci con-sola. Lei ha certamente tanti im-pegni e deve curare tante anime, ma qui in questa casa di dolore, ci sono tante pecorelle da ricon-durre all’ovile.

Per grazia di Dio, mi sono stati concessi gli arresti domicilia-ri e tra le mura domestiche non smetterò mai di pregare e ringra-ziare Gesù per la grazia ricevuta.

Nei mesi in cui sono stato “ospi-te” presso la casa circondariale di Brindisi, ho avuto la fortuna, nella sfortuna, di incontrare, sempre per grazia di Dio, Padre Giovanni, il Cappellano, che con tanto amore mi ha ricondot-to all’ovile. Adesso prego tutti i giorni e mi sento tanto sereno.

Eccellenza, la popolazione car-ceraria di Brindisi, Le chiede di dedicarle qualche ora in più del suo preziosissimo tempo:la Sua presenza, la Sua testimonianza, la Sua vicinanza sono il pane che alimenta la speranza per un fu-turo migliore per ognuno di noi.

Le auguriamo che il nuovo anno Le porti tanta forza, spe-ranza, pace,salute e serenità e che l’amore di nostro Signore l’assista in ogni momento della sua giornata. Auguriamo anche che Nostro Signore dia tanta for-za e tanta pazienza anche al no-stro Cappellano. Un giorno qui dentro senza il Signore, che si fa presente nella persona del Cap-pellano, equivale al doppio.

Voglio infine ringraziare tutte le persone che orbitano nel pianeta carcere, tutti coloro che silenzio-samente prestano la loro opera, tutti coloro che con diligenza e spirito di servizio svolgono il loro lavoro. Lavorare in un carcere è molto impegnativo e duro. Nel-la casa circondariale di Brindisi, anche se con personale ridotto, ho trovato sempre una parola di consolazione da parte di tutti. Colgo l’occasione per dire grazie a tutti loro.

Eccellenza mi auguro di poter-La incontrare nuovamente da uomo libero: non finirò mai di ringraziarLa di quanto già fa e farà in futuro per tutti i miei fra-telli più sfortunati.

Eccellenza le chiedo la benedi-zione per tutti noi e per le nostre famiglie.

Un ex detenuto

ero detenuto L’Arcivescovo ha celebrato nella casa circondariale

Epifania, il “dono” di una presenzache parla di speranza a chi è ristretto

La cappella della casa circondariale di Brindisi© C.A.Corsa

A ridosso della festa del Battesimo di Gesù la Chiesa ricorda San Leucio, vissuto nel II secolo che fu pri-mo Vescovo di Brindisi ed è patrono della diocesi.

Una figura importante per la storia della città e per la Chie-sa brindisina di cui Leucio è il patrono. Quella di San Leucio è una figura molto cara anche al Santo Padre Benedetto XVI nei suoi studi di teologia, e al Sinodo diocesano che, nei suoi lavori, ha ricordato la grande opera evangelizzatrice portata avanti dal proto vescovo di Brindisi.

Per la ricorrenza, l’Arcivescovo ha presieduto, martedì 11 gennaio, presso la Basilica Cattedrale, la Solenne Celebra-zione Eucaristica animata dal Coro Polifonico Arcivescovile “San Leucio”.

Originario di Alessandria d’Egitto, Leucio ebbe la sua pri-ma formazione in una comunità monacale egiziana trasfe-rendosi in seguito, per il suo apostolato missionario, in uno dei porti più importanti del Mediterraneo, Brindisi, all’epoca importante centro marittimo del mondo romano, porta per l’Oriente e sede di colonie e gruppi di orientali, i quali dif-fondevano il Vangelo professato nelle loro terre di origine. Si ritiene che Leucio fosse uno di questi: si narra, infatti, che predicò la buona notizia in Puglia durante una siccità e che dopo l’arrivo della pioggia molti pagani si convertirono.

Con lo scopo di restituire la città di Brindisi all’ortodossia li-berandola da errate interpretazioni cristologiche e riscattarla dal paganesimo, fondò la Diocesi di cui divenne il primo Ve-scovo, edificando una Chiesa, l’attuale Cattedrale, dedicata a Santa Maria e San Giovanni Battista.

Dopo le invasioni longobarde (768), gli abitanti di Trani s’impadronirono del corpo del santo portandolo nella loro città e da lì fu poi traslato a Benevento, sede del ducato lon-gobardo, dove ancora si conservano le spoglie, tranne un braccio che nel secolo IX fu riportato a Brindisi.

Il culto per San Leucio si diffuse già anticamente in tutta la Puglia e varie zone rurali portano il suo nome. Oltre che a Brindisi, di cui è protettore della Diocesi, è molto venerato anche a Trani, Lecce, Benevento, Caserta, Capua; a Canosa, recenti scavi, hanno portato alla luce una basilica del V seco-lo a lui dedicata.

«Viviamo questa grande festa della nostra Chiesa brindisina nata con il primo Vescovo evangelizzatore delle nostre terre», ha detto l’Arcivescovo all’inizio dell’omelia, sottolineando come San Leucio abbia fondato questa comunità inserendo nel corpo mistico della Chiesa i primi cristiani, superando il paganesimo che non conosceva Dio per un cristianesimo che fa conoscere Gesù Cristo.

Grati al primo Vescovo di Brindisi, Mons. Talucci ha invita-to tutti a sentire l’appartenenza ai Vescovi di oggi, chiunque essi siano, perché il Vescovo è il segno di quella paternità di Dio che si esprime in Gesù.

La riflessione ha toccato anche la notizia degli ultimi gior-ni e cioè il drammatico momento che i cristiani di Alessan-dria d’Egitto, la terra di San Leucio, stanno vivendo a cau-sa delle persecuzioni. A questo proposito l’Arcivescovo ha aggiunto:«Noi vogliamo continuare ad amare anche quando siamo perseguitati ed offesi perché è in quel momento che l’amore diventa credibile. E questo è l’esempio che proprio San Leucio ha lasciato alla comunità brindisina». «Annun-ciatore del Vangelo nelle nostre terre - ha continuato mons. Talucci - egli ha speso la sua vita morendo in questa città, in tempi difficili, che non hanno fermato il suo coraggio di es-sere portatore della Parola di Dio».

Richiamando il brano evangelico letto, tratto da Luca, l’Ar-civescovo ha evidenziato la peculiarità della sua vita che è stata un servizio completo verso il suo popolo. E ringrazian-do la Provvidenza per il Santo Vescovo Leucio, per il Battesi-

mo che ha amministrato e che anche noi abbiamo ricevuto, ha affidato alla Vergine Santa la nostra Chiesa nata grazie al suo fondatore. «In questa Cattedrale in cui è venerato San Giovanni e la Madre di Dio, sia Lei ad aiutarci per vivere da figli del Padre e fratelli di Gesù Cristo».

Daniela Negro

ricorrenza� La Chiesa di Brindisi e Ostuni ha fatto memoria di chi si è speso per primo annunciando Cristo

San Leucio, patrono e primo vescovo di questa comunità

I l 23 dicembre scorso, un nutrito gruppo di giornalisti brindisini ha prestato ser-vizio presso la mensa della Caritas diocesana. Abbiamo raccolto alcune loro te-stimonianze.

Una bella e piacevole mattinata quella trascorsa il 23 dicembre scorso presso la Caritas di Brindisi, dove io e molti altri miei colleghi abbia-mo dato (ci abbiamo provato quanto meno ….) un piccolissimo con-

tributo per preparare il pasto agli ospiti della efficientissima struttura di via Carmine. Inutile dire che il ‘grosso’ del lavoro era già stato svolto dai bravissi-mi volontari che quotidianamente prestano la loro opera, sottraendo tempo alle proprie famiglie per aiutare i responsabili della Caritas affinché gli ospiti, interni ed esterni, possano avere ogni giorno un pasto caldo. Ma personal-mente devo dire che, oltre ad essere stata una piacevole, simpatica ed ‘origi-nale’ occasione per stare assieme ai miei colleghi – con i quali i momenti di incontro sono spesso solo quelli ‘istituzionali’ – l’iniziativa ha rappresentato una valida opportunità per sentirsi davvero utili nei confronti di chi, senza dubbio, è certamente meno fortunato di noi.

In poche parole, una esperienza da ripetere sicuramente. Il mio ringrazia-mento va alla Caritas, ma anche agli inconsapevoli commensali che hanno accolto la nostra ‘incursione’ con serenità e…coraggio!!!

Pamela Spinelli Telenorba

Spesso, presi come siamo dagli impegni, dal lavoro e dalle responsabili-tà, dimentichiamo quanto basti poco per offrire un amorevole servizio al prossimo. Pensiamo che se dobbiamo fare qualcosa per gli altri, per

chi è meno fortunato, bisogna agire in grande, quando invece sono i piccoli gesti, le azioni nel quotidiano, che lasciano segni ancora più profondi sia in chi riceve che in chi dà. Ognuno di noi nel suo piccolo può fare qualcosa. In questo i volontari della Caritas sono un grande esempio perché quello che fanno lo fanno nella gioia.

Ringrazio di cuore Lucia, Chiara e tutti i colleghi per questa giornata.Salvatore Vetrugno

Agenzia News

solida�rietà� Iniziativa alla mensa Caritas

Giornalisti in cucina

© A. Di Coste

© S. Licchello

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Vita Diocesana 515 gennaio 2011

Il 10 gennaio nel nostro Seminario si è tenuto il se-condo incontro di aggiornamento per sacerdoti, occasione bella per riflettere insieme su temi im-

portanti e attuali, ma soprattutto per confrontarci in un clima di serena condivisione. Dopo l’appuntamento di novembre dedicato alla liturgia, questa volta ci siamo soffermati sulla tematica dell’affettività, cercando di coglierne le implicanze per la nostra formazione perso-nale innanzitutto e poi anche, in chiave pedagogica, per ciò che riguarda il nostro essere educatori. A guidarci nella discussione è stato padre Giovanni Salonia, di Ragusa, frate cappuccino e psicoterapeuta, esperto nel campo della formazione, già ministro provinciale del suo Ordine, docente presso varie facoltà e autore di nu-merose pubblicazioni. Ci ha colpiti subito, padre Gio-vanni, per il suo modo di porsi con semplicità e imme-diatezza e per la capacità di parlare con competenza, senza perdere mai il suo tono affabile e cordiale. All’ini-zio del suo intervento ha voluto inquadrare il significato della parola affettività nel contesto della relazionalità, definendo quindi la capacità affettiva, come l’arte di vi-vere delle relazioni autentiche e valide. Ci ha fatto nota-re, poi, come oggi ci sia un’inedita attenzione all’affetti-vità, anche nei recenti documenti magisteriali e questo deve produrre in noi, prima che l’ansia di saper dare delle risposte, il desiderio di comprendere le domande. Occorre un passaggio sempre più convinto dalle “isti-tuzioni” alle relazioni, per poter condurre una vita dav-vero “buona” in senso evangelico, così come ci hanno indicato i vescovi negli ultimi orientamenti pastorali. Fondamentale il riferimento biblico che ha permesso al relatore di basare soprattutto sui capitoli 2-3 della Genesi le sue considerazioni, definendo quelle pagine della Sacra Scrittura un vero e proprio “manuale di an-tropologia”. Per noi cristiani è essenziale cogliere come siano inscritti nel cuore della nostra fede il rispetto e la cura per la relazione con l’altro e la valorizzazione della corporeità e della sessualità, caratteristiche fondamen-tali della persona. L’apertura verso l’alterità è in defi-

nitiva la conseguenza dell’essere creati “a immagine e somiglianza di Dio” che è in sé, comunità d’amore. Nel progetto di Dio per l’uomo c’è una proposta di felicità e di pienezza che passa attraverso quelle che sono le sue relazioni fondamentali: quella asimmetrica di figlio e quella alla pari di fratello o sposo, così come emerge dal racconto della Genesi. Tutte le altre relazioni dipendo-no o rimandano a queste. Tali relazioni costitutive sono segnate tuttavia da altrettante ferite, da alcuni limiti, a cui corrisponde un’opera di redenzione e trasfigurazio-ne realizzata da Cristo. La prima ferita consiste nell’ac-cettare di essere creature, cioè di non potersi dare la vita da soli e di non poter disporre in modo assoluto di essa. Questo può sfociare nella tentazione dell’orgoglio che interrompe la relazione con Dio, oppure nella logi-ca liberante della gratitudine. Ciò che era stato infranto attraverso il mistero del rifiuto consumato nel giardino dell’Eden è stato poi ricostruito nel giardino del Get-semani, dove Gesù, nuovo Adamo, ha accettato fino in fondo la condizione umana in una radicale dipenden-za dalla volontà di Dio Padre. Fidarsi di Dio e credere in lui restando creature è la strada nuova per guarire dalla “ferita originaria” e per cercare la felicità in Dio, più che in noi stessi. La seconda ferita, quella con l’altro, deri-va dalla prima: nel momento in cui si rompe il legame con Dio, l’altra tentazione è “togliere l’anima” all’altro e prendersi il suo corpo. E’ ciò che succede quando si cerca nell’eros ciò che esso non può dare e allora i cor-pi si svuotano della loro verità e divengono oggetti di consumo: la pienezza si ha quando si incontra l’anima e il corpo. Gesù ci libera da questa ferita indicandoci la via dell’eunuchia. L’eunuco è il maschio che ha subito una mutilazioni ignobile in vista di un compito nobile: custodire la regina, la donna del re. Se l’amore non è custodia dell’altro, diventa violenza sull’altro. L’eunuco è povero e nell’amore si diventa poveri perché l’altro ci denuda. L’eunuco ha un compito paradossale: è chia-mato ad entrare nel luogo dell’intimità altrui, proprio perché non può vivere con pienezza la propria; è mu-

tilato nel suo corpo per custodire l’integrità del corpo della “regina”; è ammesso all’intimità più intima del re perché ha nel suo corpo la garanzia di rimanere custo-de e non diventare proprietario. Certo, l’eunuchia per il Regno richiede la pienezza della maturazione affettivo-sessuale perché l’eunuco evangelico si colloca nel cuore di una nuzialità feconda: egli è eunuco dentro il miste-ro pasquale della coppia Cristo-Chiesa, unita dal sigillo amoroso dello Spirito. Siamo grati a Padre Giovanni per tutti gli spunti che ci ha offerto in merito a questo tema così importante e delicato e ci auguriamo che il percor-so avviato possa continuare nella nostra vita, attraverso un impegno formativo personale e costante.

don Alessandro Luperto

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Periodica Italiana

Ortodossi e cattolici ancora una volta uniti per celebrare l’Epifania del Si-gnore, la Grande Festa delle Luci, in

nome della stessa appartenenza cristiana.La manifestazione, che si rinnova ogni

anno dal 2002, è promossa dalla Chiesa Or-todossa di Brindisi in collaborazione con le Comunità Elleniche in Puglia (Bari, Foggia, Brindisi, Lecce e Taranto), con l’Arcidiocesi di Brindisi - Ostuni e con il Patrocinio Mora-le del Comune di Brindisi e del Consolato di Grecia.

Una giornata particolarmente vissuta con il vivo ricordo della Visita Pastorale, avvenuta un anno fa, nel giorno dell’Epifania, del Me-tropolita Gennadios, Arcivescovo Ortodosso d’Italia e Malta ed Esarca per l’Europa Meri-dionale.

Nella mattinata del 6 gennaio è stata offi-ciata la Divina Liturgia presso la Chiesa Or-todossa di San Nicola seguita dalla proces-sione, per le vie principali del centro, fino al porto interno di Brindisi dove ad attendere i fratelli ortodossi erano presenti le autorità locali e l’Arcivescovo Mons. Rocco Talucci.

Anche quest’anno la comunità ortodossa e quella cristiana cattolica si sono ritrovate per la solenne benedizione delle acque del porto interno con l’immersione e il recupero della

Croce, secondo le antiche tradizioni ortodos-se, a ricordo del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano.

Gesto che simboleggia il sacrificio di Cri-sto, morto e risorto per l’umanità salvata dal peccato.

L’Epifania del Signore o Theofania, che si-gnifica propriamente Apparizione Divina, è sempre particolarmente sentita nella città di Brindisi, divenendo, ogni anno, un’occasione significativa per rafforzare il dialogo ecume-nico, intrapreso da anni nel nostro territorio, in prossimità della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani che si svolge dal 18 al 25 gennaio.

Annunciando l’evento, il Presidente della Comunità Ellenica Ioannis Davilis ha di-chiarato: «Siamo consapevoli che in questo modo contribuiamo per affermare la nostra città come punto di riferimento nazionale e internazionale per l’ecumenismo attivo di base e per il dialogo tra i cristiani...forti delle benedizioni dei nostri Pastori, il Metropolita Gennadios e l’Arcivescovo Mons. Rocco Ta-lucci». «Continuiamo a lavorare - ha aggiun-to Davilis - per l’ affermarsi dei principi etici, morali e religiosi che uniscono i nostri popo-li, le nostre due comunità».

Daniela Negro

aggiornamento clero Relazione di padre Giovanni Salonia

Affettività e vita di relazione

ePiFania Le ragioni di un cammino comune

La grande festa delle luci

L’immersione della croce nelle acque del porto © D. Tasco

“Veni Domine Jesu” è il titolo del tra-

dizionale concerto natali-zio che anche quest’anno il Coro Polifonico Arcive-scovile “San Leucio” ha tenuto, il 30 dicembre, nella Basilica Cattedrale di Brindisi in occasione della rassegna musicale inter-nazionale “I Suoni della Devozione”, giunta alla de-cima edizione.

L’iniziativa, che si svolge come di consueto nelle chiese di Brindisi durante le festività natalizie, è sta-ta organizzata dall’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidio-cesi di Brindisi-Ostuni e dall’Ufficio Cultura del Co-mune di Brindisi.

Ad accompagnare il coro e l’orchestra, diretti dal M° Giampaolo Argentieri, le incantevoli voci soliste del soprano Mariangela Aruan-no e del baritono Vittorio Bari, principali interpreti nel ruolo di Beatrice e Dan-te nel musical “La Divina Commedia: l’Opera”.

Un trionfo di voci arricchi-to anche dalla partecipazio-ne straordinaria dell’attore brindisino Rino Cassano.

La serata, presentata da Antonio Celeste, ha visto la partecipazione in Cattedra-le di numerosi presenti e dell’Arcivescovo Mons. Roc-co Talucci, per un momen-to di grande musica unita alla preghiera del canto

sulle note dei brani, magi-stralmente arrangiati, della più bella tradizione natali-zia europea e italiana.

Veny domine Jesus, L’amor che move il sole e le altre stelle, Jingle bells, Joy to the world, Stille nacht, The night in Bethlehem, Pre-ghiera della Vergine, Glo-ry to the world, Open the doors, Jesus in my life, In notte placita, Extra omnes, Have yourself a Marry little Christmas: questi i brani eseguiti dal Coro Polifonico San Leucio per festeggiare il Santo Natale e salutare il nuovo anno in una magica atmosfera che, tra melodie del passato e del presente,

ha scaldato i cuori di tutti dinanzi al mistero della ve-nuta del Signore.

«Il Coro San Leucio è oggi un’eccellenza del territo-rio» - ha affermato la Pre-sidente Anna Rita di Sanse-bastiano - «espressione di evoluzione nel repertorio e nell’approfondimento mu-sicale ma anche indicatore di un cammino educativo rivolto al sociale. Durante la serata del 30 dicembre, infatti, è stata ospite l’as-sociazione BrinAil, perché l’augurio di speranza nel futuro giunga a tutti coloro che soffrono».

Daniela Negro

in catteDrale Concerto il 30 dicembre

Coro San Leucio, un’eccellenza

© A. Di Coste

© A. Di Coste

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Ecumenismo e Dialogo6 15 gennaio 2011

Il 17 gennaio si celebra la giornata di riflessione ebraico cristiana, appunta-mento annuale che offre agli uomini e

alle donne che si rifanno ad entrambe le tradizioni, la possibilità di meglio com-prendersi e stimarsi.

È bene ricordare che di fondamentale importanza per lo sviluppo del dialogo fu la dichiarazione del 1965, Nostra Aetate, promulgata dal Concilio Ecumenico Vati-cano II, nella quale si asseriva una verità forse oggi scontata, cioè che gli ebrei non devono essere accusati di deicidio.

In seguito alla Nostra Aetate venne elimi-nata la dicitura “perfidi ebrei”, che esisteva nella liturgia cattolica nella celebrazione del Venerdì Santo.

Anche nella nostra Diocesi si celebrerà questo appuntamento: presso la comuni-tà delle Suore Oblate Benedettine di San Vito dei Normanni ‒ luogo privilegiato del dialogo ecumenico e tra le religioni ‒ il 17 p.v. alle ore 18,30 Miriam Rebhun terrà la relazione ispirata al tema di quest’anno: La quinta Parola del Decalogo: Onora tuo padre e tua madre. La prof.ssa Rebhun è membro della Comunità ebraica di Napoli e dell’ADEI (Associazione donne ebree d’Ita-lia); vicepresidente dell’Associazione Amici-zia ebraico cristiana di Napoli.

Un po’ di storia. Forse non tutti sanno che l’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana nacque da un vasto movimento d’opinio-ne che si sviluppò in Europa dopo i tragici eventi dell’ultima guerra mondiale. La pri-ma “Amicizia Ebraico-Cristiana” nacque in Francia, a Lione, nel 1942. In Italia la prima sorse a Firenze nel 1950 e fu merito dell’impegno di Giorgio La Pira e di Jules Isaac.

A Napoli, l’AEC è nata nel 1987 per vo-lere del Cardinale Ursi, particolarmente attento all’ecumenismo e al dialogo con l’ebraismo (è stato infatti il primo uomo di Chiesa a compiere una visita in Sinagoga nel 1966); nel gruppo promotore: il Rabbi-no Cesare Eliseo, Alberta Levi Temin (co-

munità ebraica), il teologo Bruno Forte, le teologhe cattoliche Diana Pacelli e Lucia Antinucci (prima presidente), il Pastore A. Squitieri, il Pastore A. Saggese, il Pasto-re N. Lella, il Seminarista G. Di Palma e la Prof. Diana Pezza Borrelli (Movimento dei Focolari e attuale presidente).

A tutt’oggi ne fanno parte ebrei e cristia-ni di tutte le Chiese presenti a Napoli, e - come ospiti speciali - amici di altre reli-gioni.

Salutiamo con particolare favore, per-tanto, questa occasione diocesana che viene offerta: incontro che è maggiormen-te da apprezzare in ragione della ripresa del dialogo a livello nazionale sospeso nel 2009 per incomprensioni tra le due con-fessioni. Solo dopo un’azione comune del-la Conferenza Episcopale Italiana e la Co-munità dei Rabbini d’Italia (22 settembre 2009) è maturata la convinzione che tale celebrazione può aiutare la comprensione reciproca e la collaborazione per la cresci-ta dell’amore verso Dio e il prossimo.

don Sebastiano Pinto

ECUMENISMO E DIALOGO Dal 17 al 25 gennaio diverse occasioni offerte a tutti per riflettere

Sforzarsi di crescere nell’amore verso Dio e il prossimo

Il mese di gennaio ci riporta, come ogni anno dal 18 al 25, alla Settimana di pre-ghiera per l’unità dei cristiani il cui tema

per l’edizione 2011 è “Uniti nell’insegnamen-to degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nella preghiera”. È stata quest’anno la Chiesa di Gerusalemme, con la sua grande diversità, ad offrire alla ri-flessione di tutte le Chiese cristiane nel mon-do il tema tratto dagli Atti degli Apostoli. Si tratta – si legge nella presentazione della Set-timana sul sito www.prounione.urbe.it – di una esortazione a “scoprire i valori che ten-nero uniti i primi cristiani di Gerusalemme”. Il messaggio ai cristiani d’Italia. L’unità “non è uniformità, ma una vita vissuta in modo autenticamente cristiano che diventa una sinfonia di diversità perché l'unico Spi-rito continua a comporre la partitura della lode a Dio”. Parte da questa considerazione il messaggio che i responsabili delle Chiese cristiane in Italia rivolgono quest’anno alle loro comunità in vista della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. “Invitiamo tutti i cristiani in Italia ad unire le loro voci”, scrivono mons. Mansueto Bianchi, della Commissione episcopale per l’ecumenismo, il pastore Massimo Aquilante, della Federa-zione delle Chiese evangeliche in Italia, e il metropolita Gennadios, della Sacra Arcidio-cesi ortodossa d’Italia. “Noi, come quei pri-mi cristiani, abbiamo bisogno di continuare a pregare insieme per il dono dell'unità, che dà grande speranza al mondo, per la pacifi-ca convivenza dei popoli e la pace nell'uni-verso; così facendo anche noi saremo tra-sformati da questa preghiera”. Il messaggio è anche un’esortazione ai cristiani d’Italia a partecipare alle varie iniziative messe in pro-gramma: “Come responsabili di comunità cristiane qui in Italia, affidiamo a ciascuno di voi individualmente e collettivamente, la partecipazione alla preghiera dell'unità per i cristiani durante tutto l'anno, cosicché la nostra testimonianza possa, come quella dei primi cristiani, essere visibile e costituire un modo di essere obbedienti alla preghiera di Gesù ‘che tutti siano una cosa sola’”. Preghiera per la pace. Nel libretto della Set-timana, i responsabili delle Chiese di Geru-salemme propongono alle Chiese locali una preghiera per la pace che si rivolge in parti-colare ai leader politici della loro terra: “La nostra Città Santa e la nostra terra hanno tanto bisogno di pace. Nel tuo ineffabile mi-stero e nel tuo amore verso tutti, lascia che il potere della tua redenzione e della tua pace attraversi le barriere di tutte le culture e di tutte le religioni, e riempia i cuori di tutti co-loro che ti servono qui, di entrambi i popoli israeliano o palestinese, e di qualsiasi altra religione. Donaci leader politici disponibili a dedicare la propria vita per una pace giu-sta per il proprio popolo. Rendili sufficien-temente coraggiosi per firmare un trattato

di pace che conceda la libertà ai Palestinesi, doni sicurezza agli Israeliani, e ci liberi tutti dalla paura. Donaci leader politici che com-prendano la santità della città e la rendano una città accogliente per tutti i suoi abitanti – Palestinesi e Israeliani – e per tutto il mon-do. Nella terra che Tu hai reso santa, libera tutti noi dal peccato di odio. Libera i cuori e le menti degli Israeliani e dei Palestinesi dal peccato. Dona la liberazione alla gente di Gaza che vive sotto prove e minacce senza fine”. Un appuntamento. “Riprendere le sfide di Edimburgo, 1910-2010. L'eredità e le pro-spettive raccolte da un secolo di ecumeni-smo”. È il titolo di un incontro promosso il 10 gennaio, pochi giorni prima dell'inizio della Settimana di preghiera. Ad organizzarlo sono la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), l'Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (Cei) e la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Ita-lia. Il 2010 è stato l'anno del centenario della Conferenza di Edimburgo che si svolse nel 1910 e viene oggi considerata come la data di nascita del movimento ecumenico contem-poraneo. L’incontro di Roma, spiega Letizia Tomassone, vicepresidente della Fcei, “vuo-le fare il punto su cosa è emerso dal dialogo ecumenico di questo anno che in fondo è servito per fare analisi e bilanci sull’ecume-nismo in Italia. In particolare, quali sono le vere questioni aperte oggi nel nostro Paese? Su quali nodi dobbiamo cercare un terre-no comune e su quali possiamo osare delle aperture”.

Giornata per l’approfondimento e il dialogo tra ebrei e cristiani

Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani

La Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani

nella nostra Diocesi

17 gennaio 2010 ore 18,30GIORNATA DEL DIALOGO TRA CATTOLICI E EBREI

La Quinta Parola:"Onora tuo padre e tua madre"San Vito dei Normanni - Suore Oblate Benedettine

Testimonianza di Miriam RebhunIntroduce don Sebastiano Pinto

Martedì 18 gennaio ore 18,30 Brindisi Chiesa Ortodossa S. Nicola

Celebrazione ecumenica della Parola di DioMons. Rocco Talucci, Arcivescovo di Brindisi-Ostuni

dott. Winfrid Pfannkuche, Pastore valdeseP. Arsenio, Parroco ortodosso

Mercoledì 19 gennaio ore 19,00 Veglie - Parrocchia SS. Rosario

Celebrazione ecumenica della Parola di Dio Meditazione del Pastore valdese Dott. Winfrid Pfannkuche

Giovedì 20 gennaio ore 18,30 San Vito dei Normanni - Suore Oblate Benedettine

"Uniti nell'insegnamento degli apostoli, nella comunione,nello spezzare il pane e nella preghiera"

Dott. Winfrid Pfannkuche Pastore valdeseIntroduce don Adriano Miglietta

Domenica 23 gennaio Preghiera per l'unità nelle SS. Messe

Lunedì 24 gennaio ore 19,00 Ostuni - Monastero delle Carmelitane

Celebrazione ecumenica della Parola di Dio Meditazione di fratel Raffaele Ogliari, monaco di Bose

Martedì 25 gennaio ore 18,30 Locorotondo - Chiesa Madre

"La preghiera per l'unità"Sr M. Auxilia Cassano, oblata benedettina

Introduce don Giacomo Giannoccaro

Martedì 25 gennaio ore 19,00 Brindisi Chiesa Ortodossa S. Nicola

Studio Biblico EcumenicoSalmo 141

Nel corso del primo Angelus del 2011, Benedetto XVI ha annun-ciato che, siccome in questo anno

ricorrerà il 25° anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace che il Venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986, nel prossimo mese di otto-bre, si recherà pellegrino nella città di san Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizio-ni religiose del mondo e, idealmente, tutti

gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal suo Predecessore e di rinnovare solen-nemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. «Chi è in cammino verso Dio» - ha detto il Papa - «non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio. Vi invito ad accompagnare sin d'ora con la vostra preghiera questa iniziativa».

Incontro ecumenico mondiale ad Assisi

Il Papa visita la comunità ebraica di Roma

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Nell’ambito delle iniziative pensate per vivere l’iti-nerario di carità nei cammini formativi dell’AC, il Mese della Pace si caratterizza per quell’atten-

zione alla mondialità e alla costruzione della pace tra e all’interno delle Nazioni. Questa tappa dell’Iniziativa Annuale si inscrive nel percorso formativo annuale del-la proposta ACR completandola e declinandola secondo l’attenzione e l’immagine di fondo suggeriti dal cammi-no. Inoltre essa si lega alla riflessione che anima tutta la Chiesa Universale nel mese di gennaio a partire dal Mes-saggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace.

Nell’anno associativo 2010/2011 costruire la pace si-gnifica, per i bambini e i ragazzi, riflettere su tutto ciò che non è parte del progetto di Dio per la Chiesa e per l’uomo e che impedisce di essere sale e luce per la terra. Animati dall’imperativo “Fai la differenza”, i ragazzi du-rante il Mese della Pace saranno chiamati a scoprire che “nel meno c’è il più”, cioè saranno invitati ad alleggerir-si degli atteggiamenti, delle dinamiche, delle situazioni, dei pesi e degli errori che impediscono loro di liberare la pace nei luoghi in cui vivono e a dare sapore alla loro vita e a quella degli altri. Comprenderanno che discerne-re ciò che ostacola la piena realizzazione della comunio-ne e “sottrarre” il superfluo dalla loro vita, costituiscono i passi necessari e importanti per vivere pienamente l’essere cristiani impegnati a portare nella storia la Paro-la che salva. In continuità con il Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace “Libertà religiosa, via per la Pace”, essi scopriranno che la persecuzione, la discri-minazione e l’intolleranza religiosa sono grossi ostacoli all’edificazione della pace, dei quali si può “fare a meno” attivando un dialogo costante e privo di pregiudizi con le diverse culture e religioni che abitano la terra.

Come ogni anno, il Mese della Pace si concluderà con la grande Festa che coinvolgerà tutta la cittadinanza nel tentativo di sensibilizzare e diffondere la Pace a partire dal territorio in cui i ragazzi vivono. In linea con l’am-bientazione di quest’anno, dedicata al mondo dei nume-ri, questo momento avrà come titolo “La Pace ha tutti i numeri”. Lo slogan di quest’anno esprime essenzial-mente due idee: da un lato la consapevolezza che cia-scun bambino e ragazzo ha nell’accogliere la Pace come un dono grande che Dio Padre fa all’umanità; la pace ha tutti i numeri, la pace cioè va costruita mettendosi in gioco nella vita quotidiana. Dall’altro esprime il deside-rio di ogni ragazzo di sperimentare che è possibile vivere in un mondo dove regnino la pace e la libertà.

Insomma ancora una volta, i ragazzi saranno sollecita-ti a fare esperienza, a verificare in prima persona che la pace è un dono di Dio che va custodito e coltivato attra-verso l’impegno di tutti, maturando quel “di più” a cui ogni cristiano è chiamato: “Sulle strade della giustizia e dell”amore, un cristiano che non sia un «di più» è perdu-to” (Primo Mazzolari).

L’equipe diocesana ACR

SETTIMANA DELLA PACE Tante iniziative dal 23 al 30 gennaio

Il culmine nella preghiera comune

Come tutti gli anni il Mese della Pace si concluderà con un’in-tera settimana dedicata all’ini-

ziativa di pace perché possa estendersi al territorio l’impegno e la sensibiliz-zazione e raggiungere, con proposte differenti, i ragazzi, i giovani, gli adulti e il resto delle comunità parrocchiali e cittadine.

Questo appuntamento vuole rappre-sentare anche l’esercizio di una sana corresponsabilità che, partendo dalla collaborazione tra le associazioni di una stessa città o vicaria, può aprirsi

anche a sinergie differenti con altre as-sociazioni ecclesiali, culturali e impe-gnate nel sociale.

La settimana della pace rappresenta così l’occasione concreta per far giun-gere il respiro ampio di una Chiesa che si apre alla realtà circostante e la sostie-ne con la sua forza aggregativa.

Durante la settimana che va dal 23 al 30 gennaio prossimi, in ogni città sa-ranno organizzati cineforum, mostre, tavole rotonde, reading letterari, veglie di preghiera che animeranno i parte-cipanti e li renderanno protagonisti

dell’impegno per l’edificazione della pace.

In particolare un’iniziativa costituirà uno dei momenti più attesi della setti-mana. La veglia di preghiera che ogni anno viene celebrata dalle comunità parrocchiali cittadine e aperta alla cit-tadinanza, quest’anno si caratterizzerà come momento interreligioso che coin-volgerà esponenti di altre confessioni e permetterà di realizzare quel dialogo tra pensieri, culti ed etnie diverse che è alla base della comunione tra gli uo-mini.

MESE DELLA PACE La proposta formativa Acr

Educarsi a fare la differenza

L’impegno dell’Ac per la Russia

C ome da tradizione, anche quest’anno l’Azione Cattoli-ca dei Ragazzi prende a cuore un’iniziativa di carità e

di cooperazione internazionale. In particolare per il 2011 si sosteranno alcuni progetti nella Russia siberiana gestiti dalle suore Ancelle dell’Immacolata Concezione e il cen-tro per i ragazzi di strada di San Pietroburgo coordinato da padre Stefano Invernizzi dei Frati Minori in collabora-zione con le realtà locali delle chiese ortodossa e lutera-na. Il sostegno ai bambini della Russia è stato presentato ufficialmente in occasione dell’Incontro Nazionale “C’è di +”che l’Associazione ha vissuto lo scorso 30 ottobre. Que-sti progetti si sono sviluppati per fronteggiare la difficile condizione in cui versa la popolazione infantile dei territo-ri dell’ex Unione Sovietica.

Negli ultimi anni, infatti, la Federazione Russa ha regi-strato globalmente una costante crescita economica, ma per la maggior parte della popolazione la liberalizzazione incontrollata si è tradotta in un peggioramento delle con-dizioni di vita e in un ridotto accesso ai servizi sociali di base. Intere famiglie di lavoratori sono state destabilizza-te dalla nuova situazione e un’alta percentuale di abitanti vive al di sotto della soglia di povertà. Tale quadro è poi complicato dalla presenza di conflitti etnico-religiosi che dilaniano il paese da anni.

Secondo il rapporto UNICEF 2008, il tasso di mortali-tà infantile sotto i cinque anni è di 16 su mille nati vivi. I recenti tagli al welfare state hanno fortemente penalizza-to il settore sanitario. I medici e il personale ospedaliero sono sottopagati. Il declino degli standard di salute pub-blica è dimostrato dal riapparire di malattie epidemiche come difterite, colera e tubercolosi. L’HIV/AIDS è ritenuta un’emergenza nazionale e si sta assistendo a una crescita rapidissima della sua diffusione, tra le più alte in Europa. Un numero preoccupante di nuove infezioni è ora riscon-trato anche nelle donne in età fertile: più di ventimila bambini sono nati da madri infette da HIV. Il Ministero dell’Istruzione della Federazione Russa ha recentemente messo a disposizione i dati sulla condizione dell’infanzia in stato di abbandono, i dati sono piuttosto preoccupan-ti: negli ultimi anni si è registrato un continuo incremento del numero di minori in stato di abbandono (orfani, ab-bandonati, bambini tolti dalla famiglia per motivi sociali): nel 1993 erano 81.441, a fine 2004 erano 245.000 e il nu-mero è in costante aumento. In tutto, i bambini senza tu-tela sono 700.000, di quali più di 500.000 vivono in istitu-to. Dei 700.000 minori privi di cure parentali circa 30.000 fuggono ogni anno da situazioni familiari problematiche affollando le stazioni ferroviarie e della metropolitana, i rifugi per senza tetto e gli istituti. Di questi minori abban-donati ben il 95% ha almeno un genitore in vita. Si tratta quindi di orfani cosiddetti “sociali”, le cui famiglie vivono situazioni di disagio economico, a causa della mancanza di lavoro e con problemi legati alla criminalità.

La maggior parte degli orfani russi risiede nelle strutture statali di accoglienza chiamate case dell’infanzia; queste dipendono dal Ministero della Salute ed ospitano bambi-ni fino a quattro anni. Raggiunta questa età, dopo essere stati sottoposti a un test psico-fisico che ne accerta lo svi-luppo

motorio e le capacita psichiche, sono inviati alle case del bambino che dipendono dal Ministero dell’Istruzione, dove di solito frequentano il corso di studi obbligatorio per nove anni, ma se sono riconosciuti anche solo legger-mente disabili sono inviati agli internati per malati psichici alle dipendenze del Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Sociale dove vivono seguendo un corso abbreviato di studi per soli sei anni. Non ricevendo alcun un sostegno econo-mico né aiuto per il reperimento del lavoro e di un’abita-

zione, la maggior parte di essi rimane comunque in questi istituti sino all’età di 18 anni, dopodiché sono trasferiti in istituti psichiatrici per adulti.

Le informazioni sulla situazione dell’infanzia in Russia sono spesso scarse e reperibili da fonti non ufficiali. Ciò non aiuta a fare chiarezza e a sostenere gli sforzi delle associazioni che sono presenti sul territorio a favore dei bambini russi per rendere meno drammatica la loro con-dizione.

È in questo contesto che si inserisce l’esperienza delle Suore Ancelle dell’Immacolata Concezione, guidate dal-la Madre Superiora suor Elisabetta Vinjarska. Il “Centro di aiuto alla famiglia e ai bambini della Sacra Famiglia”, esiste nella parrocchia di San Pietro e Paolo della città di Chita dal 2002 e svolge varie attività dirette alle famiglie indigenti, ai bambini e agli adolescenti provenienti da am-bienti difficili per motivi economici o sociali (madri sole, genitori disoccupati, problemi di alcolismo). Due sono i progetti che le Suore Ancelle vogliono realizzare grazie al sostegno dell’Azione Cattolica.

Il primo riguarda la creazione di una scuola materna nel-la cittadina di Bratsk per bambini di età tra i 3 e i 6 anni, dove questi siano accolti dalle 8 alle 17. Il secondo inve-ce prevede il sostegno alla casa-accoglienza di Angrarsk, aperta dalle suore nel 2001/02, con lo scopo di accogliere bambini senza famiglia o provenienti da famiglie povere ai quali permettono di svolgere attività di studio, ricreati-ve e di riabilitazione sociale e spirituale.

Molto simile è l’impegno de “Il Centro di crisi per bam-bini”, un’associazione fondata dai Frati Minori in collabo-razione con i fratelli della Chiesa Ortodossa e della Chie-sa Luterana e nota per l’attività di un Telefono di fiducia, presso il quale si raccolgono i segnali di disagio delle fami-glie, genitori e ragazzi, e dove si cerca di prevenire il peg-gioramento di situazioni a rischio; e per due Centri diurni presso i quali i bambini più piccoli (fino ai dodici anni) e i ragazzi più grandi (fino ai diciassette anni) hanno la pos-sibilità di trascorrere il pomeriggio svolgendo attività di animazione e di formazione, nonché di recupero scolasti-co. Al Centro di crisi per bambini si sta riorganizzando il servizio psicologico e sociale operante trasversalmente in tutti i settori (telefono e centri diurni). Si sta progettando anche l’apertura di una casa-famiglia per i ragazzi autistici e si guardano con interesse anche altri campi sociali par-ticolarmente bisognosi di aiuto: anziani, ammalati di AIDS e tossicodipendenti, in particolare. A tale proposito è stata aperta nel novembre del 2009 una casa di accoglienza per i bambini sieropositivi, dai zero ai cinque anni, e per bam-bini della stessa età che hanno subito violenze o sono stati abbandonati dai genitori.

Tali progetti, se sostenuti in maniera adeguata, possono contribuire al recupero di un’infanzia vissuta in pienezza in tutti quei territoriali martoriati nel corso degli anni da un regime politico autoritario, dal collasso economico che è seguito alla caduta del regime e dagli scontri che anima-no queste vaste aree della Russia.

Mese della Pace

Pagina a cura dell’equipe diocesana dell’Azione Cattolica Ragazzi

Un gadget a sostegno dell’iniziativa di pace

In quest’anno, colorato dal mondo dei numeri, la faran-no da padrona le calcolatrici solari “La pace ha tutti i

numeri” che aiuteranno a sostenere i progetti nei territo-ri della Russia.Le calcolatrici possono essere acquistate rivolgendosi al centro diocesano di AC ([email protected]) mentre le offerte possono essere inoltrate al conto corrente postale n. 877001 oppure sul conto corrente bancario Banca Po-polare Etica – Filiale di Roma codice IBAN: IT90 T 05018 03200 000000565656; entrambi intestati a: “Presidenza nazionale Azione Cattolica Italiana, via della Conciliazio-ne 1, 00193, Roma”. È importante sempre specificare una delle seguenti causali: “nome diocesi - ACR - Russia - cal-colatrici” oppure “nome diocesi - ACR - Russia - offerta”.

I bambini del centro di Bratsk

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8 15 gennaio 2011 Associazioni & Territorio

Le festività natalizie appena trascorse hanno visto impegnata la comunità parrocchiale della Cattedrale in un

cammino intenso e pieno di belle esperienze di solidarietà e di condivisione, nella centra-lità del mistero dell’Incarnazione.

Costante in questo periodo è stato il segno della “Luce della Pace di Betlemme” presen-te all’ingresso del Duomo dal 19 dicembre al 6 gennaio u.s.

Quest’anno l’Angolo della Luce, semplice e leggero, dove risaltava la centralità della Pa-rola accanto alla Luce, come indica il brano Giovanneo del giorno di Natale, ha visto cen-tinaia di persone accostarsi per attingere dal cero la “Luce”, prelevarla per portarla nelle proprie case e distribuirla ovunque si avesse voglia di far giungere un segno di pace.

Questo è il 14° anno che la “Luce della Pace” arriva nella nostra città, essendovi giunta per la prima volta nel 1997.

Domenica 19 dicembre, la “Luce della Pace” è giunta a Brindisi, portata in treno da-gli Scouts di Trieste che hanno l’onore ed il compito di esserne la staffetta italiana, dopo che l’hanno ricevuta a Vienna dai fratelli Scouts Austriaci.

È stata accolta alle ore 8,30 dagli Scouts dei due Gruppi brindisini e da una rappresen-tanza del Gruppo Mesagne 2.

Dopo l’accensione delle lanterne, sul bi-nario della Stazione ferroviaria, e un breve momento di preghiera, nel piazzale esterno, gli Scouts cittadini si sono diretti presso le parrocchie Cattedrale e S. Vito martire, dove hanno consegnato la “Luce” alle assemblee parrocchiali.

In Cattedrale, all’inizio della S. Messa par-rocchiale delle ore 10,00, gli Esploratori e dalle Guide hanno introdotto processional-mente la “Luce” in chiesa ponendola sulla balaustra del presbiterio. Al termine della celebrazione è stata portata nell’Angolo pre-

disposto all’ingresso della Cattedrale.Collateralmente alla “Luce”, in Cattedrale,

nella cappella laterale destra del Santissimo, sono stati esposti dei presepi realizzati dai Lupetti/e e dagli Esploratori con tecniche e materiali vari.

La Luce della Pace è rimasta accesa nelle chiese sino al 6 gennaio 2011.

Essa proviene dalla lampada ad olio che arde perennemente da moltissimi secoli nel-la Chiesa della Natività a Betlemme.

L’iniziativa nasce in Austria nel 1986, e già lo stesso anno arriva in Italia, a Trieste, ad opera degli Scouts sud-tirolesi e di quelli triestini.

La distribuzione, dapprima localmente, si estese nel 1996 a livello nazionale, utilizzan-do il mezzo ferroviario per una staffetta, di stazione in stazione, sulle principali direttri-ci ferroviarie.

La pace è patrimonio di tutti e la Luce deve andare a tutti. La parola “pace” ci richiama alla mente immagini di serenità, di tranquil-lità e non leghiamo questo termine a concet-ti dinamici. Invece la pace richiede impegno e tenacia. Quale migliore occasione ci offre la “Luce di Betlemme” per farci costruttori di pace?

Ognuno può dare alla “Luce della Pace” si-gnificati diversi, ma deve dare identico valo-re.

La “Luce della Pace” non ha solo un signi-ficato religioso, ma traduce in sé molti valo-ri civili, etici, morali, accettati anche da chi non pensa di condividere una fede. Perciò viene accolto nell’iniziativa chiunque voglia partecipare alla distribuzione anche se non cristiani, purché condivida i valori di Pace e Fratellanza che “la Luce della Pace” porta con sé.

Donato RosaCapo Gruppo AGESCI “Brindisi 2”

scout� Anche quest’anno dal 19 dicembre al 6 gennaio

La Luce della Pace brilla ancora

Il 7 dicembre u.s. gli alunni della scuola secondaria di primo grado S. Giovanni Bosco di Ostuni, hanno incontrato presso

il teatro della Parrocchia Santi Medici, l’asso-ciazione AIFO nelle persone del presidente nazionale dott. Francesco Colizzi e di due te-stimoni provenienti dall’India, il dott Jayant Kumar, coordinatore in India di progetti su base comunitaria e il dott Jose Mannikathan, coordinatore paese India, già in Ostuni da qualche giorno in occasione della giornata internazionale della disabilità.

Gli alunni della S. Giovanni Bosco, con l’aiuto dei docenti di religione e di lettere si erano preparati a tale evento riflettendo sul valore della dignità della persona, sempre e comunque, prescindendo dalle situazio-ni contingenti; a grandi linee erano stati in-formati dello scopo dell’AIFO risalendo alle sue origini in R. Follereau “l’apostolo dei lebbrosi”e avevano studiato l’Induismo, la storia e la geografia dell’India. All’appunta-mento con gli esponenti dell’AIFO i ragazzi sono giunti pertanto motivati e ben prepa-rati, ma soprattutto desiderosi di conoscere ancora ponendo numerose domande.

La testimonianza di Jayant Kumar è risulta-ta particolarmente toccante data la sua situa-zione di “di non vedente” così come emerge dalla parole stesse dei ragazzi

Samuela Cesario della 3ª A ha notato: «è stato bellissimo vedere che una persona con un problema serio non si abbatte e va avanti con tanta forza ed autostima. E pensare che noi stiamo male per i tanti piccoli problemi e ci abbattiamo facilmente, lui invece si di-mostra forte vincendo i tanti giudizi degli al-tri. …vedere quella persona mi ha dato una marcia in più…..imparerò ad essere più for-te, perché ho capito che i veri problemi non sono la perdita di un ragazzo, l’incompren-sione tra amiche o il litigio con i genitori.»

Roberta Semerano della 1ª D ha capito che «nella vita non bisogna scoraggiarsi, ma cer-care sempre di andare avanti facendo di tut-to pere realizzare i propri sogni.»

Per Alessandro Morelli della 1ª B «non dob-biamo mai perdere la speranza.». Per Fran-cesca Camassa della 1ª D «bisogna avere una grande forza interiore.». Per Francesco Semerano della 1ª B «è stato bello sapere che c’è qualcuno al mondo che è stato aiutato e ora aiuta gli altri malati a vivere una vita più felice.»

«Questo incontro mi ha sensibilizzato mol-to» – ha detto Giorgio Pacifico di 1ª B «e mi ha comunicato che non bisogna discrimina-re le persone con problemi fisici o mentali.»

A parere di Giovanna Scalone della 1ª B

«Dobbiamo aiutare le persone più sfortuna-te di noi.»

Francesca Melpignano della 3ª A ha capito «di essere una ragazza fortunatissima… ho l’opportunità di studiare, di curarmi, di ve-stirmi, di avere una casa abitabile. Mi sono resa conto delle difficoltà che incontrano al-tri ragazzi, per arrivare a scuola e costruirsi un futuro devono camminare chilometri e chilometri. Kumar e Mannikathan, ci hanno spiegato il loro “lavoro” di volontariato…loro cercano di aiutare i malati di lebbra, vanno tra loro senza paura aiutandoli.»

Il dott. Jose Manikkathan ha legato il pro-blema della disabilità in India a quello della lebbra, malattia ancora molto diffusa, evi-denziando come la persona malata di lebbra, avendo perso sensibilità, ossia non provando dolore, può accidentalmente incorrere in si-tuazioni che possono degenerare procuran-do disabilità.

L’incontro è stato concluso dal Presidente Franco Colizzi che rispondendo alle nume-rose domande dei ragazzi ha sottolineato il valore fondamentale della persona umana evidenziando che ogni incontro aiuta ad es-sere sempre più persona. «Essere persona significa aver dentro di sé qualcosa di infini-to e questo ci viene soltanto dal contatto con gli altri, con la natura…si cresce veramente piccoli e grandi solo nell’incontro…se voglia-mo cambiare il mondo dobbiamo usare gli strumenti, le tecnologie, il potere affiancato dall’amore. Con l’amore nulla è impossibile così come affermato da R. Follereau.»

Tale incontro ha avuto una altissima va-lenza educativa; Antonella Leo della 3ª E ha affermato «abbiamo imparato nuove cose e fatto un’esperienza che ha arricchito i nostri cuori…questi incontri sono utili per creare una futura società dove non ci siano esclu-sioni ed emarginazioni»

Giuditta De Feo

ost�uni� Un’esperienza degli alunni della “Don Bosco”

Scoprire la disabilità e lottarecontro ogni forma di discriminazione

L’arrivo a Brindisi della “Luce della Pace di Betlemme”

La sera del primo dell’anno, nella Concattedrale di Ostuni, il nostro Arcivescovo ha parlato del relativi-smo come un modo incruento, ma pur sempre vio-

lento di impedire la libertà religiosa anche da noi. Ascol-tando quelle illuminate parole non ho potuto non pensare a quel disimpegno che ormai ci caratterizza come cristia-ni nelle varie realtà dove operiamo. Il giorno dopo Magdi Allam sul Corriere della Sera attribuiva le persecuzioni cristiane, la mancanza di libertà religiosa in tante parti del mondo (questa sì violenta e drammatica!) al fatto che “l’Europa e l’Occidente oggi sono estremamente fragili; hanno perso la certezza della propria guida ed identità”.

Ho provato a tradurre queste due riflessioni in valutazioni

personali e non ho potuto non pensare ad una recente delibera del Consiglio comu-nale di Ostuni che esternalizza tutti i servizi cimiteriali.

Ma che c’entra? potrebbe dire qualcuno. Ed invece, a ben pensare, trattare il camposanto (questa

la sua denominazione storica) come un qualunque servi-zio (mi verrebbe da dire uno “stabilimento”) contribuisce ad estraniare la comunità dalle sue radici, dalla sua identi-tà, dalla sua cristianità.

Che ruolo avrà il laicato cristiano nei rapporti con un pri-vato appaltatore al quale viene concesso il “global service cimiteriale”? Fuor di metafora, converrà a costui interlo-quire con le sei confraternite locali considerato che il Co-mune pensa di dargli anche la concessione sulle loro cap-pelle gentilizie? Senza entrare poi nel merito degli aspetti più squisitamente giuridici della custodia del Cimitero (cappelle gentilizie comprese) che, evidentemente, “sag-

gi ed esperti” Amministratori Comunali avranno modo di ponderare prima di dare ad un privato “carta bianca” su tutta la struttura .

In definitiva, penso che il luogo della sepoltura nei no-stri paesi debba caratterizzarsi per la sua identità cristiana, dando rilievo al dato religioso che deve prevalere su altri aspetti e valorizzando, in maniera trasparente, quelle asso-ciazioni laicali che coniugano la pietas per i defunti con la fede nel Risorto.

Diversamente, davvero anche la morte diventa un evento da far gestire e i nostri cimiteri, dati in appalto, fra qualche anno saranno luoghi senz’anima, privi di simboli e di quei riferimenti religiosi tali da ricordare (anche a chi viene da noi) che le nostre radici sono nel Vangelo del Cristo e che la laicità non significa estraneità, ma appartenenza ad un laos, ad un popolo, che giammai dovrà vedersi annientato nella propria identità.

Giacomo Vito Epifani

ri�flessi�oni� Luoghi sacri e libertà religiosa

Identità e cristianità

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915 gennaio 2011 Parrocchie & Associazioni

“La gioia non si celebra avendo tutto, ma si spe-rimenta condividendo

tutto...” (P.A.M.).Nel Mese della Pace la “Giornata

della Gioia”!Sono due valori che nascono in

un cuore che, conosciuto l’Amore, lo comunica in un clima di Pace, perché generi Gioia!

Non ci si può illudere di amare, senza nulla fare perché la gioia di vivere insieme, di camminare in-sieme, di aiutarsi insieme, crei e difenda la Pace!.

L’Amore non si comunica se non si matura la consapevolezza che è il centro della vita. Tutto sarebbe diverso se nel cuore dell’uomo di “buona volontà” regnasse l’amore vero, sincero, profondo, costante, da condividere con gli altri, per-ché vera sia la Pace, partecipativa la Gioia.

La “Giornata della Gioia” che da ben venticinque anni celebriamo con tutta la comunità parrocchia-le S. Antonio, i diversabili e le loro famiglie, vuole essere ancora oggi 2011, il momento più vero per un anno che vorremmo, per tut-ti, luminoso e sereno: nella Pace, nell’Amore reciproco, fonte di au-tentica Gioia!

Gesù nel Suo Natale, è venuto a condividere con noi la Sua Luce, a portare il Suo Amore, ad assicu-rare che è venuto perché la nostra gioia sia piena... “Amatevi come io ho amato voi..”(Gv 15, 9-17).

Il fondamento della Pace è l’Amore, trasformato in vita, in partecipazione, in condivisione, in comunione con gli altri. Ecco la Gioia!

Finché la nostra storia, l’uomo che vive la storia di oggi, non si apre a questa fondamentale prio-rità, rinunziando all’individua-lismo, che condiziona il nostro vivere con gli altri, il nostro vivere per gli altri, non vedremo spunta-re il giorno della Pace, nella gioia di celebrare la verità che Cristo è venuto a formare una sola fami-glia.

Questo è il motivo profondo della “Giornata della Gioia” che la comunità celebra il 23 gennaio 2011 al ristorante Carbrun in Ca-rovigno.

Il tempo è un dono prezioso, per-ché l’uomo, accogliendo il bambi-no Gesù, venuto nel tempo, lavori perché l’amore segni il cammino della storia e, non tardi, per tutti l’aurora del giorno della Pace!

Padre Angelo Muri

mesagne Il 23 gennaio nella Parrocchia S. Antonio

La Giornata della GioiaNel giorno della gran-

de festa per la dioce-si che ricorda il suo

Santo Patrono San Leucio, anche la comunità parroc-chiale brindisina del rione Minnuta non ha mancato di celebrare, il 9 gennaio scor-so, questa solennità carica di fede e speranza.

Nonostante da quasi 25 anni la comunità viva le proprie celebrazioni in un luogo di culto provvisorio, costretta in locali angusti, va avanti con speranza in trepidante attesa dell’inizio dei lavori.

In questo giorno di festa lo stesso Arcivescovo, giunto per celebrare l’Eucarestia davanti alle reliquie di San Leucio, arriva diretto al messaggio, a ciò che i parrocchiani aspettavano da tanto: a giorni la firma del contratto e l’inizio dei lavori.

In tantissimi hanno partecipato alla Santa Mes-sa, molti quelli che si sono stretti attorno alla porta, poco fuori, tutti in attesa di partecipare alla proces-sione, organizzata dall’intera comunità e dal parro-co don Claudio Macchitella, che ha visto l’effige del Santo patrono percorrere la via principale del quar-tiere e giungere sino al terreno dove sorgerà la nuova chiesa.

Al termine della Santa Messa, che ha visto la bene-dizione del pane, guidati dagli sbandieratori del rio-ne Castello di Carovigno, il corteo è giunto sul posto dove era stata piazzata la croce e le fiaccole a segno della promessa che proprio li sorgerà il segno tangi-bile di questa comunità.

«Come comunità cristiana – ha dichiarato don Claudio Macchitella parroco dall’agosto del 2008 presso la parrocchia del rione Minnuta – abbiamo

voluto dare una testimonianza esterna di quella che è la realtà della vita parrocchiale, con la processio-ne, portando il simulacro di San Leucio insieme con noi. Tutto questo è stato preceduto dalla preghiera in chiesa, con la liturgia eucaristica presieduta dal no-stro arcivescovo. In questo cammino di fede, è venu-to per confermarci perchè possiamo nutrirci attraver-so la realtà del vangelo attraverso quello che è stato il dono del battesimo ed essere dei testimoni concreti in questo territorio, in questa porzione di popolo. In modo particolare questo territorio vive ancora un disagio, se così vogliamo chiamarlo, che è quello del luogo delle celebrazioni eucaristiche e liturgiche, perchè noi attendiamo ancora l’edificazione della sede parrocchiale». «L’edificazione della nuova chie-sa – ha detto ancora il parroco – vuole anche essere un segno esteriore per il quartiere Minnuta perchè appunto l’edificio è il luogo dove la comunità cristia-na si riunisce per celebrare la presenza del Signore. Tutto questo, lo dobbiamo anche a San Leucio, alla sua intercessione, a lui che portò il vangelo nella ter-rà di Brindisi e che per la prima volta ha battezzato nel nome della Trinità, così da dirci cristiani e quindi convinti di aver trovato la via, la verità e la vita che è Gesù Cristo».

Antonella Di Coste

I Vescovi Italiani, per il decennio 2010 – 2020 hanno scelto di dedi-

care un’attenzione speci-fica al campo educativo, scelta questa che affonda le proprie radici nel IV Convegno ecclesiale nazionale, celebrato a Verona nell’ottobre 2006, dal quale è scaturito un messaggio di speranza fondato sul “sì” di Dio all’uomo attraverso suo Figlio, morto e risorto perché noi avessimo la vita. Il titolo degli Orienta-menti pastorali: “Educare alla vita buona del Vangelo” significa, infatti, in primo luo-go farci discepoli del Signore Gesù, il Mae-stro che non cessa di educare a una umani-tà nuova e piena.

Per l’Azione Cattolica questo messaggio rappresenta un richiamo alla propria iden-tità, che nei 140 di storia che essa ha per-corso, si è sempre caratterizzata per il suo impegno nel campo dell’educazione al ser-vizio della Chiesa e del mondo.

Il Presidente Nazionale dell’Azione Cat-tolica Italiana, Franco Miano, intervistato

dall’Agenzia “Zenit” sul suo nuovo libro “Chi ama educa” afferma che: «solo chi ama, educa veramente. L’educazione - può essere scontato affermarlo ma è necessa-rio averne sempre consapevolezza - non è semplicemente la trasmissione di nozio-ni ed informazioni, attraverso più o meno adeguate tecniche psico-pedagogiche. Edu-care è una scommessa sulla libertà della persona da parte di maestri e testimoni che vedono in ogni uomo e donna l’immagine di Dio. Nasce quindi da una profonda pas-sione per l’essere umano e si fonda sulla relazione. L’opera del singolo educatore si inserisce, inoltre, in un’impresa comunita-ria che viene edificata dallo scambio tra le generazioni. Per questo, per una rinnovata stagione educativa, è necessario che insie-me - famiglia, educatori, comunità cristiane

-, riscoprano ciascuno la propria vocazione a formare, educare».

La presidenza diocesana di AC, dopo aver accolto le diverse sollecitazioni e dopo aver a lungo riflettuto sulla proposta da offrire all’intera comunità di credenti e non, ha deciso di affrontare il tema dell’educazione non come una “emergenza” ma come un percorso educativo da proporre all’intera comunità, che metta in rete tutte le agenzie educative presenti nel nostro territorio, e che vedrà impegnata la nostra Associazio-ne, negli anni futuri, nella discussione sulle diverse tematiche che interesseranno diffe-renti ambiti che si occupano di educazione (lavoro, sport, famiglia, volontariato, scuola e comunicazione).

L’Azione Cattolica diocesana nel suo essere un’associazione popolare, nella consapevo-

lezza che solo rendendosi pienamente popolare po-trà trovare lo slancio conti-nuo ad aprirsi e rinnovarsi, a trovare energie e stru-menti nuovi per l’annuncio

e la testimonianza, ha scelto di proporre un Convegno dal titolo: “ Educare in rete: una sfida per il futuro”.

Il Convegno si terrà il 26 gennaio a Brin-disi presso l’auditorium del Liceo Scienti-fico Statale “T. Monticelli”, alle ore 18.00. Interverranno il Presidente Nazionale di Azione Cattolica, Franco Miano, il preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università del Salento,Giovanni Invitto e il Questore di Brindisi, Vincenzo Carella. Moderatore sarà Giovanni Morelli, gior-nalista e Consigliere nazionale di Azione Cattolica. Presenzierà il nostro arcivescovo, Mons. Rocco Talucci.

Piero Conversano

azione cattolica diocesana Il 26 gennaio convegno pubblico a Brindisi

Educare in rete, una sfida per il futuro

PaRRoccHia san leUcio Celebrata la festa al quartiere Minnuta

Una solennità carica di fede e di speranza

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Apostolato della Preghiera10 15 gennaio 2011

Oggi più che mai è urgente ravvivare la vita inte-riore. Assistiamo a numerosi tentativi di ripre-sa di contatto con la dimensione spirituale. In

tanti frequentano le scuole di preghiera o cercano altre vie, come corsi di meditazione profonda o yoga, per re-cuperare l’incontro intimo con se stessi. Questa ricerca è causata dalla percezione dell’essere espropriati da se stessi a causa della vita frenetica imposta dalla nostra società. I numerosi mezzi di comunicazione, alla porta-ta di tutti, oltre ad averci resi rintracciabili ovunque e ad ogni ora del giorno e della notte, hanno abbreviato tutte le distanze e tolto il naturale tempo di sedimentazione proprio di ogni realtà della vita. Così c’è un forte dispen-dio di energie che porta all’incapacità di portare avanti relazioni fondamentali e fondanti della vita: la relazio-ne con se stessi, con Dio e con il prossimo. Sulla bocca di molti ritorna frequente il ritornello: non ho tempo! Tutto avviene subito e molto in fretta e tutto, spesso, fi-nisce e si sfibra anche così in fretta come inizia. In que-sta frenesia continua dobbiamo combattere contro l’in-quinamento mentale che riceviamo, perché nel mondo in cui viviamo sembra che valga solo chi ha molte cose da fare, chi ha l’agenda sempre piena di impegni ed è costretto a correre da una parte all’altra, magari me-diando l’idea di essere un gran produttore ma batten-do l’aria, come direbbe san Paolo. In realtà la persona umana non acquisisce valore per i numerosi amici che ha su Facebook, per l’agenda sempre piena di impegni che la rendono una anguilla sfuggente, per i numerosi titoli collezionati nel tempo o per la prestanza fisica, altra mania che rende terribilmente malati e ossessio-nati. Per rinvigorire la propria esperienza interiore, o per ri–trovare noi stessi e l’autentico valore che ognuno possiede, non dobbiamo necessariamente ricorrere ad esperienze forti che, con tecniche diverse, ci raggiun-gono dall’esterno complicandoci maggiormente la vita; basterebbe recuperare tre atteggiamenti propri della vita cristiana quali la solitudine, il silenzio e l’ascolto. Il primo atteggiamento appare, probabilmente, il più complesso. Abbiamo sviluppato una concezione ne-gativa della solitudine confondendola con l’isolamen-to, che è tutt’altra cosa. Il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, nel suo libro Vita comune, così parla della solitudine: “Chi non sa stare da solo, si guardi dalla co-munione. Chi non si trova in comunione, si guardi dal-lo star solo”. Appare così molto chiara la necessità, anzi l’urgenza, di creare spazi di solitudine. Bisogna impa-rare a favorire e affrontare se stessi nella solitudine, per accogliersi e poter accogliere l’altro, sapendo mantene-re le giuste distanze nelle relazioni per non confondersi con la vita dell’altro e poi smarrirsi nell’isolamento. Alla solitudine segue la necessità del silenzio, e non del mu-tismo, che non ha nulla a che vedere con la nobiltà del silenzio. Il mistico Thomas Merton, nel suo libro Nessun uomo è un isola afferma che “il silenzio è la forza della nostra vita interiore”. Il silenzio è il vero linguaggio degli amanti, la preghiera dei contemplativi, l’atteggiamento dei forti e la reazione degli uomini che vivono nella spe-ranza. Oggi il silenzio è una perla rara. L’inquinamento acustico è diffusissimo: parliamo tanto e forse troppo, e quando non possiamo essere noi a parlare ci affidiamo alla televisione, alla radio o ad altro, perché siano loro a parlare per riempire il silenzio. Ma senza silenzio ap-

pare chiaro che la vita interiore si indebolisce, trasfor-miamo il linguaggio dell’amore in luoghi comuni e per-versi e le nostre reazioni agli eventi della vita prendono la forma della violenza, anche solo verbale, illudendo-ci di essere forti. La solitudine e il silenzio sono le due stanze che precedono e immettono nella terza e forse la più importante: l’ascolto. Per poter ascoltare, e non solo sentire, è necessario passare per la solitudine e il silenzio, che permettono e garantiscono una profonda sintonia con l’altro che è di fronte. L’attuale priore della Comunità monastica di Bose, padre Enzo Bianchi, nel suo libro Perché pregare, come pregare, afferma che “la preghiera cristiana è innanzi tutto ascolto per giunge-re all’accoglienza di una presenza, la presenza di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. L’operazione è semplice ma non per questo facile, anzi è faticosa e richiede ca-pacità di silenzio interiore ed esteriore, sobrietà, lotta contro gli idoli molteplici che ci minacciano”. Ascoltare è accogliere l’Altro, instaurare una comunione intima e profonda che non è fatta di tante parole ma di lunghi si-lenzi nella solitudine, alla Divina Presenza di Colui che ha promesso di restare alla porta, bussando nell’attesa che gli venga spalancato il cuore. Per vivere la solitudi-ne, il silenzio e la preghiera è necessario darsi una di-sciplina e un metodo. La disciplina consiste nel trovare nell’arco della giornata quei momenti dove è possibile stare da soli, magari chiusi nella propria camera, nel si-lenzio, per mettersi in ascolto di se stessi e di Dio. Ma è necessario anche un metodo. Come organizzare questi tempi della giornata? Cosa fare? Il metodo più semplice è quello della “ruminatio”: esso consiste nel mormora-re, masticare o ripetere per un tempo prolungato, alla presenza di Dio, un versetto della Bibbia o un salmo e lasciarsi guidare da questa Parola fino ad assimilarla e a farne il proprio stile di vita. Tra i detti dei Padri del deserto ne troviamo uno che spiega bene questo meto-do: Abbà Antonio disse: “Al cammello basta poco cibo: lo conserva in se stesso finché non sia entrato nella sua stalla, poi lo fa risalire, lo rumina finché non entri nel-le sue ossa e nella sua carne. Al cavallo invece occor-re molto cibo: mangia a ogni momento e subito perde tutto quello che ha mangiato. Ora, dunque, non siamo come il cavallo, cioè non recitiamo le parole di Dio a ogni momento senza compierne nessuna, ma siamo si-mili al cammello, recitando ciascuna delle parole della Sacra Scrittura, custodendole in noi finché le abbiamo compiute, perché coloro che hanno compiuto queste parole erano uomini come noi, combattuti dalle pas-sioni”.

DENTRO IL CARISMA Grande attenzione alla vita interiore

Solitudine, silenzio e ascolto

Non appena la chiesa dedicata al Santo di Padova, comune-

mente detta “Sant’ Antonio ti fori”, fu eretta parrocchia, il bisogno di aiutare la gente del quartiere a co-noscere Gesù, il suo Cuore amabile, il suo amore senza limiti, spinse un gruppo di anime particolarmente sensibili, in comunione con il par-roco, a chiedere l’erezione dell’Apo-stolato della Preghiera all’interno della comunità: era l’anno 1985. Fu l’inizio di un cammino, di una risposta alle attese del Cuore di Gesù. Veramente come pizzico di lievito, l’Apostolato della Preghiera cominciò a crescere in numero e nella formazione, diventando man mano apostolato tra la gente e con la gente. La loro scelta di fede di-ventava così vita di fede e, con ge-nerosità e dedizione, iniziavano a vivere il cammino della comunità, prendendo a cuore alcune iniziati-ve che ancora oggi portano avan-ti, prendendosi cura in particolare degli ammalati che, pur essendo

impossibilitati a vivere una forma di apostolato attivo, non fanno mancare la loro presenza con la preghiera. Da questo gruppo di persone, che andava crescendo, è nato il gruppo del “servizio de-coro Chiesa”, che si preoccupa di dare sempre la giusta dignità agli ambienti che la comunità mette a disposizione dei fratelli, che ogni giorno offrono il loro servizio al Signore. La costanza nella preghie-ra e nello zelo al Cuore di Gesù ha dato a tutti gli associati e all’intera comunità la possibilità di celebra-re il 15 dicembre, alla presenza del Padre Arcivescovo, il grazie al Si-gnore per 25 anni di cammino in-sieme.

Antonio Pagliara

Da 25 anni nella Parrocchia Sant’Antonio di Mesagne

L’Apostolato della Preghiera

e la sua Spiritualità

L’AdP è un servizio universale per tutta la Chiesa, poiché tutti i fedeli

sono invitati a pregare per le intenzioni del Santo Padre e della Chiesa. La pre-ghiera che è il dialogo dell’uomo con Dio, nelle sue forme diverse, come la doman-da, la meditazione, la contemplazione, il ringraziamento e la lode, secondo la spiritualità dell’AdP è soprattutto uno strumento apostolico per collaborare, in comunione con la Chiesa, alla salvezza di tutti gli uomini.

L’AdP è nato più di 150 anni fa a Vals, in Francia, su intuizione del p. Francesco Saverio Gautrelet, il quale diceva: “Offrite il vostro studio, tutto quel che fate e vivete con l’intenzione di raccordarlo al Sacrificio di Cristo che si rinnova incessantemente nella Messa, nell’Eucaristia, e tutto in qual-che modo diventerà apostolato, solidarietà con l’opera salvifica di Gesù, con il suo mi-stero pasquale.” Fù poi p. Enrico Ramière a svilupparne la dottrina e a divulgarla, fondendo l’intuizione del p. Gautrelet con la spiritualità del S. Cuore di Gesù.

La Spiritualità è un modus vivendi, sen-tiendi et agendi. È una maniera di vede-re la vita, noi stessi, gli altri fino a Dio. È sensibilità che deriva dallo sguardo sulle cose per valutarle comprenderle e ap-prezzarle. È uno stile di vita, ossia una maniera di agire. La spiritualità è l’ur-genza maggiore del mondo di oggi, ed è anche la missione dell’AdP.

L’AdP effonde la spiritualità Cristo-centrica ed è una scuola di quella preghiera che si inabissa nel cuore di Gesù per unirci vitalmente a Dio e al prossimo. La Spiritualità dell’AdP può essere considerata come la ri-sposta perfetta alle richieste del Sa-cro Cuore e si basa su tre punti chiave: 1) Offerta quotidiana (della propria vita, delle proprie capacità e delle proprie at-tività, mediante un momento di intima e personale preghiera);

2) Consacrazione;3) Riparazione. Il “programma “ e lo spirito dell’offer-

ta quotidiana sono pienamente espres-si nella preghiera che gli iscritti all’AdP recitano e , con l’aiuto di Dio, applicano quotidianamente: Cuore divino di Gesù, io ti offro, per mezzo del Cuore immacolato di Maria, Madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azio-ni, le gioie e le sofferenze di questo giorno, in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del Divin Padre.

La Consacrazione al S. Cuore può essere vissuta da singole persone, dalle famiglie e dalle coppie, dai bambini, dalle comu-nità e perfino da intere nazioni. La con-sacrazione fondamentale del cristiano è il Battesimo. Consacrandosi al Cuore di Gesù, i cristiani si impegnano a vivere in modo più consapevole e responsabi-le ciò che si è già realizzato al momento del Battesimo.

La Riparazione è “la partecipazione del fedele all’opera redentrice di Cristo”. In termini semplici si tratta di restaura-re l’opera di Dio in noi stessi ed in tutte le creature. Per il cristiano è un dovere riparare, con la propria offerta , le of-fese, le ingratitudini, gli oltraggi verso quel Cuore che ha tanto amato gli uo-mini; ma ciò è possibile solo se si vive l’umiltà, quell’umiltà che nasce proprio dal Cuore di Cristo. L’AdP è spiritualità oblativa, che non cerca il Cristo comodo bensì Cristo crocifisso e risorto! Ben sa-pendo che la sofferenza offerta a Gesù diventa una forza di salvezza per il mon-do. Come scuola di preghiera così intesa l’AdP acquista una valenza catechetica e spirituale: attraverso una testimonianza di vita si esprime tutto quello che, nella custodia del magistero della Chiesa, dal Cuore di Gesù passa nel cuore degli uo-mini.

Francesco Marangio

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Il 1° febbraio secondo raduno diocesano

Ogni anno l’AdP vive tre momenti forti: i raduni

diocesani rappresentano il ri-trovarsi numerosi come fami-glia associativa, per pregare in-sieme e sentirsi in comunione. Dopo il primo incontro vissuto nel santuario di Santa Maria del Casale, il secondo appunta-mento è fissato per il prossimo 1 febbraio a Mesagne, nella parrocchia “San Pio”, a partire dalle ore 16. All’adorazione eu-caristica comunitaria, seguirà la Celebrazione eucaristica pre-sieduta da don Angelo Astore. Se l’attenzione missionaria ha fatto da sfondo al primo radu-no, il secondo ci vedrà solleciti nella preghiera per gli amma-lati e per i sofferenti, che rap-presentano un tesoro prezioso, anche se silenzioso e nascosto, per la Chiesa e per il mondo.

Anna Rita Lamendola

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1115 gennaio 2011 Attualità & Territorio

Dal 30 agosto 2010 la provincia di Brin-disi ha un nuovo Prefetto. Si tratta del dottor Nicola Prete, il quale ben

volentieri accetta di condividere alcune ri-flessioni con i lettori di Fermento. Il massimo rappresentante del Governo sul territorio, ci accoglie nel suo ufficio con sincera cordiali-tà e, fin dalle prime battute, all’intervistatore appare chiaro lo spessore umano e cristiano dell’autorevole interlocutore. Si definisce «ot-timista per natura» il dottor Prete, un creden-te, una persona che ama cogliere i lati positivi della vita e apprezzare le cose all’apparenza insignificanti: «il miracolo del sole che sorge, della vita che riprende il suo corso ogni mat-tina, di un bimbo che nasce…». E lancia un primo monito: «In passato si possedevano molte meno cose, ma si viveva meglio. Oggi, che pure abbiamo tanto, cerchiamo la felicità nelle cose, invece che nel nostro animo».

Eccellenza, il suo richiamo alla sobrietà e a corretti stili di vita sembra un rimando ai valori cristiani....

«Ferma restando la laicità dello Stato, sono convinto dell’importanza delle radici cristia-ne che impregnano la società italiana. Pur-troppo molti valori si stanno perdendo a cau-sa dei profondi cambiamenti della società. Basti pensare all’evoluzione dalla civiltà con-tadina e agli enormi progressi della scienza. Nell’arco di un secolo si è passati dalle car-rozze trainate da cavalli, allo sbarco dell’uomo sulla luna.Occorre riscoprire il gusto dell’essere cittadini esemplari che conducono uno stile di vita so-brio, anche se spesso i messaggi pubblicitari, con slogan del tipo “compri oggi e paghi domani”, in-vitano a tenori di vita superiori a quelli che ci si potrebbe permettere, causando anche i ben noti problemi legati all’indebitamento e all’usura».

Qual è il suo rapporto con il mondo giovanile? La sua attività comprende anche tanti incontri con il mondo della scuola…

«I giovani rappresentano la speranza della società e delle famiglie. È fondamentale saperli educare e dare loro un futuro. Spesso la responsabilità di alcune scelte dei più giovani sono legate ai cattivi consigli degli adulti che, per esempio, scoraggia-no i propri figli ad andare via di casa, tarpando loro le ali. La questione che riguarda i giovani va affrontata senza indugio: è paradossale che, men-tre in passato erano i giovani ad aiutare gli anziani che percepivano pensioni inadeguate, oggi sono i nonni che mantengono i nipoti».

Le recenti operazioni di polizia giudiziaria ci consegnano un territorio nuovamente insicu-ro?

«Dopo i successi contro la criminalità conseguiti agli inizi degli anni ’90 grazie al risveglio della so-

cietà civile e al lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, sembra che negli ultimi tempi emerga una recrudescenza dei fenomeni malavi-tosi. Ciò è causato, sia dall’aggravarsi della situa-zione economica, sia dalla volontà, da parte de-gli emergenti, di farsi spazio nei vuoi lasciati dai boss detenuti. La ripresa di omicidi e vendette tra membri di gruppi criminali, diventa dunque mo-nito per i più giovani: vivere il malaffare, nono-stante le apparenti soddisfazioni iniziali, alla lun-ga non paga».

Di tanto in tanto, anche dalle nostre parti, si affaccia la questione rifiuti. Qual è la situazio-ne in provincia? Intravede rischi all'orizzonte?

«La situazione non è assolutamente rosea, temo che a breve avremo il problema dell’esaurimento di qualche discarica. La questione si risolve at-tuando un ciclo completo della raccolta dei rifiuti, che parte da una raccolta differenziata e scrupolo-sa, per arrivare ad una destinazione dei rifiuti ver-so impianti specifici. Occorre prendere esempio dalle realtà presenti al Nord, dove non esistono discariche e gli inceneritori, che non producono diossina bensì energia elettrica, tolto l’umido dal quale si ricava compost per l’agricoltura e tutto il materiale riciclabile come carta e plastica, accol-gono solo una minima parte di rifiuti. La soluzio-ne esiste ed è alla portata di tutti: è necessaria la volontà».

Brindisi e la questione ambientale…«Non vedo contrapposizione tra sviluppo e ambiente. Gli impianti industriali, che un tempo diffondevano veleni, se costruiti oggi con criteri moderni, non producono inqui-namento (come nel caso degli inceneritori citati). L’ambiente è un patrimonio che dob-biamo trasmettere sano ai nostri figli. I com-portamenti virtuosi, però, non spettano solo alle aziende, ma prima di tutto a ciascuna persona, ognuno nel proprio ambito».

Partecipazione e cittadinanza attiva: nel 150° dell'Unità d'Italia, cosa si sente di sug-gerire ai cittadini perché si sentano sempre più responsabili e protagonisti delle sorti del proprio territorio?«La storia ci fa comprendere come siamo fat-ti, perché il nostro territorio è strutturato in un modo piuttosto che in un altro, per qua-le motivo i cittadini di un posto si compor-tano in determinati modi…. Noi, popolo del Salento, da sempre disponibili verso l’altro, dobbiamo sviluppare il nostro dna dell’acco-glienza e quel comune sentire che ha contri-buito all’unità della Nazione».

Chiesa e territorio, diocesi e Ufficio Terri-toriale del Governo: quali le prospettive di impegno comune?«Ho sempre visto nei rapporti tra Stato e Chiesa una alleanza importante, perché en-

trambi abbiamo delle grandi responsabilità. La Chiesa è sempre stata di stimolo per ricordare a tutti come ci si deve comportare di fronte ai biso-gni del prossimo. Il comandamento di nostro Si-gnore “Ama il prossimo tuo come te stesso” ribalta il principio romano del neminem laedere (non fare del male, ndr) con l’invito a “fare del bene”. Acco-glienza, soccorso alle nuove povertà, morali e ma-teriali: ecco le sfide del futuro».

Eccellenza, il suo augurio per il nuovo anno…«Auguro ai cittadini serenità, salute, lavoro e ar-monia. Auguro, soprattutto ai giovani disoccupati, di trovare un posto di lavoro, e a coloro che già la-vorano di mantenerlo. La vita quotidiana si affron-ta con la fatica e non cercando facili scorciatoie. E si affronta anche avendo fiducia in Dio. A coloro che stentano a credere che sia Dio a guidare la vita di ciascuno vorrei dire: se una piccola scatola come un navigatore satellitare consente di seguire milioni di automobilisti, indicando loro la strada, figuriamoci se la stessa capacità non appartiene a Dio!».

Un augurio dal significato profondo che lascia senza parole anche l’intervistatore.

Giovanni Morelli

INTERVISTA� Il prefetto Nicola Prete è a Brindisi dal 30 agosto dell’anno scorso

Le sfide: accoglienza e soccorso alle povertàChi è

Il Prefetto Prete è nato a Lecce il 20 novembre

1950; è coniugato e con un figlio. Si è laureato in Giurisprudenza il 27 giu-gno 1973 presso l'Univer-sità degli Studi di Pisa. È entrato nell'Amministra-zione Civile dell'Interno nel 1976. Dal 3 gennaio 1977 è stato assegnato alla Prefettura di Ancona dove ha svolto numerosi importanti incarichi.

È stato trasferito alla Prefettura di Lecce il 20 dicembre 1982.

Dirigente di importan-ti settori della Prefettura e per lunghi anni anche dell'Ufficio Elettorale Pro-vinciale, è stato incaricato di svolgere le funzioni vi-carie del Prefetto dall'ago-sto 1997, incarico succes-sivamente confermato con Decreto del Ministro dell'Interno in data 3 di-cembre 1997 di nomina a Viceprefetto Vicario di Lecce.

Nella riunione del 29 di-cembre 2004 il Consiglio dei Ministri lo ha nomi-nato Prefetto, a decorre-re dal 31 dicembre 2004, con incarico in seno alla Commissione territoriale di Crotone per il ricono-scimento dello status di rifugiato.

Con successiva delibera-zione del 15 luglio 2005 il Consiglio dei Ministri gli ha conferito l'incarico di Direttore Centrale dei Servizi Civili per l'Immi-grazione e l'Asilo, presso il Dipartimento per le Liber-tà Civili e l'Immigrazione del Ministero dell'Interno, a decorrere dal 27 luglio 2005.

Il 12 dicembre 2006 il Consiglio dei Ministri gli ha conferito l'incarico di Prefetto di Lecco, a decor-rere dal 4 gennaio 2007.

Il 22 luglio 2010 il Consi-glio dei Ministri gli ha con-ferito l'incarico di Prefetto di Brindisi, a decorrere dal 30 agosto 2010.

Addio ai vecchi sacchetti di plastica

È scattato il 1° gennaio 2011 il divieto di commercializzazione delle buste

di plastica, non conformi ai requisiti di biodegradabilità indicati dagli standard tecnici europei vigenti.

Una nota del Ministero dell’Ambiente, precisa che resta consentito lo smal-timento delle scorte in giacenza negli esercizi artigianali e commerciali alla data del 31 dicembre 2010, purchè la cessione avvenga a favore dei consuma-tori ed esclusivamente a titolo gratuito.

Il 22 dicembre il Consiglio dei ministri ha negato la proroga alla messa al ban-do del vecchio sacchetto, e quindi con l'arrivo del nuovo anno negozi, super-market e mercatini non potranno più utilizzarlo per consegnare la merce.

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Ministero del-lo Sviluppo economico, in collaborazio-ne con le autorità competenti, effettue-ranno controlli per verificare il rigoroso rispetto della normativa vigente.

Letizia, tarantina di nascita ma brindi-sina d’adozione, è una donna attiva e intraprendente a cui è venuta un’idea

innovativa: creare un portale appositamen-te dedicato ai bambini e alle famiglie: www.brindisibimbi.it. Riportiamo una parte dell’intervista a Letizia Sartù realizzata da Sara Libardo per brindisi-news.com

Da dove viene la passione per la comuni-cazione?

«La passione è arrivata per puro caso. Subi-to dopo la laurea in Materie Letterarie ebbi l’occasione di iniziare la mia avventura in questo settore collaborando, prima con una tv locale di Taranto e, successivamente, con una importante tv del territorio nelle sedi di Taranto e Brindisi. Da li è iniziato il mio per-corso nel giornalismo televisivo che è durato ben quattordici anni. Ed ora, a distanza di tutto questo tempo, ho ripreso ad occuparmi di quella che è la mia vera passione, il mon-do dell’infanzia».

Com'è nata l'idea di brindisi bimbi.it?«La passione sfrenata per i giornali che si occupavano di gravidanza e bimbi non mi bastava più. Soprattutto non mi bastavano le notizie generiche, volevo conoscere quello che offriva la città a noi mamme e ai bambi-ni. Poi un giorno collegandomi ad internet ho scoperto l’esistenza di un social network che raggruppa i portali per le famiglie di va-rie città. In quel momento mi è scattata la voglia di realizzarlo per la città in cui vivo, Brindisi. E cosi ho contattato immediata-mente una mia amica, Mamma Felice, mol-to conosciuta e seguita nel web, che mi ha pian piano inserita nel mondo delle mamme blogger (attualmente in Italia siamo cinque-mila) e che mi ha realizzato il portale. Gra-zie a lei sono entrata in contatto con gli altri membri del network».

Quando hai creato il sito, quali obiettivi ti sei prefissata? Li hai raggiunti?

«Il mio primo obiettivo è fare informazione. Non è semplice andare a caccia di queste notizie specifiche, per questo le segnalazio-

ni di mamme e papà sono sempre graditis-sime. Di obiettivi da raggiungere ne ho an-cora tanti, so che devo lavorare molto per raggiungere il mio sogno e, tra questi, repu-to importante la nascita di un’associazione di mamme che consenta a tutte le donne di vivere nel migliore dei modi la meravigliosa esperienza della maternità che cambia il tuo modo d’essere».

In che maniera la maternità ti ha cam-biato la vita? È vero che i figli diventano l'unica priorità per i genitori?

«È un’esperienza indescrivibile, che non ri-esco davvero a spiegare a parole. Grazie al mio lavoro nel web e alla frequentazione di social network specifici per mamme ho avu-to modo di confrontarmi con tantissime altre donne che, nel proprio, hanno fatto scelte o rinunce oppure hanno visto la propria vita cambiare nell’attimo in cui hanno preso in braccio la propria creatura….. il mistero del-la maternità, però, sta proprio in questo, è un’esperienza cosi intima che ognuna la vive in maniera differente».

NOVITA�’ IN RETE Letizia Sartù racconta del portale da lei creato

www.brindisibimbi.it, un’esperienza inedita

Il prefetto Nicola Prete

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12 15 gennaio 2011Dossier 1315 gennaio 2011 DossierItaliani da 150 anni: come eravamo, come siamo, quale futuro?

I cattolici sono “soci fondatori” del nostro Paese, e l’Unità d’Italia

- che è “un sentire comune circa le cose più impor-tanti del vivere e del mori-re” - “resta una conquista preziosa e un ancoraggio irrinunciabile”. Sono que-sti i due binari principali attorno a cui si è articolato il saluto del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al X Forum del pro-getto culturale (Roma 2-4 dicembre 2010), sul tema: “Nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Tradizione e pro-getto”. «Cogliere il contri-buto cristiano rispetto al destino del nostro Paese - ha ammonito il presidente della Cei - richiede una lettura della storia scevra da pregiudizi e seriamente documentata, lontana dunque tanto da con-formismi quanto da revisionismi». Da san Francesco d’As-sisi, cui «si lega il ripetuto uso del termine Italia», e santa Caterina da Siena, sono «innumerevoli le figure» che han-no dato «un incisivo contributo alla crescita religiosa e allo sviluppo sociale e perfino economico della nostra Peniso-la», segno che «l’unico sentimento che accomunava gli ita-liani era quello religioso e cattolico».

Unità come risorsa. Nel 1861, «veniva generato un popo-lo», e soprattutto veniva dimostrato che «lo Stato in sé ha bisogno di un popolo, ma il popolo non è tale in forza dello Stato, lo precede in quanto non è una somma di individui ma una comunità di persone, e una comunità vera e affida-bile è sempre di ordine spirituale ed etica, ha un’anima. Ed è questa la sua spina dorsale». «Ma se l’anima si corrompe, allora diventa fragile l’unità del popolo, e lo Stato si inde-bolisce e si sfigura», ha denunciato il presidente della Cei, secondo il quale ciò accade «quando si oscura la coscien-za dei valori comuni, della propria identità culturale». Di qui la tesi centrale del presidente dei vescovi italiani: «Lo Stato non può creare questa unità che è pre-istituzionale e pre-politica, ma nello stesso tempo deve essere attento a preservarla e a non danneggiarla. Sarebbe miope e irre-sponsabile attentare a ciò che unisce in nome di qualsivo-glia prospettiva».

Fermento nella pasta. «Quanto più l’uomo si ripiega su se stesso, egocentrico o pauroso, tanto più il tessuto sociale si sfarina, e ognuno tende a estraniarsi dalla cosa pubblica, sente lo Stato lontano». «Ma è anche vero - ha puntualiz-zato il cardinale - che quanto più lo Stato diventa autorefe-renziale, chiuso nel palazzo, tanto più rischia di ritrovarsi vuoto e solo, estraneo al suo popolo». In questo scenario, «la religione in genere, e in Italia le comunità cristiane in particolare, sono state e sono fermento nella pasta, accan-to alla gente; sono prossimità di condivisione e di speranza

evangelica, sorgente ge-neratrice del senso ultimo della vita, memoria per-manente di valori morali. Sono patrimonio che ispira un sentire comune diffuso che identifica senza esclu-dere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazio-ne alla comunità ecclesia-le, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle re-gioni, dello Stato». La fede, cioè, «non può essere mai ridotta a religione civile» ma «è innegabile la sua ri-caduta nella vita personale e pubblica».

Il “vivere retto”. Partendo da queste premesse, il card. Bagnasco ha tracciato una sorta di identikit della buona politica, rinnovando l’auspicio che «possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti». «L’au-tocoscienza di una società, che si esprime anche nei suoi ordinamenti giuridici e statuali - ha spiegato il cardinale - è conseguenza dell’autocoscienza dell’uomo, e senza la prospettiva di una vita oltre la morte, la vita politica ten-derà a farsi semplicemente organizzazione delle cose ma-teriali, equilibrio di interessi, freno di appetiti individuali o corporativi, amministrazione e burocrazia». «La dignità della persona - ha ribadito il presidente della Cei - trova la sua incondizionatezza solo nella trascendenza», che «fon-da e garantisce il valore dell’uomo e il suo agire morale», in quanto «il rispetto e la promozione di questa dignità» sono «il nucleo del bene comune, scopo di ogni vero Stato». Di qui il primato del «vivere retto», «sia dei cittadini che dei loro rappresentanti»: «Non sono le strutture in quanto tali né il semplice proceduralismo delle leggi a garantire ‘ipso facto’ il retto vivere, ma la vita di persone rette che inten-dono lasciarsi plasmare dalla giustizia». Anche il tema del federalismo, per la Chiesa italiana, rientra nell’«impegno a favore dell’unità nazionale, che resta una conquista prezio-sa e un ancoraggio irrinunciabile». A questo proposito, gli Orientamenti pastorali della Cei per questo decennio, de-dicati all’educazione, «rappresentano una opportunità per mantenere o ricostituire il patrimonio spirituale e morale indispensabile anche all’uomo post-moderno», a partire dalla consapevolezza che «l’annuncio integrale del Vange-lo di Gesù Cristo, è ciò che di più caro e prezioso la Chiesa ha da offrire perché non si smarrisca l’identità personale e sociale, e anche il miglior antidoto a certo individualismo che mette a dura prova la coesistenza e il raggiungimento del bene comune».

DENTRO LA STORIA Fra tradizione e progetto

Cattolici, soci fondatori dell’Italia

Nella foto in alto ospiti della mensa Caritas. Nella foto qui sopra la presentazione del IX Rapporto Caritas-Zancan

Il movimento risorgimentale che attraversò l’Italia nel cuore dell’Ottocento ebbe non poca influenza e trovò diversi sostenitori anche nel Sud. In Puglia si era for-

mata una classe politica che aveva attinto, proprio nella capitale del Regno, idee aperte dal secolo dei lumi, e an-che il clero più colto aveva maturato la consapevolezza della necessità di confrontarsi con le idee che la cultura del tempo andava veicolando. In Puglia dopo il decennio Francese era andata maturando l’idea che fosse necessaria una Italia unita, e se non vi furono moti rivoluzionari eclatanti, nondimeno si costituì un radicato e diffuso mo-vimento culturale cui non furono estranei ambienti ecclesiastici. Secondo la testimonianza di Raffaele De Cesare “oltre al seminario di Matera, erano fo-colari di cospirazione unitaria quelli di Molfetta e di Conversano”, né i vesco-vi “avevano preso mai alcun provvedimento contro i preti liberali”. Fra questi certamente era presente lo stesso Vito Fornari che ebbe un ruolo attivo in questo movimento unitario sia con gli scritti, sia per i contatti con ambienti pugliesi volti al processo unitario.

Del resto solo in provincia di Bari erano presenti ben 64 vendite carbona-re e nei processi politici aperti nel ’49 furono incriminati per il distretto di Trani ben 154 patrioti. Si tenga conto che al plebiscito per l’annessione del Regno di Napoli al nuovo Regno d’Italia, solo in quattro votarono contro e tutti sacerdoti, uno dei quali era lo zio di Gaetano Salvemini.

Eppure nonostante questo forte movimento unitario, le aspettative post-unitarie andarono ben preso deluse, sia negli ambienti ecclesiastici aperti,

sia nella stessa popolazione. Le leggi del nuovo stato unitario avevano di-sposto l’incameramento dei beni ecclesiastici, questi vennero messi in ven-dita e furono acquistati a basso costo dai latifondisti. La conseguenza fu du-plice, da una parte furono sottratti beni a confraternite, comunità religiose, sodalizi che si trovarono nella impossibilità di continuare la propria opera caritativa e sussidiaria, dall’altra i contadini che lavoravano nei fondi di pro-prietà ecclesiastica si trovarono senza lavoro. I monti di pietà, indeboliti nel-la propria capacità creditizia, non riuscivano a soddisfare le richieste, e per i bisognosi il nuovo ordine politico e sociale non aveva predisposto alterna-tive valide.

Queste situazioni portarono ad una vera e propria avversione verso lo Stato Unitario che videro in Puglia due momenti forti, con i moti di fine Ottocen-to come protesta popolare contro le vessazioni dello Stato centrale circa il prezzo della farina. E poi, al di là della seguente retorica fascista, la partenza di migliaia di giovani per una guerra, la prima mondiale, di cui la popolazio-ne del Sud non ne capiva né l’utilità né l’interesse.

Oggi molti ambienti intellettuali pugliesi considerano l’Unità d’Italia come

una invasione. Certo manca ancora una visione storica sufficientemente condivisa ed equilibrata, scevra da un uso retorico della storia che ancora oggi fa capolino qua e là, soprattutto in ambienti politici. Tuttavia è neces-sario constatare come il Sud non può essere continuato ad essere conside-rato il serbatoio della manovalanza per lo sviluppo dell’Italia (del Nord). Ieri attraverso l’emigrazione della forza lavoro per l’industria, oggi attraverso l’emigrazione per il lavoro impiegatizio e intellettuale, continuando a de-pauperare questa terra delle forze giovani. Allo Stato unitario non si chiede assistenza, ma condizioni di parità per una imprenditoria che non debba sottostare al tallone della criminalità organizzata e delle cosche mafiose. Per troppi anni lo Stato ha continuato ad essere per lo meno latitante su questo versante.

Nondimeno le Chiese di Puglia sono impegnate da tempo, e i settimanali diocesani con esse, a costruire una mentalità non piagnona. La cultura del piangersi addosso non paga, e se si vuole un riscatto, questo necessariamen-te passa attraverso la costruzione di una cultura della legalità su cui la co-munità ecclesiale si è chiaramente schierati da decenni. Inoltre la formazio-

ne delle nuove generazioni passa attraverso una prospettiva che va oltre la visione nazionale aprendosi ad una dimensio-ne europea. Che poi l’Italia unita oggi sia una realtà positiva e irrinunciabile, gli ambienti ecclesiali lo sanno molto bene e lo vivono ogni giorno attraverso quello scambio costante che av-viene tra le Chiese del sud e quelle del nord. Non sono pochi i giovani delle nostre diocesi spostatisi in quelle del Nord per lavoro che si inseriscono nelle comunità ecclesiali in modo attivo, e non sono pochi i gruppi ecclesiali del Nord che vedo-no tanta ricchezza di idee e di esperienze e che intrattengono rapporti con il Sud. C’è uno scambio di doni molto proficuo a livello ecclesiale, che va valorizzato. Ma del resto una chia-ra identità unitaria è mostrata dalla communio ecclesiarum espressa nella Conferenza episcopale italiana e questo è un dato di fatto che vale molto più di tanti discorsi.

Domenico Amato

NOI A SUD Emergono nomi, luoghi e circostanze dell’attenzione dei cattolici al progetto di unificazione

Unità d’Italia e Chiese di Puglia, le priorità erano anche altre

Il re Vittorio Emanuele III assiste ad una Messa celebrata da Mons. De Filippis (Brindisi, 1943)

«La costruzione di una comu-ne, per quanto

articolata e pluralistica, consapevolezza storica rappresenta il passaggio indispensabile da cui pren-dere le mosse per pensare il futuro del Paese. Il che non significa tacere le om-bre, i limiti, i nodi lasciati irrisolti da un percorso sto-rico difficile e complesso». Matteo Truffelli introduce così il dossier realizzato da “Dialoghi” per il 150° dell’Unità d’Italia, che ha mobilitato per l’occasione vari studiosi della materia. Il senso della convivenza democratica. Nel prossimo nu-mero della rivista culturale promossa dall’Azione Cattolica italiana, in distribuzione dal 7 gennaio, sono presenti ar-ticoli che affrontano l’anniversario sotto molteplici aspet-ti. Alberto Monticone riflette sul senso del celebrare oggi l’Unità; sul binomio retorica-memoria prendono la paro-la padre Bartolomeo Sorge e Paolo Pombeni; sui “revisio-nismi storici” interviene don Maurilio Guasco; le culture politiche dell’Italia post-unitaria sono esposte da Giorgio Campanini. A Luciano Caimi è stato chiesto di soffermarsi sul contributo dei cattolici, e in particolare delle organizza-zioni giovanili. Completano il dossier testi sull’identità na-zionale e sul ruolo dei credenti nella vita del Paese ricon-ducibili ad Alcide De Gasperi, Primo Mazzolari, Antonio Rosmini, Pietro Scoppola, Luigi Sturzo. Nel 2011, afferma lo stesso Truffelli, ricercatore di storia delle dottrine politi-che all’Università di Parma e autore di numerosi saggi sul movimento cattolico, gli italiani «saranno invitati a sentir-si partecipi delle celebrazioni in programma, per trarre da esse un rinnovato senso delle ragioni della convivenza de-mocratica nel Paese unito».Polemiche e qualche silenzio. «Il percorso preparatorio delle celebrazioni, che si è sviluppato nel corso del 2010, non senza discussioni e malumori, è stato scandito - osser-va ancora Truffelli - da una serie di importanti discorsi del presidente della Repubblica, ma anche da diversi signifi-cativi interventi dei vescovi italiani (soprattutto per voce del presidente Bagnasco) e della Santa Sede, affiancati da segnali di benevola attenzione alla ricorrenza da parte di associazioni e organi di stampa del mondo cattolico italia-no». Accanto a tutto ciò, si sono tuttavia registrate «difficol-tà, polemiche, momenti di impasse, silenzi imbarazzanti e smarcamenti strumentali da parte di alcune aree culturali e forze politiche». Segno che l’Unità nazionale non si può considerare come un patrimonio universalmente ricono-sciuto e condiviso. Sulla linea di Napolitano e del card. Bagnasco. “Dialo-ghi” segnala come il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricordato «a tutti», il 3 maggio 2010, «che

le iniziative programmate per il 2011 non possono esse-re considerate tempo perso e denaro sprecato, ma fanno tutt’uno con l’impegno a lavorare per la soluzione dei pro-blemi oggi aperti dinanzi a noi». Affermazioni cui hanno fatto «significativamente eco» nella stessa occasione «le parole del cardinal Angelo Bagnasco, il quale ha invitato il Paese a fare della celebrazione della ricorrenza dell’Uni-tà una felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani, dentro l’Europa unita e in un mondo più equilibratamente globale». Alberto Monticone sottolinea fra l’altro che «celebrare, se non è solo rifugio nel già avvenuto, può essere modo di es-sere e di crescere». «Sono queste le ragioni che ci spingono a proporre un dossier dedicato al tema del 150° dell’Unità», puntualizza Truffelli: «La consapevolezza dell’opportunità che tale ricorrenza potrebbe rappresentare per il Paese, ma anche la sensazione di una diffusa tendenza a svalutarne il possibile significato». Il ruolo dei giovani cattolici. Luciano Caimi si sofferma sull’associazionismo cattolico giovanile che, a suo avviso, ha rappresentato, in questi 150 anni, un elemento impor-tante per la costruzione di una sensibilità diffusa per il va-lore dell’unità nazionale. Il docente di storia della pedago-gia e dell’educazione alla Cattolica di Brescia scrive: «Nel ripercorrere le vicende delle associazioni giovanili dopo l’Unità abbiamo potuto notare la loro rilevanza entro il complesso cammino della Chiesa e del cattolicesimo ita-liani. L’investimento su di esse è risultato costante nel tem-po. Se fra Otto e Novecento la preoccupazione di tutelare le nuove generazioni dagli influssi crescenti del laicismo indusse il mondo cattolico a moltiplicare le energie edu-cative anche nei settori extra-scolastici, fu però con il fa-scismo che la questione giovanile s’impose agli occhi della Chiesa in tutta la sua gravità». Le associazioni per la gio-ventù hanno rappresentato, secondo Caimi, «un elemento rilevante nel tragitto della cattolicità in Italia: senza la loro vitalità, l’intera esperienza ecclesiale sarebbe rimasta no-tevolmente depotenziata».

Gianni Borsa

«Chiederò al presidente della Repubblica che Brindisi e la sua provincia vengano inserite a pieno titolo nel-le iniziative tese a commemorare il 150° anniversario

dell’Unità d’Italia e che a Brindisi venga riconosciuto lo status di ex Capitale d’Italia, al pari di Torino e Firenze»: lo scrive in una nota stampa il presidente della Provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese all’indomani della cerimonia tenutasi a Reggio Emilia (7 gennaio) dove sono state consegnate copie del Tricolore originale alle città di Torino, Firenze e Roma.«L’esclusione di Brindisi da questa celebra-zione non rende merito al ruolo importantissimo che la gente del capoluogo e della sua provincia ebbe tra il settembre 1943 e il 1944 quando il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il capo del gover-no maresciallo Badoglio e alcuni ministri si trasferirono a Brindisi per sfuggire ai tedeschi. In quel periodo Brindisi fu a tutti gli effetti Capitale d’Italia, come sede del governo e di stampa persino del-la Gazzetta ufficiale italiana. Molti comuni della provincia in quei giorni si strinsero intorno alla famiglia reale offrendo protezione e conforto, rivelandosi determinanti per la storia successiva di que-

sto Paese». «Per questo motivo- conclude Ferrarese – intendo fare di tutto perché a Brindisi venga tributato il giusto onore e affinché a questa provincia venga riconosciuto il ruolo svolto per il manteni-mento dell’unità d’Italia. E perché quegli eventi che testimoniaro-no ancora una volta le capacità d’accoglienza della gente di questa provincia, vengano ricostruiti con precisione e trasmessi anche alle generazioni successive».

Dello stesso tenore il testo di una missiva inviata dal Sindaco di Brindisi Domenico Mennitti al Presidente della Repubblica al fine di comprendere «le motivazioni della esclusione di Brindisi dalla manifestazione di Reggio Emilia». Sarei curioso di conoscere – scri-ve ancora Mennitti - la posizione del capo dello Stato «rispetto alla vicenda che nel 1943 vide per qualche mese Brindisi capitale d’Ita-lia in un momento tra i più tragici della storia nazionale. Dobbia-mo cancellarne il ricordo e perchè? Oppure è opportuno rileggere quella pagina della storia patria per darne la dimensione e la inter-pretazione giuste?».

ANALISI L’iniziativa di “Dialoghi” la rivista dell’Ac

Il ruolo dei giovani cattolici

SVISTE I messaggi al presidente Napolitano di Ferrarese e Mennitti

«Brindisi a pieno titolo nelle celebrazioninel ruolo di ex capitale della nazione»

Il re Vittorio Emanuele III nel 1943 Brindisi

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amigliando

Incontro Matrimoniale, associazione internazionale diffusa da oltre trent’anni anche in Italia, compresa la Puglia, in un weekend esperienziale propone alle cop-

pie di sposi e di fidanzati, un messaggio che contrasta con l’opinione negativa del matrimonio “fortezza assediata per cui chi è fuori vorrebbe entrarci e chi è dentro vorrebbe uscirne!” Il percorso formativo proposto dall’associazione vuole dimostrare che è bello starci dentro, in una casa aper-ta all’altro (il coniuge), agli altri (la comunità e la società) all’Altro (Dio). Lo stesso weekend viene proposto a preti e religiosi/e per la relazione con le rispettive comunità.

Mons. Guido Fiancino, vescovo ausiliare di Torino, in un suo intervento al Consiglio europeo dell’associazione, disse che «la parola chiave che mi è rimasta nel cuore quando ho vissuto il weekend di Incontro Matrimoniale fu: migliora-re, coltivare, curare la relazione; parola che ritrovai in una conferenza episcopale, quando il Vescovo… disse no ad una Chiesa fondata sull’organizzazione e sì ad una Chiesa fondata sulla relazione. Se siamo fatti ad immagine di Dio e Dio è relazione d’amore è solo nella relazione d’amore

che possiamo rendere visibile e trasparente l’immagine di Dio; Incontro Matrimoniale non indulge al lamento sterile, ma crede ostinatamente che è possibile ed è fonte di gio-ia un amore fedele, fecondo, per sempre. Ben sapendo che la gioia vera passa attraverso la croce ed è attraversata dal-la croce, una croce che non dice anzitutto dolore ma dice amore. Cristo non ha scelto di soffrire, ma ha scelto di ama-re e quindi ha messo in conto che l’amore vero esalta e cro-cifigge nel medesimo tempo. Amici, sarà un caso, ma se io voglio abbracciare devo aprire le braccia a forma di croce».

Con la parola di S. Paolo, il prelato evidenziò che «L’amore è prezioso perché viene da Dio ma è in vasi di creta perché noi siamo vasi di creta, ma investiti del soffio di Dio. È per questa visione biblica che Incontro Matrimoniale cerca di coniugare in maniera armonica, psicologia e fede, natura e soprannatura, uomo e Dio: equilibrio difficile ma neces-sario. Una fede che non valorizzi gli apporti delle scienze umane potrebbe trasformarsi in fideismo magico che porta al disimpegno. Ma un approccio psicologico che non tenga conto della fede, di Dio, potrebbe trasformarsi nell’eresia

di Pelagio che sosteneva che la persona umana può salvarsi per forza propria, senza il soffio di Dio. E il soffio di Dio ha soffiato

forte nel giorno del matrimonio, ma occorre che questo sof-fio lo respiriamo e lo accogliamo ogni giorno, proprio per questo Incontro Matrimoniale non fa teoria ma privilegia la testimonianza, il racconto di esperienze vere, un racconto realista, ma sempre aperto alla speranza. Al modo di dire del mondo: oramai contrappone d’ora in poi.»

Incontro Matrimoniale si caratterizza anche come aiuto reciproco della vocazione matrimoniale e sacerdotale in un’ottica di integrazione ed interazione delle due vocazio-ni, perciò è un’esperienza rivolta anche ai sacerdoti e ai religiosi/e.

In Puglia i Fine settimana di Incontro matrimoniale cop-pie, sacerdoti e i religiosi/e si svolgeranno i giorni 21/23 Gennaio 2011; 8/11 Aprile 2011; per i fidanzati il 20/22 Maggio 2011.

Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.in-contromatrimoniale.it o telefonare al n. 0831 339498.

Teresa e Pippo Vincenti

Nell’incontro con le famiglie della diocesi tenutosi nell’ultima dome-nica di Avvento a Cellino S. Marco,

ospiti della casa vinicola “Cantina due Pal-me”, siamo stati felici di ascoltare le prezio-se e stimolanti parole di don Piero Tundo, il quale commentando tre passi evangelici fondamentali, ci ha fatto un bel regalo di Na-tale parlandoci del tema dell’accoglienza in modo quanto mai concreto.

La nostra esperienza è fatta di incontri di uno con l’altro, di accoglienza dell’altro; per questo ci dobbiamo ispirare a Maria che di-venta icona dell’accoglienza, madre, mae-stra e modello per andare incontro a Cristo, modello della risposta, e dobbiamo vivere il tempo di Avvento come tempo vocazionale.

Maria è anche icona del tempo della resti-tuzione. Noi non dobbiamo solo essere desti-natari, ma anche dare, ispirandoci a Maria la quale si propone, non si vanta di essere stata destinataria di un progetto divino; allo stes-so modo, anche noi come Maria dobbiamo proporci, non vantarci, né nascondere la no-stra vocazione, proporci agli altri secondo un progetto che non è nostro, ma che realizza il disegno di Dio.

Noi, quando siamo chiamati a qualcosa di nuovo, siamo sempre stupiti o preoccupati, ma, come Maria, non dobbiamo temere: Dio ci chiama e ci garantisce di proteggerci, noi dobbiamo saper comunicare le meraviglie che Dio fa nella nostra famiglia ai nostri figli, nel gruppo famiglie, tra noi coniugi, in defi-nitiva dobbiamo sapere pregare. Se imparia-mo a dialogare con la SS. Trinità impariamo a dialogare con la famiglia.

Analogamente, anche in parrocchia o nella società si presenta il tema dell’ac-coglienza e allora dobbia-mo chiederci, ad esempio, se sappiamo essere acco-glienti nella nostra comu-nità parrocchiale, senza provare invidia e senza ri-valità nei confronti di chi riceve nuovi incarichi e re-sponsabilità. Le nostre co-munità parrocchiali come sono accoglienti? Quanto siamo capaci di gioire per i risultati positivi degli altri? Quanto siamo accoglien-ti con lo straniero? E nel campo professionale, per la progressione di carrie-

ra di un collega? Persino i sacerdoti cadono spesso nella debolezza di non partecipare alle gioie dell’altro per i successi ottenuti.

Tutto ciò accade perche non sempre siamo pronti ad accogliere il progetto di Dio. Quan-te volte crediamo che Dio manifesta la sua volontà attraverso gli uomini? Quando gli annunci di Dio non sono esaltanti, quando le notizie che ci arrivano sono sconfortanti... malattie, impegni difficili, non sempre siamo pronti ad essere accoglienti verso il progetto di Dio. Il suo progetto non sempre è quello che noi ci aspettiamo ma è un progetto ama-ro, è allora che si vede e si misura la fedeltà dell’uomo, come invece fece Maria nell’ac-cettare la volontà di Dio, la quale, anche se sentiva il gusto amaro della mirra, trovava la forza di accogliere il suo progetto.

L’espressione “Non temere” le diede la for-za di affrontare le difficoltà, sapere che non dobbiamo temere ci fa superare la paura e ci permette di non farci prendere dal panico. Spesso non riusciamo a dire grazie di fronte alla sofferenza. Persino i sacerdoti fanno fati-ca, c’è la paura di caricarsi la croce, da qui la necessità di raccontarci la sofferenza, di riu-scire a dire le nostre sofferenze agli altri.

Anche se camminiamo in una valle oscura, il Signore è con noi. Le coppie devono fare tesoro dell’esempio di Maria e Giuseppe. è per questo motivo che Gesù doveva nascere a Betlemme Perché doveva darci l’esempio della accoglienza, della condivisione, quello che deve fare la famiglia nell’accogliersi l’un l’altro.

Nicola e Mirella Distante

RITIRO D’AVVENTO Fuori dalle frenesie consumistiche dei giorni precedenti il Natale

Seguendo il cammino di Maria

EspERIENzE Un messaggio che contrasta con l’opinione negativa del matrimonio

Incontro matrimoniale, indicazioni per un percorso

A pochi giorni dall’arrivo del Natale, mentre tra il frastuono delle strade cittadine domina la corsa agli acqui-

sti e il luccichio delle luminarie sembra rit-mare freneticamente l’ingresso e l’uscita dai negozi, nel silenzio confortevole della Sala Congressi della cantina Due Palme di Cel-lino San Marco, l’Evento diviene occasione per riflettere sull’Avvento e favorisce un mo-mento di meditazione recuperando l’auten-tica dimensione del Natale.

Le famiglie, ivi riunite sotto la guida del delegato per la Pastorale familiare don Mas-simo Alemanno e dei responsabili Arturo ed Anna Maria Destino, hanno potuto godere di una vera e propria Lectio Magistralis, tenuta da don Piero Tundo. Questi, soffermando-si su tre episodi della vita della Madonna, l’Annunciazione, la visita a Santa Elisabetta e l’incontro col Santo Vecchio Simeone, ha guidato l’attenzione dei presenti sui momen-ti attraverso i quali si compie il cammino di Maria per aprirsi alla volontà di Dio, per di-ventare modello di condivisione e donna che non si sottrae alla sofferenza.

Ha sottolineato come l’annuncio irrompe inaspettatamente nella vita di una donna, che vive progetti e speranze giovanili alla luce della sua fede in Dio, ma che rimane sconvolta dal timore di fronte alla novità del disegno annunciato dall’Angelo: Maria è una donna attenta, che vive nella storia del suo tempo e che, trepidante per la reazione di Giuseppe e della gente, si propone con la sua paura e i suoi timori, che alla fine, però, arricchiscono di fascino e di bellezza la sua risposta di adesione al progetto divino. Ma-ria non è la donna dell’accoglienza passiva; è certamente sconvolta, ma diviene fiduciosa dopo le parole dell’angelo: diventa la donna del sì e si fida della promessa di Dio, perché profondamente convinta che nulla è impos-sibile a Lui.

Timori e sconvolgimento diventano gioia, che trasformano Maria in fonte di luce, che non si compiace di sé stessa, ma si dona agli altri. Essa pervade della sua luce e della sua grazia la cugina Elisabetta e ne condivide la gioia. Diventa così modello di condivisione e di restituzione che si propone all’umanità di ogni tempo e che non si sottrae persino di fronte all’annuncio della sofferenza: la fidu-cia in un Dio che è fedele alle sue promesse dà a Maria la forza di accogliere anche il do-lore nella profezia del vecchio Simeone, che annuncia la crocifissione del figlio.

A conclusione della meditazione il relato-

re ha consegnato ai partecipanti alcune riflessioni con l’in-vito che ciascuno, ispirato al model-lo incarnato dalla Vergine, le riper-corra alla luce della propria esperien-za, quale credente chiamato ad assu-mere una coerente posizione di fronte alle problematiche legate alla famiglia, al rispetto della vita, al riconoscimento dell’umanità come comunità di fratelli in Cristo.

Quanto la vita di Maria entra nella vita dei cristiani, vivendo esperienze di affidamento alla volontà di Dio rinunciando a progetti ed aspirazioni personali?

In quale misura la forza della condivisione e della restituzione riesce a plasmare la vita dei cristiani per superare invidie, gelosie e competizioni?

Nella quotidianità quale atteggiamento si assume di fronte all’annuncio di un dolore, di un fallimento, di una delusione?

Ognuno alla fine ha ricevuto uno stimolo per riconsiderare il messaggio dell’Avvento in relazione al proprio vissuto, sia come in-dividuo che come componente di un grup-po, come elemento calato in una realtà che molto spesso è legata all’interesse individua-le, che non sempre riconosce la fedeltà alla parola data, che si trincera in un miope edo-nismo, che spesso porta alla diffidenza e alla solitudine.La figura di Maria si propone al mondo qua-le sicura alternativa alle icone somministra-te dai mezzi d’informazione e accolte nella mentalità corrente: Essa diventa nel vissuto di ciascuno ispiratrice dei valori della fedeltà e della lealtà, dell’affidamento e della con-divisione, dell’accettazione della sofferenza come volontà di Dio. Il coinvolgimento e l’at-tenzione dei presenti sono stati continui e la relazione ha affascinato tutti sia per la chia-rezza che per la capacità di innestare proble-matiche di natura teologica nell’esperienza concreta di ognuno.

Giuseppe e Maria Carmela De Riccardis

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Sport16 15 gennaio 2011

“Protagonisti del bene comune. Lo sport al servizio

della sfida educativa” è stato il titolo del meeting nazionale di Assisi promosso dal Cen-tro sportivo italiano (Csi). La sfida educativa è l’impegno indicato dagli “Orientamenti pastorali” del decennio 2010-2020 da parte della Cei e il Csi, come ha spiegato il pre-sidente nazionale Massimo Achini all’incontro di Assisi, ha voluto dare un suo con-tributo concreto, mostrando la propria capacità di mobi-litazione e il servizio forma-tivo svolto dalle migliaia di società sportive affiliate. «Il meeting di Assisi è ormai una grande tradizione dell’asso-ciazione - ha detto Achini ma ogni anno è anche una novità irripeti-bile. Vivere Assisi, prima di ogni altra cosa, vuol dire incontrare san France-sco. Vuol dire respirare i suoi luoghi, la sua terra e sentirsi ‘infinitamente piccoli’ di fronte alla sua esperienza di vita. Vuol dire riscoprire il piacere di sentirsi poveri. Il piacere di costruire la propria esistenza sulla roccia delle cose essenziali della vita. Vivere Assisi vuol dire anche incontrarsi». Queste parole del presidente Achini hanno messo in evidenza la notevole capacità di mo-bilitazione del Csi, con i suoi 800 mila giovani impegnati in circa 20 mila as-sociazioni e sezioni locali. «Si tratta di una grande realtà educativa - ha detto il presidente - che si muove attorno ai va-lori cristiani e che è capace di unificare le diverse culture presenti nel nostro Paese e nei suoi vari territori».

Dal virtuale al reale. «L’incedere ver-tiginoso del tempo e la modernizzazio-ne spinta di ogni ambito sono aspetti caratterizzanti della nostra epoca che richiedono, nel contempo, una lettura attenta dei nuovi bisogni ad essi con-nessi. La Chiesa ne è conscia ed è im-pegnata a valutarne effetti e risposte adeguate»: con queste parole mons.

Domenico Pompili, direttore dell’Uf-ficio nazionale per le comunicazioni sociali e sottosegretario della Cei, è in-tervenuto ad Assisi richiamando l’im-pegno educativo e i percorsi che una realtà come il Csi può affrontare, aven-do un così ampio bacino di giovani che prendono parte alle varie proposte sportive. Mons. Pompili si è soffermato, in particolare, sui social network. Que-sti sembrano essere diventati i canali quasi esclusivi di relazione tra i giova-ni, che rivelano bisogno di comunità e di identificazione senza pregiudizi. In proposito ha affermato che «ormai si può parlare di cultura digitalizzata della quale farsi carico» e di fronte alla quale «l’offerta ‘corporea’ che lo sport è ancora in grado di offrire rende il Csi soggetto privilegiato per mantenere la ‘fisicità di un incontro’ e la ‘concretez-za’ della comunicazione». «La Chiesa italiana - ha quindi ricordato il sottose-gretario Cei - sottopone all’associazio-ne alcuni punti riequilibrativi della si-tuazione oggi troppo sbilanciata verso una dimensione prettamente virtuale: ‘Fare esperienza e non solo esperimen-ti’; ‘Agire e non solo gareggiare’; ‘La pa-rola e non solo le parole’; ‘Educarsi e

non solo educare’». È questo, secondo mons. Pompili, «il nuovo, impegnativo campo di azione per il Csi nel decennio della sfida educativa».

La fede purifica lo sport. Anche p. Ke-vin Lixey, del Pontificio Consiglio per i laici, ha sottolineato il patrimonio di valori educativi di cui il Csi è portatore. «Lo sport - ha detto - è un bene comu-ne, perché formato da individui che fan-no comunità. Uno sport fisico e morale, che contribuisca all’educazione dei fu-turi cittadini. Sono molte le associazio-ni che si occupano di sport con grande tecnica e passione. Ma il Csi sa propor-re un’attività di qualità che ha ulteriori prerogative». Secondo p. Lixey, ci sono alcuni principi che contraddistinguo-no il Csi come associazione cattolica: «Essere strumento di formazione con un chiaro impegno nel volontariato; confessare la fede cattolica, attraverso scelte di alcune mete non casuali qua-li Assisi e la Terra Santa; la comunione con la Chiesa locale e universale (invito alla Gmg 2011); evangelizzare il proprio ambiente e quindi ‘essere lievito dello sport’ come disse Pio XII; infine vivere la solidarietà».

a dicembre Ad Assisi l’incontro nazionale del Centro Sportivo Italiano

Lo sport al servizio della sfida educativa

Alla fine Cassano, dopo il censura-bile comportamento tenuto con il presidente della Sampdoria Gar-

rone, non solo non è stato punito, ma pre-miato: giocherà in una delle squadre più titolate al mondo, il Milan, e il suo ingaggio è notevolmente lievitato. Questo è il calcio italiano all’alba del 2011, un calcio dove la moralità è un optional, dove, senza essere bacchettoni a tutti i costi, a comandare è la legge dell’euro, degli sponsor e delle tv. È un calcio dove le bandiere sono state del tutto ammainate, dove mezza Inter negli anni scorsi si è trasferita al Milan (leggi Pirlo, Se-edorf, Vieri, Ronaldo e ora Ibra) e dove oggi Leonardo fa il percorso opposto, appro-dando alla corte di Moratti dopo 13 anni in rossonero come giocatore, manager e al-lenatore. Moratti che, fresco campione del mondo per club, ha allontanato dopo soli 5 mesi Benitez, reo di aver vinto “solo” 2 titoli sui tre finora a disposizione. È un calcio on-nivoro, senza più freni, che non lascia alcun spazio al sentimento, all’attaccamento alla maglia: prima di scaricare il tecnico spa-gnolo, Moratti aveva visto le scene di Mili-to che, appena vinta la Champions, era già pronto a batter cassa, mentre i suoi compa-gni erano ancora sul prato del Bernabeu a festeggiare per la vittoria contro il Bayern. Pochi minuti dopo il tecnico Mourinho si

allontanava dallo stadio madrileno su un auto riconducibile al Real Madrid, che di lì a poche ore sarebbe diventata la sua nuova società. Era da un pezzo che questo calcio non piaceva più al “vecio” per antonoma-sia, quell’Enzo Bearzot scomparso alla vigi-lia di Natale ed artefice con i suoi ragazzi, nel 1982, della più insperata e prodigiosa vittoria azzurra in un Mondiale di calcio. Erano anni ancora non completamente inquinati dal dio denaro, dove contava an-cora tanto lo spirito di squadra, la compat-tezza, la lealtà e il rispetto all’interno di uno spogliatoio che viceversa oggi sembra una porta girevole, tanti sono i cambiamenti an-che nella stessa stagione in corso. Proprio per difendere certe critiche gratuite, Bear-zot e la squadra avevano scelto un silenzio stampa che divenne il marchio di fabbrica per quell’incredibile cavalcata nel Mun-dial spagnolo. Era un condottiero Bearzot, uomo che non scendeva a compromessi, che faceva della lealtà un credo assoluto, che se dava una parola era quella, costasse quel che costasse. Lui, come il paron Roc-co, al cospetto del calcio d’oggi si guarde-rebbero straniti: le loro scelte, la coerenza davanti alle persone e ai fatti, l’amore verso un ideale, una bandiera, oggi sembrano pa-role al vento, retaggi lontani. Invece restano nei cuori di chi ama non solo un certo tipo

di calcio, ma un certo tipo di uomini, sem-pre più rari, ma proprio per questo sempre più rimpianti.

Leo Gabbi

riFLeSSiONi Cassano, Leonardo e il “vecio” che se ne va

Calcio 2011, soprattutto nuova moralità

Eravamo presenti in tanti, tra dirigenti delle società sportive affiliate, arbitri, giudici, consiglieri provin-

ciali e membri di presidenza, mercoledì 22 dicembre ad un momento di preghiera in preparazione al Natale. Ap-puntamento allestito dal comitato provinciale CSI di Brin-disi rappresentato dal suo presidente Francesco Maizza, insieme al nostro consulente ecclesiastico don Francesco Funaro. Un momento fortemente voluto dalla nostra as-sociazione per cercare di vivere e capire al meglio il signi-fico del Natale cristiano: «corpo e spirito devono cammi-nare all’unisono» – ha affermato don Funaro – «Gesù si rivela in coloro che nessuno riesce a vedere: nel volto dei sofferenti, delle persone disperate, perseguitate ed infan-gate. La corsa frenetica per gli acquisti natalizi ci offusca la mente dimenticando il vero e unico grande regalo del Natale: la vita di Cristo. Lui si dona a noi per la nostra sal-vezza, Lui è il nostro esempio poiché noi stessi dobbiamo essere dono per gli altri, per chi quotidianamente incon-triamo sulla nostra strada».

Anche il messaggio natalizio di sua Santità Benedetto XVI ci ricorda che dobbiamo andare alla ricerca dell’es-senziale ovvero della verità. Ci fa piacere ricordare un momento particolare e significativo vissuto durante la se-rata: la presenza del Presepio, come segno benedicente di Gesù. L’immagine di Gesù Bambino viene deposta nel presepio per rinnovare il mistero.

La serata si è conclusa con lo scambio degli auguri ed un piccolo regalo offerto dal comitato provinciale ai pre-senti. C’è stato anche l’assaggio del classico panettone natalizio seguito dal brindisi per un nuovo anno ricco di sfide ma soprattutto che consenta alla nostra attività sportiva e formativa di poter essere strumento in grado di farci camminare all’unisono con il nostro spirito, con la nostra fede.

Csi, gli auguri unitialla forza della preghiera

Enzo Bearzot

Puglia, aumentati i fondi per lo sport

Il mondo dello sport pugliese

tira un respiro di sollievo. La Giun-ta regionale fa dietrofront e au-menta i finanzia-menti al settore di due milioni di euro. Con l’approvazione del bilancio di previsione, infatti, la Regione è passata dagli iniziali 500mila euro stanziati a 2,5 milioni di euro.

In Puglia vi sono oltre 800.000 prati-canti sportivi ed operano oltre 9.000 società che organizzano e promuovono lo sport per tutti, a vari livelli, senza dif-ferenze di età, di genere e di condizione socio-economica. I finanziamenti per lo sport incideranno sull’attività di migliaia di bambini e studenti, che non avrebbe-ro potuto partecipare ai progetti spor-tivi loro dedicati, e di migliaia di atleti pugliesi, esposti a rischio di preclusioni nelle loro attività agonistiche.

Col nuovo stanziamento diventa dun-que più realistico evitare la scomparsa di società e la perdita di fiducia da parte di tanti dirigenti volontari in grande dif-ficoltà, costretti quasi a cessare la loro preziosa attività di educazione, preven-zione e dedizione alla crescita culturale e sociale del territorio.

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Vita di Chiesa18 15 gennaio 2011

“Ogni anno, nella ricorrenza della memoria della Beata Vergine di Lourdes, che si celebra l’11 feb-

braio, la Chiesa propone la Giornata mon-diale del malato. Tale circostanza, come ha voluto il venerabile Giovanni Paolo II, di-venta occasione propizia per riflettere sul mistero della sofferenza e, soprattutto, per rendere più sensibili le nostre comunità e la società civile verso i fratelli e le sorelle mala-ti”: si apre con queste parole il messaggio di Benedetto XVI per la XIX Giornata mondiale del malato che verrà celebrata l’11 febbraio 2011. Il Papa sottolinea l’aspetto centrale del rapporto tra l’uomo e la malattia, afferman-do nella parte introduttiva del messaggio: “Se ogni uomo è nostro fratello, tanto più il debole, il sofferente e il bisognoso di cura de-vono essere al centro della nostra attenzione, perché nessuno di loro si senta dimenticato o emarginato; infatti ‘la misura dell’umani-tà si determina essenzialmente nel rappor-to con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i soffe-renti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza ven-ga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana’ (Lett. enc. Spe salvi, 38)”.

Sofferenza e mistero. Facendo riferimento alla visita pastorale a Torino (2 maggio 2010), in occasione dell’Ostensione della Sacra Sin-done, Benedetto XVI rileva che “quel volto sofferente” c’invita “a meditare su Colui che ha portato su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le no-stre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati. Quanti fedeli, nel corso della storia, sono passati davanti a quel telo sepolcrale, che ha avvolto il corpo di un uomo crocifis-so, che in tutto corrisponde a ciò che i Van-geli ci trasmettono sulla passione e morte di Gesù! Contemplarlo è un invito a riflettere su quanto scrive san Pietro: ‘Dalle sue piaghe siete stati guariti’ (1Pt 2,24)”. Il Papa afferma che “la sofferenza rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare. I due discepoli di Emmaus camminano tristi per gli avvenimenti accaduti in quei gior-ni a Gerusalemme, e solo quando il Risor-to percorre la strada con loro, si aprono ad una visione nuova (cfr Lc 24,13-31). Anche l’apostolo Tommaso mostra la fatica di cre-dere alla via della passione redentrice... Ma di fronte a Cristo che mostra le sue piaghe, la sua risposta si trasforma in una commovente professione di fede: ‘Mio Signore e mio Dio!’ (Gv 20,28)”.

Il “sì” di Dio. Benedetto XVI si rivolge poi in particolare ai giovani, dedicando all’ap-puntamento della Giornata mondiale della gioventù di Madrid del 2011 un passaggio in riferimento a quei giovani “che vivono l’esperienza della malattia”. “Spesso – scrive il Papa – la Passione, la Croce di Gesù fanno

paura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, è esattamente il contra-rio! La Croce è il ‘sì’ di Dio all’uomo, l’espres-sione più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Dal cuore trafitto di Gesù è sgorgata questa vita divina. Solo Lui è capace di liberare il mon-do dal male e di far crescere il suo Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo”. Ai giovani, quindi, il Papa chiede di imparare a “vedere” e a “incontrare Gesù nell’Eucaristia, dove è presente in modo rea-le per noi, fino a farsi cibo per il cammino”. Li esorta a saperlo “riconoscere e servire anche nei poveri, nei malati, nei fratelli sofferenti e in difficoltà, che hanno bisogno del vostro aiuto”.

Nel volto dei malati. Concludendo il mes-saggio, Benedetto XVI si rivolge alle autorità “affinché investano sempre più energie in strutture sanitarie che siano di aiuto e di so-stegno ai sofferenti, soprattutto i più poveri e bisognosi”. Rivolge infine un pensiero a tutte le diocesi, inviando “un affettuoso saluto ai vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacra-te, ai seminaristi, agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloro che si dedicano con amore a curare e alleviare le piaghe di ogni fratello o sorella ammalati, negli ospedali o Case di Cura, nelle famiglie: nei volti dei ma-lati sappiate vedere sempre il Volto dei volti: quello di Cristo”.

“Educare alla pienezza della vita” è il titolo del messaggio del Consiglio episcopale permanente per la 33ª

Giornata nazionale per la vita, che si celebre-rà il 6 febbraio 2011. “L’educazione è la sfida e il compito urgente a cui tutti siamo chia-mati, ciascuno secondo il ruolo proprio e la specifica vocazione”, scrivono i vescovi nel messaggio. Di qui l’auspicio e l’impegno “per educare alla pienezza della vita, sostenendo e facendo crescere, a partire dalle nuove ge-nerazioni, una cultura della vita che la accol-ga e la custodisca dal concepimento al suo termine naturale e che la favorisca sempre, anche quando è debole e bisognosa di aiuto”.

Necessaria una svolta culturale. Ricordan-do le parole di papa Benedetto XVI nella Let-tera alla diocesi e alla città di Roma sul com-pito urgente dell’educazione, del gennaio 2008, “alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita”, i vescovi sot-tolineano che “con preoccupante frequenza, la cronaca riferisce episodi di efferata violen-za: creature a cui è impedito di nascere, esi-stenze brutalmente spezzate, anziani abban-donati, vittime di incidenti sulla strada e sul lavoro”. “Cogliamo in questo – ammettono i presuli – il segno di un’estenuazione della cultura della vita, l’unica capace di educare al rispetto e alla cura di essa in ogni stagione e particolarmente nelle sue espressioni più fragili. Il fattore più inquietante è l’assuefa-zione: tutto pare ormai normale e lascia in-travedere un’umanità sorda al grido di chi non può difendersi. Smarrito il senso di Dio, l’uomo smarrisce se stesso: ‘l’oblio di Dio rende opaca la creatura stessa’”, come recita la “Gaudium et spes”. Occorre perciò “una svolta culturale, propiziata dai numerosi e confortanti segnali di speranza, germi di un’autentica civiltà dell’amore, presenti nella Chiesa e nella società italiana. Tanti uomini e donne di buona volontà, giovani, laici, sacer-doti e persone consacrate, sono fortemente impegnati a difendere e promuovere la vita. Grazie a loro anche quest’anno molte donne, seppur in condizioni disagiate, saranno mes-se in condizione di accogliere la vita che na-sce, sconfiggendo la tentazione dell’aborto”.

Per un’azione feconda. I vescovi ringra-ziano “di cuore le famiglie, le parrocchie, gli istituti religiosi, i consultori d’ispirazione cri-stiana e tutte le associazioni che giorno dopo giorno si adoperano per sostenere la vita nascente, tendendo la mano a chi è in diffi-coltà e da solo non riuscirebbe a fare fronte agli impegni che essa comporta”. A giudizio dei presuli, “quest’azione di sostegno verso la vita che nasce, per essere davvero fecon-da, esige un contesto ecclesiale propizio, come pure interventi sociali e legislativi mi-rati. Occorre diffondere un nuovo umanesi-mo, educando ogni persona di buona volon-tà, e in particolare le giovani generazioni, a guardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fatto all’umanità”. Nel testo della Cei viene poi citato un passaggio del messaggio

del Papa per la XXVI Gmg 2011: “L’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua ‘impronta’. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace”.

Dono di sé. È proprio la bellezza e la forza dell’amore, chiariscono i vescovi, “a dare pie-nezza di senso alla vita e a tradursi in spirito di sacrificio, dedizione generosa e accom-pagnamento assiduo. Pensiamo con ricono-scenza alle tante famiglie che accudiscono nelle loro case i familiari anziani e agli sposi che, talvolta anche in ristrettezze economi-che, accolgono con slancio nuove creature. Guardiamo con affetto ai genitori che, con grande pazienza, accompagnano i figli ado-lescenti nella crescita umana e spirituale e li orientano con profonda tenerezza verso ciò che è giusto e buono”. Ai vescovi piace sotto-lineare “il contributo di quei nonni che, con abnegazione, si affiancano alle nuove gene-razioni educandole alla sapienza e aiutan-dole a discernere, alla luce della loro espe-rienza, ciò che conta davvero”. “Oltre le mura della propria casa – si legge nel messaggio –, molti giovani incontrano autentici mae-stri di vita: sono i sacerdoti che si spendono per le comunità loro affidate, esprimendo la paternità di Dio verso i piccoli e i poveri; sono gli insegnanti che, con passione e com-petenza, introducono al mistero della vita, facendo della scuola un’esperienza genera-tiva e un luogo di vera educazione. Anche a loro diciamo grazie”. Ogni ambiente umano, animato da un’adeguata azione educativa, concludono i vescovi, “può divenire fecondo e far rifiorire la vita. È necessario, però, che l’anelito alla fraternità, posto nel profondo del cuore di ogni uomo, sia illuminato dalla consapevolezza della figliolanza e dalla gra-titudine per un dono così grande, dando ali al desiderio di pienezza di senso dell’esisten-za umana. Il nostro stile di vita, contraddi-stinto dall’impegno per il dono di sé, diventa così un inno di lode e ci rende seminatori di speranza in questi tempi difficili ed entusia-smanti”.

giornAtA per lA vitA Il messaggio dei vescovi italiani

Educare alla pienezza di vita

“Ritrovare la grandezza del progetto di Dio sulla ses-sualità, evitandone la banalizzazione oggi diffusa”.

Questo “l’interesse autentico” del Papa, nei capitoli dedi-cati alla sessualità nel recente libro-intervista “Luce del mondo”. A precisarlo è la Congregazione per la Dottrina della Fede, in una Nota – pubblicata il 21 dicembre - dal titolo “Sulla banalizzazione della sessualità”, a proposito di alcune letture del libro in questione, di cui “sono sta-te diffuse diverse interpretazioni non corrette, che hanno generato confusione sulla posizione della Chiesa cattolica riguardo ad alcune questioni di morale sessuale”. “Alcune interpretazioni – si legge nella Nota - hanno presentato le parole del Papa come affermazioni in contraddizione con la tradizione morale della Chiesa, ipotesi che taluni han-no salutato come una positiva svolta e altri hanno appreso con preoccupazione, come se si trattasse di una rottura con la dottrina sulla contraccezione e con l’atteggiamento ecclesiale nella lotta contro l’Aids”. In realtà, le parole del Papa su “un comportamento gravemente disordinato qua-le è la prostituzione, non sono una modifica della dottrina morale né della prassi pastorale della Chiesa”. Benedetto XVI, infatti, “non parla della morale coniugale e nemmeno

della norma morale sulla contraccezione”, che resta quella sancita da Paolo VI nella “Humanae vitae”.

“L’idea che dalle parole di Benedetto XVI si possa dedur-re che in alcuni casi sia lecito ricorrere all’uso del profilat-tico per evitare gravidanze indesiderate – l’affermazione centrale della Nota vaticana - è del tutto arbitraria e non risponde né alle sue parole né al suo pensiero”. A questo riguardo il Papa propone invece “vie umanamente e etica-mente percorribili, per le quali i pastori sono chiamati a

fare ‘di più e meglio’, quelle cioè che rispettano integral-mente il nesso inscindibile di significato unitivo e procrea-tivo in ogni atto coniugale, mediante l’eventuale ricorso ai metodi di regolazione naturale della fecondità in vista di una procreazione responsabile”.

Quanto poi alla pagina in questione – chiarisce la Con-gregazione per la Dottrina della Fede - il Santo Padre si riferiva al caso completamente diverso della prostituzio-ne, comportamento che la morale cristiana da sempre ha considerato gravemente immorale”. Per “tutta la tradizio-ne cristiana, e non solo”, la prostituzione “va combattu-ta e gli enti assistenziali della Chiesa, della società civile e dello Stato devono adoperarsi per liberare le persone coinvolte”.

Profilattico come “male minore”? Anche questa teoria, per la Santa Sede, “è suscettibile di interpretazioni fuor-vianti”. “Il Santo Padre – la puntualizzazione della Nota - non ha detto che la prostituzione col ricorso al profilat-tico possa essere lecitamente scelta come male minore. La Chiesa insegna che la prostituzione è immorale e deve essere combattuta.

Santa Sede: dal Papa nessuna “modifica” della “dottrina” sulla sessualità

giornAtA del mAlAto Il messaggio di Benedetto XVI

Il mistero della sofferenza

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Vita di Chiesa 1915 gennaio 2011

Si è tenuto a Roma, dal 1° al 5 dicembre, il XXII corso di formazione nazionale del Progetto Policoro che ha visto coin-

volti 158 giovani dei tre anni di corso.Una stupenda avventura. «A quindici anni

dall’inizio della stupenda avventura del Pro-getto Policoro, ci consideriamo dentro una storia fatta di fedeltà alle origini e ai nostri territori forti della Parola che ci accompagna: ‘Non possiedo né argento né oro, ma quel-lo che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!’». Lo hanno detto mons. Angelo Casile e don Mimmo Beneventi, aiutante di studio del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, tiran-do le conclusioni del corso. Rammentando con «riconoscenza» la figura di don Mario Operti, mons. Casile e don Beneventi hanno ricordato che si ingrandisce la cerchia della famiglia del Progetto anche alle diocesi del Centro-Nord: «Imola, Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, Forlì-Bertinoro e Rimini sono le prime diocesi con le quali incrementiamo quei rapporti di reciprocità tra le Chiese, già previsti all’origine del Progetto, nell’ottica della comunione e dello scambio dei doni, dei talenti e delle esperienze matu-rate».

Valenza educativa. Durante il corso c’è stata la presentazio-ne degli Orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo”. «La Chiesa - hanno osservato mons. Casile e don Beneventi - continua nel tempo l’opera di Gesù in una storia bimillenaria che è ‘intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione. Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, signi-fica portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà. Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa’». La declinazione della

proposta formativa a partire dalle pagine della Sacra Bibbia e del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, presen-tato nella sua interezza nei corsi annuali, «ci fa sempre più prendere coscienza di una Chiesa che cammina insieme a tutta l’umanità lungo le strade della storia», hanno aggiunto.

Stile di prossimità. Nell’ottica di una pastorale integrata, è stata approfondita la riflessione sulla 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani. «La passione del lavorare insieme, l’ave-re a cuore le persone e la loro formazione, il porre al centro il tema del senso del lavoro, la crescita e lo sviluppo della e nella legalità, l’integrazione dei percorsi educativi, l’attenzio-ne al mondo dell’immigrazione, il recupero del senso di ap-partenenza ecclesiale e sociale, il valore dei territori e delle loro tipicità sono i temi emersi nel vivace e riuscito dibattito - hanno evidenziato mons. Casile e don Beneventi -. In esso

ha trovato conferma lo stile di prossimità ver-so i giovani lavoratori, la riscoperta della no-stra vocazione di servizio, il vivere il coraggio della speranza anche di fronte le difficoltà, il sentirci parte viva della comunità ecclesiale e al suo servizio nelle nostre città». Per mons. Casile e don Beneventi, «offrire un’opportu-nità di lavoro a un giovane è ridargli la digni-tà di persona, regalargli la speranza nella vita, la possibilità di poter ‘mettere su famiglia’, di poter sognare un futuro sereno. La presenza tra noi di animatori con figli è testimonianza di quanto la serenità di un lavoro renda pos-sibile la costruzione di una famiglia e il gene-rare la vita!».

Il volto giovane della Chiesa. Nelle con-clusioni è stata ricordata anche la visita dei Musei Vaticani, «una forte occasione di co-noscenza reciproca e del territorio e di con-templare le bellezze dell’arte giungendo

quasi a percepire il ‘tocco di Dio’ su ciascuno di noi nel con-templare il Giudizio universale nella Cappella Sistina. Siamo pensati da Dio, sfiorati dal tocco del suo Spirito per diveni-re noi stessi attraverso il nostro lavoro ‘tocco di Dio’, parte-cipazione dell’opera creativa, benedizione sulle opere che Lui compie in noi. In Cristo siamo noi il suo ‘tocco’!». In re-altà, per mons. Casile e don Beneventi, «appare sempre più evidente che il Progetto, nel suo cammino triennale di for-mazione, è una grande opportunità per i giovani animatori. Esso infatti offre possibilità di relazioni ecclesiali, contatti personali, idee d’impresa, conoscenze professionali e del magistero della Chiesa difficilmente reperibili tutti insieme altrove”. “Siete il volto giovane della Chiesa - hanno concluso -. Non sciupate quel tesoro prezioso che siete!».

Gigliola Alfaro

PROGETTO POLICORO I quindici anni di un’idea che si traduce in tanti rivoli di speranza

Con i giovani in un’esperienza straordinaria sul territorio

Si è spento nella notte del 3 dicembre u.s. all’ospedale Mo-naldi di Napoli, dov’era ricoverato da alcuni giorni, il card. Michele Giordano, arcivescovo emerito del capoluogo parte-nopeo. Il porporato aveva compiuto 80 anni lo scorso 26 set-tembre. Un improvviso malore lo aveva costretto al ricovero alcuni giorni prima e le sue condizioni erano migliorate, ma nella tarda serata del 2 dicembre sono sopraggiunte compli-cazioni respiratorie e cardiache. La salma è stata trasferita nella cappella dell’ospedale Monaldi dove il card. Crescen-zio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha celebrato una messa fu-nebre. La salma è stata poi esposta nella basilica del Buon Consiglio a Capodimonte dove si sono celebrati i funerali. Originario di Sant’Arcangelo, un paese in provincia di Po-tenza, diocesi di Tursi-Lagonegro, ricevette la consacrazione episcopale il 5 febbraio 1972 e nel giugno di due anni dopo venne promosso arcivescovo di Matera e Irsina. Nel 1987, maturò il suo trasferimento alla guida della Chiesa metro-politana di Napoli. Giovanni Paolo II lo creò cardinale nel Concistoro del giugno 1988 con il titolo di San Gioacchino ai Prati di Castello. Divenne arcivescovo emerito di Napoli il 20 maggio 2006.Pubblichiamo un ricordo del card. Giordano scritto dal no-stro Arcivescovo che prima di giungere a Brindisi è stato ve-scovo di Tursi-Lagonegro, diocesi di origine del porporato.

Mi piace ricordare l’Em.mo card. Michele Giorda-no, come un lucano autentico, come un Prelato illustre, come un Servitore della Chiesa. Per anni

ha interpretato le ansie sociali e spirituali della Basilicata, dedito alla formazione di un laicato cristiano che fosse si-gnificativo nella società e nella politica, orientata al bene comune. Da Vescovo di Matera ha collaborato a tenere su le prospettive del paese lavorando insieme, facendo spesso

sentire la sua voce in seno alla Conferenza Episcopale Italiana. Ha guidato la delega-zione al Convegno Ecclesiale di Loreto, di cui sono stato membro come prete insieme al Sen. Verrastro come laico, sulla riconcilia-zione della comunità e ha posto le basi per celebrare un Convegno sullo stesso tema in Basilicata, perché ne potesse vivere tutte le ansie coinvolgendo in pieno le sei Chiese lu-cane.

Chiamato a reggere l’Arcidiocesi di Napoli, si immedesima nella realtà partenopea con una chiara vicinanza ai poveri, coltivando un vivo interesse educativo per i giovani e per le famiglie.

Elevato alla porpora cardinalizia, lo ab-biamo salutato come il nostro Cardinale e voce del Mezzogiorno d’Italia, sostenitore dell’annosa questione meridionale che però è diventata, nella Chiesa, questione nazio-nale, coinvolgendo tutti i Vescovi italiani, fino all’ultimo documento CEI per un paese solidale in Italia, nel rapporto Chiesa italiana e Mezzogiorno.

Grande interesse ha coltivato, in comunione con i Vescovi lucani, per la costruzione del Seminario Maggiore di Basili-cata, per la cui inaugurazione si è goduto della presenza del Santo Padre Giovanni Paolo II.

Durante il lungo servizio episcopale nella città di Napoli forti sono state anche le sue sofferenze, rivelatesi ingiuste sotto tutti gli aspetti. Ha sofferto nel silenzio, ha perseverato nel lavoro, ha offerto tutto per il bene della Chiesa. Provato ma libero, ha dato esempio di fortezza d’animo e di fedeltà ecclesiale. In breve si è spento per riposarsi in Dio.

Grazie, Eminenza, per la Sua esistenza sacerdotale nella Regione e nella Chiesa, grazie per l’incoraggiamento dato-mi nell’accogliere con fiducia l’episcopato a servizio della Chiesa di cui è stato figlio e vicario, grazie per essere venuto a Tursi ad inaugurare il Sinodo diocesano che suggellava la nuova configurazione di una diocesi che si allargava da un mare all’altro, grazie della visita fattami a Brindisi, in una condivisione che ritengo una vera eredità di servizio.

Il Santo Padre lo ricorda come un «caro fratello che ha servito generosamente il Vangelo e la Chiesa». Questa è la vera sua eredità.

+ Rocco TalucciArcivescovo

Mons. Talucci e, di spalle, il card. Giordano a San Vito dei Normanni

UOMINI DI CHIESA� Mons. Talucci ricorda l’arcivescovo emerito di Napoli

Il card. Giordano, servitore generoso del Vangelo

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Libri20 15 gennaio 2011

S.Maria delle Grazie in S. Vito

di Antonio Chionna

Don Antonio Chionna è storico di razza, attento ricercatore

capace di far dire alle fonti tutto quanto esse compiutamente ri-escano a comunicare. Egli offre da decenni un accurato servizi di conoscenza del territorio sul quale opera e anche con «San-ta Maria delle Grazie in San Vito

dei Normanni. Convento Chie-sa Confrater-nite» (Edizioni Il Punto, pp. 328) prosegue in questa sua azione di let-tura critica. «Ho la consa-pevolezza che per spiegarci l’oggi e pro-gettare il fu-turo occorre la conoscenza del passa-to – avverte don Peppino Moro, parroco dell’Immaco-lata nella Pre-

sentazione -. Ho pregato perciò, don Antonio Chionna (…) di fare emergere dall’oblio del silenzio i documenti riguardati il con-vento, la chiesa di S. Maria delle Grazie e le confraternite dell’Im-macolata e di S. Francesco d’As-sisi operanti nella stessa chiesa». E quel «sacerdote e studioso, (che) rende eloquenti i docu-menti» - come lo definisce Padre Arcivescovo nella Prefazione – ha lavorato da par suo, rendendo oltremodo intelligibile una pa-gina di francescanesimo nel Sud d’Italia. Ecco, dunque, che don Chionna, dopo aver descritto S. Vito tra il XVI ed il XVII secolo, pone attenzione al convento di S. Maria delle Grazie, coglien-done aspetti storico-sociali ed artistici. Quindi si sofferma sulla chiesa di S. Maria delle Grazie, ne discute le vicende, ponendo particolare attenzione a quelle successive all’unità d’Italia ed alle leggi di soppressione. Anco-ra, studia le confraternite di S. Maria delle Grazie così come si sono andate evolvendo tra XVI e XX secolo, fino a riferire con dovizia di particolari de «Le con-fraternite dell’Immacolata Con-cezione e di S. Francesco dal pri-mo Novecento alla loro fusione nell’Unione Cattolica». L’autore ha «dominato» una mole consi-derevole di documenti della più svariata natura, ponendo nella giusta ottica il rapporto tra fa-miglie nobili e notabili e presen-za francescana. Di più: ha conti-nuato in queste pagine nella sua funzione di pungolo della sen-sibilità collettiva circa la tutela e la valorizzazione dei beni cul-turali ecclesiastici. E sulle con-fraternite, bastino poche righe delle conclusioni: «Oggi ci sono (quando ci sono) altre forme di aggregazione, altri campi in cui scontrarsi per affermare le pro-prie capacità di potere, piuttosto lontane dalla chiesa, in compen-so però si vive lo spirito confra-ternale in maniera più matura e per rendere un servizio alla propria comunità, e certe forme di contrasto nelle chiese, spero, non si ripeteranno». Il pastore e lo storico hanno vinto entrambi la loro sfida educativa.

(a. scon.)

IL L

IBR

OImmigrazione

di Giorgio Paolucci

La collana “Le Chiavi”, curata da Domenico Delle Foglie,

per «Vivere In Editrice» inanella un altro successo con «Immi-grazione» (pp. 96, Euro 5), volu-metto curato da un giornalista e studioso quale Giorgio Paolucci, che, caporedattore centrale di Avvenire, giunge a queste pagine dopo aver dato alle stampe Cen-

to domande sull’islam. In-tervista Samir Khalil Samir (Marietti 2002) e I cristiani ve-nuti dall’islam ( P i e m m e 2005), ma s o p r a t t u t to continuando ad interveni-re con precisi editoriali sul-le questioni delle quali è esperto.

Sarà per la capacità de l l ’au to re , sarà per i re-centi input

offerti dalle esortazioni che ven-gono dalle Giornate Sociali di Reggio Calabria e dal messaggio del Papa per la «Giornata mon-diale del migrante e del rifugiato 2011», ma queste pagine risul-tano bussola per orientarsi sul tema. L’immigrazione « è una grande sfida che il nostro Paese deve gestire con lungimiranza, se si vuole che quello che da molti viene considerato solo “un problema” diventi una risorsa», osserva Paolucci. In particolare, annota, «il generoso impegno per la tutela delle condizioni dei migranti, che vede impe-gnate molte realtà del mondo cattolico, si deve coniugare con il compito precipuo della Chie-sa: l’annuncio del Vangelo a tut-ti gli uomini, la capacità – per dirla con le parole della Prima lettera di San Pietro – di “essere sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi”. Una malintesa interpretazione di tale compito ha talvolta indotto a identificare l’evangelizzazione con l’aiuto materiale ai migran-ti, con il conseguente rischio di ridurre la Chiesa a una sorta di grande agenzia umanitaria. Ma la sua ragion d’essere e la sua missione, che certo non dimen-tica le necessità concrete, vanno ben al di là di esse». E Paolucci avverte: «Il rischio di trasforma-re l’esercizio della carità in un anonimo supermercato della so-lidarietà (…) è sempre in aggua-to e può essere scongiurato eser-citando la necessaria vigilanza affinché le ragioni della fede possano essere sempre testimo-niate con coraggio e limpidezza verso ogni uomo».

Paolucci, poi, studiano «model-li» concreti, offre un contributo per realizzare una «via italiana all’integrazione». Essa si basa su due pilastri: «riconquistata consapevolezza dei fondamenti della nostra storia e dei valori che fondano la nostra società», e «apertura al contributo dei popoli che vogliono mettere ra-dici in terra italiana». Egli parla di «identità arricchita». Battere questa via sembra cosa oppor-tuna.

(a. scon.)

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Destra e democrazia

di Domenico Mennitti

Il percorso della destra italiana dal dopoguerra ad oggi, attra-

verso l’analisi di un protagonista come Domenico Mennitti, costi-tuisce il filo conduttore di «De-stra e Democrazia. Dall’ideolo-gia al progetto», che il sindaco di Brindisi ha pubblicato per Pro-gedit (pp. 264, Euro24). Mennitti

– usiamo i ti-toli di alcuni capitoli del libro - parte dalla descri-zione de «I figli dei vin-ti» e segue l’elaborazio-ne culturale e politica della destra italiana, che passa «Da Almirante a Fini», si con-fronta con «Il piccone di Cossiga» diventando protagoni -sta di scelte

di governo quando «Berlusconi irrompe sulla scena politica». E Mennitti è protagonista in que-sto percorso. Non è autobiogra-fia quella consegnata a capitoli quali «”Proposta”, la rivista della destra moderna», o «A Napoli a dirigere il “Roma”» e ancora «”Ideazione” contro ogni ege-monia culturale». Sembra piut-tosto lo sforzo intellettuale di dare conto di un percorso che ha determinato scelte e azioni nella politica di governo, come in quella amministrativa. E se interessanti sono i capitoli che riguardano «Il polo della destra democratica», «Il balletto delle riforme», «Il bipolarismo senza i poli», fino alle ultime vicende di Pdl - perché il libro cronolo-gicamente si ferma alle imme-diate conseguenza del discorso di Fini a Mirabello il 5 settembre 2010 -, non meno accattivanti sono le pagine che traducono non più l’ideologia, ma il pro-getto, in azione amministrativa. Vanno lette sotto tale ottica le pagine che Mennitti dedica alla sua esperienza come «Sindaco a Brindisi». Appassionate sembra-no quelle dedicate alla visita di Benedetto XVI, che egli conse-gna alla memoria considerando «l’abbraccio del papa»: «Lo testi-monio con lo spirito di un laico – scrive -: da quell’abbraccio, che sembrò durare una eternità, non colsi la sensazione di un privile-gio personale. Pensai a Brindisi, città dimessa, che raccoglieva in quel momento il riconoscimento delle sue luci, dopo essere stata immersa per anni nel buio del-le sue ombre». Anche da queste parole viene la conferma di un generale assunto del libro: «la destra – si legge nel piego di co-pertina – ora non ha vie di fuga, deve agire con onore e con sen-so dello Stato, con il rispetto del-la cosa pubblica e l’obiettivo del bene sociale. Questo di Mennitti è un urlo nel silenzio delle “corti plaudenti”, un urlo d’amore non per uno o più uomini, ma per un’idea. È un richiamo a tutti – Berlusconi e Fini in testa – ad agire con responsabilità per non deludere le speranze di intere generazioni».

(a. scon.)

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Cinema & Televisione 2115 gennaio 2011

Quali argomenti sono rilevanti e chi decide che debbano esserlo? Per tentare una definizione e fornire una

risposta è stata elaborata da molti anni la te-oria dell’“agenda setting”. Ipotizza, in sostan-za, la possibile influenza dei media nei con-fronti dei temi del dibattito sociale e politico. Lo spazio dato ad una tematica oppure ad una notizia, rispetto alle altre possibili, mette quel tema al centro dell’attenzione facendo credere a chi legge – all’opinione pubblica – che sia davvero rilevante, in base all’inter-pretazione della realtà operata dai media o in base agli interessi sottostanti. In concreto si rende una notizia saliente rispetto alle al-tre e si dimostra quanto sia sostanziale l’abi-lità dei media a trasferire un argomento da un’agenda privata a quella pubblica d’inte-resse generale più elevato.

“Ciò che sappiamo della nostra società e in generale del mondo in cui viviamo, lo sap-piamo dai mass media”, notava il sociologo e filosofo tedesco Niklas Luhmann mettendo a fuoco l’influenza dei media in poche parole. E un altro studioso, Cohen, nel 1963 scrive-va che “la stampa può, nella maggior parte dei casi, non essere capace di suggerire alle persone cosa pensare, tuttavia ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri letto-

ri intorno a cosa pensare”. Infine Shaw nel 1979 ha chiosato in questo modo: “L’assunto fondamentale dell’‘agenda setting’ è che la comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutuata dai media”.

L’aspetto fondamentale è che il lettore sa quello che gli viene proposto dai mezzi di co-municazione in termini di notizie e di com-menti. Non sa invece quanto non gli viene proposto per mancanza di spazio o gli viene nascosto per scelta precisa. Il flusso delle no-tizie, ogni giorno, da tutto il mondo, obbliga le redazioni ad effettuare una selezione per presentare solo alcune tematiche ai propri lettori, scegliendo in base alla lettura della realtà del mezzo di comunicazione (conser-vatore, progressista, di centro...), alle priorità personali, all’idea che si ha del proprio pub-blico, dovendo rispondere alla proprietà dei media e agli interessi economico-finanziari sottostanti. Il “pubblico” per lo più ignora tali aspetti e prende dai media l’immagine del mondo che viene presentata dagli argo-menti scelti ed enfatizzati dai titoli, pensan-do che possano essere davvero importanti. Insistere ad esempio su un fatto di cronaca, presentando diversi casi giorno dopo giorno con grande evidenza, porta a fare in modo che quella tematica salga in primo piano nel

dibattito politico-sociale, influenzando le di-scussioni e perfino provocando interrogazio-ni parlamentari o disegni di legge. Si tratta di un aspetto anche positivo dei media e che coinvolge la loro funzione sociale di denun-cia e d’inchiesta per rivelare aspetti partico-lari o nascosti della realtà. Tuttavia occorre guardare con cautela ai temi posti dai media al centro dell’attenzione perché non sappia-mo quali siano quelli scartati e occorre esse-re cauti perché di solito i media non spiega-no le motivazioni alla base delle loro scelte.

La teoria dell’“agenda setting” offre una spiegazione di come informazioni in merito ad alcuni temi e non ad altri siano disponibi-li al pubblico in una democrazia; come l’opi-nione pubblica si forma e come alcuni temi sono affrontati mediante specifiche azioni politiche mentre altri non lo sono. Non ci dice però come avere un’opinione pubblica capace di propria lettura critica della realtà e di pensiero autonomo.

Fabrizio Mastrofini

infoetica� “Agenda setting” e opinione pubblica

C’è qualcuno che decide per tutti

Nuova rivista per l’Acec

L’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) presenta SDC – Sale della comunità, bimestrale di cultura cinematografica destinato alle sale as-

sociate e ai loro animatori. Direttore responsabile della novità editoriale sarà il vescovo Roberto Busti. «Una rivista che vuole essere uno strumento necessa-rio per la formazione personale e per l’azione pastorale all’interno delle nostre Sale sempre più polifunzionali», questa la dichiarazione di intenti del direttore editoriale, Gianluca Bernardini.Ben radicata, nella sua struttura, sui temi di interesse

delle Sale, SdC si articola su sezioni specifiche: dedica ampio spazio all’analisi dei fenomeni economici, tecno-logici e normativi che determinano il profilo dell’eserci-zio in una messa a fuoco intelligente; fornisce ipotesi di lavoro e riflessione su temi specifici, tracciando percorsi cinematografici da ripercorrere nelle sale; si sofferma su particolari eventi, con una sezione dedicata ai festival; apre al teatro, forma di espressività con cui il cinema condivide spesso gli spazi delle sale; offre spunti di lettu-ra e visione personali, attraverso rubriche dedicati a libri e home video; ospita, infine, il pensiero acuto di Gian-franco Ravasi a commentare le immagini irrevocabili dei migliori film.Nello spirito della nota pastorale CEI sulla Sala della Co-

munità, un servizio pastorale e culturale, la rivista mira a fornire strumenti utili all’attività della sala e a diventare supporto ai suoi animatori, sottolinea Francesco Giraldo, segretario generale Acec, ricordando il ruolo fondamen-tale della sala come luogo privilegiato per qualificare le condizioni di ascolto, le facoltà di attenzione e di ela-borazione critica, così difficili da sviluppare nel mondo contemporaneo eppure così necessarie per viverlo.Focalizzandosi su temi di carattere culturale, economi-

co, sociale e giuridico, SDC mira a diventare una base comune per le Sale della Comunità diffuse sull’intero territorio nazionale, a fare da eco per le best-practises realizzate in molte di esse, a incentivare la partecipazio-ne alla vita associativa e a riflettere sulle dinamiche dei cambiamenti in atto nella società contemporanea.

CINEMAHEREAFTERregia: Clint Eastwood

Clint Eastwood riesce a stupire i suoi spettatori e a più di ottant’anni riesce a realizzare un film differen-te dalle pellicole da lui precedente-mente girate, ma con l’atmosfera morale di fondo che sempre inner-va le sue opere. “Hereafter”, infatti, è un film in cui il grande regista-attore non interpreta il ruolo del protagonista e in cui la storia non si concentra su un solo personag-gio, bensì pone la sua attenzione su tre vicende, distanti per luoghi e protagonisti (un uomo, una donna e un bambino) che poi, nel finale, trovano, però, un inaspettato con-tatto.L’inizio della pellicola è folgorante per potenza evocativa ed emotiva: una giornalista francese in vacan-za ad Haiti si ritrova nel bel mezzo dell’onda distruttiva dello tsunami e sopravvive per miracolo, dopo essere rimasta incosciente (morta?) per alcuni minuti sotto l’acqua. In quei pochi minuti vive un’esperien-za che diventerà oggetto del suo nuovo libro: l’esperienza di un al-dilà, di uno spazio senza tempo e luogo, in cui ci si sente fluttuare, invaso dalla luce e dominato da un senso di pace assoluto. Un’esperien-za che le cambierà totalmente la vita e che la porterà a riflettere su quello che ci aspetta dopo la mor-te. Anche gli altri due protagonisti della pellicola hanno a che fare con la morte e con quello che esiste, se esiste, dopo la morte: un uomo, in-terpretato da Matt Damon, che ha il dono, o la dannazione come lui la definisce, di mettersi in contat-to con l’aldilà; e un bambino che ha perso il fratello gemello in un incidente stradale e fa di tutto per cercare di comunicare di nuovo e ancora con lui.Con “Hereafter” Eastwood non vuole dimostrare scientificamente o fideisticamente l’esistenza di un aldilà, semplicemente ci pone il suo punto di vista su una questio-ne che ci riguarda tutti, prima o poi: la morte.

UN ALTRO MONDOregia: Silvio Muccino

Silvio Muccino torna al cinema, di nuovo da regista e di nuovo con la collaborazione di Carla Vangelista.Questa volta racconta la storia di un giovane rampollo della borghe-sia romana, che non deve lavorare per vivere e viene sostenuto da una madre fredda e distante, mentre il padre lo ha abbandonato da picco-lo. Un ragazzo che pensa solo a di-vertirsi, senza farsi troppe doman-de, vivendo tutto superficialmente, anche il rapporto con la ragazza con cui convive. Nessuna domanda, nessun impegno serio. Questa vita che sembra dorata cambia comple-tamente quando nella vita del ra-gazzo entra un fratellino africano che il padre, appena morto, gli ha lasciato in affidamento dall’Africa. L’incontro col bambino e anche con l’Africa cambieranno comple-tamente il giovane, naturalmente dopo un iniziale rifiuto. La sua vita cambierà per sempre e scoprirà, forse, cosa vuol dire finalmente la felicità.Un film, dunque, che parla di un giovane immaturo che scopre o, sarebbe meglio dire, riscopre il va-lore dei sentimenti, delle emozioni, della comunicazione, della fami-glia, degli affetti. E cresce, cambia, inizia a farsi domande non scon-tate e a cercare risposte. In questo senso il film parla certamente di Muccino, ma è in grado anche di parlare a tanti giovani contempo-ranei. Giovani disorientati che non vorrebbero porsi domande, ma che invece sono in grado di farsele e soprattutto che sono alla ricerca di qualcos’altro rispetto alle loro vite dorate. E che capiscono, nel fondo, che bisogna tornare a certi valori se ci si vuole avvicinare alla felicità. Il film di Muccino, nonostante alcu-ne banalizzazioni, ci porta a inter-rogarci su quali siano le cose per cui vale la pena di vivere e su come ognuno di noi dovrebbe compiere un cammino personale per miglio-rarsi e trovare la propria strada.

CINEMA

Internet: wi-fi finalmente libero?

L’Italia dice ufficialmente addio al con-trollo sugli accessi alla grande Rete.

L'approvazione del nuovo pacchetto si-curezza, ha avviato l'iter per mandare definitivamente in soffitta l'articolo 7 della Legge 155 del 31 luglio 2005. wi-fi finalmente libero? Connettersi senza fili da luoghi pubblici sarà più semplice, ma chi si aspettava la cancellazione di ogni restrizione per l'accesso ad internet ne è rimasto deluso: il disegno di legge, infatti, prevede l'individuazione di obblighi a tu-tela della sicurezza pubblica, che saranno definiti congiuntamente dai ministeri del-lo Sviluppo economico, dell'Innovazione e dell'Interno. Il passo va certamente nella direzione chiesta da molti, ma si tratta solo dell'ini-zio dell'iter parlamentare: il disegno di legge dovrà passare dall'approvazione del Parlamento.E sulla liberalizzazione del wi-fi iniziano a nascere i primi dubbi. Il procuratore na-zionale antimafia, Piero Grasso, ha sottoli-neato che "dietro queste reti wi-fi e inter-net point ci si può nascondere benissimo e si possono trovare anche terroristi, pe-dofili e mafiosi". Ma secondo il presidente di Telecom Italia, Gabriele Galateri di Ge-nola, dalla liberalizzazione del wi-fi non viene nessun rischio per la sicurezza.

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Accadde nel.... 2315 gennaio 2011

L’Europa supera la boa dei sessant’an-ni. E, come si do-

vrebbe fare in occasione di un anniversario, si for-mulano gli auguri, si volta fugacemente lo sguardo al cammino percorso e si tor-na a guardare avanti con fi-ducia. Il battesimo ufficiale della prima esperienza di concertazione sovranazio-nale fra sei nazioni del vec-chio continente (Germa-nia, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussembur-go) risale al 18 aprile 1951: con la firma del Trattato di Parigi nasceva la Ceca, Co-munità europea del carbo-ne e dell’acciaio, alla quale avevano tenacemente la-vorato gli statisti dell’epo-ca, trascinati dai francesi Robert Schuman e Jean Monnet, dal tedesco Konrad Ade-nauer e dall’italiano Alcide De Gasperi.

La via era stata indicata un anno prima, il 9 maggio 1950, con la Dichiarazione Schuman, che aveva affermato: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano…. L’Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da re-alizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto… Il governo fran-cese propone di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei”. Ciò “assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della federazione europea”.

La Ceca entrerà in funzione il 23 luglio 1952 e di fatto fungerà da modello per un ampliamento della collaborazione tra i pa-esi fondatori, fino ai Trattati di Roma del 25 marzo 1957, costitutivi della Cee, Comu-nità economica europea, e dell’Euratom, la comunità per l’utilizzo a scopi pacifici dell’energia atomica. Dagli ulteriori svilup-pi di queste tre comunità, e dalla successi-va revisione dei trattati nascerà, nel 1992, l’attuale Unione europea, che oggi, con 27 Stati aderenti e 500 milioni di cittadini, è uno dei principali protagonisti sulla scena mondiale, assicurando pace e democrazia all’interno dei suoi confini e proponendosi di affrontare le sfide dell’era globale con i criteri guida della solidarietà e della sussi-diarietà, sanciti dal Trattato di Lisbona.

Fin qui la storia. Ma il sessantesimo com-pleanno impone all’Ue scelte e impegni nel segno della “piena maturità”. Gli augu-ri, allora, si accompagnano ad alcuni au-spici.

Visto che la Ceca era nata con una forte connotazione di “concretezza”, dall’Ue, sua legittima erede, ci si attende che pro-duca risultati visibili a vantaggio dei citta-dini. Obiettivi da perseguire in vari campi: economia, lavoro, approvvigionamento energetico, tutela dei consumatori, svilup-po territoriale, ambiente, ricerca, cultura, sicurezza, e negli altri settori di competen-za, tenuto conto che gli Stati aderenti han-no trasferito alle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo una parte della loro autorità

legislativa e politica. I risultati – già speri-mentabili in tanti campi – potranno con-vincere l’opinione pubblica che l’Europa è necessaria, soprattutto in una realtà inter-nazionale sempre più complessa e interdi-pendente.

Per fare tutto questo è però doveroso che le istituzioni comuni si rafforzino e miglio-rino la propria capacità decisionale. A tale scopo era stato scritto il Trattato di Lisbo-na, entrato in vigore un anno fa, del quale è già stata decisa una limitata revisione allo scopo di costituire il Meccanismo europeo di stabilità, orientato appunto alla stabilità finanziaria e alla governance economica. Il consolidamento dell’Ue e delle sue istitu-zioni dipende, però, in gran parte dai go-verni nazionali: l’Europa comunitaria vede ancora prevalere il carattere “intergover-nativo”, per cui i governi dei 27, riuniti nel Consiglio, detengono un elevatissimo po-tere decisionale rispetto a quello dell’Eu-roparlamento e della Commissione, le due istituzioni “più comunitarie”. Se i premier europei deporranno l’arma dei nazionali-smi e degli interessi di parte, che da alcu-ni anni frenano l’integrazione, per l’Ue si apriranno nuove prospettive di sviluppo e operatività.

C’è poi da augurarsi che l’Ue sappia coin-volgere maggiormente i cittadini per una vera democrazia partecipativa. In questa direzione si muove, ad esempio, l’“inizia-tiva dei cittadini” definita dal Trattato di Lisbona, grazie alla quale un milione di persone di 7 Stati possono chiedere una legge europea. Allo stesso modo il nuo-vo Trattato ha sancito il coinvolgimento delle chiese e delle comunità religiose nel processo di integrazione, riconoscendone la vasta rappresentatività, l’autorevolezza morale e la radicata presenza nella storia e nell’oggi dell’Europa. Un impegno – e una sfida – che le comunità cristiane hanno da tempo mostrato di raccogliere con deter-minazione.

Non da ultimo, ci si attende che l’Unione possa affermarsi quale protagonista sulla scena mondiale, per la promozione della pace, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali (si pensi alla libertà di religione, duramente minacciata e offesa anche in questi giorni), valori in-scritti nel dna dell’Europa comunitaria.

Gianni Borsa

1951. nasce l’europa unita

Mons. Nicola Mar-giotta (1953-1975) celebrava

il sinodo nel 1961 a chiu-sura della visita pastorale iniziata nel 1955. Erano gli anni della costruzione dei primi impianti industriali a Brindisi con le conse-guenti trasformazioni so-cio economiche che hanno comportato e che sono sta-te recepite come disordine fisico e morale e dunque espressione di una crisi profonda la cui causa era individuata nel discono-scimento del principio di autorità. Infatti, uno degli scopi del Sinodo sarebbe stato proprio la restaurazione dell’autori-tà della legge e l’assicurazione dell’ordine e dei benefici della pace vera in un corri-spettivo dovere di ubbidienza alla struttura gerarchica della Chiesa (Nicola Margotta, Sintesi delle Costituzioni Sinodali ad uso del clero e dei fedeli, Brindisi 1962). Ad un contesto di società in rapida trasformazio-ne ci si rapportava attraverso un modello di sacerdote come uomo del sacro, separa-to dal mondo che doveva portare la Parola di Dio ma del quale non doveva diventare parte. La Chiesa veniva definita da mons. Margiotta una società perfetta, perchè ave-va in sé tutti gli elementi costitutivi: una unità di scopo, distinzione tra governanti e governati, la gerarchia ordinatissima di mi-nistri; inoltre, essendo costituita da uomini che per comunicare necessitavano di mez-zi opportuni, essa aveva il diritto di posse-dere tutti quei mezzi necessari al sosteni-mento dei suoi ministri e all’esercizio del culto. Si trattava di una concezione di tipo tridentino che ignorava alcune aperture di Pio XII espresse nella costituzione del 1950 “Menti Nostrae”. A conclusione del Sinodo furono pubblicate in latino le Costituzioni sinodali e per dare la possibilità a tutti di leggerle, tenendo conto che si rivolgevano anche ai fedeli, fu pubblicata un Sintesi in italiano. Il testo era suddiviso in tre sessio-ni: la prima conteneva le norme generali e quelle per la disciplina del Clero e dei laici; la seconda si divideva in una parte prima riguardante “Dei Sacramenti e dei Sacra-mentali” e una seconda avente per titolo “Magistero della Chiesa e della Fede Cat-tolica” e una parte terza sul “Culto Divino”. Infine, la terza sessione riguardava i beni ecclesiastici e si chiudeva con una conclu-sione. L’analisi di alcuni punti di tali Costi-tuzioni sinodali permette di comprendere l’ecclesiologia che ne era alla base, cioè l’idea di Chiesa definita preconciliare. Nel-la prima sessione si invitavano i sacerdoti ad una vita di pietà, di studio e di onestà, caratterizzata da un comportamento este-riore che doveva essere da modello per i fedeli. I sacerdoti venivano esortati alla riverenza e obbedienza verso l’Arcivesco-vo, all’amore e alla venerazione verso il Romano Pontefice, i cui documenti dove-vano essere studiati appena promulgati. Mons. Margiotta dava così tanta impor-tanza a tutto ciò da prevedere il il rituale atto di obbedienza per il 9 novembre, festa di S. Teodoro, per la diocesi di Brindisi e il 26 agosto, festa di S. Oronzo, per la diocesi di Ostuni. Riguardo ai doveri parrocchiali,

si ricordava di praticare: la carità verso i poveri, i quali costituivano “l’eredità tutta privilegiata della Chiesa”; l’assistenza agli infermi, la cura dei fanciulli, per scorgere “qualche seme di vocazione”. Si insisteva in modo particolare sulla residenza in parroc-chia che avrebbe favorito l’attività pastora-le, in quanto il parroco avrebbe avuto la possibilità di meglio conoscere “le proprie pecorelle”. Dopo i sacerdoti, le Costituzioni venivano a trattare delle famiglie religiose, “che costituiscono l’altra ala dell’esercito di Cristo” e che possono prestare la loro ope-ra là dove non poteva giungere la voce e la mano del parroco. In particolare, rivolgen-dosi alle suore, definite “angeli benefici” che stendono le ali della preghiera e della carità, le esortava a conservare le proprie case “come celesti aiuole profumate di ogni virtù” e pertanto a coltivare la riser-vatezza e a cooperare con i parroci nell’in-segnamento catechistico e nella direzione delle associazioni femminili.

Seguendo una classificazione tipica del preconcilio, le Costituzioni, dopo aver trat-tato dei sacerdoti e dei religiosi, passavano ai laici, ai quali veniva dedicato il Titolo VII “Della disciplina e dell’apostolato dei laici”, che “privi di aiuti spirituali derivanti dal-la vita associativa, sono esposti al fango e alla polvere” di certe pratiche superstizio-se e alla viltà della bestemmia. Riguardo le Associazioni religiose e Confraternite, che “contribuiscono non poco a conservare florida la vita cristiana”, si raccomandava che i parroci curassero l’erezione in tutte le parrocchie delle Congreghe della Dottrina Cristiana, del SS.mo Sacramento, l’Opera dell’Apostolato della Preghiera, delle Con-gregazioni Mariane, delle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli, delle Dame di Cari-tà; con la cura in primis della propaganda missionaria, incoraggiando l’Unione Mis-sionaria del Clero, l’Opera della Propaga-zione della fede fra gli adulti e l’Opera della Santa Infanzia tra i bambini. Un’attenzio-ne particolare veniva rivolta all’Azione Cattolica, considerata “la forma moderna e più efficiente e ufficiale della cooperazio-ne del laicato all’apostolato gerarchico del-la Chiesa”. Questo spirito di rinnovamento favorì in quegli anni lo sviluppo delle asso-ciazioni laicali di categoria, quali le ACLI, la Comunità dei Braccianti, i Coltivatori Diretti e le associazioni professionali, quali l’UCIIM, l’AIMC e la Congregazione della Dottrina Cristiana.

Katiuscia Di Rocco

1961. il sinodo diocesano

Jean Monnet

Mons. Nicola Margiotta

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