capitolo 11 (completo)

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1 CAPITOLO 11 IL PRINCIPE SOTTO INCHIESTA H arry aprì lentamente gli occhi abbaglia- to dal sole che entrava prepotentemente dentro la stanza. Sentendo l’odore delle lenzuola pulite del suo letto - il suo letto di Hog- warts - provò quella sensazione di benessere che solo la scuola, che era la sua prima e vera casa, gli poteva dare. Già la sera prima, mentre si dirigeva nella sua stanza, era stato avvolto da quel sentimento, caldo e confortevole come uno dei maglioni della signo- ra Weasley. Le disavventure del viaggio e tutti gli accadi- menti che lo avevano visto all’opera la sera pre- cedente, lo avevano a dir poco scombussolato, ma a fine serata, nonostante la necessità impellente di confidarsi con Hermione, era stato contento di po- ter finalmente riposare serenamente nel suo letto a baldacchino.

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Il Principe sotto inchiesta

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CAPITOLO 11

IL PrInCIPe sOTTO InChIesTA

harry aprì lentamente gli occhi abbaglia-to dal sole che entrava prepotentemente dentro la stanza. Sentendo l’odore delle

lenzuola pulite del suo letto - il suo letto di Hog-warts - provò quella sensazione di benessere che solo la scuola, che era la sua prima e vera casa, gli poteva dare.

Già la sera prima, mentre si dirigeva nella sua stanza, era stato avvolto da quel sentimento, caldo e confortevole come uno dei maglioni della signo-ra Weasley.

Le disavventure del viaggio e tutti gli accadi-menti che lo avevano visto all’opera la sera pre-cedente, lo avevano a dir poco scombussolato, ma a fine serata, nonostante la necessità impellente di confidarsi con Hermione, era stato contento di po-ter finalmente riposare serenamente nel suo letto a baldacchino.

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Aprendo la porta del dormitorio era stato scos-so da un’emozione forte, davvero aveva sentito di essere ritornato alla sua cara Hogwarts, splendida come prima dell’ultimo, tragico combattimento.

Si era reso conto, però, che quello sarebbe sta-to l’ultimo anno che avrebbe passato lì, e questa volta ne era sicuro. Da lì a qualche semestre Ho-gwarts non sarebbe stata più il suo posto. Ma si sa, tutti hanno bisogno di un luogo sicuro in cui tornare, e lui non faceva certo eccezione. Sarebbe riuscito a trovare un altro letto in cui svegliarsi e provare quella sensazione di pace?

I letti a baldacchino - che ora erano sei - le ten-de scarlatte e i bauli già sistemati ai loro posti, che meraviglia!

Sebbene Harry desiderasse riposare, non ave-va potuto fare a meno di restare sveglio con Ron, Dean, Seamus e Neville fino a tarda notte. Aveva-no molte cose da raccontarsi ed, evitando accu-ratamente qualsiasi argomento che riportasse alla battaglia di Hogwarts, avevano riso insieme anche delle cose più insignificanti, contenti di trovarsi nuovamente insieme. Quando Neville aveva mo-strato il suo baule traboccante di piume Auto-cor-reggenti e a Risposta-pronta, Ron e Harry erano caduti dal letto tenendosi la pancia.

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«Andiamo Neville, non penserai mica di usar-le durante i M.A.G.O., vero? Non lo sai che non è possibile?», aveva detto Dean ridacchiando, mentre uno scoraggiato Neville riponeva le piume dentro il baule.

Quando si erano resi conto che era ormai pas-sata l’una, si decisero ad andare a dormire, «Altri-menti» aveva sentenziato Ron «domattina non ba-steranno nemmeno dieci Strillettere della mamma a svegliarci!».

Poco dopo che ognuno si era coricato nel pro-prio letto, la porta del dormitorio si era aperta ed Harry aveva visto entrare il loro nuovo compagno di stanza: Bryan Hyde. Finalmente, in qualche modo, la Signora Grassa lo aveva fatto entrare...

Bryan!Si ridestò dai ricordi della sera prima e istin-

tivamente tastò sotto al suo cuscino, verificando che le bacchette fossero ancora al loro posto.

Sì tirò a sedere, cercando il nuovo compagno di stanza. Il suo letto era vuoto, le coperte erano già riassettate e il cuscino ben sprimacciato al suo posto: lui era già sceso.

Meglio così si disse.C’era una sottile linea di eventi che, per quan-

to potevano essere spiegati in molti altri modi, lo

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portavano a dubitare di lui. Il giorno del suo com-pleanno, a Godric’s Hollow, era sempre più sicuro che fosse proprio Hyde a guardarlo con aria bef-farda appoggiato al monumento dei suoi genito-ri. Certo, poteva benissimo essere stato qualcuno che gli assomigliasse particolarmente, ma ritene-va che questa fosse una possibilità remota. Ma la vera domanda era: perché? Perché era là in quel momento?

Se era là per lui, e questo sembrava abbastanza ovvio, non riusciva a capire il suo comportamento. Se avesse solo voluto conoscerlo si sarebbe fatto vicino in quell’occasione o più tardi. Ma se non voleva conoscerlo, allora voleva dire che lo stava spiando, ma allora perché si era fatto vedere?

Quello che lo preoccupava era che la Bacchet-ta era l’unico obbiettivo per cui qualcuno avesse motivo di seguire le sue mosse. In effetti, ad occhi esterni, il suo viaggio a Godric’s Hollow, da solo, di mattina presto, poteva sembrare un momento utile a nascondere la Bacchetta. E poi il luogo stesso aveva una sua valenza simbolica e quindi poteva sembrare un possibile nascondiglio.

Chissà, forse dopo che aveva lasciato il cimite-ro qualcuno aveva ispezionato la tomba di Ignotus Peverell o quella dei suoi stessi genitori, per ac-

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certarsi che la Stecca della Morte non fosse effet-tivamente lì. La sera prima, mentre era uscito nel parco, effettivamente intenzionato a nasconder-la, Ron aveva giurato che Bryan non era in Sala Grande. Solo una coincidenza? Oppure no? Se le sue congetture catturavano anche solo una bricio-la di verità, stava condividendo la stanza con un suo potenziale nemico.

Ma il comportamento del ragazzo era ambiguo, non era coerente con quella sua spiegazione.

Sospirò e guardò Snitch. Affianco al suo let-to, come da istruzioni di Ginny, aveva sistemato un piccolo cestino che fungeva da giaciglio per la piccola Puffola che, ora, era un’uniforme palla di pelo giallo, addormentata in un sonno profondo.

Dall’altro lato, naturalmente anche Ron stava ancora dormendo sul bordo del materasso, con un braccio a penzoloni sul fianco del letto e la faccia schiacciata contro il cuscino in una posa innatura-le. È da anni che mi chiedo come faccia a dormire così… pensò Harry.

Poi prese la sua bacchetta e, puntandola sul cuscino dell’amico, disse «Wingardium leviosa», sollevandogli il cuscino, poi lo strattonò via di colpo facendo rimbalzare la testa di Ron pesante-mente sul materasso.

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Ron si svegliò di soprassalto imprecando: «Per i calzini puzzolenti di Merlino! Ma che ca-volo...?».

Si guardò intorno ancora stordito dal sonno poi, vedendo Harry, disse a bocca impastata «Te l’ho già detto quanto ti detesto, Harry?».

«No, oggi è la prima volta» rispose lui con un enorme faccia di bronzo. «Svegliati, non vorrai ri-tardare già il primo giorno?».

Ron si rigirò e si tirò le coperte sulla testa.«Rischiamo di saltare la colazione!» incalzò.Quell’argomento doveva esser stato più con-

vincente, Ron uscì dal suo nido.«Comunque ti detesto».Poi come se un bolide lo avesse preso in pieno

spalancò gli occhi rivolto al letto di Bryan: si era ricordato di lui.

«Penso sia già sceso... » spiegò Harry.«Odio pensare che dovremo svegliarci ogni

giorno guardando la sua faccia!» mugugnò Ron e prese ad estrarre i vestiti dal baule, sbadigliando sonoramente.

Quando scesero, la Sala Grande era già gremita. La prima cosa che risultò subito chiara era che, ol-tre agli studenti di Hogwarts, nei tavoli delle quat-tro case si era aggiunta tutta la truppa americana.

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«Oh miseriaccia... siamo stati invasi dagli yan-kee!» borbottò Ron storcendo platealmente il naso mentre fissava il tavolo di Grifondoro affollato da-gli americani finiti lì dopo lo smistamento.

Comunque c’era sempre posto per tutti! Harry sospettò che, per quanta gente fosse entrata in quel salone, nessuno sarebbe mai rimasto in piedi: aveva come l’impressione che ci fossero più posti del so-lito! Poi si ricordò della magia di Hogwarts e, pen-sando a cosa avrebbe detto Hermione, sorrise: “Oh, Harry …ma sono davvero l’unica ad aver letto Sto-ria di Hogwarts?”.

Gli americani si riconoscevano da lontano, in ogni tavolata erano facilmente individuabili, seduti tutti vicini. L’appartenenza ad una casa comune stava già smussando le tensioni, e, qua e là, i ragazzi più so-cievoli stavano già cercando di coinvolgere gli stra-nieri nel loro mondo, indicando le grandi clessidre, il soffitto, oppure qualche altra meraviglia di quel luogo, probabilmente spiegando le straordinarietà della Sala Grande e del castello. Ribellandosi alla costruzione del quinto dormitorio, Hogwarts, aveva costretto i ragazzi ad integrarsi; e questo avrebbe si-curamente contribuito a far filare liscio l’anno.

Mentre i due amici avanzavano lungo il tavolo del Grifondoro, Harry scorse fra gli americani il

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viso di Bryan. Il ragazzo biondo incrociò il suo guardò per poi girarsi rapidamente verso i suoi compagni a chiacchierare. Per loro sarebbe stato più difficile raggiungere gli obiettivi della preside pensò fra se.

Camminarono in mezzo ai ragazzi che andavano e venivano, raggiungendo le ragazze.

«Ben svegliati!» disse Ginny.«Grazie» rispose Harry sedendole accanto e cin-

gendola a sé con un braccio.In quel momento la professoressa Sinistra li rag-

giunse, in mano portava un disordinato groviglio di foglietti. Aveva un’aria stralunata, i capelli in disor-dine e aveva perso il suo solito sguardo svagato; in poche parole sembrava una pazza!

«Accidenti ragazzi,» esordì, alzando i grandi occhi azzurri al cielo, «sto facendo una confusione con tutti questi orari. Studenti nuovi, studenti vec-chi, studenti che ripetono l’anno e americani. C’è da strapparsi i capelli!! Le stelle sono più rassicuranti, prevedibili. Con un po’ di studio sai sempre dove trovarle!».

Poi, evidentemente esasperata, lanciò in aria tutto quello che aveva in mano e pronunciò: «Ordinem!». Istantaneamente i foglietti iniziarono a ricadere in un ordinata pila sul tavolo. «Così va meglio».

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E, sistematasi i lunghi capelli castani dietro le orecchie, iniziò la distribuzione: «Granger: Trasfigu-razionie Pozioni, Difesa Conto le Arti Oscure, Incan-tesimi, Erbologia, Aritmanzia e Antiche Rune. Ah... che le stelle ti diano la forza!». Poi continuò, «Potter e Weasley, Ron Weasley» precisò, «Trasfigurazione, Pozioni, Difesa Conto le Arti Oscure, Incantesimi, Erbologia e naturalmente come indicato dalla nostra preside su nuove disposizioni del ministero lei signor Potter dovrà frequentare Astronomia cosa che detto fra noi mi rende un tantino contenta» disse la Profes-soressa Sinistra «Bene, con voi ho finito. Posso conti-nuare, Paciock: Erbologia, ...».

La professoressa continuò a elencare le materie degli altri compagni proseguendo lungo il tavolo.

«Come Astronomia? Perché devi frequentarla solo tu?» chiese Ron a Harry quasi offeso di non fre-quentare anche lui la materia.

Hermione, per poco non si affogò con il bicchie-re d’acqua che stava bevendo mentre Harry, dopo averle dato due buffetti sulla schiena, ed essersi ri-preso da un attacco di risa, si accinse a spiegare sottovoce: «È stata una idea di Kingsley per facili-tare le mie eventuali uscite notturne o occasionali missioni, ma se vuoi fare una lezione in più parlerò con Kingsley...».

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Ron ci pensò su e poi, ricordandosi il motivo per cui avesse rinunciato alla materia, cioè le lunghe se-dute notturne, disse «No grazie, passo».

«Mi sembrava… avevo quasi paura di aver sba-gliato pianeta» disse a quel punto Hermione senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Se Ron l’aveva sentita non lo diede a vedere, ini-ziò a servirsi con due fette di tutte le torte presenti sul tavolo, ben attento a non farsene sfuggire nes-suna. Il suo piatto sembrava una piccola piramide egizia appiccicaticcia.

«Alla prima ora abbiamo Erbologia con la Spri-te» lesse Hermione a voce alta «Oh, e subito dopo la prima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure con Willis».

«Lo fapevo, maffagna» bofonchiò Ron, come sempre a bocca piena.

«Pensavo che Willis fosse un tuo idolo, non dovresti essere contento di conoscerlo?» chiese Ginny.

«Certo, ad una partita di Quidditch, fuori da uno stadio, mi andrebbe bene un posto qualsiasi ma non un aula di scuola! Sono sicuro che per stasera lo odierò più di Gorgorovich… e dire che per lui la Pluffa era un oggetto non identificato!» rispose dopo aver definitiva-mente mandato giù l’enorme boccone.

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Gli altri risero divertiti, Ron non si smentiva mai.

Ormai erano quasi alla fine della colazione, quando Hermione, dopo aver letto come al solito la Gazzetta del Profeta, apprestandosi ad alzarsi per adempire ai suoi doveri, sentì i discorsi di un grup-po di ragazze americane che le stavano passando a fianco.

«Ma hai letto l’articolo su questo giornale?» disse una ragazza slanciata e magra. Era come tutte le ra-gazze americane, con un aria imbronciata e lo sguar-do di chi la sa lunga, due enormi occhi azzurri incor-niciati da una folta chioma bionda legata e divisa in due trecce che le davano un aspetto sbarazzino; la sua bocca leggermente sottile ma con due labbra molto rosse che le davano un aria da Barbie poco cresciuta.

«No Hawaii, di che giornale parli?» rispose una delle altre ragazze che componeva il gruppo. Erano tutte biondissime come quella con le trecce.

«Di questo!», e così dicendo le mostrò una rivista che aveva in mano, «È Il Settimanale delle Streghe. Sai e il più glamour che questi provinciali hanno».

«E cosa dice il giornale?».Hawaii rispose: «Oh, niente, parla solo di un do-

cente di questa scuola di zotici; a quanto pare era un poco di buono».

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A quel punto la curiosità prevalse su l’irritazione che Hermione provò nei confronti di quelle ameri-cane, “Certe volte Ron ha proprio ragione” pensò mentre si avvicinava al gruppetto. Poi con fare quasi cerimonioso, le fermò e chiese «Scusate ma questa zotica provinciale vi vorrebbe chiedere se le potreste prestare quel giornale».

Le ragazze sulle prime sembrarono molto irri-tate dalla presa in giro, ma poi notarono la spilla scintillante da Caposcuola sulla divisa di Hermio-ne, quindi, facendo buon viso a cattivo gioco, ri-sposero anche loro tramite la ragazza con le trecce che sembrava la capo cheerleader in un tono ceri-monioso che sapeva di presa per i fondelli: «Oh! Sì certamente, nessun problema, tanto non vale neanche la carta con cui è scritto». Così dicendo, la ragazza con le trecce glielo porse accennando anche un inchino, facendo aumentare l’irritazione di Hermione che, prendendo il giornale, sputò uno sgarbato grazie per poi girarle le spalle e ritornare verso il suo posto.

Quando si sedette, Ron, vedendola cosi infuriata, le chiese cosa le fosse capitato. E questo fu l’errore peggiore che potesse fare visto che lei lo investì con una serie di affermazioni di quelle che nemmeno Ron stesso avrebbe saputo tirar fuori.

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Alla fine intervenne Harry «Calmati Hermione qui nessuno ce l’ha con te. Ron ti ha solo chiesto cosa avevi... sei atterrata su quel tavolo come un gufo inferocito!» A quel punto Hermione, che ormai aveva sbollito con Ron, fece un profondo respiro e raccontò cosa le fosse appena accaduto.

«Vedi che avevo ragione io! Puah, le ame-ricane! Solo perché sono così carine si credono chissà chi!» sbottò Ron, ammiccando in direzione dell’amico. Hermione gli lanciò un occhiataccia e lui si affrettò ad aggiungere «Stupide biondine, senza cervello... » salvandosi con queste ultime parole da un’ennesima sfuriata della ragazza.

«Bene, vediamo questo articolo che le ha agi-tate tanto!» disse Harry.

Hermione allora aprì il giornale mettendolo in mezzo. Già leggendo le prime righe, fu come se fossero stati colpiti da una serie di Stupeficium.

Rita SkeeteR aggRedita a HogwaRtS nell’imminenza dell’uScita del Suo nuovo libRo.

Ieri pomeriggio (1° settembre) una strana vicen-da ha visto coinvolta la nota giornalista Rita Skeeter. L’ intrepida reporter è stata brutalmente aggredita da due non meglio identificati individui di cui non possiamo citare i nomi ma che chiameremo A.M. e

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R.B. (sigle che, ad esempio, potrebbe stare per Au-gustus Merlin e Regis Bloodhound) spacciatisi per Auror durante una delle sue ricerche per scoprire cosa bolle nel pentolone di Hogwarts. In esclusiva al nostro giornale, la Skeeter, ha accettato di darci la sua versione.

Carissima Rita, vuoi raccontarci come si sono svolti i fatti?

“Quei due bestioni mi hanno inseguita senza ri-tegno ridendo spregevolmente di me, una povera donna indifesa fra le grinfie di due mostri. Io non mi sono persa d’animo ma, dopo una rocambole-sca fuga, sono purtroppo finita malamente per col-pa di quel mezzo gigante del guardiacaccia, che mi ha ostacolata ponendomi innanzi dei brutti mostri enormi e artigliati, che, subito, mi hanno aggredito e, se non fosse stato per la mia bravura come fattuc-chiera, sarei morta. Avete capito bene sarei morta!

Dicevo, dopo la rocambolesca fuga, nella quale mi sono difesa con unghie, denti e pennini, quando ormai non avevo più speranze, mi sono fermata e, forte della mia penna e del mio taccuino, li ho mi-nacciati di rovinarli se mi avessero toccato, ma i due mostri dicendomi che erano Auror - cosa che io du-bito grandemente visto che non mi hanno mostrato alcun distintivo - mi hanno strattonato malamente per poi sbattermi fuori della scuola, senza rispettare i miei diritti di giornalista e reporter della verità.

Tutto questo mi pone una serie inquietante di domande: cosa facevano, se era vero, due Auror ad Hogwarts? Cosa combina il ministero? C’entra l’indagine su Piton? Il ministero sta nascondendo

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troppe cose, cosa c’entrano gli americani? Io, state-ne sicuri miei assidui lettori, lo scoprirò, a costo di dover scrivere un nuovo libro”.

Queste sono le inquietanti rivelazioni della gior-nalista d’inchiesta per antonomasia.

Le domande che si pone la nostra beneamata Rita Skeeter, sono alimentate da strani fatti, infatti, come già anticipato da lei stessa, pare che presso il Ministero della Magia, si stiano raccogliendo docu-mentazioni e testimonianze atte a stabilire chi fosse veramente il prof. Severus Piton, defunto, nel cor-so della ormai leggendaria battaglia di Hogwarts, sembra, per mano di Colui-Che-Non-Deve-essere-Nominato.

Ma allora è per questo che la giornalista è stata aggredita? Chiediamolo a lei stessa.

“Ma mi sembra chiaro, no? È ormai prossima la pubblicazione del mio ultimo sforzo editoriale ed è palese che qualcuno cerchi di tapparmi la bocca! I poteri forti non vogliono che ciò che ho scoperto venga messo a disposizione dell’opinione pubblica perché sanno quanto credito io abbia nei confronti dei miei affezionati lettori. Ma io non ci sto! Ed è per questo che voglio già da subito, prima che mi accada qualcosa di peggio, pubblicare su questo giornale che mi ospita (Settimanale delle Streghe N.d.R.), che oramai è uno degli ultimi giornali liberi in circolazione, un piccolo estratto del mio lavoro”.

Ed è con grandissima gioia, cari ed assidui lettori, che, solo per voi in esclusiva, presentiamo un primo estratto dal nuovo futuro bestseller dell’accattivante e biondissima Rita Skeeter: “Severus Piton: Santo

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o Canaglia?”. La celebre giornalista e la sua penna stregata si sono subite rimesse a lavoro dopo l’enor-me successo e prestigio conseguito con il romanzo “Vita e menzogne di Albus Silente”, libro che ha provocato sconcerto e scalpore in tutto il mondo magico. Quali segreti oscuri, scheletri nell’armadio o sorelle magonò (vedi biografia Silente) sarà riu-scita a scovare questa volta l’infallibile Rita? Ebbe-ne lei stessa ci ha rivelato che si è completamente immersa nella vita dell’ex professore e preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts per quasi 5 mesi, con l’intenzione di far luce su questo con-troverso personaggio.

“Piton: Santo o canaglia?” di Rita SkeeteR

Prefazione

Se vi dicessi che sul suo naso si potrebbe ap-plicare il teorema di Pitagora, che il suo peggior nemico è lo shampoo, e che ha tatuato sul braccio sinistro il marchio nero, ma che nonostante ciò Al-bus Silente non ha mai voluto mettere in discus-sione la sua lealtà, riuscireste a capire di chi sto parlando? Be’, se dopo tutti questi indizi non si è, all’istante, creata nella vostra mente l’immagine di Severus Piton, dovreste fare una visitina al San Mungo, gente!

Ebbene sì, cari lettori, io, Rita Skeeter, armata soltanto della mia penna, della mia determinazione

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fuori dal comune e della mia curiosità morbosa, ho voluto fare un immenso favore alla comunità ma-gica scrivendo questo libro. In questa nuova bio-grafia, infatti, potrete trovare tutte le risposte alle domande che da tempo vi perseguitano. Ma non pensiate che, finito di leggere, resterete indifferenti: Severus Piton ha molti segreti, tanti che non si po-trebbero nascondere tutti neanche nel suo immenso naso, e non sono tutti segreti innocenti! Ricavare le informazioni qui contenute è stato, lo ammetto, per me estremamente arduo. Piton, infatti, non era cer-to quello che si dice “un simpaticone”, e per questo non ha molti amici che possano ricordare la sua vita.

Le testimonianze della sua infanzia mi sono per lo più state confidate da Barny Boozle, ex addetto alla manutenzione magica ormai in pensione, at-tualmente ancora residente in Spinner’s End, quar-tiere in cui abitava una volta il nostro già citato uomo dal profilo asimmetrico. Per quanto riguar-da gli anni trascorsi a scuola, diciamo che molti di coloro che hanno conosciuto Piton durante i sette anni a Hogwarts, o sono stati rinchiusi ad Azka-ban con l’accusa di essere “Mangiamorte”, oppure sono ragazzi che lo ricordano principalmente come un “tipo bizzarro” o, per citare le parole di Arthur Snogdrow, “Un pazzo che aveva più forfora che ca-pelli!”

Per ciò che concerne la sua relazione con il pote-re oscuro, il professor Severus Piton, secondo infor-mazioni raccolte da fonti ineccepibili (com’è mia consuetudine), è stato uno dei primi Maghi Oscuri

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che giurarono fedeltà a Lord Voldemort (ormai pos-siamo nominarlo senza paura), noti, appunto, al mondo magico come Mangiamorte, per quanto, al-meno secondo testimonianze raccolte da varie fonti (non ultime, le stesse dichiarazioni rese dall’Eroe di Hogwarts, il sig. Harry Potter) sui “giuramenti di fedeltà” di Piton, ci sarebbe molto da discutere.

Infatti, sono talmente tante e contrastanti le testi-monianze relative al doppio gioco di Piton effettuato alternativamente in favore dell’una o dell’altra fa-zione, che, suppongo, avesse quantomeno bisogno di una “ricordella” per rammentarsi per chi stesse effettivamente lavorando in ogni momento della sua ambigua carriera!

Suscita inoltre perplessità, l’accanimento dimo-strato proprio dal Sig. Harry Potter (che più di ogni altro ha subito continue angherie nel corso della sua carriera scolastica), nei confronti del prof. Se-verus Piton.

In proposito, il libro che vi sto presentando con questa breve recensione, proseguendo, secondo il mio stile, nell’accanita ricerca della verità - per quanto spiacevole questa possa sembrare - inda-gherà su possibili ambigui sviluppi nella vicenda, scavando nella vita del giovane Piton.

La mia sorprendente abilità nello scovare le fonti più improbabili, mi ha infatti permesso di ottenere dichiarazioni dalla Sig.ra Petunia Evans in Dur-sley (sorella della madre del sig. Harry Potter). Se-guendo tale fonte, ci sarebbe stata una relazione tra “quell’orribile ragazzo” (così viene definito da lei il Prof. Severus Piton) e sua sorella Lily Evans.

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Ciò ci porta a formulare, ed a raccogliere di conseguenza le relative prove, delle ipotetiche spiegazioni del diverso atteggiamento del sig. Harry Potter verso il prima tanto odiato e dete-stato, e poi difeso strenuamente, professor Severus Piton.

In fondo, come recita un vecchio proverbio lati-no di origini babbane:

“Mater semper certa est, pater nunquam” (la madre è sempre sicura, il padre, invece no).

Queste sono solo poche righe dello stuzzicante libro della Skeeter, ma chi ha avuto la grandissima fortuna di leggerlo in anteprima, ci assicura che il resto supera di gran lunga le aspettative del lettore! Per questo, se non volete che il giornalismo libe-ro sia imbavagliato, assicuratevi sin d’ora la vo-stra personale copia di “Piton: Santo o Canaglia?”, compilando il tagliando di prenotazione a pag 12 e inviandolo via gufo al Ghirigoro, Diagon Alley, Londra.

«Questa la sigillo a vita in un barattolo, se mi capita a tiro!» esclamò Hermione a denti stretti, osservando Harry, che non riusciva proferire pa-rola, sopraffatto come era dalla rabbia. «Dopo la Battaglia di Hogwarts, persino La Gazzetta del Profeta non la stava più a sentire! E invece lei ha scritto un’altra schifezza di libro!».

«Sarà vero che è stata aggredita?» chiese Ron.

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«Ma Ron!» lo riprese Ginny «Ti sembra che gli Auror vadano in giro ad aggredire le vecchiet-te? E poi ha citato anche Hagrid ...».

«Quello che è sicuro è che ha sfruttato la vi-cenda per farsi un’immensa pubblicità!» concluse Hermione. «E tu, Harry, cosa ne pensi?».

Harry la guardò, poi, quasi sconsolato scuoten-do la testa, affermò «Cosa vuoi che pensi? Piton non ha nessuno che lo difenda, è normale che pri-ma o poi sarebbe uscito qualcuno che avrebbe ap-profittato dell’occasione e, detto tra noi, chi è più qualificata di quello scarafaggio della Skeeter, per farlo?» mentre diceva questo, il ragazzo si guar-dava intorno quasi che la soluzione si trovasse tra le stoviglie sul tavolo.

In realtà non gli importava un fico secco della Skeeter. Quello che gli stava a cuore era Piton. Solo la sera prima aveva scoperto che non c’era il suo ri-tratto e, ora, un libro gettava ulteriore fango su di lui.

Allora, si rese conto che non aveva ancora avu-to modo di raccontare agli amici ciò che gli era successo la sera precedente. Disse loro di come avesse cercato di nascondere la bacchetta e di come il professor Uglick lo avesse fermato.

«Ma Harry,» disse Hermione, «sei stato un pazzo ad agire così. Avremmo dovuto preparare

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un piano, considerare le varia possibilità... E poi come avresti fatto ad aprire la tomba?».

Hermione aveva perfettamente ragione, dopo-tutto era lei la parte razionale del gruppo.

«Hai ragione, ma mi era sembrata una buona occasione...».

«La prossima volta dovremmo studiare un pia-no più preciso!» concluse Hermione.

Poi, Harry, racconto dell’assenza del quadro di Piton dall’ufficio della preside.

«Caspita!», esclamò Ron.«Ma allora la Sketeer avrà vita facile!» escla-

mò Hermione.Harry sapeva che doveva fare qualcosa per ri-

solvere la faccenda, ma non credeva di dover fare così in fretta. Se la Skeeter riusciva a farsi ulte-riore pubblicità nessuno avrebbe potuto fermarla, doveva trovare una soluzione.

Poi Ron, cercando di risollevare il morale ge-nerale, puntò la bacchetta su Il Settimanle delle Streghe e lo fece sollevare in aria. Dopo qualche istante una pioggia di coriandoli bianchi iniziò a cadere sopra le loro teste. Ron sorrise soddisfatto: «Intanto il giornale ha avuto ciò che si meritava!» poi sfilò qualche foglio da La Gazzetta del Profeta e se lo aprì davanti. «Mago Sport Oggi, l’inserto

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sportivo del Profeta: queste sono letture interes-santi!» disse prima di immergersi nella lettura del Quidditch-mercato.

«Solo stracciando il giornale non è che risol-viamo molto» puntualizzò Hermione , «dovrem-mo fare qualcosa di più».

«Hai ragione» disse Ginny, «solo che... solo che mi suona così strano difendere Piton!».

Harry guardò la ragazza, non poteva darle cer-to torto. Piton aveva reso la vita di tutti un inferno pur se con nobili intenzioni, poi fu colpito da una delle sue famosi intuizioni, «Ron potresti passarmi un attimo il giornale», disse mentre lo strappava dalle mani di Ron, che ricambiò con un’occhia-taccia piena di proteste.

Hermione lo guardò stranita «Ma… come fai a pensare alle classifiche del Quidditch, mentre par-liamo di cose così serie?».

Ma Harry pareva distratto mentre sfogliava rapidamente le pagine, «Scusa devo solo control-lare una cosa che mi sembra di aver letto tempo fa» Harry sfoglio animosamente il giornale finché non trovò ciò che cercava, «Eccolo! Avevo letto bene... sì mi pareva ...» parlava più a se stesso che ai compagni. «Adesso possiamo andare a lezio-ne!» disse chiudendo il giornale.

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«Lo sai che sei strano, vero?» gli chiese ironi-camente Hermione ma, prima che Harry potesse intervenire per dare una qualche spiegazione, in-tervenne Ron «Bah! Per te sono tutti strani: solo perché uno dà un’occhiata al giornale sportivo non deve mica essere ricoverato al San Mungo!».

«Certo, se sono tutti asini come te, è impossi-bile curarli!».

A quel punto i due incominciarono una delle loro tediose discussioni e Harry rinunciò a spiega-re il suo piano. Poi, era meglio non immischiare gli amici, in fin dei conti non sapeva che sviluppi avrebbe portato la sua idea e quali conseguenze. Si alzò in piedi sgranchendosi le gambe e, proprio in quel momento, la professoressa Sinistra, che evidentemente aveva finito la distribuzione degli orari, camminò verso di lui.

«Potter, stavo dimenticando una cosa! Come ti ho avvisato per iscritto, sei stato nominato capita-no della squadra di Grifondoro. Lo so che è inutile che lo dica, ma come mio primo anno da Direttri-ce non voglio che la squadra faccia brutte figure! Mi raccomando, vedi di mettere insieme un buon gruppo!».

«Non si preoccupi, professoressa», rispose, «vedrà che daremo tutti il massimo!».

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«Ci conto» lo congedò la professoressa.«Ragazzi è tardi, dobbiamo andare alla serra sette

per la lezione: siamo già in ritardo», disse Hermione.Harry salutò Ginny con un bacio e poi i tre si

diressero verso l’uscita.Arrivarono alle serre in leggero ritardo, ma la

Sprite non disse niente.«Essere eroi certe volte aiuta!» commentò sar-

castico Ron, cosa che gli fece guadagnare una del-le solite occhiatacce gelide di Hermione.

«Benvenuti a tutti cari ragazzi» esordì la Sprite sempre con quel suo sorriso radioso che metteva di buon umore, Harry la osservò mentre introduceva la lezione vestita sempre con abiti pieni di terra e le unghie perennemente nere e con quel suo ca-pello talmente liso che non si capiva come faceva a stare diritto. Eppure non aveva mai sentito nes-suno fare commenti su di lei; per giunta la classe rimaneva sempre attenta senza che lei alzasse mai la voce. Era incredibile, nonostante la sua discre-ta mole faceva tutto con estrema leggiadria… era bello che certe cose non fossero cambiate.

Dopo una breve introduzione sull’anno scola-stico e sull’importanza dei M.A.G.O. e aver chia-rito che dai suoi allievi si aspettava non meno di un “O”, iniziò la lezione.

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«Sapete, quest’anno studieremo cose stupende, parteciperete ad esperimenti mai tentati su questo emisfero e, forse, creeremo una nuova specie», le premesse erano molto interessanti e gli studenti parevano assai incuriositi, «Allora, cosa potrei farvi vedere come succoso antipasto di quello che vi aspetta quest’anno ...», la Sprite parve pensarci un po’ su, come se avesse qualche dubbio, anche se a Harry e Hermione sembrò una mossa studia-ta per catturare la loro attenzione, poi disse «Ah! Ecco... ci sono», si girò, trafficò dentro uno stra-no armadio e ne estrasse un vaso con un fiore di un bianco quasi accecante. Intorno al fiore pareva ci fosse una strana aura luminescente, «Ragaz-zi vi presento la Phalaenopsis affectus-animi o, più volgarmente, “Orchidea delle Emozioni”», a quelle parole tutta la classe all’unisono emise un «Ooooohh!».

La professoressa Sprite, compiaciuta, continuò «Sapete, è molto rara, e per ora non si è ancora ri-usciti a farla riprodurre in questo emisfero. Ma ov-viamente la sua particolarità non è questa. Il fatto straordinario è che, chiunque si avvicini alla pian-ta, trasmette involontariamente le sue emozioni, fa-cendola cambiare di colore. In Asia, luogo in cui ha origine, è usata esclusivamente dagli Auror allo

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stesso modo della macchina della verità dei babba-ni ma, a differenza di quella, la pianta è infallibile. Non può essere imbrogliata come i Legilimens o alterata con un antidoto come il Veritaserum. In-somma è la perfetta macchina della verità».

«Ma perché studiamo questa pianta se è così preziosa da essere usata solo dagli Auror?» do-mandò Hermione perplessa.

«Ottima domanda, 5 punti per Grifondoro» disse la Sprite scatenando l’entusiasmo dei com-ponenti di Grifondoro - compresi gli americani che ne facevano parte – per la conquista dei primi punti dell’anno.

«Dopo molte difficoltà, il ministero è riusci-to a mettere mano su alcuni esemplari, e ha de-ciso di cercare di farla riprodurre per poter usare le sue fantastiche peculiarità. Così ne è stato dato un esemplare ad ogni luogo in cui fosse possibile uno studio ed eventuale riproduzione, e, come voi sapete bene, Hogwarts da sempre è stata all’avan-guardia in questo campo e io, come responsabile di questa disciplina ho deciso di farne materia di studio» spiegò soddisfatta.

«Ora la farò passare tra di voi, così noterete come cambierà colore in base all’umore e al ca-rattere di chi gli sarà vicino».

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A quel punto tutti i ragazzi, uno a uno, poterono sperimentare gli effetti della pianta. Era incredibi-le: passava dal giallo al rosa o dal verde al rosso, così morbidamente che era impossibile rendersi conto quando effettivamente mutava colore. Era la cosa più spettacolare che gli studenti avessero visto ultimamente. Anche gli americani rimase-ro estasiati considerando che il profumo del fiore predisponeva la persona vicina ad aprirsi.

Lip Styk, una ragazza americana piena di pier-cing e con la divisa della scuola visibilmente ac-corciata, emise dei risolini ultrasonici quando la pianta, nelle sue mani, diventò di un rosa shocking quasi fosforescente.

«È un colore troppo glamour! Cosa vuol dire prof?» domandò sistemandosi una ciocca di ca-pelli davanti agli occhi.

«Be’, non conosco tutti i colori a memoria» disse la Sprite un po’ imbarazzata «Ma mi sembra che il rosa, quando raggiunge quella tonalità, sia segno di eccessiva stupi… frivolezza».

«Oh, fantastico!» disse lei tutta contenta, passan-do la pianta a Ron che sghignazzava apertamente.

La pianta divenne di un caldo blu con striature rosa pallide, quasi gli stessi colori che erano ap-parsi pochi istanti prima anche a Neville.

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Poi la passò ad Hermone che gli stava accanto, e la pianta divenne invece verde con macchie az-zurre. Ma tutti quelli che erano lì vicino avevano strabuzzato gli occhi, specialmente Ron. Infatti, c’era stato un momento, un brevissimo istante, in cui la pianta aveva virato al rosso scarlatto, con sottili venature dorate.

«Come mai è diventata rossa?» domandò an-cora Lip, masticando una gomma in modo inso-lente.

«È molto interessante quello che è successo! Prima la pianta era intimamente legata al signor Weasley, ed esprimeva il suo colore, pochi istanti dopo, invece, era espressione dell’anima della si-gnorina Granger. Ma c’è stato un momento in cui la pianta è rimasta in bilico tra le due essenze, ed ha potuto trovare un colore anche per quello stato. Ma questo è risultato possibile solo perché tra le due anime esiste un collegamento».

«Sì, ma perché ha assunto quel colore?» chiese ancora la ragazza americana.

«Be’, signorina, non servirebbe neanche aver letto il manuale per interpretarlo! Insomma il ros-so è universalmente riconosciuto come il colore dell’amore, in questo caso indica inequivocabil-mente il vero amore».

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A quelle parole, Ron iniziò a cambiar colore; in effetti, lui era una sorta di Orchidea delle Emo-zioni di sé stesso! La classe iniziò a mormorare visibilmente. Le ragazze sospirarono beate, men-tre i ragazzi sorridevano sornioni. Fortunatamente per Ron, il brusio venne presto interrotto dal suo-no della campana, la lezione era finita.

«Bene ragazzi nella prossima lezione termine-remo il giro. Preparate intanto almeno venti centi-metri di pergamena sull’argomento».

I ragazzi uscirono dalla serra commentando positivamente la lezione e dirigendosi verso l’au-la di Difesa Contro le Arti Oscure. Ron, scuro in volto, fu il primo a scappare per non rischiare di dover incrociare lo sguardo di Hermione. Harry, sorridendo, dovette correre per raggiungerlo.

Quando arrivò davanti l’aula del professor Willis, c’era già un folto gruppo di persone che, parlottando, si accalcavano fissando un foglio ap-peso al muro.

A tutti gli studenti.La lezione del 2 settembre di Difesa Contro le

Arti Oscure si svolgerà presso il campo di Quid-ditch della scuola.

Non tardate.Hudson Willis

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«Wow,» fece Ron «forse non sarà così male!».«Penso proprio di no!» escamò Harry.Ma una voce alle loro spalle dissentì. «Non mi

sembra un modo serio di iniziare l’anno» senten-ziò Hermione storcendo il naso.

Il gruppo raggiunse velocemente il campo esterno dove il professor Willis li attendeva.

Era da molto tempo che Harry non ci entrava, si ricordò che presto avrebbe dovuto anche occupar-si della squadra di Quidditch. Le partite sarebbero iniziate di lì a poco e, probabilmente, già nei gior-ni successivi avrebbe dovuto fare le selezioni.

«Venite, venite tutti avanti!» li accolse il pro-fessore facendo ampi gesti con le mani.

Il gruppo si raccolse intorno a lui. Indossava ancora il disorientante vestito a righe bianche e nere sfarfallanti. In testa teneva calcato il Cilindro Canterino. A vederlo adesso, non si sarebbe mai detto che fosse diverso da qualsiasi altro coprica-po; ma solo ora capiva perché il professore non sostituiva quel vecchio e sgualcito cappello che stonava con il suo abbigliamento sgargiantemente impeccabile.

«Ormai mi conoscete tutti, comunque mi ri-presento: io sono il professor Hudson Willis e per quest’anno sarò molto lieto di essere il vostro pro-

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fessore di Difesa Contro le Arti Oscure. Qualcuno di voi sa già qualcosa di me?».

Alle domande dei professori, normalmente era Hermione ad alzare la mano pronta a snocciolare una risposta impeccabile. Questa volta, parados-salmente, fu Ron a farsi notare con le ginocchia che già tremavano e con una strana brama negli occhi.

«Prego signor Weasley».«Be’, lei è una leggenda, i Golden Chocolate

hanno vinto dieci titoli di lega americana consecu-tivi e in gran parte è merito suo. Detiene il record di velocità su scopa, quello per i maggior punti segnati in carriera ed è l’unico ad aver eseguito trentacinque giri della morte consecutivi senza vomitare!» disse tutto d’un fiato.

Hermione lo guardò con disapprovazione. «Ah, se studiasse con lo stesso impegno con cui si inte-ressa di Quidditch... » sussurrò ad Harry.

«Bene signor Weasley! Però si è dimenticato qualcosa per fare un quadro completo. Hyde?».

Harry sentì la voce del biondino dietro a lui «Ha anche vinto tre premi Scopa d’oro e il presti-gioso premio Miglior Giocatore di Quidditch al Mondo per due anni consecutivi» disse come se ormai conoscesse quella filastrocca a memoria.

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Fino a quel momento Harry non si era minima-mente accorto che ci fosse anche lui in mezzo agli studenti, aveva il dono di apparire quando meno lo si aspettava. Però, dopotutto, avrebbe dovuto intuire che avrebbe frequentato le lezioni del pro-fessore americano.

«Mi pareva di aver dimenticato qualcosa!» dis-se Ron sottovoce.

Il professore, poi, tese la mano in avanti senza dire niente. Un Manico di Scopa arrivò con un ve-loce sibilo per fermarsi nella sicura presa del pro-fessore. Era un modello vecchio e malandato, di quelli che normalmente ammuffivano nelle canti-ne della scuola.

Il professore saltò rapido sulla scopa che prese il volo in un batter di ciglia. Si esibì in una succes-sione di rotazioni, giravolte e picchiate. Poi salì in piedi sul manico rimanendo in equilibrio e conti-nuando a volare ad una velocità folle.

Dal gruppo si levarono urla di ammirazione e applausi nei momenti più adrenalinici.

«È incredibile! E per di più con quella scopa mezza rotta... » disse Harry.

Ron era di fianco a lui con la bocca spalancata.Solo Hermione sembrava leggermente contra-

riata, probabilmente non riusciva a credere che la

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prima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure del settimo anno consistesse in un esibizione di volo.

Il professore salì alto nel cielo, poi si fermò un istante, portò la scopa perpendicolare al terreno e si lasciò andare verso il basso. Iniziò ad acquistare velocità, sempre di più. Si poteva sentire il rumore della scopa che viaggiava fulminea.

Non accennava a rallentare anche se era sem-pre più vicino a terra.

Una ragazza lanciò un gridolino impaurito.Il professore dava l’impressione di schiantarsi,

ormai stava a pochi piedi dal suolo.Harry portò le braccia davanti alla faccia allar-

mato da quello che stava succedendo.Improvvisamente, quando già sfiorava i fili

d’erba, la scopa si fermò. Fino a quel momento aveva continuato ad accelerare ma ora era immo-bile.

Il Manico di Scopa si inclinò tornando oriz-zontale. Il professore scese sistemandosi i vestiti ma non il cilindro. Solo con la magia si poteva spiegare come il cappello fosse rimasto incollato alla sua testa nonostante tutta quella serie di acro-bazie. Poi parlò con voce incredibilmente calma come se fino a quel momento fosse rimasto seduto a leggere.

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«Questo è un campo di Quidditch, e come i vo-stri compagni ci hanno dimostrato all’inizio della lezione, la mia fama in tutto il mondo si basa sui miei meriti sportivi. Adesso vi ho dato una piccola dimostrazione delle mie abilità e spero vi abbia fatto piacere.

«Ebbene, questa è stata la prima e l’ultima volta che mi vedrete volare. Il Quidditch è stato molto importante per me ma non è stato tutta la mia vita. Ho frequentato la celeberrima Scuola per Maghi e Streghe di Ozward diplomandomi con il massimo dei voti in tutte le discipline e ho sempre continuato a studiare anche mentre gio-cavo».

Ora era Hermione quella che sembrava più at-tenta.

«Da sempre i miei studi si sono concentrati sulle Arti Oscure. Da due anni, da quando ho la-sciato lo sport, ho girato il mondo continuando ad aumentare il mio sapere. Penso, anzi sono sicuro, che per voi non ci sia al mondo un insegnante mi-gliore di me in questo momento.

«Allora, adesso possiamo iniziare la lezione». Detto questo schiocco le dita e accanto a lui com-parve un gigantesco mappamondo magico. «Bene diamo un occhiata a questo planisfero... ».

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«Lo sapevo, lo sapevo, sapevo che andava a finire così» disse tra i denti Ron «e non c’è nem-meno un banco su cui appoggiarmi».

«… voi avete conoscenza diretta solo della ma-gia della nostra parte del mondo... ».

«Non lamentarti, almeno non devi prendere appunti!» gli disse Harry.

«... dovete sapere che, oltre a quella occiden-tale, di cui indubbiamente Hogwarts è il tempio indiscusso, esistono altre correnti di scuole di magia. E in ogni cultura magica purtroppo si sono sviluppati dei cancri malvagi, quelli che noi chia-miamo magia oscura. Noi, in questo anno, cerche-remo di studiarle un po’ tutte!!».

«Sempre di meno mi piace questo Hudson Wil-lis!» sospirò Ron a bassa voce.

«Noi in America,» continuò, «abbiamo avuto la fortuna di amalgamarci con le popolazioni loca-li precolombiane e con i maghi di origine africana. Durante le deportazioni degli schiavi, molti ma-ghi africani si sono lasciati deportare nel tentativo - purtroppo vano - di liberarli o, quantomeno, di proteggerli . E così siamo venuti in contatto con altre correnti magiche». Mentre parlava segnava con precisione i punti della terra da cui proveniva-no i vari gruppi di maghi.

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«Ma professore,» intervenne Hermione, alzan-do la mano «se queste forme di magia sono effetti-vamente più potenti e valide della nostra, perché non studiamo direttamente queste?».

«Non è esatto ciò che ha detto, Signorina Gran-ger. Anche se ha posto un’ottima domanda che, tra l’altro, mi fornisce l’occasione per chiarire un concetto fondamentale,» continuò il professor Willis, «ossia che non esiste un tipo di magia che sia superiore ad un’altro; è giusto, invece, consi-derarle complementari: ci sono cose difficili od impossibili da ottenere con la magia tradizionale, che, magari, possono essere sbrigate tranquilla-mente con l’incanto creato da uno stregone degli altopiani o di qualche sperduta isola del Pacifico! Dobbiamo, insomma, avere l’umiltà di ammettere di non essere noi gli unici ed assoluti depositari del sapere magico!».

«Senti chi parla di umiltà!» commentò di nuo-vo Ron,.

«E poi, non tutti i Maghi Oscuri che potreste dover affrontare in futuro, provengono da scuo-le di pensiero Occidentale,» continuò il professor Willis «per cui è necessario che vi documentiate opportunamente su tutto ciò che potreste trovare, al di là delle mura di Hogwarts! Ci sono persone

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malvagie che commettono efferatezze in ogni mo-mento e in ogni luogo ...».

«È vero, professore!» intervenne una graziosa ragazza di colore, con una acconciatura a treccine «Dalle mie parti, vicino New Orleans, si racconta ancora oggi la storia di una famiglia sterminata per rappresaglia da un Mago Oscuro del luogo. Pensate che i due maghi uccisi erano due Auror dell’MBI. Nello scontro è morta anche la loro fi-glia più grande mentre del figlio piccolo non si è saputo più nient ...».

«Grazie, grazie, signorina Freebird» incomin-ciò il professor Willis, «ci ha fornito un esempio molto interessante di quello che dicevo, ma non è questa la sede per raccontare questi spiacevoli fatti di cronaca».

Neville e Harry, a quel racconto, ebbero un brivi-do: quanto rassomigliava alla loro, quella storia ap-pena accennata dal professor Willis e da Clarice!

In qualche modo, il racconto, aveva indotto Harry a fare delle considerazioni sui nuovi com-pagni: In fondo, pensò tra sé e sé, questi ame-ricani sono come noi, con storie analoghe alle nostre: tra loro ci sono buoni e cattivi; l’unica vera differenza è che sono nati dall’altra par-te dell’Oceano, ed hanno altre abitudini, a cui

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ci dovremo abituare... Certo che se facessero un piccolo sforzo anche loro!

Casualmente, mentre era assorto in questi pen-sieri, portò lo sguardo su Bryan Hyde e notò che aveva abbandonato la sua eterna espressione di impassibile ironia: in qualche modo, dopo l’inter-vento di Clarice, si era incupito. Per un momento ad Harry parve di vedere gli occhi di Hyde farsi lucidi, prima che questi li sfregasse vigorosamen-te. Probabilmente era solo colpa del vento, che in quella giornata era carico del polline degli alberi di Hogwarts.

Subito la voce del professor Hudson Willis ri-portò sia lui sia gli altri al presente: «Per conclu-dere l’argomento, vi preannuncio sin da ora che le lezioni teoriche saranno intervallate da “sedute di duello”, nelle quali, oltre ad esercitarvi su incanti particolari, come avete fatto sino ad ora, verranno effettuati duelli magici a “tema libero”, durante le quali dovrete affrontare il vostro avversario utiliz-zando tecniche di vostra scelta, esclusi, ovviamen-te, gli “anatemi senza perdono”». A questo punto il professor Willis fece una breve pausa, dopodi-ché concluse: «A meno che non vogliate tentare di liberarvi del vostro insegnante, visto che, almeno per i primi tempi, il vostro avversario sarò io!».

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A questa battuta del professore, una risata si levò unanime dalla folla degli studenti.

«Bene ragazzi, per oggi basta. Spero vi sia-te goduti questo bel sole dato che d’ora in poi dovremo rimanere chiusi in aula! Per la prossi-ma lezione vorrei che sceglieste uno degli argo-menti trattati oggi e lo approfondiste. Diciamo che un rotolo di pergamena di venti, no venti-cinque centimetri possa andar bene come prima volta».

Il professore non smetteva mai di stupire, la prima impressione era stata pessima: un pallone gonfiato egocentrico. E quello rimaneva un aspet-to del suo carattere. Poi sul treno aveva mostra-to la sua grande dote magica. Ed oggi era passa-to dalle acrobazie sulla scopa ad una dettagliata lezione sulle magie oscure. Sbruffone, potente mago, grande volatore e bravo professore. Qual era il vero Hudson Willis?

Il mappamondo che stava ancora al suo fianco scoppiò come una bolla di sapone e il professore dichiarò conclusa la lezione.

«Uno dei miei idoli del Quidditch ora è un pro-fessore rompiscatole! Ma perché è dovuto succe-dere?» si domandò retoricamente Ron.

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I ragazzi uscirono dal campo di Quiddicth com-mentando la lezione e dirigendosi verso la Sala Grande.

Quando arrivarono, il pranzo era già comin-ciato. Harry, Hermione e Ron si diressero verso Ginny, che gli aveva tenuto il posto, «Sono così affamato che mangerei un ippogrifo! La lezione mi ha messo fame» disse allegro Ron.

Ginny subito lo punzecchiò «È da quando sono nata che a te qualsiasi cosa fai ti mette fame!» su-bito un’allegra risata si allargò fra i commensali, persino Ron, nonostante fosse punto sul vivo non si fece rovinare il buon umore.

Il giorno seguente Harry si svegliò molto presto a causa di Ron, che continuava ad avere i soliti so-gni sulla sua amata Hermione. In alcuni momenti il ragazzo fu addirittura costretto a infilarsi il pu-gno in bocca per non ridere a causa dell’eccessiva foga dell’amico.

Harry pensò alla giornata precedente, al mo-mento d’imbarazzo tra Ron e Hermione durante Erbologia e alla lezione del professor Willis, che non riusciva ancora a inquadrare bene. Insomma, sapeva il fatto suo, ma lui proprio non riusciva a capire se gli stesse simpatico o meno… più o

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meno la stessa sensazione che aveva provato due anni prima con il professor Lumacorno.

Da quel che capiva era l’unico ad essere sveglio nella camera. Anche Hyde ronfava sonoramente, facendo concorrenza a Ron. Bryan Hyde stava di-ventando il suo cruccio: in quel momento avrebbe voluto svegliarlo, prenderlo per il colletto e fargli un paio di domande.

Accidenti a lui e a tutti i suoi compagni: come quella Hawaii, una ragazza che, a quanto sem-brava, la sapeva lunga. L’aveva vista per la pri-ma volta quella mattina, quando era passata con il giornale in mano. Il giornale con cui era venuto a conoscenza del libro su Piton, il libro con cui la Skeeter voleva screditare l’uomo a cui Harry do-veva tutto.

Harry si svegliò definitivamente. Il problema “Piton” andava assolutamente risolto: sapeva che doveva fare qualcosa e aveva già una certa idea, ma temeva che il Ministro avrebbe preferito che agisse con maggior cautela. Per questo decise di tenere per sé i suoi intenti.

Dopo essersi vestito in tutta fretta, uscì dal dor-mitorio, attraversò il ritratto della signora Grassa e corse a perdifiato verso la sua meta: la Guferia. Gli costava molto non dire quello che stava facendo

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ai suoi amici, ma non voleva che fossero coinvolti nelle polemiche che sarebbero sicuramente sorte.

Vi entrò ansimando per la corsa e si guardò in-torno, tra decine e decine di gufi e civette che an-davano e venivano e la nevicata di piume che alza-vano ad ogni battito d’ali; il suo occhio si posò su un preciso punto della rastrelliera. Mancava una cosa, una sola cosa, in tutto quel ritorno al passa-to: Edvige, la sua candida civetta delle nevi; per Harry era stata un’amica, sempre al suo fianco, qualunque cosa accadesse e in quel momento il dolore per la sua perdita si acuì. Ricordava come fosse ieri quando, sette anni prima a Diagon Alley, Hagrid gliel’aveva regalata e lui, Harry, era rima-sto senza fiato nel vederla.

Si ridestò dai suoi pensieri nostalgici e, dopo aver scarabocchiato due righe su una pergamena (con una piuma auto-inchiostrante che aveva pre-so l’abitudine di portarsi sempre dietro), scelse uno dei volatili della scuola e spedì un breve mes-saggio. Sul fronte c’era scritto “per A. J.”.

Una volta spedita la lettera si guardò intorno; la decisione era presa e non si poteva tornare in-dietro, il destino ineluttabile si era ormai messo in moto. Harry si sentì sollevato: una cosa in meno a cui pensare. Tornò alla torre di Grifondoro rimu-

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ginando ancora su quell’annosa situazione A fian-co del letto vide Snitch che dormiva teneramente: l’aveva un po’ trascurato negli ultimi tempi. Lo raccolse per portarlo a letto con lui ma non fece in tempo a sistemare il cuscino che improvvisa-mente la stanza iniziò a girargli intorno. Perse il contatto con la realtà.

Tutto si fece bianco e luminoso. Sentiva delle voci: quella della McGranitt e quella di Vitious ma, pur guardandosi attorno, non riusciva a vede-re nessuno. I professori, però, sembravano agitati: doveva esserci qualcun altro, qualcuno contro cui stavano combattendo. A quel punto, davanti a lui, iniziò a formarsi una sfera dai contorni indefiniti che oscurava ogni cosa, come se la luce non riu-scisse a penetrarla.

Continuò a crescere davanti ai suoi occhi e poi iniziò ad avanzare verso di lui, ma Harry era in-capace di muoversi. Si delineò qualcosa di oscuro al suo interno, degli enormi tentacoli neri che pro-ruppero dalla sfera e si mossero sinuosi cercando di raggiungerlo.

Harry non sapeva come difendersi. Estrasse la bacchetta e iniziò a lanciare ogni sorta di incan-tesimo che gli venisse in mente, ma nulla aveva effetto: i tentacoli continuavano ad avvicinarsi.

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Sentì una voce: «Usa la luce!».Non sapeva chi avesse parlato, ma ad un tratto sep-

pe cosa fare. Puntò la bacchetta e gridò: «Refulgeo!».Con stupore notò che la bacchetta che impu-

gnava non era la sua fidata bacchetta di agrifoglio, ma la Bacchetta di Sambuco. La luce iniziò a spri-gionarsi con violenza, raggiungendo i tentacoli che ora si ritraevano, respinti dall’incanto.

Harry si sentì scuotere violentemente.Aprì gli occhi. Era nuovamente nella sua ca-

mera. In piedi accanto al letto c’era Bryan Hyde con i capelli arruffati dal sonno.

«Ti senti bene? Che cavolo ti è preso?» chiese l’americano.

«Gr-zie...» fu la sola cosa che riuscì a biascica-re, ancora inebetito dalla visione.

«E fai qualcosa per quella Puffola... non ha una bella cera!».

Harry guardò Snitch: era nuovamente diventa-to arancione.

«Ma ti sembra normale? È solo la prima setti-mana e sono già indietro, come farò a continua-re con questo ritmo?» disse Ron stressato mentre raccoglieva i suoi libri da un tavolo della biblio-teca. Era sabato sera: la settimana era trascorsa

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senza altre novità da quando Harry aveva avuto quell’ultima e strana visione, anche se lui e Ron erano già indietro con i compiti.

«Impegnandoti di più e infilando finalmente il naso sui libri!» rispose acida Hermione.

Harry, che era in mezzo ai due, esclamò stiz-zito: «Non incominciate con i vostri soliti batti-becchi, mi sembrava aveste fatto pace... o era solo una breve tregua armata?».

Ron guardò in cagnesco l’amico e poi sbuffò infastidito da quella affermazione; anche Hermio-ne guardò Harry ma dopo un cenno diniego con la testa distolse lo sguardo.

«E per di più oggi ci roviniamo il sabato sera per quella lezione supplementare ...».

«Ma Ron... cosa dici?» rimbeccò Hermione. «Avremo l’occasione di osservare un evento ec-cezionale! Sono duemila anni che non succede. Ti rendi conto della fortuna che abbiamo? E per di più potremo osservarla dalla Torre di Astronomia!».

La mattina precedente, infatti, era stato affisso un avviso in Sala Grande:

In occasione dell’irripetibile evento astrono-mico di sabato 5 settembre, il suddetto giorno, alle ore 21, tutti gli studenti di Hogwarts saran-

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no invitati a partecipare nell’uscita collettiva nel parco del castello, accompagnati dai loro rispet-tivi insegnanti e prefetti. Per gli studenti del sesto e settimo anno, invece, sarà prevista una lezio-ne aggiuntiva di approfondimento sulla Torre di Astronomia, a cura della professoressa Sinistra. Per questi ultimi, si prega di essere presenti, e soprattutto puntuali.

Minerva McGranittPReSide

«Appunto! Se abbiamo aspettato duemila anni, cosa cambiava qualche giorno in più?» esclamò Ron mentre lasciavano la biblioteca.

Poco dopo vennero raggiunti da Ginny che si accodò ai tre verso la Sala Grande per la cena.

«Allora com’è andata la giornata? Oggi per me è stata magnifica, ho avuto buone notizie. A pro-posito Hermione poi ti dovrei parlare di una certa questione ...». Harry la fissò incuriosito mentre lei gli si avvinghiava al braccio.

«Certo quando vuoi!» rispose Hermione. Le due ebbero il tipico fuggevole sguardo d’intesa tra ragazze che Harry non poté non notare. Si chie-se cosa stessero architettando quelle due e, anti-cipando Ron, che stava per aprire bocca, chiese: «Di che questione devi parlare con Hermione?».

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Ginny lo guardò con aria divertita. «Oh, nien-te... cose da donne, roba che a voi non interesse-rebbe neanche fra un milione di anni!».

Dopo aver cenato, i quattro si affrettarono verso la Torre di Astronomia; quando raggiunsero la cima della Torre, questa era già colma di gente. Fino a quel momento Harry non ci aveva pensato, ma era la prima volta che saliva lì da quando Silente era morto. E lui non aveva potuto far niente per sal-varlo o, per meglio dire, Silente non gli aveva dato la possibilità di intervenire: aveva messo la salvez-za di Harry prima della sua vita. Certo gli rimane-va poco da vivere ormai, solo qualche mese... ma quanto valeva anche un solo giorno in più della vita di Albus Silente?

Ma era inutile rimuginarci sopra: ormai quello che era successo faceva parte del passato e quella era solo la Torre di Astronomia.

Si riprese dai suoi pensieri distratto da un so-noro sbadiglio di Ron.

A Harry, quella serata provocava sentimenti con-trastanti: la Torre di Astronomia non rievocava di certo piacevoli ricordi, ma l’atmosfera di quella sera e la presenza di Ginny lì al suo fianco gli davano un senso di pace interiore che non provava da un po’ di tempo.

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Si sedettero a terra e la professoressa Sinistra iniziò a parlare. Tutti stavano in silenzio ad ascol-tarla. «Un caldo benvenuto a tutti voi! Sono dav-vero felice che siate qui! Sapete, questa serata sarà particolarmente speciale per tutti noi: pochi maghi e streghe hanno avuto la nostra stessa opportunità: stasera le stelle avranno un ruolo importantissimo per noi: ci doneranno qualcosa di... magico».

«Peccato che il cielo sia velato!» esclamò piano Harry. In effetti una leggera coltre di nubi impe-diva una perfetta visuale del cielo stellato. «Non riusciremo a vedere molto...».

«Oh, non credo!» rispose Ginny.Harry non capì cosa intendesse dire ma, in ri-

sposta, la professoressa Sinistra alzò la bacchet-ta verso l’alto, mosse quasi impercettibilmente le labbra e un piccolo mulinello di vento si levò verso il cielo. Come una tromba d’aria al contra-rio, l’incanto iniziò progressivamente a spazzare il cielo disperdendo ogni traccia di nubi e la volta celeste apparve in tutto il suo splendore. La posi-zione di Hogwarts, lontana da ogni città, e il cie-lo pulito dalla magia, mettevano i ragazzi davan-ti ad uno spettacolo fantastico: miliardi di stelle risplendevano sopra le loro teste. Tutti rimasero affascinati.

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Harry guardò Ginny accanto a lui: al chiarore delle stelle era ancora più bella. Purtroppo ades-so che era iniziata la scuola riuscivano a passa-re ben poco tempo insieme. E il prossimo anno? pensò Harry: Ginny sarebbe stata ad Hogwarts e lui chissà dove in giro per il mondo. Chissà come se la sarebbero cavata. Magari poteva chiedere a Kingsley di metterlo con gli Auror che sorveglia-vano la scuola.

I suoi pensieri furono interrotti da alcune gri-da di stupore: «Guardate che bello!» esclamò una ragazza del sesto anno, indicando il cielo. Harry alzò lo sguardo e rimase affascinato: uno splen-dido disegno di stelle emergeva dall’oscurità, tra-punto sulla volta celeste, e pareva riempire tutto il cielo con la sua luminosità.

La professoressa Sinistra interruppe il brusio di ammirazione che si era sparso fra i ragazzi «Affascinante vero?» esordì con un sorriso sulle labbra.

«Quella che vedete questa sera è una costella-zione molto importante per noi: in questo momen-to le stelle ci stanno raccontando qualcosa di me-raviglioso, una storia che ha più di duemila anni, una storia che, proprio fra poco, raggiungerà un punto cardine della magia stessa. Questa è la co-

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stellazione del Sagittario». La professoressa fece una breve pausa, scrutando il cielo; evidentemente voleva approfittare di quel momento per accende-re ancora di più la curiosità fra gli studenti. «Ora vi chiederete cosa c’entri il Sagittario in questa sera, e soprattutto perché proprio questo segno.

«Fin dall’antichità» continuò, «per gli uomini, il segno del Sagittario è sempre stato simbolo di lotta, una lotta, se vogliamo, che va oltre i limiti terreni: una lotta che ha origine nella mitologia, una lotta fra il Bene e il Male. Il suo nome, come spero che tutti sappiate, deriva dal latino “sagitta”, cioè “frec-cia”, e, come ben vedete, la figura che si disegna con quelle stelle, è proprio la figura di un arciere, più precisamente di un centauro, armato di arco.

«Gli antichi babbani Greci ritenevano che que-sta figura fosse un tale Crotus, il centauro che in-ventò l’arte del tiro con l’arco, figlio della nutri-ce delle Muse, le nove giovani patrone dell’Arte. Secondo la mitologia, furono proprio le Muse a decidere di inserire il centauro nella volta celeste, come segno eterno della sua abilità nella caccia e del suo coraggio nel combattere i nemici; e pro-prio questa sera accadrà un evento eccezionale, che, duemila anni or sono, ha lasciato agli uomini una nuova speranza di sconfiggere il Male.

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«Prima di spiegarvi l’evento eccezionale di questa sera, vorrei chiarirvi un po’ le caratteri-stiche di questa costellazione. Oh, non servirà» spiegò ad una ragazza del sesto anno che si stava avvicinando ad un telescopio. «Stasera la costella-zione si può osservare benissimo ad occhio nudo! Come vedete» disse, indicando la grande figura dell’arciere che risplendeva nel cielo, «il Sagitta-rio è facilmente riconoscibile dalle tre stelle fon-damentali che ne fanno parte: la Kaus Australis -e indicò con la bacchetta la stella più in basso- la Kaus Media -e la puntò sulla stella poco più in alto- e la Kaus Borealis» disse, indicando infine la stella più a sinistra.

«Il termine “Kaus” non è un nome dato a caso, ma deriva dall’arabo antico, e significa, appunto, “arco”» spiegò, e fece con la bacchetta un gesto che pareva unire le tre stelle.

Gli studenti, forse per la straordinarietà di quella serata, non parevano affatto annoiati, ma, al contrario, seguivano la spiegazione con molto interesse, cosa che non accadeva quasi mai; per-sino Ron, che prima pareva irritato alla prospet-tiva di quella serata, era preso completamente da quelle parole, e spesso si girava a guardare la co-stellazione, affascinato: le tre stelle indicate dal-

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la professoressa Sinistra erano, in qualche modo, diverse dalle altre, e parevano circondate da un alone rossastro che le rendeva diverse. Harry lo vide e accennò un sorriso.

«Queste tre stelle» continuò la professoressa, interrompendo i pensieri di Harry, «formano quel-la che da molti esperti - babbani e maghi - viene definita la “Teiera” e che si trova proprio al centro della nostra Galassia.

«Le altre stelle del Sagittario», disse, facendo un gesto ampio con la bacchetta, per indicare il resto della costellazione, «sono più - per così dire - mutevoli delle tre di cui vi ho appena parlato.

«Nunki, la stella a sinistra della Kaus Borealis» disse, puntando la bacchetta su quella che pareva la stella più grande, al centro della costellazione, «ha un nome che per gli antichi ha il significato di prosperità, poiché proprio Nunki venne chiamata una città sacra e florida sul fiume Eufrate dagli an-tichi Babilonesi» spiegò ad un gruppo di studenti che ora non faceva altro che ammirare insistente-mente la volta celeste.

«Poco più in basso di Nunki, si trova Axilla» disse, abbassando leggermente la bacchetta per in-dicare la stella. «Il cui nome significa “ascella” e, non a caso, rappresenta la parte più alta del brac-

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cio del centauro», spiegò, poggiando l’altra mano sulla parte inferiore della spalla, per far capire me-glio agli studenti la posizione della stella.

«Più in alto di Nunki, invece» disse, e indicò il punto luminoso al di sopra della stella gigan-te, «si trova Albaldah, una stella molto grande e luminosa, ma con una densità bassissima rispetto alle altre, poiché le sue particelle sono molto di-stanti le une dalle altre: per questo non è eccezio-nalmente luminosa; ma è comunque la stella che fa da “cardine” alla costellazione, poiché è quella che si muove più lentamente di tutte».

Mentre la professoressa continuava la spiega-zione, gli studenti parevano ormai completamen-te assorti nei loro pensieri, pensieri che eviden-temente erano tutti rivolti a quella grande figura splendente che sembrava guardarli dall’alto del cielo.

«Ragazzi...ragazzi!!» esclamò lei, interrom-pendo il momento di trance degli studenti.

«Le stelle sono affascinanti, ma tornate con i piedi per terra! Sveglia!» disse con un ampio sor-riso, mentre i ragazzi ridacchiavano tra di loro. La professoressa fece per continuare la spiegazione, quando ad un tratto uno studente, che Harry ri-conobbe per un americano, esclamò: «Oh!! Che

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succede?» puntando il dito su una stella, la più a destra della costellazione.

Gli altri studenti alzarono lo sguardo e rima-sero abbagliati: la stella indicata dal ragazzo ora emetteva strani bagliori luminosissimi, rosso fuo-co, e pareva che lampeggiasse nel cielo.

Harry rimase stupito: guardò Ginny accanto a lui, sorridente, e la strinse forte a sé.

«Dovremmo esserci quasi» disse, con un sus-surro, la professoressa Sinistra, agli studenti che borbottavano fra di loro. «Non preoccupatevi ra-gazzi. Quella che avete appena visto» spiegò, «è Al-Nasl...la stella...la punta della freccia».

«Al-Nasl è una delle stelle più luminose di tutto il centro della Galassia, perché è una stel-la primigenia» spiegò con una punta di emozione nella voce; a quelle parole, molti ragazzi rimasero perplessi: non avevano idea di cosa volessero dire quelle parole, così lei, interpretando le espressio-ni sul loro volto, continuò: «Per darvi una defini-zione più semplice, le stelle primigenie non sono altro che le prime stelle. Stelle molto più grandi, molto più dense e molto più forti delle altre; stel-le che, dalla loro creazione, non hanno perso una sola goccia di potere, e tuttora continuano a pre-servarlo.

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«Non a caso, proprio Al-Nasl è stata ribattez-zata con un altro nome: Minami, che in giappo-nese antico significa appunto “prima stella”. E’ dalle stelle primigenie, come Minami, che viene la Magia» spiegò la professoressa, facendo sus-sultare gli studenti, eccitati, che cominciarono a bisbigliare tra di loro. «Una magia che però non è quella che utilizziamo noi con gli incantesimi» proseguì lei, interrompendo i brusii dei ragazzi, «che non ha nulla a che fare con la magia quoti-diana. No: è una magia con la “emme” maiuscola, una magia selvaggia, per così dire, potentissima, incontrollata, allo stato primordiale e, cosa più importante di tutte … infinita.

«Stasera» disse con un’ emozione ormai incon-trollabile, «la Terra si troverà nel punto più vici-no ad essa, come non si trovava da duemila anni, grazie al ciclo della Via Lattea, e allora Minami ci donerà una magia straordinaria, benevola ed ecce-zionalmente grande: farà rivivere, per così dire, le nostre bacchette, dotandole di una piccola parte di questo suo potere».

«Professoressa» chiese intimidito un ragazzo del sesto anno, «ma... lei sa di preciso cosa acca-drà fra poco? Voglio dire... che effetti ha questa stella s-su di noi?».

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La professoressa non rispose subito a quella domanda, tanta era l’emozione per l’attesa di quel momento magico.

«Nessuno lo sa con precisione: posso dire solo che le bacchette si uniranno in coro per ricevere quel potere straordinario». Quelle parole furono seguite da mormorii di eccitazione da parte dei ragazzi. Harry rimase immobile… Le bacchette si sarebbero unite in coro per ricevere quel po-tere straordinario pensò, ripetendo le parole della professoressa. Quasi meccanicamente sfilò la sua bacchetta dalla veste e la ammirò alla luce dei ba-gliori della stella primigenia: erano passati otto anni da quando l’aveva impugnata per la prima volta da Olivander: quante ne aveva passate... si era perfino spezzata, l’anno prima, nella casa di Bathilda; ricordò il dispiacere immenso che aveva provato e quando, infine, l’aveva riaggiustata con la Bacchetta di Sambuco ed era tornata come nuo-va, facendogli provare quel piacevole calore alle dita.

E quella notte chissà cosa sarebbe accaduto.«Guardate... Minami!» esclamò una ragazza,

interrompendo i suoi ricordi, e tutti volsero lo sguardo verso la costellazione: Minami aveva co-minciato a risplendere sempre di più ed emanava

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bagliori ogni volta più luminosi; pareva gettare luce da ogni parte, tanto grande era il suo pote-re, e sembrava addirittura che fosse diventata più grande da quando l’avevano ammirata poco pri-ma. Molti studenti addirittura non riuscivano a resistere a quella luce con lo sguardo, e dovette-ro coprirsi gli occhi. Con loro grande stupore, i bagliori rossi cominciavano a schiarirsi sempre di più: erano diventati arancioni, poi dorati, gialli...

In quel momento cominciò ad alzarsi il vento: un lieve e innocente fruscio di vento lasciò man mano il posto a folate sempre più forti che scom-pigliavano i capelli e le vesti degli studenti e co-privano i loro mormorii di stupore; la professores-sa Sinistra, tuttavia, attendeva il momento in cui il potere avrebbe raggiunto il culmine, immobile, tenendo lo sguardo fisso su Minami.

«Che cos’è questo vento?» chiese un ragazzo, intimorito.

«È Minami», rispose la professoressa con un grande sorriso sul volto.

I secondi passavano, ma il vento non accenna-va a calmarsi, tutt’altro: dalla torre i ragazzi vide-ro gli alberi della Foresta agitarsi violentemente e persino la superficie del lago, che prima era liscia come uno specchio, ora era increspata da picco-

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le onde. Poi, tutto si illuminò: Minami divenne di un bianco splendente, più luminosa che mai, e rischiarò tutto l’orizzonte ed ogni singolo par-ticolare di quel paesaggio, come un piccolo sole notturno.

«Tirate fuori le bacchette presto!», esclamò la professoressa a voce alta, per coprire l’ululato del vento. I ragazzi sfilarono velocemente le loro bacchette dalle vesti e le tennero ben strette nella mano. All’improvviso, accadde: la bacchetta della professoressa Sinistra, che lei teneva alta verso il cielo, cominciò ad emanare bagliori di luce splen-dente, che rilucevano esattamente come la stella nel cielo.

«Guardate!» esclamò la professoressa con un sorriso, ammirando la propria bacchetta. E fu la volta delle altre: le bacchette degli studenti co-minciarono a risplendere anch’esse del potere di Minami. Ad un tratto, da lontano, si sentì una stra-na ma dolcissima meolida, lieve, profonda.

«Le creature del lago» spiegò la professoressa. «Questa melodia che sentite non è altro che un

effetto del potere di Minami che si ripercuote non solo sulle creature marine, ma anche sull’ambien-te circostante: ascoltate» disse, quasi in un sus-surro. La melodia delle creature, i versi degli al-

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tri animali della foresta, lo scrosciare delle onde sulla superficie del lago e il frusciare del vento tra le fronde della Foresta rendevano il momento ec-cezionale. Harry, come Ginny al suo fianco, osser-vava entusiasta la scena: anche le loro bacchette risplendevano, e parevano essersi quasi unite in quello strano coro di luce.

«È meraviglioso», disse Ginny, quasi in un sussurro, stringendosi ad Harry. Ron ed Hermio-ne, subito dietro di loro, erano invece entrambi si-lenziosi: Hermione osservava ammirata la propria bacchetta, mentre Ron, al suo fianco, non aveva occhi che per lei. Harry sorrise, vedendo il proprio amico con quella strana espressione ingenua sul volto. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dall’inizio dell’evento, né quando sarebbe finito: tutto pareva sfocato attorno a lui...

Non faceva altro che guardare Ginny lì accanto: alla luce di Minami aveva acquistato qualcosa di meraviglioso che Harry non sapeva spiegare. Provò un fortissimo desiderio di baciarla, proprio lì sot-to le stelle: non ci pensò due volte: avvicinò il suo volto e la baciò. Avrebbe voluto che quel momento di estasi fosse durato in eterno: lui e Ginny in quel-la serata magica con il vento che le scompigliava i capelli e la melodia che lo accompagnava...

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Quando si staccarono, le bacchette rilucevano di una luce diversa.

«Il potere sta diminuendo... osservate» disse la professoressa Sinistra.

Era vero: i bagliori di luce che scaturivano dal-le bacchette ora erano diventati dorati, poi aran-cioni.

«Si sta ripetendo, al contrario, quel che poco fa abbiamo visto accadere a Minami» spiegò la pro-fessoressa a voce alta, mentre il vento pareva di-minuire. La luce delle bacchette cambiò: divenne prima di un rosso cremisi, poi di un rosso fuoco e infine cominciò ad affievolirsi pian piano, sempre di più, finché tutto non si spense.

I ragazzi erano ancora accecati da quella luce e dovettero aspettare ancora qualche secondo per riabituare la vista all’oscurità della notte.

«Minami sta tornando alla normalità» sussurrò la professoressa: la luce emanata dalla stella pri-migenia si affievolì notevolmente, tornando di quel rosso fuoco di prima. La melodia rallentò: ormai sembrava quasi una ninna-nanna cantata al cielo.

Il vento diminuì la sua forza, ritornando una lieve e piacevole brezza. Con grande stupore dei ragazzi, la costellazione del Sagittario divenne di un piacevo-le rosso cremisi, illuminando la volta celeste.

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«È il potere di Minami» spiegò la professo-ressa.

«D’ora in poi, per molti anni, questa costella-zione si presenterà a noi in questa nuova luce. Ma questo non è tutto: quello che abbiamo visto sta-sera succederà ancora, nei prossimi mesi Minami risplenderà così altre sei volte» disse eccitata.

«Davvero?» fece Ginny. «Sì: si sa che duemila anni fa l’evento proseguì

anche nei mesi successivi alla prima apparizione di Minami per sette volte, come sette sono le stelle della costellazione. Quindi credo che avverrà così anche questa volta» terminò sorridendo.

E tutto cessò.Gli studenti e la professoressa si risistemarono

le vesti scompigliate dal vento. «Meraviglioso vero?» disse la professoressa

Sinistra. I ragazzi risposero tutti con un sorriso e guardarono ammirati le proprie bacchette: pare-vano emanare uno strano calore alle dita, simile a quello che aveva provato Harry impugnando la sua bacchetta appena riparata.

«Credo davvero che questo sia tutto per stasera ragazzi. Non dimenticate mai questi momenti, que-sta serata: tenetela sempre con voi nei vostri ricordi più belli» concluse la professoressa, felice.

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«Bene... possiamo tornare giù adesso. È mol-to tardi» continuò, avviandosi verso le scale. Ma improvvisamente Harry provò uno strano senso di inquietudine, come un nodo allo stomaco.

Proprio in quel momento, nel buio pesto che avvolgeva Hogwarts, uno strano bagliore verde ri-schiarò parte del cielo; si sentì il rumore sordo di legno che si spaccava. Proveniva dal parco, dalla sponda del lago.

Harry non ne era sicuro, ma qualcosa era scat-tato dentro di lui; un campanello d’allarme gli di-ceva che c’era qualcosa di strano: quello non era il bagliore di un comune incantesimo, era certo fosse di un Avada Kedavra. Non era l’unico ad essersene accorto: si voltò in cerca degli amici e dal loro sguardo capì che erano giunti alla stessa conclusione.

Seguì rapidamente un bagliore rosso: uno Schiantesimo, pensò Harry. A quel punto, metà dei presenti era in piedi appoggiata al parapetto, ma nell’oscurità non si riusciva a vedere granché. Improvvisamente una luce bianca abbagliante riempì il cielo. Poco prima di essere completa-mente accecato, Harry distinse due sagome nel parco. Poi tutto si fece bianco e chiuse gli occhi dal dolore.

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Riordinò velocemente le idee, guardò le figure dei suoi amici che pian piano si facevano più niti-de, si scambiarono un cenno d’intesa e si avviaro-no a scendere dalla Torre.

Mentre si muovevano scorse ancora qualche bagliore blu e rosso e sentì la professoressa Sini-stra che chiedeva loro dove stessero andando, ma non l’ascoltarono e presero a scendere.

Erano quasi arrivati nell’atrio quando, voltan-do un angolo, andarono quasi a sbattere contro una trafelata McGranitt.

«Potter!» esclamò.«Cosa sta succedendo, signora preside?» chie-

se Hermione.«Non lo so di preciso: sto uscendo per accer-

tarmene proprio adesso». La sua voce leggermen-te alterata: non lasciava dubbio che fosse capitato qualcosa di poco piacevole.

«Venite anche voi così non dovrò preoccupar-mi che mi seguiate di nascosto, creando ulteriori disagi». Quando la preside diceva disagi, i quattro sapevano che nel suo linguaggio significava guai grossi, perciò senza alcun altro indugio, la segui-rono immediatamente.

Si stavano avviando verso il portone d’ingres-so quando davanti a loro si parò Vitious.

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«Minerva!» ansimò. «Ti stavo cercando... pre-sto, sono entrati nella scuola... almeno uno di loro; due studenti lo hanno visto che si dirigeva ...». Prese fiato. «... verso la presidenza!».

Harry vide le narici della McGranitt fremere di rabbia: «Santo cielo Filius!» esclamò. «E dove sono gli Auror?».

«Stanno arrivando Minerva... saranno qui tra poco!».

La McGranitt prese a salire la scalinata. «Voi restate qui! Non muovetevi, può essere

pericoloso» ordinò decisa. Mentre già si allonta-nava col professor Vitious.

Pericoloso? pensò Harry. La preside non si ri-cordava che solo cinque mesi prima, solo pochi metri più in là, si erano trovati di fronte a Volde-mort e decine di Mangiamorte? Harry pensò un attimo e poi si rivolse agli amici. «Bene, io li se-guo... voi restate qui in caso di pericolo ...».

Fece per muoversi quando Ginny gli si parò davanti. «Tu non vai da nessuna parte! Non hai sentito la McGranitt?!» disse decisa.

Ron, equivocando quanto detto dalla sorella, continuò: «Ha ragione, Harry: ci muoviamo tutti o nessuno. Se vai tu vengo anche io. Qualcuno do-

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vrà coprirti le spalle». Parlò mostrando il coraggio che tirava fuori solo nei momenti peggiori.

Hermione, sbottando in preda all’ansia, lo rimbeccò: «Smettila di dire stupidaggini, non era questo che intendeva dire tua sorella! E poi dove vorresti andare, se non sai nemmeno con chi ti do-vrai confrontare?».

Nel suo tono c’era sincera preoccupazione, ma Ron parve non coglierla: «Ecco!! Io lo sapevo... mi ritieni un incapace! Lo so che per te non sono mai all’altezza: io… io non sono Harry o Krum! Comunque fatti dire una cosa ...». Ma Hermione avvampò facendo zittire il ragazzo: «Sei uno stupido! Come al solito non capi-sci niente: io sono preoccupata per te...».

Ma neanche lei riuscì a finire la frase perché Ginny si impose su tutti. «BASTA!! La volete piantare con i vostri battibecchi e i vostri gesti eroici! ORA STATE ZITTI! Parlo io se non vi di-spiace!». La sua determinazione o forse il tono e la postura simile a quelle di Molly fu tale da far zit-tire il gruppo all’istante. Ginny, facendo un lungo respiro, guardò Harry negli occhi e disse: «Harry, ragiona un momento... perché credi che siano en-trati questi maghi? Non ti sembrerebbe prudente tenerti il più lontano possibile? Io... io non voglio rischiare di perderti ancora!».

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Nella fioca luce del castello vide che ormai parlava con gli occhi lucidi.

A Harry si strinse il cuore, combattuto com’era fra il suo dovere come Auror e il suo amore per Ginny. Le mani cominciarono a sudare, si sentiva stretto fra l’incudine e il martello, lacerato da una battaglia interiore. Cosa fare? pensò. Il silenzio si protrasse per qualche interminabile istante, men-tre i due ragazzi si guardavano fisso negli occhi. Era un discorso di sguardi quasi come se comuni-cassero a livello telepatico. Poi lui lasciò le mani di lei e disse: «Devo andare…». Lei lo fissò in-tensamente e gli disse: «Ti amo». Due parole bel-lissime che però in quel momento non facevano altro che rendere più difficile per Harry la deci-sione che aveva appena preso. Con un’ombra di amarezza in volto, le voltò le spalle e si diresse verso il corridoio della presidenza seguito da Ron, senza neanche voltarsi per timore di incrociare il suo sguardo...

I due ragazzi dopo aver lasciato Ginny e Her-mione, si affrettarono a raggiungere i professori, entrambi presi dai loro pensieri. Non impiegarono molto a raggiungere i professori, attraversando i corridoi vuoti e silenziosi di Hogwarts a tutta ve-locità.

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La McGranitt e Vitious avanzarono cauti verso il gargoyle di pietra, seguiti a breve distanza e fur-tivamente da Harry e Ron. Sembrava non vi fosse nessuno, ma i due professori erano tesi come cor-de di violino pronte a vibrare stuzzicate da un ar-chetto. Bacchette alla mano avanzavano un passo alla volta nel buio e silenzioso corridoio.

«Chi pensi che sia?» chiese ad un tratto Ron con voce flebile all’orecchio di Harry. Questi, qua-si senza pensare, rispose: «Forse gli stessi che ci hanno aggredito a Diagon Alley, o i due che hanno fatto franare il costone ...».

«A meno che che non siano sempre gli stessi tutte le volte!» ribatté Ron. Harry rifletté su quel-la possibilità e annuì in segno di assenso mentre sommessamente diceva: «Può essere ...».

Ormai i professori avevano raggiunto il gar-goyle, ma il corridoio sembrava deserto.

«Minerva, qui non vedo nessuno... e se i due allievi si fossero sbagliati?» disse ad un tratto Vi-tious con voce bassa e tremante, da cui traspariva la sua agitazione e il suo nervosismo.

«Non lo so Filius... è vero che non abbiamo in-contrato nessuno, ma la prudenza non è mai trop-pa. Inoltre non credo che ...». Le parole le moriro-no in gola. Improvvisamente, come se fosse stato

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generato dallo stesso buio che gli stava intorno, un essere incappucciato si parò loro innanzi. Non si riuscivano quasi a distinguere le sue fattezze, tan-to si confondevano con il buio circostante; l’unica cosa che spiccava era lo strano medaglione che gli cingeva il collo, anche se, da dove si trovava Harry, non lo si riusciva a vedere chiaramente. I due ragazzi si erano accovacciati dietro un’arma-tura a una decina di passi dai loro docenti, e da li assistevano a tutta la scena.

«Bene bene. Finalmente è arrivato qualcuno ad aprirmi la porta, questo stupido Gargoyle si rifiuta di farmi passare!» disse con uno strano accento dal sapore leggermente asiatico, fissando con odio la statua di pietra. Fece una brevissima pausa e continuò: «L’avrei fatto saltare, ma credo che ciò non mi garantisca il passaggio! Ma adesso ci siete voi, dunque se cortesemente mi faceste accomo-dare, ve ne sarei grato».

Vitious rimase interdetto di fronte a tutta quella sfacciataggine e levò la bacchetta, pronto ad attac-care l’intruso; al contrario la McGranitt, anche se aveva la bacchetta levata e già pronta a scagliare qualche incantesimo, decise di rispondere a tono all’intruso: «Sono Minerva McGranitt, preside di questa scuola... spero per lei che abbia una buona

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spiegazione per la sua presenza in questo corrido-io, altrimenti non lascerò che faccia un solo passo in più! Adesso si presenti, come conviene a chi chiede ospitalità, anche se nel suo caso non si può certo parlare di ospite gradito ...».

Parlò a denti stretti mentre le labbra si facevano sottili. Alle parole della McGranitt, Ron non poté trattenere un sorriso di compiacimento e sussur-rò nell’orecchio di Harry «Adesso se la squaglia come se avesse il fuoco alla coda della scopa».

Nel frattempo il misterioso e sgradito ospi-te controbatté. «A quanto vedo, Silente almeno l’umorismo è riuscito a insegnarglielo! Vedia-mo se ve la cavate con la bacchetta come con le parole!».

A quel punto anche Vitious prese coraggio e disse: «A meno che lei non ci voglia sconfiggere a fanfaronate è meglio che lasciamo parlare le bac-chette!». Le ultime parole uscirono un po’ acute dalla sua bocca, segno di un crescente nervosi-smo.

«Toh! Ha parlato il criceto… parole grosse per una specie di gnomo tutto agghindato La sua fa-miglia di roditori farà fatica a riconoscerlo ora!» lo schernì, dopo di che proruppe in una risata ma-ligna, pienamente soddisfatto del suo commento.

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Harry iniziò a innervosirsi sentendo le ultime parole e quel ghigno: non sopportava che qualcu-no si facesse beffe dei suoi professori… ricordò per un momento il professor Vitius quando, du-rante il quinto anno, lo premiò per il suo coraggio nel rilasciare un’ intervista su Voldemort sotto il naso della Umbridge consegnandogli una mancia-ta di Api Frizzole in segreto …

Anche Ron scalpitava e solo la mano di Harry sulla sua spalla gli impedì di farsi scoprire.

«Penso lei abbia capito che non è il benvenuto qui... o forse le mie allusioni non sono state chia-re? Dunque glielo dico chiaramente: sarebbe il caso che lei uscisse dalla mia scuola, se poi non conosce la strada gliela posso insegnare io... ma-gari usando la mia bacchetta! Sa, giusto perché le rimanga bene impresso nella mente...». Minerva McGranitt si erse in tutta la sua statura, imperiosa e determinata. Bacchetta alla mano, non intendeva più tollerare l’intruso, specialmente dopo ciò che aveva detto a Vitious. Le labbra sottili, gli occhi puntati sulla preda, non tremava, non fremeva. Era lì, imponente, pronta a scattare al minimo sentore di movimento del mago.

L’intruso dallo strano accento parve stizzito dalla reazione della preside e, convinto com’era

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della sua ineguagliabile superiorità, volle chiude-re la questione velocemente: «Signori... mi pare che il tempo per i convenevoli sia finito».

Vitious reagì tempestivamente erigendo una barriera che bloccò l’incantesimo, un forte getto d’aria.

«Allora sai anche fare le magie, gnomo?» dis-se il mago oscuro sogghignando. La sua risata si trasformò ben presto in un ringhio, poiché dovet-te pararsi da una raffica, all’apparenza casuale, di Schiantesimi lanciati dalla McGranitt. I colpi parevano aver mancato il bersaglio ma poi, dopo averlo superato, convergevano verso di lui col-pendolo da diverse angolazioni.

Il mago arretrò di qualche passo. «Notevole, ve-ramente notevole!» disse bloccandoli tutti con un ampio gesto della bacchetta. Poi incalzò: «Rama Satsujin!». Alcune lame d’aria falciarono il corri-doio tranciando armature e statue. La McGranitt non si fece spaventare e, dopo aver mormorato al-cune parole, eresse innanzi a sé un muro luminoso sul quale i colpi cozzarono come un suono di gong senza nemmeno scalfirlo. Il sorriso dell’intruso svanì come la sua convinzione di poter vincere; divenne scuro in viso rendendosi conto che non sarebbe stata una passeggiata.

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Anche Vitious iniziò a mostrare le sue qualità; fece levitare in maniera quasi statica i pezzi del-le statue e delle armature appena distrutte. Poi, d’un tratto, questi vennero lanciati come dardi verso il nemico che alzò la bacchetta, ma non riuscì a pararli tutti: alcuni frammenti passaro-no colpendolo. Anche se non riuscirono ad ab-batterlo, gli tolsero comunque il fiato. Il mago oscuro ora pareva indemoniato, tanto la rabbia traspariva dal suo corpo. Iniziò un lungo disegno con la bacchetta: a Harry sembrò un complicato arabesco. I due professori e i due ragazzi ne se-guivano, incantati, i movimenti.

Quando ebbe finito, dal buio del corridoio pre-sero vita numerosi tentacoli acuminati fatti dalla stessa oscurità da cui erano stati generati. Inizia-rono a frustare l’aria cercando di colpire i due pro-fessori. La magia fu terribile: Vitious venne cen-trato diverse volte e alla fine cadde.

La McGranitt, invece, stava resistendo anche se con evidente difficoltà. Il mago oscuro rideva sgua-iatamente. «È inutile che lei tenti di resistere... l’In-fernus Obscurus, anche se non si può praticare ovun-que, è una magia troppo potente; persino per lei! Fra qualche secondo cadrà come il nostro criceto... e al-lora io sarò libero di fare ciò per cui sono venuto».

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L’orrore si disegnò sul volto di Ron. Mollò la presa di Harry e uscì allo scoperto. «Confringo!». Un fluido uscì dalla bacchetta creando una mas-sa quasi sferica. Con un deciso movimento della bacchetta Ron la scagliò contro l’avversario. L’in-truso deviò con leggerezza il colpo che andò a fi-nire contro il muro, aprendo uno squarcio su una stanza.

«Cosa credi di fare? Né tu, né il tuo amico nascosto là dietro potete alcunché! Vi conviene scappare finché avete ancora l’uso delle gambe!». Proprio in quel momento un tentacolo si allungò e colpì Ron, scaraventandolo un paio di metri in-dietro.

La McGranitt era appoggiata solo su una gam-ba: l’altra era già stata colpita un paio di volte. Probabilmente aveva dolore anche ad un fianco, dato che vi teneva premuta la mano libera. Al terzo colpo cadde in ginocchio e uno sguardo di trionfo si disegnò sul volto del mago.

Harry si scrollò di dosso il terrore che lo aveva immobilizzato fino a quel momento. La visione dei tentacoli gli aveva riportato alla mente il so-gno di quella mattina. Si alzò, estrasse la sua bac-chetta e, facendo fondo a tutta la sua forza, cercò di proteggere la preside: «Protectio Inviolabilis!».

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Fortunatamente i tentacoli, pur frantumando le protezioni di Harry senza difficoltà, non riusciro-no a raggiungere la McGranitt.

Grazie a quella momentanea tregua, la Mc-Granitt ebbe la possibilità di riprendere fiato e di rialzarsi, ma ora i tentacoli si muovevano anche contro Harry. Il mago oscuro, accortosi dell’im-provvisa ripresa della McGranitt, concentrò di nuovo i colpi su di lei, deciso a finirla.

Harry si guardò attorno: Ron e Vitious erano a terra privi di forze e la preside era sul punto di crollare. E ora cosa posso fare? pensò Har-ry. Tutto sembrava inutile, ma poi la soluzione gli balenò davanti al naso: la Bacchetta di Sam-buco era lì, galleggiava luminosa a due passi da lui come se l’avesse appellata. La sua luce era limpida e armoniosa, come prima sulla Torre di Astronomia, quasi avesse catturato la magia di Minami ed ora stesse sprigionando la sua ener-gia.

I tentacoli si ritirarono rapidamente allontanan-dosi dalla fonte di luce. Ron urlò: «Cavolo Harry, guarda! I cosi si ritirano!».

Sapeva cosa doveva fare. Harry afferrò la Bac-chetta e, tenendola stretta in mano, si avvicinò alla preside e a Vitious, che nel frattempo aveva ripre-

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so conoscenza. Ora anche il mago oscuro guar-dava con stupore ragazzo e bacchetta, ma la luce era sempre più splendente, tanto che era difficile osservare la scena.

Il mago sembrava stregato dalla bacchetta di Harry, era evidente che l’aveva riconosciuta. Si guardò intorno osservando attentamente i presen-ti. Era indeciso: sembrava bramasse dalla voglia di stringere la Stecca della Morte, ma allo stes-so tempo era intimorito da tutte quelle bacchette puntate contro di lui. Decise di dare il tutto per tutto, si concentrò e i tentacoli ripresero forza e si scagliarono verso il gruppo.

Qualcosa nel suo inconscio guidò Harry, alzò la bacchetta e disse: «Chiudete gli occhi in fret-ta.... Reful...».

«Fermo, incosciente!». Una voce decisa e po-tente risuonò nel corridoio alle sue spalle. Harry si bloccò.

Il suo sguardo guizzò per un’istante verso il corridoio, cercando di capire chi ci fosse alle sue spalle: tre maghi, probabilmente Auror di guardia alla scuola e, davanti a loro, colui che lo aveva fermato, il professor Jattarius Uglick.

«Ragazzo non andare oltre ...» continuò il pro-fessore. «Ci pensiamo noi a questo qui!».

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Harry tentennava e sembrò che il mago lo avesse intuito: con le ultime energie che aveva in corpo stava cercando di dare massima violenza ai colpi dei tentacoli.

Cosa devo fare? si chiese tra sé. Non capiva perché il professore tentasse di bloccarlo, ma la luce sembrava essere l’unica cosa capace di neu-tralizzare l’Infernum Obscurum.

E la visione era stata chiara.Non aveva tempo: doveva andare avanti. Strinse

con forza le dita intorno alla Bacchetta di Sambu-co. Poi si concentrò e quasi gridò: «Refulgeo!».

Una luce intensa si sprigionò dalla bacchetta illuminando ogni minuscolo anfratto del corrido-io. Tutto era ben visibile: il buio era totalmente scomparso e con esso anche i tentacoli.

Era gratificante il potere che riusciva ad espri-mere grazie alla Bacchetta di Sambuco, una sen-sazione di potere immenso. In quel momento era conscio che avrebbe potuto fare qualunque cosa, se solo lo avesse voluto.

Ma davanti a lui non c’era più nessuno: il mago si era dileguato, come si fosse smaterializzato, sva-nito nel nulla. Neanche la preside riusciva a capaci-tarsene: nessuno può smaterializzarsi a Hogwarts, di questo ne erano tutti assolutamente sicuri.

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I tre Auror scattarono lungo il corridoio pun-tando le bacchette in ogni direzione. Il professor Uglick si avvicinò alla preside e, sebbene avesse lui stesso evidenti difficoltà a mantenersi stabile, l’aiutò ad alzarsi.

«Jattarius, perché volevi fermarlo?».«Lascia stare Minerva... ormai quel ch’è fatto,

è fatto».«Potter, mi pareva di essere stata abbastanza

chiara ...» lo riprese la McGranitt. «avevo detto di rimanere al sicuro! Tu e tutti il signor Weasley avete rischiato di farvi del male.

«Comunque grazie, senza di te non ce l’avrem-mo fatta. Anche se dobbiamo chiarire questa storia della bacchetta, è stata una fortuna che tu l’avessi con te!» concluse la McGranitt.

«Non ne sarei sicuro Minerva...» disse Uglick. Dal tono si capì che non avrebbe dato ulteriori spiegazioni.

Passò qualche minuto mentre tutti i presenti ti-ravano il fiato. Il primo a parlare fu Vitious «Gran bell’incantesimo signor Potter! Non c’è che dire, anche se non mi capacito del perché un semplice Lumos, seppur potentissimo come quello, abbia avuto successo dove i nostri incantesimi migliori fallivano ...».

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Harry guardò i suoi amici ma i loro volti non espri-mevano altro che smarrimento. Senza una risposta alla domanda di Vitious, si strinse nelle spalle.

Fu la preside ad intervenire: «Filius, avrai no-tato che l’incantesimo di quel mago si nutriva di buio e della sua energia; Harry ha eliminato total-mente l’oscurità con quell’ incantesimo e il mago si è quasi prosciugato per sostenere il suo incan-tesimo. La luce è stata la chiave di tutto. Anche se credo che molto del merito vada a questa notte e a quella bacchetta ...». Prese per un attimo fiato dando il tempo ai presenti di assimilare il concet-to, poi riprese: «Filius come ti senti... e voi?».

Il mago ancora dolorante rispose: «Ho avuto giornate migliori, comunque niente che un buon bicchierino non possa guarire!». Anche i ragazzi erano tutto sommato illesi.

Poi Harry chiese alla preside: «Lei come sta professoressa? Il fianco... le fa molto male?».

«Non si preoccupi signor Potter, non è niente che Poppy non sappia rimettere a posto. Signor Weasley aiuti il professor Vitious». Fece per al-zarsi ma oscillò pericolosamente.

«Aspetti ...» disse Harry. Poi si fece vicino e porse il braccio alla della professoressa. «Si ap-poggi a me» s’offrì.

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«Grazie Potter... un paio di gambe in più non fanno di certo male!».

Harry doveva ancora capire cosa fosse suc-cesso quella notte. Non comprendeva come fos-se stato possibile che qualcuno si fosse introdotto all’interno di Hogwarts, ma purtroppo il motivo dell’intrusione era chiaro: la Bacchetta di Sam-buco. Aveva deciso di rimanere a scuola convinto che fosse il luogo più sicuro, dove nessuno sareb-be riuscito a nuocere a lui e ai suoi amici. Ma si era sbagliato. Se erano riusciti ad entrare anche lì, allora dove sarebbe stato al sicuro?

Nemmeno i professori si spiegavano come quel mago fosse riuscito ad entrare ed ad uscire dalla scuola. Ma aveva dimostrato di essere molto poten-te. Questa volta ne era uscito solo grazie alla visione che gli aveva suggerito cosa fare. Ma Vitious aveva ragione: come un semplice Incantesimo di Luce era riuscito a sconfiggere una magia oscura così poten-te? A questo punto era chiaro che le visioni lo sta-vano aiutando in tutti i momenti di difficoltà, anche se non capiva da dove avessero origine.

C’era un altro punto che non gli era chiaro: perché il professor Uglick aveva cercato di evita-re che facesse l’unica cosa che poteva risolvere la

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situazione? Il primo giorno di scuola gli aveva im-pedito di nascondere la bacchetta e oggi non vo-leva che la utilizasse per fermare l’intruso. C’era qualcosa del nuovo professore che non convinceva per niente Harry. Aveva un brutto presentimento.

Ginny stava correndo verso di lui, i capelli splendenti alla luce del sole, raggiante di felicità.

«Harry, sei tornato!». Si lanciò al suo collo e lo baciò. «Mi sei mancato da morire» sussurrò, mentre una lacrima le solcava il viso.

Lui la abbracciò più forte; detestava farla pian-gere, ma non aveva avuto scelta, aveva dovuto la-sciarla sola con Hermione. Ma, dopotutto, in qual-che modo le sue lacrime lo rassicuravano: erano la prova dell’amore che la ragazza provava per lui. Ginny si asciugò la lacrima, lo trascinò sull’erba vicino al faggio, al loro faggio, e stendendosi ap-poggiò la testa contro il suo petto.

«Sai » iniziò Harry guardando il lago, «lo scor-so anno, mentre ero via con Ron e Hermione, sen-tivo tremendamente la mancanza di questo posto». Lei lo guardò, perplessa.

«E se poi pensavo al fatto che tu eri qui sen-za di me ...» continuò, «ero praticamente distrutto dal dolore».

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Ginny abbassò lo sguardo, gli occhi lucidi. Dopo qualche secondo lei sussurrò «Harry, alla Tana ho avuto modo di pensarci, ne ho parlato anche con Hermione... ed era d’accordo con me, perciò ...» Si fermò, aspettando la reazione di Har-ry, che la guardò curioso

«Pensavo che potremmo ...».«Harry! HARRY!» sentì una voce più bassa,

diversa da quella di Ginny, e aprì gli occhi quel tanto che bastava per vedere Ron che apriva le tende del suo letto. «Harry, che cavolo! Non ti sa-resti svegliato nemmeno se un corno di Erumpent ti fosse esploso in testa! Dai scendiamo a fare co-lazione».

Si mise seduto, coprendosi il volto con le mani, accecato dalla luce del mattino che entrava attra-verso le tende scostate della finestra. Era proprio strano. Cioè, tutti i suoi sogni erano sempre stati strani, ma questo lo era stato più di tutti. Ma che cosa voleva fare Ginny?Appena arrivò alla solu-zione, gli parve tanto ovvia, che arrossì, e la vista di Ron non contribuì certo a farlo sentire meno imbarazzato.

«Certo che potevi essere un po’ più delicato! Per colpa tua avrò mal di testa per tutto il giorno!» rispose a Ron, sperando che l’amico non gli chie-

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desse perché era arrossito. Inforcò gli occhiali e si vestì, riflettendo ancora sul sogno e maledicen-do l’amico per averlo svegliato così bruscamente. Scendendo incontrarono Hermione e Ginny che sbadigliava vistosamente; il dormitorio era deser-to: gli altri dovevano già essere scesi a fare cola-zione. Appena il suo sguardo incrociò quello di Harry, lui avvampò, ripensando al sogno. Ginny lo guardò interrogativa, accortasi della sua reazio-ne, ma non fece domande, e probabilmente prese nota mentalmente di chiederglielo appena fossero restati soli.

Arrivati nella sala grande si sedettero vicini a Neville intento a sfogliare un libro di erbologia.

«Ehilà, Neville!» salutò Ron. «Ciao, ragazzi!» rispose l’amico alzando lo

sguardo su di loro e vedendo la faccia di Harry aggiunse: «Tutto bene?».

«Mai stato meglio!» sbottò Harry lanciando un occhiataccia a Ron ormai già impegnato con le sue uova strapazzate.

Mentre si versava del Succo di Zucca nel bic-chiere, ricevette una forte gomitata da Ron e buona parte della bevanda finì sopra l’abbondante por-zione di bacon che aveva nel piatto. «Non mi hai ancora dato abbastanza fastidio per stamattina?»

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Ma l’amico era intento a fissare in direzione del tavolo degli insegnanti e Harry si accorse che la McGranitt stava marciando decisa verso di loro.

«Potter, seguimi nel mio ufficio!» ordinò.Harry guardò sconsolato le prelibatezze che ri-

coprivano il tavolo.«Avrai tempo di fare colazione più tardi, ora ti

prego di seguirmi».Harry lasciò malvolentieri il suo posto, rim-

piangendo di non essere sceso prima. Me lo sarei dovuto aspettare, considerando quello che è suc-cesso ieri… rifletté sconsolato..

La preside pronunciò la parola d’ordine davanti al gargoyle e invitò Harry a salire la scala mobile a chiocciola. Aprendo la porta dell’ufficio, Harry cercò subito con lo sguardo Albus Silente che, nel suo ritratto, era intento a conversare serenamente con il suo vicino. Vedendolo entrare, Silente gli ri-volse un sorriso sereno, che Harry ricambiò. Solo allora si accorse che l’ufficio non era vuoto: King-sley, che fino ad allora era rimasto seduto davanti alla scrivania della preside, si voltò verso di lui.

«Buongiorno Kingsley» salutò. «Ciao Harry» disse serio. Harry notò che non

aveva la sua tipica aria serena, ma sembrava un po’ preoccupato.

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«La Preside mi ha informato di ciò che è acca-duto ieri».

Harry sentì un brivido attraversarlo dalla testa ai piedi, come se fosse stato disilluso, e abbassò lo sguardo. La McGranitt si mise in un angolo, per non disturbare la conversazione.

«Kingsley, io volevo nasconderla, ma non sape-vo dove, ogni luogo mi sembrava troppo scontato, e, soprattutto, pensavo che più sicuro di Hogwarts non ci fosse nessun luogo. Ma mi sbagliavo ...».

Harry si lasciò cadere sulla sedia davanti alla scrivania, come colpito da uno Schiantesimo, ver-gognandosi di aver tradito la fiducia del Ministro, ma ancora di più per aver fatto una bruttissima figura davanti a Silente (o meglio, al suo ritratto). Dato che il ministro non aprì bocca, Harry lo guar-dò. Lui lo stava fissando, e nei suoi occhi si legge-va a mala pena l’irritazione provocata da Harry.

«Bene» iniziò Kingsley. «Anzi male. Non avre-sti dovuto mentirmi Harry. Ti avrei aiutato a tro-vare una soluzione. Penso che tu possa immagina-re la gravità di ciò che hai fatto; anzi... di ciò che non hai fatto» era calmo, straordinariamente cal-mo, e questo fece vergognare ancora di più Harry, che aveva ormai rinunciato a giustificarsi. Inoltre, non ci sarebbe nemmeno riuscito. Aveva la gola

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secca. Aveva deluso Kingsley, Silente, la McGra-nitt e soprattutto se stesso. Tutti i maghi nei quadri tacevano, Silente lo guardava con un’espressio-ne indecifrabile. Avrebbe preferito affrontare, da solo, tutti i draghi del Torneo Tre Maghi piuttosto che essere lì. Adesso sapeva che non avrebbe mai dovuto rimandare quel momento: avrebbe dovuto nascondere subito la bacchetta.

«Ti rendi conto che adesso, chiunque siano i maghi che sono interessati alla bacchetta, non solo sanno che che non è nascosta ma sanno esattamen-te dove trovarla? Ti rendi conto che hai messo in pericolo l’intera scuola?». Harry ormai era assali-to dai sensi di colpa.

«Ma io ...».«Harry, non serve che dici niente» disse poi,

di nuovo serio, «Ma dopo quello che è successo ieri, ritengo che sia giunta l’ora di iniziare il tuo addestramento. Già domani mattina verrai diretta-mente al ministero per iniziare le prove, non pos-siamo rimandare oltre: devi essere preparato ad ogni evenienza. Per il tempo necessario sarai giu-stificato per le assenze alle lezioni» Harry annuì, travolto da quella rivelazione: l’indomani sarebbe diventato un Auror a tutti gli effetti.