atrocitÀ e propaganda...schizzi, poster, film, lucidi, vignette, così come sulle cartoline,...
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Vittime uccise a fucilate, a colpi
di baionetta e di coltello, braccia
mozzate, smembrate, o spezzate,
gambe spezzate, nasi e orecchie recisi, occhi
cavati, genitali tagliati, vittime lapidate, don-
ne violate e uccise, seni amputati, persone
impiccate o bruciate vive, un bambino dato
in pasto ai maiali, vittime impalate, scuoiate,
o percosse con bastoni o con i calci dei fucili
fino a ucciderle.
Il Professor R. A. Reiss, esperto di medi-
cina legale incaricato dal Primo Ministro
serbo di condurre un’indagine sui crimi-
ni di guerra ha così descritto i numero-
si casi di violenza perpetrati dalle forze
austro-ungariche contro la popolazione
civile in Serbia, nel 1914. Il suo racconto
riflette in maniera impressionante i con-
tenuti delle pubblicazioni britanniche e
francesi del tempo, segnatamente il Li-
ATROCITÀ e PROPAGANDA
Jo FOX
La propagandasulle atrocità si è
concentratasugli atti più violenti
perpetrati dagli eserciti tedesco e austro-ungarico,
mettendone in risaltola barbariee tentando
di giustificareil conflitto anche per
mezzo di falsi dossier
RETROSPETTIVE
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vre Rouge des Atrocités Allemandes e il
Rapporto Bryce. Pieni di dolorosi dettagli,
questi documenti contengono una de-
scrizione dei singoli atti di violenza con-
tro la popolazione civile, le truppe e i pri-
gionieri di guerra; parlano dei saccheggi,
dell’uso di armi “proibite dalle norme e
dalle convenzioni di guerra”, della distru-
zione di antiche librerie, cattedrali, case e
villaggi, così come di stupri, mutilazioni e
torture. Illustrazioni vive e testimonian-
ze dirette accompagnano la descrizione
dei ‘crimini senza nome’, mentre Liegi,
Louvain, Dinant, Anversa, Reims, Ar-
ras e Senlis furono trasformate in “città
martiri”, devastate da un nemico inuma-
no intransigente che mieteva vittime in-
distintamente tra bambini e anziani, tra
uomini di Dio e tra feriti e inermi. Queste
sono state le immagini che hanno domi-
nato la propaganda iniziale della Grande
Guerra e sono state un araldo potente di
coloro che volevano giustificare il con-
flitto e il necessario sacrificio.
La natura della propaganda sulle atrocità
La propaganda sulle atrocità ha opera-
to a diversi livelli, mutando nel tempo,
presente com’era in libri, giornali, fogli,
schizzi, poster, film, lucidi, vignette, così
come sulle cartoline, targhe, tazze e me-
daglie.
I bollettini ufficiali del governo presenta-
vano le “prove” della violazione, da parte
delle truppe tedesche, delle Convenzio-
ni del 1899 e del 1907. Le testimonianze
oculari di vittime e carnefici rendevano
la lettura obbligatoria e persuasiva; inol-
tre, nonostante i metodi d’indagine fos-
sero lontani dagli standard giuridici, i
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resoconti forniti sembravano basarsi su
fatti inconfutabili. I rispettati esperti, a
capo delle indagini, conferivano alle ac-
cuse ancor maggiore legittimità. Bryce,
ad esempio, fu Ambasciatore britannico
presso il Governo degli Stati Uniti, mem-
bro della Camera dei Lord e affermato
giurista. Mentre i resoconti adottarono
prevalentemente un tono obiettivo, dal-
le testimonianze furono estratte alcune
storie oscene per costituire in nucleo di
articoli di giornale sensazionalistici, mo-
stre (come quella di Louis Raemaekers a
Londra nel 1915), o libri popolari. Ciò con-
tribuì a creare un contesto di propaganda
mutevole e capace di rafforzarsi autono-
mamente. William Le Queux scrisse, nei
dettagli, della sofferenza degli “onesti e
pii abitanti” del Belgio, alla mercé di una
“grande banda di emuli di Jack Lo Squar-
tatore … sprizzanti Nietschismo militare”
ed eccitati da una “barbarie primordiale”.
Secondo Le Queux, nonostante le storie
sulle atrocità fossero inizialmente una
risposta all’invasione del Belgio nel 1914,
esse facevano perno su sentimenti an-
ti-tedeschi consolidati. Tali sentimenti
venivano rafforzati da campagne pub-
blicitarie ufficiali e ufficiose di più ampio
respiro che aizzavano la cultura tedesca
contro la civiltà e moralità cristiana, ri-
uscendo a creare un ambiente interpre-
tativo degli eventi seguenti. L’assassinio
di Edith Cavell, l’affondamento del Lu-
sitania, la dichiarazione di una guerra
condotta senza restrizioni mediante
sottomarini U-boot, i raid dei dirigibili
Zeppelin e l’utilizzo di gas contro le trin-
cee nemiche sembrarono confermare la
fondamentale depravazione del carat-
tere tedesco e rafforzarono la gerarchia
dei nemici. Alle atrocità tedesche veniva
riservato un posto in prima fila, mentre
il massacro del popolo armeno da parte
dei Turchi passò quasi inosservato. La
potenza delle storie sulle atrocità deri-
vava in parte dalla possibilità di esistere
anche fuori contesto, come atti isolati di
barbarie e depravazione morale, o come
una serie di comportamenti collettivi
premeditati che condannavano una na-
zione. Le notizie scioccanti consentivano
ai promotori della propaganda di giusti-
ficare la guerra, incoraggiare gli arruola-
menti, raccogliere fondi per i prestiti di
guerra e spingere gli Stati Uniti fuori dal
loro stato di neutralità. L’impatto di tale
propaganda fu durevole e sopravvisse
fino al 1918 e oltre.
Atrocità e propaganda
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La risposta tedesca
Le insinuazioni sulle atrocità si dimo-
strarono difficili da confutare e ogni
tentativo in questo senso non fece che
generare ulteriore pubblicità. Le giustifi-
cazioni offerte dalle autorità tedesche e
austroungariche sembravano essere solo
una conferma della loro colpevolezza. Il
“Manifesto del ‘93”, firmato da scienziati,
studiosi e artisti tedeschi, tra cui quattor-
dici vincitori di Premio Nobel, rigettava
le accuse di ‘colpe di guerra’ e legittimava
le rappresaglie dei soldati tedeschi con-
tro i franco-tiratori illegali, ovvero forze
irregolari, affermando che le truppe te-
desche avevano agito all’interno dei li-
miti stabiliti dal diritto internazionale. La
propaganda tedesca, mentre evidenzia-
Atrocità e propaganda
Il cuore del soldato tedesco
Ora ti riporto a casa dai tuoi genitori.Bevi prima dal biberon e quando sarai grande racconta di come mi sono comportato.Un eroe tedesco non è mai un barbaro
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va un passato fatto di sforzi accademici
e prosperità sociale, puntò il dito contro
l’ipocrisia della “perfida Albione” (la Gran
Bretagna), il cui Impero brutale aveva
commesso innumerevoli atrocità contro
le popolazioni oppresse di Irlanda, India,
Egitto e Africa.
Il “Libro Bianco” del Ministero degli Este-
ri tedesco cercò di assolvere le truppe
tedesche dipingendole come le vittime di
una guerra popolare illegale e implacabi-
le condotta da civili belgi, ma la strategia
fallì nel suo intento. L’Académie française
condannò il Manifesto, mentre il “Libro
Bianco”, altamente selettivo e infarcito di
prove non convincenti, sembrò confer-
mare i crimini tedeschi, salvo essere de-
molito in seguito dal Livre Gris belga del
1916. I tentativi del governo austrounga-
rico di giustificare le azioni delle proprie
truppe incapparono in critiche simili.
Reiss condannò le “scuse tardive delle
autorità austriache, che non stavano in
piedi”. Nel rispondere alle accuse Allea-
te, la propaganda tedesca e austrounga-
rica assunse una postura unicamente
reattiva, ovvero non riuscì a sfruttare
le violazioni degli stessi Alleati del dirit-
to internazionale, concedendo loro un
vantaggio morale e, in ultima analisi, la
possibilità di giustificare lo scoppio della
guerra in maniera più convincente.
Le conseguenze
Nel periodo tra le due Guerre, le ricerche
sulla natura della propaganda suggeriro-
no che l’atrocità delle storie fu creata a
tavolino dagli Alleati per giustificare la
guerra e incoraggiare gli arruolamenti.
Nonostante, più di recente, storici come
John Horne e Alan Kramer abbiano
chiarito l’importanza del mito dei fran-
chi tiratori nella forma mentis della Di-
fesa tedesca del tempo e sottolineato le
violazioni del diritto internazionale che
hanno portato alla morte di circa 6000
cittadini belgi nel 1914, i dubbi sulla veri-
dicità delle dichiarazioni degli Alleati e la
memoria dei franchi tiratori sono rimasti
vivi per diversi anni.
Quando le forze tedesche occuparono
nuovamente il Belgio nel 1940, i monu-
menti alla resistenza civile risalenti al
1914 furono distrutti e i ricercatori rovi-
starono negli archivi francesi e belgi per
individuare prove dell’esistenza di un
esercito popolare. Il ricordo della Grande
Guerra divise i propagandisti liberal-de-
mocratici durante la Seconda Guerra
Mondiale: alcuni invocavano l’esperien-
za del 1914 per dimostrare la continua
minaccia posta dalla Germania a un’Eu-
ropa pacifica (ad es. Black Record
di Lord Vansittart, 1941), mentre altri
sottolineavano l’unicità del nazismo. Pur
alla ricerca di un’ “altra Edith Cavell” per
le proprie campagne, la loro attività fu
intrinsecamente limitata dalla memoria
popolare di “false” atrocità perpetrate nel
1914. Di conseguenza, ebbero paura di
offrire il fianco all’accusa di aver dipinto
in maniera esagerata le atrocità naziste
nell’Europa del 1941, con il risultato che
l’atroce destino degli Ebrei e delle altre
vittime fu ampiamente ignorato, mentre
l’attenzione del pubblico venne indiriz-
zata altrove.
Traduzione di Paolo CAPPELLI
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