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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 144 C.6. PROBLEMATICHE AMBIENTALI CONNESSE ALLE ATTIVITÀ ESTRATTIVE IN RELAZIONE ALL’ASSETTO IDROGEOLOGICO DELLA PIANURA TORINESE. C.6.1 Premessa Nell’ambito di una corretta pianificazione dell'attività di cava degli aggregati alluvionali, riveste particolare importanza la ricostruzione generale dell'assetto idrogeologico dell'area di pianura in quanto condiziona direttamente le tipologie di escavazione e di recupero applicabili. Risulta fondamentale la determinazione sia della soggiacenza della falda superficiale rispetto al piano campagna, sia della profondità della base dell’acquifero superficiale, in modo da poter individuare le interazioni tra le eventuali escavazioni dei depositi alluvionali ed i corpi idrici sotterranei, in prospettiva di operare nella tutela delle falde medesime. Negli ultimi anni la Provincia di Torino, in collaborazione con la Regione Piemonte ed il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino, ha avviato una serie di indagini sui corpi idrici superficiali. In particolare, nell’ambito della convenzione quadro tra la Provincia di Torino e l’Università degli Studi di Torino per attività di collaborazione e di consulenza tecnico-scientifica a supporto dell’attività istituzionale dell’Area Ambiente, Parchi, Risorse Idriche e Tutela della Fauna (D.G.P. N. 21-75961-94 del 10/6/1994), la Provincia – Assessorato all’Ambiente – ha affidato al Dipartimento di Scienze della Terra l’esecuzione di attività di ricerca sul tema “Valutazione preliminare dello spessore dell’acquifero superficiale nel tratto di pianura riguardante la Provincia di Torino” (D.G.P. N. 158-179190-96 del 12/12/1996). Successivamente con D.G.P. N. 28-51848 del 7/4/1999 la Provincia di Torino ha ritenuto necessario proseguire l’attività di ricerca in quelle aree caratterizzate da una carenza di dati e per le quali era necessario un maggiore approfondimento. Per meglio individuare la profondità della base dell’acquifero superficiale, nelle suddette aree, sono state eseguite specifiche prove di pompaggio e analisi chimiche. Tali studi hanno permesso di realizzare e di fornire alla Provincia di Torino - Assessorato alle Risorse Idriche e Atmosferiche –, oltre ad una carta della soggiacenza, anche una carta idrogeologica che, sia pure con carattere di migliorabilità tramite la progressiva acquisizione di ulteriori dati, riporta l’andamento della base dell’acquifero contenente la falda superficiale. La delimitazione dell’area di studio è stata effettuata tenendo presente i seguenti aspetti del territorio: – limiti amministrativi della Provincia di Torino; – altimetria: sono state escluse le aree collinari e montane oltre i 1000 metri di altitudine; – geomorfologia: sono state prese in considerazione le vaste zone della pianura padana occidentale inserendo anche il fondovalle della bassa Val di Susa; – geologia: sono state considerate solo le aree caratterizzate da depositi alluvionali quaternari. Sono stati esclusi gli apparati morenici di Rivoli-Avigliana e di Ivrea.

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 144

C.6. PROBLEMATICHE AMBIENTALI CONNESSE ALLE ATTIVITÀ ESTRATTIVE IN RELAZIONE ALL’ASSETTO IDROGEOLOGICO DELLA PIANURA TORINESE.

C.6.1 Premessa

Nell’ambito di una corretta pianificazione dell'attività di cava degli aggregati alluvionali, riveste particolare importanza la ricostruzione generale dell'assetto idrogeologico dell'area di pianura in quanto condiziona direttamente le tipologie di escavazione e di recupero applicabili. Risulta fondamentale la determinazione sia della soggiacenza della falda superficiale rispetto al piano campagna, sia della profondità della base dell’acquifero superficiale, in modo da poter individuare le interazioni tra le eventuali escavazioni dei depositi alluvionali ed i corpi idrici sotterranei, in prospettiva di operare nella tutela delle falde medesime. Negli ultimi anni la Provincia di Torino, in collaborazione con la Regione Piemonte ed il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino, ha avviato una serie di indagini sui corpi idrici superficiali. In particolare, nell’ambito della convenzione quadro tra la Provincia di Torino e l’Università degli Studi di Torino per attività di collaborazione e di consulenza tecnico-scientifica a supporto dell’attività istituzionale dell’Area Ambiente, Parchi, Risorse Idriche e Tutela della Fauna (D.G.P. N. 21-75961-94 del 10/6/1994), la Provincia – Assessorato all’Ambiente – ha affidato al Dipartimento di Scienze della Terra l’esecuzione di attività di ricerca sul tema “Valutazione preliminare dello spessore dell’acquifero superficiale nel tratto di pianura riguardante la Provincia di Torino” (D.G.P. N. 158-179190-96 del 12/12/1996). Successivamente con D.G.P. N. 28-51848 del 7/4/1999 la Provincia di Torino ha ritenuto necessario proseguire l’attività di ricerca in quelle aree caratterizzate da una carenza di dati e per le quali era necessario un maggiore approfondimento. Per meglio individuare la profondità della base dell’acquifero superficiale, nelle suddette aree, sono state eseguite specifiche prove di pompaggio e analisi chimiche. Tali studi hanno permesso di realizzare e di fornire alla Provincia di Torino - Assessorato alle Risorse Idriche e Atmosferiche –, oltre ad una carta della soggiacenza, anche una carta idrogeologica che, sia pure con carattere di migliorabilità tramite la progressiva acquisizione di ulteriori dati, riporta l’andamento della base dell’acquifero contenente la falda superficiale. La delimitazione dell’area di studio è stata effettuata tenendo presente i seguenti aspetti del territorio: – limiti amministrativi della Provincia di Torino; – altimetria: sono state escluse le aree collinari e montane oltre i 1000 metri di altitudine; – geomorfologia: sono state prese in considerazione le vaste zone della pianura padana occidentale inserendo anche il fondovalle della bassa Val di Susa; – geologia: sono state considerate solo le aree caratterizzate da depositi alluvionali quaternari. Sono stati esclusi gli apparati morenici di Rivoli-Avigliana e di Ivrea.

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La ricerca in oggetto è stata strutturata nel seguente modo: – controllo dei dati sulla distribuzione dei pozzi idrici situati nel territorio di pianura della Provincia di Torino e sulle loro caratteristiche litostratigrafiche e di completamento; – georeferenziazione di un congruo numero di stratigrafie e costruzione di un apposito data base contenente le informazioni tecniche più importanti desumibili dalle stesse; -- definizione dei criteri da adottare per l’identificazione della zona di passaggio tra acquifero superficiale e acquifero in pressione nel territorio di pianura della Provincia di Torino; – identificazione, digitalizzazione e restituzione numerica dei bordi fisici dell’area in esame corrispondenti ad uno spessore nullo dell’acquifero superficiale; – costruzione di sezioni idrogeologiche al fine di valutare lo spessore dell’acquifero superficiale tramite criterio litostratigrafico e definizione dello spessore dell’acquifero superficiale su tutto il territorio in esame;

C.6.2 Generalità sulle caratteristiche litologico-stratigrafiche, geoidrologiche ed idrogeologiche della provincia di Torino

Sotto il profilo geoidrologico, la Provincia di Torino può essere suddivisa in due parti: – un settore di pianura (al quale si possono aggiungere i fondovalle alpini); –un settore alpino e collinare. Il settore di pianura risulta caratterizzato dalla presenza di sedimenti a granulometria da grossolana a fine che presentano di conseguenza condizioni di permeabilità variabili. All’interno di tali depositi si possono individuare varie falde idriche. Il settore alpino e collinare è invece contraddistinto dalla presenza di rocce litoidi, essenzialmente impermeabili, entro le quali, in corrispondenza di locali zone di fratturazione, possono essere presenti dei circuiti idrici che, in superficie, si rendono manifesti con la presenza di sorgenti. Le possibilità di reperimento idrico nei due settori, in conseguenza di questa differente situazione geoidrologica, fanno capo da una parte allo sfruttamento delle falde idriche sotterranee tramite pozzi, dall’altra alla captazione delle sorgenti. La pianura torinese, compresa tra il bordo alpino e quello della Collina di Torino, costituisce l’elemento di raccordo tra la pianura cuneese ed il resto della pianura padana e rappresenta di gran lunga il serbatoio idrico più importante di tutta la Provincia di Torino. L’assetto litologico-stratigrafico è piuttosto complesso e risulta caratterizzato da depositi alluvionali, fluvio-glaciali e lacustri, tutti di ambiente continentale, di età Pliocene superiore-Olocene, sovrapposti ad un substrato terziario di origine marina. Ove questo substrato è rappresentato da termini del Pliocene, sono presenti sabbie e sabbie limose nella parte superiore e limi e limi argillosi in quella inferiore.

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I sedimenti pliocenici, a loro volta, poggiano su un substrato marino più antico (Eocene-Miocene) di natura prevalentemente marnosa e arenaceo-conglomeratica, formato da rocce compatte e praticamente impermeabili, che costituisce l’ossatura della Collina di Torino. Per ciò che riguarda l’assetto idrogeologico, il sottosuolo dell’area in studio, sulla base delle caratteristiche litostratigrafiche, può venire suddiviso nei seguenti complessi a comportamento omogeneo: – Complesso Superficiale, costituito da depositi di ambiente continentale (sedimenti fluviali e fluvioglaciali) di età Pleistocene medio-Olocene; – Complesso Villafranchiano, costituito da alternanze di depositi fluviali, in genere grossolani e permeabili, e depositi lacustri, in genere a tessitura fine ed impermeabili, di età Pliocene superiore-Pleistocene inferiore; – Complesso Pliocenico, rappresentato da termini sabbiosi riferibili alla Facies Astiana e da termini argillosi riferibili alla Facies Piacenziana; la facies sabbiosa, in quanto permeabile, rappresenta il cosiddetto Acquifero Pliocenico; – Complesso dei depositi marini, di età pre-Pliocene, collegabile alle successioni dei depositi terziari, essenzialmente impermeabili, affioranti nella Collina di Torino; – Substrato cristallino, caratterizzato dalla presenza di materiali litoidi cristallini che si comportano da substrato impermeabile e bordano l’area di pianura nei settori occidentale e settentrionale.

C.6.3 I complessi idrogeologici

I depositi fluvioglaciali e fluviali del Complesso Superficiale sono formati essenzialmente da ghiaie e sabbie con subordinate intercalazioni limoso-argillose; si tratta pertanto di materiali molto permeabili. I depositi più recenti, di età olocenica, sono distribuiti lungo i principali corsi d’acqua, dove costituiscono fasce di larghezza variabile, massima nel tratto di pianura a sud di Moncalieri. Lo spessore del Complesso Superficiale è molto variabile, mediamente compreso tra una ventina e una cinquantina di metri. Al di sotto di tale complesso segue, come regola, la cosiddetta serie «Villafranchiana». Questo insieme di depositi di origine fluviale-fluvioglaciale, di età Pleistocene medio-Olocene, rappresenta il cosiddetto Acquifero Superficiale e contiene una falda idrica a superficie libera. L’insieme di questi depositi forma una serie di ripiani terrazzati, di età decrescente dai più rilevati a quelli di quota minore. I termini più antichi, topograficamente più elevati, presentano in superficie un paleosuolo argilloso che, dove conservato, garantisce una certa protezione naturale alle sottostanti falde idriche, in quanto riduce la possibilità di infiltrazione; i termini più recenti, sprovvisti di paleosuolo argillificato in superficie, risultano pertanto molto più vulnerabili.

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Il Complesso Villafranchiano è formato da alternanze di sedimenti di ambiente fluviale (ghiaie e sabbie) e di ambiente lacustre-palustre (limi e argille con frequenti intercalazioni di livelli ricchi di sostanza organica di origine vegetale). I massimi spessori di «Villafranchiano» nel sottosuolo torinese sono situati in corrispondenza di una vasta ma blanda depressione a forma di sinclinale, situata in corrispondenza al tratto di Pianura Torinese-Canavesano e in due più ridotti bacini, situati ai lati dell’alto strutturale sepolto che va da Moncalieri verso La Loggia ed oltre. Nel Complesso Villafranchiano, in corrispondenza dei livelli più grossolani e molto permeabili di origine fluviale, sono contenute varie falde idriche in pressione, confinate dai livelli limoso-argillosi di origine palustre-lacustre, che funzionano, pertanto, da setti impermeabili. Il sistema multifalde in pressione contenuto nel Complesso Villafranchiano rappresenta il sistema idrico più sfruttato e redditizio della Pianura Torinese, anche a motivo delle sue caratteristiche di elevata protezione naturale. Le varie falde in pressione dell’Acquifero Villafranchiano sono, come dato generale, abbastanza ben separate tra loro e, soprattutto, sono nettamente distinte dalla falda superficiale. Occorre sottolineare, però, che, avvicinandosi al bordo alpino, le falde tendono a collegarsi tra loro e con la falda superficiale, formando un acquifero praticamente indifferenziato. Pertanto è proprio nell’area perialpina che si situa la zona di ricarica di questo sistema multifalde. Si tratta di un settore da salvaguardare da possibilità di inquinamento: si dovrà evitare sia il diretto trasferimento di quest’ultimo dalla superficie alle falde idriche, sia la sua trasmissione dai corsi d’acqua alle falde idriche nelle zone in cui i rapporti si fanno di interdipendenza. I litotipi che caratterizzano il Complesso Pliocenico vanno dalle sabbie alle argille, con predominanza di depositi più grossolani verso i bordi alpino e collinare e di depositi fini verso la zona assiale della pianura. Nel complesso dei depositi marini pliocenici vi è una certa alternanza tra sedimenti grossolani, essenzialmente sabbiosi (la cosiddetta facies Astiana), e depositi fini; questi ultimi consentono la presenza negli orizzonti sabbiosi di falde idriche in pressione, con buone rese dal punto di vista dell’utilizzazione. Il Substrato terziario pre-pliocenico della Collina di Torino è invece costituito dai depositi marini del Bacino Terziario Piemontese che bordano il settore sud-occidentale dell’area considerata. Questa serie di depositi terziari, prevalentemente costituita da sedimenti pelitico-siltosi, con intercalazioni detritiche grossolane per lo più cementate, si chiude con sedimenti argilloso-marnosi riferibili al Miocene superiore (Messiniano). Nella parte più recente dei depositi marini pre-pliocenici (Miocene superiore) si rileva la presenza di orizzonti con gesso che possono risultare importanti per la mineralizzazione delle acque, a motivo della grande solubilità di questo minerale. Nel suo insieme il substrato collinare si comporta da complesso impermeabile. Le rocce che formano il substrato cristallino dell’arco alpino sotteso alla Pianura Torinese sono rappresentate da gneiss di vario tipo, micascisti, quarziti, termini vari delle pietre verdi (prasiniti, anfiboliti, serpentiniti), graniti, porfidi, calcari e loro derivati metamorfici. In particolare, i bacini

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idrografici della Dora Riparia e della Dora Baltea sono caratterizzati da una notevole presenza di metaderivati provenienti dal metamorfismo di rocce carbonatiche; vi affiorano, infatti, calcescisti, calcescisti filladici, calcari, calcari dolomitici, gessi e carniole. Questi litotipi caratterizzano soprattutto lo zoccolo cristallino della parte alta delle due valli e, dal loro smantellamento, è derivata una gran quantità dei clasti che forma la matrice solida nei depositi alluvionali dei rispettivi fondovalle e della pianura ad essi sottesa. Il substrato cristallino è costituito da materiali litoidi praticamente insolubili, impermeabili o con locale permeabilità in gran parte legata alla presenza di sistemi di discontinuità di origine tettonica che consentono una limitata circolazione idrica. Fanno eccezione le rocce carbonatiche (marmi e calcescisti) che risultano più facilmente solubili: esse, infatti, possono dare origine a moderati fenomeni di carsismo contribuendo, con il fenomeno della dissoluzione della matrice carbonatica, ad un aumento della durezza delle acque.

C.6.4 Cenni sulla piezometria e la soggiacenza della falda idrica a superficie libera

Per quanto concerne la falda idrica a superficie libera, (“falda superficiale”) le isopieze presentano un andamento generale parallelo al contorno del bordo alpino, con valori delle quote piezometriche via via decrescenti andando verso il corso del Fiume Po. Le linee di deflusso, ortogonali alle isopieze, costituiscono varie direttrici che si innestano con andamento a raggiera nel corso del Po, il quale rappresenta il livello di base. La spaziatura tra le isopieze risulta più fitta nel settore di alta pianura, traducendo sia l’effetto della pendenza topografica, maggiore nella zona d’apice delle grandi conoidi alluvionali e via via decrescente verso la zona d’unghia, sia quello della permeabilità. I valori del gradiente idraulico, calcolati lungo alcune direttrici, sono compresi tra valori prossimi a 1% nel settore di alta pianura e a 0,1% in quello di bassa. La soggiacenza (cioè la distanza tra il piano campagna e la superficie piezometrica della falda idrica), come dato generale, in corrispondenza alle aree morfologicamente rilevate, risulta elevata; ad esempio, gli alti terrazzi di età «mindeliano-rissiana», riferibili ai depositi di conoide della Stura di Lanzo (Vauda e Parco della Mandria) e della Dora Riparia (zona di Rivoli, Collegno, Alpignano, Pianezza, ecc.), sono caratterizzati da valori di soggiacenza generalmente maggiori a venti metri. Le situazioni di minor soggiacenza si verificano in una vasta area, corrispondente al settore mediobasso della Pianura Torinese, con appendici che si spostano anche verso l’alta pianura e, quindi, verso il bordo alpino. La situazione è più o meno analoga andando dal settore sud-occidentale (Torrente Pellice e Chisola) a quello settentrionale (Torrente Orco e Fiume Dora Baltea). In linea generale si è osservato che l’entità dell’escursione della falda a superficie libera è in relazione diretta con la soggiacenza e cioè aumenta con l’aumentare di quest’ultima: l’escursione della falda è, all’incirca, dell’ordine di 0,5-1 m nell’intervallo di soggiacenza 0-3 m e diventa dell’ordine di qualche metro per soggiacenze superiori a 20 m.

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C.6.5 Criteri per la definizione della base del complesso superficiale

Da un punto di vista litostratigrafico, come si è visto precedentemente, sono stati riconosciuti una serie di complessi legati a differenti ambienti deposizionali. I depositi alluvionali quaternari, essendo costituiti da materiali prevalentemente grossolani, sono i più permeabili. Essi costituiscono l’Acquifero Superficiale, ospitante una falda a superficie libera di importanza ed estensione regionale. Nei sottostanti depositi in Facies Villafranchiana, costituiti da alternanze più o meno marcate di depositi permeabili (ghiaie e sabbie) ed impermeabili (limi e argille) si individua, invece, un acquifero multifalde in pressione. Tale acquifero è pressoché continuo nel settore settentrionale dell’area di studio, mentre si individua solo localmente nel settore meridionale. Talora, tuttavia, non è possibile individuare un vero limite litologico come elemento separatore tra i due complessi idrogeologici considerati (ad esempio in corrispondenza all’area dell’Altopiano di Poirino). In questi casi risulta pertanto necessario fare ricorso a criteri differenti. Vengono di seguito descritti i principali criteri utilizzabili per la distinzione tra acquifero superficiale ed acquifero in pressione profondo. - Criterio litostratigrafico Il criterio litostratigrafico viene utilizzato nei casi in cui, tramite la ricostruzione dell’assetto del sottosuolo mediante l’utilizzo di stratigrafie di pozzi e sondaggi, si delinei una netta superficie di separazione tra i due differenti complessi acquiferi. Nel caso in esame, tale superficie risulta individuata dalla presenza di spessori significativi di depositi fini (limoso-argillosi), sufficientemente continui dal punto di vista areale, in grado di separare l’insieme di depositi ghiaioso-sabbiosi del primo complesso acquifero dall’insieme delle alternanze di sedimenti di ambiente fluviale (prevalentemente ghiaie e sabbie) e di ambiente lacustre-palustre (prevalentemente limi e argille) dell’acquifero profondo. - Criterio idrogeologico Rappresenta il criterio maggiormente attendibile e lo si adotta laddove esistano prove sperimentali. La differenziazione tra i due complessi emerge dal grado di confinamento delle falde sotterranee, valutabile attraverso rigorose prove di pompaggio, di fidato riscontro, in regime transitorio, in grado di definire in modo univoco la tipologia della falda sottoposta alla prova. Nel caso in esame, il complesso superficiale è caratterizzato dalla presenza di una falda a superficie libera, talora a drenaggio ritardato, mentre il complesso profondo è caratterizzato dalla presenza di falde confinate o a grado di confinamento parziale. - Criterio idrochimico Dal punto di vista idrogeochimico, sia a livello di elementi maggiori sia a livello isotopico (O18, deuterio per quanto concerne gli isotopi stabili, H 3 e C14 per quanto concerne quelli instabili) esiste, come regola, una buona differenziazione tra falda idrica superficiale e falda profonda in pressione (BORTOLAMI et Al. 1996). Inoltre, la falda idrica superficiale è caratterizzata da presenza di parametri chimici di origine antropica (ad esempio i nitrati) che la distinguono ulteriormente dal corpo acquifero profondo.

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Questa differenziazione chimica riflette, quindi, una zonazione verticale tra complessi diversi che ne consente una separazione. - Criterio multiparametrico Questo criterio deriva dall’incrocio e dalla sovrapposizione dei criteri precedentemente descritti, laddove questi sussistano contemporaneamente; certamente rappresenta il criterio più preciso per la separazione tra i due complessi acquiferi in questione.

C.6.6 Carta della base dell’acquifero superficiale del settore di pianura della provincia di Torino

Acquisizione di dati stratigrafici e costruzione delle sezioni idrogeologiche Al fine di realizzare la suddivisione tra acquifero superficiale e acquifero profondo nell’area in esame, è stato necessario effettuare una dettagliata ricostruzione dell’assetto litostratigrafico del sottosuolo tramite l’utilizzo di numerose stratigrafie di pozzi per acqua. Le stratigrafie, reperite presso vari Enti (Regione Piemonte, Enti Acquedottistici, Provincia di Torino, Università di Torino, Aziende Sanitarie Locali, Comuni, Studi Professionali, ecc.), sono state organizzate per Comuni, georiferite e sottoposte ad una selezione, al fine di valutarne la migliore idoneità di utilizzo per la ricerca in oggetto. Interpretazione dei dati e realizzazione della carta Per la definizione della base del Complesso Superficiale è stato adottato il criterio litostratigrafico nel seguente modo: – dove il Complesso Villafranchiano è chiaramente individuabile a profondità inferiori a 50 metri, a prescindere dalla soggiacenza della falda superficiale, il limite è stato posto in corrispondenza del tetto del complesso stesso; – dove l’acquifero superficiale ricopre direttamente il substrato impermeabile (depositi marini della Collina di Torino o substrato cristallino alpino), il limite è stato posto in corrispondenza del substrato roccioso; – dove è presente un livello argilloso o limoso argilloso caratterizzato da spessore superiore a 8 metri e continuità laterale superiore a 1 chilometro, il limite è stato posto in corrispondenza del tetto di tale livello; – dove sono presenti più livelli argillosi, caratterizzati da uno spessore totale superiore a 8 metri e da una continuità laterale superiore a 1 chilometro, il limite è stato posto in corrispondenza del tetto del livello argilloso inferiore, considerando la fascia di transizione come appartenente al Complesso Superficiale. In alcune zone (ad esempio nel settore centro-meridionale dell’area), utilizzando il criterio litostratigrafico non è stato possibile operare una distinzione tra i due complessi, essendo presenti spessori di materiale grossolano indifferenziato superiori a 50-60 metri. In questo caso, il limite è stato posto convenzionalmente a 50 metri di profondità in quanto, sulla base di studi pregressi (DE

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LUCA et Al., 1995), è possibile individuare una differenziazione idrochimica tra le acque prelevate al di sopra di tale profondità indicativa, spesso caratterizzate anche da apporti inquinanti provenienti dalla superficie, e le acque più profonde, aventi caratteristiche idrochimiche migliori. Dal momento che per alcune aree (ad esempio i campi pozzi idropotabili di La Loggia-Carignano, Venaria, Volpiano, Scalenghe, Chivasso, Torrazza Piemonte) sono disponibili i risultati di prove di pompaggio che hanno definito la tipologia di falda presente nel sottosuolo, è stato possibile utilizzare anche il criterio idrogeologico per la definizione della base del Complesso Superficiale. Dall’esame della carta della base dell’acquifero superficiale, si nota come tale superficie rifletta l’andamento della topografia; generalmente questa superficie digrada verso un asse all’incirca coincidente con l’attuale corso del Fiume Po, con un gradiente dell’ordine di 1% nella fascia pedemontana, che tende a diminuire fino a circa il 2% nella zona di bassa pianura.

C.6.7 L’attività estrattiva in relazione all’assetto idrogeologico della pianura torinese

Dalle suesposte considerazioni in merito all’assetto idrogeologico (relative alla base dell’acquifero superficiale ed alla soggiacenza della superficie piezometrica) sarà possibile, in prima approssimazione, distinguere le situazioni in cui l'attività estrattiva può produrre interferenze con la falda, da quelle in cui gli scavi possono essere condotti senza intercettare la superficie piezometrica. Particolare attenzione dovrà essere posta ai valori di soggiacenza che, nel caso in esame, sono stati ricavati da misurazioni relative a diversi pozzi ubicati nel territorio della pianura, le cui stratigrafie sono state utilizzate per la ricostruzione delle caratteristiche dei giacimenti stessi. Nella trattazione dei suddetti dati, si è tenuto conto di un numero ridotto di informazioni rispetto a quelle disponibili. Alcune limitazioni, infatti, sono state imposte dalla presenza di alcuni pozzi profondi che ancora captano contemporaneamente dai diversi acquiferi attraversati, sicché il livello statico indicato non è attendibile, in quanto influenzato dai livelli dei diversi acquiferi, di cui alcuni possono essere in pressione. Un altro limite è costituito dal fatto che le misure allegate ad alcune delle stratigrafie considerate si riferiscono a letture eseguite in anni e soprattutto in stagioni differenti, la qual cosa ha comportato una attenta analisi della attendibilità del dato e l'accantonamento dei valori risultati anomali. Non bisogna inoltre dimenticare che la soggiacenza è un dato dinamico, e come tale, è rappresentata da un valore estremamente variabile. Nella carta a cui si fa riferimento è stata indicata la soggiacenza minima in relazione ai dati fino ad ora disponibili, la quale può non corrispondere a quella assoluta. Per tali ragioni e per la mancanza di studi puntuali che ricoprano tutto il territorio provinciale, sarà necessario, ogni qualvolta lo scavo si avvicini alla ipotetica superficie piezometrica, ricorrere alla richiesta di studi specifici, riferiti al livello di massima escursione della falda. Anche le informazioni raccolte al fine di ricostruire l’assetto litostratigrafico ed individuare la base dell’acquifero superficiale, in alcuni casi, si sono rivelate scarse. A tal proposito si prospetta un

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miglioramento delle conoscenze acquisite che potrà pervenire dal reperimento di informazioni stratigrafiche disponibili in futuro. La relativa cartografia, però, potrà essere aggiornata nel suo complesso alla luce di tutte le informazioni disponibili e, soprattutto, evitando modifiche locali che non tengano conto dell’assetto idrogeologico e litostratigrafico a scala provinciale. Pertanto si ritiene che il dato della base dell’acquifero riportato sulla Carta della base dell’ acquifero superficiale, sopra richiamata, sia da assumersi come limite della profondità di scavo, indipendentemente da dati e stratigrafie differenti ricavati a scala locale. Nella successiva fase di lavoro verranno pertanto indicate le prescrizione tecniche relativamente al numero ed alla posizione dei piezometri necessari ai fini di un ottimale controllo qualitativo e quantitativo della falda superficiale.

C.6.8 Aree di ricarica degli acquiferi profondi

1. Definizione di Aree di ricarica

L’area di ricarica di un acquifero può essere definita come: “la superficie dalla quale proviene alimentazione al corpo idrico sotterraneo considerato; è costituita dall'area nella quale avviene l'infiltrazione diretta alle acque sotterranee delle acque meteoriche o dall'area di contatto con i corpi idrici superficiali (laghi, corsi d'acqua naturali o artificiali) dai quali le acque sotterranee traggono alimentazione”. (“Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province Autonome- Accordo 12 dicembre 2002 -Linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l'individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all'art. 21 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152”).

Le aree di ricarica sono quindi definibili sinteticamente come quelle zone ove avviene l'infiltrazione delle acque meteoriche che alimenta gli acquiferi della pianura; questi rappresentano i serbatoi naturali di acqua sotterranea da cui dipendono gran parte degli acquedotti piemontesi.

Le aree di ricarica degli acquiferi superficiali contenenti la falda freatica, corrispondono all’intera superficie della pianura; la ricarica avviene soprattutto per apporto verticale dalla superficie del suolo e l’entità della ricarica è fortemente condizionata dalla permeabilità dei suoli e dei terreni della zona non satura. Una parte della ricarica è comunque legata anche alle perdite dei corsi d’acqua al loro sbocco in pianura; una parte di tali perdite va ad alimentare anche gli acquiferi profondi.

Gli acquiferi profondi vengono ricaricati sia attraverso gli acquiferi sovrastanti, sia e soprattutto per apporti laterali.

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Figura C.6/1: schematizzazione concettuale delle aree di ricarica in area di pianura

Le aree di interesse nei confronti di attività di cava sono rappresentate dalle aree di ricarica degli acquiferi profondi, risultando tra l’altro la ricarica delgli acquiferi superficiali praticamente ubiquitaria. In Piemonte le aree di ricarica laterale degli acquiferi profondi (cfr. figura C.6/1) corrispondono generalmente alle conoidi alluvionali che si trovano allo sbocco in pianura dei corsi d'acqua o comunque a fasce di territori pedemontani. Tali aree sono in genere costituite da materiali grossolani molto permeabili e pertanto vulnerabili rispetto all'infiltrazione di eventuali inquinanti dalla superficie.

Nelle pianure, le zone di raccordo con i rilievi sono aree a elevato rischio idrogeologico in quanto gli inquinanti qui infiltrati possono essere diffusi verso il centro della pianura negli acquiferi profondi. D'altra parte proprio l'elevata permeabilità dei terreni comporta un forte rischio di contaminazione - soprattutto da parte di inquinamenti conservativi - dei corpi idrici sotterranei con grave pregiudizio per le numerose utilizzazioni, anche idropotabili, esistenti e in progetto. L'elevata concentrazione insediativa soprattutto industriale che caratterizza questa fascia rende questo rischio particolarmente reale e presente.

Si tratta quindi di territori notevolmente estesi e spesso antropizzati che devono essere individuati e studiati per definirne le caratteristiche intrinseche e per i quali diventa essenziale disciplinare le attività e le destinazioni d'uso del suolo compatibili con le particolari esigenze di salvaguardia ambientale.

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2. Aree di ricarica degli acquiferi profondi nella porzione di pianura del territorio della Provincia di Torino : considerazioni sulla cartografia delle aree di ricarica riportati nel PTP

Fig. Aree di ricarica riportate nel Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino.

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Porzione di pianura La cartografia delle aree di ricarica in esame è quella relativa al Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino. In figura ne è riportato uno stralcio. Per le aree di ricarica individuate non è precisato se esse sono relative agli acquiferi superficiali o a quelli profondi. Vista comunque la loro posizione, esse devono plausibilmente riferirsi agli acquiferi profondi e alla ricarica per perdita dai corsi d’acqua riguardo acquiferi superficiali. Esse formano una serie di strette fasce a ridosso dei rilievi e in prossimità dello sbocco in pianura dei corsi d’acqua alpini. Vengono inoltre incluse le aree pianeggianti comprese all’interno degli anfiteatri morenici di Rivoli e Avigliana e di Ivrea, nonché una stretta fascia sull’altipiano di Poirino a ridosso della Collina di Torino. Tali zone sono separate da vasti tratti di pianura non incluse nelle aree di ricarica per le quali la ricarica non viene evidentemente ritenuta possibile; tali tratti corrispondono in genere, ma non sempre, agli alti terrazzi dei depositi fluviali più antichi.

In base alle conoscenze finora acquisite le zone proposte, pur condivisibili, non appaiono esaurienti della possibile reale estensione delle aree di ricarica degli acquiferi profondi. Appaiono infatti escluse anche ampie zone dove tale ricarica è plausibilmente presente. Vi è quindi la necessità di un futuro approfondimento di tale tematismo che permetta di individuare in maniera esaustiva l’estensione delle aree di ricarica degli acquiferi profondi di pianura. A tale proposito è necessario evidenziare che il Piano di Tutela delle Acque (PTA) della Regione Piemonte (adottato dalla Giunta regionale con deliberazione n. 28-2845 del 15/05/2006), riporta, nelle parti dedicate alle zone di protezione delle acque destinate al consumo umano, specifiche indicazioni sulle aree di ricarica degli acquiferi. In particolare il PTA ne presenta una prima individuazione ad una scala 1:500.000 (Tavola di Piano n. 8 ed Allegato 9 alle Norme di Piano) rimandando a successivi approfondimenti la definizione di dettaglio sul territorio di dette aree. L’art. 24 – comma 4 - delle Norme di Piano sancisce che debba essere la Regione, sulla base di specifici studi, alla delimitazione a scala di maggior dettaglio delle zone di protezione delle acque destinate al consumo umano, comprendenti le aree di ricarica. In attesa della definizione del dettaglio di dette aree da parte della Regione, che avverrà a seguito dell’approvazione definitiva del PTA, si ritiene di utilizzare l’individuazione riportata nel PTC provinciale.

Aree di ricarica degli acquiferi nella porzione montana del territorio della Provincia di Torino Nelle aree montane le aree indicate come “aree di ricarica degli acquiferi carsici” non corrispondono ad una estesa presenza di rocce calcaree (carsificate o meno) in grado di dare origine ad acquiferi carsici significativi. Pertanto si ritiene che tale individuazione non possa essere utilizzata ai fini del presente piano per definire indicazioni o vincoli specifici.

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3. Indicazioni sulle aree di ricarica riportate nel Piano Territoriale Regionale della Regione Piemonte Art. 37: Zona di ricarica delle falde 1. Sono individuate come zone di ricarica delle falde quelle che hanno caratteristica diriserva nei complessi acquiferi fessurati o carsici nelle aree alpine e le zone di potenziale ricarica delle falde nelle aree di pianura e di collina. 2. I piani territoriali Provinciali sottopongono a verifica e delimitano in forma puntuale, sulla base di specifici studi, gli ambiti delle zone di ricarica delle falde; la Regione, attraverso la pianificazione territoriale e/o di settore, provvederà alla delimitazione definitiva, ad integrazione o a variante al presente piano. 3. Prescrizioni immediatamente vincolanti: ferme le disposizioni di cui alla legge 10.5.1976 n. 319 e successive modificazioni, al DPR 24.5.1988 n 236, alla Legge 18.5.1989 n 183 e successive modificazioni, al DL 14.6.1989 n.229 e alla legge 5.1.1994 n 36, il Piano direttore regionale di settore detta le norme di tutela e di protezione delle zone di ricarica delle falde. 4. Prescrizioni che esigono attuazione: a. Nelle zone di ricarica delle falde la valutazione di impatto ambientale richiesta ai sensi dell’art. 6 della legge 349/86 dovrà anche verificare la compatibilità delle singole opere con i carattere del regime delle acque sotterranee. b. Nelle zone di ricarica delle falde i Prg comunali dovranno escludere la possibilità di localizzazione di attività produttive incluse nell’”lenco delle industrie insalubri” di cui all’art. 216 del T.U. delle leggi sanitarie.

In riferimento alle disposizioni di cui al comma 2 è necessario fare riferimento anche alla pianificazione regionale di settore – PTA – ed in particolare all’art. 24 delle Norme di Piano, pur ricordando che tale documento è ad oggi in fase di consultazione presso il Consiglio regionale per la sua definitiva approvazione.

4 Indicazioni sulle aree di ricarica degli acquiferi profondi riportate nel DPAE

“Nei settori pedemontani e pedecollinari, corrispondenti alle zone altimetricamente più rilevate dei

sistemi di flusso, si verificano frequentemente condizioni in cui esiste un gradiente idraulico verticale

negativo fra acquiferi sovrapposti; in queste condizioni gli scambi idrici fra la falda superficiale e quelle più

profonde è diretto verso i termini inferiori.

Queste zone risultano quindi particolarmente importanti sotto il punto di vista della vulnerabilità degli acquiferi, in quanto, a causa della possibilità di flusso discendente, un eventuale carico inquinante potrebbe essere trasmesso anche alle falde profonde, con la

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possibilità di interessare l'intero corpo idrico, anche laddove esso risulterebbe naturalmente protetto.

Le principali zone dove si possono rinvenire queste condizioni risultano essere:

- l'alta pianura Biellese-Vercellese, in cui si può identificare la zona di ricarica degli acquiferi della

pianura vercellese-novarese;

- i settori apicali delle conoidi degli affluenti in sinistra orografica del Po, compresi fra la Dora Baltea

ed il Pellice;

- le conoidi dei tributari in destra del Po costituenti l'alta pianura Cuneese ed alcune aree adiacenti

alla zona prealpina Monregalese;

- le aree prossime agli sbocchi in pianura dei principali corsi d'acqua appenninici e lungo lo Scrivia a

monte di Tortona.

In queste aree l'attività estrattiva dovrà essere particolarmente attenta a non intercettare i livelli impermeabili che separano le falde superficiali da quelle profonde, nonché a mettere in atto tutte le misure idonee ad evitare possibili immissioni accidentali e/o dolose di inquinanti al termine della coltivazione.”

Tali aree rappresentano zone da cui un eventuale inquinante potrebbe essere trasferito alle falde profonde, anche dove esse risultano naturalmente protette. E’ quindi necessario cautelativamente vietare le cave che entrino in connessione con le falde idriche sotterranee. In particolare in tale aree dovranno essere vietate le cave sottofalda; l’attività estrattiva dovrà quindi tenersi almeno 1 metro al di sopra del massimo livello piezometrico della falda libera.

C.6.9 Aree di salvaguardia delle acque destinate a consumo umano

1. Definizione e Legislazione vigente L'introduzione delle aree di salvaguardia delle captazioni, definita generalmente con il termine di “protezione statica”, ha lo scopo di determinare l'estensione e i vincoli d'uso del territorio e i controlli delle attività al fine di garantire nel tempo la possibilità dell'approvvigionamento idrico potabile. In questi provvedimenti vengono stabilite zone, determinate prevalentemente con criterio geometrico o cronologico, nelle quali si hanno divieti e regolamentazioni per le attività e gli insediamenti al fine di conservare nel tempo la possibilità di un idoneo approvvigionamento idrico; occorre che le aree di salvaguardia siano suddivise in: 1. zona di tutela assoluta 2. zona di rispetto (ristretta e allargata) 3. zona di protezione

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In particolare il D.lgs 152/2006 fornisce le seguenti indicazioni: “4. La zona di tutela assoluta e' costituita dall'area immediatamente circostante le captazioni o

derivazioni; essa deve avere una estensione, in caso di acque sotterranee e, ove possibile, per le

acque superficiali, di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione; essa deve essere

adeguatamente protetta e adibita esclusivamente ad opere di captazione o presa e ad infrastrutture

di servizio.

5. La zona di rispetto e' costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta;

essa è da sottoporre a vincoli e destinazioni d'uso tali da tutelare qualitativamente e

quantitativamente la risorsa idrica captata e può essere suddivisa in zona di rispetto ristretta e

zona di rispetto allargata, in relazione alla tipologia dell'opera di presa o captazione e alla

situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa. In particolare nella zona di rispetto sono

vietati l'insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività:

a) dispersione di fanghi ed acque reflue, anche se depurati;

b) accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi;

c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l'impiego di tali sostanze sia

effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della

natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della

vulnerabilità delle risorse idriche;

d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade;

e) aree cimiteriali;

f) apertura di cave che possono essere in connessione con la falda;

g) apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di

quelli finalizzati alla variazione della estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-

quantitative della risorsa idrica;

h) gestione di rifiuti;

i) stoccaggio di prodotti ovvero sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive;

l) centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli;

m) pozzi perdenti;

n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente

negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. E' comunque vietata la

stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.

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6. Per gli insediamenti o le attività di cui al comma 5, preesistenti, ove possibile e comunque ad

eccezione delle aree cimiteriali, sono adottate le misure per il loro allontanamento; in ogni caso

deve essere garantita la loro messa in sicurezza.

7. In assenza dell'individuazione da parte della regione della zona di rispetto ai sensi del comma 1,

la medesima ha un'estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di

derivazione.

8. Le zone di protezione devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni per

assicurare la protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure relative alla

destinazione del territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti civili,

produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali,

provinciali, regionali, sia generali sia di settore.”

Nelle aree di tutela assoluta e nell’ area di rispetto ristretta di captazioni acquedottistiche (sorgenti, pozzi, acque superficiali) dovrà essere vietata ogni attività di cava.9 Nell’ area di rispetto allargata di captazioni acquedottistiche sono ammesse esclusivamente cave soprafalda, a fronte di una specifica valutazione di compatibilità con il prelievo in atto che dovrà essere verificata nel corso dell’istruttoria. Per le cave esistenti, ove possibile, sono adottate le misure per la loro cessazione per la porzione che interessa l’area di salvaguardia ; in ogni caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza.

C.6.10 Zone di riserva idrica

1. Definizione e Legislazione vigente

Le zone di riserva sono definite come le zone interessate da risorse idriche pregiate che possono essere delimitate e gestite per preservare nel tempo la quantità e qualità delle delle acque, anche ai fini della possibilità di un loro futuro utilizzo, con particolare riferimento a quelle dotate di caratteristiche di potabilità.

In particolare il D.lgs 152/2006 fornisce le seguenti indicazioni:

9 Il D.Lgs. 152/2006 – art. 94, comma 4 – sancisce che nelle zone di rispetto è vietato l’insediamento di centri di pericolo e lo svolgimento di una serie di attività. Tra quelli elencati dallo stesso comma di legge il punto f) recita: apertura di cave che possono essere in connessione con la falda. Considerato che la connessione con la falda non è una condizione espressamente e direttamente collegata con un concetto di contatto diretto (cave sottofalda) ma ad un concetto di rischio di contaminazione, si può pensare di estendere il divieto a tutte le attività di cava.

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Le Regioni, al fine della protezione delle acque sotterranee, anche di quelle non ancora utilizzate per l'uso umano, individuano e disciplinano, all'interno delle zone di protezione, le seguenti aree: a) aree di ricarica della falda;b) emergenze naturali ed artificiali della falda; c) zone di riserva. In particolare in tale aree dovranno essere vietate le cave sottofalda; l’attività estrattiva dovrà tenersi almeno 3 metri al di sopra del massimo livello piezometrico della falda libera. La definizione di tali aree a scala regionale è stata effettuata a livello di macroaree nell’ambito del PTA, Allegato 9 che individua le “Zone di riserva caratterizzate dalla presenza di risorse idriche superficiali e sotterranee non ancora destinate al consumo umano ma potenzialmente destinabili a tale uso”. Così come già precedentemente indicato dovrà essere la Regione stessa, sulla base di specifici studi, a dettagliare ulteriormente dette aree. In assenza di altre indicazioni territoriali si rimane in attesa di detta definizione. Non appena le stesse verranno definite nel dettaglio si ritiene che, fatte salve ulteriori o diverse indicazioni da parte della Regione, siano ammissibili esclusivamente attività estrattive soprafalda, con profondità di scavo limitata ad almeno 3 metri al di sopra del massimo livello piezometrico della falda libera.

C.6.11 Limitazione in profondita’ delle cave sottofalda

1. Definizioni e Legislazione vigente

Le cave sottofalda sono costituite dalle escavazioni il cui fondo si pone al di sotto del massimo livello piezometrico della falda superficiale; esse quindi comportano la creazione di bacini lacustri. Riguardo le cave sottofalda il DPAE della Regione Piemonte fornisce le seguenti indicazioni: “L’attività estrattiva sotto falda deve essere limitata alla falda freatica senza creare condizioni di

comunicazione tra la falda stessa e gli acquiferi profondi.

In ogni caso l’attività estrattiva sotto falda è consentita esclusivamente in giacimenti le cui caratteristiche

consentano l’impiego dei materiali estratti per il confezionamento del calcestruzzo e/o per conglomerati

bituminosi.

Le attività estrattive di cui al presente articolo sono soggette alla procedura regionale di VIA previste

dall’art. 12 della l.r. 40/1998.”

“I progetti devono prevedere, per i siti di cava e per i relativi ambiti di competenza, un riuso finalizzato alla

fruizione pubblica o come verde attrezzato o come area a destinazione ecologico naturalistica.

Il riuso, così definito, deve essere preventivamente deliberato dal Consiglio comunale competente, ai fini di

apposita e successiva variante di PRG.C. da approvare nel corso della realizzazione del progetto estrattivo”

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Fatto salvo quanto previsto dal DPAE regionale in generale, la profondità di scavo deve essere limitata al solo acquifero superficiale: cioè lo scavo non potrà superare la base dell’acquifero contenente la falda superficiale. E’ importante sottolineare come debba essere considerata come documento di riferimento “la carta della base dell’acquifero superficiale” realizzata dall’ Amministrazione Provinciale.

C.6.12 Indagini e monitoraggi previste per le cave al fine di preservare le risorse idriche sotterranee

In fase autorizzativa dovranno essere eseguite le seguenti indagini : Indagini idrogeologiche sull’area vasta Utilizzando dati già disponibili, sarà ricostruito l’assetto idrogeologico generale dell’area vasta che consenta di comprendere il contesto idrogeologico in cui l’opera si inserisce. Saranno riportati in un raggio di almeno 10 km dalla cava e a una scala non inferiore a 1:100.000 le seguenti informazioni: tipo e grado di permeabilità delle formazioni geologiche; spartiacque superficiali e sotterranei; direzioni generali del flusso sotterraneo; eventuali aree di ricarica degli acquiferi profondi; eventuali zone di riserva delle acque sotterranee; ubicazione delle eventuali captazioni acquedottistiche; ubicazione di sorgenti significative per qualità o portata; qualità delle acque superficiali e sotterranee. Esecuzione di una sezione idrogeologica schematica passante per l’area di studio. Indagine idrogeologica di dettaglio : Sarà condotta su un raggio di almeno 1 km dall’area di concessione. Tale raggio deve essere sufficientemente incrementato nel caso lo studio dell’assetto idrogeologico indichi potenziali situazioni critiche anche a distanze maggiori. - Ricostruzione dell’assetto idrogeologico e litostratigrafico di dettaglio per una profondità di almeno 2 volte la profondità di scavo prevista. - Ricostruzione della superficie piezometrica della falda superficiale. - Censimento di pozzi e sorgenti. - Studio dell’eventuale interferenza della cava con pozzi e sorgenti (compresi i fontanili). Particolare attenzione dovrà essere posta nel caso l’attività di cava si ponga all’interno della possibile area di ricarica di una sorgente.

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- Modellizzazione delle deformazioni piezometriche indotte dall’eventuale lago di cava, anche in seguito all’evaporazione. - Prova di pompaggio, nel caso di cave sotto falda. - Valutazione dell’entità dell’evaporazione dell’eventuale lago di cava e studio della compatibilità con il bilancio idrico delle risorse idriche . In fase di esercizio dovranno essere eseguite le seguenti indagini : - Attenti monitoraggi quali-quantitativi in corrispondenza di almeno tre piezometri per le cave sopra falda e di almeno tre stazioni multipiezometriche per le cave sottofalda (costituite ognuna da tre piezometri con diversa profondità del tratto filtrante) (cfr. paragrafo A.5.7 delle Linee guida) - Monitoraggio quali-quantitativo del lago di cava (cfr. paragrafo A.5.7 delle Linee guida) - Nel caso della presenza di sorgenti (compresi i fontanili), significative per entità della portata, uso o chimismo, si procederà alla misura delle portate sorgive, con cadenza almeno mensile, su quelle più significative ritenute potenzialmente influenzabili dall’attività di cava.

C.6.13 Fasce di pertinenza fluviale

1. Indagini in fase autorizzativa

Deve essere condotta, per un tratto di corso d'acqua sufficientemente significativo, e comunque non inferiore a 1 km, una analisi idrogeologica finalizzata a valutare i seguenti elementi:

- effetti dell'attività estrattiva sulla portate di magra in termini di drenaggio del corso d'acqua e conseguenze sul minimo deflusso vitale;

- effetti indotti dall'attività estrattiva sui livelli della superficie piezometrica negli ambienti ad elevata valenza ambientale (fenomeni di prosciugamento delle zone umide);

- nelle aree in cui le risorse idriche sotterranee sono destinate all’approvvigionamento idrico: effetti indotti dall'attività estrattiva in termini di variazioni dei parametri idrogeologici e della vulnerabilità;

- effetti indotti dalle attività estrattive che interessano corpi idrici sotterranei posti a diverse profondità.

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C.7 INDIVIDUAZIONE DELLE AREE POTENZIALMENTE IDONEE ALLO SVOLGIMENTO DELL'ATTIVITÀ ESTRATTIVA

C.7.1 Metodo

Uno degli obiettivi più innovativi che il Piano si è proposto di sviluppare è stato quello di giungere nella sua fase conclusiva all’individuazione delle cosiddette “aree potenzialmente idonee”, cioè individuare tutte quelle aree in cui l’attività estrattiva è consentita e resa possibile senza condizioni di carattere generale, subordinatamente alla valutazione tecnica del progetto effettuata dalla Conferenza dei Servizi, a patto che le caratteristiche geogiacimentologiche e le condizioni geografiche del sito rendano appetibile lo sfruttamento. Fatta questa premessa , si illustra il processo che ha portato alla suddivisione del territorio della Provincia in “AREE NON IDONEE”, “AREE POTENZIALMENTE IDONEE CON CONDIZIONE” ed “AREE POTENZIALMENTE IDONEE”. A partire dal lavoro svolto durante la prima fase in cui si è cercato di verificare le possibili interferenze tra l’attività estrattiva e i caratteri del territorio in cui le cave sono localizzate, si è giunti alla definizione di tutta una serie di vincoli territoriali ed urbanistici che sostanzialmente interferiscono con l’attività estrattiva; tali vincoli sono stati poi ulteriormente approfonditi e verificati ed hanno portato all’elaborazione cartografica delle Tavole allegate in cui sono stati messi in rapporto con la distribuzione territoriale dell’attività estrattiva della Provincia ed analizzate le interferenze che si creano nei diversi casi (vedi da Tavola 1 a Tavola 15 e descrizioni dettagliate delle carte al punto C4). Una volta individuati e cartografati tutti i più importanti vincoli e rischi territoriali, sono stati verificati e discussi da tutto il gruppo e coerentemente con gli indirizzi espressi dalla Amministrazione Provinciale si è data una valutazione del peso che la normativa di settore esercita e del tipo di attività che conseguentemente vieta o autorizza. La classificazione ottenuta è la seguente: 1. Vincoli che definiscono le aree non idonee

- aree a Parco Nazionale in cui non si consente l’attività estrattiva; - aree a Parco Regionale e Provinciale (proposti o istituiti) in cui non si consente l’attività estrattiva (salvo i casi in cui la stessa sia esplicitamente prevista dal Piano d’Area);

- aree che ricadono in SIC, SIR, SIP e ZPS in cui non si consente l’apertura di nuove attività estrattive, mentre le attività esistenti, in caso d’istanza di rinnovo o di ampliamento, sono da esaminare attraverso la specifica procedura della Valutazione d’Incidenza;

- aree a rischio idrogeologico molto elevato (RME); - aree di frana attiva e quiescente (PAI, IFFI); - aree coinvolgibili dai fenomeni con pericolosità molto elevata (Ee); - aree di conoidi attivi o potenzialmente attivi non protette da opere di difesa e sistemazione a monte (Ca).

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2. Vincoli che definiscono le aree potenzialmente idonee con condizione

- aree di Particolare Pregio Ambientale e Paesistico (Provinciali e Regionali) (art.14.4 delle NdA del PTC), in cui non si vieta in assoluto l’attività estrattiva, ma si richiede oltre alla normale procedura prevista per il singolo caso, la “Valutazione Paesistica”, cioè un approfondimento dell’incidenza che l’attività estrattiva esercita sul paesaggio;10

- Beni culturali e ambientali (tav. A5 del PTC), di cui cartograficamente il proponente deve tenere conto dei beni che ricadono in prossimità del limite esterno dell’area affinchè possano essere valutate le relazioni paesistiche, strutturali ed ambientali che il progetto ha con i vincoli;

- aree con resti di paesaggi storici - aree ricadenti in oasi di protezione istituite tramite Piano faunistico-venatorio provinciale, ai sensi della l. 157/92,

- aree soggette a vincolo idrogeologico - aree soggette a D.Lgs. 42/2004 che comprendono:

- Parte III Titolo I Art.142 lettera b, ex L.431/85 (Fasce lacustri) - Parte III Titolo I Art.142 lettera c, ex L.431/85 (Fasce fluviali) - Parte III Titolo I Art.142 lettera d, ex L.431/85 (Aree montane oltre i 1600 m) - Parte III Titolo I Art.142 lettera e, ex L.431/85 (Circhi glaciali) - Parte III Titolo I Art.142 lettera f, ex L.431/85 (Parchi e riserve nazionali o regionali) - Parte III Titolo I Art.142 lettera g, ex L.431/85 (Foreste e boschi) - Parte III Titolo I Art.142 lettera h, ex L.431/85 (zone gravate da uso civico) - Parte III Titolo I Art.142 lettera i, ex L.431/85 (Zone umide incluse nell’elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n°448/1976, anche se non cartografate - Parte III Titolo I Art.142 lettera m, ex L. 1089/39 (zone di interesse archeologico)

- aree di ricarica della falda e zone di riserva idrica sotterranea - aree in fasce fluviali A e B del PAI e Fasce provinciali (Ceronda , Malone,Orco e Chisone) - aree con suoli con capacità d’uso di prima e seconda classe /IPLA) - aree agricole in contesto metropolitano (art. 4.2.3 delle NDA del PTC, tav A.3.1) - sistema dell’agricoltura specializzata e/o vitale (art. 4.2.4. delle NDA del PTC, tav.A3) - aree soggette a di valanghe - aree di frana censite in studi della provincia sul dissesto idrogeologico - aree con presenza di geositi

10 Valutazione Paesistica: valutazione d’incidenza sul paesaggio la cui metodologia è descritta in dettaglio al capitolo A.4 delle Linee Guida . 11 Valutazione Paesistica: valutazione d’incidenza sul paesaggio la cui metodologia è descritta in dettaglio al capitolo A.4 delle Linee Guida .

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Il passo successivo è stato quello di rappresentare cartograficamente su un’unica tavola la sintesi di tale processo indicando col colore rosso i vincoli forti che vietano l’apertura di nuove attività estrattive, col colore giallo tutti i vincoli che non vietano a priori l’attività estrattiva, ma pongono in un modo o nell’altro determinate condizioni che vanno dalla presentazione di studi di dettaglio sugli aspetti ambientali, alla Valutazione d’Incidenza sul Paesaggio ecc…, via dicendo a seconda dei casi e delle misure di salvaguardia che l’organo competente riterrà necessarie valutando caso per caso le singole richieste. Dalla sovrapposizione di tali aree “a vincolo” su tutto il territorio provinciale sono risultate libere alcune aree che, indicate cartograficamente in verde, possono al momento essere considerate “potenzialmente idonee”. Come anticipato inizialmente, tali aree non si possono considerare appetibili in assoluto per l’attività estrattiva, in quanto non bisogna dimenticare di far interagire dialetticamente la classificazione di tali aree, idonee e non, con l’effettiva esistenza delle “materie prime” oggetto del piano che sono i giacimenti. E’ stato perciò effettuato un confronto tra le aree vincolate e le carte geogiacimentologiche delle aree adatte alla produzione industriale di argille e aggregati (vedi Tavole 16 e 17) e delle aree di interesse per la produzione di pietra ornamentale (vedi Tavola 18) giungendo finalmente all’individuazione delle aree potenzialmente appetibili e prioritariamente disponibili per il soddisfacimento dei futuri fabbisogni provinciali di materiali di cava. Bisogna però ricordare che la metodologia utilizzata per ottenere tale risultato ha esaminato il territorio provinciale a grande scala; infatti tutte le elaborazioni sono state fatte in scala 1:100.000 e la precisione che ne risulta va rapportata alla scala di riferimento. La validità dell’elaborazione va quindi ritenuta utile per un primo studio di massima che andrà poi ulteriormente approfondito scendendo ad una scala di dettaglio maggiore che a livello metodologico è stata individuata in elaborazioni in scala 1:25.000; esse rappresentano un utile strumento per dialogare con le previsioni urbanistiche comunali e le problematiche ambientali locali connesse alle attività di scavo, in relazione alle tipologie di coltivazione e destinazione finale delle aree. Né va mai dimenticato il peculiare aspetto delle risorse estrattive, legate sia a conoscenze giacimentologiche, mai così esaustive ed aggiornate sul terreno, sia allo sviluppo di tecniche industriali che possono fare passare negli anni risorse minerali in riserve minerarie, anche con carattere strategico. Inoltre per ottenere un quadro della situazione sufficientemente verificato, consegnando così uno strumento utile a consentire una programmazione e pianificazione future dell’attività estrattiva davvero efficaci, sulla base di una conoscenza dello stato attuale del territorio il più esaustiva possibile, abbiamo incrociato le informazioni ricavate da vincoli e giacimentologia con i bacini estrattivi indicati dal DPAE (vedi Tavola 16, 17 e 18). Tale confronto è risultato utile per individuare all’interno di ciascun bacino e, conoscendone le potenzialità, il fabbisogno e la quantità di aree “potenzialmente idonee”, la possibilità che esso si renda il più possibile autosufficiente indirizzando la programmazione futura del settore verso il raggiungimento di tale obiettivo, pur con la chiara consapevolezza che in un libero mercato non si possa perseguire forzatamente una distribuzione così capillare, anche tenendo conto delle

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osservazioni già fatte sulla peculiarità del settore estrattivo, sia in termini di risorse sia di mercato di utilizzo. Le Tavole di progetto 16, 17 e 18 fornendo tuttavia un quadro generale e chiaro sullo stato delle risorse disponibili e della loro localizzazione, possono auspicabilmente agevolare le scelte della Provincia riguardo alla concentrazione delle attività di escavazione in un numero ridotto di poli, onde evitare di costituire o mantenere fattori di elevata pressione paesaggistica e ambientale, alla predilezione, se possibile, di nuove aree estrattive attigue a quelle già esistenti, evitando così l’intaccamento di nuovi territori, all’individuazione di aree produttive cessate ove sia ancora possibile recuperare risorse giacimentologiche non pienamente sfruttate nel passato, sempre all’interno di un generale intervento di recupero e salvaguardia ambientale e valorizzando quindi progettualmente tutte le sinergie localmente disponibili.

C.7.2 Gli elaborati di progetto

Tavola 16: Carta di sintesi per l’individuazione delle aree “potenzialmente idonee” alla produzione di aggregati e bacini estrattivi Fonti informative I dati utilizzati per l’elaborazione di questa carta derivano dalle carte di analisi precedentemente descritte (Tavole 1-15) e classificati in tre tipologie (aree non idonee, aree potenzialmente idonee a condizione, aree potenzialmente idonee) a seconda della forza del vincolo che rappresentano. A tali dati sono stati aggiunti i tematismi dei giacimenti di aggregati e i bacini estrattivi del DPAE. Descrizione della carta La carta nasce dalla sintesi fra la carta geogiacimentologica (che costituisce la mappa dell’offerta di risorse estrattive disponibili sul territorio provinciale per la produzione di aggregati), la classificazione del territorio in funzione delle sue caratteristiche territoriali e ambientali e i bacini estrattivi. La sua finalità è quella di evidenziare quelle aree che per caratteristiche territoriali e ambientali e per presenza di risorse si possono considerare “potenzialmente idonee” ovvero dotate delle qualità appropriate perché possano in esse essere autorizzate eventualmente attività estrattive. La carta mette in evidenza tre differenti situazioni di idoneità territoriale e ambientale: aree non idonee indicate in rosso, aree potenzialmente idonee con condizione indicate in giallo, aree potenzialmente idonee indicate in verde.

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Tavola 17: Carta di sintesi per l’individuazione delle aree “potenzialmente idonee” alla produzione di argille e bacini estrattivi Fonti informative I dati utilizzati per l’elaborazione di questa carta derivano dalle carte di analisi precedentemente descritte (Tavole 1-15) e classificati in tre tipologie (aree non idonee, aree potenzialmente idonee a condizione, aree potenzialmente idonee) a seconda della forza del vincolo che rappresentano. A tali dati sono stati aggiunti i tematismi dei giacimenti di argille e i bacini estrattivi del DPAE. Descrizione della carta La carta nasce dalla sintesi fra la carta geogiacimentologica (che costituisce la mappa dell’offerta di risorse estrattive disponibili sul territorio provinciale suddivisa in argille per ceramiche e laterizi e), e la classificazione del territorio in funzione delle sue caratteristiche territoriali e ambientali e i bacini estrattivi del DPAE. La sua finalità è quella di evidenziare quelle aree che per caratteristiche territoriali e ambientali e per presenza di risorse si possono considerare “potenzialmente idonee” ovvero dotate delle qualità appropriate perché possano in esse essere autorizzate eventualmente attività estrattive. La carta mette in evidenza tre differenti situazioni di idoneità territoriale e ambientale: aree non idonee indicate in rosso, aree potenzialmente idonee con condizione indicate in giallo, aree potenzialmente idonee indicate in verde.

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Tavola 18: Carta di sintesi per l’individuazione delle aree “potenzialmente idonee” alla produzione di pietra ornamentale e bacini estrattivi Fonti informative I dati utilizzati per l’elaborazione di questa carta derivano dalle carte di analisi precedentemente descritte (Tavole 1-15) e classificati in tre tipologie (aree non idonee, aree potenzialmente idonee a condizione, aree potenzialmente idonee) a seconda del vincolo che rappresentano. In aggiunta vi è il tematismo dei giacimenti di pietra ornamentale e i bacini estrattivi del DPAE. Descrizione della carta La carta nasce dalla sintesi fra la carta geogiacimentologica (che costituisce la mappa dell’offerta di pietra ornamentale disponibile sul territorio provinciale) e la classificazione del territorio in funzione delle sue caratteristiche territoriali e ambientali. La sua finalità è quella di evidenziare quelle aree che per caratteristiche territoriali e ambientali e per presenza di risorse si possono considerare “potenzialmente idonee” ovvero dotate delle qualità appropriate perché possano in esse essere eventualmente autorizzate attività estrattive. La carta mette in evidenza il fatto che la maggior parte dei giacimenti di pietra ornamentale è distribuita lungo il territorio montano della provincia, sebbene solo alcune di queste pietre ornamentali abbiano un reale interesse economico. Pertanto la maggior parte della attività estrattive presenti è poi concentrata in pochi punti del territorio (Luserna, Rorà, Bussoleno, Tavagnasco) anche per ovvi motivi di carattere infrastrutturale e produttivo.

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D. ANALISI E RICOGNIZIONE DELLE FONTI INTEGRATIVE DI APPROVVIGIONAMENTO DI AGGREGATI

D.1 TRATTAMENTO DI MATERIALI INTEGRATIVI PER LA PRODUZIONE DI AGGREGATI L’uso di materiali alternativi per la produzione di aggregati per calcestruzzo può risolvere al tempo stesso il problema della messa in discarica di rifiuti inerti di diverso genere e quello del reperimento di aggregati naturali, purché siano messi a punto opportuni cicli di trattamento che consentano di ottenere prodotti da riciclo di qualità paragonabile a quella degli aggregati naturali. Questo obiettivo può essere raggiunto solamente adattando il ciclo di trattamento alla specifica natura dei possibili materiali da riciclo. Pertanto nel seguito il problema è separatamente affrontato per le tre seguenti categorie di materiali: scarti lapidei, da bacini di cave di pietra ornamentale; macerie da demolizione; smarini e risulte da scavi di gallerie, fondazioni e sbancamenti.

D. 1.1 Scarti Lapidei

In linea di principio gli stessi schemi di comminuzione e classificazione in uso per la produzione di granulati da cave in roccia possono essere impiegati per la preparazione di aggregati a partire da scarti di cava di rocce ornamentali, tenendo conto di alcune precauzioni. Poiché è noto che le sabbie ottenute per comminuzione non sono in genere idonee ad essere impiegate come aggregato fine per calcestruzzo, si dovrà limitare al massimo la produzione di fini (orientativamente della classe < 5 mm). Ciò potrà essere ottenuto mediante cicli di trattamento graduali costituiti da più stadi alternati di comminuzione e vagliatura. Per limitare ulteriormente la quota di fini prodotti dalla comminuzione sarà inoltre opportuno indagare la possibilità di impiego come pietrisco da massicciata della classe 30-60 mm, scegliendo come dimensione massima del prodotto di comminuzione 60 mm, invece dei 30 mm che costituiscono di regola il limite superiore degli aggregati per calcestruzzo. Pertanto un ciclo di trattamento di scarti di cave di rocce ornamentali potrebbe essere basato sullo schema di figura D.1/1. La verifica dell’applicabilità di un ciclo di questo tipo comporta la determinazione sia delle rese che delle caratteristiche tecniche dei prodotti ottenibili. Per quanto riguarda queste ultime si ritiene che le caratteristiche mineralogiche e di durabilità si possano, almeno in fase iniziale, ritenere uguali a quelle del prodotto principale (pietra da decorazione), mentre conviene dedicare particolare attenzione alle caratteristiche distintive di un granulato, cioè alle caratteristiche granulometriche e morfometriche. Occorre infatti considerare che, anche nel caso di una pietra da decorazione di buone caratteristiche meccaniche, gli scarti di coltivazione potrebbero non essere idonei alla produzione di aggregati. Le pietre da decorazione possono infatti essere estratte in blocchi di forma regolare proprio per la

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presenza di più o meno marcati piani di anisotropia. Ma sono proprio questi piani che condizionano la produzione di grani appiattiti o allungati durante le operazioni di comminuzione. La presenza di grani appiattiti o allungati deve essere limitata negli aggregati da calcestruzzo in quanto essi hanno la tendenza ad isoorientarsi nei getti, producendo un calcestruzzo anisotropo. La forma sfavorevole influenza negativamente anche le caratteristiche di resistenza meccanica (misurate per mezzo del coefficiente Los Angeles): ciò è particolarmente importante nel caso dei pietrischi. In conclusione su tutti i prodotti ottenuti da cicli di trattamento di scarti dovranno essere determinate le caratteristiche di forma ed il coefficiente Los Angeles. Un primo confronto dei valori ottenuti con i requisiti di accettazione fissati da norme nazionali od europee per le diverse destinazioni d’uso potrà dare, caso per caso, indicazioni di massima sulle possibilità d’impiego di questi prodotti. Si ritiene inoltre utile la determinazione delle stesse caratteristiche su materiali tradizionali primari prodotti in Piemonte, sia per avere un termine di riferimento che per valutare le possibilità di uso in commistione di aggregati primari e prodotti da scarto. Infine potrà essere valutata la possibilità di migliorare le caratteristiche di forma e di conseguenza la resistenza meccanica dei prodotti, eseguendo una doppia vagliatura su superfici vaglianti rispettivamente ad aperture quadrate e rettangolari allungate in modo da eliminare una quota parte dei grani di forma più sfavorevole.

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Figura D.1/1: Ciclo di trattamento di scarti di cava di rocce ornamentali: A frantumatori alternativi; B vibrovagli; i numeri indicano le dimensioni dei prodotti in millimetri.

D.1. 2. Macerie da demolizione I materiali di risulta dalla demolizione di strutture in calcestruzzo e le macerie generiche di edifici hanno come costituenti essenziali calcestruzzo e laterizi, contaminati dalla presenza di diversi materiali indesiderati. Volendo utilizzare le macerie per la produzione di granulati è necessario modificare sostanzialmente gli schemi di trattamento in uso per gli aggregati naturali, per tener conto dei problemi particolari posti da questo tipo di scarti. Il primo problema è legato alla presenza dei ferri costituenti le armature del calcestruzzo armato. Nei circuiti di comminuzione è pertanto necessario adottare frantumatori che non siano danneggiati dalla frequente presenza di frammenti tenaci ed irrompibili. Le macchine più adeguate sono i frantumatori ad urto, dotati di particolari dispositivi di sicurezza a molla che provocano lo scostamento degli organi d’impatto (martelli, barre, piastre) quando viene superata una prefissata

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pressione limite. Con queste macchine si ottiene una buona liberazione dei ferri di armatura dal calcestruzzo ed è pertanto possibile una loro successiva separazione con separatori magnetici. Un altro problema è legato alla presenza di contaminanti leggeri (carta, plastica, legno, materiali isolanti). Gli elementi di maggiori dimensioni possono essere eliminati con cernita manuale in testa all’impianto, ma sarà comunque necessario operare una classificazione pneumatica sulle singole classi granulometriche prodotte, al fine di ottenere una buona efficienza di separazione. Uno schema di trattamento di macerie basato su questi principi è riportato in figura D.1/2. Tuttavia occorre tenere presente che un ciclo di questo tipo non consente di ottenere prodotti di buona qualità in quanto in essi sono presenti, insieme agli elementi liberi dell’aggregato originariamente usato, anche frammenti di pasta di cemento indurita e di laterizio, che sono molto più porosi degli elementi di aggregato e pertanto dotati di una molto minore resistenza meccanica. Di conseguenza il coefficiente Los Angeles di questi prodotti è sempre molto elevato e tale da precludere la maggior parte delle destinazioni d’uso. Tuttavia questi elementi indesiderati, proprio a causa della loro maggiore porosità, sono caratterizzati da una massa volumica apparente alquanto inferiore a quella degli elementi lapidei e tale differenza può essere sfruttata per la loro separazione. Infatti, mentre la massa volumica degli aggregati è dell’ordine di 2600-2700 kg/m3, per la pasta di cemento indurita si possono considerare valori di 1900-2200 kg/m3 (a seconda del contenuto residuo di aggregato fine) e per i laterizi valori di 1800-2100 kg/m3. Una separazione in questi campi di densità può essere effettuata soltanto con processi ad umido (idrogravimetrici). Tenuto conto della granulometria del materiale da trattare (orientativamente 5-30 mm) possono essere presi in considerazione sia il trattamento con crivelli idraulici che la separazione in mezzo denso. Per giudicare della convenienza economica dell’impiego di più sofisticati cicli di trattamento ad umido delle macerie è necessario sottoporre a prove di separazione ad umido i prodotti di impianti a secco, già presenti anche nell’area di Torino, valutando il miglioramento della qualità del prodotto (esprimibile mediante la riduzione del coefficiente Los Angeles). Questo vantaggio ha naturalmente come contropartita la maggiore complessità di un impianto ad umido: oltre alla sezione di separazione idrogravimetrica occorrerà infatti prevedere una sezione di separazione solido-liquido e di depurazione delle acque. A ciò corrispondono ovviamente maggiori costi d’investimento e di esercizio (consumo d’acqua, maggiori consumi di energia). Occorrerà inoltre analizzare le possibilità di assorbimento da parte del mercato locale di aggregati di riciclo di diversa qualità. Se cicli di trattamento più sofisticati consentono di ampliare il mercato degli aggregati di riciclo, riducendo da un lato la quota di macerie da avviare a discarica e dall’altra la quota di aggregati da estrarre dalle cave, il risultato potrà comunque essere considerato soddisfacente.

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Figura D.1/2: ciclo di trattamento di macerie a secco per la produzione di aggregati: A vibrovagli; B separatori magnetici, C nastro di cernita, D frantumatore ad urto, E classificatori pneumatici; i numeri indicano le dimensioni dei prodotti in millimetri. D.1.3 Smarini e risulte da scavi di gallerie, fondazioni, sbancamenti

Nel caso di scavi in roccia o in materiali alluvionali non troppo fini il riciclo è già di fatto praticato in quanto spesso è l’impresa stessa ad utilizzare in proprio il materiale di risulta trattandolo per la produzione di aggregati destinati alle opere di completamento dello scavo. Nel caso di scavi per fondazioni, quando il materiale di risulta è costituito da un misto naturale ben assortito, esso viene di solito conferito ad un impianto di produzione per aggregati. In conclusione gli schemi di trattamento di questi materiali non presentano differenze significative da quelli in uso per gli aggregati naturali.

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Vi sono comunque due problemi tipici che devono essere tenuti sotto controllo nel trattamento delle risulte di scavi. Il primo riguarda la necessità di predisporre idonei siti di stoccaggio del materiale di scavo, in attesa del trattamento. Il secondo riguarda l’esecuzione di un esame petrografico del materiale di risulta a inizio scavo per accertare l’eventuale presenza di minerali nocivi (ad esempio anidrite) che ne precluderebbero l’impiego come aggregato da calcestruzzo. Tale esame è particolarmente necessario nel caso di scavo di gallerie e dovrà essere ripetuto ogni volta che sul fronte di avanzamento si verifichino sensibili variazioni nella natura della roccia.

D.2 VALUTAZIONE DEI QUANTITATIVI COMPLESSIVAMENTE DISPONIBILI DI MATERIE PRIME SECONDARIE La produzione di scarti da cave di rocce ornamentali, di macerie da demolizione e di smarini e risulte da scavi di gallerie, fondazioni e sbancamenti, risulta, nell’ultimo decennio, in progressivo aumento: a parte le accresciute attività estrattive nei grandi bacini di pietra, è infatti sotto gli occhi di tutti la sempre crescente necessità di trasformazione del territorio urbano ed extraurbano torinese che ha portato, da un lato, alla demolizione di edifici, vecchie fabbriche, aree industriali dimesse (Spina 1, 2, 3, 4 di Torino) e, dall’altro, all’avvio della realizzazione delle Grandi Opere Pubbliche (Cantiere Metropolitana, Alta Velocità, Passante Ferroviario). L’aumento della quantità totale di tali tipologie di scarti dà luogo ad una serie di problematiche sia di carattere logistico (gestione delle discariche ormai sature ed ipotesi di impianti di trattamento) che di tipo ambientale (l’impatto sull’ambiente non dipenda solo dalla quantità, ma anche e soprattutto dalla qualità degli scarti prodotti). L’impiego sconsiderato di materie prime di pregio nel settore delle costruzioni civili inoltre, da un lato, impoverisce le riserve di cava, e, dall’altro, non contribuisce a risolvere i problemi, sempre più pressanti, legati alla gestione dei rifiuti. Diviene perciò indispensabile raccogliere le debite informazioni sulle quantità e sulle località di produzione e/o di concentrazione di detti scarti, con particolare riferimento alla realtà provinciale torinese. In primo luogo si fornirà quindi un breve inquadramento relativo alla produzione e gestione di scarti lapidei, per poi passare a quelli da demolizione e finire con qualche cenno procedurale relativo alla gestione di smarini e risulte da scavi di gallerie, fondazioni e sbancamenti. Gli sfridi di cava possono essere reimpiegati conformemente all’uso previsto dal d.m. 05.02.1998 e secondo le procedure previste dal d.lgs. 22/97. Inoltre i piani estrattivi finalizzati al reperimento di materiali di cava per la realizzazione di infrastrutture pubbliche, devono ottimizzare e privilegiare l’impiego degli sfridi in alternativa al materiale di cave di prestito, secondo quanto previsto dalla L.R. Piemonte n. 30/99. I bacini estrattivi relativi alla Provincia di Torino sono:

- Bacino di Luserna – Rorà - Bacino della Dora Baltea (Verde Argento e Verde Selene) - Bacino del Chiusella (Diorite di Traversella, Diorite di Vico) - Altre realtà estrattive (Marmo Bianco di Prali, Pietra di Perosa, Gneiss di San Basilio)

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Sono presenti 30 cave attive e 16 laboratori (11 nel bacino di Luserna-Rorà, 2 nel Bacino della Dora Baltea, 2 nel Bacino del Chiusella e 1 nelle altre realtà estrattive). Il volume annuo di materiale ornamentale autorizzato è pari a circa 119.000 m3 per il bacino di Luserna-Rorà, e a 48.000 m3 per gli altri bacini: interessante per i nostri scopi risulta inoltre il quantitativo di sfridi prodotti pari a 44.500 m3/anno per il bacino di Luserna-Rorà ed a 12.000 m3/anno per i restanti bacini. Per la gestione di questa tipologia di sfridi si consiglia la realizzazione di appositi impianti di frantumazione (vedi D.1.1) di tipo consortile, che funzionino in parallelo con canonici impianti di frantumazione di inerte (da cave di prestito). Per quanto concerne la produzione di macerie in ambito torinese, da una prima elaborazione dei dati raccolti, è possibile osservare quanto, negli ultimi anni, sia aumentata la pratica del recupero e quanto, invece, sia nettamente calato lo smaltimento in discarica. Da un’analisi introduttiva dall’area torinese è possibile ricavare una produzione totale di rifiuti da demolizione pari a circa 1.300.000 t/anno (comprensive di materiale mandato a discarica – meno del 5% - e recuperato in impianto12 – più del 95%), la maggior parte dei quali prodotti nell’area di Torino Nord: va evidenziato inoltre che l’area metropolitana torinese produce un quantitativo di macerie pari a circa il 90% del totale prodotto in tutta la provincia. È inoltre possibile sottolineare che l’attività del trattamento delle macerie risulta essere strettamente connessa all’attività di cava: tutte le ditte che possiedono un impianto fisso di frantumazione per il recupero delle macerie hanno, unitamente, una cava di aggregati. Gli impianti di trattamento sono principalmente localizzati nei pressi di grossi centri urbani, vicino alle principali arterie stradali, mentre le discariche per inerti si trovano nei pressi di piccoli comuni, specialmente montani. Per ciò che riguarda le aree intorno all’interland torinese va sottolineata la quasi totale assenza (area Val di Susa ed area del Pinerolese) o la presenza sporadica (area Ivrea-Lanzo) di impianti fissi di frantumazione. In questi casi potrebbe essere conveniente pensare alla realizzazione di impianti di trattamento consortili (a partecipazione pubblica) da posizionarsi nella zona del Ciriacese (area Ivrea Lanzo), del Pinerolese e della bassa Val di Susa a Valle della Stretta di San Michele (tale zona è un punto nevralgico di collegamento tra l’area del pinerolese, l’area della Val Susa e l’area del Canavese). Per ciò che concerne la gestione di smarini e risulte da scavi di gallerie, fondazioni e sbancamenti si rimanda alle norme vigenti in materia, data la situazione normativa complessa ed ancora attualmente in evoluzione; a livello Regionale, si fa inoltre capo alla L.R. 30/99 (Norme speciali e transitorie in parziale deroga alle norme regionali vigenti per l’esercizio di cave di prestito finalizzate al reperimento di materiale per la realizzazione di Opere Pubbliche comprese in accordi Stato- Regioni). Tale legge pone le sue fondamenta sul fatto che, da un lato, le grandi opere pubbliche necessitano di elevati quantitativi di materiali, anche di basso pregio, concentrati in un periodo di tempo breve, e che, dall’altro, la disponibilità della struttura estrattiva ordinaria non è in grado, sia in termini qualitativi che quantitativi, di fare fronte correttamente alle esigenze straordinarie che possono presentarsi.

12 L’Amiat figura tra gli impianti di trattamento

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La L.R. 30/1999 mira quindi ad ovviare potenziali scompensi, derivanti dagli appalti d’opere pubbliche, facendo obbligo che ogni progetto, oggetto di accordi Stato-Regione, sia accompagnato da uno specifico Piano di Approvvigionamento del materiale. In relazione alle esigenze di pianificazione provinciale, emerge la necessità che anche altre opere pubbliche, non contemplate dalla L.R. 30/99, siano accompagnate da specifici piani di approvvigionamento, qualora il fabbisogno di inerti sia significativo.

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D.3 VALUTAZIONE DEI QUANTITATIVI DI MATERIALI PROVENIENTI DA DISALVEI, IN COERENZA CON LE DIRETTIVE DEL PAI

D.3.1. Approfondimenti relativi alla valutazione dei quantitativi di materiali provenienti da disalvei, in coerenza con le direttive del PAI Quadro Normativo Da un punto di vista sostanziale, le attività finalizzate all’asportazione di materiali litoidi dagli alvei sono necessariamente connesse all’attuazione di interventi di manutenzione idraulica, nell’ambito dei quali possono essere previste ed attuate in conformità di quanto disposto dall’articolo 97 del R.D. n. 532/1904. In questo senso si esprime l’Autorità di Bacino del fiume Po nella direttiva in materia di attività estrattive nelle aree fluviali del bacino del Po allegata al Piano stralcio per l’assetto idrogeologico (P.A.I.) adottato con deliberazione del Comitato Istituzionale n.18 in data 26 Aprile 2001 approvata con D.P.C.M. 24/5/2001: l’asportazione di materiali litoidi può essere prevista “se finalizzata esclusivamente alla conservazione della sezione utile di deflusso, al mantenimento della officiosità delle opere e delle infrastrutture, nonché alla tutela dell’equilibrio goestatico e geomorfologico dei terreni interessati”. La necessaria connessione degli interventi di estrazione ed asportazione di materiali inerti con riconosciute esigenze di manutenzione idraulica, evidenziano un preminente ruolo attivo dell’autorità idraulica competente. Ad essa spetta l’individuazione, anche in base a segnalazioni da parte di enti locali, delle situazioni in cui è necessario provvedere con opportuni interventi di manutenzione o sistemazione che comportino estrazione ed asportazione di materiali. In questo senso, spetta all’autorità idraulica stessa l’avvio delle iniziative per la realizzazione degli interventi, sulla base di idonei studi di impatto e valutazioni preventive ovvero nel quadro di specifici strumenti di programmazione e pianificazione sottoposti a valutazioni da parte dell’Autorità di bacino. La Giunta Regionale del Piemonte, infatti, con delibera del 14/01/2002 n° 44-5084 individua i principi ed i criteri ai quali le strutture regionali competenti devono uniformarsi nello svolgimento dell’attività finalizzata all’attuazione degli interventi di manutenzione in oggetto. E fornisce altresì le indicazioni circa le modalità operative per l’effettuazione di detta attività, in conformità con il quadro normativo delineato dalle disposizioni emanate nella specifica materia di cui si tratta, dagli strumenti di pianificazione adottati dall’Autorità di bacino del fiume Po e dai provvedimenti attuativi del conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali ai sensi del decreto legislativo n.112/1998.

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La delibera della Giunta Regionale del Piemonte sopra citata ha previsto un’attività articolata in diversi momenti:

- la redazione di un piano di manutenzione - la predisposizione di uno o più programmi di intervento per l’attuazione del piano - l’attuazione dei singoli interventi.

Trattandosi di attività piuttosto complessa, che richiede tempi non brevissimi di attuazione, veniva previsto che “Nelle more della predisposizione del piano i settori decentrati provvedono a redigere un primo programma di interventi sulla base delle attività ricognitorie effettuate a seguito degli eventi alluvionali”. All’approvazione del programma, segue la fase di attuazione degli interventi con la redazione dei relativi progetti.che possono prevedere interventi che consistono esclusivamente nell’estrazione e asportazione dei materiali in eccesso, oppure prevedere l’estrazione quale parte di interventi più complessi, che comprendono anche la realizzazione di lavori od opere. Tali interventi sono distinti nelle tre seguenti tipologie:

• Manutenzioni idrauliche da attuarsi esclusivamente con l’asportazione di materiali litoidi di pregio;

• Manutenzioni idrauliche da attuarsi esclusivamente con l’asportazione di materiali litoidi di scarso valore;

• Manutenzioni idrauliche da attuarsi esclusivamente con l’asportazione di materiali litoidi con valore nullo;

• Interventi di difesa e sistemazione idraulica comprendenti anche estrazione di materiali.

Inoltre vengono prese in considerazione le “Concessioni di estrazione di materiali litoidi rilasciate su istanza di parte”. Si tratta di situazioni in cui la concessione viene rilasciata al soggetto richiedente prescindendo da una procedura di gara, in considerazione della posizione qualificata in cui questo soggetto si trova rispetto al rilascio della concessione stessa, per il fatto di avere un rapporto in corso con la pubblica amministrazione di natura tale da giustificare una “preferenzialità” nella concessione, ovvero ancora perché per loro natura si tratta di interventi che non possono essere ricompresi nei piani e programmi. Rientrano in tale categoria gli interventi di sghiaiamento e sfangamento di dighe per i quali l’ente gestore, a norma dell’art. 40 D.Lgs. 11/5/1999 come modificato dal D.Lgs.18/8/2000, è tenuto a predisporre un progetto di gestione, secondo i criteri fissati con decreto dei Ministri dei LL.PP.e Ambiente, e presentarlo alla regione di competenza per la relativa approvazione. Le disposizioni contenute nella DGR n° 44-5084 sopra esaminata, inizialmente limitate ai corsi d’acqua di competenza regionale (intendendosi per tali quelli che, ai sensi del regio decreto n.523/1904, sono classificati di IV e V categoria o non classificati e per i quali la competenza idraulica fu trasferita alle regioni dal decreto legislativo n. 616/1977, rimanendo gli altri nella

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competenza dello Stato, che la esercitava per mezzo degli Uffici del Magistrato per il Po) venivano estese ai corsi d’acqua di II e III, gestiti dall’ex magistrato per il Po che a seguito dell’attuazione del decreto legislativo n. 112/1998 è stato sostituito dall’Agenzia Interregionale per il Po (AIPO) con conseguente passaggio delle competenze sull’intero reticolo idrografico regionale alle rispettive regioni. Aspetti Quantitativi La Giunta Regionale del Piemonte nell’adunanza del 25 giugno 2002, con DGR n. 66 – 6428 approvava il primo programma di interventi di manutenzione dei corsi d’acqua da attuarsi con estrazione ed esportazione di materali litoidi. Tuttavia è opportuno segnalare che per la stesura del primo programma non è stata effettuata una ricognizione su tutti i corsi d’acqua di competenza regionale, ma sono state utilizzate le conoscenze già in possesso dei Settori decentrati. La necessaria ricognizione su tutto il territorio è prevista per la stesura del Piano di manutenzione di cui al punto 3) della DGR 44-5084; a tal fine concorrono le segnalazioni che pervengono dai vari Comuni in seguito alla pubblicazione e pubblicizzazione della DGR stessa. Pertanto, per la redazione del primo programma i Settori decentrati delle OO.PP. hanno preso in considerazione il piano generale di ricostruzione approvato ai sensi dell’O.M. 3090/2000, integrandolo con quegli interventi la cui necessità era già nota agli Uffici. Gli interventi di manutenzione da attuare anche con estrazione di materiali litoidi inseriti nel suddetto piano generale, sono così suddivisi:

• Manutenzioni idrauliche da attuarsi esclusivamente con l’asportazione di materiali litoidi di pregio:

sono quelli indicati nell’elenco A allegato alla DGR n. 66 – 6428. Essi prevedono l’estrazione e l’asportazione che complessivamente sul territorio regionale ammonta a 1.226.300 m3. In particolare la quota parte afferente alla Provincia di Torino ammonta a 610.625 m3 derivanti dagli interventi indicati nella tabella D.3/1 che costituisce un estratto dell’elenco A sopra citato:

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Tabella D.3/1 Dati relativi a lavori di manutenzioni idrauliche da attuarsi esclusivamente con l’asportazione di materiali litoidi di pregio

N. Prov. Comune Altitudine m.slm

Corso d’acqua

Volume dei materiali m3

Canone erariale Euro/m3

Importo totale canone

Euro Priorità (A o B)

23 To Ala di Stura 1080 Stura di Ala 46.000 3,05 140.300,00 B

24 To Balme 1432 Stura di Ala 90.000 2,84 274.500,00 B

25 To Bardonecchia 1312 Rho 30.000 3,05 85.200,00 A 26 To Cantoira (*) 750 Stura 5.000 2,84 15.250,00 B

27 To C.M.Alto Canavese Levona 10.000 2,84 28.400,00 B

28 To C.M.Alto Canavese Viana 15.000 3,05 42.600,00 B

29 To Groscavallo 1110 Stura di Sea

1° interv. 50.000 3,05 152.500,00 A

30 To Groscavallo 1110 Stura di Sea

2° interv. 50.000 2,84 152.500,00 B

31 To Oulx 1100 Dora

Riparia 1° interv.

50.000 2,84 142.000,00 A

32 To Oulx 1100 Dora

Riparia 2° interv.

50.000 2,84 142.000,00 B

33 To Oulx 1100 Dora

Riparia 3° interv.

40.625 3,05 115.375,00 B

34 To Pessinetto 590 Stura di Lanzo 95.000 2,84 289.750,00 B

35 To Salbertrand 1032 Dora Riparia 9.000 2,84 25.560,00 B

36 To Sparone 552 Orco 1° interv. 35.000 2,84 99.400,00 A

37 To Sparone 552 Orco 2° interv. 32.000 2,84 90.880,00 B

38 To Strambinello 356 Chiusella 8.000 2,84 22.720,00 B

Totale volumi 610.625 m3

*successivamente riconosciuto come intervento da attuarsi con movimentazione di materiali senza estrazione e pertanto ricadente tra quelli inseriti nell’elenco B2.

Si riconosce tuttavia che la maggior parte degli interventi sono localizzati in zone classificabili di bassa montagna (440.625 m3 sono da estrarsi in luoghi posti al di sopra dei 1000 m) e di collina per i quali il materiale estratto è destinato per lo più ad utilizzi locali. Seguono poi gli elenchi B1, B2, B3, C relativi rispettivamente ad interventi che si collocano in:

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• B1 : Manutenzioni idrauliche da attuarsi esclusivamente con l’asportazione di materiali litoidi con valore nullo, per i quali non vengono indicati i volumi da estrarre ma solo l’importo dei lavori;

• B2: Interventi da attuarsi con movimentazione di materiali senza estrazione, per i quali come

i precedenti, vengono solo indicati gli importi dei lavori. Seppure non indicati nella DGR 44-5084, i Settori preposti hanno ritenuto opportuno inserire tale categoria di interventi anche per le implicazioni di carattere finanziario;

• B3: Interventi di difesa e sistemazione idraulica comprendenti anche estrazione di materiali,

ritenuti al momento della approvazione del piano di competenza del MagisPo/AIPO, per i quali, come i precedenti, sono noti solo gli importi dei lavori come riportato nella tabella D.3/2, estratta dall’elenco B3, relativa ai soli corsi d’acqua ricadenti nella Provincia di Torino:

Tabella D.3/2 - Interventi di difesa e sistemazione idraulica comprendenti anche estrazione di materiali.

N. Prov. Comune Corso d’acqua Competenza Importo da finanziare (Euro)

2 To Osasco –Pinerolo Chisone MagisPo/AIPO 929.000,00

3 To Robassomero-San Maurizio-Caselle Stura di Lanzo MagisPo/AIPO 3.065.000,00

4 To Salassa-Rivarolo C.se-Castellamonte Orco MagisPo/AIPO 1.549.000,00

5 To San Germano Chisone MagisPo/AIPO 516.000,00

Infine l’elenco C è relativo agli interventi di manutenzione idraulica sui reticoli minori finanziati alle comunità montane ai sensi della legge n.1837189 per gli anni 2002 e 2003, per i quali sono solo riportati gli importi finanziati. C’è ragione di ritenere che gli interventi 2 e 5 sul Chisone indicati nella tabella D.3/2, siano stati ricompresi nei lavori di ricalibratura dell’alveo del torrente Chisone concessi alla ATIVA Autostrada Torino-Ivrea-Valle d’Aosta con determinazione n.1743 del 24.12.2002 della Direzione Opere pubbliche della Regione Piemonte, per la necessità di reperimento di aggregati per la costruzione della diramazione autostradale Torino-Pinerolo – II° tronco di cui l’ATIVA risulta concessionaria dell’ANAS. Tali lavori di manutenzione da effettuarsi sul tratto del Chisone ricadente nei comuni di Macello, Osasco, Pinerolo, Porte e S. Germano Chisone, prevedono la movimentazione di materiale d’alveo per complessivi m3 1.098.500 di cui m3 485.000 da estrarre, con previsione di un’ulteriore estrazione di m3 84.451,61 da reperire nell’ambito di successivi lotti di lavori per un totale d’aspettativa d’estrazione di m3 569.451,61.

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Considerazioni e possibili previsioni sulla disponibilità di materiali derivanti da disalvei Da quanto precedentemente riportato si riconosce che l’attività della manutenzione, nell’ambito della quale si inseriscono i disalvei, è stata normata in maniera scrupolosa essendo ad essa demandato lo stato di efficienza del reticolo idrografico alla cui gestione sovrintende l’autorità idraulica. La programmazione prevista potrà nel prossimo futuro fornire un quadro d’insieme dei luoghi in cui più frequentemente dovrà essere attuata la manutenzione e nell’ambito di essa anche quella che prevede l’asportazione di aggregati. Tuttavia in questi ultimi casi i volumi indicati non sono da intendersi come una costante periodicamente disponibile. E ciò in relazione al tipo di fenomenologia di cui si tratta strettamente legata all’assetto del bacino e della rete idrografica e all’alternanza dei deflussi tra cui quelli di piena di difficile previsione sia in termini di frequenza sia nei riguardi della intensità. I pochi dati ufficiali sopra riportati si riferiscono a lavori di manutenzione conseguenti agli eventi alluvionali, che per loro natura sollecitano fortemente il reticolo idrografico tanto da indurre importanti e vistosi effetti morfodinamici cui conseguono modificazioni della forma delle sezioni e dei profili longitudinali degli alvei. Il ripristino della officiosità degli alvei a seguito dei recenti eventi alluvionali, ha reso disponibile attraverso lavori di manutenzione e/o di sistemazione idraulica una quantità di materiale inerte non trascurabile dell’ordine del 8-10 % del fabbisogno annuo medio nella provincia di Torino. Tuttavia è opportuno notare che solo la metà di esso (cioè quello ricavato dal Chisone) si è reso disponibile in tratti d’alveo sufficientemente ravvicinati e in luoghi che dal punto di vista geografico possono ritenersi sufficientemente vicini ai centri di utilizzo. Ciò che è di notevole importanza sia nei riguardi dell’impatto ambientale derivante dal trasporto del materiale dai luoghi di estrazione a quelli di trattamento e da questi a quelli di utilizzazione, sia nei riguardi dei costi se i luoghi di utilizzazione sono troppo distanti dai luoghi di produzione. Nel prossimo futuro altro materiale potrà rendersi disponibile a seguito dei lavori che saranno indicati nel Piano di manutenzione previsto dalla DGR n° 44-5084, ma occorre distinguere tra la disponibilità di materiale legata ai caratteri morfodinamici del corso d’acqua e quella più discontinua nello spazio e nel tempo connessa a fenomeni impulsivi come quelli che si osservano in condizioni di piena. E’ quest’ultima casistica che generalmente impone numerosi e immediati lavori di manutenzione nei quali si collocano la maggior parte dei disalvei per finalità idrauliche. Difatti, esauriti i lavori di ripristino straordinario della rete idrografica sollecitata dai recenti eventi alluvionali, è ragionevole ipotizzare che quelli ordinari conseguenti a deflussi che poco si discostano dai valori normalmente osservati, la quantità di materiale che potrà derivare dai disalvei sarà nettamente inferiore alle quantità sopra riportate. L’esiguità della disponibilità derivante da estrazioni in alveo veniva già segnalata nell’ambito del DPAE attraverso dati reali di volumi sedimentati.

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In ogni caso sarà la quantità, la qualità ed il luogo in cui tali volumi solidi saranno disponibili a renderli più o meno appetibili per il soddisfacimento parziale o marginale della domanda nella provincia di Torino. Il ricorso a tali volumi che possono essere aggiuntivi o marginalmente sostitutivi di quelli prodotti dalla struttura estrattiva attualmente esistente richiede la messa in atto di un’efficace osservatorio che renda noto al Servizio competente della Provincia i dati necessari (quantità e tempi di disponibilità) per indirizzare gli operatori del settore all’utilizzo di tali materiali ritardando l’apertura di nuove cave. Ciò che richiede il contributo costante e continuo delle strutture direttamente e indirettamente interessate alle questioni di manutenzione dei corsi d’acqua.

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D.4 PREVISIONI SUI QUANTITATIVI DI MATERIALE PREGIATO POTENZIALMENTE SOSTITUIBILI DA MATERIALE RICICLATO In questo paragrafo non sranno considerati gli smarini e le risulte da scavi in quanto la loro riutilizzazione fa parte di specifici progetti.

D.4.1 Scarti Lapidei

Per quanto riguarda gli scarti di coltivazione delle pietre ornamentali, considerando che la produzione di scarti nel Bacino di Luserna-Rorà, il solo che può essere preso in considerazione a questi fini, è pari a circa 120.000 t/anno (corrispondenti a 44.500 m3/anno), si può stimare una produzione di circa 100.000 t/anno di materiali di discreta qualità, ipotizzando una resa di trattamento dell’80% circa.

D.4.2 Macerie da demolizione

Per quanto riguarda la produzione di macerie, i dati relativi alla Provincia di Torino risultano dalla tabella D.4/1. Tabella D.4/1 – Quadro riassuntivo sui rifiuti derivanti dalle attività di costruzione e demolizione nella Provincia di Torino (da BADINO et. al., Recycling settembre 2003)

Numero impianti

Numero discariche per inerti

Rifiuti trattati in impianto [t/anno]

Rifiuti conferiti in discariche per inerti

[t/anno]

Indice di prod. Specifica di rifiuti

[t/ab·anno]

1.297.000 30.655 Popolazione: 2.236.765 ab

27 (di 24 ditte)

27 TOTALE: 1.327.655 ~ 0,6

Tuttavia occorre tenere presente che, come ricordato nel paragrafo D.1.2, per ottenere prodotti di buona qualità, occorre eliminare dalle macerie i frammenti di pasta di cemento indurita e di laterizio, presenti insieme agli elementi liberi dell’aggregato originariamente usato; tali materiali sono infatti molto più porosi degli elementi di aggregato e pertanto dotati di una molto minore resistenza meccanica. Come già osservato, una separazione può essere effettuata soltanto con processi ad umido (idrogravimetrici). Tenuto conto della granulometria del materiale da trattare (orientativamente 5-30 mm) possono essere presi in considerazione sia il trattamento con crivelli idraulici che la separazione in mezzo denso. Prendendo in considerazione la prima alternativa (in quanto gli impianti di separazione in mezzo denso, molto costosi, sono giustificati solo nel caso di elevate potenzialità) da prove sperimentali in laboratorio è risultato che l’arricchimento con crivelli idraulici, ad una densità di taglio di circa 2,3, ha una resa del 35% circa; pertanto la produzione di aggregati di buona qualità dalle macerie da

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demolizione, considerati i quantitativi di tali materiali disponibili in Provincia di Torino potrebbe al massimo raggiungere le 400.000 t/anno.

D.5. INDIVIDUAZIONE DI SOLUZIONI ALTERNATIVE ALLE DISCARICHE DI INERTI, ATTE A FAVORIRE L'ATTIVAZIONE DI CENTRI DI RECUPERO E TRATTAMENTO DELLE MATERIE PRIME SECONDARIE E DEFINIZIONE DI LINEE GUIDA

Si può considerare il recupero sia degli sfridi di cava che di scarti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione che degli smarini provenienti da grandi opere pubbliche, trattati in impianto di lavorazione ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998. Una prima distinzione è di questo tipo: Gli sfridi di cava sono prevalentemente costituiti da materiali di 3° scelta, informi di piccole dimensioni ed informi di grandi dimensioni, dai quali è possibile ottenere principalmente, con comminuzione aggregati o direttamente massi da scogliera. I materiali provenienti da attività di costruzione o demolizione sono prevalentemente costituiti da laterizi, murature, frammenti di conglomerati cementizi anche armati, rivestimenti e prodotti ceramici, scarti dell’industria di prefabbricazione di manufatti in calcestruzzo anche armato, frammenti di sovrastrutture stradali o ferroviarie, intonaci, allettamenti, materiali lapidei provenienti da cave autorizzate o da attività di taglio e lavorazione. L’intrinseca variabilità di provenienza dei componenti impone di caratterizzarli qualificandoli per lotti o partite omogenee, allo scopo di evitare disuniformità di comportamento. Gli smarini provenienti dai lavori pubblici sono prevalentemente formati da granulati misti più o meno coerenti prodotti durante le fasi di scavo per la realizzazione di strade, gallerie, ecc… Il reimpiego degli sfridi di cava, sia fluenti che da discariche ancora attive, così come quello dei rifiuti da costruzione e demolizione e degli smarini, fa si che, da un lato si risolvano problemi ambientali legati alle discariche di cava, e dall’altro eviti l’apertura di nuove cave per l’approvvigionamento delle materie prime (aggregati per calcestruzzo e per conglomerati bituminosi, pietrisco da massicciata, concentrati minerali, ecc..). Nei primi due casi, per il recupero degli sfridi, ci si appoggia al D.M. 5 febbraio 1998, mentre per il terzo caso ci si riferisce alle norme relative a terre e rocca da scavo Per poter fornire alcune linee guida relative al riutilizzo degli sfridi di cava e di quelli da costruzione e demolizione, bisogna innanzitutto tenere in considerazione che l’ipotesi di un loro approvvigionamento comporta una serie di criticità che coinvolgono gli aspetti della sicurezza, dell’ambiente, del sistema di trasporto e che, in taluni casi, possono pregiudicare la tempistica realizzativa dell’opera per cui gli sfridi sono impiegabili. Per poter quindi ipotizzare un sistematico

13 L’Amiat figura tra gli impianti di trattamento

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reimpiego degli sfridi risultati idonei, con o senza trattamento apposito in impianto, sarà quindi fondamentale tener ben presenti questi aspetti, già in fase di previsione e progettazione. Dal punto di vista della sicurezza, dovendo prelevare il materiale da discariche attive, dai centri di raccolta del materiale o ai cantieri in cui si stanno realizzando opere pubbliche, si avrà inevitabilmente una interferenza tra la normale attività produttiva e quella di prelievo degli sfridi, caratterizzata anche da operazioni di selezione e riduzione del materiale eventualmente non compatibile con le caratteristiche dei frantoi (soprattutto per ciò che concerne gli sfridi di cave ed i rifiuti da costruzione e demolizione), utilizzati per ridurre di pezzatura il materiale, al fine di renderlo conforme alle caratteristiche dimensionali richieste, a seconda dell’impiego. Si avrà inoltre una contemporanea presenza in cantiere (o in cava) di trasportatori esterni, che richiederà di affrontare e risolvere congiuntamente tutte le problematiche connesse al rispetto della legislazione vigente in tema di sicurezza sugli ambienti di lavoro. Dal punto di vista dell’impatto ambientale invece si deve considerare che, gli ingenti quantitativi di materiale da frantumare necessitano di un luogo apposito non solo per lo stoccaggio provvisorio ma anche per l’ubicazione di un eventuale impianto di frantumazione mobile, i quali andranno localizzati in aree non sottoposte a vincoli di natura paesaggistica o ambientale, e comunque ubicati in prossimità della rete stradale locale. Si deve inoltre prevedere il contenimento degli impatti dovuti a rumore e polveri. Per ciò che concerne infine l’impatto sulla viabilità, bisogna considerare che spesso, ipotizzando di effettuare trasporti su gomma, si va ad incidere drasticamente sul traffico locale, utilizzando strade il più delle volte comunali o provinciali progettate per tutt’altro tipo di traffico. È quindi necessario predisporre un sistema di gestione del traffico tale da non gravare, ove possibile, su un’unica arteria stradale, ma coinvolgendo invece i diversi comuni interessati dall’operazione di “recupero sfridi”. Spesso quindi il traffico di un numero ingente di mezzi di trasporto, anche con notevoli portate, può rendere necessario locali adeguamenti della sovrastruttura stradale e di alcune infrastrutture locali. inoltre si deve tener presente che il trasporto di ingenti volumi, unitamente alla maggiore intensità di traffico, comporta la necessità di interventi manutentivi, di tipo ordinario e straordinario, sicuramente più frequenti ed onerosi di quelli realizzati in condizione di traffico regolare. In linea di massima il reimpiego più immediato per questi tipi di scarti risulta essere quello quale materiale per riempimenti e per rilevati (stradale e ferroviario). In questo caso l’Impresa è tenuta a predisporre la qualificazione del prodotto tramite certificazione rilasciata da un Laboratorio riconosciuto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Le caratteristiche richieste per il reimpiego, quale materiale per rilevato, sono relativamente poco restrittive e consistono sostanzialmente in:

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- una distribuzione granulometrica il più possibile estesa, in modo tale da poter compattare correttamente ed agevolmente il materiale messo in opera. È necessario tuttavia che il terreno non presenti un’elevata percentuale di limi ed argille, che renderebbe meno agevole la possibilità di compattazione. In linea di massima si chiede che il terreno utilizzato appartenga alle categorie A1, A2 e A3 secondo la classificazione stradale HRB – AASHTO;

- un contenuto in vetro e scorie vetrose (sul trattenuto a 4 mm) < 15% in massa; - un contenuto in conglomerati bituminosi (sul trattenuto a 4 mm) < 25% in massa; - un contenuto di materiali deperibili (carta, legno, fibre tessili, cellulosa; sul trattenuto a 4 mm) <

0,3% in massa; - un contenuto di metalli, guaine, gomme, lana di vetro, gesso (sul trattenuto a 4 mm) < 0,6% in

massa; - un contenuto di terre di fonderia, scorie d’altoforno, silicati, carbonati e idrati di calcio (sul

trattenuto a 4 mm) < 15% in massa. È poi possibile impiegare gli scarti, quale recupero non pregiato, nella realizzazione dello strato di sottofondo fino alla profondità di circa 1,00 m a partire dal piano di posa della sovrastruttura. In questo caso saranno richieste principalmente le seguenti caratteristiche: - contenuto di vetro e scorie vetrose (sul trattenuto a 4 mm) < 10% in massa; - contenuto di conglomerati bituminosi (sul trattenuto a 4 mm) < 15% in massa; - contenuto in materiali deperibili (carta, legno, fibre tessili,cellulosa, residui alimentari; sul

trattenuto a 4 mm) < 0,2% in massa; - un contenuto di metalli, guaine, gomme, lana di vetro, gesso (sul trattenuto a 4 mm) < 0,4% in

massa; - un contenuto di terre di fonderia, scorie d’altoforno, silicati, carbonati e idrati di calcio (sul

trattenuto a 4 mm) < 15% in massa; - Passante setaccio 0,075 UNI < 15% in massa; - Indice di plasticità: non determinabile; - Passante al setaccio da 4 mm < 60% in massa; - Passante al crivello 71 UNI 100%; - Coefficiente Los Angeles < 45; - Indice di forma e di appiattimento < 35 Per quanto riguarda i requisiti chimici, i materiali riciclati devono appartenere prevalentemente alle tipologie 7.1., 7.2., 7.11 e 7.17 del D.M. 05/02/98, n.72. Non sono ammessi materiali contenenti amianto e/o sostanze pericolose e nocive o con significativi contenuti di gesso. Pertanto, tali materiali debbono essere sottoposti ai test di cessione sul rifiuto come riportato in Allegato 3 del citato D.M. del 05/02/98, o a test equivalente di riconosciuta valenza europea (UNI 10802). Tra i controlli prestazionali, i controlli di compattazione, di portanza e di regolarità dei piani finiti, salvo diverse prescrizioni motivate in sede di progettazione, sono analoghi a quelli previsti per le terre naturali.

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Ogni 1.000 m3 di materiale steso in opera, si deve verificare che le caratteristiche del prodotto fornito rispettino i requisiti di qualificazione fisico – meccanica. Oltre a questi due reimpighi, se ne possono ipotizzare almeno altri due più “pregiati” quali: - il pietrisco da massicciata; - l’agglomerato per calcestruzzo Per poter appurare l’idoneità dei “pietrischi da massicciata” è necessario valutarne alcune caratteristiche, quali: - il peso specifico; - la distribuzione granulometrica (le classi granulometriche utilizzate per le massicciate ferroviarie

sono 31,5 – 50 o 31,5 - 63 mm. In particolare per la classificazione dei ballast si fa riferimento alla EN 933-1, ad alla EN 13450 Aggregates for railway ballast, approvata nel settembre 2002);

- i coefficienti morfometrici: sono richiesti grani a spigoli vivi, i quali garantiscono alla massicciata un maggiore angolo di attrito, mentre è preferibile l’assenza di grani piatti o troppo arrotondati. Le Metodologie di prova per la determinazione degli indici di forma e di appiattimento seguono le prescrizioni della UNI EN 933-3 e 933-4, mentre la classificazione per pietrischi da massicciata in base ad indice di forma ed appiattimento sono comprese nella norma EN 13450 che classifica i pietrischi in 4 categorie (per il coefficiente di forma si avranno limiti compresi tre < 10 e < 30; per il >30 si avrà categoria ad indice di forma da dichiarare. Per l’indice di appiattimento si avranno limiti compresi tra < 15 e < 35; per il >35 si avrà categoria ad indice di forma da dichiarare);

- la resistenza meccanica, valutata con prove di automacinazione. Le caratteristiche meccaniche del materiale analizzato sono tanto migliori quanto più il coefficiente Los Angeles (in base alla EN 13450) ha un valore basso; sono ottimi i materiali caratterizzati da valori di coefficienti LA compresi tra 12 e 20%.

Per poter appurare l’idoneità degli aggregati per calcestruzzo è necessario invece valutarne principalmente: - la distribuzione granulometrica; - i coefficienti morfometrici; - la resistenza meccanica (coefficiente Los Angeles); - il contenuto di fini. È possibile ipotizzare, per questi primi due specifici riutilizzi, la realizzazione di uno specifico impianto di lavorazione, al fine di garantire l’omogeneità e la costanza temporale del prodotto. L’impianto di trattamento deve essere qualificato dal committente per stabilirne l’idoneità alla fornitura del materiale, nonché la rispondenza alle prescrizioni metodologiche del processo dettagliate al punto 7.1.3 del D.M. 05/02/98, n.72, si dovrà quindi garantire la costanza nel tempo delle caratteristiche del materiale in uscita, tali che corrispondano agli standard offerti dall’azienda. Esso dovrà deve essere organizzato in modo tale da:

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- consentire il controllo della qualità dei materiali in arrivo, per una verifica delle caratteristiche e dell’idoneità all’utilizzo;

- essere dotato di una zona debitamente attrezzata e delimitata per lo stoccaggio provvisorio del materiale;

- consentire l’alimentazione dell’impianto di trattamento mediante mezzo meccanico (per esempio una pala gommata), evitando che lo stesso venga alimentato direttamente dagli autocarri in arrivo;

- consentire, in uscita dall’alimentatore, il controllo qualitativo dei materiali e, con stoccaggio separato, tramite un by-pass, la successiva eventuale esclusione dal ciclo produttivo del materiale non idoneo e/o pericoloso;

- consentire una prima vagliatura, mediante vibrovaglio, per l’eliminazione della frazione fine, e il convogliamento del materiale nella camera di frantumazione del mulino, in modo da avere la riduzione granulometrica dei detriti ed il perfetto distacco delle armature di acciaio dal calcestruzzo;

- consentire l’individuazione di sostanze pericolose e/o nocive; - essere dotato d’un secondo deferrizzatore, posto più vicino al nastro (per le parti metalliche

minute eventualmente sfuggite al primo deferrizzatore); - essere dotato d’un vibrovaglio, per la selezione delle frazioni granulometriche. Le frazioni di

materiale non idoneo (carta, residui di legno, frazioni leggere, ecc…) devono essere, invece, automaticamente separate, anche in più stadi e convogliate in appositi contenitori;

- garantire la costanza della qualità del prodotto, a prescindere dalle tipologie in alimentazione; in tal caso l’impianto dovrà essere strutturato in modo tale da consentire la compensazione di carenze o eccedenze di frazioni granulometriche (dovute al tipo di materiale immesso nel ciclo); ciò, mediante la predisposizione di adeguate stazioni di vagliatura, in modo tale che, sul nastro trasportatore che alimenta lo stoccaggio finale del prodotto, sia presente l’intero assortimento granulometrico richiesto.

Le singole partite di prodotto, o lotti, devono essere stoccate su un piano di posa stabile, pulito, regolare e ben drenato, in modo che risultino ben separate e distinguibili le une dalle altre. L’accumulo del materiale può avvenire, per ciascuna partita: - in cumuli di forma conica o simili, costituiti per caduta del materiale dall’alto senza particolari

accorgimenti destinati ad evitare la segregazione granulometrica od a favorire la miscelazione degli apporti;

- in cumuli piatti ed estesi, a superficie superiore piana ed orizzontale; in tal caso possono essere sovrapposte partite diverse, purché la base di appoggio della partita sovrastante sia interamente interna, con adeguato margine, alla superficie superiore della partita sottostante;

- con accorgimenti e modalità distributive che consentano di garantire elevati livelli di omogeneità granulometrica e di composizione;

- in volumi predisposti per un sistema di asportazione automaticamente omogeneizzante.

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 190

L’accumulazione in strati orizzontali è da preferire in quanto contribuisce a prevenire i fenomeni di segregazione che si verificano nei cumuli conici o piramidali. Il cumulo piatto ed esteso, costituente una singola partita, deve avere altezza massima di 3.00 m. Un impianto di trattamento dei materiali provenienti da riciclo può essere qualificato a “prodotto costante” se, oltre a quanto sopra descritto per l’impianto di lavorazione, permette di: - separare automaticamente, anche in più stadi, e convogliare in appositi contenitori le frazioni di

materiale non idoneo (carta, residui di legno, frazioni leggere ecc.); - compensare carenze o eccedenze di frazioni granulometriche, dovute al materiale immesso nel

ciclo, mediante la presenza di adeguate stazioni di vagliatura, in modo tale che, sul nastro trasportatore che alimenta lo stoccaggio finale del prodotto, sia presente un assortimento granulometrico costante.

Per impianti di grosse dimensioni sarà importante che essi siano dotati di un laboratorio interno per poter eseguire le analisi di routine a scadenze periodiche o su ogni singola commessa qualora richiesto. Tutti i risultati di ciascuna serie di prove eseguite nel laboratorio interno, completi del verbale di esecuzione del prelievo, possono essere approvati se, prescelto a caso 1 campione su 10, i risultati dei due laboratori (interno ed esterno) non differiscono. In caso di positivo riscontro delle prove nel laboratorio interno, le medesime avranno piena vigenza per tutto l’anno successivo, mantenendosi la cadenza annuale per i controlli comparativi da parte del laboratorio accreditato. L’Impresa è tenuta a presentare alla Direzione Lavori, con congruo anticipo rispetto all’inizio delle lavorazioni e per ogni cantiere di produzione, la composizione delle partite che intende adottare; ogni composizione proposta deve essere corredata da una completa documentazione degli studi effettuati per l’accettazione. Una volta accettato da parte della Direzione Lavori lo studio della partita proposto, l’Impresa deve attenervisi rigorosamente. Ad ogni mutazione delle caratteristiche della partita, sia per provenienza dei materiali sia per tecnica di miscelazione, andrà ripetuta la documentazione di qualifica del materiale.

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D.6. DISCARICHE E IMPIANTI DI TRATTAMENTO RIFIUTI INERTI ESISTENTI SUL TERRITORIO PROVINCIALE.

D.6.1 Discariche per rifiuti inerti.

Sulla base dei dati raccolti dall’Osservatorio Rifiuti Provinciale per la redazione della “relazione sul sistema di trattamento dei rifiuti speciali- novembre 2003”, si rileva che sul territorio provinciale sono presenti 24 impianti di interramento controllato dei rifiuti inerti con autorizzazione provinciale, aventi quindi una volumetria superiore a 30.000 mc., con una volumetria residua dichiarata al rinnovo dell’autorizzazione (mediamente nel 2001/2002) pari a circa 1.260.000 mc. Tali impianti non esauriscono la potenzialità totale, esistendo quelli di competenza autorizzativa comunale per una volumetria inferiore a 30.000 mc. L’autorizzazione comunale dovrebbe essere trasmessa agli uffici della Provincia: risultano attive 9 discariche comunali. L’individuazione delle quantità di rifiuti inerti prodotti è alquanto imprecisa poiché i rifiuti inerti (codice CER 17) non sono soggetti all’obbligo di dichiarazione nei MUD:uno studio effettuato dall’Università di Torino stima una produzione pari a 1.297.000 t nel 2002. Anche sui rifiuti inerti conferiti a discarica ricavabili dai MUD sono pertanto certamente sottostimati: Tabella D.6/1 – Rifiuti inerti conferiti a discarica.

Anno 2000 t/a

Anno 2001 t/a

Discariche inerti cat.2A 22.011 18.019

Discariche RU cat. 1 326.000 375.000

Totale 348.011 393.019

Delle 326.000 tonnellate conferite in discariche di 1a categoria, 325.000 sono imputabili ad AMIAT che utilizza come infrastrato i materiali provenienti dal proprio impianto di triturazione localizzato a fianco della discarica di Basse di Stura. La localizzazione delle discariche per inerti attive è riportato in figura D.6/1.

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Figura D.6/1 – Localizzazione delle discariche per inerti attive.

D.6.2. Impianti di trattamento rifiuti inerti.

Sempre lo studio dell’Università ha censito la presenza nella Provincia di Torino di 6 impianti fissi e 21 impianti mobili di frantumazione. La distribuzione delle imprese che svolgono attività di recupero inerti nei Comuni della Provincia di Torino è riassunta nella tabella D. 6/2 , ulteriori dati relativi alle ditte che effettuano attività di recupero di cui all’art.33 del D.Lgs 22/97 e s.m.i. sono disponibili sul sito: www.provincia.torino.it/ambiente/rifiuti. Tabella D.6/2 – Comuni in cui sono presenti imprese che effettuano attività di recupero di cui all’art. 33 del D.lgs e s.m.i, per le tipologie di rifiuto “inerti”.

Comune Numero imprese

Borgofranco 1

Bricherasio 1

Caprie 1

Carignano 1

Carmagnola 1

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Chieri 2

Chivasso 1

Ciriè 1

Druento 1

Foglizzo 1

Ivrea 1

Lauriano 1

Meana di Susa 1

Orbassano 1

Osasco 1

Osasio 1 Ozegna 1

Pianezza 1

Pinerolo 1

Piobesi 1

Pralormo 1

Rivalta 1

Rivarolo 1

Rivoli 1

Robassomero 1

Salbertrand 3

San Carlo 1

San Didero 1 San Maurizio C.se 1

Sant’ ambrogio 1

Settimo 2

Torino 6

Torrazza P.te 1

Venaria 1

Villafranca 2

Volvera 1

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E. CRITERI GENERALI PER LA PIANIFICAZIONE PROVINCIALE SUGGERITI DALL’AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME PO

Il Comitato Istituzionale dell’AdbPo, nella seduta del 13 marzo 2002 con deliberazione n.10/2002 esaminava il DPAEP predisposto dalla Regione Piemonte ed esprimeva parere favorevole subordinato al recepimento delle indicazioni contenute nell’Allegato 1 alla delibera14. In particolare il punto 6. del suddetto Allegato 1 è dedicato ai “Criteri generali per la pianificazione provinciale” che vengono qui riportati: 1. privilegiare, in ragione della vulnerabilità del sistema fluviale in termini idraulici,

idrogeologici, geomorfologici ed ambientali, l'estrazione di materiale da cave di versante piuttosto che da quelle ricadenti all'interno delle fasce fluviali; a fronte delle previsioni del DPAE, che fissano un valore percentuale del rapporto tra le attività estrattive degli inerti collocate nei territori delimitati dalle fasce fluviali e quelle ricadenti all'esterno intorno all'80%, si ritiene che detto valore debba essere ridotto al 60%;

2. riservare il materiale estratto dagli ambiti di fascia fluviale ad utilizzi pregiati (cementi ad alta

resistenza, cementi bituminosi, intonaci da rivestimento, ecc.); 3. favorire l’utilizzo di materiale di demolizione per usi poco pregiati, rispetto allo sfruttamento di

nuovi giacimenti; 4. favorire le attività estrattive in siti, già interessati da cave dismesse e/o abbandonate

riconosciuti come ambienti degradati, nei quali l'estrazione possa concorrere al restauro dell'ambiente perifluviale;

5. privilegiare attività estrattive in ambiti nei quali le forme fluviali abbandonate possono essere

riconnesse alla regione fluviale attraverso piani organici di ripristino; 6. prevedere in fascia A e B limitazioni alla profondità di scavo tali da mantenere un franco di un

metro al di sopra della quota del thalweg del corso d'acqua nel tratto interessato; 7. privilegiare l'estrazione in prossimità di confluenze di corsi d'acqua al fine di concorrere,

attraverso il piano di recupero, ad un assetto più stabile dell'area di confluenza ed ad un ampliamento della capacità di laminazione;

14 Difatti i disposti dell’art. 22 comma 1 e dell’art. 41 comma 4 delle Norme Tecniche di Attuazione del PAI stabiliscono che i piani di settore in materia di attività estrattive o gli equivalenti documenti di programmazione redatti ai sensi delle leggi regionali devono essere comunicati all’atto dell’adozione all’Autorità di bacino, la quale esprime un parere di compatibilità con la pianificazione di bacino.

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8. prevedere risistemazioni finali delle aree interessate dall’attività estrattiva volte ad un

miglioramento dal punto di vista ambientale attraverso interventi che producano un assetto finale pregiato sotto l’aspetto ecosistemistico e paesaggistico;

9. limitare fortemente l’attività estrattiva nei siti dove la protezione qualitativa e quantitativa

delle risorse idriche sotterranee riveste un interesse per l’approvvigionamento idropotabile e, comunque, prevedere, in tali ambiti, un adeguato monitoraggio per il controllo della qualità e del livello dell’acqua durante la coltivazione della cava e al termine della stessa per permettere gli ulteriori controlli; prevedere limitazioni alla profondità di scavo tali da mantenere un franco adeguato rispetto al livello minimo della falda, ovvero non interessare le riserve idriche sotterranee permanenti.

Tali criteri suggeriti per tutto il territorio della Regione Piemonte vanno valutati e adattati a ciascuna delle specifiche realtà provinciali del territorio regionale, tenendo presente sia le peculiarità del territorio, e in particolare la rete idrografica, sia la struttura estrattiva esistente.

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E.1. ANALISI DEI CRITERI GENERALI PER LA PIANIFICAZIONE PROVINCIALE NELLE FASCE PERIFLUVIALI I seguenti criteri

4. favorire le attività estrattive in siti, già interessati da cave dismesse e/o abbandonate riconosciuti come ambienti degradati, nei quali l'estrazione possa concorrere al restauro dell'ambiente perifluviale;

5. privilegiare attività estrattive in ambiti nei quali le forme fluviali abbandonate possono

essere riconnesse alla regione fluviale attraverso piani organici di ripristino;

6. prevedere in fascia A e B limitazioni alla profondità di scavo tali da mantenere un franco di un metro al di sopra della quota del thalweg del corso d'acqua nel tratto interessato;

7. privilegiare l'estrazione in prossimità di confluenze di corsi d'acqua al fine di concorrere,

attraverso il piano di recupero, ad un assetto più stabile dell'area di confluenza ed ad un ampliamento della capacità di laminazione;

si riferiscono ad attività ed interventi ricadenti nelle zone perifluviali. I criteri di cui ai punti 4 e 5 possono ritenersi inquadrabili in interventi di rinaturazione; quello indicato al punto 7 si riferisce ad interventi di sistemazione idraulica. Il criterio indicato al punto 6 pone invece una precisa prescrizione che se adottata tout-court comporterebbe una drastica inversione di tendenza dello scenario attuale caratterizzato dall’approvvigionamento degli aggregati prevalentemente da regioni perifluviali, più precisamente da sette bacini estrattivi, sei dei quali lungo le fasce fluviali e uno in aperta campagna. Ne conseguirebbero rilevanti ripercussioni sia nei riguardi del consumo di suolo sia nei riguardi della prevedibile richiesta anche in zone con caratteristiche giacimentologiche meno appetibili delle attuali, finora trascurate o poco utilizzate ai fini estrattivi. Per le analisi da effettuare, relative ad attività ricadenti nelle fasce fluviali, è opportuno richiamare quanto segue, sia nei riguardi delle fasce proposte dall’AdbPo, sia di quelle adottate dalla Provincia di Torino.

E.1.1 - Articolazione in fasce degli alvei fluviali secondo il PSFF.

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L’alveo fluviale e la parte del territorio limitrofo, costituente nel complesso la regione fluviale, sono oggetto della seguente articolazione in fasce: - Fascia di deflusso della piena (Fascia A), costituita dalla porzione di alveo che è sede

prevalente, per la piena di riferimento, del deflusso della corrente, ovvero che è costituita dall’insieme delle forme fluviali riattivabili durante gli stati di piena; E’ stata assunta la delimitazione più ampia tra le seguenti:

- fissato in 200 anni il tempo di ritorno (TR) della piena di riferimento e determinato il livello idrico corrispondente, si assume come delimitazione convenzionale della fascia la porzione ove defluisce almeno l’80% di tale portata. All’esterno di tale fascia la velocità della corrente deve essere minore o uguale a 0,4 m/s (criterio prevalente nei corsi d’acqua mono o pluricursali);

- limite esterno delle forme fluviali potenzialmente attive per la portata con TR di 200 anni (criterio prevalente nei corsi d’acqua ramificati);

- Fascia di esondazione (Fascia B). Tale fascia, esterna alla precedente, è costituita dalla porzione di alveo interessata da inondazione al verificarsi dell’evento di piena di riferimento. Con l’accumulo temporaneo in tale fascia di parte del volume di piena si attua la laminazione dell’onda di piena con riduzione delle portate al colmo. Il limite della fascia si estende fino al punto in cui le quote naturali del terreno sono superiori ai livelli idrici corrispondenti alla piena con Tr = 200 anni ovvero sino alle opere idrauliche esistenti o programmate di controllo delle inondazioni (argini o altre opere di contenimento), dimensionate per la stessa portata.

La delimitazione sulla base dei livelli idrici è stata integrata con:

- le aree sede di potenziale riattivazione di forme fluviali relitte non fossili, cioè ancora

correlate, dal punto di vista morfologico, paesaggistico e talvolta ecosistemistico alla

dinamica fluviale che le ha generate;

- le aree di elevato pregio naturalistico e ambientale e quelle di interesse storico, artistico,

culturale strettamente collegate all’ambito fluviale.

La delimitazione delle fasce, in particolare A e B, sottende l’assunzione di uno specifico progetto per l’assetto di un corso d’acqua, comprendente l’individuazione delle caratteristiche e della localizzazione delle nuove opere idrauliche per il contenimento dei livelli idrici di piena e

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per la regimazione dell’alveo. I limiti della fascia A e della fascia B vengono evidenziati nella cartografia del PSFF e del PAI con la dicitura “di progetto” nei casi in cui essi si identifichino con il perimetro di nuove opere idrauliche (ad esempio arginature).

- Area di inondazione per piena catastrofica (Fascia C), costituita dalla porzione di

territorio esterna alla precedente (Fascia B), che può essere interessata da inondazione al verificarsi di eventi di piena più gravosi di quello di riferimento.

Si assume come portata di riferimento la massima piena storicamente registrata, se corrispondente a un TR

superiore a 200 anni, o in assenza di essa, la piena con TR di 500 anni.

Per i corsi d’acqua non arginati la delimitazione dell’area soggetta ad inondazione viene eseguita con gli stessi

criteri adottati per la fascia B, tenendo conto delle aree con presenza di forme fluviali fossili.

Per i corsi d’acqua arginati l’area è delimitata unicamente nei tratti in cui lo rendano possibile gli elementi

morfologici disponibili; in tali casi la delimitazione è definita in funzione della più gravosa delle seguenti due ipotesi

(se entrambe applicabili) in relazione alle altezze idriche corrispondenti alla piena:

- altezze idriche corrispondenti alla quota di tracimazione degli argini,

- altezze idriche ottenute calcolando il profilo idrico senza tenere conto degli argini.

E.1.2 Delimitazione delle fasce fluviali dell’Autorità di bacino del fiume Po.

In funzione delle caratteristiche fisiche e di progetto del corso d’acqua si hanno le seguenti situazioni tipiche. - Corsi d’acqua arginati:

- la fascia di esondazione (fascia B) è generalmente delimitata dagli argini maestri (coincide con il piede esterno dell’argine) anche nelle situazioni in cui l’argine sia inadeguato al contenimento della piena di riferimento (tempo di ritorno 200 anni);

- la delimitazione della fascia di piena (Fascia A) coincide frequentemente con quella

della fascia di esondazione (Fascia B), ad eccezione di casi in cui si hanno golene chiuse ovvero, pur trattandosi di golene aperte, l’estensione golenale è molto ampia e di conseguenza la porzione contribuente al moto non arriva al limite degli argini. La stessa situazione si verifica nei tratti di attraversamento urbano, in cui frequentemente il corso d’acqua è vincolato da opere di sponda e/o da argini;

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 199

- per i corsi d’acqua del bacino con arginature continue (Po e affluenti nella parte di

media e bassa pianura), gli elementi conoscitivi disponibili, sopratutto quelli relativi alle quote del terreno ed agli aspetti morfologici del territorio coinvolto, non hanno il dettaglio sufficiente, anche in ragione della rilevante estensione del territorio coinvolto, a permettere la delimitazione della fascia C, tramite l’applicazione del metodo indicato.

- Corsi d’acqua non arginati:

- la fascia di deflusso della piena (Fascia A) coincide prevalentemente con l’alveo di

piena per i corsi d’acqua monocursali e pluricursali ed è delimitata dal confine esterno delle forme fluviali potenzialmente attive nei corsi d’acqua ramificati;

- la fascia di esondazione (Fascia B) è normalmente molto più ampia della precedente,

fino al limite di contenimento dei livelli idrici;

- la fascia C è normalmente delimitabile con il metodo indicato, compresi i tratti in cui si ha la presenza di arginature discontinue ovvero è in programma la realizzazione di nuovi argini.

La rappresentazione grafica delle fasce è convenzionalmente la seguente:

- nei casi in cui le linee di delimitazione della fascia A e della Fascia B coincidono, viene rappresentata solamente la fascia A;

- nei casi in cui le linee di delimitazione della fascia B e della fascia C coincidono, viene rappresentata convenzionalmente solamente la fascia B.

E.1.3 Delimitazione delle fasce fluviali della Provincia di Torino Il programma di ricerca sui corsi d’acqua promosso dalla Provincia di Torino ha consentito di pervenire a proposte di fasce fluviali, in coerenza con la metodologia adottata dall’Autorità di Bacino del fiume Po. L’art. 3, coma 4, delle Norme di Attuazione del PSFF recita “Per la parte di rete idrografica non compresa nell’Allegato 1, fatte salve le successive integrazioni degli ambiti territoriali interessati dal presente piano, le Regioni, e le Province, nei rispettivi strumenti di pianificazione territoriale, possono individuare corsi d’acqua per i quali procedere alla delimitazione delle fasce fluviali e

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 200

all’applicazione ad esse delle norme del presente piano operando sulla base degli obiettivi e degli indirizzi dello stesso”. L’elaborato Carta del dissesto idrogeologico allegata al Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino, riporta tali fasce nella forma coincidente con le proposte ad oggi formulate. Esse, in analogia con le fasce A,B e C, sono

- Fascia ad alta probabilità di inondazione (F.A.P.I.) - Fascia a media probabilità di inondazione (F.M.P.I.) - Fascia di inondazione per evento catastrofico (F.I.E.C.)

alle quali sono associate rispettivamente le categorie normative A1a, A2a, A3a coincidenti con le categorie normative A1, A2, A3 assegnate alle Fasce A,B,C. Nella Tavola 9 allegata ai presenti studi le fasce provinciali sono state rappresentate per i seguenti corsi d’acqua: Chisone-Germanasca, Pellice, Ceronda-Casternone, Malone, Orco, Chiusella. Ai fini del presente Piano le indicazioni più avanti formulate per le Fasce Fluviali A e B dell’AdbPO sono da estendere anche alle Fasce individuate e/o adottate dalla Provincia di Torino.

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E.2 INTERVENTI DI RINATURAZIONE CON ESTRAZIONE DI MATERIALI INERTI

(CRITERI 4 E 5 : ORIGINE - CONTENUTI - FINALITÀ E PROBLEMATICHE IDRAULICHE MORFOLOGICHE E NATURALISTICHE)

Come noto, tra i vari obiettivi, il PAI si prefigge di conseguire un recupero della funzionalità dei sistemi naturali, tra cui gli ambiti fluviali ed il sistema idrico, ritenuti elementi centrali dell’assetto territoriale del bacino idrografico. Nelle delibere n.5/’92 del 6 settembre 1992 e n.8/’93 del 1 luglio 1993, si ritrovano i seguenti obiettivi generali, rispetto a cui, per gruppi di aste omogenee, dovevano essere orientate le linee di programmazione dell’attività estrattiva compatibile:

a) ripristino e tutela delle caratteristiche naturalistiche e ambientali della regione fluviale;

b) conseguimento e mantenimento di un assetto morfologico sufficientemente stabile e

compatibile con un adeguato livello di sicurezza nei confronti di fenomeni di piena tramite il funzionamento affidabile delle opere di protezione.

Si riconosceva, quindi, l’esigenza di definire opzioni di intervento estrattivo, che consentissero la duplice condizione di mantenimento dell’equilibrio nel bilancio di trasporto solido avviando al tempo stesso una controtendenza rispetto agli effetti di degrado ambientale (abbassamento d’alveo e conseguentemente dei livelli di falda, trasformazione monocursale dei corsi pluricursali o ramificati). Gli studi sviluppati nell’ambito del SP.4 “Compatibilità delle attività estrattive” portavano ad individuare le seguenti linee di intervento:

a) mantenimento di una forte limitazione della pressione estrattiva in alveo, compatibilmente con le esigenze di sicurezza idraulica;

b) promozione di attività estrattive fuori alveo, inserite nell’ambito di progetti di rinaturazione ambientale e di ampliamento e recupero delle condizioni naturalistiche delle fasce di pertinenza fluviale.

Ciò richiamato, si riconosce che i criteri 4 e 5 suggeriti dall’AdbPo per la redazione dei PAEP si ritrovano nelle linee di intervento indicate in b) che hanno la duplice funzione di soddisfare le esigenze di approvvigionamento e di riqualificazione dell’ambiente perifluviale. Il punto 5, infatti, della Direttiva in materia di attività estrattive nelle aree fluviali del bacino del Po, è dedicato agli Interventi di rinaturazione degli ambiti fluviali, per i quali è previsto:

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 202

“Gli interventi di rinaturazione degli ambiti fluviali devono avere carattere di organicità e di unitarietà nonché essere coerenti con le previsioni degli strumenti urbanistici ai sensi delle leggi vigenti nonché rientrare negli Schemi Previsionali e Programmatici di cui all’art. 31 della legge 183/1989 o nei programmi triennali di cui all’art.21 della stessa legge. Essi devono essere prioritariamente finalizzati alla riqualificazione e valorizzazione ambientale del corso d’acqua, con particolare attenzione al mantenimento e ampliamento delle aree demaniali e/o il mancato rinnovo delle concessioni in atto, la riattivazione o la ricostruzione di ambienti umidi, il ripristino e l’ampliamento delle aree a vegetazione spontanea.” Tali interventi sono quindi orientati alla ricostruzione di ambienti naturali preesistenti ad azioni di degrado del territorio, che ne hanno determinato la modificazione sostanziale o la totale scomparsa. Le azioni di degrado hanno generalmente una causa antropica sia diretta (pressione dell’attività agricola o delle infrastrutture produttive, insediamento di aree estrattive, ecc.) che indiretta (es. canalizzazione del corso d’acqua con conseguente restringimento e trasformazione delle fasce fluviali). Esse producono in generale la perdita dell’originaria differenziazione ambientale, paesaggistica ed ecosistemistica, creando condizioni di forte limitazione dello sviluppo naturalistico dell’area (scarse opportunità per l’insediamento faunistico stanziale, conservazione della vegetazione autoctona solo nei settori morfologicamente inadatti all’attività agricola e all’infrastrutturazione, azione di disturbo creato dalla presenza dell’uomo sul territorio, ecc.) Ciò premesso, la Direttiva in materia di attività estrattive nelle aree fluviali del bacino del Po, indica: “ Ai fini dell’inserimento nello Schema Previsionale e Programmatico o nei Programmi triennali, le proposte di intervento devono essere accompagnate da:

a) relazione generale di inquadramento dell’intervento proposto, comprendente la descrizione del contesto ambientale entro cui si inserisce, corredata da documentazione fotografica d’insieme e di dettaglio dell’area;

b) relazione geologica e geomorfologica, con valutazioni relative anche alle caratteristiche

granulometriche del materiale d’alveo e dei relativi fenomeni di erosione, trasporto e sedimentazione, finalizzata all’individuazione, per il tratto d’asta d’influenza, del grado di stabilità attuale dell’alveo e delle sponde, di eventuali dissesti in atto e potenziali e delle probabili tendenze evolutive degli stessi; la relazione dovrà contenere una valutazione degli effetti che l’intervento produce sulle condizioni di stabilità attuali;

c) relazione idrologica e idraulica sul tratto d’asta fluviale di influenza, in relazione sia allo

stato di fatto che delle previsioni di progetto; allo scopo dovranno essere evidenziati gli

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effetti che l’intervento produce sulla dinamica fluviale rispetto all’assetto di insieme dello stesso tratto;

d) studio ambientale che evidenzi:

- caratteristiche naturalistiche e vegetazionali della zona d’intervento e del territorio

circostante (relazione e carta tematica);

- i benefici dell’intervento proposto in relazione a: ricostituzione degli habitat naturali della vegetazione spontanea e della fauna selvatica con particolare riguardo all’avifauna; ricostituzione degli habitat della vegetazione acquatica e della fauna ittica;

- valutazione degli effetti dell’intervento sull’assetto esistente;

e) documentazione descrittiva dell’intervento da attuare costituita da:

- finalità da conseguire attraverso l’intervento proposto, - modalità esecutive dell’intervento, fasi e relativi tempi di attuazione, - rilievi topografici (planimetrie, profili e sezioni) dello stato di fatto dell’alveo e delle

aree interessate dall’intervento, tavole grafiche di progetto e stime dei volumi da estrarre,

- capitolato speciale di appalto ovvero schema tipo di atto disciplinante l’intervento; - planimetria parcellare ed elenco delle concessioni;

f) relazione d’inquadramento in termini di utilizzazione di uso e di futura gestione delle aree

oggetto dell’intervento con particolare riguardo a convenzioni stipulate ai sensi del D.P.C.M. 23 marzo 1990 ai fini dell’organizzazione dio attività di controllo e prevenzione.

Tali studi, unitamente al progetto degli interventi, saranno redatti sotto la responsabilità dell’Amministrazione competente al rilascio del provvedimenti autorizzativi. Questi saranno trasmessi dall’Amministrazione stessa, previa valutazione di merito, all’Autorità di Bacino, che li esaminerà per il successivo inserimento nello schema Previsionale e programmatico o nel programma triennale.

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E.2.1 Orientamenti e criteri generali di definizione delle aree idonee ad intervento di estrazione /rinaturazione

Già nell’ambito del piano Stralcio SP.4 “Compatibilità delle attività estrattive”, veniva evidenziato che gli interventi : “dovranno portare ad una differenziazione morfologica e naturalistica degli ambienti perifluviali e ad una loro estensione paragonabile a quella precedente ai fenomeni di degrado. La realizzazione di tali interventi, tendendo alla ricostruzione dell’ambiente fluviale pregresso, dovrà tenere in considerazione la tipologia di ambiente precedente alle trasformazioni morfologiche che hanno determinato la perdita dei caratteri tipici di tale ambiente. Ad esempio la ricostruzione di ambienti fluviali pluricursali potrà risultare significativa in ambiti già localmente caratterizzati da tale alveotipo ( es. tratti di ORCO, STURA DI LANZO, PELLICE, CHISONE15) mentre non è prospettabile per tratti tipicamente monocursali. Analogamente la realizzazione di lanche e zone umide tipiche dei meandri abbandonati, risulterà idonea a tratti di corsi d’acqua dove tale morfologia era già presente ( e i cui caratteri tipici sono andati perduti in relazione all’abbassamento dei livelli di magra conseguente all’erosione di fondo alveo) come in particolare: PO tra foce Pellice e Moncalieri, tratti di DORA BALTEA13” sottolineando: “l’opportunità di procedere ad interventi prioritariamente su aree dove i fenomeni di degrado sono risultati particolarmente evidenti, pur sussistendo evidenze significative, dal punto di vista morfologico e naturalistico, dell’ambiente relitto. Tale opportunità si individua sulla maggior parte dei corsi dove risultavano presenti tratti pluricursali e ramificati, la cui larghezza è andata soggetta, nell’arco di soli 30-50 anni, a riduzioni talvolta superiori al 60-70%, in relazione all’erosione di fondo e alla conseguente canalizzazione e trasformazione monocursale. Una priorità di intervento si individua dunque per alcuni tratti13 di recente trasformazione monocursale quali in particolare:

- Po (tra confluenza Orco e confluenza Sesia; PO8G-PO9G); - Pellice (in particolare PE1G-PE5G); - Chisone (tutto il tratto L2); - Stura di Lanzo (SL1G-SL3G); - Orco (OC2G-situazioni limitate e localizzate);

15 Elenco limitato ai corsi d’acqua provinciali

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- Dora Baltea (DB2G- situazioni localizzate).” A tali indicazioni si aggiungono le informazioni riportate nelle “Schede relative alla descrizione geometrica, morfologica e morfodinamica dei tratti di corso d’acqua e dell’attività estrattiva” dell’elaborato “Analisi dei corsi d’acqua provinciali e delle attività estrattive nelle rispettive regioni perifluviali”, utili per l’individuazione dei tratti di corsi d’acqua nei quali trova spazio sia il criterio di favorire le attività estrattive in siti, già interessati da cave dismesse e/o abbandonate riconosciuti come ambienti degradati, nei quali l'estrazione possa concorrere al restauro dell'ambiente perifluviale, sia quello di privilegiare attività estrattive in ambiti nei quali le forme fluviali abbandonate possono essere riconnesse alla regione fluviale attraverso piani organici di ripristino. Operativamente, le proposte di intervento dovranno essere accompagnate da studi di dettaglio che, approfondendo le conoscenze sulle specifiche condizioni locali, fisiche e ambientali, dovranno fornire tutti gli elementi necessari per valutare nelle sedi opportune la compatibilità degli interventi proposti con le finalità di rinaturazione. A tal fine la scelta delle aree di intervento, deve essere operata in base a criteri di ordine geomorfologico, naturalistico, idraulico e di compatibilità con gli strumenti di pianificazione del territorio. Tali criteri, fatto salvi quelli relativi alla compatibilità con gli strumenti di pianificazione del territorio, sono di seguito indicati:

a) Distanze da zone di potenziale espansione dell’alveo La realizzazione degli interventi non deve in alcun modo modificare la tendenza evolutiva naturale del corso

d’acqua, e dell’alveo attivo in particolare.

Per tale motivo appare evidente la necessità di evitare interventi che implicano attività estrattiva in tutti i settori

golenali a tergo delle zone soggette ad intensa erosione spondale, al fine di non accelerare l’attività erosiva in zone

già naturalmente sottoposte all’asportazione di materiali inerti.

b) Recupero delle zone di paleoalveo recente e zone umide in generale La definizione delle aree di intervento implica una caratterizzazione di dettaglio della dislocazione ed età relativa

dei paleoalvei.

Questo tipo di informazione riveste particolare interesse in quanto l’età gioca un ruolo fondamentale sulla “qualità”

del materiale, influenzando sia lo stato di alterazione sia la percentuale di frazione argillosa; al limite, i terrazzi più

antichi possono risultare totalmente inadatti alla estrazione di materiali inerti per calcestruzzo.

Inversamente i paleoalvei corrispondono in genere a zone di materiali notevolmente ”freschi” ed a composizione

granulometrica più grossolana rispetto alle aree limitrofe. Il criterio di orientarsi su interventi in paleoalveo,

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apparentemente di ordine elusivamente economico, acquista una notevole rilevanza ambientale quando, a parità di

materiale utile, si realizzano minori volumi di scavo, con conseguente inferiore consumo di suolo, e generale

riduzione dell’impatto paesaggistico-ambientale.

c) Naturalità delle aree Un criterio utilizzato per la delimitazione delle aree con vocazione agli interventi di rinaturazione, è basato sulla

valutazione del grado di naturalità del territorio golenale, inteso come l’assenza di interventi di modificazione

antropica sugli ecosistemi terrestri e acquatici naturali dell’ambiente fluvio-golenale.

Devono dunque essere pressocchè esclusi interventi significativi su porzioni di territorio caratterizzate da

vegetazione spontanea arborea o arbustiva, acque lentiche di contatto, bacini di lanca; non risultano cioè

proponibili aree di intervento già di per se ad elevata naturalità.

d) Riqualificazione del valore ambientale degli ecosistemi relitti Come evidenziato nella Delibera 57/92 dell’AdbPo, un obiettivo fondamentale degli interventi deve essere

considerato la salvaguardia degli ecosistemi relitti e degli habitat esistenti, il cui valore ambientale può essere

riqualificato conferendo ad essi una maggiore continuità entro il territorio golenale.

Per tale motivo possono essere considerate idonee agli interventi le aree a bassa naturalità, in cui mediante

l’intervento di recupero viene realizzato il collegamento di zone a naturalità elevata, di limitato valore ambientale

se isolate, ma di alto valore, in particolare come rifugio faunistico, se ampliate a formare un’unica oasi naturale.

Particolarmente idonee agli interventi di rinaturazione, risultano quelle aree in cui gli ecosistemi naturali sono

discontinui in quanto inframmezzati da aree degradate, in particolare terreni agricoli a basso reddito posti in zone

frequentemente inondate (costituenti dunque un uso non razionale del territorio).

Tramite interventi di rinaturazione, a spese di tali porzioni di territorio degradato, è possibile realizzare delle aree di

estensione sufficiente da garantire alla fauna, sia essa terricola o avicola, stanziale o migratoria, uno spazio

sufficientemente ampio da consentirgli di vivere, nutrirsi e riprodursi.

e) Recupero del valore ambientale dei paleoalvei recenti e delle zone umide in generale. Una serie di processi di degrado (abbassamento d’alveo e conseguentemente dei livelli di falda, trasformazione

monocursale dei corsi pluricursali o ramificati), ha determinato la perdita di ambienti lentici e zone umide e

palustri, sia in termini areali che di connotati naturalistici.

Al fine di ripristinare l’originario valore ambientale, risulta di fondamentale importanza l’intervento sulle

aree di paleoalveo.

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Nell’ambito di tali aree, le operazioni di recupero comportano rilevanti movimentazioni di materiali inerti per la

realizzazione di zone umide palustri, o di specchi d’acqua ad uso naturalistico.

L’inserimento paesaggistico di tali specchi d’acqua risulta ottimo, in quanto perfettamente coerente con l’assetto

del territorio, già caratterizzato da ampie zone a falda subaffiorante e da residuali laghi di meandro.

In tali aree, la rinaturalizzazione non consiste naturalmente nella semplice creazione di specchi d’acqua; si

dovranno bensì effettuare interventi che realizzano ambienti lentici estremamente diversificati, tramite

un’opportuna risagomatura dei bacini di scavo, tale da creare habitat a diverse profondità.

Si sottolinea inoltre, come qualunque intervento che porti in affioramento la superficie freatica non trova ragioni di

inserimento in ambiti golenali al di fuori delle zone umide e delle aree di paleoalveo recente, in aree cioè dove una

simile configurazione non fa parte dell’assetto naturale e paesaggistico.

Si evidenzia inoltre come le zone di paleoalveo, oltre a prestarsi ottimamente agli interventi di rinaturazione,

risultano favorevoli anche per i motivi di ordine geomorfologico esposti al precedente punto

E’ comunque importante sottolineare che relativamente a tali interventi di estrazione/ rinaturazione, nell’ambito dell’SP.4, veniva suggerito di adottare un criterio di gradualità avviando nel contempo un adeguato programma di monitoraggio morfologico-ambientale per la valutazione dell’efficacia a breve-medio termine degli interventi stessi.

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E.3 INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA CHE PREVEDANO ESTRAZIONE DI MATERIALI INERTI

Il Punto 7 dei Criteri dell’AdbPo suggerisce di “Privilegiare l'estrazione in prossimità di confluenze di corsi d'acqua al fine di concorrere, attraverso il piano di recupero, ad un assetto più stabile dell'area di confluenza ed ad un ampliamento della capacità di laminazione”. Tale attività si inquadra tra gli interventi di sistemazione idraulica in grado di rendere disponibile anche quantità rilevanti di materiali inerti pregiati. Ricordiamo infatti che la Direttiva in materia di attività estrattive nelle aree fluviali del bacino del Po riguarda le attività di asportazione di materiali inerti dai corsi d’acqua e dal demanio fluviale, lacuale e marittimo, in merito ai quali definisce criteri, indirizzi e prescrizioni tecniche per gli interventi di manutenzione, di sistemazione idraulica, di rinaturazione degli ambiti fluviali nonché interventi di monitoraggio e controllo, al fine della formulazione dei Programmi triennali di cui all’art.21 e seguenti della L.183/1989. Tale direttiva è stata approvata con D.P.C.M. nel luglio 1998 come Allegato 4 al Piano stralcio delle fasce fluviali. Essa è vigente per l’ambito territoriale interessato dalla zonizzazione della regione fluviale dello stesso PSFF in attuazione dei disposti di cui agli artt. 11, 12, 13 e 17 delle Norme di Attuazione. Il PAI estende in attuazione dei corrispettivi artt. 34, 35, 36 e 41 l’applicazione della stessa direttiva all’intero ambito territoriale di riferimento di cui al titolo II delle Norme.

In particolare il Punto 4 della suddetta direttiva è dedicato agli “Interventi di sistemazione idraulica” per il quale viene indicato che:

“Le asportazioni di materiali inerti, che costituiscono parte integrante di interventi di difesa e sistemazione idraulica, devono avere carattere di organicità e devono comunque rientrare negli Schemi Previsionali e Programmatici di cui all’art. 31 della legge 183/1989 o nei Programmi triennali di cui all’art.21 della stessa legge. A tal fine le proposte dovranno essere accompagnate dalla documentazione di cui al precedente punto 3.”.

Il Punto 3, al quale rimanda, indica la documentazione richiesta che è costituita da un progetto preliminare e da un progetto esecutivo degli interventi approvati. Il progetto preliminare deve essere articolato in:

a) relazione tecnica illustrante le motivazioni idrauliche che rendono necessario l’intervento estrattivo, i

quantitativi e la qualità del materiale estratto, i benefici idraulici, in termini di miglioramento della ufficiosità

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idraulica rispetto alla portata di piena di progetto, nonché la descrizione del contesto ambientale nel quale

l’intervento si inserisce;

b) cartografia di inquadramento in scala 1:10.000 – 1:25.000;

c) planimetria e sezioni illustrative dell’intervento in scala adeguata.

Il progetto esecutivo degli interventi approvati deve essere predisposto sulla base di valutazioni preventive e

studi di impatto, e comprendenti:

a) relazione generale di inquadramento dell’intervento proposto, contenente la descrizione del contesto

ambientale entro cui si inserisce, corredata da documentazione fotografica d’insieme e di dettaglio dell’area;

b) relazione geologica e geomorfologia, con valutazioni relative anche alle caratteristiche granulometriche del

materiale d’alveo e dei relativi fenomeni di erosione trasporto sedimentazione, finalizzata all’individuazione,

per il tratto d’asta di influenza del grado di stabilità attuale dell’alveo e delle sponde, di eventuali dissesti in

atto e potenziali e delle probabili tendenze evolutive degli stessi; la relazione dovrà contenere una valutazione

degli effetti che l’intervento produce sulle condizioni di stabilità attuali per un tratto del corso d’acqua di

estensione significativa a monte e a valle dell’intervento;

c) relazione idrologica e idraulica sul tratto d’asta fluviale di influenza, in relazione sia allo stato di fatto che delle

previsioni di progetto; allo scopo dovranno esere evidenziati gli effetti che l’intervento produce sulla dinamica

fluviale rispetto all’assetto di insieme dello stesso tratto;

d) relazione e carta tematica sulle caratteristiche naturalistiche e vegetazionali della zona d’intervento e del

territorio circostante, contenente la valutazione degli effetti dell’intervento sull’assetto esistente;

e) documentazione descrittiva dell’intervento da attuare costituita da:

- finalità da conseguire attraverso l’intervento proposto,

- modalità esecutive dell’intervento,

- rilievi topografici dello stato di fatto, tavole grafiche di progetto e stime dei volumi da estrarre; qualora nelle

zone oggetto di intervento siano presenti opere d’arte o manufatti, devono essere allegate sezioni eseguite in

corrispondenza di dette strutture, di cui dovranno essere riportate dimensioni e caratteristiche,

- raffronto tra sezioni riferibili allo stato attuale, allo stato di progetto e, ove esistenti, a rilievi eseguiti in

passato; tali sezioni dovranno essere tenute sotto osservazione per valutare gli effetti degli interventi,

- capitolato speciale di appalto ovvero schema tipo di atto disciplinante l’intervento.

Tuttavia gli interventi a carattere sistematorio possono riferirsi a situazioni che richiedono gradi di approfondimento differenti a secondo della delicatezza e dell’entità delle problematiche coinvolte. A tal fine è importante sottolineare che l’Art. 12 delle Norme di Attuazione del PSFF, relativo agli interventi di regimazione e difesa idraulica, al comma 2 recita: “ Nel caso in cui gli interventi di sistemazione dell’alveo prevedano, unitamente o meno alla realizzazione di opere, l’asportazione di materiali inerti dall’alveo inciso o di piena, il progetto

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deve contenere anche la quantificazione dei volumi di materiale da estrarre. Qualora gli interventi non siano a carattere locale ma estesi a un tratto di dimensioni significative e comportino l’asportazione di quantità rilevanti di materiali inerti, il progetto di intervento deve valutare le condizioni di assetto morfologico, idraulico, naturalistico e paesaggistico dell’intero tronco interessato, con particolare riferimento al bilancio del trasporto solido interessante il tronco stesso.” La sistemazione dell’alveo e dell’area di confluenza di un corso d’acqua di ordine inferiore con uno di ordine superiore (secondo la gerarchia del reticolo idrografico) presenta problematiche idrauliche di diversa entità a seconda del grado gerarchico dei due corsi d’acqua, del regime delle portate liquide-solide coinvolte nei deflussi, nonché delle opere idrauliche di tipo difensivo già esistenti e del grado di uso del suolo nelle aree fluviali di interesse. Le modalità di predisposizione dei progetti di intervento ed ai contenuti degli stessi, indicati nel presente paragrafo e nelle “Specifiche tecniche per la redazione dello studio di compatibilità idraulica-geologica-naturalistica-ambientale”, possono portare, qualora approvati dagli Enti competenti, a recuperare anche rilevanti quantità di materiale solido. Tra questi si riconosce l’Autorità Idraulica, cui spetta, attraverso le varie strutture, il ruolo attivo di promozione e controllo delle attività svolte sul reticolo idrografico, nel rispetto delle linee di programmazione adottate dall’Autorità di Bacino del fiume Po. La disponibilità derivante da tali attività di sistemazione idraulica, si aggiunge a quella ordinariamente disponibile dalle attività estrattive tradizionali, e pertanto può ritardare l’apertura di una nuova cava e/o la concessione di un ampliamento. A tal fine occorre promuovere una maggiore diffusione delle informazioni (con particolare riguardo ai dati sui volumi di materiale estraibili, ed i tempi di attuazione dei progetti) che dagli Enti che in diversa misura e grado si esprimono su tali iniziative progettuali, arrivino al Servizio Pianificazione e Gestione Attività Estrattive.

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E.4 LIMITAZIONI ALLE PROFONDITA’ DI SCAVO NELLE FASCE A E B Il Punto 6 dei “Criteri generali per la pianificazione provinciale” suggeriti dall’AdbPo recita: “Prevedere in Fascia A e B limitazioni alla profondità di scavo tali da mantenere un franco di un metro al di sopra della quota del thalweg del corso d'acqua nel tratto interessato” L’adozione tout-court di tale criterio comporterebbe, come già detto, delle forti variazioni dell’attuale scenario dell’attività estrattiva. Esso risulta tale sia per l’apertura di nuove cave sia per gli ampliamenti quelle esistenti nelle fasce fluviali A e B. Nessun riferimento viene fatto alle possibili richieste di rinnovo dell’autorizzazione già concessa. In questi casi, in cui l’attività concessa non è stata ancora conclusa, sorge il dubbio se conservare l’originario progetto, ovvero salvaguardare il diritto già acquisito dal concessionario sebbene non totalmente esercitato, o imporre per le zone non ancora coltivate le medesime prescrizioni valide per i casi di ampliamento e/o nuove cave. Non sono esplicitamente indicate le ragioni che hanno ispirato la formulazione di tale criterio, che tale rimane per qualsivoglia tipologia fluviale, o per qualsivoglia posizione del sito di cava nei riguardi dell’alveo attivo o di alvei abbandonati potenzialmente attivabili e, infine, per qualsivoglia posizione della falda acquifera superficiale. Ciò lascia spazio ad un esame del problema da diversi punti di vista, per individuare i limiti oltre i quali la salvaguardia del sistema fluviale nel suo complesso (tra cui le acque sotterranee in particolare) impone l’integrale adozione di tale criterio, o se viceversa l’esame delle problematiche ambientali in senso lato (e in particolare quelle idrauliche e idrogeologiche connesse alle attività estrattive), unitamente a quelle legate a questioni di tecniche di coltivazione e a questioni economiche, mostra la possibilà / necessità di una maggiore flessibilità del criterio suggerito. Nel seguito verranno esaminate le problematiche idrauliche, dall’analisi delle quali saranno tratte le informazioni necessarie per rendere più flessibile l’applicazione del criterio suggerito. E ciò sia nei riguardi di richiesta di rinnovi e/o ampliamenti di attività già in atto, per le quali esiste già un pregresso, sia di nuove cave dopo la dichiarazione di adozione del PAEP da parte della Provincia di Torino.

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Problematiche di tipo Idraulico Sembrerebbe, in prima istanza, che il criterio in parola sia di tipo conservativo stante anche alle difficoltà previsionali dei fenomeni di morfodinamica fluviale. Tuttavia, si può ritenere che il criterio sia stato suggerito nell’ambito delle finalità perseguite dal PAI: - per salvaguardare l’integrità delle falde acquifere; - per evitare la presenza di singolarità morfologiche locali; la loro presenza, nel contesto della

dinamica evolutiva della regione fluviale, può incidere sul bilancio dei carichi solidi trasportati dalle correnti che eventualmente interferiscono con il sito di cava. In tali condizioni si innescano vistosi fenomeni erosivi a monte e a valle del sito, la cui intensità e durata dipende rispettivamente dalla distanza dall’alveo attivo e dall’entità del volume solido da ripristinare;

- per evitare possibili fenomeni di instabilità dei setti separatori lago di cava-corso d’acqua, qualora il lago di cava sia troppo vicino all’alveo attivo e approfondito rispetto alle quota del thalweg.

Tuttavia, come sopra detto l’intensità dell’interferenza tra le correnti idriche ed il generico sito di cava è strettamente legata alla energia delle acque che possono interessarlo e alla frequenza con cui esse possono presentarsi nel sito di interesse. Pertanto l’ubicazione della cava nei riguardi dall’alveo attivo o da potenziali alvei riattivabili lascia spazio ad argomentazioni che possono costituire elementi di riflessione utili per addivenire a prescrizioni meno restrittive. In prima istanza, riferendosi ad uno schema lineare ed ipotizzando una sufficiente stabilità morfodinamica trasversale, allontanandosi trasversalmente dall’alveo attivo la frequenza con cui il generico sito viene interessato dalle acque decresce; ne consegue che maggiore è la distanza dall’alveo attivo minore è la probabilità che la cava possa essere interessata dalle acque defluenti. E al crescere dell’ampiezza della zona tra alveo attivo e cava, di minore importanza o addirittura assente è il problema della stabilità del setto. Come noto, le fasce fluviali A e B sono state tracciate utilizzando la portata di piena duecentennale, La fascia A è riservata al deflusso di almeno l’80% del valore della portata di piena associata al tempo di ritorno TR = 200 anni, mentre l’insieme delle fasce A+B delimita la zona fluviale cui è riservato il compito di raccogliere e convogliare l’intera portata duecentennale anche attraverso alvei relitti e/o paleoalvei esistenti in zona golenale. In quest’ultima evenienza, seppure nei limiti delle metodologie e degli strumenti attualmente disponibili nel campo della morfodinamica fluviale, occorrerà, nell’ambito degli studi di dettaglio

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(ed in particolare nello studio di Compatibilità idraulica – geologica - ambientale), valutare se la riattivazione di rami relitti possa portare ad un nuovo ramo principale interferente con il nuovo sito di cava richiesto. In tali casi l’intervento estrattivo dovrà essere sconsigliato e/o ridimensionato o addirittura negato per evitare il possibile innesco di modificazioni morfologiche indesiderate o addirittura dannose all’assetto del corso d’acqua. Ciò posto, in linea di massima, si può ritenere che le zone planimetricamente più distanti dall’alveo attivo vengono interessate dal deflusso delle acque con frequenza decrescente e, fatte salve eventuali singolarità locali, con battenti d’acqua via via più modesti rispetto a quelli che possono verificarsi nell’alveo attivo. Ciò, comporta pure che il carico solido in moto in quelle zone risulta quantitativamente trascurabile rispetto al totale carico solido trasportato dal filone principale della corrente nell’alveo attivo e in quelli riattivati (ma pur sempre con funzione di alvei secondari). Tuttavia delle sicure differenziazioni trovano spazio solo esaminando singolarmente ciascun caso, ma resta confermato il fatto che non possono essere giudicati con la stessa severità gli insediamenti estrattivi esistenti e/o proposti nelle due differenti fasce A e B. Criterio proposto/adottato dalla Provincia di Torino

Sulla base delle argomentazioni precedenti di natura idraulica e morfodinamica si propone il seguente criterio più flessibile rispetto a quello suggerito dall’AdbPo: “In fascia A (ed in fascia B nel caso in cui coincida con la A) la profondità di scavo deve essere tale da mantenere un franco di un metro al di sopra della quota del thalweg del corso d’acqua nel tratto interessato. In fascia A e B la profondità di scavo deve essere in ogni caso subordinata alle prescrizioni relative alla salvaguardia delle falde acquifere contenute nelle Norme di Attuazione del PAEP, a fronte di indagini specifiche volte a valutare se la possible riattivazione di rami relitti possa portare ad un nuovo ramo principale interferente con il sito di cava richiesto. Nelle Norme di Attuazione viene proposta un’ articolazione del criterio di maggiore dettaglio.

Per la definizione della linea di thalweg si assume quanto segue:

- la linea di thalweg corrisponde alla linea equidistante fra le due sponde destra e sinistra,

purchè tale linea ricada in un settore attivo dell’alveo (non ad esempio in corrispondenza di isole stabili); dove si riscontra la presenza di isole o barre longitudinali stabili, che definiscono tratti pluricursali, la linea di thalweg si stacca dalla linea equidistante fra le due sponde (non taglia le isole stesse) e segue la linea di corrente corrispondente al ramo principale.

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Per le quote del fondo thalweg si assume quanto segue:

- si adottano quelle relative al profilo longitudinale del fondo dell’alveo attivo, costruito con la media delle quote del fondo thalweg dedotte da rilievi effettuati prima e dopo un periodo di deflussi elevati con riferimento al regime delle portate del corso d’acqua.

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F. COMPATIBILITÀ AMBIENTALE DEL PIANO

F.1 IL QUADRO GENERALE DI RIFERIMENTO

F.1.1 L’attuale quadro di riferimento normativo alla valutazione ambientale

Una parte rilevante nel lavoro di elaborazione del PAEP riguarda la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) del piano, ai sensi della L.R. 40/98 della Regione Piemonte. La relazione di compatibilità ambientale, prevista quale strumento per condurre tale valutazione, verrà di fatto messa a punto a conclusione della fase di consultazione aperta con l’invio ai Comuni ed alle Comunità Montane. Pertanto l’intero contenuto di questo capitolo è da considerarsi a tutti gli effetti uno schema preliminare al quale dovranno fornire importanti contributi le verifiche da farsi sulla base della concertazione con i soggetti interessati e delle osservazioni che potranno essere portate al PAEP nella specifica materia dell’analisi delle ricadute ambientali delle scelte e delle azioni proposte. La Valutazione ambientale Strategica, com’è noto può essere definito come “un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi – ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti e affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale, sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale”16. La procedura di VAS deve dunque fungere da supporto alla pianificazione fornendo ai decisori informazioni ambientali adeguate sugli effetti positivi e negativi che il piano può determinare sul territorio e sul sistema economico - sociale. Dietro l’ormai conquistata accettazione della VAS come strumento per una valutazione degli effetti ambientali sempre più integrata all’interno dei piani, c’è il lungo e complesso percorso che ha portato attraverso numerose tappe dalla Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma del 1972 alla Conferenza di Kyoto del 1997 ed ai Programmi di azione a favore dell’ambiente approvati dal Consiglio Europeo, prima alla assunzione di principi (della condivisione delle responsabilità, dell’integrazione degli obiettivi ambientali nelle politiche di settore, dell’ampliamento degli strumenti conoscitivi) ed ora alla loro effettiva introduzione dentro strategie, obiettivi, accordi, politiche. Oggi la necessità di procedere ad una Valutazione di questo tipo per piani e programmi è stata posta in modo ultimativo dalla Direttiva Europea 42/2001/CE, che però non è stata ancora recepita dal Governo Italiano 17 sebbene sia già stata di fatto accolta nella citata Legge regionale 40/98 del

16 Sadler e Verheem, Strategic Environmental Asessment Status: Challenges and Future Directions, (1996) 17 La Direttiva emanata nel giugno 2001 dà tempo fino al 21 luglio agli Stati membri per adeguare la propria legislazione a quanto previsto in tale atto. Dopo tale data ….

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Piemonte “Disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione” all’art. 20 che stabilisce “gli strumenti di programmazione e pianificazione .…………. sono studiati ed organizzati sulla base di analisi di compatibilità ambientale” e che “ l’adozione di detti piani e programmi …….avviene anche alla luce delle informazioni e valutazioni “ contenute in tale relazione. Ancora recentemente la Regione Piemonte ha emanato la Circolare 1/PET del 13 gennaio 2003, pubblicata sul Bollettino Ufficiale n. 4 del 23/1/2003 esplicativa dell’art. 20 della L.R. 40/98 e destinata pertanto a fornire supporto in particolare alle Amministrazioni Comunali per la predisposizione degli studi di compatibilità relativi agli strumenti urbanistici comunali. Per la Regione Piemonte è dunque già obbligatorio provvedere a tale valutazione. Della applicazione di queste norme non c’è però ancora una casistica ampia, soprattutto in Italia, anche per il ritardo che la legislazione regionale e soprattutto quella nazionale hanno accumulato nel recepimento della Direttiva Europea ed ancora più limitate sono le esperienze relative alla scala vasta: pertanto una parte consistente del lavoro è stata dedicata alla definizione del metodo, come peraltro è prassi per l’applicazione della VAS, che è un approccio più che una procedura rigidamente definita ed universalmente applicabile. I riferimenti metodologici a cui si è fatto ricorso sono le “Linee guida per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)” del Ministero dell’Ambiente per i Fondi Strutturali 2000 – 2006 e le esperienze condotte in questo campo da alcuni membri del gruppo di lavoro nell’applicazione della stessa VAS al Programma Olimpico dei Giochi Invernali Torino 2006 e nell’analisi di compatibilità ambientale condotta nel 2001 - 2002 sul tracciato dell’Alta Capacità Torino – Lione (tratta nazionale S.Didero – Settimo Torinese) e per la localizzazione dell’inceneritore nell’area di Torino (2003). Va ancora sottolineato il fatto che, nello spirito proprio della VAS, nel lavoro si è data particolare importanza al rapporto del piano con il quadro normativo di riferimento, con gli obiettivi di pianificazione alle diverse scale e con gli indirizzi strategici più che agli aspetti tecnico - operativi per i quali si rimanda piuttosto alle Valutazioni di impatto ambientale o alle Verifiche di incidenza che dovranno accompagnare le singole attività estrattive. Inoltre va segnalato che questa parte del lavoro è stata condotta in parallelo ed in contemporanea alla elaborazione degli elementi conoscitivi e propositivi del piano, interagendo quindi con queste altre parti del lavoro nella impostazione stessa del piano, consapevoli comunque che l’attuale documento costituisce ancora un elaborato preliminare i cui contenuti potranno essere ulteriormente affinati dopo la fase di consultazione con gli altri soggetti coinvolti espressamente prevista per garantire la partecipazione e la condivisione degli obiettivi, delle azioni, delle regole del piano. Quanto al rapporto che dovrà stabilirsi fra VAS e VIA va evidenziato il fatto che questi due strumenti di valutazione sono complementari e non alternativi. La VAS riguarda la valutazione del piano e dunque strategie, obiettivi di ordine generale e scelte di scala vasta (la cartografia di supporto al piano è, non a caso, in scala 1:100.000) considerate in modo preventivo nel loro insieme e in modo continuo per tutto il periodo di vigenza del piano del

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settore estrattivo, in questo caso; la VIA si applica al singolo progetto di cava in una localizzazione specifica e verifica in modo puntuale e solo nel momento della sua progettazione, le ricadute sul territorio e sull’ambiente dell’attività proposta, mirando ad individuare correzioni al progetto per ridurre o compensare gli impatti negativi. Ai sensi della L.R. 40/98 e s.m.i., le attività estrattive possono essere sottoposte a Valutazione o Verifica Ambientale a seconda della dimensione e della possibilità che ricadano (anche solo parzialmente) o meno all’interno di aree protette (si rimanda al paragrafo A.6.1 delle Norme di Attuazione). La L.R. 40/98, inoltre, sempre all’art. 20 comma 5 prevede che i piani “studiati ed organizzati sulla base di compatibilità ambientale possano prevedere condizioni di esclusione automatica dalla procedura di verifica di progetti” di cave e torbiere con materiale estratto inferiore a 500.000 mc/a e con superficie inferiore a 20 ha (All. B1). Si ritiene tuttava che aseguito delle ultime revisioni già effettuate sugli allegati della L.R. 40/98, con i provvedimenti regionali sopra richiamati, sia già stata definita una casistica di assoggettamenti obbligatori ed esclusioni automatiche sufficientemente articolata e coerente anche con le principali linee d’attenzione del presente piano.. Pertanto anche per evitare differenziazioni con altre province nell’applicazione delle procedure di VIA, non si propongono ulteriori tipologie progettuali oltre a quelle già presenti nella l.r. 40/98.

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F.1.2 La dimensione ambientale del PAEP e la metodologia adottata Qualunque strumento di governo del territorio opera su processi che investono certamente la dimensione ambientale; tale aspetto, in tutte le sue sfaccettature e specifiche componenti, ha costituito in tutte le fasi di redazione del PAEP il fulcro centrale di attenzione ed il costante elemento di confronto per la definizione delle scelte. Pertanto gli obiettivi di minimizzazione delle ricadute ambientali delle attività estrattive e l’ottimizzazione del bilancio risorsa/impatti ambientali sono stati oggetto di specifici approfondimenti, sia comparto per comparto sia a livello di approccio globale. Nel Piano relativo alle attività estrattive questa dimensione è particolarmente significativa in quanto opera su una risorsa non rinnovabile (i materiali estrattivi) da cui dipende una attività produttiva che costituisce fattore fondamentale non solo dello sviluppo (produzione di profitti, occupazione, alimentazione di altri settori economico- produttivi in alcuni casi strategici per la realizzazione di opere quali quelle infrastrutturali, ecc.) ma anche della soddisfazione di bisogni essenziali della popolazione come la casa, le strade ecc.. Allo stesso tempo questa attività interferisce con il territorio e l’ambiente in numerose direzioni, con effetti in molti casi fortemente negativi. Purtroppo la storia sia remota che recente ha registrato in questo settore esperienze sotto questo profilo non positive e questi infausti precedenti spiegano il pregiudizio che si è formato nell’immaginario collettivo nei confronti di questo settore. Le ragioni del territorio e dell’ambiente sono state frequentemente perdenti nei confronti di quelle dello sviluppo e molte aree portano segni indelebili della irresponsabilità con cui si è agito nell’estrarre questi materiali da zone con caratteristiche ambientali talora di primissima qualità senza accettare il minimo sacrificio delle esigenze produttive per ridurne l’impatto sulle condizioni locali. Condannare il comportamento di chi scava montagne e fiumi senza curare gli effetti sul paesaggio o immettere sulle strade camion che producono rumore, polvere, dissesti stradali, incidenti, ecc. non significa però concludere che, per evitare tutto questo, si debba rinunciare ad avere case, strade, ferrovie. Né può salvarci da questa contraddizione la scelta di sottrarci a questi disagi importando materiali da aree più lontane così riversando altrove gli impatti negativi per riservarci solo quelli positivi, in una logica adottata molto frequentemente negli ultimi tempi in questo come in altri settori. Quest’ultima linea, che si potrebbe definire la “politica dello struzzo” , perché allontana e rimuove la percezione del conflitto fra gli interessi in campo rendendo ancor più drammaticamente difficile la conciliazione fra effetti positivi e negativi distribuiti inegualmente fra aree ed utenti, è stata in molti casi adottata per ridurre le resistenze locali ed aggirare l’ostacolo della ricerca di scelte

18 Sadler e Verheem, Strategic Environmental Asessment Status: Challenges and Future Directions, (1996) 19 La Direttiva emanata nel giugno 2001 dà tempo fino al 21 luglio agli Stati membri per adeguare la propria legislazione a quanto previsto in tale atto. Dopo tale data ….

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ambientalmente accettabili. Non è però certamente questa la soluzione del problema, né si giustifica l’impressione che non si possano perseguire modalità in grado di rendere l’attività estrattiva compatibile con le esigenze del territorio, agendo in futuro diversamente dal passato. Dunque al paradosso ambientale che investe tutta la pianificazione territoriale non sfugge questo settore e la sua specifica pianificazione, che contiene tutte le parole-chiave tipiche della gestione delle risorse naturali in una società complessa qual è la nostra: da un lato ha a che fare con una risorsa non rinnovabile ed allo stesso tempo strategica per lo sviluppo del sistema economico-sociale; dall’altro interagisce con la giusta esigenza di salvaguardare le condizioni attuali e le opportunità evolutive del territorio e dell’ambiente che l’estrazione, la lavorazione, il trasporto, l’accumulo di questi materiali possono mettere a rischio. E’ dunque questo il tipico terreno su cui devono agire i principi della sostenibilità dello sviluppo, nel tentativo di conciliare le esigenze della crescita con quelle della salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente. Un piano modernamente inteso deve agire in quest’ultima direzione, e va costruito ed attuato nel rispetto di quella nuova coscienza che si è andata formando sia su tutta la materia del rapporto con la dimensione ambientale dei problemi sia sul ruolo e sulla stessa visione degli strumenti di pianificazione. Va anche sottolineato che il livello di pianificazione provinciale è quello ottimale per verificare la sostenibilità delle scelte strategiche. E’ a questa scala che possono essere definite in modo efficace e con una visione unitaria le politiche di organizzazione delle infrastrutture, di tutela dell’ambiente e del paesaggio, di urbanizzazione. E’ in questa direzione che questo piano si è mosso. A questo fine dunque si è particolarmente curato che la sua impostazione rispettasse lo spirito, oltre che il dettato, della L.R. 40/98, dedicando specifica attenzione alla verifica di coerenza con gli obiettivi di ordine più generale (quelli derivati da accordi internazionali e da normative di carattere comunitario) con gli obiettivi e le norme del DPAE ( si vedano i successivi paragrafi in questo stesso capitolo) ed a tre aspetti che possono, fra l’altro, contare nella stessa strumentazione tecnica e legislativa della Regione Piemonte di supporti per un approfondimento adeguato:

− apparato conoscitivo ampio, dinamico, articolato − procedure di formazione ed attuazione del piano capaci di creare attorno alle scelte di

piano ed al suo apparato normativo condivisione e consenso largo da parte di tutti gli interlocutori interessati

− valutazione accurata degli effetti ambientali delle scelte. Analogamente, ed ovviamente, si è curato che esso risultasse coerente con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, derivando dai suoi obiettivi di carattere più generale obiettivi specifici per questo settore, come meglio esplicitato al paragrafo F.3. Nei confronti delle attività estrattive è piuttosto semplice individuare a livello generale alcune ricadute ambientali tipiche che si verificano con maggiore o minore intensità, in tutti gli interventi. Sinteticamente questi possono essere così elencati:

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• interferenza con le acque superficiali, in particolare con le dinamiche idrauliche e geomorfologiche,

• interferenza con le dinamiche di versante e fenomeni di instabilità, • interferenza con le acque sotterranee e con le strutture naturali di protezione degli acquiferi, • interferenza e ricadute negative sul paesaggio, sui Beni Culturali ed ambientali, sulla

percezione visiva e sulla fruizione a fini ricreativi dei luoghi, • interferenza sugli ecosistemi in termini di sottrazione di habitat, disturbo di ambienti e

diminuzione della biodiversità, impatti su fauna, flora e vegetazione, • sottrazione di suolo, • fenomeni di rumore, polverosità e aumento del traffico locale.

Per ciascuno dei temi sopra richiamati, come riportato in dettaglio nella relazione generale alla quale si rimanda, sono stati effettuati specifici approfondimenti e di conseguenza definite indicazioni. Alcune indicazioni assumono valore di carattere generale, tali da poter essere direttamente tradotte in una forma normativa o regolamentare, altre invece definiscono punti di attenzione che devono essere oggetto di approfondimento specifico in sede di progetto e/o redazione del SIA.

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F.1.3 La relazione con il DPAE

Il DPAE, nei tre documenti relativi alle tipologie di materiali che costituiscono l’attività estrattiva piemontese -inerti, pietre ornamentali e materiali industriali-, indirizza di fatto anche la dimensione territoriale dell’attività estrattiva. Soprattutto il Primo Stralcio dedica particolare attenzione alla tematica del rapporto programmazione settoriale/pianificazione territoriale e delle strategie localizzative delle attività estrattive. Nel Primo Stralcio è certamente rilevante il rapporto fra il DPAE, in quanto strumento di indirizzo settoriale, e il contesto più ampio della pianificazione, in merito soprattutto ad alcuni compiti che sono di competenza della pianificazione territoriale, urbanistica e paesistica. Ciò comporta la necessità di definire in modo chiaro le competenze fra i due livelli di pianificazione dal momento che un piano di settore, che definisce un azzonamento territoriale per la localizzazione dell'attività estrattiva, interagisce con la pianificazione territoriale e, viceversa, le limitazioni imposte dalla pianificazione del territorio possono avere rilevanza per le opportunità di utilizzo delle risorse estrattive. A questo proposito la relazione del DPAE stabilisce che, “è da considerarsi inadeguata qualunque limitazione che non prenda in esame tutti i potenziali impatti che la limitazione stessa è in grado di innescare; non si può, in linea di principio, escludere che una norma di vincolo che inneschi processi rilocalizzativi, specie quelli che riguardano consistenti bacini estrattivi, produca impatti che, a bilancio fatto, risultino a saldo negativo”.20 Ciò conferma la necessità di verificare l’interazione fra vincoli territoriali relativi a bacini estrattivi e norme relative alla pianificazione di settore. Un’analoga considerazione si estende ovviamente ai bacini estrattivi potenziali, cioè alle aree di interesse giacimentologico per le quali può porsi la condizione di non inidoneità all’attività estrattiva. Il DPAE assume pertanto un ruolo di indirizzo rilevante per il contenuto dei Piani Provinciali, sia pure con funzioni essenzialmente orientative sulla localizzazione dell’attività estrattive più che di azzonamento, riconoscendogli comunque il compito di verificare il rispetto dei requisiti di compatibilità ambientale impliciti nelle limitazioni che all’attività estrattiva impone la pianificazione territoriale nonché quello di delineare strategie che configurino scenari localizzativi, a partire dalle tendenze storicamente consolidate e da quelle in atto21. Inoltre il DPAE, pur avendo una funzione di indirizzo per la redazione dei PAEP non estesa alla materia del paesaggio (che è di competenza della pianificazione territoriale secondo la l.r. n.56/77), ha anche il compito, “di inglobare la problematica paesaggistica come criterio endogeno alla pianificazione di settore, facendo della qualità del paesaggio una delle variabili di cui si deve tenere conto ai vari livelli della pianificazione e della progettazione delle attività estrattive” 22. 20 Stralcio I, pag. 7. 21 Stralcio I, pag. 120. 22 Stralcio I, annesso 3, pag. 68.

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Va ancora ricordato che gli scenari localizzativi del medio-lungo periodo, sono stati delineati tenendo conto del quadro geogiacimentologico e del quadro delle tendenze estrattive in atto in Piemonte. Il quadro di riferimento, che ne è risultato, è costituito essenzialmente da indirizzi e da orientamenti che non possono avere una operatività diretta a causa della scala territoriale cui opera il DPAE, ma che rappresenta un quadro per delineare, a livello di pianificazione regionale, scenari localizzativi alternativi, alla luce dei quali valutare diverse strategie localizzative per l’attività estrattiva. Ai fini del rapporto tra il DPAE e il PAEP è utile ricordare che il primo ha definito un quadro sintetico dei possibili scenari alternativi, suddividendo il paesaggio di pianura in cinque grandi categorie: le aree della pianura agricola, le piane di divagazione fluviale, gli ambiti dei terrazzi alluvionali e degli anfiteatri morenici, le piane fondovallive, i versanti montani, le aree dove il mosaico agricolo si è fortemente intrecciato con il tessuto edificato e infrastrutturato della città diffusa,23. Va ancora annotato il fatto che il DPAE individua come zone a maggiore concentrazione estrattiva le fasce fluviali, sebbene lo stesso documento ipotizzi per il futuro due esigenze: da un lato una maggior differenziazione della localizzazione dei bacini estrattivi e dall’altro una razionale concentrazione delle attività produttive. La prima è intesa a decongestionare alcune aree fluviali, mentre la seconda ad evitare la dispersione incontrollata delle escavazioni. Di conseguenza ai fini di una migliore compatibilità ambientale va raccolta l’ipotesi di una linea di tendenza che porti l’attività estrattiva, oggi prevalentemente concentrata in aree prossime ai corsi d’acqua - valutati tutti gli altri parametri (impatto ambientale, caratteristiche dei giacimenti, trasporti, consumi energetici) - sia verso localizzazioni di pianura in prossimità di terrazzi morfologici e sia verso la coltivazione di cave di monte in zone dove sia più agevole il ripristino morfologico dei versanti. Di fronte ad un’eventuale ri-localizzazione delle attività estrattive nell’agrotessuto non si può però ignorare che, accanto ad una possibile rinaturalizzazione degli ambienti fluviali, si rischierebbero effetti intrusivi nell’agromosaico (in termini di impatti visivi, di lacerazione del tessuto, di perdita di suoli…). Nell’elaborare il PAEP si è pertanto accolto il suggerimento già contenuto nel DPAE, orientato a verificare il potenziale giacimentologico delle aree di divagazione fluviale sfruttabile in condizioni di compatibilità ambientale. Sarebbe pertanto auspicabile , solo nel caso in cui la risorsa estrattiva dovesse risultare sensibilmente in difetto rispetto alla domanda, ricercare nuovi potenziali giacimenti sia nelle piane agricole che nei terrazzi alluvionali e negli anfiteatri morenici.

23 Stralcio I, pag. 129.

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F.1.4 La relazione con il PTCP

Il PAEP costituisce, rispetto al PTCP della Provincia di Torino, approvato dalla Regione Piemonte il 1 agosto 2003, uno strumento di approfondimento e di applicazione allo specifico settore estrattivo degli obiettivi, criteri, strategie generali che il PTCP ha definito per le proprie politiche ed azioni a tutto campo. Come indicato nell’art. 3 delle Norme di Attuazione, il Piano delle Attività Estrattive costituisce Strumento di Attuazione del PTC stesso (3.2) e pertanto ne rispetta la coerenza e recepisce gli indirizzi. In particolare nella fase di analisi delle sensibilità del territorio sono state tenute in conto le peculiarità e caratteristiche di area vasta della Provincia, già evidenziate dal PTC (suoli ad eccellente e buona produttività, aree di pregio ambientale e documentario, zone di ricarica della falda, parchi e riserve naturali, fasce fluviali, ecc…) e le norme di tutela che questo dispone. Come più avanti illustrato (paragrafo F3) prendendo spunto dagli obiettivi generali del PTC sono stati definiti degli obiettivi specifici, in relazione al settore di competenza del presente piano, che trovano a loro volta risposta negli indirizzi e nelle linee d’azione del PAEP. E’ evidente comunque la necessità di un corretto raccordo fra i due strumenti di pianificazione per assicurare reale efficacia, anche attraverso l’azione in questo campo, al governo del territorio mettendo ordine fra i diversi strumenti di piano che si sovrappongono sulle stesse aree per far fronte a specifiche esigenze settoriali. La condizione per questo percorso è ovviamente il pieno rispetto dello spirito, oltre che della lettera, delle strategie proprie del PTCP e la relazione di compatibilità ambientale che verrà messa a punto a conclusione della fase di consultazione che avrà inizio con l’invio ai Comuni, ha anche il compito di agevolare la verifica di questa coerenza, ovviamente soprattutto con riferimento alle tematiche ambientali che peraltro costituiscono il nodo centrale delle strategie del PTCP. E’ evidente inoltre che l’adozione di questi indirizzi come punto di riferimento per la struttura dell’intero piano delle attività estrattive non pregiudica la possibilità di individuare, con molta libertà progettuale, azioni diverse per il raggiungimento degli obiettivi così come per la concertazione istituzionale tra le amministrazioni interessate, per la diffusione delle informazioni, per la formazione del consenso attorno alle scelte ed alle norme del piano.

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F.2. DESCRIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEL TERRITORIO I precedenti capitoli di questa relazione hanno ampiamente e dettagliatamente descritto il territorio della Provincia dal punto di vista delle sue caratteristiche maggiormente rilevanti per l’impatto con le attività estrattive. Qui ci si limita pertanto a ricordare in estrema sintesi quei caratteri che per la relazione di compatibilità ambientale risultano particolarmente significativi. Il territorio provinciale è sottoposto a forti pressioni per la presenza di processi di urbanizzazione molto intensi e per la densità di infrastrutture di tutti i tipi che lo attraversano in tutte le direzioni. Le aree sedi di questi processi sono anche quelle che esprimono la più forte domanda di materiali per la realizzazione di abitazioni, servizi, infrastrutture e nelle quali quindi, compatibilmente con le caratteristiche geo-giacimentologiche dei siti, sono più forti le richieste di apertura di nuove attività estrattive. Contemporaneamente ci sono zone della Provincia di grande delicatezza ambientale (parchi, aree di ricarica delle falde, ecc.) o di pregio per attività importanti (agricoltura). Trovare dunque aree in cui sia possibile autorizzare attività estrattive in un’ottica di sviluppo sostenibile non è così facile. La fase conoscitiva dello studio è servita ad individuare quelle aree, relativamente poche, di sensibilità elevate in cui impedire la realizzazione di nuove cave o l’ampliamento di quelle esistenti e quelle, più numerose, in cui l’autorizzazione può essere data ma a condizione che vengano rispettate specifiche condizioni (limitazioni all’attività o necessità di procedere ad approfondimenti e studi specifici per verificare con il giusto livello di dettaglio le caratteristiche dell’area) e comunque sempre a seguito di quelle valutazioni del singolo progetto (VIA o verifica di incidenza) che devono dar conto dell’impatto locale.

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F.3. DEFINIZIONE DI OBIETTIVI ED AZIONI La definizione degli obiettivi deve soddisfare le condizioni di sostenibilità ambientale a partire da quelle più generali. I principi cui si fa comunemente riferimento sono i seguenti:

- il consumo di una risorsa non rinnovabile deve essere ridotto al minimo; - una risorsa rinnovabile non può essere sfruttata oltre la sua capacità di rigenerazione - non si possono immettere nell’ambiente più sostanze della sua capacità di carico (ovvero di quanto l’ambiente riesca ad assorbire) - i flussi di energia e materiali devono essere ridotti a livello tale da generare il rischio minimo

F.3.1 Gli obiettivi generali di sostenibilità ambientale

Le tematiche ambientali a cui fanno abitualmente riferimento accordi internazionali e linee di indirizzo europee sono:

- Cambiamenti del clima - Riduzione dell’ozono atmosferico - Acidificazione - Ozono troposferico e ossidanti - Sostanze chimiche (pesticidi, metalli pesanti) - Rifiuti - Natura e biodiversità - Acque - Ambiente marino e costiero - Degrado del suolo - Ambiente urbano - Rischi tecnologici - Rischi naturali - Paesaggio e patrimonio culturale

Utilizzando pertanto i riferimenti metodologici contenuti nelle “Linee guida per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)” del Ministero dell’Ambiente sono stati individuati gli obiettivi generali di sostenibilità ambientale.

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GLI OBIETTIVI GENERALI DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE (Ministero Ambiente) 1. ridurre al minimo l’impiego delle risorse energetiche non rinnovabili 2. impiego delle risorse rinnovabili nei limiti della capacità di rigenerazione 3. uso e gestione corretta, dal punto di vista ambientale, delle sostanze e dei rifiuti

pericolosi/inquinanti 4. conservare e migliorare lo stato della flora e fauna selvatiche, degli habitat e dei paesaggi 5. conservare e migliorare la qualità dei suoli e delle risorse idriche 6. conservare e migliorare la qualità delle risorse storiche e culturali 7. conservare e migliorare la qualità dell’ambiente locale 8. protezione dell’atmosfera (riscaldamento del globo) 9. sensibilizzare maggiormente alle problematiche ambientali, sviluppare l’istruzione e la

formazione in campo ambientale 10. promuovere la partecipazione del pubblico alle decisioni che comportano uno sviluppo

sostenibile Tali obiettivi sono serviti per definire le matrici di verifica obiettivi\azioni contenute al punto F.4. Le componenti per la verifica della compatibilità ambientale dovranno pertanto riguardare: − aria − rumore − risorse idriche − suolo e sottosuolo − paesaggi – ecosistemi – qualità degli spazi − consumi e rifiuti − energia – effetto serra − mobilità − modelli insediativi, struttura urbana, economica e sociale − turismo − industria − agricoltura

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F.3.2 Gli obiettivi di sostenibilità ambientale a scala regionale (l.r. 40/98) Come chiaramente espresso nella l. 40/98 la Regione Piemonte informa i propri processi decisionali e le diverse politiche di settore ai principi di salvaguardia, tutela, e miglioramento della qualità dell’ambiente e della qualità della vita. Assume l’approccio della valutazione preventiva ed integrata degli effetti diretti ed indiretti su

- uomo - flora - fauna - suolo e sottosuolo - acque superficiali e sotterranee - aria - clima - paesaggio - ambiente urbano e rurale - patrimonio storico, artistico e culturale

e sulle loro reciproche interazioni. Disciplina inoltre le procedure di VIA dei progetti in osservanza ai principi di − coordinamento − razionalizzazione − semplificazione − delle procedure e degli atti autorizzativi in materia ambientale perseguendo l’obiettivo − dello snellimento e dell’integrazione dei procedimenti amministrativi − della modalità di partecipazione della Regione alle procedure di VIA di competenza statale Stabilisce criteri per rendere l’attività di pianificazione / programmazione coerente con gli obiettivi di tutela ambientale Persegue inoltre

- la trasparenza delle azioni della Pubblica Amministrazione - l’informazione e la partecipazione dei cittadini - lo scambio delle informazioni fra proponenti e autorità competenti

Pertanto sulla base della L.40/98 gli obiettivi di sostenibilità ambientale a scala regionale si possono così sintetizzare:

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OBIETTIVI DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE A SCALA REGIONALE (L.R. 40/98) 1. salvaguardia, tutela, e miglioramento delle risorse (in particolare di quelle non rinnovabili), della

qualità dell’ambiente e della qualità della vita 2. valutazione preventiva ed integrata degli effetti diretti ed indiretti su uomo, flora, fauna, suolo e

sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria, clima, paesaggio - ambiente urbano - rurale, patrimonio storico – artistico - culturale

3. coordinamento, razionalizzazione, semplificazione delle procedure e degli atti autorizzativi in materia ambientale al fine di ottenere

− snellimento e integrazione dei procedimenti amministrativi − partecipazione della Regione alle procedure di VIA di competenza statale 4. definizione di criteri per rendere l’attività di pianificazione / programmazione coerente con gli

obiettivi di tutela ambientale 5. trasparenza delle azioni della Pubblica Amministrazione, l’informazione e la partecipazione dei

cittadini, lo scambio delle informazioni fra proponenti e autorità competenti

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F.3.3 Gli obiettivi generali e specifici del PTCP

Sulla base dei contenuti del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale gli obiettivi di sostenibilità ambientale a scala provinciale generale si possono così sintetizzare:

OBIETTIVI GENERALI del PTCP 1. contenere il consumo di suolo per usi urbani e la loro impermeabilizzazione; ridurre la

dispersione dell’urbanizzato; ridurre la frammentazione del territorio dovuta all’edificato e alle infrastrutture di trasporto

2. assicurare la compatibilità tra processo di trasformazione e criteri di salvaguardia delle risorse (in particolare della risorsa “suolo ad elevata capacità d’uso agricolo”)

3. individuare la possibilità di realizzare un sistema soft di aree verdi (“continuità verdi”)

anche nelle pianure e valli di modesto pregio (e dunque al di là delle aree già vincolate a parco, aree protette, ecc.), assicurando continuità a fasce già in formazione (lungo fiumi, rii, ecc.; lungo strade, ferrovie, ecc.; lungo crinali, ecc.) e salvaguardando la varietà biologica vegetale e animale

4. tutelare il paesaggio ed i suoi tratti distintivi, i beni culturali, le caratteristiche e le identità

locali 5. favorire la ridistribuzione di funzioni centrali strategiche verso la formazione di un

sistema integrato di nuove centralità urbane, articolando sul territorio il sistema dei servizi rari, in connessione con nodi di scambi intermodali della mobilità

6. commisurare la trasformazione edilizia (residenziale, industriale, terziaria) con le dinamiche socio-economiche recenti, regolare le indicazioni espansive che presentano inadatte caratteristiche insediative, eventualmente sostituendole con altre di qualità insediativa adeguata

7. razionalizzare la distribuzione di aree per attività produttive e di servizi a loro supporto,

anche in considerazione del consistente patrimonio dismesso e della necessità di ridurre e controllare le situazioni di rischio e di incompatibilità con altre funzioni

8. assumere le indicazioni territoriali di difesa dal rischio idrogeologico e idraulico, di tutela

delle qualità delle acque di superficie e sotterranee e dell’aria come priorità nella destinazione d’uso del suolo

9. promuovere la formazione di piani locali per lo sviluppo sostenibile – agende 21 locali di

comunità montane e comuni

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Dai precedenti obiettivi di carattere generale del PTCP sono stati individuati obiettivi specifici del settore estrattivi che vengono di seguito sintetizzati: OBIETTIVI SPECIFICI DELLA PROVINCIA DI TORINO IN MATERIA DI ATTIVITA’ ESTRATTIVE 1. contenere, nella individuazione delle aree per attività estrattive e nella progettazione delle

cave, il consumo di suolo ed in particolare di quello di qualità pregiata; ridurre la frammentazione del territorio compattando le aree compromesse dalle attività estrattive e dalle infrastrutture di trasporto ad esse connesse

2. assicurare la compatibilità tra attività estrattive e criteri di salvaguardia delle risorse 3. evitare di compromettere con attività estrattive le “continuità verdi” non solo nelle aree

già vincolate a parco, ad aree protette, ecc., ma anche in quelle aree meno pregiate in cui sono presenti o in formazione fasce verdi di continuità (lungo fiumi, rii, strade, ferrovie, ecc, ) e nei siti sensibili per la salvaguardia della varietà biologica vegetale e animale

4. fornire negli insediamenti estrattivi il recupero e il miglioramento funzionale delle strisce

verdi e dei corridoi ecologici, atti a salvaguardare la continuità degli ecosistemi ivi presenti5. verificare, nell’autorizzazione di nuove attività estrattive o nel loro ampliamento, la tutela

del paesaggio e dei suoi tratti distintivi, dei beni culturali, delle caratteristiche e delle identità locali

6. commisurare la programmazione delle attività estrattive al reale fabbisogno dell’economia locale e delle dinamiche socio-economiche recenti, curando ove possibile la sostituzione delle risorse naturali con materiale di recupero

7. governare la distribuzione di aree per questo tipo di attività produttive e per le loro

pertinenze, ai fini della massima razionalizzazione, anche in considerazione della necessità di ridurre e controllare le situazioni di rischio e di incompatibilità con altre funzioni

8. assumere le indicazioni territoriali di difesa dal rischio idrogeologico e idraulico, di tutela

delle qualità delle acque di superficie e sotterranee e del paesaggio come priorità nella individuazione delle aree in cui consentire l’attività estrattiva

9. promuovere l’integrazione del PAEP nei piani locali per lo sviluppo sostenibile, nelle

agende 21 locali di comunità montane e comuni

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 231

F.4. ANALISI DEGLI IMPATTI

F.4.1 Politiche / Azioni del preliminare del PAEP Le politiche e le azioni dello schema preliminare di PAEP su cui effettuare la verifica di compatibilità con le tre serie di obiettivi tratte dai precedenti capitoli di questo rapporto si possono così sintetizzare:

1. SALVAGUARDIA DELLE RISORSE NON RINNOVABILI E RAZIONALIZZAZIONE

NELLO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE ESTRATTIVE A

− determinare un fabbisogno di inerti commisurato alle reali esigenze dell’industria delle costruzioni perseguendo, nei limiti consentiti dalla situazione geogiacimentologica e geografica presente il principio della autosufficienza e della compartecipazione

A1

− incentivare l’uso controllato di materiali alternativi A2 − prevedere una maggiore qualità nei processi estrattivi A3

2. VALUTAZIONE PREVENTIVA ED INTEGRATA DEGLI EFFETTI DIRETTI ED INDIRETTI DELLE ATTIVITÀ ESTRATTIVE SULL’AMBIENTE

B

− condizionare l’autorizzazione di nuove attività estrattive in aree sensibili a specifici approfondimenti

B1

− sottoporre i progetti di nuove attività alle procedure di valutazione ambientale (VIA, verifica di incidenza, valutazione di impatto paesistico, valutazione di compatibilità idraulica, geologica, ambientale, ecc.)

B2

− affidare all’Osservatorio Attività Estrattive il monitoraggio dell’attuazione del PAEP B3 3. DEFINIZIONE DI CRITERI PER ASSICURARE LA COMPATIBILITÀ AMBIENTALE

DELLE NUOVE ATTIVITÀ E LA RIDUZIONE DEGLI IMPATTI DI QUELLE DISMESSE C

− prevedere una distribuzione equilibrata dei poli estrattivi sul territorio provinciale evitando la moltiplicazione degli impatti indotti dal trasporto del materiale litoide

C1

− privilegiare l’ampliamento delle cave esistenti C2 − razionalizzare la collocazione e migliorare la funzionalità degli impianti di trattamento C3 − favorire l’integrazione tra le nuove previsioni e le aree già sistemate o in corso di

sistemazione in modo da connetterle C4

− formulare indirizzi per le modalità di coltivazione e di recupero ambientale dei siti di cava

C5

− favorire le condizioni per rendere possibile il recupero delle cave dismesse attraverso la ripresa delle attività estrattive (ove compatibili con attuali condizioni di idoenità)

C6

− favorire e richiedere opere di compensazione ambientale C7 − verificare la possibilità di reperire fondi per il recupero delle cave dismesse C8

4. COORDINAMENTO, RAZIONALIZZAZIONE, SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE E DEGLI ATTI AUTORIZZATIVI

D

− effettuare un monitoraggio dell’efficacia dello strumento della Conferenza dei Servizi e trarre indicazioni per un miglioramento continuo nella prassi di gestione delle stesse

D1

− garantire strumenti efficaci per la circolazione delle informazioni tra gli Enti sui singoli progetti

D2

5. TRASPARENZA DELLE AZIONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, INFORMAZIONE E PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI, SCAMBIO DELLE INFORMAZIONI FRA PROPONENTI ED AUTORITÀ COMPETENTI

E

− informatizzare il censimento delle cave esistenti ed autorizzate e gestire tramite GIS il monitoraggio dell’attuazione del PAEP

E1

− favorire iniziative per l’educazione alla conoscenza del significato socio-economico dei prodotti dell’attività estrattiva e delle loro implicazioni/ricadute ambientali

E2

− promuovere la partecipazione dei soggetti pubblici e privati alla discussione di obiettivi, criteri, soluzioni per l’attuazione della pianificazione delle attività estrattive

E3

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 232

F.4.2 Matrici di verifica obiettivi/azioni L’analisi degli impatti andrà condotta attraverso l’impiego di matrici che ordinano in riga gli obiettivi generali e specifici di sostenibilità ambientale ed in colonna il sistema di politiche/azioni definite al punto precedente. Le matrici riportano l’insieme degli incroci/interazioni tra obiettivi generali di sostenibilità e il sistema delle politiche scelte; in ciascun campo sono espressi giudizi sul tipo di interazione prodotta in base alla seguente legenda: Legenda

# nessun rapporto significativo ☺ interazione positiva ~ possibile interazione positiva o negativa (previsioni o conoscenze incerte)

Schema della matrice di valutazione:

politiche/azioni A

zion

e 1

Azi

one

2

Azi

one

3

Azi

one

4

Obiettivo 1

Obiettivo 2

Obiettivo 3

Obiettivo 4

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 233

MATRICI DI COMPATIBILITA’ CON GLI OBIETTIVI GENERALI DI SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE

Politiche/Azioni PAEP Torino

Razionalizzazione e riduzione sfruttamento risorse estrattive ecc..

Individuazione di nuovi siti ambientalmente compatibili ecc….

Definizione di criteri per assicurare la compatibilità ambientale delle nuove attività e la riduzione degli impatti di quelle dismesse

Coordinamento, razionalizzazione ..delle procedure, ecc…

Trasparenza delle azioni della pubblica amministrazione, informazione, ecc…

A1 A2 A3 B1 B2 B3 C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 D1 D2 E1 E2 E3 Ridurre al minimo l’impiego delle risorse energetiche non rinnovabili

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Impiegare le risorse rinnovabili nei limiti della capacità di rigenerazione

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Uso e gestione corretta, dal punto di vista ambientale, delle sostanze e dei rifiuti pericolosi/ inquinanti

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Conservare e migliorare lo stato della flora e della fauna selvatiche, degli habitat e dei paesaggi

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Conservare e migliorare la qualità dei suoli e delle risorse idriche

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Conservare e migliorare la qualità delle risorse storiche e culturali

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Conservare e migliorare la qualità dell’ambiente locale ☺

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Proteggere l’atmosfera (riscaldamento del globo) ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ☺ #

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☺ ☺

Sensibilizzare maggiormente alle problematiche ambientali, sviluppare l’istruzione e la formazione in campo ambientale

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(Min

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)

Promuovere la partecipazione del pubblico alle decisioni che comportano uno sviluppo sostenibile

# # # ☺ ☺ ☺ # # # # # # ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 234

MATRICI DI COMPATIBILITA’ CON GLI OBIETTIVI DI SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE A SCALA REGIONALE (L.40/98)

Politiche/Azioni PAEP Torino

Razionalizzazione e

riduzione

sfruttamento risorse

estrattive ecc..

Individuazione di

nuovi siti

ambientalmente

compatibili ecc….

Definizione di criteri per assicurare la compatibilità

ambientale delle nuove attività e la riduzione degli

impatti di quelle dismesse

Coordiname

nto,

razionalizza

zione.. delle

procedure,

ecc…

Trasparenza delle

azioni della

pubblica

amministrazione,

informazione,

ecc…

A1 A2 A3 B1 B2 B3 C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 D1 D2 E1 E2 E3 Salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente e della qualità della vita

~

Valutazione preventiva ed integrata degli effetti diretti ed indiretti su uomo, flora, fauna, suolo e sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria, clima, paesaggio – ambiente urbano – rurale, patrimonio storico – artistico - culturale

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Coordinamento, razionalizzazione, semplificazione delle procedure e degli atti autorizzativi in materia ambientale al fine di ottenere − snellimento e integrazione dei procedimenti

amministrativi − partecipazione della Regione alle procedure di VIA di

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Definizione di criteri per rendere l’attività di pianificazione / programmazione coerente con gli obiettivi di tutela ambientale

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Obi

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oste

nibi

lità

ambi

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le a

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a re

gion

ale

(l.40

/98)

Trasparenza delle azioni della Pubblica Amministrazione, l’informazione e la partecipazione dei cittadini, lo scambio delle informazioni fra proponenti e autorità competenti

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 235

MATRICI DI COMPATIBILITA’ CON GLI OBIETTIVI DEL PTCP

Politiche/Azioni PAEP Torino

Razionalizzazione e

riduzione

sfruttamento risorse

estrattive ecc..

Individuazione di

nuovi siti

ambientalmente

compatibili ecc….

Definizione di criteri per assicurare la compatibilità

ambientale delle nuove attività e la riduzione degli

impatti di quelle dismesse

Coordiname

nto,

razionalizza

zione

semplificazi

one, ecc…

Trasparenza delle

azioni della

pubblica

amministrazione,

informazione e

partecipazione,

ecc…

A1 A2 A3 B1 B2 B3 C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 D1 D2 E1 E2 E3 Contenere il consumo di suolo per usi urbani e la loro impermeabilizzazione; ridurre la dispersione dell’urbanizzato; ridurre la frammentazione del territorio dovuta all’edificato e alle infrastrutture di trasporto

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Assicurare la compatibilità tra processo di trasformazione e criteri di salvaguardia delle risorse (in particolare della risorsa “suolo ad elevata capacità d’uso agricolo”)

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Individuare la possibilità di realizzare un sistema soft di aree verdi (“continuità verdi”) anche nelle pianure e valli di modesto pregio (e dunque al di là delle aree già vincolate a parco, aree protette, ecc.), assicurando continuità a fasce già in formazione (lungo fiumi, rii, ecc.; lungo strade, ferrovie, ecc.; lungo crinali, ecc.) e salvaguardando la varietà biologica vegetale e animale

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Tutelare il paesaggio ed i suoi tratti distintivi, i beni culturali, le caratteristiche e le identità locali # # ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ # ☺

Obi

ettiv

i gen

eral

i del

PT

CP

Favorire la ridistribuzione di funzioni centrali strategiche verso la formazione di un sistema integrato di nuove centralità urbane, articolando sul territorio il sistema dei servizi rari, in connessione con nodi di scambi intermodali della mobilità

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 236

Commisurare la trasformazione edilizia (residenziale, industriale, terziaria) con le dinamiche socio-economiche recenti, regolare le indicazioni espansive che presentano inadatte caratteristiche insediative, eventualmente sostituendole con altre di qualità insediativa adeguata

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Razionalizzare la distribuzione di aree per attività produttive e di servizi a loro supporto, anche in considerazione del consistente patrimonio dismesso e della necessità di ridurre e controllare le situazioni di rischio e di incompatibilità con altre funzioni

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Assumere le indicazioni territoriali di difesa dal rischio idrogeologico e idraulico, di tutela delle qualità delle acque di superficie e sotterranee e dell’aria come priorità nella destinazione d’uso del suolo

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Promuovere la formazione di piani locali per lo sviluppo sostenibile – agende 21 locali di comunità montane e comuni

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# ☺

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 237

MATRICI DI COMPATIBILITA’ CON GLI OBIETTIVI DELLA PROVINCIA DI TORINO IN MATERIA DI ATTIVITA’ ESTRATTIVE

Politiche/Azioni PAEP Torino

Razionalizzazione e

riduzione

sfruttamento risorse

estrattive ecc..

Individuazione di

nuovi siti

ambientalmente

compatibili ecc….

Definizione di criteri per assicurare la compatibilità

ambientale delle nuove attività e la riduzione degli

impatti di quelle dismesse

Coordiname

nto,

razionalizza

zione

semplificazi

one, ecc…

Trasparenza delle

azioni della

pubblica

amministrazione,

informazione e

partecipazione,

ecc…

A1 A2 A3 B1 B2 B3 C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 D1 D2 E1 E2 E3 Contenere, nella individuazione delle aree per attività estrattive e nella progettazione delle cave, il consumo di suolo ed in particolare di quello di qualità pregiata; ridurre la frammentazione del territorio compattando le aree compromesse dalle attività estrattive e dalle infrastrutture di trasporto ad esse connesse

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Assicurare la compatibilità tra attività estrattive e criteri di salvaguardia delle risorse ☺ # ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ ☺ #

~ ☺ ☺ # # ☺ ☺ ☺ # ☺

Evitare di compromettere con attività estrattive le “continuità verdi” non solo nelle aree già vincolate a parco, ad aree protette, ecc., ma anche in quelle aree meno pregiate in cui sono presenti o in formazione fasce verdi di continuità (lungo fiumi, rii, strade, ferrovie, ecc, ) e nei siti sensibili per la salvaguardia della varietà biologica vegetale e animale

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Favorire negli insediamenti estrattivi il recupero e il miglioramento funzionale delle strisce verdi e dei corridoi ecologici, atti a salvaguardare la continuità degli ecosistemi ivi presenti

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Verificare, nell’autorizzazione di nuove attività estrattive o nel loro ampliamento, la tutela del paesaggio e dei suoi tratti distintivi, dei beni culturali, delle caratteristiche e delle identità locali

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 238

Commisurare la programmazione delle attività estrattive al reale fabbisogno dell’economia locale e delle dinamiche socio-economiche recenti, curando ove possibile la sostituzione delle risorse naturali con materiale di recupero

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Governare la distribuzione di aree per questo tipo di attività produttive e per le loro pertinenze, ai fini della massima razionalizzazione, anche in considerazione della necessità di ridurre e controllare le situazioni di rischio e di incompatibilità con altre funzioni

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Assumere le indicazioni territoriali di difesa dal rischio idrogeologico e idraulico, di tutela delle qualità delle acque di superficie e sotterranee e del paesaggio come priorità nella individuazione delle aree in cui consentire l’attività estrattiva

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Promuovere l’integrazione del PAEP nei piani locali per lo sviluppo sostenibile, nelle agende 21 locali di comunità montane e comuni

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☺ #

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 239

F.5. INDICATORI E MONITORAGGIO F.5.1. Il monitoraggio dell’attuazione del Paep Al fine di verificare nel tempo l’efficacia del piano e delle scelte, nonché individuare possibili azioni correttive nel caso di risultati non soddisfacenti, è opportuno individuare una serie di indicatori di facile rilevazione e di buona significatività. Il punti di partenza può essere rappresentato dall’eleco sistematico degli obiettivi specifici della pianificazione, selezionando o accorpando alcuni temi e individuando parametri quantitativi rilevabili. A livello macroscopico si fa riferimento a quanto già individuato e scelto nell’ambito del “Piano di Azione di Agenda 21”. In quel caso, trattandosi di uno strumento di livello politico e globale, il fenomeno delle attività estrattive rappresenta un comparto della voce “suolo”; Viene individuato un indicatore di “pressione”, rappresentato dal numero di cave presenti in provincia di Torino, per stato di attività. A livello di dettaglio, l’efficacia nel perseguimento degli obiettivi della pianificazione può essere esplicitata atraverso alcuni parametri, di cui si riporta qui di seguito una prima proposta: Obiettivi specifici della pianificazione provinciale attività estrattive

Indicatori

Contenere, nella individuazione delle aree per attività estrattive e nella progettazione delle cave, il consumo di suolo ed in particolare di quello di qualità pregiata; ridurre la frammentazione del territorio compattando le aree compromesse dalle attività estrattive e dalle infrastrutture di trasporto ad esse connesse

Numero di cave presenti in provincia per stato di attività (ind. Agenda 21) Superficie di suolo di I e II classe di cap. d’uso interessata da attività estrattive

Assicurare la compatibilità tra attività estrattive e criteri di salvaguardia delle risorse

Vedi sopra

Evitare di compromettere con attività estrattive le “continuità verdi” non solo nelle aree già vincolate a parco, ad aree protette, ecc., ma anche in quelle aree meno pregiate in cui sono presenti o in formazione fasce verdi di continuità (lungo fiumi, rii, strade, ferrovie, ecc, ) e nei siti sensibili per la salvaguardia della varietà biologica vegetale e animale

Superficie autorizzata con interventi di recupero che prevedono riqualificazione naturalistica

Favorire negli insediamenti estrattivi il recupero e il miglioramento funzionale delle strisce verdi e dei corridoi ecologici, atti a salvaguardare la continuità degli ecosistemi ivi presenti

Numero di interventi di recupero che prevedono realizzazione/implemantazione/connessione di corridoi ecologici

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 240

Verificare, nell’autorizzazione di nuove attività estrattive o nel loro ampliamento, la tutela del paesaggio e dei suoi tratti distintivi, dei beni culturali, delle caratteristiche e delle identità locali

Commisurare la programmazione delle attività estrattive al reale fabbisogno dell’economia locale e delle dinamiche socio-economiche recenti, curando ove possibile la sostituzione delle risorse naturali con materiale di recupero

Andamento quantitativi autorizzati per bacino estrattivo. (Denominatore popolazione )

Governare la distribuzione di aree per questo tipo di attività produttive e per le loro pertinenze, ai fini della massima razionalizzazione, anche in considerazione della necessità di ridurre e controllare le situazioni di rischio e di incompatibilità con altre funzioni

Vedi sopra

Assumere le indicazioni territoriali di difesa dal rischio idrogeologico e idraulico, di tutela delle qualità delle acque di superficie e sotterranee e del paesaggio come priorità nella individuazione delle aree in cui consentire l’attività estrattiva

Attività estrattiva nelle fasce fluviali: n° interventi volumi autorizzati (superficie autorizzata)

Promuovere l’integrazione del PAEP nei piani locali per lo sviluppo sostenibile, nelle agende 21 locali di comunità montane e comuni

F.5.2. Osservatorio Attività Estrattive

Per seguire compiutamente ed implementare il processo di pianificazione si rende necessaria l'attivazione di un Osservatorio a livello provinciale che costituisca il punto di riferimento per la raccolta dei dati di interesse e che predisponga periodici report e aggiornamenti al piano e proponga adeguamenti, qualora necessari. In particolare l’Osservatorio Attività Estrattive deve perseguire i seguenti obiettivi:

1) Monitorare lo svolgimento delle attività estrattive nella provincia e l’avanzamento dei recuperi ambientali;

2) Aggiornare, sulla base dei volumi estratti dichiarati annualmente dalle ditte, le tabelle relative alle volumetrie di materiali estratti in ciascun bacino;

3) Segnalare ai comuni, titolari delle funzioni di vigilanza, eventuali difformità rispetto alle prescrizioni di coltivazione e recupero ambientale, e pertanto migliorare ed implementare il controllo.

Compito dell'Osservatorio sarà anche la definizione delle modalità per l'aggiornamento annuale delle indicazioni di piano relative alle volumetrie massime autorizzabili.

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 241

Il raggiungimento degli obbiettivi che l’Osservatorio si pone in essere implica lo svolgimento di una serie di attività che sono di seguito sintetizzate:

- raccolta di dati attraverso: a) questionari ricognitivi b) planimetrie e relazioni predisposte annualmente dalle ditte autorizzate per cui è necessaria un’attività istruttoria specifica per la verifica degli elaborati presentati ; predisposizione di schede e formati standard per la raccolta di tali dati;

- osservazione, attraverso sopralluoghi mirati, di attività in corso con particolare attenzione ai recuperi ambientali attuati, alla loro efficacia ed eventuali problematiche, alla verifica degli effetti sulle componenti ambientali (regimazione acque, presidi antirumore, abbattimento polverosità ecc...);

- verifica in corso d’opera dei recuperi ambientali attuati, in particolare quelli effettuali mediante tecniche di ingegneria naturalistica;

- predisposizione e compilazione di schede, comprensive di documentazione fotografica, riportanti la situazione delle cave esaminata in sede de sopralluoghi citati ai punti precedenti;

- formulazione di statistiche periodiche sui dati raccolti; - predisposizione di periodici report; - aggiornamento dei dati e delle cartografie contenuti nel P.A.E.P. - verifica degli indicatori ambientali del PAEP

24 Stralcio I, pag. 7. 25 Stralcio I, pag. 120. 26 Stralcio I, annesso 3, pag. 68. 27 Stralcio I, pag. 129.

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 242

G. INDIRIZZI DEL PIANO. A seguito degli approfondimenti riportati ai capitoli precedenti si definiscono e sintetizzano qui di seguito i principali indirizzi del piano, che costituiscono le vere e proprie linee d'azione per la pianificazione delle attività estrattive, da cui derivano poi le Norme di Attuazione.

G.1.1 FABBISOGNI DI MATERIALI

L'analisi di mercato sui flussi di produzione e la stima dei fabbisogno di materiali da cava, presentata nel capitolo B.4 della presente Relazione, delinea un quadro di sostanziale stabilità nei fabbisogni di materiali inetri per aggregati e tout venant nella Provincia di Torino; peraltro si è evidenziato nel corso degli ultimi anni come numerose attività estrattive restino attive per periodi molto più lunghi rispetto a quanto previsto dall'autorizzazione iniziale, procedendo con successive richieste di rinnovo della stessa autorizzazione. Parallelamente alle attività già in essere, si registrano contemporaneamente numerose nuove istanze, per cui si determina su vasta scala un fenomeno di forte rallentamento nelle effettive realizzazioni dei recuperi ambientali previsti dalle autorizzazioni iniziali. Il vincolo normativo presente nella legge regionale 69/78, che impone la garanzia fieiussoria a favore delle attività di recupero, è condizione necessaria ma non sufficiente a garantire il ripristino dei luoghi in tempi brevi, essendo vincolata alla singola autorizzazione. Si ritiene pertanto necessario individuare un meccanismo, a livello delle Norme del piano, che consenta, a scala territoriale, di avviare nuove attività solo a fronte dell'avvenuto esaurimento e chiusura di quelle in essere. In questa prima esperienza di pianificazione delle attività estrattive a livello proviciale si ritiene che una limitazione delle volumetrie autorizzabili sia principalmente applicabile alle attività riguardanti l'estrazione di materiali di cui al DPAE Io stralcio (inerti da calcestruzzo, conglomerati bituminosi e tout-venant per riempimenti e sottofondi), che vengono prevalentemente commercializzati a scala locale, mentre per pietre ornamentali e materiali industriali il bacino di commercializzazione più esteso e la maggiore suscettibilità ad andamenti del mercato, fanno ritenere non necessaria una limitazione dei fabbisigni. Per questi ultimi due tipi di materiali, peraltro, l'incidenza sul territorio in termini di superficie coinvolta, è comunque più bassa. Relativamente all'estrazione di materiali per aggregati, si fa riferimento ai bacini estrattivi già individuati nel DPAE e richiamati al capitolo B.1.3 e nella Tavola 7, che individua anche i Comuni

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 243

che presumibilmente fanno riferimento a ciascun bacino per i propri fabbisogni. Ipotizzando il fabbisogno di ciascun bacino stabile nel tempo, e calcolando questo sulla base della media dei quantitativi autorizzati negli ultimi due anni, si definisce il tetto massimo autorizzabile per ciascun bacino. Autorizzazioni per nuove attività e/o ampliamenti sono possibili solo a fronte dell'avvenuto esaurimento delle volumetrie oggetto delle autorizzazioni precenti. Nell'analisi del mercato riportata ai capitoli precedenti si è visto come negli ultimi anni si sia già verificata una naturale tendenza del mercato al recupero di materiali da demolizione che hanno sostituito una certa quota di materiali naturali. Tale fenomeno ha visto anche il progressivo diminuire di istanze per discariche per inerti e il contemporaneo crescre di impianti di recupero. Questa tendenza è ormai consolidata nell'area metropolitana torinese, mentre fa una certa fatica ad imporsi nelle aree più periferiche della Provincia. Una certa percentuale in diminuzione dei quantitativi massimi autorizzabili per ciascun bacino si stima possa ulteriormente spingere tale fenomeno di conversione. A livello generale, in coerenza con il DPAE regionale e al fine di limitare al massimo il consumo di suolo, la pianificazione provinciale intende promuovere la massima valorizzazione dei materiali estratti in cava, che devono essere tutti oggetto di uso pregiato o trattamento in impianti di selezione. Si ritiene che non debbano, in linea di massima essere più autorizzate attività di estrazione di materiali da utilizzarsi come tout-venant: per riempimenti e rilevati per infrastrutture stradali, sono invece da privilegiare materiali derivanti da attività di recupero o terre e rocce da scavo. L'attività estrattiva riguardante le pietre ornamentali, da ritenersi una vera e propria risorsa locale da valorizzare, deve invece essere governata con attenzione soprattutto agli effetti derivanti dalla concentrazione delle attività nelle aree in cui le condizioni giacimentologiche lo consentono. Pertanto si sono definiti a livello di linee guida specifici indirizzi per la redazione dei Piani Attuativi dei Poli estrattivi volte a considerare soprattutto le problematiche relative ai servizi comuni (discariche, stoccaggi, viabilità), agli impatti cumulativi e ai recuperi ambientali.

G.1.2. IL TERRITORIO

La base di partenza per la pianficazione delle attività estrattive a scala provinciale è stata l'individuazione delle principali sensibilità del territorio potenzialmente interferenti con le attività estrattive. A fronte del particolare assetto territoriale della Provincia di Torino, caratterizzato da un livello di pressione territoriale già molto elevato, forte infrastrutturazione ed antropizzazione, nel quale risulta sempre molto difficoltoso conciliare e trovare spazio per tutte le attività in un'ottica di sviluppo sostenibile, si è optato per l'individuazione di alcune poche aree di sensiblità molto elevata nelle quali escludere la possiblità di insediare attività estrattive (AREE NON IDONEE). Rientrano in questo gruppo le aree di pregio naturalistico (parchi, siti di interesse comunitario). Accanto a queste si sono individuate le aree caratterizzate da specifiche sensibilità di area vasta nelle quali si ritiene che l'insediamento di attività estrattive possa essere compatibile limitatamente a

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certe condizioni. A seconda dei casi, come si esplicita qui di seguito, e come è maggiormente dettagliato nelle Norme di Attuazione, si definiscono principalmente due tipi di condizioni: condizioni "geometriche" di limitazione dell'attività di escavazione e condizioni riguardanti approfondimenti e studi specifici da effettuare nell'ambito della redazione dei progetti (AREE POTENZIALMENTE IDONEE CON CONDIZIONI). Resta fermo il fatto che la compatibilità abientale locale e la fattibilità tecnica di ogni singolo progetto sarà da valutare nell’ambito delle istruttorie previste dalla l.r. 69/78 e 40/98, come specificato al paragrafo successivo. Le restanti aree del territorio della Provincia, genericamente classificate come POTENZIALMENTE IDONEE sono quelle che non presentano particolari sensibilità ambientali di vasta scala, e sulle quali la fattibilità tecnico-ambientale dei progetti va valutata sulla base delle norme vigenti e come ulteriormente specificato nelle Norme di Attuazione del presente piano. Particolare attenzione è stata dedicata, nella readazione del presente piano, alla tutela delle acque sotterranee, alla definizione di criteri di compatibilità per le attività estrattive nelle fasce fluviali, alla tutela dei terreni elevata e buona fertilità, delle aree regionali e provinciali di pregio ambientale, ai beni culturali e ambientali ecc… (di cui al capitolo C.3).

G.1.3. LA GESTIONE DEL TRANSITORIO E L’ATTUAZIONE DEL PIANO.

La definizione di nuove norme e criteri per la gestione delle attività estrattive sul territorio implica necessariamente un adeguamento da parte delle attività esistenti che può avere ricadute economiche sulle singole imprese non indifferenti. Si ritiene perciò necessario individuare una graduazione nell'applicazione dei nuovi criteri introdotti, in particolare definendo apposite condizioni o specifiche deroghe per i rinnovi o ampliamenti di progetti già approvati. L'attuazione del PAEP rende necessaria l'attivazione di un Osservatorio a livello provinciale che costiuisca il punto di riferimento per la raccolta dei dati di interesse e che predisponga periodici report e aggiornamenti al piano e proponga adeguamenti, qualora necessari. Compito dell’Osservatorio sarà anche l’aggiornamento annuale delle indicazioni di piano relative alle volumetrie massime autorizzabili.

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APPENDICE 1: PRESENZA DI MINERALI ASBESTIFORMI NEGLI AMMASSI ROCCIOSI DELLA PROVINCIA DI TORINO

Definizione e minerali tipo Attualmente il termine “amianto”, utilizzato nella vecchia letteratura mineralogica italiana (Artini,

1941), risulta obsoleto ed è stato sostituito dal termine “asbesto”, ormai tristemente noto. Più in

generale, oggi si tende a definire “asbestiformi” tutti quei minerali i cui singoli cristalli presentano

un abito aciculare, con un rapporto tra la sezione longitudinale e quella trasversale superiore a 10.

Tali cristalli, solitamente, risultano associati fra di loro così da formare caratteristici fasci di fibre

disposte attorno ad un asse, nei quali possono concrescere fasi mineralogiche differenti.

In ragione di tale criterio di definizione e dell’uso specifico e specialistico che il termine “asbestiforme” ha assunto, oltre a minerali storicamente conosciuti come “amianto”, quali il crisotilo e, più recentemente, la balangeroite e la carlosturanite (precedentemente scambiate per crisotilo e caratteristiche delle serpentiniti delle Alpi Occidentali), possono essere considerati come tali anche l’antigorite, la tremolite, il diopside, l’olivina, la brugnatellite e la brucite. Tra i più comuni minerali fibrosi oltre ai precedenti ricordiamo ancora quelli elencati nel DLGS 277 e cioè: l’actinolite, l’amosite, l’antofillite e la crocidolite

Caratterizzazione delle singole fasi asbestiformi (da Belluso et al. 1994)

• Crisotilo Fibre di crisotilo sono presenti in concentrazioni differenti in tutte le rocce serpentinitiche studiate; esse sono state infatti individuate, in ordine di abbondanza, Valle di Viù, Valle di Lanzo, Val d’Ala, Val Pellice, Val Sangone, Valle di Locana, Valle di Susa e Val Chisone. Le fibre individuate mostrano lunghezze che oscillano da submillimetriche a decimetriche e colori variabili quali bianco, verde (da chiaro a scuro), grigio, giallino o marroncino. Esse, spesso, sono presenti, come concrescimenti paralleli, assieme ad altre fasi asbestiformi (soprattutto antigorite) oppure sono associate a magnetite o a calcite aciculare.

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• Antigorite L’antigorite appare solitamente di colore bianco, talvolta verde chiaro o marrone rossastro in seguito ad un maggior contenuto in ferro. Essa si trova spesso associata a dolomite e/o fibre di asbesto appartenenti a fasi quali crisotilo, tremolite e carlosturanite. Come per il crisotilo, anche l’antigorite risulta presente in quasi tutte le serpentiniti investigate; in ordine di abbondanza, tale minerale è stato infatti individuato in Val d’Ala, Val Pellice, Valle di Lanzo, Val Sangone, Valle di Susa, Val Chisone, Valle di Viù, Valle di Locana.

• Tremolite Le fibre di tremolite sono caratterizzate da una lunghezza centimetrica e da una certa flessibilità. Esse risultano spesso associate ad antigorite e mostrano un colore solitamente tendente al verde chiaro o più raramente biancastro. La presenza di tale fase è stata riscontrata, prevalentemente, in Val Chisone ed in Val d’Ala e, in misura minore, in Valle di Lanzo, Val Pellice, Valle di Viù, Valle Susa, Val Grande, e Val Soana.

• Diopside Nella sua varietà fibrosa, il diopside si presenta con abito aciculare e tende a formare fasci di fibre rigide e piuttosto fragili. Esso appare solitamente biancastro, talvolta invece mostra un colore marrone o dorato. Fibre di diopside sono state riscontrate principalmente nelle Valli di Lanzo e in Val d’Ala; solo in misura minore ne è stata segnalata la presenza anche in Valle di Locana e Valle di Susa.

• Carlosturanite e balangeroite In seguito all’approfondimento degli studi riguardanti la presenza di minerali asbestosi nelle serpentiniti delle Alpi Occidentali, negli anni ottanta, vennero alla luce due nuove fasi precedentemente scambiate per crisotilo: la balangeroite (Compagnoni et al., 1983) e la carlosturanite (Compagnoni et al, 1985). Queste ultime mostrano una distribuzione su scala regionale e risultano, localmente, molto abbondanti. La carlosturanite, in particolare, presenta una più ampia distribuzione: è stata infatti rinvenuta in Valle di Lanzo e Valle di Viù in corrispondenza a serpentiniti fratturate; è invece risultata assente all’interno di serpentiniti foliate. Dal punto di vista chimico, la carlosturanite, che presenta una composizione quasi sempre costante, può essere considerata un serpentino ricco di acqua e povero di silice le cui fibre, di lunghezza superiore al decimetro, sono frequentemente associate a quelle di crisotilo, diopside, antigorite, olivina e brucite. La carlosturanite inoltre può essere facilmente rimpiazzata da crisotilo, e viceversa, attraverso reazioni allo stato solido: spesso infatti si possono osservare relitti di crisotilo all’interno di larghe fibre di carlosturanite. Quest’ultima presenta un maggior grado di idratazione rispetto al crisotilo, la sua formazione risulta pertanto fortemente e favorevolmente influenzata dalla presenza di acqua circolante all’interno degli eventuali sistemi di

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frattura dell’ammasso roccioso. La carlosturanite infatti, come molti altri minerali asbestiformi, è prevalentemente presente nelle serpentiniti massive che abbiano subito una intensa deformazione fragile. Rispetto alla carlosturanite, presente nelle serpentiniti che occupano una posizione molto più esterna, la balangeroite è stata invece individuata nella porzione più interna della zona piemontese, quasi in corrispondenza alla Linea Insubrica. Essa infatti è stata rinvenuta unicamente nel Massiccio Ultrabasico di Lanzo e nei suoi satelliti, che comprendono la miniera di Balangero considerata la “località tipo”. In seguito alle prime segnalazioni nella miniera di Balangero (Compagnoni et al. 1983), la presenza di balangeroite è stata rinvenuta anche presso Ponte del Diavolo (Lanzo Torinese) e S. Maria della Neve (Fiano). Solitamente tale fase risulta associata a crisotilo e, talvolta, a diopside

• Forsterite L’olivina a composizione forsteritica può sviluppare un abito fibroso di lunghezza solitamente millimetrica e colore da giallognolo a marroncino. Essa risulta frequentemente associata a crisotilo e carlosturanite ed è stata individuata in alcune località delle Valli di Locana e Pellice.

• Brugnatellite e brucite Fibre di brucite macroscopica sono state eccezionalmente rinvenute in piccole quantità in Val d’Ala presso loc. Chiampernotto (Ceres). Il primo rinvenimento di brugnatellite fibrosa è stato invece segnalato in Val d’Ala presso località “Il Pertusetto” in associazione con fibre di diopside.

Ubicazione delle principali rocce asbestifere La maggior parte delle mineralizzazioni asbestifere rinvenute nelle Alpi Occidentali si trovano nelle serpentiniti della zona Piemontese di pertinenza Pennidica ed, in genere in tutte le rocce basiche ed ultrabasiche (vedi tav. 2.1). Dato che la maggior parte delle ofioliti, serpentiniti incluse, affiorano nella parte più interna delle Alpi Occidentali, le diverse fasi asbestiformi citate, in particolare il crisoltilo e gli anfiboli della serie tremolite-attinolite, sono stati rinvenuti proprio nella parte più interna della zona Piemontese. Quest’ultima è caratterizzata dalla presenza di una ricristallizzazione metamorfica eoalpina in facies eclogitica seguita da una riequilibrazione in facies scisti verdi. I minerali fibrosi si sviluppano negli ultimissimi stadi dell’evoluzione orogenica alpina, in condizioni di temperatura e pressione molto basse e durante eventi deformativi di tipo fragile. I minerali sviluppatisi durante l’evento di alta pressione sono solitamente difficili da riconoscere in ragione del principale controllo della temperatura su numerose reazioni metamorfiche nelle ultramafiti. Tuttavia, dove sono associate a rocce mafiche di facies eclogitica, come nel caso della

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parte interna della zona Piemontese, le serpentiniti risultano solitamente caratterizzate da minerali tra i quali è possibile riconoscere antigorite, olivina, titan – clinohumite, clorite, diopside e tremolite. Le mineralizzazioni asbestifere, in particolare la carlosturanite ed il crisotilo, si trovano frequentemente in serpentiniti interessate da una deformazione di tipo fragile e tendono a svilupparsi all’interno di vene tardo o post – metamorfiche che si sviluppano nell’ammasso roccioso successivamente alle deformazioni duttili più tardive. Le fibre di asbesto crescono solitamente parallele ai margini della vena, più di rado si formano invece perpendicolarmente od obliquamente ad essi; tali vene mostrano spessori compresi tra meno di un millimetro e diversi centimetri, con una media di qualche millimetro. Le lunghezze delle fibre di asbesto variano invece tra qualche decina di micrometri e alcuni centimetri; solo occasionalmente queste ultime raggiungono diversi decimetri. Buona parte delle rocce ultramafiche presenti nelle Alpi Occidentali deriva da tettoniti del mantello superiore, ora completamente serpentinizzate; sono comunque presenti anche alcuni grandi corpi di peridotiti solo parzialmente serpentinizzate. Ne sono un esempio il “Massiccio Ultrabasico di Lanzo” - che comprende sia le peridotiti affioranti presso Balangero a nord, sia quelle del Monte Civrari a sud - e le “Peridotiti di Locana” affioranti nella porzione inferiore della Valle dell’Orco. La presenza di asbesto è stata inoltre rinvenuta in corrispondenza alle peridotiti serpentinizzate di Baldissero nel Canavese, ai corpi ultramafici della Zona di Ivrea, ubicati lungo la Linea del Canavese. La presenza di crisotilo è stata inoltre segnalata negli skarns formatisi in corrispondenza all’aureola di contatto metamorfico sviluppata in seguito all’intrusione delle monzoniti del plutone di Traversella all’interno del complesso di micascisti eclogitici della zona del Sesia. Alcune delle mineralizzazioni presenti in Valle di Lanzo e in Val di Susa sono state occasionalmente coltivate. Il caso più eclatante risulta quello della miniera di San Vittore presso Balangero, nella parte bassa della Valle di Lanzo, dove la coltivazione è proseguita ininterrottamente a partire dal 1990. La miniera di Balangero, dalla quale si ricavavano fibre di crisotilo e che risulta oggi inattiva in seguito al pericolo che tali fibre rappresentano per la salute dell’uomo, è stata, per dimensioni e produzione, una delle più importanti nel mondo, nonché la terza in Europa (Compagnoni et al., 1980; Fornaro & Badino, 1984; Fornaro at al., 1992). La Tabella 1 elenca in modo più dettagliato le principali aree piemontesi e le relative località in cui sono presenti minerali asbestiformi. Le mineralizzazioni asbestose, come precedentemente sottolineato, sono dunque concentrate in aree dove le mineralizzazioni primarie tipiche delle ofioliti hanno subito una sovraimpronta metamorfica eoalpina, in facies eclogitica, ed una mesoalpina, in facies scisti verdi. In pratica, però, queste condizioni si possono ritrovare in modo diffuso su tutta l’area alpina della provincia, ad eccezione della zona del Gran Paradiso e del Dora-Maira: anche i questi due casi, però, localmente non è possibile escludere la presenza di lenti e filoni amiantiferi.

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Tabella 1: principali località della Provincia di Torino nelle quali sono state rinvenute mineralizzazioni asbestiformi nelle serpentiniti appartenenti alla zona Piemontese (Belluso et al., 1994).

VAL D’ALA VAL SOANA VALLE DI VIU VALLE DI LANZO Alpe Garavela Alpe Paschetto Balme Bogone Bracchiello Case Piampomè Case Raveri Chiampernotto Il Pertusetto Molette Monavel Passo Paschiet Rocca Nera

Campiglia Soana Alpe Praiet Colle del Lys Fubina Malpasso Inf. Monte Arpone Monte Civrari Monte Crusat Muande Protera Punta Lunella Punta Sbaron

Balangero Borgo nuovo Lusciana Perino Ponte del Diavolo Punta Serena Rio Ordagna S. Maria della Neve Stabio Tortore Truc di Miola Villaretto Zanar

VAL CHISONE VAL PELLICE VALLE DI SUSA VAL SANGONE Berg. Le Casette Chabrepan Clot delle Pertiche Colle delle Finestre La Latta Piano dei Cerena Prà Catinat Sagna Longa Serre Roreto

Colle del Baracun Colle Porsel Colletta Maisonette Villanova

Bergeria Martinetto Colle delle Vallette Croce Bell’Alda Croce Nera Le Chenaillet Punta dell’Ancoccia Punta del Lago S. Ambrogio di Susa Santuario di Trana

C. Galet Croce di Pietra Pratovigero Prese

VALLE DI LOCANA

Alp du Collet Alp de Nivolet Pesmonte Torre Cives

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Essa è frutto di un recente studio in cui sono stati raccolti e studiati in laboratorio più di 300 campioni di serpentiniti contenenti asbesto, provenienti dai principali corpi ultramafici delle Alpi Occidentali (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria) (Belluso et al, 1994). I minerali individuati sono stati esaminati al microscopio ottico in luce polarizzata, tuttavia, per le forti analogie tra le diverse fasi coesistenti e per la frequente presenza di concrescimenti di più fasi all’interno di una stessa fibra, il metodo ottico si è rivelato inadeguato. Per tale ragione si è fatto uso anche della diffrazione ai raggi X (XRD) applicata sia alle polveri, sia alle singole fibre. Alcuni campioni rappresentativi sono stati studiati al microscopio elettronico a scansione (SEM), al microscopio elettronico a trasmissione ad alta risoluzione (HRTEM) e/o mediante diffrazione elettronica (SAED), conducendo inoltre delle analisi chimiche con le tecniche di microanalisi a dispersione di energia. La carlosturanite e la balangeroite sono stati ulteriormente analizzate mediante diffrazione elettronica e neutronica (Belluso & Ferraris, 1991) ed EPR (Astolfi et al., 1991). Nella Tabella 2 è riportato l’elenco dei siti in cui sono stati prelevati i suddetti campioni. Per le

finalità del presente lavoro sono state riportate solamente le località facenti parte del territorio

provinciale piemontese, indicando per ciascuna le coordinate topografiche U.T.M., il numero della

Tavoletta I.G.M. di appartenenza e le fasi asbestiformi identificate. Come si può osservare dalla

Tabella 2, i campioni studiati hanno rivelato la presenza dei seguenti silicati asbestiformi, elencati

in ordine decrescente in base alla loro frequenza: crisotilo, antigorite, tremolite, diopside,

carlosturanite, olivina (forsterite), balangeroite, brugnatellite e brucite.

I dati ricavati dall’analisi ai raggi X, al microscopio elettronico e mediante diffrazione elettronica mostrano che i minerali fibrosi presenti nei campioni studiati sono solitamente presenti come concrescimenti paralleli di due o più fasi; in particolare ciascuna fase asbestiforme, alla scala submicroscopica, è spesso associata a crisotilo. La balangeroite e la carlosturanite risultano particolarmente difficili da identificare in seguito alla forte somiglianza morfologica con il crisotilo (Ferraris, 1992), con il quale sono state confuse fino ad alcuni anni fa. La loro identificazione sul terreno può essere suggerita dalla presenza di caratteri quali la forma xiloide, la rigidezza della fibra ed il colore da marrone a verdastro.

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Tabella 2: elenco di siti del territorio provinciale torinese in cui sono stati individuati e campionati minerali asbestiformi, comprensivo del numero di Tavoletta I.G.M. di riferimento, delle relative coordinate topografiche e delle fasi asbestiformi rinvenute. Legenda: ATG, antigorite; BAL, balangeroite; BR, brucite; BRUGN, brugnatellite; CA, calcite; CST, carlosturanite; CTL, crisotilo; DI, diopside; FO, forsterite; MA, magnetite; TR, tremolite. (Belluso et al., 1994).

Località Coordinate topografiche

N° tavola IGM Fasi identificate

Ponte del Diavolo – Lanzo T.se (TO) 32TLR80871382 F. 56 IV NO ctl

Ponte del Diavolo - Lanzo T.se (TO) 32TLR80951395 F. 56 IV NO atg Punta dell’Ancoccia – S.Ambrogio di Susa (TO)

32TLQ70489415 F.55 II NE ctl ,tr

S.Ambrogio di Susa (TO) 32TLQ70229530 F. 55 II NE atg

S.Ambrogio di Susa (TO) 32TLQ70109568 F.55 II NE di, ctl Croce Bell’Alda – S.Ambrogio di Susa (TO)

32TLQ69559555 F. 55 II NE di, ctl

Croce Nera – S:Ambrogio di Susa (TO) 32TLQ69309470 F. 55 II NE atg

Croce di Pietra – Trana (TO) 32TLQ74808778 F. 55 II SE atg, ctl

C. Galet – Trana (TO) 32TLQ75508898 F. 55 II SE atg, ctl, ma

C. Galet – Trana (TO) 32TLQ75558888 F. 55 II SE atg, ctl

Pratovigero – Trana (TO) 32TLQ74788655 F. 55 II SE ctl, atg

Pratovigero – Trana (TO) 32TLQ74708665 F. 55 II SE atg, ctl

Pratovigero – Trana (TO) 32TLQ74688688 F. 55 II SE atg

S.Valeriano – Piossasco (TO) 32TLQ78508482 F. 68 IV NO ctl

S.Valeriano – Piossasco (TO) 32TLQ78558487 F. 68 IV NO atg, ctl

Prese – Piossasco (TO) 32TLQ76108520 F. 55 II SE ctl

Borgo Nuovo – Givoletto (TO) 32TLR81370515 F. 56 III NO atg, ctl

Truc di Miola – Fiano (TO) 32TLR83220557 F. 56 IV SO ctl

La Latta – Fenestrelle (TO) 32TLQ49108835 F. 55 III SE atg

Berg. Le Casette – Fenestrelle (TO) 32TLQ47979487 F. 55 III SO tr

Prà Catinat – Fenestrelle (TO) 32TLQ48078922 F. 55 III SE atg

Prà Catinat – Fenestrelle (TO) 32TLQ49008945 F. 55 III SE tr

Col Porsel – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ48905850 F. 67 III NE atg

Colletta – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ46506042 F. 67 III NO tr, fo, ctl

Col d. Baracun – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ46905975 F. 67 III NO atg

Colletta – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ46426055 F. 67 III NO ctl

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Colletta – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ46376050 F. 67 III NO ctl, atg

Maisonette – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ46756312 F. 67 III NO atg

Torre Cives – Baldissero C.se (TO) 32TMR02173020 F. 42 II NO ctl

Pesmonte – Rivara C.se (TO) 32TLR91002087 F. 56 IV NE ctl

Cugni – Cantoira (TO) 32TLR75752398 F. 41 II SE tr

Monavel – Chiampernotto (TO) 32TLR69792036 F. 55 I NE di

Stabio – Monastero di Lanzo (TO) 32TLR78321674 F. 55 I NE ctl

Case Raveri – Mezzenile (TO) 32TLR72941675 F. 55 I NE ctl

Balangero (TO) 32TLR83971645 F. 56 IV NO Bal, ctl

Tortore – Pessinetto (TO) 32TLR77811545 F. 55 I NE ctl

Lusciana – Traves (TO) 32TLR76331437 F. 55 I NE Tr

Ponte del Diavolo – Lanzo T.se (TO) 32TLR81101419 F. 56 IV NO Bal

Rio Ordagna – Traves (TO) 32TLR76701294 F. 55 I NE Cst

Fubina – Valle di Viù (TO) 32TLR 74901044 F. 55 I SE cst, ctl

Fubina – Valle di Viù (TO) 32TLR74871038 F. 55 I SE cst, ctl

Malpasso Inf. - Viù (TO) 32TLR76001078 F. 55 I SE Cst

Monte Crusat – Col San Giovanni (TO) 32TLR72980734 F. 55 I SE Cst

Monte Crusat – Col San Giovanni (TO) 32TLR72960730 F. 55 I SE Tr

Monte Arpone – Monpellato (TO) 32TLR73360416 F. 55 I SE ctl

Colle del Lys – Monpellato (TO) 32TLR73240456 F. 55 I SE atg

Piano dei Cerena – Usseaux (TO) 32TLQ43329200 F. 55 III SO tr

Bracchiello – Val d’Ala (TO) 32TLR71022012 F. 55 I NE tr

Chiampernotto – Val d’Ala (TO) 32TLR69971996 F. 55 I NE brugn, br

Chiampernotto – Val d’Ala (TO) 32TLR69931993 F. 55 I NE di, atg

Chiampernotto – Val d’Ala (TO) 32TLR69911990 F. 55 I NE di, ctl

Pertusetto – Ala di Stura (TO) 32TLR69491771 F. 55 I NE di, ctl, brugn

Molette – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR62621908 F. 55 I NO atg

Molette – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR62411893 F. 55 I NO ctl

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR57041814 F. 55 IV NE di

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR57021817 F. 55 IV NE di

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR56971820 F. 55 IV NE di

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR56951823 F. 55 IV NE di

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR56891826 F. 55 IV NE di

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 253

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR56821827 F. 55 IV NE di

Rocca Nera – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR56761824 F. 55 IV NE di

Bogone – Balme – Val d’Ala (TO) 32TLR59321841 F. 55 I NO di

c/o Balme – Val d’Ala – (TO) 32TLR59561834 F. 55 I NO tr

Fubina – Valle di Viù – (TO) 32TLR74581084 F. 55 I SE cst, ctl

Fubina – Valle di Viù – (TO) 32TLR74341085 F. 55 I SE ctl

Fubina – Valle di Viù – (TO) 32TLR74221072 F. 55 I SE ctl

Fubina – Valle di Viù – (TO) 32TLR74001074 F. 55 I SE cst, ctl

Fubina – Valle di Viù – (TO) 32TLR73981078 F. 55 I SE cst, ctl

Case Pianpomé – Lemie – Val d’Ala (TO) 32TLR66580994 F. 55 I SO atg, tr

Alpe Paschietto – Balme (TO) 32TLR61001610 F. 55 I NO atg, ctl

Alpe Garavela – Balme (TO) 32TLR60921631 F. 55 I NO ctl

M.te Cifrari – Lemie (TO) 32TLR67650644 F. 55 I SO ctl

Alpe Praiet – Lemie (TO) 32TLR67500723 F. 55 I SO ctl, atg?

Ponte del diavolo – Lanzo (TO) 32TLR81101419 F. 56 IV NO bal, ctl

Ponte del diavolo – Lanzo (TO) 32TLR81081415 F. 56 IV NO bal, ctl, ma

Ponte del diavolo – Lanzo (TO) 32TLR80981407 F. 56 IV NO bal

Protera – Fubina – Valle di Viù (TO) 32TLR75081056 F. 55 I SE ctl, cst, di

Protera – Fubina – Valle di Viù (TO) 32TLR75081066 F. 55 I SE ctl, cst, di

Perino – Valle di Lanzo (TO) 32TLR77221404 F. 55 I NE atg

Santuario di Trana – (TO) 32TLQ75148885 F. 55 I NE atg

S. Maria della Neve – Varisella (TO) 32TLR80740688 F. 56 IV SO bal

Bergeria Martinetto – Meana di Susa (TO) 32TLQ47909442 F. 55 III NO tr

C. le delle Finestre – Fenestrelle (TO) 32TLQ46739300 F. 55 III SO tr, ctl

Chabrepan – Usseaux (TO) 32TLQ43719184 F. 55 III SO atg

C. le del Baracun – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ47005966 F. 67 III NO tr

C. le del Baracun – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ47025922 F. 67 III NO ctl

Villanova – Bobbio Pellice (TO) 32TLQ46466295 F. 67 III NO ctl

Clot delle Pertiche – Roreto Chisone (TO) 32TLQ50588382 F. 67 IV NE tr

Clot delle Pertiche – Roreto Chisone (TO) 32TLQ50548385 F. 67 IV NE tr

c/o Serre – Roreto Chisone (TO) 32TLQ50148422 F. 67 IV NE tr

c/o Serre – Roreto Chisone (TO) 32TLQ50068419 F. 67 IV NE tr

Zanar – Monastero di Lanzo (TO) 32TLR76282381 F. 41 II SE ctl

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 254

Sagna Longa – Cesana Torinese (TO) 32TLQ25477789 F. 66 I NO cst

Punta Sbaron – Lemie (TO) 32TLR64920590 F. 55 I SO ca, ctl

Punta del Lago – Villarfocchiardo (TO) 32TLQ55959019 F. 55 III SE ctl

c/o Santuario di Trana - Giaveno (TO) 32TLQ74988838 F. 55 II SE ctl

C. le delle Vallette – Villarfocchiardo(TO) 32TLQ56589104 F. 55 III SE ctl

Muande – Fubina – Valle di Viù (TO) 32TLR74001100 F. 55 I SE cst, ctl

Passo Paschiet – Balme (TO) 32TLR61581360 F. 55 I NO tr

P. ta Lunella - Usseglio (TO) 32TLR58940674 F. 55 I SO tr

P. ta Serena – Traves (TO) 32TLR76111388 F. 55 I NE tr

L’impiego delle rocce asbestifere nel campo degli inerti e delle pietre da costruzione

Rocce potenzialmente contenenti amianto sono da sempre state utilizzate nella produzioni sia di

inerti che di pietre ornamentali: questi tipo di produzione non deve essere confusa con le “cave” –

p.d. “miniere” - utilizzate per la produzione di amianto né tantomeno con quelle industrie in cui

l’amianto si lavorava, producendo utensili e manufatti ormai al bando. Infatti, la presenza di fibre

naturali in percentuali molto basse (pochi percento) è fatto del tutto comune in molte zone alpine,

comprese quelle del torinese (Fornaro et al., 1994).

Fibre possono, inoltre, riscontrarsi non solo nelle rocce madri, ma anche in tutti quei depositi

minerari in cui nonaturale disfacimento ed alterazione trasformano gli ammassi rocciosi in terreni

sciolti. E’ quindi possibile riscontrare queste fibre nei depositi di versante, in quelli di origine

glaciale ma anche fluviale o torrentizia. Pertanto, in linea di massima, è possibile riscontrare

amianto, in senso lato, praticamente sull’intero territorio della Provincia.

Il discorso quindi va articolato, suddividendo i casi in cui l’amianto è contenuto all’interno di

manufatti per migliorarne le caratteristiche di resistenza meccanica ed al calore e quello contenuto

naturalmente (senza perciò l’intervento dell’uomo) entro terreni sciolti o rocce litoidi.

Quindi, per la salvaguardia della salute dei lavoratori, ed in generale dei cittadini, dai rischi

connessi all’esposizione all’amianto, occorrerà distinguere fra quei prodotti in cui esso è stato

aggiunto od arricchito e fra quelle rocce o terreni che naturalmente e da sempre lo contengono e

che, se non rimaneggiati, non hanno mai causato danni alle popolazioni. A rigor di logica, sarebbe

quindi utile attenersi al DLGS 15/8/91 n. 277 per quanto riguarda tutti quei processi che hanno a

che fare con materiali “artificialmente” arricchiti in fibre; mentre per i terreni naturali (ricordiamo

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che nelle amiantifere, “cave” in cui si estraeva amianto, si raggiungevano tenori di poche unità

percentuali) il riferimento di legge più congruente sembrerebbe il D.M. 14/5/1996 ed il relativo

“Allegato 4”.

Per rimanere nel campo del presente documento, restando quindi nel settore dell’attività estrattiva di

inerti e pietre ornamentali, almeno nei casi in cui si ha a che fare con rocce (comunemente dette

“pietre verdi” e loro derivati) potenzialmente contenenti amianto, si dovrà procedere secondo la

succitata legge e cioè, in estrema sintesi:

valutare il contenuto di amianto nel giacimento e durante l’attività estrattiva (quindi sia nella

roccia madre che nelle polveri);

valutare il contenuto di amianto dei materiali estratti ( si tratti di frantumanti, materiali in

lastre od in blocchi) finalizzato alla quantificazione delle fibre liberabili piuttosto che sul

contenuto complessivo di amianto che, fintantoché resta fissato alla matrice, non costituisce

pericolo per la salute.

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 256

Decreto Ministeriale del 14/05/1996 Normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto, previsti dall'art. 5, comma 1, lettera f), della legge 27 marzo 1992, n. 257, recante: "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto". ____________ ALLEGATO 4 - CRITERI RELATIVI ALLA CLASSIFICAZIONE ED ALL'UTILIZZO DELLE "PIETRE

VERDI" IN FUNZIONE DEL LORO CONTENUTO DI AMIANTO.

Classificazione delle cosidette "Pietre verdi" in funzione del loro contenuto di amianto.

___________________________________________________________________ | | | | LITOTIPO | Minerali principali | |_________________|_________________________________________________| | | | | "serpentiniti" |antigorite, crisotilo, olivina, pirosseni orto e | | s.l. |clino, anfibolo tremolite, talco, dolomite, | | |granato, spinelli cromite e magnetite | |_________________|_________________________________________________| | | | | prasiniti |feldspato albite, epidoti, anfiboli | | |tremolite-actinolite, glaucofane, pirosseni clino| | |e mica bianca | |_________________|_________________________________________________| | | | | eclogiti |pirosseno monoclino, granato, rutilo, anfibolo | | |glaucofane | |_________________|_________________________________________________| | | | | anfiboliti |orneblenda, plagioclasio, zoisite, clorite, | | |antofillite-gedrite | |_________________|_________________________________________________| | | | | scisti |actinolite, talco, clorite, epidoto, olivina | | actinolitici | | |_________________|_________________________________________________| | | | |scisti cloritici,|talco, clorite, dolomite, tremolite, actinolite, | | talcosi e |serpentino, crisotilo, rutilo, titanite, granato | | serpentinosi | | |_________________|_________________________________________________| | | | | oficalciti |talco, antigorite, crisotilo, tremolite, | | |dolomite, calcite, olivina | |_________________|_________________________________________________|

La classificazione delle pietre verdi in funzione del loro contenuto di amianto e' stata eseguita sulla base delle

informazioni di natura petrografica oggi disponibili in letteratura. La quantita' esatta di amianto, sia esso amianto di

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serpentino o amianto di anfibolo non puo' essere definita in modo assoluto, ma deve essere valutata caso per caso.

Per una corretta definizione dei controlli da eseguire sulle pietre verdi al fine di un loro utilizzo come rocce ornamentali

o come inerti, si indicano i seguenti criteri generali:

A - VALUTAZIONE DEL CONTENUTO DI AMIANTO NEL GIACIMENTO E CONTROLLI DURANTE

L'ATTIVITA' ESTRATTIVA.

La procedura prevede un controllo iniziale del contenuto di amianto stimato medio sul giacimento, effettuato mediante

rilevamento petrografico di dettaglio. Il rilevamento dovra' effettuarsi su un'area tale da coprire tutta l'estensione del

giacimento e le zone di rispetto. La relazione geologica prodotta dovra' contenere i seguenti elementi:

- descrizione dell'area dal punto di vista geomorfologico, geologico e idrogeologico;

- descrizione dell'area con cartografia dettagliata degli affioramenti;

- sezioni geologiche, effettuate in modo da descrivere il giacimento trasversalmente all'avanzamento del fronte di cava.

L'eventuale presenza di amianto gia' evidente in superficie dovra' essere valutata in termini quantitativi, riportata in

cartografia e dovranno essere indicate, se possibile, le direzioni di immersione dei filoni o degli strati che contengono

amianto.

L'attivita' della cava dovra' essere tenuta sotto controllo mediante una descrizione petrografica dei litotipi incontrati

durante l'avanzamento del fronte di taglio. Tale descrizione verra' effettuata sia con rilevamento sul campo che con

l'ausilio di analisi di tipo mineralogico-petrografico. La frequenza del controllo e' da stabilirsi in relazione alla

volumetria del materiale estratto e alla velocita' di avanzamento del fronte di cava.

Contemporaneamente dovranno essere effettuati, da parte degli Organi territoriali di vigilanza, controlli con prelievo di

campioni di particolato aerodisperso ed analisi mediante microscopia ottica (MOCF) o elettronica a scansione (SEM).

L'eventuale affioramento di filoni ricchi di amianto dovra' essere prontamente segnalato prima che il proseguire

dell'attivita' estrattiva provochi un inquinamento ambientale da fibre di amianto;

in questo modo sara' possibile intervenire con un'azione preventiva, ad esempio mediante incapsulamento o altri idonei

sistemi e quindi modificare opportunamente la procedura di estrazione.

B - VALUTAZIONE DEL CONTENUTO DI AMIANTO NEI MATERIALI ESTRATTI.

La valutazione del contenuto di amianto nei materiali ottenuti dall'attivita' estrattiva deve essere eseguita con metodi che

permettano la misura media del contenuto di fibre "liberabili" dal materiale. Tale valutazione deve tenere conto dei

seguenti fattori:

- caratteristiche petrografiche del materiale

- usurabilita' del materiale in funzione delle condizioni di preparazione d'uso.

La misura deve quindi tendere ad ottenere un indice che determini la sua pericolosita'.

Distinguendo tra materiali in breccia, materiali in lastre e materiali in blocchi, si possono indicare tre procedure.

B1 - Materiali in breccia.

Si fara' riferimento ad un indice di rilascio determinato utilizzando come parametri la percentuale di amianto liberato e

la densita' relativa del materiale solido.

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 258

I campioni di breccia verranno prelevati secondo un opportuno criterio statistico, ordinariamente non inferiore a un

campione ogni 1000 mc; nel caso in cui il controllo del fronte di cava, effettuato in conformita' a quanto descritto al

precedente punto A, evidenzi l'affioramento di filoni contenenti amianto, il campionamento sul materiale in breccia

dovra' avvenire con frequenza di un campione ogni 100 mc.

Quando il controllo del fronte di cava assicurera' l'assenza degli affioramenti sopradetti, la frequenza dei test potra'

essere progressivamente ridotta ai limiti ordinari.

Per la determinazione della percentuale in peso di amianto in fibre liberate si suggerisce la seguente procedura:

1 - pesatura del materiale.

2 - prova di sfregamento tramite automacinazione per quattro ore mediante la macchina di cui alla Fig. 1.

3 - lavaggio del materiale, filtrazione del liquido di lavaggio e raccolta della polvere su filtro.

4 - analisi della povere con metodi quantitativi per la valutazione della presenza di amianto in fibre (IR e SEM).

La densita' relativa sara' calcolata sul materiale dopo la macinazione, secondo la relazione:

% densita' relativa = densita' apparente / densita' assoluta

L'espressione finale da utilizzare sara' la seguente:

I.r. = % amianto liberata / % densita' relativa

Nella classificazione dei materiali naturali si dovra' fare riferimento quindi all'indice di rilascio, modificato in modo da

utilizzare la percentuale di amianto rilasciato dal materiale e non la percentuale di amianto totale.

Il materiale verra' quindi definito non pericoloso quando l'indice di rilascio sara' inferiore o uguale a 0,1.

B2 - Materiali in lastre.

Si fara' riferimento ad un indice di rilascio determinato utilizzando come parametri la percentuale di amianto liberato e

la densita' relativa del materiale solido.

I materiali in lastre saranno sottoposti ad una prova di sfregamento per la determinazione del peso di polvere di amianto

liberata. Il numero di campioni da saggiare sara' stabilito in funzione della superficie di lastre prodotta, ma in misura

ordinariamente non inferiore a nr. 1 campione ogni 50 mc. di materiale lavorato; nel caso in cui il controllo del fronte di

cava, effettuato in conformita' a quanto descritto nel precedente punto A, evidenzi l'affioramento di filoni contenenti

amianto, il campionamento sul materiale da sottoporre a lavorazione, dovra' avvenire con frequenza non inferiore a nr. 1

campione ogni 10 mc di materiale lavorato. Quando il controllo del fronte di cava assicurera' l'assenza degli

affioramenti sopradetti, la frequenza dei test potra' essere progressivamente ridotta ai limiti ordinari. I campioni saranno

presi da lastre non immediatamente superficiali, ma almeno a 5 cm dalla superficie del blocco. Le dimensioni dei

campioni da analizzare sono indicate nella Fig. 2.

La prova di sfregamento va effettuata mediante una macchina rotazionale/abrasiva, secondo lo schema di apparato in

Fig. 2. La polvere ottenuta verra' raccolta mediante lavaggio e filtrazione su un setto poroso da 0,45 µm. L'analisi della

presenza e della quantita' di amianto verra' eseguita mediante diffrattometria a raggi X secondo quanto indicato nel

D.M. 6/9/94.

Il materiale verra' quindi considerato non pericoloso quando l'indice di rilascio sara' inferiore o eguale a 0,1.

Gli Organi territoriali di vigilanza dovranno altresi' effettuare periodicamente prelievi di polveri dall'ambiente di lavoro

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PTC - Piano Provinciale Attività Estrattive 259

per verificare eventuale rilascio di fibre di amianto durante le attivita' di taglio.

B3 - Materiali in blocchi destinati a costituire barriere costiere o massicciate28.

Per questo tipo di materiali le prove riguardano una valutazione mineralogica della superficie visibile. L'osservazione

dovra' accertare l'assenza di fibre superficiali sui blocchi, eventualmente anche con il prelievo e l'analisi con idonea

strumentazione di campioni superficiali. Si valutera' quindi la distribuzione superficiale dell'amianto, quantificando in

modo orientativo la quantita' di amianto rispetto alla superficie del blocco.

La valutazione orientativa della superficie del blocco si puo' eseguire assimilando il blocco ad un cubo con lato pari alla

radice cubica del volume:

V (m3) = peso (t)/densita' (t/m3)

__ Superficie totale (orientativa) = 6 (3√ V )2

I blocchi che risulteranno contaminati superficialmente da amianto, in misura inferiore allo 0,1% della superficie totale

stimata verranno considerati non pericolosi.

28 Lo stesso settore delle delle Pietre Ornamentali non è del tutto esente dalla problematica in esame, ancorché la coltivazione delle Pietre Verdi (Oficalciti) sia ormai molto ridotta su tutto l’arco alpino, disincentivata da prevalenti importazioni dall’estero, a costi minori. Tuttavia si deve anche tenere presente che:

- le tecniche di stacco di blocchi in cava, per lapidei ornamentali, facendo ricorso a tagliatrici (filo daiamntato e catena, cioè macchine funzionanti, di regola, a umido) limitano lo sfrido fine prodotto sul totale escavato e premettono il controllo a monte della polverosità di cantiere;

- la segagione in laboratorio avviene oggi in ambiente ben protetto da rumori e polveri, così da escludere ogni esposizione degli operatori;

- tra le lavorazioni delle lastre prevale la lucidatura, la quale determina la fissazionesuperficiale delle particelle di minerali i vista, comprese eventuali fibre.

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APPENDICE 2: ELENCO TAVOLE ALLEGATE Tavole di analisi TAVOLA 1. Carta base d’inquadramento territoriale, scala 1:100.000

TAVOLA 1 bis. Carta dei dati storici e del censimento delle cave, scala 1:100.000

TAVOLA 2. Carta geolitologica ed ubicazione delle cave, scala 1:100.000

TAVOLA 3. Carta geogiacimentologica ed ubicazione delle cave, scala 1:100.000

TAVOLA 4. Carta dello spessore dei giacimenti idonei alla produzione di aggregati di pianura, scala 1:250.000 TAVOLA 5. Carta della qualità dei giacimenti idonei alla produzione di aggregati di pianura, scala

1:250.000

TAVOLA 6. Carta della potenzialità dei giacimenti idonei alla produzione di aggregati di

Pianura, scala 1:250.000

TAVOLA 7. Carta dei Bacini Estrattivi e dei Comuni afferenti, scala 1:100.000

TAVOLA 8. Carta dei siti di cava, della base dell’acquifero superficiale, della soggiacenza della

falda e delle aree di ricarica della falda, scala 1:100.000

TAVOLA 9. Carta delle fasce fluviali, scala 1:100.000

TAVOLA 9 bis. Fasce, tratti fluviali e cave storiche, scala 1:100.000

TAVOLA 10. Carta dei rischi geologici e idrogeologici di versante, scala 1:100.000

TAVOLA 10 bis. Carta dei rischi geologici e idrogeologici di versante, scala 1:100.000

TAVOLA 11. Carta dei vincoli storico e ambientali paesistici (D.lgs. 42/2004) , scala 1:100.000

TAVOLA 12. Carta delle aree di parco, di pregio, SIC, SIP, SIR, ZPS e vincolo idrogeologico e

geositi scala 1:100.000

TAVOLA 13. Carta dei siti di cava e delle infrastrutture di rilevanza ambientale, scala 1:100.000

TAVOLA 14. Carta delle tipologie di paesaggio agrario e rurale della Provincia, scala 1:100.000

TAVOLA 15. Carta della capacità d’uso agricolo del suolo, scala 1:100.000

Tavole di Progetto

TAVOLA 16. Carta di sintesi per l’individuazione delle aree “potenzialmente idonee” alla

produzione di aggregati, con i bacini estrattivi scala 1:100.000

-

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TAVOLA 17. Carta di sintesi per l’individuazione delle aree “potenzialmente idonee” alla

produzione di argille, con i bacini estrattivi, scala 1:100.000

TAVOLA 18. Carta di sintesi per l’individuazione delle aree “potenzialmente idonee” alla

produzione di pietra ornamentale, con i bacini estrattivi scala 1:100.000

APPENDICE 3: TAVOLE DI ESEMPIO METODOLOGICO-

TAVOLA A. Esempio metodologico in scala 1:25.000- mosaicatura del Piani Regolatori

TAVOLA B. Esempio metodologico in scala 1:25.000- mosaicatura del Piani Regolatori e fasce

fluviali

TAVOLA C. Esempio metodologico in scala 1:25.000- mosaicatura del Piani Regolatori e rischi

geologici di versante

TAVOLA D. Esempio metodologico in scala 1:25.000- mosaicatura del Piani Regolatori e vincoli

storico, ambientali e paesistici

TAVOLA E. Esempio metodologico in scala 1:25.000- mosaicatura del Piani Regolatori e aree di

parco, di pregio, SIC, SIR, SIP, ZPS e vincolo idrogeologico

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APPENDICE 4: BIBLIOGRAFIA

Testi consultati Attivita’ estrattiva e recupero ambientale

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Riferimenti normativi

NORMATIVA NAZIONALE

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Legge 6 dicembre 1991, n.394, Legge quadro sulle aree protette

NORMATIVA REGIONE PIEMONTE

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Legge regionale 2 novembre 1978, n.69, Coltivazione di cave e torbiere

Legge regionale 3 aprile 1989, n.20, Norme di tutela di beni culturali, ambientali e paesistici

Legge regionale 9 agosto 1989, n.45, Nuove norme per gli interventi da eseguire in terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici – Abrogazione legge regionale 12 agosto 1981 n.27

Legge regionale 2 marzo 1990, n.12, Nuove norme in materia di aree protette (Parchi naturali, Riserve naturali, Aree attrezzate, Zone di preparco, Zone di salvaguardia)

Legge regionale 21 luglio 1992, n36, Adeguamento delle norme regionali in materia di aree protette alla legge 8 giugno 1990 n.142 ed alla legge 6 dicembre 1991 n.394

Legge regionale 23 giugno 1993, n.31, Modificazione alla legge regionale 21 luglio 1992 n.36

Legge regionale 3 aprile 1995, n.47, Norme per la tutela dei biotopi

Legge regionale 14 dicembre 1998, n.40, Disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione

Regolamento regionale 16 novembre 2001, n.16/R, Regolamento regionale recante: disposizioni in materia di procedimento di valutazione di incidenza

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