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www.fondazioneborgese.it [email protected] Biografia di Giuseppe Antonio Borgese a cura di Gandolfo Librizzi direttore della Fondazione “G. A. Borgese” progetto grafico: Pietro Polito per Edrisi luglio 2012

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[email protected]

Biografia di Giuseppe Antonio Borgese

a cura di Gandolfo Librizzidirettore della Fondazione “G. A. Borgese”

progetto grafico: Pietro Polito per Edrisiluglio 2012

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Biografia Giuseppe Antonio BorgeseFondazione G. A. Borgese

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le altre attività dello spirito. Benché sia da molti considerato come il maggiore scrittore italiano della sua generazione, le idee da lui sostenute fin dal tempo della guerra non gli furono mai perdonate dal fascismo, e lo hanno infine costretto ad uscire di patria. La sua conoscenza dei popoli e delle lingue moderne e il suo sentimento, appassionatamente italiano ma mirante con non minore passione a una società universale di nazioni libere, gli hanno agevolato la via dell’esilio. Fu professore di letteratura tedesca e, più tardi, di estetica nelle Università di Roma e di Milano; foreign editor del Corriere della Sera, e literary editor di questo e d’altri periodici; fu in contatto con personalità direttive in Germania, in Francia, in Inghilterra. In America dall’estate ‘31, ha insegnato letteratura italiana e storia della critica letteraria all’Università di California, a Smith College, al New School di New York. La sua opera sorpassa i trenta volumi. Il suo programma per il prossimo tempo comprende un’Introduzione alla Poesia, e un vasto organismo narrativo intitolato La Terra Promessa, di cui la prima parte é intitolata l’Atlantide1.Non ha prestato il giuramento fascista imposto ai professori»2

Giuseppe Antonio Borgese

10 settembre 1932«Biografia in poche parole, per il pubblico…:G.A.B., italiano, nato nel 1882, dedicò gran parte della gioventù a studi di letterature classiche e romantiche, di filosofie e religioni, e a viaggi e soggiorni in Germania, in Francia, in altri paesi, nel corso dei quali si formò la sua coscienza umana e moderna e il suo programma di vita e di lavoro. La sua opera prima della guerra consiste in un gran numero di saggi storici e critici e in un piccolo libro di poesie liriche. Durante la guerra e subito dopo egli agì politicamente nel senso delle idee di Mazzini e di Wilson. Il disordine e la tragica inconcludenza della mente contemporanea trovarono espressione in tre suoi personaggi di romanzo e di teatro: Rubé, nel romanzo di questo nome (tradotto in varie lingue, e pubblicato in inglese da Harcourt Brace, New York, 1923), Gaddi, nel romanzo I Vivi e i Morti (traduzione francese, edizione Plon 1931), l’arciduca ereditario Rodolfo d’Asburgo (nel dramma l’Arciduca e nel racconto storico La Tragedia di Mayerling). Una nuova visione della vita, fondata su una fede razionale [al di sopra delle sette] e su una ricostruzione solidale delle facoltà umane, si annunzia nel dramma Lazzaro (1924) e in un’ampia raccolta di novelle liriche, apparse negli anni successivi e concluse da un racconto, Tempesta nel nulla (1931), in cui dai miti del terrore e dalla sconfitta emerge una divina speranza. In analoghe direzioni si sono sviluppate le sue idee di critica e di filosofia estetica: secondo le quali il dono poetico, interpretato, nel suo proprio modo, come un dono profetico, è posto in collaborazione costruttiva con

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che «Tout se tient»: la morale, l’arte, la politica, la religione3.

Giornalista, docente universitario, esteta, romanziere e saggista politico, la missione che si prefigge Borgese con i suoi scritti, che siano di critica letteraria o saggistici o politici o letterari, è sociale ed etica insieme, e, perciò, pedagogica perché fondata sull’idea di arte intesa nel suo senso estetico. Di tale missione non perderà mai di vista proprio i suoi capisaldi: né allorquando affronta la necessità di un nuovo modo di fare critica, né quando si batte per una nuova letteratura e per la rinascita del romanzo, né quando affronta il primo conflitto mondiale, né quando si misura con la perversione del fascismo considerato come elemento distruttivo dell’idea universale di civiltà. Né infine, quando, con coraggio e generosità, alla fine della sua vita, affronta, in un nuovo slancio vitale, la più devastante delle follie umane: la distruzione nucleare e, per questo, riassumendo tutte le sue forze e tutti i suoi pensieri vi oppone un’impari lotta per resistere agli spettri manifestatisi a Hiroshima e Nagasaki gettando le basi di una convivenza futura, possibile e necessaria nella dolce utopia di una Costituzione e una Repubblica universale.

Borgese, per i suoi tempi, per la sua multiforme e poliedrica attività, si manifesta fin da subito, come scrive di lui Pettini, come: «…un vero uomo moderno, crucciato dal bisogno di conoscere, di fare, di vivere intera e intensa la vita intellettuale. Tutti i problemi dello spirito interessano la sua curiosità: politica e letteratura, soprattutto, nelle loro manifestazioni più elevate,

Giuseppe Antonio Borgese nacque a Polizzi Generosa (Palermo) il 12 novembre 1882. Autore eclettico,

composito, versatile, poliedrico Borgese inizia la carriera come critico letterario e giornalista al contempo, svolgendo la sua missione di critico militante nelle pagini dei maggiori quotidiani nazionali. Si impone alla notorietà fin da giovanissimo con alcuni saggi critici nelle riviste fiorentine di inizio secolo con le quali collabora. Coerentemente con la sua visione estetica, è un critico attento a scrutare nell’opera letteraria la sintesi espressiva dell’ethos e dello spirito di un popolo e dell’ethos del nuovo tempo che ai suoi occhi prepotentemente avanzava, aveva necessità di avanzare e affermarsi, ricercati nel senso espressivo dell’Unità, dell’unità dell’arte e del mondo di cui si fece cantore lungo tutta la sua vita, convinto com’è, fin dal suo esordio,

Antonio Borgese, padre di Giuseppe Antonio

Prima lettera autografa scritta da Giuseppe Antonio Borgese a 6 anni

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L’esordio

Durante l’anno accademico 1899-1900, volendolo il padre avvocato, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza, ma ne

esce già nel 1900 per trasferirsi all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, in quella città che, in quel momento, nel campo della letteratura, vive una centralità e un fermento indiscussi raccogliendo fra i migliori professori nel campo umanistico e delle lettere (Girolamo Vitelli, Pio Rajna, Pasquale Villari) e fra le più fervide intelligenze giovanili del momento che segneranno tutta un’epoca successiva. A partire dall’anno successivo iniziò la collaborazione all’«Archivio per lo studio delle tradizioni popolari» di Pitrè e, di lì a poco, al Leonardo5 di Papini e al Regno6 di Corradini, rivelando negli scritti critici un’impronta

lo chiamano con mille seduzioni e, dovunque, egli porta un’immaginazione viva e fervida, un giudizio netto e, qualche volta, definitivo, una passione che conquide e, se non persuade, illude. È un prodigo»4.

Morì improvvisamente a Fiesole, dove si era stabilito al suo ritorno in Italia, la notte del 4 dicembre 1952. Il Senato della Repubblica, nella seduta del 5 dicembre, né ricorderà la persona e l’opera.

G. A. Borgese

Il Regno, (1903-1906)

Leonardo, (1903-1907)

Estratto verbale seduta Senato del 5 dicembre 1952

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Il caso Borgese

D’Annunzio e Croce. Personalità entrambe fondamentali per il giovane Borgese, avido di affermarsi ed

emergere e farsi conoscere dal grande pubblico. E se in entrambi trova una sicura prima accoglienza e un prezioso stimolo iniziale tanto da essere annoverato loro discepolo, tuttavia di entrambi Borgese supererà la stessa condizione psicologica di riverenza, incamminandosi per la sua strada e cessando di esserne considerato satellite, tanto da poter scrivere di lui: «Negli anni intorno al 1905 si credette di poterlo classificare crociano: ed eccolo pugnace avversario del Maestro di Napoli. Lo si classificò dannunziano e irrazionalista: ed eccolo invece “rinunciatario” ed antirazionalista al termine del primo conflitto mondiale»9.

estetica di base sostanzialmente crociana, che risentiva anche di quell’antipositivismo proprio all’ambiente culturale fiorentino dell’epoca.

Durante questi anni, 1903-1906, Borgese si interessa principalmente a Giovanni Pascoli, sul quale scrive un saggio critico, Il Pascoli minore, e, soprattutto, all’opera di Gabriele D’Annunzio, la cui influenza domina tutta l’esperienza degli anni giovanili di Borgese e della rivista Hermes. Questi suoi primi scritti critici, sono notati e apprezzati da Benedetto Croce, il quale li recensisce su La Critica definendo il giovane Borgese come « …un giovane che mi è caro (e non solo a me) come una delle migliori speranze degli studi letterari in Italia»7.

Nel 1905, lo stesso Croce ne ospita, nella rivista da lui fondata e diretta, La Critica, la tesi di laurea Storia della critica romantica in Italia8, opera prima completa e già di alto spessore che, ancora a distanza di oltre un secolo, conserva intatta la sua potenza e la sua dimensione, segnando tutto un modo di fare critica letteraria e annoverando questo giovane precoce, Borgese ha 23 anni, fra i migliori critici di tutta un’epoca.

La Storia della critica romantica piacque subito,

oltre che per la lucidità, anche per lo stile denso, rapido, penetrante, proprio del genio Borgese, espressivo della forza della sua parola. Le sue pagine sono pervase da un pensiero critico che riusciva a dare unità al lavoro. Un pensiero critico sostenuto da un brillante animus polemico, da felice arguzia, da non comune capacità di dare freschezza e brio ad un discorso rigoroso, logico e dialettico. Fu il libro che, grazie a Croce, presentò al grande pubblico il genio precoce di un ventenne.

Storia della critica romantica (1905)

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non si iscrive a nessuno dei due clan e, non costituendo, a sua volta, un suo proprio clan, diventa, il suo, un caso del tutto particolare, il caso Borgese. Il caso che lo accompagnò per tutta la sua vita in un corpo a corpo senza esclusioni di colpi nella sua battaglia solitaria culturale, letteraria e politica.

In questo senso, la necessità di fare letteratura, di pensare il proprio ruolo di letterato a partire dall’agire è alla base di un altro acceso dibattito (forse il più intenso intrattenuto da Borgese), quello con Renato Serra. Serra concepiva la letteratura come un evento privato, come il luogo della solitudine e considerava l’attività critica come una pratica che necessita di grande circospezione e di giudizi sempre sottili.

Le analisi generali e i proclami forti di Borgese gli apparivano come puri eccessi.

Eppure Serra mantenne nei confronti di Borgese una grande ammirazione, che, pur non impedendogli di muovergli aspre critiche, lo spinse a intrattenere con il letterato siciliano un dialogo fatto di mutua ammirazione e di duri rimproveri reciproci.

Esemplare è il giudizio di Serra riguardo alla pubblicazione della prima serie di La vita e il libro: «Non ci sarà in tutta la serie una pagina buona, o un saggio che si possa dire felice, ma il cattivo gusto e le volgarità particolari finiscono per comportare qualche cosa di forte, in cui la nostra cultura si trova caratterizzata e descritta chiaramente».

La stessa accusa, di scarso rigore e di eccessiva imposizione della propria personalità nel lavoro

Ripensando a quegli albori della sua vita e della sua carriera, ripensando a D’Annunzio e a Croce in un tempo in un cui è impegnato in un’opera titanica di analisi della sua vita fino a cinquant’anni per ricostruirne una nuova nella nuova terra che lo ospita, così scrive nel suo diario: «Se penso ad alcuni errori pratici della mia gioventù, e specialmente al più grave, mi giustifico pensando: come non potevo fare cosi, se tutti facevano cosi (Croce, D’Annunzio ecc.)? Se ricordo gli errori di pensiero d’allora: come potevo non pensare cosi se tutti i cosiddetti intelligenti d’allora pensavano cosi? L’originalità si acquista, come consapevolezza, ben tardi. L’originalità é un primo dato e un’ultima conquista, come ogni cosa divina»10.

Giudizio che riprende ancora nella Prefazione all’edizione della Storia della Critica Romantica del 1949, ammettendo che: «…La gioventù, quando non è ingenerosa, ama spesso il proselitismo più dell’eresia, la sudditanza meglio che la tracotanza. Preferivo cercare me stesso nei miei maggiori maestri piuttosto che in me stesso, e la bellezza e la verità le chiedevo devotamente come doni altrui né le credevo miei personali tesori da largire con insolenza a folle mendiche. Culminavano allora in Italia tre potenze dello spirito: D’Annunzio, Pascoli, Croce»11.

In un’epoca segnata fortemente dall’appartenenza ai clan, per intenderci, al clan letterario dannunziano e al clan filosofico di Croce, a torto o a ragione, lui che era stato fra i più geniali e promettenti discepoli di entrambi, in un’epoca nei quali entrambi segnarono il rinnovamento culturale del paese (letterario il D’Annunzio e filosofico il Croce), Borgese

Benedetto Croce

Gabriele D’Annunzio

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Le prime esperienze

Intanto, nel 1904, dopo aver partecipato alla fallita rivista Medusa, fondava la rivista Hermes12, che avrebbe proseguito

le pubblicazioni fino al 1906 e sulle cui pagine comparvero le sue prime prose; mentre una raccolta di liriche fu da lui pubblicata nel 1909, presso Ricciardi, ma mai messa in commercio per il volere dell’autore. Tra il 1907 e il 1908, Borgese, in qualità di corrispondente de Il Mattino di Napoli, di cui era caporedattore ed in seguito de La Stampa di Torino, compì un soggiorno di due anni in Germania, che gli permise di scrivere articoli e saggi per una cultura italiana allora poco aperta all’esterno. Da questa esperienza nacque il volume La nuova Germania (1909), che inaugura, ad inizio del 1900, in

critico, giunse a Borgese anche da parte di alcuni studiosi successivi, tra i quali Luigi Russo, il quale scrisse chiaramente che il letterato siciliano aveva talvolta la tendenza a inventare le idee degli autori sui quali lavorava.

Critici successivi hanno poi sottolineato la grande capacità di indipendenza, intellettuale e politica di Giuseppe Antonio Borgese, e, soprattutto, la capacità, nel perseguimento di un progetto estetico assolutamente personale, di aprire, assieme da autori come Tozzi, Pirandello e Svevo, la letteratura italiana a una nuova ricerca.

Conclusasi la stagione del neoidealismo, Borgese non solo, come ha sottolineato Leonardo Sciascia in più occasioni, lega indissolubilmente la figura dell’intellettuale alle idee di impegno e coerenza civile, ma allo stesso tempo, e nel quadro stesso di quest’impegno, avverte e mette in opera la frattura tra io e mondo, esponendola in una letteratura che sa interrogarsi, e riscriversi, a partire dalle proprie inquietudini.

Hermes, (1904-1906)

G. A. Borgese con Guido Gozzano

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articolo di grande successo su Il Mattino, a darne annuncio al mondo intero13. Già famoso, la sua fama si consolidò ancora di più.

qualche maniera, una nuova scrittura odeporica come è detto nella presentazione degli stessi fratelli Bocca e che raccoglieva le corrispondenze pubblicate sui due quotidiani. Borgese, di questa fondamentale esperienza tedesca, ne trarrà poi, ampio profitto in diverse direzioni negli anni a cavallo della prima guerra mondiale e per l’insegnamento universitario.

Sempre nel 1909, dette alle stampe, a Napoli, il saggio Gabriele D’Annunzio, uno dei primi e fondamentali saggi critici di Borgese, nel quale tenta di liberarsi dell’estetica dell’arte per l’arte, muovendosi verso un’idea di “arte per la vita”, dove la vita viene colta, come scrive Ferroni, «nel suo integrale spessore umano e morale», «un’organicità e una drammaticità in contrasto non solo con l’estetismo dannunziano, ma anche con il frammentismo vociano e con la stessa nozione di “liricità”».

Da questo momento, fino quasi agli anni Venti, il lavoro di Borgese, essenzialmente costituito da articoli di critica letteraria e interventi sui quotidiani d’informazione, ruota attorno a questa nozione di “vita” colta a partire dall’unità tra biografia personale e scrittura, tra la vita e il libro.

Nel 1908, capitò per caso a Messina - era diretto a Palermo, ma sbagliò piroscafo -, proprio il giorno successivo al terremoto della mattina del 28 dicembre 1908: il terremoto che sconvolse il paesaggio di due città, Messina e Reggio Calabria, di Scilla e Cariddi e causò la morte di oltre 100 mila persone. Fu il primo, in un memorabile

Macerie a seguito del devastante terremoto di Messina del 1908. In alto la prima pagina de Il Mattino

Saggio su D’Annunzio,

(1909)

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su La Stampa il 10 settembre 1910, poi ne La vita e il Libro; articolo con il quale indaga la poesia di Moretti, Martini, Chiaves. Gli dobbiamo anche altre definizioni, per esempio, la formulazione dell’aggettivo “calligrafico”, con cui, per la prima volta nel 1922, indica polemicamente l’eccessiva cura della forma a scapito del contenuto nell’opera d’arte, che De Benedetti descrive con queste parole: «un temperamento di critico dall’impaziente e focosa genialità, dalla parola facile, brillante, spesso abbagliante» che talvolta riusciva a sintetizzare i concetti più complessi con epiteti di sicura ed immediata efficacia, con una prontezza che «gli permise molte volte di trovare la parola, la frase azzeccata che battezzava su due piedi il fenomeno letterario»14.

Una parola, la sua e prende forma una definizione che sintetizza tutta un’epoca e fa scuola: «Borgese, critico precoce, era già un quarto di secolo addietro quello che è adesso: un giudice dalla sensibilità rapida e vigorosa; un giudice, complessivamente sicuro, non solo per una nativa dirittura di gusto ma anche per quel senso dei tempi che egli attingeva dalle sue multiformi letture e dal suo mobile interesse per tutti gli aspetti della vita. Aveva già la frase che definisce ed è così impregnata del sapore del libro da non aver bisogno di analisi e di citazioni; un senso storico e una capacità di semplificare che gli permettevano agevolmente di vedere le affinità più impensate e di spargere ne’ suoi articoli isolati le linee di una storia della letteratura contemporanea. … Egli lascerà insieme con il Croce il maggior numero di giudizi inappellabili sulla letteratura della nuova Italia: Croce piuttosto su quella

Il critico militante

Dopo questo periodo di intensa attività critica, segnato da un vivo desiderio di indipendenza e da una forte

affermazione della propria personalità (anche con Benedetto Croce ha, in questi anni, una rottura insanabile), Borgese comincia ad avvertire la spinta a un’attività letteraria più completa, e si afferma come il punto di riferimento forse più significativo, in Italia, per la critica militante.

Fu lui a definire e attribuire il termine crepuscolarismo a quella che poi fu indicata da tutti come la corrente letteraria del primo ‘900 e non solo: «Non gli dobbiamo soltanto la celebre designazione dei “poeti crepuscolari”», avvenuto con l’articolo Poesia crepuscolare uscito dapprima

Articolo sulla Poesia Crepuscolare

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di apprendistato. A riceverlo, con tutti gli onori, era stato colui che passava, non senza ragione, per il più autorevole e prestigioso critico letterario del momento: Giuseppe Antonio Borgese. In un articolo del 21 luglio 1929, apparso sul Corriere della Sera, Borgese, con mano sicura, profilava il ritratto di uno scrittore che sembrava portare impressi nel suo primo libro, come in un oroscopo, i segni del proprio futuro»17.

Carlo Bo ne testimonia l’eco che avevano gli interventi di Borgese sul Corriere della Sera. Un suo articolo, scrive: «faceva vendere nella sola Milano duecento copie di un libro in pochissimi giorni: vale a dire il venti per cento della tiratura»18.

Colpisce di Borgese critico sulle colonne del giornale, l’efficacia di un discorso che si rivolge ad un pubblico più largo: cade quel tono da iniziati, quell’idolatria dello schema e del metodo che era il residuo dell’accademismo tradizionale. In sostanza, il Borgese trascina nella discussione anche il lettore distratto; polemizza con argomenti forse un po’ estrinseci ma vigorosamente adoperati. Per ciò stesso si può e si deve ammettere che egli abbia contribuito, con quei saggi, ad una particolare diffusione della cultura. Così, del resto, Borgese intende fin dall’inizio l’opera del giornalista, laddove possiamo leggere in una lettera giovanile, proprio come un programma di professione e di vita insieme che «Il giornale più che un’arma politica, è … un ufficio di notizie e un diffusore di cultura»19. Insomma, Borgese fa del giornalismo un potente mezzo espressivo per veicolare la critica militante di cui è battipista ed

che si chiuse col secolo XIX, Borgese piuttosto su quella che si aperse con il XX. Molte fame le ha decretate lui e, nonostante le opposizioni, rimangono, e rimangono con il suggello che vi ha impresso lui; più d’una formula è passata dalle sue pagine al dizionario critico corrente. Non gli dobbiamo soltanto la celebre designazione dei “poeti crepuscolari”. Pirandello, Panzini, Ada Negri, Tozzi, Moretti, Palazzeschi, Gozzano, Moravia, Gromo…: quanti scrittori eccellenti o promettenti egli ha chiarito agli altri e a se stessi, a quanti ha detto sapientemente che cosa sono e cosa possono essere!» scriveva efficacemente il grande critico Momigliano15.

Borgese, infatti, in questa sua veste di critico militante, dalle pagine de La Stampa prima e poi del Corriere della Sera, fu lo scopritore e il recensore di tanti giovani scrittori. Di Moravia, per esempio, ne recensì per primo, sulle colonne del Corriere della Sera, Gli indifferenti, il primo romanzo di questo ventenne sconosciuto. Scrive Robertazzi che «…fu un lancio clamoroso. Non c’è dubbio che il Moravia si sarebbe fatto strada anche da sé. Ma il lancio borgesiano così pronto e autorevole lo portò immediatamente alla ribalta, proiettando su di lui una luce violenta»16; e scrive anche Onofri che «Un fatto è certo: con la pubblicazione di quel suo primo capolavoro, Gli Indifferenti, Moravia si trovò di colpo accolto nella migliore società letteraria italiana senza dover attendere, neanche per un istante, in una qualche sala d’aspetto: e vi si trovò già formato, agguerrito e ben attrezzato, perfettamente riconoscibile nelle sue più autentiche qualità, senza aver dovuto patire alcuna faticosa stagione

Guido Gozzano

Carlo Bo

Corriere della Sera, 21 luglio 1929

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Docente universitario

Gli anni della prima decade del ‘900 sono quelli in cui, parallelamente, Borgese inizia anche la sua brillante

carriera accademica con la nomina alla cattedra di Letteratura tedesca all’Università di Roma, vinta nel 1910 e diventando, a soli 27 anni, il più giovane docente del Regno. Vi rimarrà fino al 1917 prima di trasferirsi a Milano. A Milano vi insegnerà fino al 1931 prima, Letteratura tedesca, poi, dal 1924, Estetica e Storia della critica essendo istituita per lui, presso l’allora Accademia Scientifica Letteraria, la cattedra di tale disciplina, la prima nelle Università italiane. Le sue lezioni di estetica costituirono uno dei punti cardinali della cultura italiana e suscitarono, specie tra i giovani, un’ardente battaglia di idee.

esempio per tanti ed anche quando prevalgono le stroncature, tuttavia è vera l’osservazione del Pancrazi che, anche quando Borgese dice male di un libro, anche allora invoglia alla lettura e muove il lettore a una qualche simpatia per l’opera oggetto di stroncatura. A tal proposito lo stesso Borgese in Ottocento Europeo, scrive: «Qualcuno, discorrendo della mia opera giovanile di critico, ne ha fatto una lode che posso riferire: che anche quando dicevo male di un libro o, secondo il gergo, lo stroncavo, anche allora invogliavo alla lettura, e movevo il lettore a una qualche simpatia per l’opera a cui io ero nemico. Ciò vuol dire che questa inimicizia era senza meschinità, e senza tedio; ch’era anch’essa a suo modo simpatia»20.

A chi, con lui colloquiando, gli diceva di essere lui, Borgese, «ottimista e di amare i giovani!», si era nel ’20 alla vigilia del suo Rubé, Borgese gli risponde: «Che direste se uscendo ora per la campagna aperta vedeste qualcuno strappare e calpestare i rami fioriti dei peschi? Si deve alla gioventù molto rispetto e molta riverenza. Avremmo ragione di essere malcontenti se i nostri maestri fossero stati inesorabili con noi».

All’indomani della sua scomparsa, Cecchi, il critico Cecchi che ne aveva stroncato l’opera principale, Rubè, definendola “autobiografismo e sofistica propensione al dramma spirituale”, offrì queste parole di Borgese: «Se si dovesse ordinatamente cercare quante idee critiche su autori nostrani e stranieri sono in circolazione che Borgese enunciò per la prima volta, ce ne sarebbe di lavoro da fare, e proficuo… Contribuì anche a smantellare la vecchia separazione tra università e giornalismo….»21.

La Letteratura italiana, (1915)

La vita e il libro, (1910, 1911, 1913)

Mefistofele, (1911)

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nei primi quindici anni del secolo, e Studi di letterature moderne (1915). Borgese, con passione e competenza per la letteratura straniera (fin da giovanissimo aveva studiato per proprio conto francese, inglese e tedesco e aveva svolto le sue prime esperienze di critico nelle riviste fiorentine d’inizio secolo proprio traducendo le opere straniere) sarà in Italia uno dei primi ad aprire i confini nazionali alla letteratura d’oltre Alpi, realizzando, come scrive Parisi: «il bisogno giornalistico d’attualità, e per questo, a fare di lui uno dei letterati più aggiornati dell’Italia del suo tempo, leggendo Claudel, France, Gide, Loti, Mallarmé, Mistral, Peguy, Proust, Rolland, Andreiev, Cechov, Dostoievski, Gorki, Tolstoi, Ibsen, Lagerlof, Kipling, Shaw, Wells, Wild, Twain, Wilder, Hauptman, Hofmannstahal, Nordau, Wedekind, Tagore,

Un suo allievo ed amico, Guido Piovene, così lo ricorda: «La lezione di Estetica, una cattedra istituita per lui, si teneva alle undici. La celebrità di Borgese e l’ora comoda richiamavano «tuot Milan»; la lezione prendeva un aspetto mondano. Ma ogni lezione era ricca, tentante, stimolante. Borgese era un forte oratore, e aveva l’arte della formula aguzza, che colpisce la fantasia. Parlava come eccitato dai suoi pensieri (…) La forte faccia siciliana, di tipo saraceno, alcuni suoi tic abituali, scuotere e roteare il capo, risolini da ventriloquo con cui interrompeva il discorso protendendo ancor più il labbro inferiore sporgente, di facile imitazione, sostenuti però da una tensione intellettuale continua, ne accrescevano la seduzione oratoria e formavano tra lui e il pubblico una complicità affettuosa»22, poi, ancora un’altra volta, in una recensione al Rubé: «Le sue lezioni alle 11 del mattino riunivano, oltre agli studenti, tutta una parte della borghesia milanese che teneva a mostrarsi colta. Oltre che ottime lezioni, anche senza volerlo, Borgese dava un vivace spettacolo d’arte oratoria e mimica»23.

In questo arco di tempo, quando diresse anche la rivista La Nuova Cultura poi chiamata Il Conciliatore, si collocano pure due fra i più rappresentativi contributi saggistici di Borgese: le tre serie di La Vita e il Libro (1910, 1911, 1913), titolo significativo perché i libri non sono altra cosa dalla vita ma sono essi stessi vita, raccolta degli articoli apparsi sulle diverse riviste letterarie, una trilogia costituente una delle migliore pagine della critica letteraria in Italia, indispensabili, come riconobbe Momigliano, a chi voglia rendersi conto della nostra letteratura

Guido Piovene

Il Conciliatore, (1913)

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La rottura con Croce

Sono questi però (1910-1911) anche gli anni in cui si consuma l’irrimediabile rottura con Benedetto Croce, che si

evidenzia in tutta la sua portata all’indomani della pubblicazione, da parte di Croce, del saggio di La filosofia di Gian Battista Vico e con i severi rimproveri che Borgese gli muove, nei panni di recensore, dapprima sulle pagine su La Stampa di Torino, 10 aprile 1911, quindi sul Mattino di Napoli, il 13-14 aprile 191126 confluiti poi in La Vita e il Libro, con il titolo «G.B. Vico in un libro di B. Croce»27, e successivamente in un saggio critico, Croce e Vico. Croce e i giovani, apparso sulle pagine della rivista letteraria La Cultura, (poi pur esso pubblicato in La Vita e il Libro28.

Unamuno e scrivendo pagine acute su molti di loro»24, fino a concepire e dirigere, negli anni trenta, un’intera collana editoriale, la Biblioteca Romantica di Mondadori, con la quale, sotto la sua influenza, furono tradotti e stampati in Italia i migliori autori stranieri, cioè, come ebbe a dire a Arnoldo Mondadori nel preannunciargli il progetto: «…un corpus di grandi autori stranieri, dal medio Evo ad oggi, ma con risoluta prevalenza dei più moderni: in traduzioni dirette, complete esattamente controllate, con introduzioni e notizie e, dove occorrono, note»25.

G. A. Borgese con il figlio Leonardo al Parco Valentino di Torino, 1909

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Gli anni della prima guerra mondiale, il passaggio da La Stampa al Corriere della Sera

Nel 1912, provenendo da La Stampa di Torino, dove era rimasto fino al 1911, inizia la collaborazione al Corriere della

Sera che, con incarichi e forme diverse, avrebbe mantenuto fino alla morte. Ruppe con la direzione de La Stampa in seguito a disaccordi sulla linea politica perché «ispirata al più intransigente neutralismo, del quale era capofila Giovanni Giolitti»29 frutto del ‘sodalizio spirituale’ fra lo statista piemontese e il direttore Frassati che «tanta parte avrà nella successiva battaglia giolittiana di fronte allo sviluppo delle ideologie nazionaliste e del movimento interventista»30.

Borgese, invece, fervente sostenitore della necessità dell’intervento militare italiano a fianco

Al di là delle singole obiezioni, il divario tra Borgese e Croce, divario che Borgese manterrà con l’intera cultura accademica del suo tempo, è forse riconducibile a una concezione radicalmente diversa del rapporto tra l’attività artistica e la riflessione, collegando alla riflessione la dimensione critica. Se Croce mantiene netto il distacco tra le due attività, Borgese comincia a meditare una teoria della letteratura nella quale il destino della narrativa sia inscindibilmente legato a quello della saggistica, in una concezione del letterato come di uno studioso rivolto all’azione, più vicina alle posizioni di Francesco De Sanctis.

Il percorso intellettuale del giovane studioso prende così una direzione diversa dall’idealismo crociano, già forse delineata negli stessi primi saggi che avevano suscitato tanto entusiasmo nel Croce, lasciando presagire, pur in una sostanziale adesione al maestro, sviluppi per lui inaccettabili.

Benedetto Croce

G. A. Borgese, 9 giugno 1917 sulla nave “Ferruccio”

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alleanza (1917), con i quali espresse la posizione del nazionalismo liberale e delineò la strategia dell’interventismo democratico del Corriere.

Durante la guerra, Borgese è sul fronte da volontario, arruolato con il grado di Sottotenente, in servizio presso il Comando Generale e vi svolge l’incarico di interprete assegnato all’Ufficio propaganda date le sue conoscenze non solo della lingua tedesca ma anche di quella inglese e della francese. Dopo la disfatta di Caporetto e la nomina di Vittorio Emanuele Orlando a Presidente del Consiglio dei Ministri, fu chiamato dal Capo del governo a dirigere l’Ufficio Informazione e Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di nuova istituzione, con sede a Berna. In tale sua veste, nel corso del 1918, svolse anche riservate, delicate e complesse missioni diplomatiche in

dell’Intesa, abbandona dunque il quotidiano torinese e, nel 1912, in occasione del secondo congresso dei nazionalisti, consumato anche il distacco dalle loro tesi, perché riteneva invece indispensabile il metodo democratico ai fini del perseguimento degli interessi dello Stato, passa a collaborare con il Corriere della Sera di Luigi Albertini, che seguiva, al contrario, posizioni diametralmente opposte a quelle del quotidiano torinese, fino ad occuparsi esclusivamente di politica divenendone redattore di estera per tutto il periodo della guerra, esprimendo di fatto la linea politica interventista del giornale concordata con e sostenuta dal direttore Albertini. Borgese, alla vigilia della guerra, oltre ad essere docente di Letteratura tedesca, è uno dei più importanti giornalisti d’Italia, una delle firme più prestigiose del più importante quotidiano nazionale qual è, appunto, il Corriere della Sera. É, per le sue qualità e per i suoi diversi ruoli, tra le personalità culturali più in vista del momento. Con i suoi scritti anima il dibattito e orienta le coscienze. Il suo ruolo culturale, giornalistico e politico è davvero importante, fondamentale. Allo scoppio della Guerra, Borgese, che occupa questa postazione privilegiata di osservazione e d’orientamento essendo redattore delle pagini di politica estera del Corriere della Sera, è già fervente interventista, auspicando l’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa e contro gli Imperi centrali.

Tale sua intensa attività giornalistica e politica si manifesta, oltre agli innumerevoli scritti giornalistici, anche in diversi suoi saggi: Italia e Germania (1915); Guerra di redenzione (1915); La guerra delle idee (1916); L’Italia e la nuova

La Guerra delle Idee, (1916)

Italia e Germania, (1915)

Guerra di redenzione,

(1915)

L’Italia e la nuova alleanza,

(1917)

1917, G. A. Borgese con il generale Bruzzi a Kafa-kikof

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delenda. La nostra forza è nella forza della nostra idea … L’aspirazione alla Dalmazia e l’aspirazione all’amicizia jugoslava sono due scopi che si escludono a vicenda»31.

Le sue idee al riguardo scritte nel libro omonimo il Patto di Roma (1919), su quella che divenne poi l’ex Yugoslavia, furono, per quei tempi, anticipatrici e profetiche e per questo non furono capite abbastanza. Esse rappresentavano il trionfo di quell’idea di collaborazione fra i popoli che Borgese sentiva profondamente e che non abbandonerà mai e che, anzi, nella parte finale della sua vita, in quell’idea utopica di governo e costituzione mondiale, elabora e propone ad un’umanità rinnovata.

Europa, Francia, Albania e Svizzera e, nell’agosto dello stesso anno, guidò la delegazione italiana alla Conferenza Interalleata per la propaganda sul nemico che si tenne a Londra. Da esse trasse spunto per l’elaborazione di un preciso programma politico, soprattutto volte a vagliare una possibile alleanza con le nazionalità slave in funzione antiasburgica. Nel 1918, riunì a Roma – l’8 aprile 1918 – tutti i rappresentanti dei popoli dell’ex Impero centrale per affrontare la situazione dei Balcani e le necessarie trattative di pace conseguenti alla dissoluzione dell’Impero Austro-ungarico.

Con l’autorizzazione del Presidente del Consiglio e con l’aiuto di diversi uomini politici italiani e stranieri, Borgese convinse i capi degli emigrati austro-ungarici di Parigi e di Londra di scendere tutti insieme a Roma, al Campidoglio, per affrontare la situazione dei Balcani e le conseguenti trattative di pace a seguito della dissoluzione dell’Impero Austroungarico, per quello che sarà ricordato come il «Congresso delle nazionalità oppresse dall’Austria-Ungaria».

Gli accordi presi al Congresso furono chiamati il Patto di Roma, in antitesi al Patto o Trattato di Londra anche se non fu incluso fra gli impegni dello Stato perché non era un accordo diplomatico formale ma un tentativo di creare le premesse per la collaborazione tra gli slavi redenti e l’Italia vittoriosa al fianco delle potenze dell’Intesa: «Non importa per ora che i Jugoslavi non riconoscano i nostri diritti. Importa che noi riconosciamo il loro diritto all’unità e all’indipendenza. In nome dei nostri diritti e degli altrui, e perciò anche dei nostri avversari jugoslavi, ripetiamo l’Austria

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Sconfitte le sue idee politiche con la conclusione diplomatica della «questione adriatica» e con l’esonero dall’incarico di commentatore fisso di politica estera del Corriere della Sera anche per le sue idee contrastanti con l’ascesa del fascismo, Borgese inizia il suo graduale ritiro dalla politica, abbandonando le posizioni di primo piano che aveva occupato durante gli anni della guerra e si dedica all’insegnamento e all’aspirazione di una vita: quella dello scrittore.

Nell’Avvertenza a Tempo di edificare (1923), saggio che segna l’abbandono della critica militante, tale vocazione è espressa chiaramente: «…è venuto per me, già da tempo, il tempo di edificare, di essere pienamente quale è mio dovere d’essere, scrivendo libri d’arte e di storia che ho promessi a me stesso, e lasciando ai critici nuovi il compito di giudicare alla loro volta»32. Il Tempo di edificare che Borgese vuol concedersi è anche quello di cimentarsi nella narrazione in prosa, di reinterpretare la tradizione del romanzo dell’Ottocento, secondo i parametri storici e sociali della realtà contemporanea e superare il frammentismo lirico della «cultura delle riviste». Ma soprattutto «edificare» significa rispondere al bisogno nato nel primo dopoguerra come reazione al conflitto e comunemente sentito da letterati e pubblico di lettori. Nel riconoscere una relazione speculare tra costruzione formale e costruzione spirituale, Borgese attribuisce al romanzo la duplice funzione d’opera d’arte in sé e di veicolo privilegiato per la trasmissione di un messaggio morale.

La “vittoria mutilata”, l’accusa di “rinunciatarismo”

Le vicende inerenti questa esplicita fase politica sarebbero poi risultate determinanti per la successiva scelta

antifascista con tutte le conseguenze che ne derivarono. All’inizio degli anni Venti, a causa della strenua difesa degli ideali etico-politici che Borgese aveva sempre propugnato, vennero deteriorandosi anche i rapporti con il Corriere della Sera, essendo egli diventato, fra l’altro, il bersaglio prediletto di quanti attaccavano gli esiti delle trattative di pace, in nome della dannunziana “vittoria mutilata”. In pratica, Borgese venne estromesso dall’ambito della progettualità editoriale del quotidiano milanese, relativamente all’impostazione di questo in politica estera.

Tempo di edificare, (1923)

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Il decennio creativo

I libri del Borgese scrittore furono tutti pubblicati nel suo decennio creativo: dal 1921, che si apre con Rubè – al 1931, che si

chiude con Tempesta nel nulla.

Rubè è di gran lunga quello che ebbe più successo, destinato poi a diventare uno dei contributi più significativi, in tal senso, nella storia della narrativa italiana contemporanea, rappresentando la rinascita del romanzo in Italia. L’opera prima di un critico di fama, per la quale Borgese era atteso al varco per la sua prima prova narrativa e che, nonostante le critiche di autorevoli critici letterari quali Cecchi, Gargiulo, Pancrazi, Cardelli, Bacchelli, dovuto alle immancabili diatribe e polemiche critiche e letterarie contrapposte verso Borgese (al riguardo, Massimo Onofri,

Amareggiato e deluso dalla situazione complessiva che si era venuta a creare, si defilò progressivamente dalla vita politica, dedicandosi sempre più a un’intima riflessione morale e artistica sulle vicende storico-politiche. Sempre più rinchiuso nella sua interiorità e sempre più chiuso a “far parte per se stesso” alla ricerca continua, in una specie di vagabondaggio, tra esperienze culturali diverse, non si riconobbe in nessuno dei movimenti organizzati: non poteva essere fascista, dietro Gentile e Gioacchino della Volpe; non era e non poteva essere liberale dietro Benedetto Croce, Borgese, abbandonati definitivamente nazionalismo e dannunzianesimo, si ritira dalle posizioni di primo piano che aveva occupato durante gli anni della guerra e si configurerà sempre più come «figura solitaria di intellettuale liberaldemocratico»33.

Giovanni Gentile

Rubè, (1921)

G. A. Borgese, S. Vigilio di Marebbe (1927 o 1928)

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Leggevo infatti per la prima volta un “romanzo che rappresentava la crisi dell’intellettuale moderno”35. E ancora: “È il primo romanzo di alta qualità scritto in Italia dopo la grande guerra” 36.

Un romanzo più significativo e rappresentativo della inquieta temperie storica, politica ed umana del primo dopoguerra, agli albori del fascismo, incarnata dal suo protagonista: Filippo Rubè, un giovane avvocato del Sud che, sentendosi “sprecato” nel suo paesino di provincia, Calinni, cerca avventurosamente successo nell’ambiente della Capitale, entrando, in posizione subalterna, nello studio di un noto avvocato romano. Siamo alla vigilia della grande guerra e Rubè, insofferente della sua modesta sistemazione, convinto interventista, cerca la sua rigenerazione nella guerra e si arruola come volontario. Deluso anche dalla guerra, Rubè si invischia in una catena di lancinanti esperienze tutte fallimentari: il matrimonio, una sistemazione lavorativa subito interrotta, una relazione difficile con un’amante francese, Celestina, la quale muore annegata durante una gita in barca sul Lago Maggiore; infine, la sua stessa fine casuale a Bologna, coinvolto accidentalmente in una carica di cavalleria contro una manifestazione operaia e socialista. Rubè è un personaggio senza stella polare. L’insoddisfazione e l’inquietudine sono le uniche sue certezze. Qualche buon proposito subito viene vanificato da una maniacale introspezione corrosiva ed umbratile. Egli insegue “con passione profonda e rovinosa” le cose “inutili e belle”, per dirla col D’Annunzio, alla ricerca, in continuo conflitto con se stesso, di realizzare ambizioni stravaganti ed impossibili.

riportando la sintesi dei loro giudizi critici espressi contro Borgese così scrive: «Possiamo e dobbiamo ricapitolare le ragioni dei detrattori: Borgese aveva mirato al grande romanzo, magari nel nome di Stendhal, Balzac, Dostoevskij, ma, nel suo tentativo titanico, aveva miseramente fallito. E aveva fallito, in quanto aveva peccato d’autobiografismo, proiettando tutto sé stesso in Rubé. Straordinaria nemesi storica: proprio lui che avrebbe voluto inaugurare un nuovo tempo di edificare, consumando ogni soggettivismo dentro le ragioni di una nuova oggettività, supremo punto d’arrivo d’un necessario processo di spersonalizzazione, finiva per precipitare nella morta gora d’un solipsismo narcisista. Aveva fallito anche perché il critico, con tutte le sue qualità ed i suoi difetti, aveva preso la mano al narratore: costruendo, dunque, un romanzo astratto, schematico, causidico, capzioso, narrativamente irrisolto, proprio perché spurio e riflessivo. Astutissima mossa, questa, dei nemici di Borgese: che, demolendo il narratore, perché condizionato dal critico, e demolendo il critico alla sua prima priva narrativa, potevano con facilità demolire anche le sue idee critiche, in special modo quelle sulla necessità del ritorno al romanzo»34) ottenne, invece, una larga notorietà. Secondo i dati indicati da Pierre Laroche, il romanzo fu un “honorable succès de librairie” e vendette 15.000 copie tra il 1921 e il 1930. A titolo di paragone, Il piacere di d’Annunzio ne vendette 35.000 tra il 1889 e il 1919 e Il Fu Mattia Pascal di Pirandello 12.000 tra il 1904 e il 1924. Ne fa fede la testimonianza compiaciuta di un nome illustre, Guido Piovene, allievo e amico dello stesso Borgese: “Col romanzo il suo nome circolò nel gran pubblico. Io studiavo al ginnasio e … ne fui toccato a fondo ...

Vie de Filippo Rubè

Rubè, ed. Francese

Rubè, ed. Americana,

(1923)

Rubè ed. Oscar

Mondadori, (1980,1994,2010)

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la coltre asfissiante del momento. Un libro che è espressione dell’accostarsi, in «qualche modo», da parte dell’autore, «all’invenzione utopica, intesa come l’ideale disegno del “non luogo”, del paese che “non è”… che tuttavia consente a Borgese … di partecipare più distintamente alla ricerca del “buon luogo, del luogo ideale, secondo un’idea dell’utopia che ci fornisce lo schema e il criterio per un giudizio che ci porti a indirizzare diversamente gli eventi della vita sociale»39, idea utopica che poi svilupperà più approfonditamente e più compiutamente in America con i suoi scritti politici. Tempesta nel nulla è un’opera di capitale importanza nella vita e nella produzione di Borgese, in quanto prelude e anticipa la sua seconda vita, allorquando con ferma lucidità opporrà il suo rifiuto di pronunciare il giuramento imposto ai professori dal regime fascista.

In questo decennio creativo in cui si concentra tutta la produzione di romanziere di Borgese, oltre Rubè e Tempesta nel nulla, Borgese pubblica, infatti, numerosi altri titoli, fra romanzi, novelle, drammi teatrali, prose di viaggio. Innanzitutto, un altro romanzo I vivi e i morti (1923), dove è affrontato lo stesso tema dell’inettitudine e dell’incapacità a compiere la propria vita ma che assume qui i toni mistici ed esoterici propri del protagonista, Eliseo Gaddi, professore e letterato, il quale decide, giunto alla soglia dei quarant’anni, di trasferirsi in un podere di famiglia, in compagnia della madre, per dedicarsi a lavorare la terra. Nulla va però come sperato: Eliseo non è portato per il lavoro agricolo e inoltre la sua decisione lo fa entrare in conflitto con il fratello Michele, che ha sempre fatto l’agricoltore e prova risentimento nei confronti delle velleità

Rubè ha la coscienza di tutto ciò, soffre di allucinazioni, è allergico al vivere normale. È un intellettuale macerato da una permanente ossessiva autointrospezione e lacerato da “un disordine orrendo dell’immaginazione”, al pari di tanti altri personaggi letterari coevi (si pensi a D’Annunzio, a Tozzi, a Svevo, a Pirandello, a Moravia). Si distingue, forse, dagli altri per la lucida coscienza di appartenere ad una intellettualità paranoica, estranea alla Società. Il suo significato non si esaurisce nell’epifania del tipico “eroe decadente”, afflitto dal male incurabile dell’inettitudine al vivere, ma il romanzo presenta radici genetiche più complesse e composite. Rubè riflette anche la coscienza storica di quegli anni così convulsi e spesso destabilizzanti: la grande guerra, la tensione interventistica, le convulsioni del dopoguerra, l’ambiguo diffondersi del fascismo, le lotte operaie e socialiste. È, in termini più precisi, un romanzo storico a tutti gli effetti.

Con Tempesta nel nulla (1931), invece, chiude tutta un’epoca di sofferenza. Pubblicato alla vigilia della partenza per l’America, come ebbe a definirlo lo stesso Borgese, più che romanzo vero e proprio, è un racconto lungo. Egli, facendo i conti con se stesso, espone in prima persona l’esperienza fisica e allo stesso tempo contemplativa compiuta camminando per i monti dell’Engadina. Anche se alcuni hanno scritto che Tempesta nel nulla testimoni il «grado zero dell’impegno pubblico raggiunto da Borgese in quel periodo»37 o un livello «supremamente antinarrativo»38, è senz’altro un libro che parla oltre il contingente e oltre il dato biografico dell’autore, perché riesce a vedere lontano, a prefigurare un cammino oltre

Tempesta nel Nulla, (1931)

Rubè, illustrazione ed. Mondadori,

(1946)

I vivi e i morti Budapest

I vivi e i morti 1931

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Seguono, quindi, due drammi L’arciduca (1924) e Lazzaro (1925), un volume di Poesie (1922), un racconto storico La tragedia di Mayerling (1925), sull’omicidio-suicido dell’Arciduca Rodolfo d’Austria, principe ereditario della casa degli Asburgo e della sua amante Maria Vetzera, tre libri di viaggi Giro lungo per la primavera (1930), Autunno di Costantinopoli (1930), Escursioni in terre nuove (1931) a cui si aggiungerà Atlante americano (1936) scritto dall’America, tutti espressione, come pure è stata definita, di una narrazione, per così dire, odeporetica, cioè una narrazione propria di chi è sempre in viaggio, un cammino narrativo in perenne perenigrazione ma un viaggio del tutto particolare perché inteso, innanzitutto, come scoperta culturale e umana.

Al contempo, proseguì l’attività critica e storiografica: Tempo di edificare (1923); Ottocento europeo (1927); Il senso della letteratura italiana (1931); Poetica dell’unità (1934), «l’unica opera contemporanea italiana sull’estetica» come scrive Davis Daiches «a confrontarsi con quella di Croce e l’unica che sia riuscita a turbare seriamente l’atteggiamento filosofico di quest’ultimo»40, con la quale, riprendendo alcuni scritti giovanili di estetica, a partire proprio dalla relazione al terzo Congresso Internazionale di Filosofia che si tenne a Heidelberg nel settembre del 1908 dal titolo di Critica del concetto d’originalità nell’arte, espone la sua concezione estetica alternativa a quella dominante di Croce e che provocherà una prima divaricazione dal maestro, fino ad elaborare la sua personale visione estetica: «Già nel 1908 pubblicai alcune pagine (Critica del concetto d’originalità nell’arte) apertamente aliene dal crocianesimo considerato come epitome delle estetiche romantiche. Vi rimettevo in valore i concetti di tradizione, di organicità e soprattutto di stile aderendo

di Eliseo. Una sera, i due fratelli hanno un violento litigio. Subito dopo Michele muore accidentalmente. Eliseo entra in una profonda crisi, tormentato dal rimorso e spinto sempre più a interrogarsi sul rapporto tra vivi e morti. Viene così in contatto con Arianna Nassin, una profuga russa conoscitrice di pratiche occulte, della quale si innamora. Durante una seduta spiritica, Eliseo ha però una visione sconvolgente, nella quale si trova di fronte al proprio fantasma. È il culmine dell’angosciosa ricerca: per l’impatto emotivo, Eliseo cade in un profondo stato di malattia, che lo lascia sospeso tra la vita e la morte per più di un mese. La guarigione non sarà mai definitiva ed Eliseo, minato nel fisico, può però accettare con maggior serenità la propria vita, e affrontare con meno angosce l’idea della morte. Una ricerca, questa, quasi una prosecuzione ideale del più famoso Rubé nel quale il dialogo di Filippo Rubé con padre Mariani è di un’intensità incalzante, proprio di chi cerca risposte e non ne ottiene, e che, invece, in queste pagine del suo secondo romanzo, con il protagonista Eliseo Gaddi, Borgese sviluppa ulteriormente sul significato del vivere e del morire e sull’insopprimibile anelito della parte spirituale dell’uomo a liberarsi dalle pastoie del corpo con un’esperienza d’interiorità di fronte al mistero.

Poi, continua con tre raccolte di novelle La città sconosciuta (1925), Le belle (1927), Il sole non è tramontato (1929), tutte successivamente confluite nella raccolta Il Pellegrino appassionato (1933). Nella fervida attività creativa del Borgese, le novelle rappresentano come delle pause di riposo. Finissime e piene di umanità, queste pagine ritraggono e trasfigurano episodi di vita e d’anima: ogni novella è un piccolo, concentrato romanzo.

Il sole non è tramontato,

(1929)

Il Pellegrino appassionato,

(1933)

Critica del concetto d’originalità

nell’arte, (1908)

I vivi e i morti, Olanda, (1936)

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Giudizi critici su Borgese scrittore

Se in ogni caso, la fortuna del Borgese critico fu immediata e tutto sommato duratura, diverso fu il destino del Borgese

scrittore.

Il suo percorso intellettuale, atipico per l’epoca, gli procurò, a seguito dell’uscita di Rubè, una lunga serie di critiche di eccessivo intellettualismo. In questo senso si espressero, tra gli altri, Momigliano, Cecchi, Gargiulo. Esemplare il commento di Alloggio: «Dietro Rubè c’è Borgese con tutto il suo bagaglio estetico, con la sua provata cerebralità, col suo intellettualismo. Invano cerchi un sorriso, un palpito, un fremito...».

all’indirizzo umanistico contro l’individualismo. “Teoricamente l’arte si rivolge allo spirito, fuori dello spazio e del tempo, ed esprime le idee… La bellezza non è data dal valore della personalità e delle altre contingenze; ma dallo sforzo che l’artista compie per superarle. Lo stile è l’ascesi dell’artista. Comparato ai fatti morali, esso è l’abnegazione dell’individuo in favore dell’umanità, ricondotto nel regno dello spirito teoretico, esso è ancora un momento nel quale il fatto rende omaggio all’idea”. Erano approssimazioni titubanti, ma già conscie abbastanza, ad un punto di vista che non prescinde dalla dottrina manzoniana»41. L’arte non è per Borgese un esercizio pleonastico, accessorio, ma intimamente connaturato alle vicende dell’uomo che contribuisce, di conserva con le scoperte della scienza e le teorizzazioni della filosofia, a creare una nuova visione del mondo, che concorra a spiegare l’uomo a se stesso.

Dalla lettera scritta da Berlino allo zio il 4 gennaio 1907, con la quale Borgese annuncia il suo libro di pensiero sulla critica del concetto d’originalità.

Borgese aveva solo 24 anni

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L’esilio in America e il No a Mussolini

Il 1931 costituisce il punto di svolta della vita di Borgese. Nel luglio di quell’anno, a 48 anni, si imbarca alla volta degli Stati Uniti, accettando l’invito di trasferirsi a Los Angeles per tenervi una serie di lezioni come visiting professor alla California University. Tale decisione è presa anche in seguito a reiterati disordini e intimidazioni fomentati in aula da alcuni studenti fascisti e culminati nel mese di maggio con il pestaggio subito da due suoi allievi. Per il fatto che per la prima volta in un’aula universitaria si attentava alla libertà d’insegnamento, e per la personalità della vittima, gli episodi suscitarono

I successivi sviluppi della letteratura diedero torto a questo tipo di critiche e, col passare degli anni, molti commentatori smisero di leggere Rubè a partire dai difetti stilistici e d’impianto, per inquadrarne la posizione intellettuale nella storia della cultura italiana ed europea. Lo stesso Cecchi riconobbe nei romanzi di Borgese l’anticipazione del neorealismo italiano, per la necessità di Rubè e di I vivi e i morti di esporre attraverso le vicende individuali una crisi che investe l’intera società e la sua coscienza (molti commentatori sottolineano il debito nei suoi confronti da parte di Alberto Moravia). Un’opera che Sciascia, acutamente considerava “…non – come sbrigativamente è stato visto – come un’autobiografia, una storia confessione, una storia personale ambiguamente e aporisticamente in atto; ma come l’analitica contemplazione di una spoglia già deposta della propria storia, della propria disperazione, che però continuava a essere la storia di altri, la disperazione di altri. E non di pochi altri, ma di tanti: al punto da diventare la disperata storia di un popolo intero”42.

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della Sera, al quale invia regolarmente gli articoli che via via verranno pubblicati. Il suo é l’unico caso di tal genere che si registra nell’intero corpo docenti.

Tutti gli altri, infatti, o giurano e continuano ad insegnare o rifiutano di giurare - ben pochi, in realtà - e perdono la loro cattedra ma non la pensione. Su 1256 accademici, infatti, solo 13 - mai sufficientemente ricordati - opposero un rifiuto e rinunciarono alla cattedra: Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto, Giorgio Levi Della Vida, Gaetano De Sanctis, Ernesto Buonaiuti, Vito Volterra, Bartolo Nigrisoli, Mario Carrara, Lionello Venturi, Giorgio Errera, Piero Martinetti, Giuseppe Antonio Borgese. «Una trascurabile minoranza: «sublimata all’un per mille», scrisse la stampa del regime.

Borgese, è fra questi pochi che non si piegarono all’infamia del giuramento di fedeltà al regime fascista e perse, di conseguenza, la cattedra. La sua, come quella di ognuno degli altri professori che dissero No, è una lezione immortale avendo al riguardo un’idea ben precisa di cosa comporta il giurare contro la propria volontà, anche se per una sola volta.

Emblematiche e dense di valore morale sono le due Lettere memoriali scritte a Mussolini dall’America con le quali argomenta le ragioni di questa decisione: la prima del 18 agosto 1933, la seconda del 18 ottobre 1934. Ideate, redatte e spedite in forma eminentemente privata, le Lettere a Mussolini furono rese pubbliche nel 1935 a Parigi, dai fratelli Rosselli, nei «Quaderni di Giustizia e Libertà» e in Italia solo nel 1950 dalla rivista «Il Ponte».

negli ambienti culturali un’eco dolorosa dato che Milano adorava Borgese per il suo fascino intellettuale.

Borgese non nutriva sentimenti di simpatia per il fascismo, ma dopo aver sottoscritto l’appello in favore di Gaetano Salvemini, arrestato nel ‘25 per attività sovversiva, (in precedenza, però, non aveva firmato, il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce in risposta al manifesto fascista di Gentile), aveva evitato di manifestare il suo dissenso pubblicamente, il che non gli aveva comunque impedito di subire quelle provocazioni alla base del suo viaggio in America. Quello che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto essere solo un soggiorno accademico si trasformò invece in un volontario esilio, durato fino a guerra conclusa, per il rifiuto opposto, nel frattempo, all’ingiunzione di prestare il giuramento fascista in qualità di docente universitario.

L’8 ottobre 1931, infatti, il regime impose il giuramento di fedeltà ai professori universitari del Regno: già osservato dai maestri delle scuole elementari, dai professori delle scuole inferiori e superiori, è ora esteso anche ai professori universitari. Borgese, in quel frangente, lo abbiamo visto, si trova in America, regolarmente autorizzato a insegnare per l’anno accademico 1931-1932 presso l’Università della California. Nessuno gli notifica il decreto. Nessuno gli chiede di prestare giuramento. Continua così ad insegnare quale professore di ruolo, nonostante non abbia prestato il prescritto giuramento, così come continua la collaborazione con il Corriere

Benito Mussolini

Carlo Rosselli

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quanto sia in me per conquistare “una vita alta e piena, vissuta soprattutto per gli altri vicini e lontani, presenti e futuri”, meritandomi, meglio che non abbia saputo finora, diritto di cittadinanza in quella patria che già Dante e Mazzini e altri nostri maggiori posero di là da ogni Confine».

Nella seconda, in conclusione, nel riaffermare con fermezza la volontà di non giurare, scrive: «Io avevo espresso a V.E. la mia volontà di non prestare giuramento fascista, e di tale volontà Le avevo dichiarato ampiamente le ragioni. Ne m’ero aspettato, quanto a me professore, trattamento diverso da quello fatto, secondo legge, agli altri undici professori che non avevano giurato. […] Vedo che non vi sono situazioni personali le quali possano essere risolte all’infuori delle situazioni collettive; e che mio luogo di vita non può essere se non laddove sia permesso allo scrittore d’essere veramente scrittore, cioè di scrivere il suo pensiero; […]».

Sciascia, suo grande estimatore, individua in Borgese «il più vero ed effettuale scrittore liberale del secolo di fronte al fascismo… e perciò sta come in disparte, solitario e quasi dimenticato»43 e, nel centenario della nascita così scrive: «perché bisogna dire che … i fascisti volgarmente lo odiavano (ma al vertice con una certa timidezza o pudore: ci vuole l’emigrazione e il rifiuto di prestare il giuramento fascista perché Mussolini si decidesse – ma nel 1936, otto anni dopo la becera denuncia del rettore Fantoli - a chiudere il caso Borgese con questa annotazione: «Gli si poteva perdonare il passato. Non l’oggi. Continua ad essere un nemico»; parole che a noi

Alla vigilia della prima Lettera a Mussolini, l’8 luglio 1933 scrive a Vitaliano Brancati: «… Qualunque cosa valga la mia vita, essa è stata una testimonianza di dignità e di ragione. Non mi fingerò fascista a cinquant’anni sonati… Non credo degno della destinazione umana esprimere un pensiero falso o mutilato. Potrebbe darsi ch’io dovessi trovarmi davanti all’alternativa di rovinare la mia vita o di corrompere l’anima. In questo caso lei che mi vuole bene dovrebbe consigliare di scegliere l’anima. Forse questa lettera Le spiacerà. Ma la riponga tra le Sue carte, ed aspetti a giudicarla dieci anni».

Nella prima Lettera, dopo aver esposto i motivi che lo hanno indotto a non prestare giuramento scrive: «Al mio diritto naturale d’essere, con dignità e onore, senza immeritata offesa e ingiusto timore, cittadino nella mia terra, si aggiungono l’opera e il lavoro, ai quali non mancò mai desiderio di verità e di bene. Se però la mia patria nativa mi sarà inaccessibile, saprò, sotto qualunque cielo, fare

Vitaliano Brancati

Leonardo Sciascia

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Una nuova vita

In America comincia una nuova vita. Dal 1931 al 1932 insegna Storia della critica ed Estetica all’Università di California,

dal ‘32 al ‘36 Letteratura italiana e Letteratura comparata allo Smith College di Northampton (Mass.), approdando in ultimo all’Università di Chicago, dove rimane fino al 1948.

Dal ‘31 al ‘34 continua a collaborare con il Corriere della Sera attraverso articoli sull’America, che andranno a costituire le raccolte dell’ Atlante americano (1946, l’edizione del ‘36 venne bloccata dalle autorità fasciste) e la postuma Città assoluta e altri scritti (1962). Nel 1938 ottenne la cittadinanza americana e, nel novembre 1939,

oggi suonano come il più sintetico e giusto elogio che a Borgese si potesse tributare»44.

Sancita la sua definitiva rottura con l’Italia fascista, verrà dichiarato “dimissionario” per non avere ripreso servizio all’Università di Milano, perdendo così, unico fra i professori che non avevano giurato, anche il diritto alla pensione di anzianità.

G. A. Borgese in America, 1938

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straniera più attenta e importante (pubblicato in diverse lingue, in Italia uscì solo nel 1946 quando il fascismo non c’era più e ci si avviava di già verso l’età repubblicana), il Goliath è l’analisi più profonda e completa delle premesse, dei postulati, dei caratteri e degli sviluppi del fascismo in Italia e nel mondo, scritto, come lui stesso ebbe a dire «perché non avrei potuto scrivere altro in quegli anni. Fu un’espressione necessaria. Mi premeva di far sì, quant’era in me, che non tutta la letteratura italiana fosse complice o imbavagliata o muta…»47. Tale e tanto fu l’eco del Goliath che quando uscì, questo capolavoro sul fascismo, vero affresco letterario della cultura e dell’identità nazionale, contribuì segnatamente «al declino della popolarità di Mussolini all’estero».

dopo il divorzio da Maria Freschi, si unì in seconde nozze con la figlia di Thomas Mann, Elisabeth, che aveva conosciuto l’anno prima nella casa del padre.

Il periodo americano è caratterizzato anche da un appassionato e continuativo attivismo politico. In una serrata militanza intellettuale antifascista Borgese diventa una figura di spicco fra gli esuli antifascisti in terra americana: nel 1939 insieme a Gaetano Salvemini, Arturo Toscanini, Lionello Venturi, George La Piana, Max Ascoli, Randolfo Pacciardi, Michele Cantarella, Aldo Garosci, Carlo Sforza, Alberto Tarchiani, con i quali era in stretta relazione d’amicizia e in comune azione politica, fonda la “Mazzini Society”, un’associazione nata per difendere gli ideali democratici, far conoscere in America le condizioni dell’Italia e fornire un aiuto agli esuli.

E’ in questo contesto che vede la luce uno dei testi più significativi dell’ultimo Borgese: Goliath, The march of Fascism (1937), un’indagine sulle ragioni e caratteristiche del fascismo, che consacra la sua fama di grande oppositore al regime e che Leonardo Sciascia, definirà un «libro di radicale importanza per comprendere Borgese politico e scrittore»45 e di cui Consolo formulò più volte l’auspicio che venisse adottato dai docenti come testo di storia o, in subordine, abbondantemente inserito nelle antologie46.

Pubblicato in lingua inglese è un’opera storico-letteraria di prim’ordine, un libro politico di impressionante acutezza, un testo che prenderà posto tra i grandi documenti della Storia. Come pure è stato accolto dalla critica

Goliath, the march of fascism,

(1937)

Elisabeth Mann Borgese

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del “Committee to Frame a World Constitution” (Comitato per la Costituzione mondiale), di cui ricoprì anche la carica di segretario, accogliendo l’idea lanciata da una radio discussione del 12 agosto 1945 dal Rettore dell’Università di Chicago Robert M. Hutchins della necessità di un governo mondiale, dopo le ferite inferte nelle coscienze dal secondo conflitto mondiale e le preoccupazioni costanti per la situazione internazionale in seguito all’esplosione della bomba atomica su Hiroshima.

Il “Committee”, che vide fra i suoi membri i più autorevoli scienziati e pensatori del momento (Mortimer J. Adler, Stringfellow Barr, Albert Guérard, Harold A Innis, Erich Kahler,Wilberg G. Katz, Charles H. Mc Ilwain, Rexford G. Tugwell ecc.), e che si valse anche la collaborazione di Elisabeth Mann Borgese, istituì le basi del progetto per una Costituzione mondiale.

Oltre a numerose collaborazioni a quotidiani e riviste, trasmissioni radiofoniche e conferenze, lavora ad opere che hanno come prospettiva l’edificazione di un nuovo ordine mondiale: The City of Man, scritto in collaborazione, fra gli altri, con Thomas Mann (1940); Common Cause (1943), che darà il nome alla successiva rivista, da lui fondata nel 1947 e pubblicata dal “Committee”; Preliminary Draft of a World Constitution (1948); e la postuma Foundations of a World Repubblic (1953), dove si descrive il piano e la struttura della federazione e del Governo mondiale.

In America, investe poi le sue inesauribili energie intellettuali in un progetto utopico, perseguito con tenacia fino alla fine, anche

a livello organizzativo, volto alla realizzazione di un “Governo mondiale”, un modello di governo radicalmente unitario, oltre ogni particolarismo di ordine sociale, religioso, culturale, economico, politico, centrato sull’individuazione di una serie di valori universali condivisibili. Insieme a Richard McKeon fu infatti promotore dell’attività

L’utopia della Costituzione mondiale e della Repubblica universale

Foundation of the World Republic,

(1953)

Common cause, (1943)

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di critico dalle colonne del Corriere della Sera e a perseguire il progetto costituzionale del “Committee to Frame a World Constitution”, che gli valse la proposta di nomina al Premio Nobel per la pace del 1952, avanzata all’Istituto per il Nobel del Parlamento norvegese dall’Università di Chicago, dove operava il Comitato e dove Borgese stesso insegnava. Sempre nel 1952 vinse l’alto riconoscimento del “Premio Marzotto” per la critica.

Rientro in Italia, proposto per il premio Nobel per la pace del 1952

Nel ‘48 rientrò per un breve periodo in Italia e il 13 settembre 1949, dopo 18 anni di assenza, risalì sulla sua vecchia

cattedra di estetica all’Università di Milano, in mezzo a una folla assiepata nell’aula magna e nelle sale attigue, come descrivono i giornali dell’epoca. Nello stesso anno apparve la traduzione italiana Disegno preliminare di Costituzione mondiale.

Fra le opere di saggistica critica, storico-letteraria ed estetica maturate nell’ultimo periodo e alcune pubblicate postume, si segnalano: Problemi di estetica e storia della critica (1952); Da Dante a Thomas Mann (1958). Fra le opere letterarie ricordiamo la nuova edizione delle Poesie (1952) e la raccolta di novelle La Siracusana (1950). Continuò a svolgere attività

Corriere della Sera, venerdì 25 aprile 1952

Lettera dell’Università di Chicago con la quale si propone Borgese per il Premio Nobel per la Pace per il 1952

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notizia della sua scomparsa, ben evidenzia: «Qual è il primo dovere di uno scrittore profondamente legato al suo tempo, se non quello di lasciare il ricordo, il suono di una voce di uomo? Borgese, come pochi altri, aveva assolto a questo compito. .... Il tempo, … confermerà senza dubbio l’impressione che Borgese lascia, a chi ripercorra mentalmente il suo curriculum spirituale, quella di un uomo che tenne fede al motivo centrale della nostra cultura, al motivo che celebra nell’uomo l’incarnazione delle più alte forze spirituali della vita e attinge all’umanesimo il conforto a credere veramente degna di essere vissuta la nostra vicenda terrena. Questa l’eredità che Giuseppe Antonio Borgese lascia…»48.

In una lapide apposta nel centenario della nascita nel Comune di Polizzi Generosa, è scolpito:

A GIUSEPPE ANTONIO BORGESE POETA,

NARRATORE, CRITICO E POLITICO

CHE VOLLE L’UNITA’ DELL’ARTE

E DEL MONDO.

Lascito testamentario

Confidava Borgese ad un amico: «Aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda

per un sentimento abietto o malvagio». Le sue parole sono davvero un’inestimabile testimonianza di verità e di libertà, di pensiero e di azione, di arte in sommo grado e di unità, proprio quell’unità cercata nell’arte, nella critica, nella politica quale espressione del farsi concreto della storia degli uomini, delle idee che essi lasciano lungo il loro peregrinare.

Eugenio Montale, cogliendo il Borgese scrittore e politico che fa della sua vita, del suo pensiero, della sua parola un esempio di umanesimo espresso per tutta la vita un compito irrinunciabile, nel dare la

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13 G.A. BORGESE, Dalla sponda del gurgite di Scilla. Con la testa riversa e con le palme protese, in Giuseppe Antonio Borgese. Una Sicilia senza aranci, a cura di I. Pupo, Avagliana Editore, Cava dei Tirreni-Roma 2005, 246-250.

14 G. DEBENEDETTI, Il romanzo come libro di viaggi, in Il romanzo del Novecento, Garzanti, Milano 1971, 323-331 citato da Ambra Meda in Giu-seppe Antonio BORGESE. Pellegrino appassionato, MUP, Parma, 2004 42.

15 A. MOMIGLIANO, Il “D’Annunzio” di Borgese, Corriere della Sera, 1932

16 M. ROBERTAZZI, Introduzione a La città assoluta e altri scritti, Mondadori, Milano, 1962, 9.

17 M. ONOFRI, Il sospetto della realtà. Saggi e paesaggi italiani novecente-schi, Avagliano Editori, Cava dei Tirreni-Roma, 2005, 161.

18 La citazione di Bo è in Nello Ajello, Lo scrittore e il potere, Laterza, Bari 1974, 126, in L. Parisi, Borgese, Tirrenia Stampatori, Torino, 2000 26

19 G.A. BORGESE, Lettera, inedita, del 16 aprile 1902

20 G.A. BORGESE, Ottocento Europeo, Fratelli Treves Editori, Milano 1927, VII

21 Citato da Mario Robertazzi in Introduzione a La Città assoluta e altri scritti, op. cit., 7

22 Citato in F. MEZZETTI, Borgese e il fascismo, Sellerio editore, Palermo 1978, 19.

23 G. PIOVENE, La Stampa l’8 marzo 1963, poi anche in “Il Giornale”, 9 novembre 1974 e nell’Appendice del romanzo Rubé, Mondadori, Milano 1999, 397.

24 L. PARISI, Borgese, Gaspare Casella Editore, Napoli, 1928, 14. Gli scritti sugli autori citati sono contenuti in Ottocento Europeo.

25 La lettera di Borgese ad Arnoldo Mondadori si può leggere in Catalogo storico Arnoldo Mondadori Editore 1912-1983, le Collane A-M, a cura di Moggi Rebulla e M. Zerbini, prefazione di G. Spadolini, Milano, Fon-dazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1985, 238-239, tratta da Giuseppe Antonio Borgese. Una Sicilia senza aranci, op. cit., 340.

26 G. A. BORGESE, G.B. Vico in un libro di B. Croce, Apologia, La Vita e il Libro, Terza Serie, Bocca, Torino 1913, 336.

27 Ib., 325-402.

28 G. A. BORGESE, G.B. Vico in un libro di B. Croce. Croce e i giovani, La Vita e il Libro, op. cit., 386-402.

29 Cfr V. CASTRONOVO, La stampa italiana dall’unità al Fascismo, La-terza, Bari 1973, 186, in Giuseppe Antonio Borgese. Lettere a Giovanni Papini e Clotilde Marghieri (1903-1952), a cura di Mariarosaria Oliveri, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma, 1988, 52-53.

30 Cfr Ib., 186.

NOTE1 L’Atlantide, Poema inedito, «Fondo Borgese» della Biblioteca Umani-stica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, a cura di Sandro Gentili, in ATTI E MEMORIE dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, Volume LV, Nuova Serie - XLI, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1990, 168-255.

2 G.A. BORGESE, Diario II (4 luglio 1932 - 30 aprile 1933), a cura di M. G. Macconi, inedito, in corso di pubblicazione da parte della Fondazio-ne “G.A. Borgese”I Diari fanno parte del «Fondo Borgese» della Biblioteca Umanistica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze.

3 Cfr M. ROBERTAZZI, Silenzio innaturale nell’aula universitaria, Corrie-re della Sera, Martedì 13 settembre 1949

4 G. D. PETTINI, ‘800 Colloqui e profili, Giuseppe Antonio BORGESE, Arte Politica internazionali Editore, Milano, 1945157-158.

5 Il Leonardo è stata una rivista letteraria italiana degli inizi del Novecento pubblicata dal 4 gennaio 1903 all’agosto 1907. Fu fondata a Firenze da Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, insieme a Giovanni Costetti, Adolfo De Carolis, Alfredo Bona, Ernesto Macinai e Giuseppe Antonio Borgese e, nelle prime pubblicazioni - dal 4 gennaio al 10 maggio 1903 -, fu influen-zata dal pensiero di Nietzsche, dall’estetismo dannunziano e dal rinascente idealismo. La rivista, con la sua volontà di rinnovamento, cercò di aprire le porte della cultura italiana alle correnti più vive della filosofia dell’epoca, come il pragmatismo, la filosofia di Henri Bergson, e di Friedrich Nietzsche e le esigenze religiose appena nate.

6 Il Regno fu un settimanale fondato da Enrico Corradini e pubblicato a Firenze dal novembre 1903 al dicembre 1906. Esso si vanta di annoverare tra le sue componenti l’ideologia dell’irrazionalismo nazionalistico, antipar-lamentare e antisociale in un quadro aggressivo definito di “riscossa” borghe-se. Ne furono collaboratori, oltre a Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, Mario Calderoni, Borgese, Mario Morasso, Vilfredo Pareto che, con la sua teoria delle élites, fece da supporto ideologico alla strategia di Corradini.

7 B. CROCE, La Critica, gennaio e marzo 1904, Napoli 1904, 88-89.

8 G.A. BORGESE, Storia della Critica romantica, La Critica, Napoli 1905 (Mondadori, Milano 1920 e 1949).

9 Cfr S. D’ALBERTI, Giuseppe Antonio Borgese, Flaccovio Editore, Paler-mo, 1971, 19

10 G.A. BORGESE, 7 settembre 1932, Diario II (4 luglio 1932 - 30 aprile 1933).

11 G.A. BORGESE, Storia della Critica Romantica, Mondadori, Milano 1949, XXI 12 Hermes nasce a Firenze l’1 gennaio 1904 da Enrico Corradini e dal giovane Giuseppe Antonio Borgese come rivista di critica e letteratura di ispirazione colta e dannunziana. La rivista prende il nome di Hermes dal greco conduttore di “molte anime al di là dei confini del mondo, nel fanta-stico Ade”. Essa si presenta subito di chiara impronta paganeggiante e dan-nunziana, come viene esplicitamente dichiarato nella Prefazione-Manifesto

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BIBLIOGRAFIA - Opere di Giuseppe Antonio Borgese

Poesia

La canzone paziente, Ricciardi, Milano 1910 Le Poesie, Mondadori, Milano 1922 Poesie 1922-1952, Mondadori 1952 Poesie inglesi, Laicata Editore, Manduria-Bari-Roma 1994

Romanzi

Rubè, Treves, Milano 1921 I vivi e i morti, Treves, Milano 1923Tempesta nel nulla, Treves, Milano 1931La tragedia di Mayerling, Treves, Milano 1925

Novelle

La città sconosciuta, Treves, Milano 1925 Le belle, Treves, Milano 1927 Il sole non è tramontato, Treves, Milano 1929 Il pellegrino appassionato, Treves, Milano 1933 La Siracusana, Treves, Milano 1950 Le novelle, 2 voll., Mondadori, Milano 1950

Teatro

L’Arciduca, Treves, Milano 1924 Lazzaro, Treves, Milano 1925 «L’Atlantide». Poema inedito di G. A. Borgese, a cura di S. Gentili, «Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria”», Olschki, Firenze 1990, pp. 167-255Montezuma: opera in three acts / libretto di G. A. Borgese, music by Roger Sessions, New York, Marks Music Corporation, 1965, (Montezuma, traduzione italiana, introduzione, commento a cura di Sabina Colella, Stilo, Bari 2007)

Saggi di critica letteraria ed estetica

Giganti e serpenti, «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», Palermo, vol. 20, 1901Gabriele D’Annunzio, Ricciardi, Napoli 1909 Mefistofele. Con un discorso sulla personalità di Goethe, Quattrini, Firenze, 1911 La vita e il libro, 3 voll., Bocca, Torino 1910-1913 Studi di letterature moderne, Treves, Milano 1915 Resurrezione, Perella, Firenze 1922 Tempo di edificare, Treves, Milano 1923 Ottocento europeo, Treves, Milano 1927

31 G.A. BORGESE, La questione Jugoslavia in Il Patto di Roma, Quaderni della “VOCE”, Roma, 15 settembre 1919, 113-114

32 G.A. BORGESE,Tempo di edificare, Fratelli Treves, Editori, Milano 1923, VI

33 Cfr R. DE FELICE, Giuseppe Antonio BORGESE irregolare della cultura, «Il Giornale Nuovo», 24 agosto 1977

34 M. ONOFRI, Il sospetto della realtà. Saggi e paesaggi italiani novecente-schi, op.cit., 17-29

35 G. PIOVENE, Ritorno di Rubè. Mondadori, Milano,1994, 397.

36 ib.

37 V. LICATA, L’invenzione critica. G.A. BORGESE, Flaccovio editore, Palermo 1982, 114.

38 M. ONOFRI, Il sospetto della realtà, op. cit., 46.

39 N. TEDESCO, La coscienza letteraria del Novecento. Gozzano, Svevo e altri esemplari Flaccovio Editore, Palermo, 1999, 158-159.

40 D. DAICHES, Borgese - Poeta di una nuova dimora, rivista Saturday Review of litaruature, july 21, 1951 in Per una cultura europea. Le lettere di Giuseppe Antonio Borgese a Otto von Taube (1907-1952), a cura di Mariaro-saria Oliveri, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma, 2002, 151.

41 G.A. BORGESE, Storia della critica romantica in Italia, op. cit., XXIV.

42 L. SCIASCIA, G.A. Borgese: ciò che insegna la sua fede letteraria e politica, in Corriere della Sera dell’11 settembre 1982 anche in appendice a Rubé, Mondadori, Milano, 2004, 401.

43 L. SCIASCIA, Per il ritratto dello scrittore da giovane, Sellerio, Palermo, 1985, 30.

44 L. SCIASCIA, G. A. Borgese: ciò che insegna la sua fede letteraria e poli-tica, op. cit.

45 L. SCIASCIA, G. A. Borgese: ciò che insegna la sua fede letteraria e poli-tica, op. cit.

46 citato da D. CONSOLI, Il peccato della ragione, Prova d’Autore, Catania, 2010, 15.

47 G. A. BORGESE, Golia, marcia del fascismo, Mondadori, Milano, 1946, 18.

48 E. MONTALE, Un lutto della letteratura e del giornalismo. G.A. Borgese è morto improvvisamente stanotte, Corriere della Sera, Venerdì 5 dicembre 1952.

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Fondazione G. A. Borgese

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Il senso della letteratura italiana, Treves, Milano 1931Saggio sul “Faust”, Treves, Milano, 1933 Poetica dell’unità. Cinque saggi, Treves, Milano 1934 Problemi di estetica e storia della critica, Mondadori, Milano 1952

Giornalismo e politica

La nuova Germania, Bocca, Torino, 1909 Italia e Germania, Treves, Milano 1915 Guerra di redenzione, Ravà e C., Milano 1915 La guerra delle idee, Treves, Milano, 1916 L’Italia e la nuova alleanza, Treves, Milano 1937 L’Alto Adige contro l’Italia, Treves, Milano 1921 Goliath, the March of Fascism, The Viking Press, New York 1937 The City of Man, a declaration of world democracy, con T. Mann e L. Mumford et. al., The Viking Press, New York 1940Common Cause, Duell, Sloan and Pearce, New York 1943, (poi Causa Comune, Milano 1949)Preliminary Draf of a World Constitution,University of Chicago Press, Chicago 1948, (poi Disegno preliminare di Costituzione mondiale, Mondadori, Milano 1949)Idea della Russia, traduzione dall’inglese di Giulio Vallese, Mondadori, Milano-Verona 1951Foundations of the World Republic, The University of Chicago Press, Chicago 1953Da Dante a Thomas Mann, a cura e con una introduzione di Giulio Vallese, Mondadori, Milano 1958La città assoluta e altri scritti, a cura e con una introduzione di Mario Robertazzi, Mondadori, Milano 1962

Libri di viaggio

Autunno a Costantinopoli, Treves, Milano 1929 Giro lungo per la primavera, Bompiani, Milano 1930 Escursioni in terre nuove, Ceschina, Milano 1931 Atlante americano, Guanda, Parma 1936