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UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI Corso di Laurea in Conservazione e gestione dei beni e delle attività culturali BENI CULTURALI E ABBANDONO: LE VILLE VENETE IN UN PAESAGGIO IN CRISI Relatore: Francesco Vallerani Laureando: Matteo Gnata Matricola 827881 Anno Accademico 2012 / 2013

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UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI

Corso di Laurea in

Conservazione e gestione dei beni e delle attività culturali

BENI CULTURALI E ABBANDONO: LE VILLE VENETE IN UN

PAESAGGIO IN CRISI Relatore: Francesco Vallerani Laureando: Matteo Gnata Matricola 827881 Anno Accademico 2012 / 2013

«La vera terra dei barbari non è quella

che non ha mai conosciuto l’arte,

ma quella che, disseminata di capolavori,

non sa né apprezzarli né conservarli.»

(Marcel Proust)

  

2

INDICE

Abstract 4

I. Introduzione 6

II. La villa nel paesaggio 11

II.1 L’evoluzione geostorica 11

II.2 L’avvio della città diffusa 16

II.3 Temi e problemi 23

III. La tutela 27

III.1 L’UNESCO 27

III.2 La Convenzione del Paesaggio e le iniziative europee 35

III.3 La normativa italiana: la pianificazione urbanistica e il

Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio

38

III.4 Il PTRC della Regione e le Soprintendenze 43

III.5 La Provincia e il PTCP 46

III.6 Gli istituti 52

III.7 Verso una nuova sensibilità 58

IV. Esperienze concrete 64

IV.1 Villa Forni Cerato 64

IV.2 Indagine sull’attuale stato della villa 67

IV: Documentazione fotografica 69

V. Conclusioni 70

Bibliografia

73

  

3

Abstract

Le ville venete, palladiane e non, patrimonio di straordinario valore

architettonico, storico e culturale, eredità del XVI, XVII e XVIII secolo,

varcano la soglia del terzo millennio insidiate dai più recenti sviluppi

dell’urbanistica. Dopo quasi cinquecento anni, capolavori di indiscusso

pregio, si ritrovano compromessi dai molti cambiamenti che, nel corso

dei secoli, ne hanno eroso l'aspetto, modificato il paesaggio, denigrato il

significato. Negli ultimi decenni, in Veneto, mentre da un lato si plaudiva

alla nascita di istituzioni espressamente dedicate alla tutela delle ville e

alla promulgazione di specifiche normative (anche di livello

internazionale), dall’altro si assisteva inermi alle modificazioni di segno e

di senso che questi beni subivano a seguito dell’aggressiva

urbanizzazione delle periferie, risultato dei progressi economici e sociali.

Ripercorrendo il decorso storico e fotografando la situazione attuale, la

tesi verifica come sia accaduto che interessi spesso particolari e

noncuranti del bene comune, siano andati a compromettere un

patrimonio che invece necessita di tutela. La tesi propone perciò una

riconsiderazione del concetto di “abbandono”, che non riguardi più solo

la materialità dell’edificio ma che includa anche il contesto in cui l’edificio

è inserito. Riflettendo sul tema del “paesaggio”, si sottolinea l’importanza

della sua tutela e se ne evidenzia il legame con la valorizzazione

dell’architettura. Vengono quindi presentate le normative e le attività che

privilegiano questa visione, verificando le loro specifiche applicazioni nel

caso delle ville venete. Si porta dunque all’attenzione il caso specifico del

villino Forni Cerato, dimora palladiana abbandonata da anni; se ne

documenta il pessimo stato di conservazione e se ne delineano future

prospettive di recupero. La tesi, in conclusione, auspica un cambiamento

culturale e di coscienza, da concretizzarsi attraverso precipue misure di

conservazione e valorizzazione; in questo modo le testimonianze del

  

4

passato veneto potranno rappresentare un valore di identità per il

presente e di investimento per il futuro.

  

5

I. Introduzione

Risale ai primi di giugno 2013 l’invettiva di Oliviero Toscani, il

quale, solito lanciare accuse contro un certo tipo di urbanistica degli

orrori edilizi, definisce la periferia di Vicenza «diarrea architettonica»1,

affermazioni del genere offendono e suscitano le reazioni difensive

dell’amministrazione comunale, ma raccolgono anche i consensi di

associazioni come Italia Nostra e il Fai2. Il fotografo, che da sempre basa

l’efficacia della sua strategia comunicativa sulla provocazione – con

effetti, va ammesso, a volte banalizzanti – riesce però nell’intento di

scuotere le coscienze e indurre ad aprire gli occhi.

Ogni vicentino può fare esperienza del degrado architettonico in

cui versa la periferia e la sorpresa è tanto maggiore se si pensa alla

bellezza che si offre allo sguardo ogni volta che si percorrono le vie del

capoluogo che portano, come un marchio di fabbrica, la firma di Andrea

Palladio. Proprio a lui Toscani e tutti noi pensiamo quando vediamo la

“nuova” Vicenza, e possiamo provare a immaginare cosa direbbe

Palladio – se si trovasse qui, oggi – in merito allo sviluppo della città che

lui stesso reinventò nel corso del ‘500. Il gioco anacronistico si può

estendere anche all’ex campagna vicentina e veneta, dove adesso sorge

una miriade di piccoli centri abitati che tendono a formare una rete

urbana che ha in gran parte sacrificato le ampie aree coltivate dei secoli

scorsi.

Se nel centro storico di Vicenza, modello dell’architettura

Palladiana, si è portato avanti un validissimo progetto di valorizzazione,

innumerevoli sono le testimonianze dell’opera dell’architetto sparse su

tutto il territorio veneto; la tesi intende occuparsi delle opere che di questa                                                              1C. Giacomuzzo, Le brutture della città del Palladio, “Il Giornale di Vicenza”, 5 giugno 2013.  2Fondo Ambiente Italiano.  

  

6

terra hanno fondato un’identità, puntando in modo particolare lo sguardo

su quelle che sono abbandonate a se stesse.

L’area geografica che si vuole prendere in considerazione si

estende sulla pianura veneta tra i fiumi Adige e Brenta con propaggini

fino alla provincia di Treviso: territorio dell’ex Repubblica veneziana che

all’inizio del XV secolo cominciò a colonizzare l’entroterra. Ad essere

interessanti sono proprio le finalità e le modalità di espansione della

Serenissima verso la terraferma e le ricadute che tale espansione ha

avuto sulla società, sulla politica e sul paesaggio. Analizzando il territorio

si trovano infatti tracce di valenza estetica e funzionale, che consentono

di ricostruire dinamiche storiche, capire come all’epoca si strutturava il

territorio e riconoscere la sua qualità estetica. È qui che prende corpo ed

evidenza, come d’altronde è risaputo, la rivoluzione di Palladio, che non è

soltanto architettonica ma anche logistica, tanto concettuale quanto

concreta. Le ville, fatta eccezione per le poche che l’architetto progettò

come adibite a residenze per la villeggiatura, vivevano in un rapporto

simbiotico con la campagna circostante ad esse assoggettata,

organicamente legata. Il rapporto tra villa e possedimenti era sia

funzionale che visivo e, di entrambi gli aspetti, da un secolo a questa

parte, nessuno sembra più tenere conto, né i cittadini, né gli architetti, né

gli urbanisti, né gli amministratori locali. Ci si potrebbe spingere a dire

che, per i concetti spaziali e prospettico-paesaggistici a cui si rifà, la villa

palladiana è da concepire «non tanto come elemento da vedere ma come

luogo dal quale poter osservare uno straordinario paesaggio»3. Per

capire il valore di questa connessione villa-campagna basterebbe

riflettere sul significato stesso di paesaggio, ovvero di territorio che

esprime un’identità derivante «dall'azione di fattori naturali e/o umani e

dalle loro interrelazioni»4. Ma già «Carl Ortwin Sauer [fondatore della

                                                             3Da un’intervista condotta dal programma TV Report (rai 3) all’architetto A. Torsello (puntata del 21 aprile 2013). 

4Definizione di paesaggio data dalla Convenzione Europea del Paesaggio, adottata nel 2000. 

  

7

scuola di Berkeley, che sviluppò i temi della geografia culturale legati al

paesaggio] nel 1925 ragionava di cultural landscape, “paesaggio

culturale”5, per cui il paesaggio-natura è arricchito dalle attività dell’uomo

e dagli esiti che esse inducono».

La villa costituiva il centro organizzativo e simbolico della zona

circostante: dai campi si vedeva la casa del signore e da questa si vedeva

– e si gustava – il paesaggio che la villa stessa aveva creato. Tanto è vero

che del paesaggio rurale non se ne faceva solamente un uso utilitaristico

ma anche estetico: dal porticato della parte nobile il signore poteva

tenere sotto controllo la sua fonte di reddito, e insieme deliziarsi a una

vista che rievocava ambientazioni bucoliche. Non a caso questi stessi

temi venivano continuamente raffigurati nella pittura che aveva come

soggetto le ville, e nelle ville stesse. Così, parallelamente alla creazione di

Vicenza come “mito urbano” si può affiancare l’evocazione di una

campagna veneta come “mito rurale”.

Nel linguaggio della geografia culturale, e nello specifico nella

geografia della percezione, è stato introdotto il concetto di “senso del

luogo”6 ed è proprio quello di cui si può parlare in quest’ambito: le aree

agricole danno senso alla villa a cui appartengono e la villa, nel suo

insieme, conferisce senso del luogo al paesaggio veneto influendo sulla

sfera sentimentale dei suoi abitanti. “Villa” non è dunque un termine che

definisce il solo edificio, bensì coinvolge tutto l’ambiente circostante: una

simbiosi che è perdurata fintanto che il sistema agricolo si è basato sul

principio latifondiario ed è mutata nel momento in cui sono mutate le

esigenze produttive. Se il cambiamento non può essere messo in

discussione, va invece valutato l’atteggiamento con cui si è intervenuti

nell’attuarlo, sabotando questo senso del luogo che è insieme storia,                                                              5 G. Ortalli, Paesaggi: fra trasformazioni e permanenze da “Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto”, a cura di G. Ortalli.  6 La geografa G. Rose parla di senso del luogo in riferimento a « luoghi significativi in quanto punto focale dei sentimenti personali».  

  

8

identità, testimonianza, valore aggiunto. Un nodo cruciale nella

salvaguardia di tale patrimonio sta nel modo di considerarlo: se in molti

casi si è provveduto a una tempestiva ed efficace conservazione del bene

edificio si è però spesso trascurato il suo contesto che, come detto, è

parte integrante della villa e del suo senso. Ville che per secoli avevano

interagito con la campagna si sono viste private del significato della loro

presenza: troviamo recenti strutture addossate alle ville, o strade

principali che intersecano nettamente i parchi, arrivando a poche decine

di metri dall’edificio storico. Al danno si è spesso aggiunta la beffa e

adiacenti alle ville si assiepano oggi esempi di quell’edilizia che

malauguratamente è finita per contrassegnare il nuovo paesaggio veneto:

capannoni industriali e centri commerciali.

Di fronte a simili evidenze di come la conservazione del patrimonio

culturale sia spesso vittima del progresso industriale e degli interessi

economici, di come le forme superficiali del benessere siano del tutto

indifferenti alla Storia e al Bello, diverse autorità si sono schierate, e molti

cittadini, una volta che hanno preso coscienza che sono loro che in

questo territorio vivono e con esso convivono, hanno alzato la loro

protesta. Il senso del luogo riemerge e la popolazione vuole

riappropriarsene, consapevole, vista anche l’attuale crisi economica, che

il benessere, ben diverso dal ben-avere non è frutto di un’ostinata

propensione verso un futuro già non più sostenibile, bensì dal rispetto e

dal recupero di una memoria che è di tutti, e che perciò non possiamo

permetterci di ignorare. Questo perché “l’eredità palladiana stimola

un’orgogliosa autoidentificazione culturale, la cui stabilità è funzionale al

riequilibrio identitario compromesso dall’incipiente modernizzazione”7.

La tesi che si svilupperà nelle prossime pagine parte dunque da

un’evidenza: il Veneto è un territorio attraversato da varie crisi,                                                             

7 F. Vallerani, Il Veneto e le seduzioni palladiane tra senso del luogo e postmoderno in “Il paesaggio palladiano” di D. Cosgrove, Cierre Edizioni Sommacampagna 2004, p. 13.  

  

9

economica, sociale, psicologica ed estetica, l’una concatenata all’altra;

ma anche da segnali di consapevolezza, di rigenerazione, di presa di

posizione da parte di persone che dalla crisi vogliono uscire, non con

mezzi imposti dall’alto, ma recuperando, proteggendo e anche

condividendo con nuove generazioni e nuovi italiani, la propria identità

culturale.

  

10

II. La villa nel paesaggio

«I parchi e i giardini, come natura educata o formata

dall'uomo, collegano l'architettura ai larghi spazi coltivati,

alle colline, ai boschi: segnano il passaggio, attraverso

una progressiva elezione formale, dalla luce diffusa della

natura alla luce cristallizzata nelle nitide superfici e nei

ritmi compositivi delle costruzioni.»

(Giulio Carlo Argan Storia dell’arte italiana, 1979)

II.1 L’evoluzione geostorica

Una cospicua eredità presuppone insieme la responsabilità e il

piacere di farne tesoro e di investire, comprendendo a fondo il valore di

ciò che ci è stato consegnato. La prima cosa da fare per assicurarci di

attuare le più adatte strategie di conservazione (e di valorizzazione) è

capire la genesi, il contesto e i motivi che hanno originato il patrimonio

che oggi stiamo gestendo; e se questo patrimonio consiste nelle ville

palladiane i dati che dobbiamo raccogliere riguardano anzitutto date,

nomi, usi, modi.

Nel paragrafo precedente sono già state fornite alcune generali

coordinate spazio-temporali, inquadrando il fenomeno dell’edificazione

delle ville palladiane in un determinato periodo della Repubblica

veneziana. Dopo essere diventata un impero mercantile e avere basato

per secoli la sua ricchezza sul controllo delle rotte commerciali, all’inizio

  

11

del XV secolo Venezia iniziò ad espandersi nell’entroterra. Questa città,

che sulla sua morfologia di isola lagunare non aveva fondato solo la sua

fortuna ma anche il suo “mito”, impostò una simile metamorfosi per motivi

di vario tipo: anzitutto il controllo delle province interne, che arrivavano

fino alle alpi, le consentiva l’accesso ai valichi montani e le permetteva di

sfruttare le attività produttive specifiche di quelle zone, che andavano

dall’agricoltura e il commercio nelle città venete e a Udine, fino

all’industria degli armamenti a Brescia e Bergamo. Venezia quindi basava

ancora la sua forza sullo Stato da mar, mentre dello Stato da tera si

serviva come fonte di ricchezza indiretta, tanto che lasciò alle province

una relativa autonomia, limitandosi a inserire degli amministratori

giudiziari e militari a supervisionarne condotta e fedeltà alla Serenissima.

Tali equilibri mutarono con l’evolversi dei rapporti tra gli stati

europei e soprattutto a seguito di un evento che sferzò un duro colpo alla

stabilità del governo veneziano. Nel 1509 la Lega di Cambrais, composta

da stati europei ed italiani, sconfisse Venezia nella battaglia di Agnadello,

che comportò la perdita di molti territori dello Stato da tera.

Successivamente i rapporti internazionali si ristabilirono e in una ventina

d’anni Venezia recuperò il suo dominio in terraferma; ma quella battaglia

era rimasta nella memoria e aveva definitivamente messo in discussione

la strategia politica ed economica di Venezia, che si vide costretta a

modificare i sistemi di gestione dei suoi territori. Il primo aggiornamento

fu di tipo difensivo e prevedeva il rinnovamento delle vecchie e superate

fortificazioni medievali delle città che furono rinforzate per respingere

l’avanzata tecnologia della nuova artiglieria. Il secondo, di tipo

economico, prevedeva il dirottamento degli investimenti in ambito

agricolo. Un rinnovamento che fu da principio seguito da ben pochi

patrizi; fu una seconda minaccia a portare alla radicalizzazione del

cambiamento della strategia economica: la potenza turca. Il nuovo

nemico non arrivava più dagli stati dell’Europa o della penisola – nei

confronti dei quali, dopo le ultime controversie, Venezia aveva mantenuto

  

12

un atteggiamento di neutralità – ma da più lontano e, cosa ancor più

grave, andava a minare quell’attività che fino ad allora aveva costituito il

sostentamento di Venezia e il campo in cui aveva sempre mantenuto la

supremazia: il commercio. Fu proprio il nemico d’oltremare a mettere in

discussione l’economia veneziana conquistando nel 1453 l’impero

bizantino, storico partner commerciale della repubblica marinara.

Tutto ciò portò via via a considerare la terraferma non più come

cuscinetto o fonte di reddito eventuale, ma come regione da sfruttare al

meglio per ottenerne una rendita sicura. Fu infatti l’intraprendenza che

aveva sempre contraddistinto i veneziani a proiettare la regione veneta

verso il futuro, cambiandone l’aspetto, l’economia e anche la cultura. La

colonizzazione agì su più versanti: da un lato rafforzando il controllo

fiscale sulle province e intervenendo sull’ambiente con opere di

ingegneria idraulica (per gestire la distribuzione delle acque e bonificare

terreni); d’altro canto si misero in atto una serie di espropri su tutto il

territorio, strappando appezzamenti di terreno ai comuni e ai

possedimenti ecclesiastici. I veneziani si resero conto rapidamente che la

terraferma rappresentava il futuro economico dell’Impero: a seguito

dell’importazione dei metalli dall’America da parte degli spagnoli,

l’innalzamento dei prezzi aveva provocato la crisi degli stati italiani e, alla

luce di ciò, l’investimento più sicuro era quello terriero, non di certo quello

marittimo. Venezia, finora dipendente dall’importazione, mirò così

all’autosufficienza: la terraferma forniva le materie prime, le derrate

alimentari, la manodopera, e una fonte di risorse finanziarie nel caso ce

ne fosse stato bisogno.

Quella che investì la classe nobiliare veneziana non fu solo una

necessità economica ma anche una consapevolezza culturale. Gli

intellettuali dell’epoca e gli stessi protagonisti agenti (queste figure

spesso coincidono) ce ne danno testimonianza. Gli eventi che avevano

destabilizzato alla radice la sicurezza della città, portarono a un processo

di aristocratizzazione dell’èlite, che ne coinvolse la mentalità, la cultura e i

  

13

costumi. Uno dei personaggi più rilevanti fu Pietro Bembo che, dopo aver

vagato per varie corti italiane come Urbino e Mantova, venne a contatto

con la classe colta veneziana “contaminandola” di ideali umanistici. Di

questi valori che nelle corti del cinquecento trovarono un terreno fertile, è

importante verificare l’origine: l’antica civiltà romana. Nel processo di

espansione verso la terra è dunque possibile individuare ragioni più

profonde di quelle economiche, legate a motivi identitari. È qui che si

assiste alla fusione tra esigenze pratiche e culturali, risolta, guarda caso,

anche in campo architettonico. C’era già tutto: una struttura autoctona

chiamata “villa”, di derivazione romano-monastica, che prevedeva il

nucleo edificato in mezzo ai campi della proprietà, composto da un

edificio abitativo e da una parte ad uso lavorativo (granai, deposito degli

attrezzi, fienili, stalle, cantine), entrambi organizzati attorno a una corte; il

tutto protetto da un muro. C’erano poi le delizie veneziane, residenze ad

uso di villeggiatura, dove ci si riposava dagli impegni lagunari, delle

specie di ville suburbane già diffuse in Italia (e, guarda caso, già

dall’antica Roma). Poi ancora, come detto, c’era il ritorno ai valori della

cultura classica a cui i veneziani cominciarono ad affezionarsi proprio

perché si sentivano investiti di quella chiamata a formare un impero,

come già avevano fatto gli antenati latini: ad accomunarli c’erano lo

statuto politico che si appoggiava sul sistema senatoriale e il legame con

Costantinopoli, quanto rimaneva dell’impero romano d’oriente. Tutte

queste coincidenze trovano l’anello di congiunzione in Andrea Palladio. È

Palladio infatti a fondere in un’unica struttura le diverse esigenze della

nuova classe sociale: mantiene l’organizzazione della “villa” rurale, la

adatta alle consuetudini aristocratiche della delizia, il tutto riprendendo e

reinterpretando forme, moduli e soluzioni dell’architettura antica. Se si

analizza un prototipo di villa palladiana lo si vede chiaramente: il corpo

centrale ad uso residenziale si rifà al tempio, gli edifici lavorativi sono

adagiati ai lati in modo funzionale e simmetrico senza formare uno spazio

chiuso ma aprendosi al parco e alla campagna coltivata con una duplice

  

14

funzione, quella di fornire al signore una postazione di controllo sui suoi

possedimenti e insieme un locus amoenus ove trarre spunto per

disquisizioni filosofiche. Certo, Palladio non è da solo a elaborare questa

soluzione: a introdurlo nei circoli intellettuali è Gian Giorgio Trissino,

nobile vicentino che si diletta nelle dottrine umanistiche anche prima che i

veneziani se ne interessino per ristabilire la loro propria identità; Trissino

possedeva già una villa suburbana appena fuori Vicenza e l’aveva anche

adibita a sede dell’Accademia Olimpica da lui fondata, includendovi

anche lo stesso Palladio – evento singolare, non essendo lui all’epoca né

un architetto affermato, né nobile di origini. Trissino, è il primo a intuire e

a coltivare le potenzialità dell’allora scalpellino Andrea di Pietro della

Gondola ma non è l’unico mecenate di Palladio; infatti anche Daniele

Barbaro ha un ruolo importante nella sua formazione, un ruolo che poi si

riflette nelle sue opere. Studioso anch’egli di architettura, invita più volte

Palladio ad accompagnarlo nei suoi viaggi a Roma, così che il giovane

architetto possa imparare ad imitare gli antichi in modo diretto; lo

coinvolge come illustratore nella sua traduzione del De architectura di

Vitruvio e gli commissiona il progetto per la sua stessa villa, a Maser.

L’approccio di Palladio all’architettura romana è dunque letterario, visivo

e culturale, potremmo dire totale.

La proposta dell’architetto è decisiva per ogni sviluppo successivo

dell’architettura mondiale, ed è forse l’unico caso in cui il nome di un

uomo arriva a connotare un territorio, come accade per il “paesaggio

palladiano”.

Se, insieme ai grandi pittori rinascimentali veneziani, lo splendore

del Cinquecento veneto si deve anche alla “invenzione” di Palladio, nei

secoli imitata, la storia recente segna un’inversione di tendenza, le cui

ragioni nascono da nuove esigenze e dinamiche, che hanno modificato

ulteriormente la fisionomia di questo territorio. Non resta che analizzarle.

  

15

II.2 L’avvio della città diffusa

Il fenomeno che ha portato al cambiamento del panorama veneto

ha un nome e un cognome o, per meglio dire, un sostantivo e un

aggettivo: città diffusa. Preoccupante è il dilagare di diversi toponimi che

identificano questa mutazione, tanto che l’impressione è quella che ci

siano più nomi per descrivere questa faccia moderna del Veneto piuttosto

che epiteti designati a descrivere la gloria passata. E quindi a bucolico,

funzionale, armonioso, proporzionato si sono sostituiti i termini

industriale, “villettopoli”, megalopoli, disagio. Non solo, fa riflettere il fatto

che i termini del primato veneto come esempio a cui guardare siano oggi

del tutto diversi da quelli di un tempo. Si parla infatti di modello veneto,

anche in manuali stranieri8, ma all’orgoglio presto si sostituisce la

consapevolezza che questo modello non riguarda più la bellezza bensì

un certo modo di produrre ricchezza. Coloro che a questo sistema

guardano con diffidenza hanno rilevato un cambiamento nei toponimi,

che prima configuravano il paesaggio palladiano come terra di fama e di

pregio, mentre adesso lo indicano come un esempio negativo di

sviluppo.

Di questo fenomeno possono essere individuate la data di inizio e

le cause, sia materiali che psicologiche. Gli studi e le pubblicazioni che

hanno analizzato questo tema si sono moltiplicati negli ultimi decenni; la

speranza è che il numero dei titoli resti sempre inferiore a quello dei

volumi dedicati all’architettura che ha fatto grande questo territorio. Per

una logica ormai collaudata, i momenti di prosperità seguono quelli di

crisi, così come il cosiddetto miracolo economico ha seguito la seconda

guerra mondiale. Ed è proprio in questo periodo (verso la fine degli anni

50) e contesto socio-culturale che si può individuare il germe della

sterzata epocale. Si parla anche di boom economico prendendo in                                                             

8«The ‘modello veneto’ has become as much a paradigm of the sprawling post-industrial landscape […]» da D. Cosgrove, The Palladian Landscape, Leicester, Leicester University Press, 1993, p. 26. 

  

16

prestito il termine dello slang americano, e non caso Eugenio Turri fa

risalire proprio alla potenza americana la causa della trasformazione. A

differenza delle conquiste territoriali e militari delle epoche passate, che

non intaccavano più di tanto la vita quotidiana degli occupati, quella

americana è stata una conquista non dichiarata, subdola e perciò più

efficace. Per questo si può parlare di rivoluzione socio-culturale: il

modello di vita americano ha soppiantato la nostra storia, quasi si

trattasse di un oggetto da riciclare, se non da buttare. Orizzonti di ricerca

più recenti, che Turri ha portato avanti negli ultimi anni prima della sua

scomparsa, riguardano infatti il parallelismo tra ciò che è avvenuto nel

nostro paese sessant’anni fa e la nuova “esportazione della democrazia”

che gli Stati Uniti attuano oggi in paesi come Afghanistan e Iraq9 –

argomento che non ci riguarda ma che supporta efficacemente la sua

tesi. La nuova ricchezza piombata in Italia ha strappato gli abitanti alla

miseria che il conflitto appena conclusosi aveva lasciato dietro di sé, ma

anche alle attività che erano sempre state proprie del luogo, prima fra

tutte l’agricoltura. Così il miracolo italiano, dal nord-ovest della penisola

ha poi preso piede anche nel triveneto, che si guadagnerà così

l’appellativo di “terza Italia”. Le controindicazioni e gli effetti collaterali di

una tale rivoluzione non furono considerati. La disponibilità di denaro e di

suolo edificabile portarono all’allargamento dei centri abitati, ma se

questa estensione non è strutturata secondo un piano regolatore preciso

quella che si va a formare è una maglia insediativa disorganizzata e non

funzionale, una “marmellata” architettonica, per addolcire le parole di

Toscani.

Dalla gerarchica e ordinata organizzazione del brolo ci troviamo

invece di fronte un brodo di elementi senza alcuna sistematizzazione.

L’inglese, lingua del nuovo paradigma culturale, conia un termine molto

preciso, quasi tecnico, per definire il fenomeno urbanistico generato

                                                            9E. Turri, Villa veneta. Agonia di una civiltà, Sommacampagna, Cierre Edizioni,

2002, p.17. 

  

17

dall’espansione capitalistica: urban sprawl, a indicare l’allargarsi,

l’espandersi in modo incontrollato della city. L’espressione, nata per

denominare l’area metropolitana di Los Angeles e di altre città

statunitensi, è stata poi adottata per descrivere il fenomeno sviluppatosi

nelle capitali europee e in Pianura Padana.

Esempio di città diffusa nella zona tra i paesi di Bassano del Grappa e Rosà (Vicenza).

Una regione che Turri non a caso definisce “megalopoli padana”,

considerando tutto il bacino del Po, protagonista della ripresa e della

crescita italiane. Distingue però il caso veneto dagli altri: qui domina la

formula della piccola e media impresa, per quanto possibile autonoma

dallo stato e a conduzione familiare. Fu proprio questa spinta di orgoglio

e speranza a liberare dagli orrori del recente passato. In più, il

decentramento delle attività fu favorito dagli incentivi statali del 1957,

assegnati al Veneto in quanto qualificato come “zona depressa”. Furono

così diversi fattori – gli incentivi, il legame ancora forte con i saperi

artigiani, il policentrismo padano e la comodità del territorio pianeggiante

– a favorire la diffusione capillare ma casuale delle imprese. Ora la

  

18

Regione, consapevole dei disastri fatti, tenta di porvi rimedio,

promuovendo appellativi come “Terzo Veneto”, per indicare iniziative in

cui si presagiscono cambiamenti nella direzione della sostenibilità e

dell’ambientalismo; ma in fondo poco ci si discosta da un tracciato che,

nella sostanza, non si vuole cambiare. Speranze per un concreto

cambiamento erano sorte anche dalle legiferazioni del decennio scorso,

come la Carta di Asiago del 2004 e il PTRC (Documento Preliminare al

Piano Territoriale Regionale di Coordinamento) del 2007, che sono serviti

a stilare una nuova legge urbanistica veneta, nella direzione di una

maggiore tutela del suolo.

Va inoltre rilevato che molte amministrazioni locali non sono

all’oscuro rispetto ai sentimenti della cittadinanza; prova ne è il

documento del 2004 in cui si fa menzione del disagio creato dalla

densificazione. Ma essere a conoscenza del problema non significa, per

molti amministratori, avere il coraggio per risolverlo, e così il consumo di

suolo negli ultimi anni non si è arrestato. Emblematico è il caso di

Vedelago in provincia di Treviso, il comune più scavato d’Italia: la

presenza di materiale ghiaioso appena sotto la superficie ha trasformato il

territorio riempiendolo di enormi buche, e le ruspe si sono spinte fino alle

porte della palladiana villa Emo; a scongiurare il peggio è stato

necessario l’intervento attivo dei cittadini, che si sono battuti affinché il

paesaggio attorno alla villa non fosse toccato – così come dovrebbe

essere stabilito per tutte le ville palladiane. Un’altra conseguenza

dell’assenza di un piano regolatore è stata l’abuso del suolo da parte di

imprenditori, che hanno saturato aree di terreno edificabile con abitazioni

spesso in disarmonia col contesto, e lasciando i lavori incompleti per

esaurimento di denaro. Il più delle volte tali abitazioni sono rimaste sfitte o

invendute; questa speculazione, finalizzata all’arricchimento di pochi, non

tiene conto delle reali esigenze dei molti e, tra le conseguenze, una delle

più grottesche è l’affissione perenne, su questi edifici, di annunci

“vendesi” o “affittasi”.

  

19

Insieme ai motivi materiali che hanno portato alla città diffusa, sono

riconoscibili anche ragioni psicologiche, proprie del cittadino del Veneto

post-bellico e contemporaneo, e capirle è un passaggio importante verso

la proposta di possibili alternative, un atto di responsabilità. Il germe che

nel dopoguerra ha reso sistematico il passaggio dalla proprietà agricola

tramandata di generazione in generazione alla moderna impresa familiare

va ricercato anche nel DNA stesso di questa terra e dei suoi abitanti.

L’odierno assetto urbanistico potrebbe essere una spontanea

conseguenza della frantumazione dei grandi latifondi di un tempo, che

discendono direttamente dal sistema territoriale della villa veneziana. Il

fenomeno di frantumazione è reso evidente dal disseminarsi di tante

piccole realtà che nell’insieme hanno preso il nome di villettopoli. Il

riscatto sociale ed economico dei cittadini veneti nel dopoguerra ha

inoltre portato a una rivalsa dell’immagine dell’individuo: una volta

cambiata la fonte di rendita, che da agricola è diventata artigianale e

industriale, si è manifestata anche la volontà di recuperare una certa

qualità abitativa. Il ritagliarsi un proprio spazio esclusivo indica nel

cittadino veneto sia una propensione a sostituirsi ai signori veneziani, sia

una sorta di rivincita sugli stessi, i siori dei quali un tempo erano

dipendenti e servitori. In queste dinamiche si può leggere la

rivendicazione di una posizione sociale conquistata e da esibire con

orgoglio. Questo è visibilmente testimoniato dalle decorazioni e

dall’assetto che la tipologia moderna della villetta recupera: statue leonine

minacciose e orgogliose sovrastano i cancelli di entrata e un giardino ben

curato (e spesso disseminato di sculture che riproducono la tipica

statuaria classica) circonda la casa. In questo eclettismo povero si può

leggere l’emancipazione da un primitivo e inconscio stato di

subordinazione: si rifiutano le tradizionali attività agricole a favore del

giardino di pura fruizione estetica. Sostituirsi alla nobiltà rinascimentale ha

come primo scopo l’affermazione di un proprio status e di un proprio

spazio privato, ben serrato e isolato, e non certo la preservazione della

  

20

qualità del paesaggio come bene comune. Quindi il paesaggio arcadico

di un tempo ora viene solo ricordato e narrato nostalgicamente, e al suo

posto sono nate molte piccole arcadie private, tutte alla ricerca di una

propria originalità che le distingua dal contesto, ma in fondo tutte uguali

tra loro. A questo proposito suona perentoria la frase di Davide Fiore10,

che in un’intervista afferma: «Quando ogni italiano comprenderà che il

gusto della propria casa, la cura del giardino e la capacità di evitare le

stonature nel privato sono il contorno ideale per valorizzare il nostro

paesaggio e i patrimoni culturali che abbiamo ereditato, solo allora

torneremo ad essere il Belpaese.»11

Se fino alla metà del ‘900 le ville, palladiane e non, e più o meno

volutamente, avevano svolto la funzione di piazza, di centro paesano, con

il recente sviluppo insediativo il baricentro si è spostato. Anche le

tradizionali piazze cittadine rappresentate dalla chiesa e dal campanile

hanno perso il loro scopo aggregativo, forse proprio perché sono

cambiati i valori, lo stile di vita e le divinità da idolatrare; fulcro economico

e sociale, luogo di incontri, scambi ed esperienze, è diventato il centro

commerciale. Turri individua questa centralità nel capannone industriale

che, in questa tesi, assume un ruolo di filo conduttore tra un paese e un

altro, un leitmotiv che accompagna l’automobilista per gran parte delle

strade venete, dalle arterie principali alle vie secondarie. Il luogo dove ora

ci si ritrova la domenica per chiacchierare, passare semplicemente il

tempo, rinfrancarsi dal calore nel periodo estivo e soprattutto spendere

denaro, è il centro commerciale. Se una volta erano i campi a nutrire le

economie locali, ora sono i nuovi centri industriali e commerciali a “far

girare l’economia”. Rispetto al passato, la differenza è evidente: il luogo di

aggregazione che segna l’identità della comunità a cui fa riferimento, si

connota oggi come l’ipermercato, non-luogo, ambiente anonimo,

                                                            10Consulente culturale, storico dell’arte e dei giardini, delegato per l’Ambiente e il

Paesaggio del FAI-Fondo Ambiente di Vicenza. 11Da un’intervista rilasciata a S. Ariot nell’articolo La casa sotto la collina della

rivista Case & Dimore n.13, supplemento del “Giornale di Vicenza”. 

  

21

omologato e omologante del territorio. In questa sede non si intende

mettere in discussione la qualità di questo cambiamento, bensì le

conseguenze che ha avuto: la creazione di nuovi iconemi a scapito di

quelli del passato che, seppur cambiandone finalità d’uso, devono

continuare ad essere tutelati. Spesso invece accade che le ville si trovino

ridotte a icone romantiche e decadenti, fascino dei ruderi dell’antico

sfarzo caduto in abbandono, una visione poetica che in nessun modo

può essere utilizzata come alibi per mancati interventi di tutela. In altri

casi, sono i ricchi industriali a portare a nuova vita una villa antica al solo

scopo di accrescere il proprio prestigio personale, nonostante sia ben più

dispendioso restaurare una villa che costruirsene una.

Un’aura di romanticismo rischiano di assumerla anche certi centri

storici, vera attrazione dell’Italia turistica, destinati a diventare realtà

immobili. In passato, ed è il caso delle città venete, vigeva un rapporto

stretto tra città e campagna, l’una era lo specchio dell’altra; oggi si può

ritrovare una simile connessione, non più nei centri cittadini, che rischiano

di diventare «città relitto, reliquie e imbalsamazioni»12, ma tra la periferia

della stessa città e la campagna trasformata, che finisce per esserne una

mera continuazione. A volte a perdersi è stata la dialettica tra città e

dintorni, soprattutto quando si perdono lo scambio e l’interdipendenza tra

i due e si afferma invece la volontà di sostituirsi, portando a una rivalità tra

le due realtà.

Concludendo, la città diffusa e i suoi elementi sono in parte stati

importati e in parte sono conseguenza di uno sviluppo interno alla

regione; ma perché parlarne così approfonditamente? Che connessione

c’è tra la città diffusa e il tema dell’abbandono che si vuole prendere in

considerazione nelle prossime pagine? L’abbandono è una diretta

conseguenza del disinteresse che ha investito le ville per molto tempo

                                                            12 E. Turri, Città e territorio. Che cosa ha perso, che cosa guadagna la città. I

rischi di un’imbalsamazione. 

  

22

(insieme a molte altre testimonianze del passato) e questo disinteresse è

a sua volta conseguenza e causa della città diffusa. Gli agglomerati

urbani si sono espansi e hanno incorporato le ville venete senza alcun

criterio; un tale degrado deriva da forme incontrollate di espansione

industriale che deve quanto prima essere arginata e, in alcuni casi,

completamente ripensata. La bellezza, oggi compromessa, deve trovare

una nuova esistenza, basata sul riconoscimento, il rispetto e la

valorizzazione.

II.3 Temi e problemi

Un processo di cambiamento ha luogo a partire da una spinta e da

una riflessione, da una spontaneità e da una ponderatezza, e la sua

efficacia si misura a partire dall’equilibrio tra queste sue due forze motrici.

Un esempio, concreto e radicale, di un processo di cambiamento,

proliferato e poi sfuggito di mano, è quanto le ultime generazioni lasciano

al Veneto; un cambiamento misurabile anche a partire dal grande numero

di siti in abbandono, osservabile sul territorio.

Un’indagine etimologica dedicata alle sfumature di significato di

una parola usata comunemente può essere molto illuminante e condurre

fino a una rivalutazione delle mentalità di chi quella parola usa. Si vuole

pertanto proporre un’indagine e un restauro del termine abbandono,

concepito dai più come un dato di fatto, il risultato di qualcosa.

Raccogliendo le definizioni di abbandono13 su diversi dizionari si nota

come alcuni ne riportino un’accezione “statica”, e altri una “dinamica”.

                                                            13Sabatini Coletti, abbandono: Stato derivante dall'essere abbandonato Hoepli, abbandono: Azione e risultato dell'abbandonare. In abbandono,

abbandonato, senza cure. Mettere, porre, lasciare in abbandono, abbandonare, trascurare.

Treccani, abbandono: L’atto, il fatto di abbandonare; l’essere abbandonato; condizione in cui rimane chi o ciò che è stato abbandonato. 

  

23

Alcuni identificano l’abbandono come uno stato, derivante da alcuni fattori

che hanno operato in precedenza, per cui ricorrono a parole come

“stato”, “condizione”, “risultato”; altri nella spiegazione introducono un

fattore di continuità, con l’utilizzo delle parole “azione” e “atto”.

Chiaramente, il diverso modo di pensare il fenomeno influisce sul modo

in cui ci si confronta con esso. Concepire abbandono in modo dinamico,

come processo, consentirebbe di prevedere le cause stesse che portano

a un abbandono inteso come “stato”. Pensare l’abbandono come il

risultato di un processo avvenuto a nostra insaputa, e perciò senza che

noi potessimo porvi alcun rimedio, equivale a un alibi, un’epidemica

logica di deresponsabilizzazione verso un danno di cui invece molti sono

i responsabili. Pensare invece a un abbandono come processo dinamico,

evidente, che si svolge sotto gli occhi di tutti, può essere di vantaggio

nell’anticipare un intervento, nel prevenire stadi di decadimento

irrecuperabili. L’abbandono non va considerato come uno stato

improvviso, bensì come un processo a cui sottende un diffuso

disinteresse. Si inserisce qui il tema della città diffusa: l’abbandono di una

villa non è semplice incuria (intonaci sgretolati, scalinate logore, parchi

inselvatichiti), ma è compromissione della dignità dell’edificio, tradimento

del suo uso e della sua storia, reso palese dall’invasione, in quegli stessi

spazi, dei mostri dell’edilizia industriale. Tale processo di cambiamento

segue una logica di concatenazione: una villa in disuso non genera

imbarazzi rispetto all’espansione urbanistica incontrollata nei suoi

dintorni; ciò avvenuto, nessuno più si porrà il problema di restaurare o

porre l’attenzione su una villa inserita in un contesto di simile degrado.

L’abbandono corrisponde dunque a una durata composta da una serie di

piccole azioni che, nel corso del tempo, hanno generato lo stato attuale;

porre l’attenzione all’abbandono come processo e non come stato

favorirebbe il rispetto dei monumenti in questione ed eviterebbe i tanti

errori che hanno scandito le fasi del cambiamento veneto.

  

24

L’abbandono di una villa comincia già nel momento in cui ci si

sente autorizzati a progettare costruzioni adiacenti, che ne rinnegano

l’esistenza e, soprattutto, il significato. Non si abbandona una villa bensì il

suo significato, il suo senso, che è il senso anche di quegli stessi uomini

che, abbandonando una villa, abbandonano la propria radice culturale,

sperperano la propria eredità, deturpano la loro bellezza.

Per combattere simili processi degenerativi l’atteggiamento più

fruttuoso non è certamente quello della rassegnazione bensì quello che

adotta un medico di fronte a sintomi evidentemente debilitanti. Si può in

effetti ripercorrere l’evoluzione dell’urbanistica occidentale attraverso una

metafora tanto cara alla nostra civiltà, quella della città-organismo:

dall’antichità greca e romana fino al rinascimento la città è stata

sapientemente paragonata a un corpo vivente, e come tale risultava ben

organizzata, funzionante e “sana”. Solo a partire dal periodo illuminista e

poi nel corso dell’ottocento (in crono-coincidenza con le rivoluzioni

industriali) le città mutano in corpi malati e gli urbanisti e gli architetti da

creatori di forme e di bellezze mutano in terapeuti che tentano di arginare

i danni causati dalla malattia degenerativa di un paziente14. Gli effetti della

rivoluzione industriale del dopoguerra in Italia appaiono così come un

forte virus che ha perlopiù scarnificato il territorio; e l’intervento di cura su

tale virus è spesso inefficace se non peggiorativo, o simile a un

accanimento terapeutico su pazienti terminali.

Un vero e proprio caso può essere ricavato dalla notizia, risalente al

mese di marzo 2012, che riferisce di un funzionario all’Istituto Regionale

Ville Venete (IRVV) indagato per aver riscosso mazzette da alcuni

proprietari di ville in cambio di favori legati ai finanziamenti regionali

destinati al mantenimento delle loro proprietà; assieme a lui sono state

iscritte nel registro degli indagati altre persone che pare abbiano preso

                                                            14P. Tosoni, Introduzione: leggere la città diffusa, da “Fuori città, senza

campagna”, a cura di L. Dal Pozzolo, Milano 2002, pp. 19-20. 

  

25

parte al gioco illecito, tra cui un architetto e due proprietari di ville15.

Eventi di questo genere provano come i responsabili del degrado del

patrimonio siano spesso gli stessi a cui viene assegnata la responsabilità

della sua tutela.

I numeri parlano chiaro: 3803 sono le ville catalogate dall’IRVV (più

altre 435 presenti nella regione Friuli-Venezia Giulia, per un totale di

423816); 253 sono quelle dichiarate in «pessimo stato di conservazione»

(di cui 143 non vincolate e 29 vincolate)17.

I proprietari delle ville, quando interpellati, ammettono difficoltà

concrete nella gestione della fortuna che possiedono, che spesso diviene

anche fonte di ingenti spese, come fa notare Antonio Tonci Foscari,

proprietario di villa Foscari.18 Inoltre, Alberto Passi, presidente

dell’Associazione Ville Venete e proprietario di villa Tiepolo Passi ritiene

che, tra le tasse che gravano sugli immobili di pregio, l’Imposta

Municipale Unica ponga in serio pericolo la tutela delle ville, a causa della

grande spesa che i proprietari si trovano a dover sostenere.

Di fronte a tali cifre e considerazioni sorgono spontaneamente

diverse domande sulle responsabilità, sui ruoli di istituti e amministrazioni,

sulle normative e sulle difficoltà che si possono incontrare quando si ha a

che fare con un paziente dalla salute così delicata e compromessa qual è

il territorio veneto.

                                                            15D. Tamiello, A. D’Este, Ville venete, restauri e mazzette, indagini su quindici

pratiche. Il funzionario incassava a domicilio, l'Istituto lo sospende, “Corriere del Veneto”, 16 marzo 2012. 

16 Dati forniti direttamente dal presidente dell’IRVV Giuliana Fontanella. 17 Dati ricavati dall’articolo di A. D’Este, Un patrimonio a rischio «Pochi i restauri

avviati», “Corriere del Veneto”,15 marzo 2012. 18 Articolo di C. De Leo, Ville Venete come la Loira. Un marchio per lanciarle,

“Corriere del Veneto”, 26 ottobre 2012. 

  

26

III. La tutela

Un nodo paradossale della “questione ville venete” riguarda lo

stato attuale delle ville, che contrasta con le giuste e doverose normative

che ormai esistono da anni e che hanno il compito di tutelarle. Di enti

incaricati in questo senso ce ne sono molti, di vario tipo e con diverse

funzioni, e se ne possono delineare le competenze andando dal generale

al particolare, dalla dimensione globale a quella locale.

III.1 l’UNESCO

Adottando questo ordine, la prima organizzazione che si adopera a

tale fine è stata fondata dalle Nazioni Unite delle quali costituisce, per così

dire, il settore culturale: l’UNESCO (United Nations Educational, Scientific

and Cultural Organization) infatti, oltre a finanziare progetti di vario tipo

riguardanti l’educazione, la cultura e l’ambiente, tutela il patrimonio

storico-artistico (e ambientale) mondiale. Lo fa attraverso vari strumenti,

tra i quali il più consueto è l’iscrizione di un determinato bene in una lista,

la World Heritage List; nel momento in cui un’opera con un particolare

(anzi “eccezionale”: outstanding) ruolo di testimonianza umana o naturale

entra a far parte di questo catalogo viene dichiarata patrimonio

dell’umanità. Le modalità con cui opera questo organismo globale sono

articolate, ma basti dire che non interviene direttamente sul bene da

tutelare bensì interviene in sinergia con la nazione ove il bene si trova;

quindi lo statuto dell’UNESCO non va a sostituire quello nazionale, ma lo

integra. Lo stesso concetto di bene culturale che è stato concepito

  

27

proprio in un contesto internazionale19 ci fa riflettere su questo duplice

aspetto del nostro patrimonio: ovvero di bene locale con valore

universale. È vero che la villa veneta esprime un’identità particolare

(dichiarata dal nome stesso), parla di un territorio specifico e rende un

paesaggio culturalmente e turisticamente esclusivo, ma è vero anche che

dal momento in cui le differenze e specificità culturali sono state

riconosciute come valori, la tutela di beni locali come patrimonio

universale, di proprietà di tutta l’umanità, riveste un ruolo importante

nell’educazione e nella cultura, motivo per il quale la tutela internazionale

è necessaria. A richiedere che un sito di particolare valore sia inserito

nella World Heritage List è il governo della stessa nazione a cui il sito

appartiene, e all’UNESCO spetta il compito di valutare e accogliere o

meno tale richiesta. Nel momento in cui il bene è riconosciuto come

patrimonio UNESCO, esso rimane sotto la “responsabilità” locale ma a

questa si aggiunge la supervisione internazionale e la tutela dovrà

conformarsi ai regolamenti globali, tra cui quello di adottare «misure

legali, amministrative e finanziarie appropriate per la protezione,

conservazione e il restauro di tale patrimonio»20. Queste pur essenziali

note relative al tema della tutela del patrimonio culturale bastano a dare

evidenza al problema che si sta trattando: “La città di Vicenza e le ville

palladiane del Veneto”21 sono entrate nella World Heritage List tra il 1994

e il 1996. Le 24 ville incluse non sono né tutte venete, né tutte progettate

da Palladio. Un nucleo ristretto e privilegiato che dovrebbe costituire il

fiore all’occhiello di questa terra e meritare un’attenzione specifica; ma se                                                             

19Termine usato per la prima volta in occasione della Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato all’Aia nel 1954. 

20World Heritage Convention, art. 5. 21 È con questa dicitura che l’UNESCO classifica l’opera di Palladio e di seguito

viene riportata la descrizione che ne fa, in versione breve: « Founded in the 2nd century B.C. in northernItaly, Vicenza prospered under Venetianrule from the early 15th to the end of the 18th century. The work of Andrea Palladio (1508–80), based on a detailed study of classical Roman architecture, gives the city its unique appearance. Palladio's urban buildings, as well as his villas, scattered throughout the Veneto region, had a decisive influence on the development of architecture. His work inspired a distinct architectural style known as Palladian, which spread to England and other European countries, and also to North America.» 

  

28

la maggior parte di queste ville è ben conservata e valorizzata, due di

esse versano invece in uno stato di grave abbandono: si tratta di villa

Forni Cerato a Montecchio Precalcino (VI) e villa Zeno a Cessalto (TV).

Le amministrazioni locali hanno l’obbligo di predisporre misure di

conservazione adeguate al fine di scongiurare il degrado dei beni globali;

e qualunque intervento sui beni protetti va sottoposto al rilascio di

un’autorizzazione UNESCO.

Il problema dei numerosi interventi urbanistici che si sono fatti in

Veneto, indistintamente, senza valutare le zone in cui si operava, non

riguarda solo le due ville citate o quelle decretate patrimonio dell’umanità,

ma tantissime altre ville venete, vittime delle conseguenze della città

diffusa. Se, come è stato detto, il parco e i possedimenti della villa

costituiscono parte integrante del suo esistere, com’è stato possibile che

tante costruzioni si siano addossate a queste proprietà (a volte arrivando

nei pressi della villa stessa)? Com’è possibile che siano state costruite

strade che intersecano di netto il terreno dinnanzi la villa? E tutto ciò ha

contribuito a deturpare il paesaggio nel suo insieme. Al di là dello stato

fisico di conservazione dell’edificio il “pessimo stato” di queste ville è

innegabile. Neanche le ville sotto il controllo internazionale sono state

totalmente graziate dal fenomeno; necessario è allora chiedersi se ciò sia

avvenuto a causa di una noncuranza nelle indicazioni fornite dalla World

Heritage Convention e dalle Operational Guidelines22, o di una

noncuranza da parte dell’amministrazione locale – con una conseguente

disattenzione dell’UNESCO –, o se invece non sia il carattere di

indeterminabilità che contraddistingue l’interpretazione di questi vincoli, o

il fatto che siano stati redatti in epoca più recente rispetto alle

trasformazioni subite dal territorio negli ultimi 60 anni. Qualunque sia la

risposta, va rilevato che, nei primi mesi del 2004, a fermare le macchine

scavatrici che stavano per mettersi in moto alle porte di villa Emo è stata

                                                            22 I testi in cui sono contenuti queste indicazioni, il primo è stato adottato nel

1972, le seconde sono costantemente aggiornate. 

  

29

la mobilitazione dei cittadini di Vedelago e non l’attività diplomatica dei

responsabili della tutela, sia a livello internazionale che locale, i quali,

anzi, aveva già dato la loro approvazione all’avvio dei lavori. Ma c’è una

risposta di carattere normativo al problema della preservazione del

contesto di villa: nella legislazione italiana è denominata vincolo indiretto;

nel linguaggio internazionale è nota come buffer zone (zona cuscinetto).

Queste locuzioni indicano l’estensione del vincolo di tutela a quella zona

adiacente a un edificio già dichiarato bene culturale e come tale tutelato.

Il fine di questo vincolo è quello di salvaguardare il bene sia negli aspetti

di integrità materiale, sia negli aspetti di fruizione e decoro, quindi

preservando le giuste condizioni di luce, prospettiva, visibilità. Per le ville

venete tale vincolo dovrebbe avere un peso anche maggiore, perché il

rispetto della buffer zone non avrebbe solo un valore strumentale, non

sarebbe cioè solo un mezzo per garantire il decoro della villa e la qualità

dell’ambiente, ma andrebbe a tutelare una zona che ha un valore

intrinseco, che non è solo un “cuscinetto” per la villa, ma ne è parte

costitutiva; motivo per cui il termine buffer zone, che mette in primo piano

la zona da tutelare, è preferibile all’espressione vincolo indiretto che,

soprattutto in questo caso, connoterebbe come secondario un elemento

invece di estrema importanza. Molti sono i provvedimenti del genere presi

nel riguardo delle ville, e ne tratteremo più avanti; basti per ora segnalare

che si tratta di iniziative che non sono state messe in atto dall’UNESCO.

Va notato come, anche tra le 24 ville tutelate globalmente, ci si

presentino stati di conservazione ben poco felici; è il caso di alcune ville

inserite totalmente in un contesto urbano edificato quasi di per certo

successivamente e che lascia poco respiro all’edificio – vedi villa Badoer

a Fratta Polesine, villa Gazzotti Grimani in località Bertesina di Vicenza,

villa Thiene a Quinto Vicentino, villa Pisani a Montagnana o la già citata

villa Forni Cerato. In quest’ultimo caso se è stato preservato il brolo

posteriore, la villa però risulta stretta ai lati da abitazioni che forse sono in

parte rimaneggiamenti di vecchi edifici annessi alla villa stessa.

  

30

Mappa UNESCO di villa Forni Cerato col brolo di competenza, sono evidenziate le abitazioni a ridosso dell’edificio storico.

Villa Emo, è facile notare il suo antico contesto intersecato dalla linea ferroviaria.

  

31

Un ulteriore fattore di degrado deriva dal disegno delle nuove reti di

comunicazione, ove spesso si è data maggiore importanza alla comodità

del moderno viaggiare e alla rapidità delle tratte piuttosto che alla

conservazione dell’integrità di un parco; tale è il caso di villa Emo che

vede l’area verde di sua competenza tranciata trasversalmente da una

linea ferroviaria.

Si ritiene fondamentale che, nel rispetto dell’evoluzione storica,

quand’anche negativa, del territorio, un’organizzazione come l’UNESCO

debba adottare misure più decise e pretendere una maggiore

mobilitazione dei responsabili delle ville, impugnando il sistema più

opportuno in casi del genere: quello del discredito23. Nel caso lo Stato

deputato alla tutela del bene, non esegua o esegua con ritardi i

provvedimenti di conservazione, il comitato UNESCO può inserire il bene

nella List of World Heritage in Danger, azione che può portare alla

conseguente esclusione del bene dalla tutela internazionale, nel caso

l’avvertimento non abbia portato a un pronto intervento. Inoltre, tutti gli

Stati custodi di beni UNESCO hanno l’obbligo di redigere e inviare

periodicamente un rapporto sulle misure di protezione adottate e sullo

stato di conservazione dei beni; raccolte tali informazioni, l’UNESCO

valuta la possibilità di sanzionare un paese o di concordare una soluzione

all’eventuale problema. Gli Stati custodi di beni riconosciuti patrimonio

dell’umanità non sono comunque mai lasciati soli; è infatti prevista anche

la possibilità, in casi di bisogno, di richiedere all’UNESCO un’assistenza

tecnica; spetterà al World Heritage Committee verificare l’opportunità di

investire il Fund internazione in quel determinato caso.

Un esempio piuttosto significativo di intervento attivo ed efficace

dell’UNESCO si può verificare controllando i periodici rapporti dello State

                                                            23L. Casini (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Il Mulino/Ricerca, Bologna 2010, p. 57. 

  

32

of Conservation (SOC) redatti dall’organizzazione, che documentano lo

stato di conservazione di vari siti protetti. Paradigmatica è la vicenda

relativa all’autostrada in costruzione a sud di Vicenza, che dovrebbe

collegare la città palladiana alla provincia di Rovigo; si tratta del

prolungamento dell’Autostrada Valdastico-A31 (infatti prende il nome di

Valdastico Sud) ed è un progetto originato negli anni ‘70 e lasciato in

sospeso per trent’anni. Ma dal 2005 il progetto comincia a prendere

concretezza, suscitando la preoccupazione di organizzazioni non

governative che richiamano l’UNESCO ad opportune verifiche in merito

all’ipotesi che tale autostrada possa scorrere a pochi metri dalla

palladiana villa Saraceno ad Agugliaro, opera iscritta nel patrimonio

mondiale.

Villa Saraceno, il centro di Agugliaro e il tracciato dell’autostrada in costruzione.

Il progetto dell’autostrada aveva suscitato polemiche, presto

dimenticate per convenienza politica, che concernevano il suo impatto

ambientale; nel 2004 il World Heritage Centre richiede allo Stato Italiano

una revisione del progetto e precise indicazioni sugli eventuali problemi

  

33

che l’infrastruttura avrebbe potuto provocare al patrimonio architettonico

e paesaggistico. A quel rapporto ne segue un altro nel 2005 dove, oltre ai

fattori di pericolo legati all’estensione autostradale, viene segnalato lo

“sviluppo edilizio incontrollato nella regione Veneto”, esplicita denuncia

dell’uso inappropriato del suolo, abuso che ha caratterizzato la regione

negli ultimi decenni. Da qui, la risposta del Ministero della Cultura italiano

ha previsto una revisione del progetto, con lo scopo di ridurne al

massimo l’impatto sulla villa e sul paesaggio. Si prevedono: lo

spostamento del tracciato stradale a 800 metri dalla villa, la disposizione

di alberi nella trincea in modo da renderla invisibile dal sito architettonico,

lo spostamento del bivio autostradale di Agugliaro a 3000 metri, la

creazione di un parco naturale tra i Colli Berici e le Colline Euganee che

includerebbe la villa, proteggendola; infine il Ministero assicura che il

Comune di Agugliaro possiede già una pianificazione del territorio che

prevede la costruzione di distretti industriali ad almeno 3,2 chilometri di

distanza dal sito tutelato. Gli inviti UNESCO mirano a garantire il controllo

sui terreni intorno alla villa e la tutela del paesaggio, in modo tale da

scongiurare lo sviluppo di nuovi agglomerati urbani (denominati

espressamente, nel testo, come urban sprawl) e industriali che una nuova

tratta autostradale attirerebbe. L’Unesco sollecita inoltre l’invio di un

fascicolo completo del progetto e la preparazione di un piano di gestione

e conservazione delle buffer zones. A questo rapporto segue un botta-e-

risposta con cadenza quasi annuale tra UNESCO e Governo Italiano, nel

2006, 2008, 2009 e 2010, caratterizzato da ripetuti solleciti all’attuazione

dei vari provvedimenti di modifica (la semplificazione di alcune cuciture

con le strade locali, il riassetto del casello, l’abbassamento e/o

l’eliminazione di alcuni cavalcavia e la creazione di aree verdi). In questa

serie di documenti sono da notare l’invito ad estendere la tutela delle

buffer zones anche agli altri edifici interessati dalla costruzione

dell’infrastruttura e – come prima accennato – la dicitura “uncontrolled

development and urban encroachment in the Veneto region”, che

  

34

compare nella relazione del 2009 e rimarca i problemi urbanistici del

territorio. Nell’ultima relazione del SOC si fa cenno a una seconda

segnalazione da parte di associazioni non governative, a denuncia dei

lavori non eseguiti in conformità alle indicazioni UNESCO; la relazione

richiede dunque al ministero italiano l’invio immediato di un dossier

aggiornato sull’avanzamento dei lavori.

Uno degli Organi Consultivi dell’UNESCO – che peraltro ha

collaborato alla stesura delle direttive relative la vicenda qui accennata – è

l’ICOMOS (International Council on Monuments and Sites), al quale è

affidato il preciso ruolo di promuovere la tutela del patrimonio

architettonico e archeologico. È un’organizzazione non governativa

fondata nel 1965, con sede a Parigi, ma la sua struttura prevede anche il

supporto di Comitati nazionali che propongono iniziative da svolgere

nello Stato di loro competenza. Nel novembre 2014 il nostro Paese sarà

al centro del dibattito sulla tutela del patrimonio e del paesaggio dal

momento che proprio in Italia, a Firenze, si terrà l’Assemblea Generale

ICOMOS, dal tema Heritage and Landscapes as Human Values. L’augurio

è che, nel confronto, trovi spazio il tema della tutela delle ville venete.

III.2 La convenzione del Paesaggio e le iniziative europee

Trattata l’organizzazione internazione di carattere globale, è ora

possibile restringere il campo di indagine sulla normativa in materia di

tutela. Come l’ONU chiama a sé gran parte degli stati del mondo, dalla

fine del secondo conflitto mondiale le nazioni del continente europeo

hanno iniziato un processo di aggregazione e omologazione su vari

campi (economico, diplomatico, territoriale, politico…); giungendo nel

1993 alla istituzione dell’Unione Europea, acme provvisorio di un

processo ancora in corso. Principio ideale dell’Unione è il riconoscimento

  

35

di un’identità comune arricchita dalla valorizzazione delle differenze tra i

diversi popoli. Gli ambiti della vita dell’uomo che hanno segnato secoli di

divergenze (politiche, religiose, etniche) vengono ora messi in

comunicazione tra loro in previsione di un futuro sempre più interattivo.

Alla luce di ciò, l’UE ha messo in moto nel corso degli ultimi anni una

solida politica culturale, finanziando gli stati della Comunità, rafforzando

un’idea di cultura come bene comune a tutti gli stati membri, ed

elargendo fondi per promuovere numerosi progetti.

Un importante step nella tutela del paesaggio è stato segnato dalla

sottoscrizione, nell’ottobre del 2000, della Convenzione Europea del

Paesaggio, ratificata da 19 Stati europei. È un documento che mette in

risalto sia il ruolo locale del paesaggio, in quanto utile all’elaborazione

delle singole culture, sia il suo carattere generale, che consolida l’identità

europea. Il paesaggio rappresenta «una componente fondamentale del

patrimonio culturale e naturale dell’Europa»24 e la sua gestione ha come

obiettivo la qualità paesaggistica; perciò la Convenzione fornisce

indicazioni molto chiare sulla sua tutela. Firmando il documento, ogni

Stato si impegna a «integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione

del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale,

agricolo ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere

un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio»25. Queste stesse istruzioni

sono state adottate dai vari enti locali come la Regione e le

Soprintendenze, a integrazione dei loro programmi di pianificazione.

Le ville venete però, oltre a beneficiare della normativa sul

paesaggio, godono anche di un’attenzione particolare da parte dell’UE.

L’AVV (Associazione Ville Venete) infatti dispone di un ufficio a Bruxelles,

presso la sede di rappresentanza della Regione Veneto. Le attività svolte

                                                            24Dalla traduzione del testo ufficiale della Convenzione in inglese e francese

predisposta dal Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Ambientali e Paesaggistici, in occasione della Conferenza Ministeriale di Apertura alla Firma della Convenzione europea del Paesaggio. 

25 Ib. 

  

36

sono in costante collegamento con la Regione e alcune iniziative sono

coordinate con l’Istituto Regionale Ville Venete. Un ufficio di

rappresentanza in una delle città sede delle istituzioni europee garantisce

una comunicazione diretta tra Europa e ville, tra la sede politica europea

e l’Associazione. Grazie alle attività dell’ufficio i soci dell’AVV sono

costantemente informati su bandi e iniziative comunitarie in materia di

Dimore Storiche e Patrimonio Culturale.

Cospicui sono i finanziamenti che l’Unione Europea, attraverso

istituti come la stessa AVV e l’IRVV, elargisce per la valorizzazione delle

ville. Già nel 2005 erano stati stanziati 2,5 milioni di euro che la Regione

ha investito nel recupero e mantenimento di alcune ville. Il sostegno

europeo non si limita all’aspetto economico ma si esprime anche

attraverso iniziative di divulgazione del sapere e delle tradizioni legati alle

ville, convegni di respiro internazionale, mirati al lancio delle ville come

mete di turismo innovativo e sostenibile. È il tema che è stato dibattuto a

Bruxelles il 14 ottobre 2009 alla conferenza “L’Ospitalità Turistica nelle

Grandi Dimore Storiche Europee - Sostenibilità ed Efficienza Energetica”.

La giornata è stata anche l’occasione per ribadire i problemi della

precarietà e dell’abuso del suolo veneto, ora sollevati all’interno di un

dibattito internazionale. Non solo: Fabio Zecchin, responsabile dell’Ufficio

belga dell’AVV, nel suo intervento estende i temi della protezione del

contesto circostante alle ville venete a tutte le Dimore Storiche Europee;

parla infatti di «“paesaggi sensibili” per la loro delicatezza strutturale e per

il loro valore storico e paesistico, geografico e naturalistico, a rischio non

solo di modificazioni vistose dei contesti figurativi anche più prossimi ma

pure di piccole e invasive penetrazioni di variazioni aggiunte, inserimenti,

e iniziative urbanistiche e/o infrastrutturali non meno devastanti. […]

Dunque il patrimonio storico e culturale deve poter godere di una

rigorosa tutela, in quanto esso è un grosso cordone ombelicale che lega

il presente al passato e il futuro al presente, in una parola rappresenta

  

37

l’elemento peculiare e principe dell’identità di un territorio»26. Queste

parole rientrano nell’ottica di una sinergia tra ville venete e architettura

d’oltralpe, evidenziando problematiche comuni si lega la gestione degli

edifici storici in Italia alle iniziative nel resto del Continente. A rafforzare

questo legame interviene ancora Zecchin: «La questione Ville Venete può

costituire l’archetipo della dimora storica italiana ed europea; i problemi

connessi a restauro, apertura al pubblico, gestione, fiscalità, e

conservazione delle Ville Venete si identificano, pur nella diversità delle

tradizioni culturali, nei problemi di tutte le altre Dimore Italiane ed

Europee»27. Un’altra iniziativa, ancora in corso, che vede impegnati la

Regione e l’IRVV, è il progetto europeo CULTEMA (Cultural Territorial

Marketing) che è nato per sviluppare una strategia di mercato condivisa

al fine di incentivare gli investimenti e le collaborazioni tra pubblico e

privato.

III.3 La normativa italiana: la pianificazione urbanistica e il

Codice dei Beni culturali e del Paesaggio

Preambolo imprescindibile a qualunque discussione in merito alla

tutela del patrimonio culturale nazionale è il semplice e illuminante

articolo 9 della Costituzione italiana. «La Repubblica promuove lo

sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio

e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Anche da prima che

l’Assemblea Costituente formulasse l’articolo c’erano leggi a tutela del

“patrimonio” e del “paesaggio” ma invece a questi due termini erano

usati rispettivamente “cose di interesse storico e artistico” e “bellezze

naturali”. L’introduzione della legge tra i principi fondamentali e la

                                                            26 Dal dossier informativo sulla conferenza “L’Ospitalità Turistica nelle Grandi

Dimore Storiche Europee - Sostenibilità ed Efficienza Energetica”, p. 7. 27 Ib, p. 12. 

  

38

riformulazione dei termini da portare nella normativa furono rivoluzionari.

Innanzitutto perché la tutela delle “cose” e delle “bellezze naturali”, prima

di competenza delle regioni, fu messa sotto il diretto controllo della

neonata Repubblica28; in secondo luogo il termine “patrimonio” in

sostituzione al generico “cose” connota le opere tutelate come detentrici

di un valore economico dato dalla loro valenza artistica e storica, e la

sostituzione di “bellezze naturali” con “paesaggio” introduce punti di vista

completamente diversi. Il concetto di “paesaggio” presuppone la

presenza di un osservatore e l’azione del guardare, definisce un punto di

vista e collega una dimensione interna ad una esterna. Parlare di

“paesaggio” vuol dire coinvolgere l’uomo e la sua sfera culturale,

portatrice di valori sia pratici che simbolici, attribuibili all’habitat in cui

l’uomo vive.29 Si è voluta precisare l’importanza di questa innovazione

nella legislazione italiana dal momento che ha rappresentato uno dei

primi passi verso la progressiva riconsiderazione delle ville: non più edifici

isolati ma patrimonio. Ciò ha comportato non solo la rivalutazione del loro

intrinseco valore economico ma anche una nuova consapevolezza: che le

ville possano divenire fonti di reddito.

Anche la pianificazione territoriale ha una storia, e l’urbanista Vezio

De Lucia30, tracciandone i momenti salienti, ne approfitta anche per

analizzarla. Suddivide gli anni, dal dopo guerra ad oggi, in due momenti:

il primo va dal 1947 al 1977 e lo definisce come gli anni della riforma.

Seppur segnati da una grande speculazione che ha trasformato

irrimediabilmente il volto di molti paesaggi sono stati comunque gli anni

della speranza: la neonata Repubblica era trascinata da una tensione

riformatrice che si ripercuoteva anche nel dibattito sull’urbanistica. Il

periodo che va dal 1997 al 2007 lo identifica con la controriforma, ovvero                                                             

28 G. Losavio, Il paesaggio dalla Costituzione al ‘Codice’, da “Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto” a cura di G. Ortalli, Bologna 2010, p. 138. 

29 P. Tosoni, Introduzione:leggere la città diffusa, da “Fuori città, senza campagna”, a cura di L. Dal Pozzolo, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 14-15. 

30V. De Lucia, La crisi della condizione urbana e il decadimento della pianificazione territoriale, da “Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto” a cura di G. Ortalli, Bologna 2010, pp. 85-90. 

  

39

col disinteresse nei confronti di una pianificazione che era qualcosa da

raggirare piuttosto che da seguire. La legge Galasso (n. 431, del

08/08/1985) per la tutela dei beni paesaggistici ed ambientali, fu spesso

ignorata, a causa di cosiddetti provvedimenti urgenti in materia

economica come ben tre condoni edilizi (1985, 1994 e 2003) e altre leggi

in deroga dell’applicazione della disciplina urbanistica. De Lucia individua

proprio nel consumo del suolo, che ha reso difficoltosa e sgradevole la

vita nelle città italiane, da nord a sud, la conseguenza più grave del

malgoverno del territorio. L’aperta critica che solleviamo è mossa anche

dal confronto con la situazione negli altri Stati europei; un tale confronto

ci è utile anche per individuare le cause della crisi italiana. L’urbanista

segnala un’Italia in controtendenza rispetto al resto d’Europa: piuttosto

che puntare sulla riduzione del consumo di suolo e sulla riedificazione in

aree già cementificate, l’urbanistica italiana si muove su un’economia

parassitaria, quella immobiliare e finanziaria, che favorisce i nuovi

investimenti. Il nostro paese presenta quindi uno scenario paradossale, in

cui i progetti pubblici e privati non vengono uniformati al piano regolatore,

bensì è il piano regolatore che viene adeguato ai progetti. Una recente

proposta di legge, per fortuna non approvata, avrebbe peggiorato

ulteriormente la vita nelle città; si tratta del disegno di legge Lupi del

2005, il quale avrebbe determinato la cancellazione degli standard

urbanistici che prevedono una quantità minima di aree verdi e i servizi per

i cittadini. Nello stesso disegno di legge non era previsto che la tutela del

paesaggio si integrasse con la pianificazione, anzi, si sarebbe incentivato

il consumo di suolo. È bene dedicare ampia riflessione sul modo in cui la

pianificazione urbanistica, che ha sempre avuto poco rilievo nel nostro

paese, sia strettamente legata alla tutela del paesaggio e dei beni

culturali. E quanto le vicende degli ultimi anni non sono affatto confortanti,

tanto più è importante sollecitare tutte le istituzioni a uniformarsi alla

tendenza degli altri paesi e far proprie le indicazioni maturate a livello

internazionale. Le istituzioni italiane dovrebbe trarre beneficio anche dalla

  

40

loro propria storia, che presenta, in tal senso, esempi di ordine rigoroso:

Palladio, e con lui molti altri, ha messo in moto un sistema estremamente

razionale di progettazione che contrasta con la sregolatezza dell’attuale

pianificazione. Un’obiezione a questo postulato può appoggiarsi alle

teorie secondo cui il modello economico dell’attuale Veneto non è altro

che la spontanea conseguenza del sistema produttivo della villa

cinquecentesca. Un’interpretazione del genere può essere accettata

perché, come la villa con le sue barchesse (strutture di servizio, ad uso

agricolo, generalmente laterali alla fabbrica centrale della villa) era il

centro propulsore dell’attività agricola, così oggi si può ritrovare il

corrispettivo nel sistema villetta-capannone. Allo stesso modo, la recente

fortuna del Veneto, regione economicamente dinamica e vincente, deve

molto agli interventi territoriali adottati nella politica di terraferma dei tempi

della Serenissima. Queste teorie, per quanto condivisibili, trovano valide

repliche in alcune precisazioni non irrilevanti; se già nella Repubblica si

poteva trovare il prototipo della città diffusa, c’era però una normativa

molto ferrea che regolava le attività imprenditoriali, che andava dal

prelievo di legname all’equilibrio idrogeologico, affinché i vantaggi del

singolo non nuocessero al bene pubblico. La differenza tra il controllo di

allora e la pianificazione di oggi è abissale e visibile nelle sue

conseguenze31.

La tutela dei beni culturali, nello specifico, gode invece di un corpus

normativo solido. L’ultimo e definitivo testo è il Codice dei beni culturali e

del paesaggio, approvato il 22 gennaio del 2004. Il codice, prima di

procedere nel distinguere e descrivere le varie azioni di tutela e

valorizzazione e i vari organi che le attuano, dà una definizione e fornisce

un elenco esemplificativo di beni culturali. All’art. 2, stabilito che «il

patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni                                                             

31 F. Vallerani, Paesaggio postpalladiano tra utilitarismo privato e eticità dei beni comuni, da “Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto”, a cura di G. Ortalli, pp.105-106. 

  

41

paesaggistici», si definiscono beni culturali «le cose immobili e mobili che,

ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico,

archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre

cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze

aventi valore di civiltà». Il comma 4 dell’art. 10 riporta un elenco generale

in cui si trovano «le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse

artistico e storico». Nel momento in cui un bene si attiene a queste

caratteristiche lo Stato avvia un processo, svolto attraverso gli organi

deputati, descritto dagli art. 13 e seguenti, che si risolve nella

dichiarazione di interesse culturale. La dichiarazione ha come scopo

l’imposizione di un vincolo, finalizzato a proteggere il bene. Per una parte

di beni – quelli di proprietà pubblica, o privata senza fini di lucro – esiste il

vincolo ex lege, ovvero essi non necessitano di dichiarazione ma sono già

tutelati, e per confermarne o meno l’interesse si attua un “verifica”; per i

beni di privati con fini di lucro è previsto invece il procedimento di

dichiarazione e la relativa imposizione del vincolo32. Tra le

esemplificazioni dei beni da tutelare il Codice riporta «le architetture rurali

con valore storico o etnoantropologico quali testimonianza dell’economia

rurale tradizionale», a ridare dignità a edifici declassati, di carattere solo

strumentale, come se rurale fosse sinonimo di povero; mentre lascia

invece stupiti l’evidenza di come le ville palladiane siano esempi massimi

di estetica, ricchezza e intellettualismo, ma anche di produttività agricola.

Una sezione del Codice è dedicata alla tutela del paesaggio, che

assume la definizione data dalla Convenzione Europea, alla quale si

conforma esplicitamente nella stesura dell’art. 132. Gli strumenti usati per

salvaguardare il paesaggio sono piani urbanistico-territoriali che

prendono il nome di “piani paesaggistici” e sono elaborati in

concordanza tra Ministero e regioni. La pianificazione ha chiaramente

come scopo l’integrità dei paesaggi e dei suoi elementi di vulnerabilità; in

                                                            32 G. Boldon Zanetti, La fisicità del bello. Tutela e valorizzazione nel codice dei

beni culturali e del paesaggio, Cafoscarina, venezia 2007, pp. 71-86. 

  

42

più si propone «l’analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio» e

di «difesa del suolo». È significativo come questi temi ritornino di

frequente nei programmi di tutela a qualsiasi livello, in risalto lo scarto tra

la Carta, gli strumenti teorici, e le loro rare concrete applicazioni.

Come accennato, anche la normativa italiana prevede la tutela di

una zona che corrisponde alla buffer zone, chiamata vincolo indiretto o

vincolo di completamento. Nell’art. 45 si prevede che lo stato abbia la

facoltà di delineare un’area attorno all’oggetto di tutela e dettare misure

per evitare che sia messa in pericolo l’integrità del bene immobile, nei

suoi aspetti materiali ma anche di luce, prospettiva, ambiente e decoro.33

Data la sua pregnanza con i temi che più ci interessano si tratterà in

seguito del progetto affidato alla Regione in quest’ambito.

In tema di abbandono, e quindi di infrazione del Codice, è utile far

notare che lo stato può prendere provvedimenti decisivi a fronte di casi

critici. Se un privato non adempie alla conservazione di un bene

vincolato, lo Stato ha il diritto di esercitarne l’espropriazione per

«migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni

medesimi», com’è dichiarato nell’art. 95. È perciò ancora più disturbante

dover rilevare le pessime condizioni in cui versano tanti edifici storici.

III.4 Il PTRC della Regione e le Soprintendenze

La Regione ricopre un ruolo importante nella tutela e nella

valorizzazione dei beni culturali. Già la legge Galasso del 1985 assegnava

alle Regioni il compito di redigere i piani territoriali paesaggistici o

urbanistico-territoriali in considerazione dei valori insiti nel paesaggio.

In tema di ville venete, due sono i documenti importanti: uno,

ufficioso e preliminare al seguente, che è invece una normativa ufficiale.

                                                            33 Ib, pp. 131-132. 

  

43

Il primo è la Carta di Asiago-Fondamenti del buon governo del

territorio ed è il risultato di un incontro, avvenuto sull’altopiano vicentino il

2 febbraio del 2004 e delle conseguenti riflessioni degli intellettuali e

studiosi riuniti, rappresentanti delle più varie discipline ed esperienze, tutti

accomunati dalla stessa sensibilità e da un impegno per una

riqualificazione del territorio veneto in una prospettiva di sviluppo

sostenibile. Il documento ha anche visto il contributo di interventi molto

autorevoli con la partecipazione di due grandi studiosi ormai scomparsi:

Mario Rigoni Stern e il già citato Eugenio Turri. Prendendo

concettualmente spunto dai Proti, un corpo di funzionari della Repubblica

veneziana responsabile del controllo di aspetti inerenti alla gestione del

territorio, la Giunta Regionale ha affidato a dei saggi e alle loro riflessioni,

il compito di stilare dei principi fondamentali su cui poi costruire il

secondo documento, quello ufficiale: il PTRC (Piano Territoriale

Regionale di Coordinamento). Lo scritto di Stern è particolarmente

significativo: estraneo al gergo tecnico in uso dagli esperti della

pianificazione, egli ci regala, quale grande uomo di cultura, una lucida

percezione del territorio in cui vive. Una visione dal basso, parlando delle

esperienze concrete di chi usufruisce del sistema di viabilità veneto, e una

visione dall’alto, che sperimenta attraverso le nuove tecnologie.

L’opinione è quella di un osservatore sensibile e attento che riconosce il

cambiamento del luogo attraverso l’antica centuriazione romana della

zona nord-est di Padova, che ora sembra un reticolato di case: «Ma come

sono fitte le abitazioni tra Venezia, Padova e Treviso! Sembrano così

un’unica metropoli».

Già nel 2011 Marino Zorzato, attuale Vicepresidente e responsabile

di pianificazione, urbanistica, paesaggio e beni culturali della Regione, si

pronunciava sulle recenti aggressioni da parte delle grandi infrastrutture

sul patrimonio: «A livello veneto abbiamo un tessuto urbano abbastanza

complesso, che ha privilegiato lo sviluppo all'ambiente. Ora ragioniamo in

  

44

modo diverso»34. Per questo, come accennato, la Direzione Regionale

per i Beni Culturali e Paesaggistici, in collaborazione con l’IRVV, sta

attuando un progetto scrupoloso di individuazione delle buffer zones.

L’accordo stipulato nel 2009, in concomitanza con l’adozione del nuovo

PTRC e l’elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale, è stato

rinnovato dalla Giunta Regionale nel dicembre 2012. Zorzato, nel Bur

(Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto) n. 4 del 15/01/2013,

ammette la mancanza di una tutela completa delle ville. Se gran parte di

queste sono tutelate come beni di interesse storico e artistico, solo una

piccola parte di esse vengono considerate beni paesaggistici. «Si è

ritenuto pertanto necessario intraprendere una collaborazione con

l'Istituto Regionale per le Ville Venete […] al fine di sistematizzare il

quadro delle tutele paesaggistiche inerenti tale sistema e al tempo stesso

valutare le modalità e i termini con cui individuare ulteriori contesti di villa

("buffer zones") diversi dai beni paesaggistici, da sottoporre a specifiche

misure di salvaguardia e di utilizzazione». Il progetto si divide in due fasi:

una analitico-conoscitiva e l’altra a carattere progettuale-operativo.

Questo approccio consentirà di stilare un catalogo dettagliato con le

caratteristiche del territorio e le analisi storico-architettoniche delle ville; a

partire da tale accurato studio si procederà nell’individuare le migliori

strategie di azione, che potrebbero prevedere l’eliminazione dalle zone

cuscinetto degli elementi di degrado e il potenziamento di quelli di pregio

ambientale.

Le Soprintendenze sono gli organi periferici del MIBAC (Ministero

per i Beni e le Attività Culturali) che agiscono a livello locale; sono

responsabili della valutazione per la dichiarazione di interesse culturale

prevista dal Codice. Ogni soprintendenza ha anche il compito di

autorizzare o non interventi sui beni, e la sua competenza si estende

                                                            34 S. D’Ascenzo, Ville venete, 200 in pessimo stato. «Ora Galan ci dia una

mano», dal “Corriere del Veneto”, 27 aprile 2011. 

  

45

all’area circostante qualora ivi fosse in progetto un’opera da eseguire. In

questo caso spetta al Ministero dell’Ambiente la valutazione dell’impatto

ambientale, mentre la Soprintendenza esamina le conseguenze che

l’opera avrebbe sul bene vincolato. I compiti vanno quindi dalla

conservazione alla protezione, fino all’eventuale autorizzazione ad

alienare i beni. Quest’organo, oltre ad autorizzare le operazioni di

conservazione, può anche concedere contributi ministeriali o

agevolazioni fiscali; concorre infine con altri enti alla tutela del paesaggio

accertando la compatibilità paesaggistica di un intervento, elemento

importante considerate le ultime tendenze a sottolineare le logiche

interdipendenze tra paesaggio, beni culturali e pianificazione; legami

molto rilevanti per quanto riguarda le ville venete. Non a caso le

Soprintendenze che si occupano di beni architettonici sono le stesse che

si occupano di quelli paesaggistici35.

III.5 La Provincia e il PTCP

Le Province sono un ulteriore organo istituzionale che ricopre un

ruolo importante nella gestione dei beni culturali. Si segnala qui un

documento pertinente ai temi e problemi legati alle ville venete: il Piano

Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) adottato dalla Provincia

il 20 maggio 2010 e approvato dalla Regione con la delibera del 2 maggio

2012. Il documento rappresenta lo strumento di pianificazione dell’assetto

territoriale della provincia in relazione con il suo sviluppo socio-

economico. Viene redatto tenendo conto delle caratteristiche geologiche,

geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali del

territorio. In particolare, per Vicenza, ci si è proposti di perimetrare i centri

                                                            35 Della tutela delle ville venete si occupano tre sedi di Soprintendenza: quella

per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, quella per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, e infine quella del Friuli-Venezia Giulia. 

  

46

storici, individuare le ville venete e gli edifici di pregio architettonico, le

relative pertinenze e i contesti figurativi. Entrando nel merito del

censimento dei beni architettonici, si è provveduto a dividerli in tre

categorie: 1.le ville venete di interesse provinciale, 2.le ville venete di

particolare interesse provinciale, 3.le ville del Palladio. Per ognuna di

queste sezioni il Piano prevede una specifica trattazione; per l’ultima in

particolare si è tentato di delineare, grazie anche alla collaborazione del

CISA (Centro Internazione Studi di Architettura Andrea Palladio)36, i

contesti figurativi (ambiti territoriali) e i coni visuali, da tutelare. Con

l’ausilio di apparati cartografici e fotografici si sono delimitate le aree di

pertinenza degli edifici col terreno agricolo storico, si sono segnalate

eventuali misure mitigatorie (quinte arboree, mascheramenti) per

eliminare effetti di disturbo, sono anche stati presi in considerazione

vincoli preesistenti e destinazioni urbanistiche non agricole e progetti di

infrastrutture. L’elaborazione di questi dati è utile a disciplinare la nuova

urbanistica e a tutelare l’architettura rurale già esistente, operazioni che il

Piano provinciale svolge in concomitanza col PAT (Piano di Assetto del

Territorio) comunale. L’obiettivo è preservare, se non migliorare, gli attuali

contesti, eliminando, dove possibile, elementi deturpanti e rilasciando

autorizzazioni a costruire solo dopo una valutazione accurata dell’impatto

sul paesaggio. Importante è l’attenzione data ai coni visuali che,

individuando le vedute panoramiche da tutelare estese fino alla prima

quinta architettonica (gli elementi, artificiali o naturali, che delimitano il

contesto figurativo), puntano l’attenzione su quella visione d’insieme da

considerare per salvaguardare la villa in tutti i suoi elementi

caratterizzanti. Purtroppo alle inquadrature fotografiche che riportano le

panoramiche non sono sfuggiti gli iconemi del Veneto odierno, a

conferma dell’andamento urbanistico descritto nel primo capitolo; basti

notare il capannone adiacente villa Saraceno, la cittadella dello sport e il

                                                            36 Il CISA ha allegato al documento le schede descrittive delle 16 ville palladiane

considerate. 

  

47

centro commerciale a pochi passi da villa Caldogno, o i dintorni di villa

Chiericati che soffre della presenza di una zona industriale a 300 metri di

distanza. In questi casi, secondo il PTCP, il comune dovrebbe attuare gli

interventi più opportuni per ripristinare il valore paesaggistico e migliorare

la percezione visiva. Una considerazione da fare riguardo ai coni ottici è

l’unilateralità del loro punto di vista; i coni partono dai più distanti e diversi

punti del contesto figurativo della villa, ma hanno tutti come baricentro la

villa stessa. Il principio con cui sono stati determinati è corretto ma non è

mai stata applicata la regola inversa. Infatti, se venisse considerata anche

l’idea della villa edificata come luogo di vedetta dell’ambiente circostante,

dovrebbero essere tutelate con le stesse modalità sia le vedute

panoramiche dal paesaggio alla villa che, viceversa, dalla villa al

paesaggio.

La scheda dove sono riportati i coni visuali di villa Caldogno. Si è messa in evidenza la veduta panoramica compromessa dalle moderne strutture in costruzione.

Nel 2010 la questione dei coni ottici è stata oggetto di un lungo

dibattito, che contrapponeva la Provincia e il comune di Dueville;

  

48

l’oggetto del contendere era la costruzione di un centro ippico. Il comune

vicentino aveva accolto favorevolmente il progetto dell’imprenditore Elio

Marioni, che vedeva nel polo sportivo una grande risorsa non solo per il

paese, ma anche per la provincia e la regione: si presupponeva infatti la

costruzione di centro ippico d’eccellenza a livello internazionale, che

avrebbe garantito posti di lavoro e attirato centinaia di migliaia di turisti

ogni anno. Ad opporsi al progetto fu il presidente della Provincia Attilio

Schneck, che osservò come l’area di 25 ettari su cui sarebbe stata

costruita la struttura non solo si trovava all’interno del contesto figurativo

di ben due ville, ma avrebbe anche intercettato i coni visuali previsti nella

zona37. Le ville in questione, motivo di pregio per il territorio di Dueville,

sono villa Da Porto Casarotto, del 1770, un edificio in perfetto stile

palladiano dell’architetto Ottone Calderari,e villa Porto Milan Massari,

tradizionalmente attribuita a Palladio stesso. Anche il direttore del CISA è

intervenuto nel dibattito auspicando una destinazione alternativa del

centro38. In questo caso, come mostrano le foto aeree dei coni ottici

considerati, fu tenuto presente anche il punto di vista che parte dalle ville

e si pone verso la campagna. Successive al rifiuto dell’amministrazione

provinciale, seguirono varie richieste da parte del comune di apertura di

un dialogo al fine di convergere in un punto di incontro; dal canto suo il

finanziatore privato, che si era dichiarato oltraggiato da un’ottusa

burocrazia, presentò ricorso al Tar: «Mi stupisce la mancanza di buon

senso di coloro che continuano imperterriti ad ostacolarmi […]

appigliandosi a provvedimenti effimeri»39. La prima argomentazione che

venne portata a favore della costruzione del centro ippico era la notevole

distanza dalle ville, circa 1200 metri, mentre per legge l’area da tutelare

varierebbe dai 300 ai 500 metri. Inoltre, sostenendo che il complesso non

                                                            37 M. Billo, Schneck: «Via il centro ippico», da “Il Giornale di Vicenza”, 15 agosto

2010. 38 M. Billo, Centro ippico. Nessun danno alle due ville, da “Il Giornale di Vicenza”,

18 agosto 2010. 39 M. Billo, Centro ippico. Marioni non molla e ricorre al Tar, da “Il Giornale di

Vicenza”, 19 dicembre 2010. 

  

49

avrebbe disturbato i coni ottici, le parti a favore della costruzione chiesero

un ridimensionamento del vincolo, e una valutazione caso-per-caso degli

interventi, al fine di non pregiudicare nuovi progetti.

Veduta aerea del progetto del centro ippico, sono segnate anche le ville con i rispettivi coni ottici.

La questione pare essersi conclusa con lo spostamento dei lavori

sull’area di un comune poco lontano da Dueville; Caldogno, che ospita

l’omonima villa, disporrebbe infatti di un terreno adatto, ben distante dal

contesto figurativo dell’ edificio palladiano. Anche in questo comune,a

seguito della presentazione di un piano d’azione, si sono scatenate

polemiche tra favorevoli e contrari al progetto; la questione è tuttora

dibattuta troverà responso solo in futuro. È curioso però come, anche in

questo caso, la villa palladiana sia stata al centro del dibattito. È di pochi

giorni fa, settembre 2013, la notizia che il sindaco di Caldogno sia stato

contattato da un mediatore immobiliare con la richiesta, per conto di un

facoltoso cliente americano, di acquistare villa Caldogno, sede oggi della

biblioteca comunale. L’interesse del miliardario d’oltreoceano, non era

rivolto solo alla proprietà di un edificio storico di altissimo pregio, ma

  

50

anche del relativo parco: grande appassionato di cavalli, il potenziale

compratore aveva visto villa Caldogno un ottimo spazio per i suoi animali,

vicino tra l’altro al previsto centro equestre internazionale40.

Si sono volute qui illustrare le varie istituzioni, normative, ambiti di

tutela e descrivere come operano nell’ambito delle ville venete, al fine di

fornire una sintesi di un sistema complesso, a volte difficile da inquadrare,

ma che concorre a un unico obiettivo. Le forze in gioco sono tante e ci si

augura che ognuna di queste, con i propri doveri e competenze, e

cooperando con le altre, possa fornire il proprio contributo alla

valorizzazione dell’eredità veneta. I problemi da affrontare sono di varia

natura: alcuni derivano dalla sconsiderata gestione del patrimonio attuata

nel XX secolo, altri sono interni alle strategie della stessa tutela, a volte

macchinosa e inefficiente. È importante fare tesoro e corretto uso dei

mezzi di conservazione già disponibili. L’ex presidente dell’IRVV, Nadia

Qualarsa, ha rilevato come causa del degrado di molte dimore la

mancanza del vincolo storico: infatti solo il 45,3% degli edifici censiti

dall’Istituto vi sono sottoposti. La considerazione è esatta, ma i fatti

conducono ad altri ragionamenti: se a versare in un grave stato di

abbandono è la plurivincolata villa Forni Cerato (che sarà trattata in modo

specifico nel prossimo capitolo) i problemi sono forse da individuare

(anche) altrove. Sono necessari interventi di maggiore decisione ed

efficacia sulla tutela dei beni di particolare pregio, in modo da stabilire

modelli di intervento e una guida alle operazioni di valorizzazione che

possa estendersi a tutti gli altri beni catalogati.

                                                            40 G. Armeni, Miliardario americano lancia l’offerta: «Compro la Villa del Palladio»,

da “Il Giornale di Vicenza”, 15 settembre 2013. 

  

51

III.6 Gli istituti

Non solo scarso rispetto per il paesaggio e disinteresse per i beni

culturali; Il XX secolo ha portato anche alla nascita di associazioni

finalizzate alla loro salvaguardia. Questi istituti, nazioni e locali, si

sviluppano dunque attorno alla constatazione di quanto il territorio abbia

subito, negli ultimi decenni, vertiginosi cambiamenti; un allarme scattato

negli anni ‘50 quando, a seguito del progresso economico, si avviò una

completa ristrutturazione dell’immagine del paese. Segnaliamo qui

quattro importanti associazioni che si occupano della protezione del

patrimonio artistico: due di livello nazionale, che quindi includono nel loro

raggio d’azione beni culturali e naturali di tutta Italia; e due locali, che si

adoperano per la tutela delle ville venete.

Italia Nostra è il primo istituto dedicato alla tutela del paesaggio e ai

beni culturali: nasce a Roma negli anni ’50, a seguito dell’opposizione di

alcuni letterati, storici dell’arte e urbanisti allo ‘sventramento’ di una zona

della città. Da un gruppo limitato, unito nel fine di salvare un pezzo della

Capitale, cresce l’Associazione e espande il suo raggio di sorveglianza e

azione a tutta la penisola. Firmatari dell’atto costitutivo sono Umberto

Zanotti Bianco, Pietro Paolo Trompeo, Giorgio Bassani, Desideria Pasolini

dall’Onda, Luigi Magnani, Hubert Howard ed Elena Croce, figlia del

filosofo Benedetto Croce. Nei decenni di attività di volontariato culturale,

Italia Nostra, diventata ONLUS, si è impegnata a diffondere «la “cultura

della conservazione” del paesaggio urbano e rurale, del carattere

ambientale delle città41». L’associazione si occupa sia di beni culturali che

di beni ambientali – indisgiungibili, come abbiamo visto – e in particolare

svolge un’azione di controllo scongiurando abbandoni e alterazioni di

centri storici, monumenti, parchi nazionali, mari, isole, ecc.

L’associazione, oltre a svolgere una funzione di supervisione e                                                             

41 Dal sito internet di Italia Nostra.  

  

52

salvataggio di monumenti in abbandono o degrado, promuove e propone

lo sviluppo di nuovi assetti in ambito legislativo, energetico, educativo;

gestisce aree naturalistiche e archeologiche; contribuisce al restauro di

beni culturali in tutta Italia. Italia Nostra conta oggi più di 200 sezioni

sparse in tutto il Paese, ed è riconosciuta all’estero, operando in sinergia

con la fondazione Europa Nostra e il BEE (Bureau Europeen de

l’Environnement).

Scopo e missione simili sono quelli del FAI (Fondo Ambiente

Italiano), che nasce nel 1975, ancora una volta da un’idea di Elena Croce

e sul modello della National Trust inglese, ovvero prefiggendosi l’obiettivo

di proteggere l’eredità storica e naturale della nazione. A questo scopo, il

metodo più efficace implica l’acquisizione dei beni che si intendono

tutelare e una loro gestione competente, che li valorizzi e li renda fruibili al

pubblico. Ad oggi il FAI può vantare di aver restituito decoro a 48 beni,

dei quali 25 regolarmente aperti al pubblico. L’associazione riassume i

suoi principi d’azione in tre punti: tutelare e valorizzare, educare e

sensibilizzare, vigilare e intervenire. È dotata di una divisione

internazionale in collegamento con altre associazioni culturali europee e

una rete di 116 delegazioni in tutta la penisola, a mantenere un contatto

vigile e costante con ogni singola realtà, ogni singolo cittadino. Il FAI è

infatti molto attivo nella promozione di iniziative che coinvolgono le

cittadinanze, riuscendo così a ottenere ampia visibilità e ascolto, e a

conseguire risultati concreti. Come negli anni scorsi, anche nel 2013, dal

7 al 27 ottobre, ha luogo la campagna di raccolta fondi “Ricordati di

salvare l’Italia”; lo spot radiofonico, di forte impatto, esprime il messaggio

che il FAI vuole portare alla coscienza dei cittadini: «In Italia i nostri figli

rischiano di non vedere più la bellezza di questi paesaggi per colpa

dell’abbandono della terra, di abusi ambientali, consumo di suolo,

cementificazione, indifferenza. […] La bellezza dell’Italia è un diritto dei

nostri figli». In poche battute si condensano tutti i problemi che

  

53

incombono anche sulle ville venete: l’urgenza di trovare soluzioni per

garantire un futuro ai beni culturali e il decoro ai paesaggi. Il messaggio

trasmesso attraverso la pubblicità è molto efficace: mette in risalto come

gli errori di ieri e di oggi in ambito urbanistico e di utilizzo del suolo

possano compromettere la qualità della vita dei cittadini di domani.

Un’altra iniziativa, biennale a partire dal 2003, è il censimento “I luoghi del

cuore”. Ogni cittadino può segnalare il bene culturale o naturale a cui è

legato e che necessita di tutela. Anche in questo caso la validità della

proposta è legata al coinvolgimento diretto e alla sensibilizzazione della

popolazione; implica, in più, una partecipazione, concreta ed emotiva, al

tema del paesaggio e dei beni culturali abbandonati o mal gestiti. Il

grande successo ottenuto negli anni da questo censimento ha fatto

riemergere con forza nella popolazione il senso del luogo. Ognuno ha

percezione del territorio e ognuno prova un disagio a seguito di

mutamenti del paesaggio che rischiano di diventare irrecuperabili: trova

concretezza così, attraverso lo strumento del FAI, un bisogno di

denunciare la propria condizione di disagio. Il FAI sollecita dunque le

istituzioni a provvedere a interventi conservativi per quei beni che hanno

ricevuto più segnalazioni da parte dei cittadini. Le ville venete, che non

sono risultate tra le emergenze più “votate”, sono comunque state

oggetto di numerose segnalazioni da parte dei partecipanti al progetto.

Nella lista dei luoghi del cuore dell’ultimo censimento 2012 troviamo villa

Rubini, visibile dall’uscita Vicenza-est dell’autostrada A4 (e quindi molto

vicina alla snodo viario), villa Pullè a Verona, ridotta quasi a un rudere, la

villa abbandonata Ca’ Barbaro a Baone (PD), villa Serego detta Corte

Grande a Veronella (VR) le cui barchesse furono progettate dal Palladio e

che si trova al 19° posto per segnalazioni, e la villa Forni Cerato sita a

Montecchio Precalcino (VI), della quale si tratterà in modo dettagliato nel

prossimo capitolo, e la cui condizione di abbandono è stata per chi scrive

il principale movente di tutta la sua indagine.

  

54

Oltre alle associazioni nazionali, a garanzia della tutela delle ville

venete sono nati negli anni svariati enti locali, cui si è già accennato.

L’Istituto Regionale Ville Venete è erede di un precedente organismo,

l’Ente per le Ville Venete (IRVV). La fondazione si deve a una grande

personalità del ‘900, Giuseppe “Bepi” Mazzotti. Trevigiano, nato nel 1907,

interrompe gli studi ingegneristici all’università per dedicarsi all’attività

artistica, dapprima praticandola con modesti risultati, e successivamente

dedicandosi alla teoria e alla ricerca storica. Si immerge così nelle attività

culturali del territorio, curando mostre nella sua città e pubblicando

critiche, saggi, articoli, approfondimenti. Così come segnano i volti delle

città e del paesaggio, le conseguenze della seconda guerra mondiale

segnano vita, passione e professione di Mazzotti che, nel 1952 a Treviso,

promuove la Mostra della ricostruzione, un omaggio fotografico a coloro

che si erano battuti nell’impresa; si trovano anche diversi scatti dedicati

alle ville. L’esposizione di Treviso – che segna solo l’inizio della

circolazione delle fotografie, che viaggeranno in varie capitali europee – è

una prima presa di coscienza del patrimonio artistico della regione,

impreziosita anche dalle non comuni capacità di fotografo di Mazzotti.

Dopo la pubblicazione nel ’57 del volume Ville Venete, un’opinione

pubblica sufficientemente sensibilizzata alla salvaguardia dei beni

culturali spinge Stato, entri pubblici e privati a unire le forze per garantire

la tutela di un patrimonio che rischia di andare perduto. Viene così istituito

nel 1958 l’Ente per le Ville Venete con la legge di tutela n. 243/1958. Da

iniziative di Bepi Mazzotti, scomparso nel 1981, nascono anche la

Fondazione Mazzotti per la civiltà veneta che conserva l’enorme

documentazione letteraria e fotografica lasciataci dall’autore, promuove la

divulgazione scientifica e organizza convegni e seminari; e un premio

letterario a lui dedicato con il quale vengono valorizzate pubblicazioni che

spaziano dai temi della cultura, civiltà e ambiente veneti a quelli sul

paesaggio e l’ecologia. Fin dalla sua fondazione, L’Ente per le Ville

Venete funge da consorzio tra le Amministrazioni Provinciali per il Turismo

  

55

delle province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Verona,

Venezia e Vicenza e gli vengono affidati compiti specifici di tutela

attraverso interventi economici e di competenza come l’espropriazione e

la salvaguardia, attuabili grazie alla presenza, nel Consiglio di

amministrazione dell’Ente, di alcuni soprintendenti.

Il passaggio da Ente per le Ville Venete a Istituto Regionale Ville

Venete avviene nel 1979 da un accordo tra le regioni Veneto e Friuli

Venezia Giulia, con le quali l’Istituto coopera per continuare a promuovere

la conoscenza delle ville e proporne un migliore utilizzo; inoltre, l’Ente ora

Istituto gestisce le ville di cui è direttamente proprietaria la Regione.

Come già indicato, l’istituto opera 1. affiancando i privati negli interventi di

manutenzione, 2. istituendo bandi di finanziamento per contribuire a

interventi conservativi, 3. svolgendo attività di catalogazione, non solo

delle ville ma anche degli elementi artistici contenuti in esse, ad esempio

gli affreschi, 4. elaborando strategie per il turismo accessibile e

sostenibile, per il risparmio energetico, per restauri efficienti e

valorizzazione del paesaggio. In più è un ente costantemente aperto a

nuovi contatti, come quello con le scuole, per la sensibilizzazione dei

giovani, e con gli organi europei, aderendo a progetti internazionali.

Quello a cui punta l’Istituto è la qualità di un modello culturale e insieme

turistico. La cultura della villa veneta, prima ancora di essere trasmessa al

turista va restituita all’abitante della regione, come suggeriscono le parole

del presidente Fontanella: «C'è bisogno di un Rinascimento, immaginare

percorsi per far conoscere a noi veneti cosa abbiamo intorno»42.

Insieme al passaggio dall’Ente all’Istituto, il 1979 vede anche la

fondazione dell’Associazione Ville Venete (AVV), che nasce come

supporto tecnico ai proprietari di ville, per fornire costantemente

aggiornamenti in materia legale, tributaria e procedurale e per accedere

                                                            42 S. D’Ascenzo, Ville venete, 200 in pessimo stato. «Ora Galan ci dia una mano»,

dal “Corriere del Veneto”, 27 aprile 2011. 

  

56

alle agevolazioni fiscali, ai mutui e contributi erogati dagli enti pubblici o

dagli istituti di credito. Inoltre, l’AVV affianca Mazzotti nella stesura dello

statuto e delle regole di istituzione e funzionamento dell’IRVV e

contribuisce all’approvazione di leggi per il finanziamento di restauri e

recuperi delle ville. La partecipazione di proprietari di ville come

presidenti o membri del Comitato di Amministrazione ha il vantaggio di

agevolare una più corretta valutazione, dall’interno, dei problemi connessi

alla gestione di tale patrimonio, la collaborazione con enti statali favorisce

il dialogo tra le parti, evita l’imposizione dall’alto delle normative,

favorendo piuttosto scelte condivise. Nel corso degli anni vi hanno aderito

un gran numero di soci: simpatizzanti e chiunque, individuo o

associazione, nutra un interesse concreto verso la valorizzazione delle

ville. Per la divulgazione e la formazione promuove pubblicazioni e

istituisce concorsi con le scuole. È molto attiva in ambito internazionale:

non solo, come riportato in precedenza, ha aperto nel 2001 una sede di

rappresentanza a Bruxelles, ma da decenni partecipa e organizza

convegni internazionali tra associazioni che riuniscono proprietari di

dimore storiche in tutta Europa. Si adopera per creare un circuito tra le

varie ville in modo da fornire sia un modello unitario di qualità che

risposte adeguate alla richiesta turistica che costituisce, nonostante la

crisi, una risorsa per l’economia veneta. L’AVV ha inoltre fornito un

contributo importante con la redazione della Carta dei servizi delle ville

venete, nella quale sono stabiliti standard minimi di qualità, principi che

regolano la presentazione delle ville e del loro contesto come “prodotto”

turistico omogeneo ed efficiente. L’attuale presidente, Alberto Passi, in

occasione del Festival delle ville venete ha proposto soluzioni molto

semplici e immediate per una migliore valorizzazione, misure che

porterebbero a una diversa percezione, sia fisica che psicologica, delle

ville da parte dei cittadini che vivono nelle loro vicinanze. Invita infatti i

proprietari ad aprire almeno occasionalmente le ville normalmente chiuse,

ritenendo importante il contatto tra l’edificio che ha segnato la storia di un

  

57

luogo e la comunità che oggi lo abita. Passi fa inoltre notare come,

sintomo di scarso interesse, la segnaletica stradale manchi spesso di

indicazioni dedicate alle ville; un’annotazione pratica, una mancanza

facilmente colmabile, che garantirebbe facilmente una fruizione più

agevole.

Come illustrato, i requisiti per un giusto impiego delle risorse, per

una gestione condivisa tra pubblico e privato e per la creazione di un

sistema turistico di alto livello ci sono tutti. È ben strutturata una gestione

che prevede la suddivisione delle competenze ma soprattutto la

cooperazione di tutti gli organismi, da quelli internazionali a quelli locali;

ma è fondamentale intensificare le sollecitazioni rivolte agli organi

amministrativi affinché intervengano più precocemente ed efficacemente:

al giorno d’oggi ci si dovrebbe occupare di manutenzione e

valorizzazione, non più di abbandono e recupero.

III.7 Verso una nuova sensibilità

Accanto alla segnalazione dei casi critici, alle paradossali situazioni

di degrado in cui versano beni tutelati da svariate istituzioni, è importante

avere segnalato, in questa tesi, l’esistenza di strumenti che si sono

dimostrati efficaci al fine della tutela del patrimonio delle ville venete. Si è

notato come una strategia vincente consista nello stimolare l’opinione

pubblica, la cittadinanza, attorno a un tema come quello della

salvaguardia del proprio spazio vitale, storico, identitario; un tema che

interessa tutti e impone alle istituzioni una presa di posizione.

Molte sono le ville coinvolte in iniziative di varia entità. Le feste

private, come ricevimenti aziendali o pranzi matrimoniali in villa,

riscuotono negli ultimi tempi grande successo; nonostante si tratti di

  

58

location con affitti ben più onerosi di quelli richiesti per le tradizionali sedi

di ristorazione, e nonostante la crisi economica di questi ultimi anni, molti

ancora concedono a se stessi e ai loro ospiti il prestigio di un evento in

un contesto di forte impatto estetico ed emotivo. Se per alcuni aspetti un

tale uso delle ville – come oggetto da esibire e non soggetto di

valorizzazione – può essere ritenuto inappropriato, per altri aspetti in tale

uso si può riconoscere un ritorno alla funzione che le ville hanno sempre

avuto: di dimore adibite al lusso e a un’alta qualità di vita.

Il caso di Villa Angarano a Bassano del Grappa, in parte palladiana

e per questo tutelata come Patrimonio dell’Umanità, è stato al centro di un

ampio dibattito. Nel corso del 2013 il brolo della villa, per molto tempo

rimasto incolto, è stato riadattato in un campo da golf. Gli oppositori al

progetto ritenevano questa nuova destinazione d’uso un’opera di forte

impatto e un tradimento rispetto all’uso storico di quel terreno; i

favorevoli, tra cui lo stesso IRVV43, ritenevano si trattasse di un’occasione

per ridare decoro a una zona non sfruttata attraverso un’operazione

all’avanguardia, destinata a portare turismo, e di impatto pressoché nullo.

Gli edifici storici veneti sono oggetto di importanti proposte di

investimento, la cui fattibilità viene spesso compromessa dalle pesanti

imposte fiscali previste. Viene descritto come un «grido di dolore»44 quello

di Guidalberto di Canossa, proprietario dell’omonima villa e

vicepresidente dell’AVV, che denuncia il peso di tali oneri, anche alla luce

dell’azzeramento delle agevolazioni economiche sulle dimore storiche.

«Con la nuova Tares [Tassa Rifiuti e Servizi] paghiamo l’immondizia quanto

un intero paese, senza agevolazioni sarà morte lenta»45, lamentano i

proprietari. Il presidente dell’IRVV Giuliana Fontanella si è unita alla causa

sostenendo che, dal momento in cui una villa viene aperta al pubblico,

diventa un museo e come tale deve essere considerata dal punto di vista                                                             

43 L. Parolin, Istituto ville venete, «Il campo da golf un bel progetto», da “Il Giornale di Vicenza”, 21 agosto 2013. 

44 R. Bassan, Festival ville venete rovinato dal fisco «Così ci uccide», da “Il Giornale di Vicenza”, 12 settembre 2013. 

45 Ib. 

  

59

fiscale46. Queste dichiarazioni sono prova della disponibilità di molti

proprietari a mettere il proprio patrimonio a disposizione della collettività e

a farlo così divenire bene comune. Ma a questa loro prova di sensibilità –

una sensibilità del resto vantaggiosa, sostenuta dalla concreta eventualità

di agevolazioni fiscali – non corrisponde un altrettanto lungimirante

connubio tra sensibilità storica e agevolazione economica da parte degli

enti che potrebbero supportare tali buoni propositi. A suffragare l’ipotesi

di una tale collaborazione vantaggiosa tra i privati e le istituzioni ci sono i

dati effettivi dell’apporto economico del turismo in Veneto; è lo stesso

Marino Zorzato, Vicepresidente della Regione, a comunicare che gli

stranieri che vengono a visitare i siti della regione spendono circa 5

miliardi di euro all’anno.47

L’immagine delle ville venete può essere rilanciata, come un brand,

sul modello dei castelli della Loira francesi. Utilizzando i fondi stanziati

dalla Regione, offrendo servizi come pacchetti di viaggio, e seguendo la

Carta dei Servizi, l’obiettivo è di offrire un turismo culturale di qualità, dove

alla visita guidata alle dimore si affianca la possibilità di alloggiare e

degustare i cibi e i vini rinomati che la zona offre48.

Insieme al recupero di una sensibilità sia artistica che

imprenditoriale da parte delle istituzioni, dei proprietari e degli istituti, è

necessario che un progetto di valorizzazione delle ville coinvolga con

forza anche la popolazione. Ottimo esempio è quello dei cittadini di

Vedelago, che hanno reagito attivamente a una situazione critica (vedi

cap. II, paragrafo 2); l’obiettivo è però quello di prevenire simili situazioni

di emergenza.

Facciamo nostro il pensiero di Pier Paolo Pasolini, che già nel 1974

con il film-documentario La forma della città, denunciava il proliferare di

corpi estranei, edifici moderni che andavano a contrastare con il senso e

                                                            46 Ib. 47 Ib. 48 C. De Leo, Ville Venete come la Loira. Un marchio per rilanciarle, da “Il

Corriere del Veneto”, 26 ottobre 2012. 

  

60

la forma di paesi ed edifici storici. Il poeta-regista, da sempre legato a

un’idea di tradizione proletaria come origine della rivoluzione, invita a

tornare a lasciarsi affascinare dalla storia dei monumenti, anche dai più

umili, per capirne il valore e mobilitarsi a proteggerli quali rappresentanti

del nostro stesso valore. Le osservazioni di Pasolini attorno alla città di

Orte (VT) valgono anche per le città e le ville venete; nel suo approccio

l’artista sembra anticipare i tempi, affrontando in modo attualissimo il

tema dell’integrità del paesaggio, minacciata dal progresso. Suonano

preveggenti le sue parole, per come ritornano puntuali nei principi sui cui

è stata istituita la definizione di paesaggio, dalla relativa Convenzione: «Il

problema della forma della città [fattori umani…] e il problema della

salvezza della natura […fattori naturali…] che circonda la città, sono un

problema unico. La forma della città si manifesta, appare, si rivela, se

confrontata con un fondale naturale […e dalle loro interrelazioni]». Appare

ancora provocatorio, oggi, quanto Pasolini sosteneva, cioè che

testimonianze della vita povera, rustica, contadina, abbiano lo stesso

diritto dei grandi monumenti a essere salvaguardate; trent’anni dopo le

parole di Pasolini, a necessitare di tutela sono ora tutte le forme di

tradizione, anche quelle rappresentate da opere importanti come le ville

venete.

Pasolini non è l’unico intellettuale che con l’arte ha sostenuto una

simile visione della Bellezza e della Storia; strenuo difensore delle ville

venete, lo scrittore Giovanni Comisso parla di un Veneto antico e

romanticamente seducente, di un legame tra villa e colle, di una cultura

rurale che ha formato l’identità veneta49. Altro importante testimone è

Andrea Zanzotto, uno dei più illustri poeti del secondo ‘900, recentemente

scomparso. Vissuto nella provincia di Treviso, ha dedicato molti scritti e

pensieri al tema del paesaggio veneto come opera d’arte, facendo presa

sull’affettività nei confronti dei luoghi. È ancora una volta il senso del

luogo, di cui si è parlato a più riprese, a costituire il motore emotivo che,

                                                            49 G. Comisso, Veneto felice, Milano, Longanesi, 1984, pp. 176-177. 

  

61

insieme a quello culturale-conoscitivo, porta a una piena consapevolezza

del luogo in cui si vive.

La rubrica FuoriTG, inserita nel notiziario TG3 della Rai, ha

trasmesso una serie di servizi dedicati a un’indagine di verifica

dell’oggettiva sensibilità dei cittadini in tema di beni culturali, testandola

con dei sondaggi durante gli appuntamenti televisivi che avevano per

argomento la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale. È

interessante come la percezione dell’abbandono risulti un problema

fondamentale: alla domanda «Qual è il difetto che noti più spesso quando

visiti i nostri beni artistici e ambientali?» ben il 96% dei partecipanti al

sondaggio risponde essere il degrado e l’abbandono, mentre solo il 4%

individua il problema nei servizi e supporti alle visite50. Il programma è

tornato più volte sull’argomento dell’abbandono, trattando anche villa

Cerato in un breve servizio del 15 febbraio 2013; in quell’occasione è

stato chiesto ai telespettatori cosa ritenessero essenziale per salvare il

patrimonio artistico dal degrado: l’85% si è dimostrato propenso alla

programmazione di opere di manutenzione evitando gli interventi

episodici, il 12% ha ritenuto che si debba investire di più nei restauri, il 3%

ha optato per una distinzione tra cosa deve essere salvato e cosa no. È

stata sottoposta anche una domanda che ha sondato quanto i cittadini

siano davvero disposti a impegnarsi direttamente per salvare un bene:

«Saresti disposto a rimboccarti le maniche per salvare un bene comune

in abbandono?». Sul 5% che ha delegato il compito ai servizi pubblici e

l’8% che afferma di farlo solo nel caso lo Stato non abbia i mezzi per farlo,

si impone l’87% che afferma «Sì, tutti siamo responsabili dei beni

comuni».

Questi dati sono indice di un coinvolgimento della popolazione che

ci si augura continui ad aumentare, così come si spera che l’impegno

trovi concretezza in azioni. Oltre a fatti di cronaca e ai dati statistici sono

stati forniti spunti di riflessioni raccolti dal panorama culturale italiano del

                                                            50 Puntata di FuoriTg del 23 marzo 2012. 

  

62

passato, che è auspicabile rivalutare, poiché testimonia di una sensibilità

che negli ultimi decenni è andata scomparendo. Infine, è doveroso fare

propri i messaggi lanciati recentemente dagli operatori nel settore

artistico e che indicano la strada del cambiamento; sono significative le

parole dello storico dell’arte Tomaso Montanari: «Il vero ritorno del

patrimonio culturale è un ritorno di cittadinanza, di educazione, di

formazione: cioè il patrimonio non ci trasforma in turisti, o peggio, in

clienti, ma ci trasforma in cittadini e in cittadini sovrani, perché siamo

proprietari di questo patrimonio»51.

                                                            51 Intervistato come ospite nella puntata di FuoriTg del 23 marzo 2013. 

  

63

IV. Esperienze concrete

IV.1 Villa Forni Cerato

Dal 13 al 21 settembre 2013 si è svolta la sesta edizione del Festival

delle Ville Venete, promosso dall’IRVV. È stata un’ottima opportunità per

aggiornare i partecipanti sulle attività svolte, informarli su quelle che si

svolgeranno e accendere il confronto sui nuovi progetti di valorizzazione.

In merito a questo, particolarmente utile è stata la tavola rotonda tenutasi

a villa Manin (Passariano di Codroipo, UD) sulle misure di sostegno per la

valorizzazione delle ville venete e dei contesti paesaggistici. Riguardo ai

casi delle ville abbandonate è stato possibile rivolgere domande

direttamente alla presidente dell’IRVV Giuliana Fontanella e al direttore

Carlo Canato. Questi, a proposito di villa Zeno a Cessalto, sulla quale

grava quell’incuria cui si è accennato nei capitoli precedenti, ha riferito di

un programma di interventi che i proprietari intendono eseguire per ridare

decoro alla villa.

Esempio emblematico di una perenne mancanza di tutela è invece

il caso del villino Forni Cerato, sito a Montecchio Precalcino, nella

provincia vicentina, in via Venezia 4, il cui interesse culturale – che ha

portato a suo tempo all’imposizione di uno specifico vincolo – è stato

accertato dal Ministero nel 198252. Questo caso presenta molti dei fattori

propri allo stato di abbandono e risulta fin troppo facile usarlo come vero

e proprio campione di degrado. Innanzitutto non si tratta solo di una delle

tante ville venete sparse nel territorio, ma di una delle più preziose, per

almeno due motivi: fu probabilmente progettata da Palladio ed è inclusa

tra le 24 ville iscritte nel Patrimonio UNESCO. L’attribuzione all’architetto è

stata per molto tempo incerta, e alcune opinioni sembrano tuttora essere

                                                            52 Dato raccolto nel sito della Soprintendenza per i beni architettonici e

paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. 

  

64

discordanti. Ad avvallare però la paternità palladiana sono intervenuti il

CISA e lo storico dell’arte Lionello Puppi, che ne colloca la progettazione

negli anni giovanili di Palladio, attorno al 1540, mentre altre fonti indicano

come terminus post quem il 156453. A destare invece dubbi

sull’attribuzione sono le caratteristiche architettoniche che consistono in

forme asciutte, planimetria semplice, disarmonie proporzionali fra le parti

dell’edificio e mancanza delle tipiche relazioni fra le dimensioni delle

stanze.

La prospettiva con la quale si studia la villa può però essere

ribaltata analizzandone la genesi e la committenza, e arrivando così a una

chiave di interpretazione del progetto. «In realtà la villa è l’esito della

ristrutturazione della “casa vecchia” preesistente, e casomai il punto di

vista va rovesciato, cogliendo l’intelligenza palladiana nel trasformare

vincoli condizionanti in opportunità espressive. Ne fa testo il chiaro

disegno della serliana, con le colonne ricondotte a nitidi pilastri

stereometrici in funzione della limitata larghezza della loggia

(probabilmente dimensionata sul salone preesistente) o il fregio ridotto a

una semplice fascia sotto il cornicione»54. A conferma di tale teoria si

segnalano documenti redatti tra il 1541-1542 e il 1564 che testimoniano

operazioni di estimo del territorio vicentino e riportano come proprietà di

Forni una modesta casa con una «tezza» e una colombara; edificio sul

quale probabilmente venne costruita la villa dopo il 1564. L’attribuzione

viene inoltre supportata da confronti con altre strutture sulle quali Palladio

intervenne e dalle peculiarità del committente. Girolamo Forni era infatti

un uomo agiato, borghese, ma non apparteneva di certo alla nobiltà, la

classe abituale della committenza di Palladio. Forni, che era anche

collezionista di antichità, pittore dilettante e accademico olimpico,

commerciava legname e grazie a questa fruttuosa attività conobbe

l’architetto, al quale fornì spesso i materiali per la realizzazione dei suoi

                                                            53 Dalla scheda di Villa Forni Cerato del catalogo online dell’IRVV. 54 Dal sito internet del CISA - Centro Studi di Architettura Andrea Palladio. 

  

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progetti. Il motivo per il quale la villa presenta dimensioni ridotte, sobrietà

e minimalismo può essere probabilmente ricondotto allo status sociale

del committente al quale l’architetto conformò l’edificio. Quindi, le

incongruenze rispetto al consueto modo di progettare di Palladio non

costituiscono punti deboli tali da screditare la bellezza della villa, ma al

contrario esprimono il valore aggiunto di questo edificio e possono fornire

conferma dell’ingegno Palladiano.

Secondo un’altra ricostruzione storica riportata dal sindaco di

Montecchio Imerio Borriero, il progetto del villino sarebbe invece da

attribuire a un Palladio giovane, ancora poco noto e non legato

all’ambiente del committente. La villa si troverebbe in una posizione non

casuale e come molti edifici dell’epoca, che sorgevano nei pressi di corsi

d’acqua al fine di sfruttarli come forza motrice o rete di trasposto, anche

Forni se ne serviva per la sua attività. Il mercante, che riforniva di legname

molti cantieri vicentini, avrebbe chiesto al consiglio cittadino di poter

edificare un punto di stoccaggio della merce nella zona di Montecchio. A

lambire il paese da nord verso sud-est scorre il torrente Astico dal quale,

attraverso una bocca di presa chiamata banpadora, avrebbero fatto

defluire l’Astichello, oggi ridotto a una piccola roggia che fiancheggia il

brolo posteriore alla villa, luogo dove una volta era collocato il magazzino.

Attraverso questo canale il legname veniva trasportato a sud, verso

Vicenza, passando per un lago a Monticello Conte Otto, dove a

testimoniare questo commercio ci sarebbero ancora dei ganci per

attraccare le barche. Approfittando della situazione, Girolamo Forni

avrebbe chiesto di poter costruire la propria abitazione vicino al deposito

di legname, su un terreno sgombro, e per progettarla chiamò un giovane

talento emergente, non ancora architetto ma raccomandato dalla nobiltà

vicentina. Questa ricostruzione fa propendere per l’inserimento della villa

tra le prime opere di Palladio e spiegherebbe in questo modo le

incongruenze che presenta l’edificio, progettato in un momento in cui lo

stile che lo contraddistinguerà era ancora in formazione.

  

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IV.2 Indagine sull’attuale stato della villa

A integrazione delle informazioni raccolte in merito a villa Forni

Cerato è stato interpellato il sindaco di Montecchio Precalcino Imerio

Borriero, per saperne di più sulla recente storia della villa e sugli sforzi

che sono stati fatti per rimetterla in sesto. Più che di un’intervista si è

trattata di una conversazione con un rappresentante delle istituzioni che,

con tanta dedizione, è riuscito a dare evidenza al problema, senza essere

però ancora riuscito a superare i molti ostacoli burocratici. Guido

Beltramini, direttore del CISA, considera questo caso la spina nel fianco

del suo centro di studi, dato che la villa è lasciata all’incuria dalla metà

degli anni ’90. Primo passo indispensabile a chiarire le responsabilità

dell’abbandono è stato la ricostruzione dei diversi passaggi di proprietà

della villa – spesso tra aziende entrate in società tra loro e poi scomparse.

All’acme di questo percorso si risale alla Rickthorne Holdings Limited,

un’azienda in evidenti difficoltà economiche, con sede a Dublino, che

acquistò la villa nel 1997, contro di essa è stata depositata una causa di

revocatoria fallimentare55, conclusasi nel dicembre 2012. L’interesse e la

determinazione del sindaco Borriero si erano intensificati fin dal 2008,

quando già la villa, insieme agli altri beni della proprietà, era stata messa

sotto sequestro dal tribunale di Vicenza. Nel periodo pre-crisi il sindaco

aveva avanzato l’ipotesi di acquisizione del villino, contando anche

sull’appoggio di un privato che avrebbe finanziato l’acquisto e

prevedendo ulteriori sussidi dall’IRVV e dalla Provincia. Il sindaco aveva

già in cantiere un progetto di riqualificazione della villa firmato

dall’architetto Massimo Stefani; inoltre l’università tedesca di Lipsia si era

proposta di occuparsi del recupero degli affreschi. Grazie a un tale

generoso e lungimirante impegno, l’immobile si sarebbe potuto

acquistare; ma la causa legale in corso, non permetteva che il lotto

                                                            55 G. Viafora, Villa Forni Cerato in balia del tempo. La caduta di una dimora

palladiana, dal “Corriere del Veneto”, 9 aprile 2011. 

  

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venisse sciolto da tutte le altre proprietà ipotecate dell’impresa, e perciò

non acquistabile. Lo Stato, dal canto suo, nel corso degli anni ha inviato

all’azienda irlandese una decina di ordinanze di messa in sicurezza della

villa che però non sono mai state eseguite, e non è mai intervenuto con

maggiore decisione, né ha mai minacciato l’espropriazione. Sul finire del

2013, è ancora la crisi economica l’alibi più diffuso, che impone al

sindaco di desistere dall’intento di richiedere fondi allo Stato. Egli stesso

infatti ammette l’estrema scarsità di risorse: ben pochi sono oggi gli

investimenti che si è in grado di effettuare per la salvaguardia dei beni

culturali. È degli ultimi mesi la notizia che, la causa intentata contro la

ditta irlandese si è conclusa a sfavore dell’azienda e ora il bene, liberato

da vincoli ipotecari, può essere acquistato. Ironia della sorte vuole che se

nel 2008, quando l’acquisto non fu permesso, c’erano i fondi sufficienti

ma, ora che l’acquisto è possibile, a mancare sono i finanziamenti

necessari. Nell’attesa di recuperare contributi, si riaprono comunque le

prospettive che Borriero aveva delineato negli anni, quando si auspicava

una nuova vita per la villa. Alla domanda su come la si potrebbe

valorizzare risponde con idee chiare e visioni lungimiranti: il piano nobile

potrebbe essere adibito a sede per esposizioni e convegni, dotando il

piano terra degli adeguati servizi di ristoro per i fruitori. Dice inoltre di aver

già avviato da anni una collaborazione con l’Università di Lipsia, in

Sassonia, che potrebbe svilupparsi in un gemellaggio culturale tra la

Regione Veneto e lo stato federato tedesco. Il Rettore dell’Università

sassone, invitato a Montecchio ha inoltre messo a disposizione le risorse

necessarie per il restauro del corredo figurativo e scultoreo della villa;

qualora si avviasse, la collaborazione potrebbe svilupparsi ulteriormente

con l’istituzione di un centro di ricerca sull’architettura, gestito

congiuntamente dall’Università di Lipsia e dallo IUAV di Venezia, che

troverebbe collocazione nell’ampio mezzanino.

  

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IV.3 Documentazione fotografica

Grazie al permesso concesso dal curatore fallimentare Antonella

Barcaro che, nel corso della causa, ha amministrato la proprietà

dell’azienda proprietaria del villino, è stato possibile accedere all’edificio e

documentarne lo stato di conservazione. Vengono qui di seguito riportati i

risultati di questa indagine. Per una resa più efficace sono stati usati,

come supporto, i disegni della pianta del piano nobile, del prospetto

anteriore e della sezione longitudinale della villa realizzati da Ottavio

Bertotti Scamozzi. Architetto vicentino del ‘700, ha operato secondo lo

stile palladiano servendosi dello studio delle soluzioni costruttive del

maestro; motivo per cui ha riportato su carta molti progetti di Palladio che

a loro volta costituiscono, oggi, una valida fonte di studio.

A seconda delle esigenze per una migliore consultazione, la

documentazione è stata suddivisa per piani e stanze, fotografando i danni

materiali e strutturali, quelli simbolici, quelli recati dal tempo, dall’uomo,

dagli animali, dalla vegetazione. Inoltre, coerentemente con la

concezione del contesto-villa esposta in questa tesi, oltre ai danni alla

struttura è stato preso in considerazione anche il degrado del suo

contesto. Per questo motivo sono stati individuati e riportati dei coni

visuali che, dalla villa, sono rivolti al paesaggio.

  

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Facciata della villa abbandonata all’incuria

Fronte posteriore infestato dalla vegetazione

FACCIATA

FRONTE POSTERIORE

Affreschi danneggiati della parte sinistra della loggia

Dettaglio affresco sinistro (possibile rappresentazione del paesaggio veneto in chiave bucolica)

LOGGIASINISTRA

Fessurazione verticale tra il frontone d’ingresso e il soffi tto

LOGGIADESTRA

Affreschi danneggiati della parte destra della loggia

Lato sud del salone

Lato nord del salone

SALONECENTRALE

Degrado della stanza sud/ovest

Dettaglio del pavimento

STANZASUD/OVEST

Cedimento strutturale del pavimento ligneo

Soffi tto travato invaso da nidi d’uccelli

STANZASUD/EST

STANZANORD/EST

STANZANORD/OVEST

Degrado della stanza nord/est

Degrado della stanza nord/ovest

Degrado del piano terra

PIANO TERRA

Lato sud della stanza principale del mezzanino

Lato nord della stanza principale del mezzanino

MEZZANINO

Trave in stato avanzato di deterioramento

Degrado di una stanza del mezzanino

MEZZANINO

Veduta dal mezzanino verso sud: è ben visibile la zona industriale

Veduta dal mezzanino verso il brolo a nord

MEZZANINOLATO ANTERIORE

MEZZANINOLATO POSTERIORE

V. Conclusioni

 

 

«…la suprema civiltà consiste nel raggiungere il perfetto

accordo con la natura senza perciò rinunciare a quella

coscienza della storia che è la sostanza stessa della

civiltà.»

(Giulio Carlo Argan Storia dell’arte italiana, 1979)

«Nel paesaggio d’oggi, sommerso dal marasma edilizio e

industriale, [il Veneto] ha rotto i legami con il passato, con la splendida e

singolare civiltà veneta, il suo rapporto con la laguna e la città che la

accoglie»56. Eugenio Turri sintetizza così il Veneto di oggi, suggerendo i

fattori che ne hanno causato il cambiamento. Sono infatti ormai lontane le

testimonianze che ci parlano del Veneto come di una terra unica, di

bellezza naturale, architettonica, e di ristoro dell’anima. Goethe nel suo

viaggio in Italia, ammira la regione per la caratteristica di essere unita

nella sua diversità, comprendendo in sè montagne, colline, pianure e il

mare. Ad unificare questi elementi è lo sguardo stesso dell’osservatore,

che dalle montagne vicentine così come dalla laguna può cogliere in uno

sguardo d’insieme un panorama che appare come un teatro naturale. È

proprio di questa metafora che Turri si fa portavoce, rilevando che molti

dei visitatori giunti in Veneto nel passato «hanno avvertito la centralità di

Venezia; polo organizzatore della percezione territoriale, oltre che

naturale punto di convergenza dell’intera geografia veneta». Quindi a

Venezia, che è stata una potenza unificatrice per quanto impositiva, si                                                             

56 Dalla Carta di Asiago. 

  

70

deve il merito di aver conferito dignità a tutto l’entroterra, dal punto di

vista sia organizzativo (il patriziato veneziano arrivò a possedere gran

parte dei terreni delle province) che estetico. È ora il momento che i

cittadini del Veneto ritrovino un orgoglio comune che negli ultimi decenni

si è espresso solo attraverso l’intraprendenza economica. L’orgoglio,

estraneo ai toni retorici e agli atteggiamenti campanilisti, è il frutto di una

coscienza comune che renda evidenti i valori identitari della popolazione.

Le ville, in tal senso, sono un elemento unificante forte, ma reso oggi

invisibile. L’abuso del territorio, che ha compromesso il contesto delle

ville, ha raggiunto le sue estreme conseguenze, ha sommerso l’immagine

degli edifici storici, lasciati in abbandono, in un generale disinteresse. Il

punto su cui segnare una svolta sia la consapevolezza, ormai diffusa, che

il benessere economico acquisito – oltre a quei vantaggi i cui punti deboli

sono stati smascherati dalla recente crisi dei mercati – ha portato anche

disagio. Evidentemente gli iconemi moderni del Veneto non hanno

formato tra i cittadini un convincente senso del luogo; da qui la necessità

di ricercarlo nella memoria, così la villa può tornare ad essere elemento

connettivo del paesaggio. Quello che ci si propone non è certo un

revisionismo storico, una cancellazione del corso della storia epurandola

dagli errori, da quei progressi e aperture di quaranta anni fa che oggi si

mostrano invece come forme di regressione e chiusura, ma è piuttosto

restituire al nostro patrimonio il suo splendore, fisicamente e

simbolicamente. Per questo è fondamentale recuperare quel processo di

integrazione tra cultura del territorio e discipline umanistiche che fu la

base della progettazione del paesaggio cinquecentesco. Un recupero di

rapporti e legami da progettare in modo nuovo: in un paese democratico,

oggi, è indispensabile pensare nei termini di una cultura partecipata, che

crea consapevolezza, che è in grado di condurre spontaneamente verso

una valorizzazione del patrimonio delle ville, anche attraverso la

condivisione delle responsabilità relative alla loro tutela e ai loro nuovi usi

e significati. Come afferma Luca Dal Pozzolo «la concezione del territorio

  

71

come bene culturale diffuso deve poter divenire cultura condivisa, per

rappresentare un margine ai fenomeni di degrado e uno strumento per

riallacciare patti identitari profondi tra luoghi e popolazione insediata […]

in direzione della leggibilità, della riconoscibilità, della valorizzazione del

genius loci, della sostenibilità del rapporto uomo ambiente.57»

Le discipline umanistiche conducono indagini che potremmo dire

anacronistiche, ossia oltre il tempo, disvelando come le culture antiche,

che sembrano non avere più a che fare con noi qui, ora, portino invece

suggerimenti e soluzioni per temi e problemi di estrema attualità. Fin

dall’antica Grecia il concetto di giustizia coincideva con quello di bellezza.

Palladio, fautore di una rinascita della classicità, sembra aver portato,

tanto l’individuo quanto il cittadino e la città, a percepire la coesione tra

etica ed estetica58. Tornare a questi valori e attualizzarli, vuol dire

concepire un nuovo (per quanto antico) modello di sviluppo per il futuro.

È con questo spirito che gli organi incaricati all’organizzazione degli

eventi di EXPO 2015 potranno preparare un piano che valorizzi il

patrimonio veneto e le sue ville, incluse tra gli itinerari turistici proposti

all’afflusso di visitatori.

Questa tesi, oltre ad avere fornito informazioni, fatti di cronaca e

riflessioni, si è voluta proporre come generatore di quesiti e problemi. Si è

cercato di trovare risposte ad alcune di queste domande, mentre altre

rimangono aperte e insolute. Così questa ricerca rimane come

esortazione all’indagine e impulso a nuove ricerche e risposte concrete

alla tutela e alla valorizzazione delle ville venete; esortazione e impulso

validi sia per chi questa tesi l’ha scritta che per coloro che la leggeranno.

                                                            57 L. Dal Pozzolo, La forma della città diffusa, da “Fuori città, senza campagna.

Paesaggio e progetto nella città diffusa”, a cura di L. Dal Pozzolo, Franco Angeli, Milano 2002, p. 139. 

58 F. Vallerani, Paesaggio portpalladiano tra utilitarismo privato e eticità dei beni comuni, da “Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto” a cura di G. Ortalli, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 108-109. 

  

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