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RASSEGNA STAMPA WEB 02/11/2015 NOTE SU LINK DA PDF In caso di link (in blu sottolineato) non esattamente identificato dalla versione di Acrobat Reader installata sul PC (generalmente perché lo stesso link è disposto su due o più righe a causa della lunghezza) si consiglia di copiarlo (tasto destro mouse) e quindi di incollarlo nella barra degli indirizzi del browser web Rassegna Stampa Aziendale a cura Ufficio Comunicazione e Qualità versione on line - http://www.ilmonferrato.it/ data 02/11/2015 pagina web Carne: «Niente allarmismi! I problemi solo con l’abuso» «Stop agli allarmismi sulle carni rosse». «È un atto di terrorismo». Così, rispettivamente, la Coldiretti astigiana e quella alessandrina, in risposta alla notizia di rischio di neoplasie legate al consumo di carne rossa e insaccati lanciata dall’International Agency for Reserarch on Cancer (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Osm). A parlare sono Roberto Cabiale presidente di Coldiretti Asti e Roberto Paravidino di Coldiretti Alessandria con il contributo del nutrizionista Giorgio Calabrese. «Lo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul consumo della carne rossa, letto in maniera distorta, sta creando un falso allarmismo deleterio per i nostri allevamenti» cita il comunicato Coldiretti. «Malgrado la comprensibile preoccupazione per le ripercussioni momentanee sul settore - afferma Cabiale - è una campagna allarmistica del tutto immotivata, soprattutto se si considera che la qualità della carne italiana, dalla stalla allo scaffale, è diversa e migliore e che i cibi sotto accusa, come hot dog e bacon, non fanno parte della tradizione nostrana». In linea anche Calabrese: «L’utilizzo moderato della carne è solo salutista. I problemi insorgono se c’è un abuso, come per ogni altro tipo di alimento, ma gli italiani di certo non abusano nei consumi di carne». Le statistiche dicono che gli italiani consumano mediamente dai 70 ai 100 grammi di carne (sia rossa sia bianca) due volte a settimana, più 25 grammi di insaccati a settimana. «Siamo sicuramente al di sotto del limite minimo - prosegue Calabrese - il problema è degli americani, dei Paesi anglosassoni in generale, la cui dieta prevede la carne, il bacon e gli hot dog fin dal mattino e poi - aggiunge il noto nutrizionista - Ma di cosa stiamo parlando? Piuttosto occupiamoci di come viene cucinata la carne». «Non dimentichiamo - sottolinea Cabiale - come in Italia, al contrario di altri Paesi, i controlli sugli allevamenti vengono disposti dal Ministero della Sanità e non dal Ministero dell’Agricoltura». Ad ogni buon conto, a rassicurare i consumatori italiani è lo stesso studio dell’Oms quando afferma chiaramente che «è necessario capire quali sono i reali margini di rischio ed entro che dosi e limiti vale la pena di preoccuparsi davvero». Altrettanto importante è capire esattamente di quali tipi di carne e di quali sistemi di lavorazione si sta realmente parlando quando si punta il dito contro la carne. «È un atto di terrorismo - aggiunge Roberto Parvidino, presidente Coldiretti Alessandria - le carni Made in Italy sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “Doc” che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali tanto da garantire agli italiani una longevità da primato con 84,6 anni per le donne e i 79,8 anni per gli uomini». Bisogna tuttavia tenere presente che il rapporto Oms è stato eseguito su scala globale e su abitudini alimentari molto diverse tra loro: gli statunitensi consumano il 60% di carne in più degli italiani e, i cibi sotto accusa come hot dog, bacon e affumicati, non fanno parte della tradizione italiana. Dal punto di vista qualitativo la carne italiana è meno grassa e la trasformazione in salumi avviene naturalmente solo con il sale e senza l’uso dell’affumicatura messa sotto accusa dall’Oms. Questa vicenda conferma la necessità di accelerare nel percorso dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti, a partire dai salumi. «Nessun allarmismo - conclude Piero Ameglio, presidente provinciale Cia Alessandria e allevatore di Razza Piemontese ad Altavilla - ma solamente attenzione alle scelte che effettuiamo a tavola». Chiara Cane

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    NOTE SU LINK DA PDF In caso di link (in blu sottolineato) non esattamente identificato dalla versione di Acrobat Reader installata sul PC (generalmente perché lo stesso link è disposto su due o più righe a causa della lunghezza) si consiglia di copiarlo (tasto destro mouse) e quindi di incollarlo nella barra degli indirizzi del browser web

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    versione on line - http://www.ilmonferrato.it/

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    Carne: «Niente allarmismi! I problemi solo con l’abuso»

    «Stop agli allarmismi sulle carni rosse». «È un atto di terrorismo». Così, rispettivamente, la Coldiretti astigiana e quella alessandrina, in risposta alla notizia di rischio di neoplasie legate al consumo di carne rossa e insaccati lanciata dall’International Agency for Reserarch on Cancer (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Osm). A parlare sono Roberto Cabiale presidente di Coldiretti Asti e Roberto Paravidino di Coldiretti Alessandria con il contributo del nutrizionista Giorgio Calabrese. «Lo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul consumo della carne rossa, letto in maniera distorta, sta creando un falso allarmismo deleterio per i nostri allevamenti» cita il comunicato Coldiretti. «Malgrado la comprensibile preoccupazione per le ripercussioni momentanee sul settore - afferma Cabiale - è una campagna allarmistica del tutto immotivata, soprattutto se si considera che la qualità della carne italiana, dalla stalla allo scaffale, è diversa e migliore e che i cibi sotto accusa, come hot dog e bacon, non fanno parte della tradizione nostrana». In linea anche Calabrese: «L’utilizzo moderato della carne è solo salutista. I problemi insorgono se c’è un abuso, come per ogni altro tipo di alimento, ma gli italiani di certo non abusano nei consumi di carne». Le statistiche dicono che gli italiani consumano mediamente dai 70 ai 100 grammi di carne (sia rossa sia bianca) due volte a settimana, più 25 grammi di insaccati a settimana. «Siamo sicuramente al di sotto del limite minimo - prosegue Calabrese - il problema è degli americani, dei Paesi anglosassoni in generale, la cui dieta prevede la carne, il bacon e gli hot dog fin dal mattino e poi - aggiunge il noto nutrizionista - Ma di cosa stiamo parlando? Piuttosto occupiamoci di come viene cucinata la carne». «Non dimentichiamo - sottolinea Cabiale - come in Italia, al contrario di altri Paesi, i controlli sugli allevamenti vengono disposti dal Ministero della Sanità e non dal Ministero dell’Agricoltura». Ad ogni buon conto, a rassicurare i consumatori italiani è lo stesso studio dell’Oms quando afferma chiaramente che «è necessario capire quali sono i reali margini di rischio ed entro che dosi e limiti vale la pena di preoccuparsi davvero». Altrettanto importante è capire esattamente di quali tipi di carne e di quali sistemi di lavorazione si sta realmente parlando quando si punta il dito contro la carne. «È un atto di terrorismo - aggiunge Roberto Parvidino, presidente Coldiretti Alessandria - le carni Made in Italy sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “Doc” che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali tanto da garantire agli italiani una longevità da primato con 84,6 anni per le donne e i 79,8 anni per gli uomini». Bisogna tuttavia tenere presente che il rapporto Oms è stato eseguito su scala globale e su abitudini alimentari molto diverse tra loro: gli statunitensi consumano il 60% di carne in più degli italiani e, i cibi sotto accusa come hot dog, bacon e affumicati, non fanno parte della tradizione italiana. Dal punto di vista qualitativo la carne italiana è meno grassa e la trasformazione in salumi avviene naturalmente solo con il sale e senza l’uso dell’affumicatura messa sotto accusa dall’Oms. Questa vicenda conferma la necessità di accelerare nel percorso dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti, a partire dai salumi. «Nessun allarmismo - conclude Piero Ameglio, presidente provinciale Cia Alessandria e allevatore di Razza Piemontese ad Altavilla - ma solamente attenzione alle scelte che effettuiamo a tavola». Chiara Cane

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    Chirurghi schiacciati dal contenzioso

    Il contenzioso medico legale condiziona lo stato d’animo del 62% dei chirurghi quando si trovano in sala operatoria, influenza per il 70% circa sia le scelte terapeutiche sia l’iter diagnostico. È quanto emerge da un sondaggio commissionato dal Collegio italiano dei chirurghi (Cic) per testare quanto il rischio di un contenzioso legale influenzi le scelte. «È chiaro - afferma il presidente del Cic Nicola Surico - che il contenzioso medico legale rappresenta la prima preoccupazione dei chirurghi, in molti casi toglie loro l’indispensabile serenità per svolgere al meglio il proprio lavoro, ma non solo: incide fortemente sulla qualità delle prestazioni erogate ai pazienti. Il timore di un’azione

    giudiziaria, in mancanza di forti e sicure tutele assicurative, espone il chirurgo a rischi che esulano dalla propria competenza. Per questi motivi abbiamo chiesto, per anni, a gran voce l'approvazione di una legge sul rischio clinico. «La querela temeraria contro i medici - conclude Surico - sta creando una situazione molto pericolosa, che fa aumentare i costi della cosiddetta medicina difensiva, che superano ormai i 13 miliardi, una cifra spaventosa. Migliaia di azioni civili e penali ogni anno, nonostante si concludano con il 98% di proscioglimenti in sede penale e l'80% di assoluzioni in sede civile, causano effetti devastanti sul sitema sanitario: demotivazione degli operatori sanitari con spinta a scelte non serene talvolta omissive; elevatissimi costi in termini di medicina difensiva; lievitazione abnorme dei premi assicurativi. Di fronte a questa evidenza, è indispensabile intervenire subito con una legge efficace che fissi alcuni principi giuridici fondamentali: l’onere della prova deve essere a carico del paziente; la prescrizione deve essere quella prevista dall’art. 2947 codice civile, quindi ferma a cinque anni, a meno che non si voglia un trattamento deteriore del medico rispetto a tutti gli altri cittadini, e dovrà farsi decorrere dall’atto medico».

    I costi standard sono costi giusti? Dipende Nonostante il sistema sanitario nazionale abbia i conti in ordine da almeno due anni e produca anche qualche centinaio di milioni di avanzo (rapporto Oasi Bocconi 2014) continua il pressing sul tema del controllo dei costi perché si pensa che il Ssn sia inefficiente. Nello specifico con l’approvazione della legge 42/2009 si passa dal criterio del costo storico a quello del costo standard. Nella Norma vengono definiti i due termini nel seguente modo: (cfr sito Sna, scuola nazionale di amministrazione): - «Costo storico: indica quanto storicamente si è speso per un determinato servizio. In passato si è seguito il criterio del costo storico: quanto veniva trasferito alle varie Regioni sotto forma di trasferimenti dipendeva da quanto una Regione aveva speso nell’anno precedente. - Costo standard: indica il costo di un determinato servizio, che avvenga nelle migliori condizioni di efficienza e appropriatezza, garantendo i livelli essenziali di prestazione. Secondo quanto sancito nella legge 42/2009 il costo standard è definito prendendo a riferimento la Regione più “virtuosa”, vale a dire quella Regione che presta i servizi ai costi più efficienti». Sembra quindi una soluzione perfetta che garantisca attraverso un tecnicismo di portare o riportare il Ssn verso logiche di efficienza; purtroppo cosi non è e provo a illustrare il perché. Primo: si fa confusione tra spesa e costo. La spesa e il costo non sono la stessa cosa, la spesa è quante risorse finanziarie utilizziamo per acquisire un bene o un servizio mentre il costo è l’utilizzo di fattori produttivi per la produzione di un bene o servizio. Per capirci la spesa è acquistare la ricarica di un cellulare ma sostengo un costo solo quando utilizzo il cellulare. Dal punto di vista contabile la questione non è di poco

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    conto e quindi dal punto di vista manageriale pure. Secondo: dire che una Regione è virtuosa se presta i servizi ai costi più bassi è molto pericoloso perché potrebbe indurre le strutture a occuparsi solo dei pazienti meno complessi e meno costi, dei farmaci a brevetto scaduto e non quelli contro l’epatite C, notoriamente molto costosi. Non si vuole certo dire che i criteri di efficienza non siano necessari ma non sono gli unici e certamente in sanità non sono i più importanti. È chiaro ed evidente che per la sanità il vero criterio sia l’efficacia, cioè la bravura degli operatori, la capacità di curare i malati ovviamente con il vincolo delle risorse e il corretto utilizzo dei fattori produttivi (anzi il vero tema dei prossimi anni è la clinical compentence, cioè se i professionisti producono volumi tali da poter garantire competenze, si veda ad esempio la strarodinaria ricchezza del Piano nazionale Esiti in questo senso). Se passasse la logica che una Regione è virtuosa perché è efficiente passerebbe un concetto in cui la misurazione delle performance di un ospedale debba essere solo finanziaria cioè sulla spesa e penso che non siano molti d’accordo. I costi standard ammesso che abbiano un senso in sanità porterebbero a una enfasi economicista derivante dall’errata idea che esista un costo giusto. Terzo: cosa si intende per costo delle prestazioni? Esiste un modo oggettivo per calcolare il costo di produzione di un prodotto? La risposta è no. Alla domanda quanto costa una tac? Quanto costa una risonanza? La risposta è dipende, dipende da come imputo i costi indiretti (cioè non direttamente imputabili all’oggetto di costo), dipende da tanti fattori, dipende da come costruisco il mio sistema di contabilità analitica. Senza entrare in inutili tecnicismi è importante sottolineare come non esista un costo giusto e certamente non lo sia il costo standard. Banalmente il costo di produzione dipende da tante variabili, dipende dalla logistica del paziente, dipende dal case mix di quell’ospedale, appunto dipende. Qualcuno però potrebbe dire che non è possibile che il costo di gestione di un paziente con frattura di femore debba essere diverso da ospedale a ospedale: come non è possibile? È ovvio ed evidente che non può che essere così: basti pensare che ci sono ospedali a padiglioni e ospedali monoblocco, ospedali in montagna e ospedali in città, ospedali grandi e ospedali più piccoli, questi avranno costi di funzionamento diversi. Chi è convinto che se una prestazione (una risonanza ad esempio) costi meno in una struttura sia necessariamente meglio? Magari costa meno solo perché ha una macchina più obsoleta e meno precisa, o ha meno personale (e non è necessariamente meglio). Gli argomenti mi sembrano quindi sufficienti per sostenere che i costi standard in sanità siano una semplificazione di metodo utilizzata solo in parte e per altri con molti accorgimenti da imprese che fanno bulloni, scarpe, prodotti in serie cosa molto distante dalla gestione di un anziano non autosufficiente che vive in una vallata o in una periferia delle nuove città metropolitane. Questo non vuol dire che non si debbano tenere i costi sotto controllo anzi, ma che lo si deve fare riscoprendo le logiche e le tecniche di una economia aziendale che ha appunto nel concetto di azienda la sua centralità. Da ultimo è importante evidenziare come, di solito, di fronte a queste argomentazioni su tema dei costi standard vi sia sempre chi porti l’esempio della siringa e di come non sia possibile che una siringa abbia costi cosi diversi nei differenti contesti nazionali. Verissimo, peccato però che quello che noi attribuiamo alla siringa non sia un costo ma un prezzo di acquisto. La cosa non è da poco perchè allora la questione non è di contabilità dei costi ma di politiche di acquisto che sono tutta un’altra cosa e riguarda a come si fanno le gare di acquisto dei beni e dei servizi, che ci impone di riflettere sull’efficacia di Consip e a come si fanno le gare d’appalto in Italia. Ma questo è un altro tema. Emanuele Vendramini

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    Spese, entra in scena la centrale supplente

    Centralizzare gli acquisti per razionalizzare (cioè ridurre) la spesa. I beni e servizi acquistati dalla Pa sono ancora una volta nel mirino della legge di stabilità. In un crescendo normativo che data dall’anno 2000, con il debutto della Consip, per approdare ai “Soggetti aggregatori” del 2014. Passando per le “Centrali di committenza” regionali (2006) e le “Stazioni uniche appaltanti” (2011). Si è stratificato con ciò un quadro regolatorio in tema di public procurement , in cui, anche per via delle ripetute reiterazioni normative, è sempre più arduo districarsi. Da ultimo, con l’istituzione dei “Soggetti aggregatori” il legislatore ha inteso imprimere una accelerazione al processo di razionalizzazione della domanda, convogliandola da 35.000 stazioni appaltanti a 34 Soggetti aggregatori. Con drastica riduzione delle procedure e connessi rischi corruttivi e, sulla carta, ottenimento di prezzi migliori per aumentata quantità di contratto. Da un lato obbligando le regioni ancora refrattarie ad organizzare la concentrazione della domanda di B&S, dall’altro prevedendo la messa in rete (obiettivo non nuovo, ancorché inattuato) della galassia delle Centrali di committenza, attive e neofite. Il tutto accompagnato dal tentativo, sembra, di affrontare con metodo alcune delle criticità strutturali che condizionano i processi di razionalizzazione e concentrazione della domanda. Il presupposto Hta Un segnale in tal senso viene dalla legge di stabilità 2016 ed è dato dalla previsione del divieto di replicazione in ambito locale delle attività di Health technology assessment, da riportarsi a livello regionale o nazionale, in linea con quanto previsto dal Piano per la salute 2014-2016. La valutazione di Hta dei dispositivi medici è un presupposto imprescindibile per un corretta configurazione del bisogno e della conseguente domanda da posizionare sul mercato. L’assenza di indicatori oggettivi e validati di appropriatezza, performance e costo di impiego dei dispositivi medici (la principale voce di spesa tra i B&S), determina una scarsa qualità dei relativi processi di acquisto, quanto meno dal punto di vista del rapporto costo-beneficio. Più in generale, la legge si stabilità 2016 prevede specificamente per gli enti del Ssn l’obbligo (già peraltro rinvenibile nel previgente ordinamento) di approvvigionarsi, relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario, come individuate sulla base delle analisi del “Tavolo dei soggetti aggregatori”, avvalendosi in via esclusiva delle centrali regionali di committenza di riferimento, quali Soggetti aggregatori, ovvero della Consip. Il riposizionamento della domanda Per le aziende sanitarie è la conferma di un percorso di revisione e riposizionamento della domanda da tempo avviato, che può evidenziare best practices a beneficio dei nuovi soggetti aggregatori. Di innovativo nella legge di stabilità c’è la funzione di “supplenza” che i soggetti aggregatori più strutturati devono svolgere a favore di quelli non disponibili o immediatamente operativi. Infatti, qualora il soggetto aggregatore territorialmente competente non sia in grado di far fronte alla richiesta di approvvigionamento di un ente sanitario, deve cercarsi e individuare un sostituto. Altra novità è la legittimazione normativa - sia pure indiretta - della “proroga tecnica” di un contratto in scadenza in attesa dell’operatività del contratto aggiudicato dalla centrale di committenza. Viene poi stabilita ex novo una soglia di importo di 1.000 euro relativamente all’obbligo di approvvigionarsi al mercato elettronico della pubblica amministrazione (Mepa). Il programma biennale degli acquisti Tra le misure trasversali vi è l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di approvare e pubblicizzare il programma biennale (con aggiornamento annuale) degli acquisti di beni e servizi di importo stimato superiore a 1.000.000 di euro. Tali dati vanno trasmessi anche al Tavolo tecnico dei Soggetti aggregatori, per le proprie attività programmatorie. Esso deve elaborare i fabbisogni di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni e favorire la pianificazione integrata e coordinata delle iniziative dei soggetti aggregatori. Il Tavolo tecnico è tenuto a individuare, entro il 31 dicembre di ogni anno, una lista delle categorie dei beni e dei servizi nonché a determinare le soglie di loro valore al superamento delle quali le Pa devono necessariamente ricorrere a Consip e/o agli altri Soggetti Aggregatori per lo svolgimento delle relative procedure d’acquisto. È prevista poi a carico del Mef un’attività di tipizzazione degli aspetti contenutistici e prestazionali delle convenzioni Consip e relativi prezzi di riferimento.

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    Il capitolo Ict È prevista anche la razionalizzazione dei processi di approvvigionamento di beni e servizi relativi all’information e communication technology delle pubbliche amministrazioni, le quali sono tenute a redigere un piano triennale soggetto a validazione da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, così come devono sottoporre all’Agenzia medesima gli acquisti gli schemi di contratti, qualora il loro valore lordo sia superiore a euro 500.000 nel caso di procedura negoziata e a euro 1.500.000 nel caso di procedura ristretta o di procedura aperta. Dispone ancora la legge di stabilità che le Pa assegnino ai singoli centri di costo obiettivi annuali di ricorso agli strumenti Consip o dei Soggetti aggregatori. Con il 2016 i Soggetti aggregatori sono attesi alla prova dei fatti. Alle prese con quelle complessità che hanno sin’ora condizionato i processi di razionalizzazione della domanda e che rendono credibili obiettivi di sostanza - economie di spesa significative comprese - solo se proiettati nel medio periodo. I rischi di velleitarismo e di flop sono dietro l’angolo. Al di là degli annunci, l’efficienza della «centralizzazione di sistema» dipenderà dalla quota di spesa pubblica per beni e servizi che verrà unificata e transata dai Soggetti aggregatori. Un percorso inpervio. Basti considerare che in sanità, nella rincorsa al perseguimento di risultati anche di facciata, si sono già compattati su base di area vasta o regionale la più parte dei fabbisogni di B&S ad alto impatto economico standardizzati, o standardizzabili a processi produttivi invariati (farmaci, ecc.). Si fanno rientrare nel fatturato esibito anche procedure centralizzate che mascherano fabbisogni non accorpati (lotti “aziendali”), o acquisti non soggetti a concorrenza, quindi neutri sotto il profilo della centralizzazione. La scommessa, ragionevolmente per il medio periodo, è aggredire quel rimanente 50% e oltre di spesa per beni e servizi che non si è ancora riusciti a «revisionare». Marco Boni

    Acquisti centralizzati, Assobiomedica: «Innovazione a rischio e derive monopolistiche»

    «Se con la centralizzazione degli acquisti prevista dalla legge di Stabilità si pensa di ottenere risparmi smisurati dalla Sanità il rischio di impoverire ulteriormente il nostro Servizio sanitario diventa enorme. Ci auguriamo piuttosto che non si continui a percorrere la strada degli ultimi anni, ovvero quella delle gare al massimo ribasso che guardano principalmente al prezzo, considerando solo in secondo luogo il livello d'innovazione e qualità delle prestazioni e dei servizi offerti. I dispositivi medici non sono commodities, ma prodotti ad alta tecnologia, frutto di ricerca qualificata e orientati alla personalizzazione sulle specifiche esigenze del paziente. Non sono quindi per natura standardizzabili». Questo il commento del Presidente di Assobiomedica, Luigi Boggio, sulle misure previste per gli acquisti nella Legge di Stabilità 2016. «Le centralizzazioni spinte – ha dichiarato il presidente di Assobiomedica – non fanno che agevolare i monopoli su scala nazionale, abbassare la qualità dei servizi e limitare l'accesso dell'innovazione che caratterizza il nostro settore. Un nuovo dispositivo, magari appena lanciato sul mercato da una start-up, non entrerà mai in una struttura ospedaliera se si continueranno a fare meri calcoli volti al risparmio e ad acquistare massificando i prodotti. Anche il mondo medico-scientifico deve essere messo in condizione di poter scegliere e sperimentare nuove tecnologie altrimenti la nostra Sanità pubblica non si rinnova. Per garantire appropriatezza negli acquisti e combattere gli sprechi andrebbero piuttosto fatte gare che siano specifiche per ogni settore merceologico e considerino le caratteristiche tecniche di determinati dispositivi, oltre a molti altri aspetti che accompagnano la fornitura di una specifica tecnologia: l'assistenza tecnica, la formazione del personale medico-sanitario, la fornitura di strumenti e servizi accessori. Introdurre politiche di acquisto poco idonee al settore non aiuta ad affrontare il problema della spesa sanitaria in modo serio nè appropriato».

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    http://www.regione.piemonte.it/cms/index.php 02/11/15 Pagina Web

    Una strategia organica contro la povertà L’assessore regionale alle Politiche sociali, Augusto Ferrari, intervendo il 30 ottobre a Torino conferenza stampa organizzata da Raggruppamento regionale del Piemonte dell'Alleanza contro la Povertà in collaborazione con il Forum regionale del Terzo Settore sul tema del reddito per l'inclusione sociale e gli investimenti per il welfare”, si è soffermato su uno dei temi cardine del Patto per il sociale della Regione Piemonte: le politiche di contrasto alla povertà. “L'ampliamento della fascia di povertà e di vulnerabilità sociale, esploso negli ultimi anni - ha affermato l'assessore - richiede che si vada oltre la logica emergenziale. La Regione deve assumere il ruolo primario di costruire una strategia organica e complessiva tramite la cooperazione con tutte le risorse presenti e operanti nelle comunità locali. Le azioni mirano ad integrare linee di intervento riguardanti: sostegno al reddito e accompagnamento al reinserimento socio-lavorativo, politiche di sostegno al diritto dell'abitare, interventi di sostegno alimentare”. Secondo Ferrari “l'obiettivo primario è costruire un piano regionale contro la povertà e per l'inclusione sociale che abbia una valenza biennale 2016-2017 e si inserisca, coerentemente, all'interno di una più complessiva progettualità nazionale orientata a introdurre nel nostro Paese uno strumento di contrasto alla povertà assoluta. Per questo vogliamo definire una modalità di azione integrata con l'Assessorato al Lavoro e alla Formazione professionale attraverso l'istituzione di un laboratorio partecipato dagli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali, dai sindacati e dalle organizzazioni del volontariato e del terzo settore. Tuttavia, per riuscire ad essere incisivi e a dare risposte concrete ad un fenomeno che si sta estendendo e richiede un nostro intervento tempestivo, è fondamentale che tutti gli attori del mondo sociale escano dal proprio individualismo e si impegnino a collaborare, al di là dei singoli interessi” . Infine, l’assessore ha ricordato che “anche a livello nazionale, nel luglio scorso, è iniziato un confronto con il ministro Poletti sul tema della lotta alla povertà, che sta proseguendo e che vede impegnati Regioni e Ministero. Sicuramente ci sono delle criticità, quali, per esempio, quelle rappresentate dallo stanziamento di risorse economiche certe, ma credo che questo tavolo possa essere un primo importante passo nella direzione giusta per creare una sinergia tra tutti i soggetti coinvolti”.

    notizie tratte dal giornale-radio

    pagina web

    Al via la campagna di vaccinazione antinfluenzale. Ecco gli orari degli ambulatori della provincia

    Parte questo lunedì 2 novembre la campagna di vaccinazione contro l'influenza. Il virus, lo scorso anno, tra metà ottobre e fine aprile, ha colpito oltre 600.000 piemontesi, con aumento di accessi al Pronto Soccorso e di ricoveri in ospedale. Come ogni anno, il Servizio sanitario offre gratis il vaccino ai piemontesi con più di 64 anni e che soffrono di malattie croniche. Info sul sito della Regione o da medici di base, pediatri di famiglia o ai servizi vaccinali delle Asl.

  • RASSEGNA STAMPA WEB 02/11/2015

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    Rassegna Stampa Aziendale a cura Ufficio Comunicazione e Qualità

    Di seguito indirizzi e orari degli ambulatori della provincia dove è possibile vaccinarsi

  • RASSEGNA STAMPA WEB 02/11/2015

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    data 02/11/15

    pagina web

    Eternit Bis: aggiunti altri 116 casi di morti d'amianto Novantanove riguardano le vittime degli stablilimenti italiani, altri diciassette gli ex lavoratori in Svizzera Altri 116 casi di morti d'amianto sono stati inseriti dalla procura di Torino nel processo Eternit Bis, attualmente sospeso e al vaglio della Corte Costituzionale. Si tratta prevalentemente di ex lavoratori dei quattro stabilimenti italiani dell'Eternit (Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli) e di 17 italiani (in prevalenza veneti e pugliesi, ma anche piemontesi) che prestarono servizio in due filiali in Svizzera e che morirono per malattie amianto correlate sul suolo italiano. Questi casi si aggiungono ai 258 già contestati al magnate svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario, alla cui posizione (anche se un numero di casi assai minore) sarà unita quella del fratello Thomas. Inoltre il pm Raffaele Guariniello e i suoi collaboratori stanno analizzando casi tra gli ex lavoratori di filiali della multinazionale a Siracusa e in Brasile, che potrebbero essere a loro volta inseriti nel fascicolo. Redazione On Line

    Afeva, l'11 novembre il presidio a Roma per protestare contro la disparità di trattamento fra malati d'amianto

    La lettera indirizzata dall'Associazione al ministro del Lavoro Giuliano Poletti Si svolgerà mercoledì 11 novembre, dalle 10 alle 16, il presidio di Afeva, sindacati e Anmil a Roma, davanti alla sede del ministero del Lavoro per protestare, soprattutto, contro la disparità di trattamento per l'accesso al Fondo Vittime dell'Amianto dei malati civili di mesotelioma (cioé chi ha contratto la malattia per esposizione ambientale o familiare) rispetto a chi invece si è ammalato per aver lavorato direttamente la micidiale fibra. Questa la lettera indirizzata al ministro Giuliano Poletti, firmata da Cgil, Cisl, Uil, Afeva, Aiea (Associazione Italiana Esposti Amianto) e Anmil: “Signor Ministro, con la presente, le scriventi Organizzazioni Sindacali, l’Anmil e le Associazioni Vittime Amianto, La informano che nella giornata di mercoledì 11 Novembre 2015, effettueranno un presidio presso la sede del suo Ministero in Via Veneto per manifestare il dissenso verso il Decreto da lei emanato sull’accesso al Fondo vittime dell’amianto dei malati civili di mesotelioma”. “Il Decreto da Lei emanato – proseguono sindacati e associazioni – disattende le attese delle persone malate di mesotelioma e non coglie lo spirito e il senso delle lotte portate avanti dal movimento sindacale che hanno ispirato la nascita della Legge che ha istituito il Fondo a favore delle vittime di mesotelioma”. “Evidenziamo il fatto che Ella abbia ignorato quanto la sua stessa amministrazione aveva predisposto e regolamentato circa la consultazione degli Organi Amministrativi del Fondo”. “Con questo Decreto non vengono colte le nostre osservazioni e proposte, dobbiamo rimarcare inoltre che le risorse dedicate non sono sufficienti per riconoscere adeguate risposte alle Vittime civili e non sono chiare inoltre le modalità con cui sono stati ricostruiti i dati dei malati di Mesotelioma attuali e futuri”. “Con la nostra manifestazione vogliamo quindi esprimere il nostro dissenso e Le chiediamo un incontro urgente al fine di sanare le incongruenze contenute nel Decreto in oggetto”.

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    “Crediamo sia necessario rendere più dignitosa l’applicazione di una Legge che dovrebbe rendere orgoglioso il nostro Paese in quanto lo Stato riconosce un indennizzo per la mancata tutela della salute e della sicurezza dei cittadini rispetto all’amianto”. Redazione On Line

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    Colpa medica, Ddl al rush finale: più tutele a chi segue linee guida ma resta discrezionalità giudici

    Accelera alla Camera il disegno di legge sulla responsabilità sanitaria: un testo da approvare auspicabilmente entro l'anno che agli articoli 6 e 7 introduce una distinzione ai sensi del diritto penale (ma anche con conseguenze civilistiche, sui risarcimenti) tra colpa grave, colpa lieve e non-incolpabilità del sanitario. All'articolo 6 la proposta del deputato Pd Federico Gelli afferma: «Le prestazioni di diagnosi cura riabilitazione e prevenzione eseguite con il consenso informato del paziente non costituiscono offese all'integrità psicofisica se si sono seguite le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida». Dette linee guida andranno fissate da società scientifiche iscritte ad apposito elenco del Ministero della Salute, con decreto attuativo ad hoc: finché non esce quest'ultimo valgono le sole previsioni dell'articolo 3 della legge Balduzzi secondo cui nell'accertamento della colpa lieve il giudice, per valutare se il sanitario è stato diligente nell'adempimento (articolo 1176), tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Il secondo capoverso introduce nel codice penale la distinzione tra colpa grave e colpa lieve. In caso "infausto" il sanitario risponde di omicidio o lesioni colpose solo se si evidenzia che li ha provocati per imperizia e la sua colpa è stata "grave", ma non c'è mai colpa grave se si seguono le raccomandazioni previste da linee guida e le buone pratiche assistenziali. Mai o quasi: il giudice può valutare se nel caso concreto, sebbene si siano seguite raccomandazioni e buone pratiche clinico assistenziali, vi siano eccezioni dovute a "rilevanti specificità". L'articolo 7 investe profili civilistici ed obbliga ad assicurarsi non solo le strutture pubbliche per fatti dei loro dipendenti, ma anche le private per fatti di sanitari che non sono loro dipendenti. La responsabilità del libero professionista tuttavia resta contrattuale, a differenza di quella del medico dipendente o convenzionato: l'onere di provare che il danno non l'ha fatto lui resta a suo carico e la prescrizione per le denunce dei pazienti rimane decennale e non scende a 5 anni. Le citate norme sulla responsabilità si applicano anche alle prestazioni di telemedicina. L'approvazione della legge appare propedeutica ad altri importanti passaggi; è in arrivo un decreto governativo che impone l'obbligo di assicurare la responsabilità civile a tutti gli iscritti a ordini professionali e ricomprende le professioni sanitarie. Ma a monte occorre che ci siano polizze per tutti: dal 2014 un regolamento istituisce un fondo ad hoc finanziato dalle compagnie per aiutare le coperture di medici giovani o con particolare sinistrosità. Enpam e Fnom hanno istituito una commissione per facilitare l'accesso di tutti i medici alle polizze; ma, come ha dichiarato a DoctorNews il vicesegretario Fimmg Silvestro Scotti, «finché non c'è la nuova legge, le trattative medici-compagnie non decollano. Se il governo pensa a norme che attenuano la nostra responsabilità, è autolesionistico affrettarsi a certificare condizioni assicurative basate su una normativa vecchia e meno conveniente». Mauro Miserendino

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    Cassazione, l'Asl può influire nella composizione della delegazione medica

    Un sindacato medico si presenta in delegazione dall'Asl controparte per parlare di convenzione. L'Asl obietta che nella delegazione ci dev'essere il medico Tizio che è sempre venuto. Il sindacato controbatte che Tizio è in rotta, ha altre idee e quindi va rimpiazzato. L'Asl nega che questo si possa fare. Il datore di lavoro si sta ingerendo degli affari dei medici che stipendia? Secondo la Cassazione no, per un semplice motivo: l'Asl non è un datore di lavoro per i convenzionati para-subordinati. La cosiddetta condotta antisindacale ci sarebbe se la delegazione rappresentasse dei medici dipendenti; i convenzionati, pur "ingaggiati" dall'Asl, non sono dipendenti. Imporre una diversa composizione al sindacato, o non trattare con la delegazione di convenzionati nella combinazione da quella voluta non equivale a falsare un'assemblea di dipendenti. Ergo, non si applica l'articolo 28 dello statuto dei lavoratori. L'esempio che abbiamo fatto è solo di scuola, ma rappresenta uno dei casi che oggi dividono Asl e medici. Con la sentenza 18975 del 24 settembre 2015 la sezione lavoro della Cassazione ha deliberato su un braccio di ferro tra il sindacato degli specialisti ambulatoriali Sumai e l'Asl 8 Cagliari. La contesa era sulla composizione del comitato zonale che decide su questioni disciplinari ed è composto dal direttore generale dell'azienda, 5 rappresentanti dell'Asl e altri 6 dei medici, di cui tre eletti con procedura ad hoc dall'insieme dei convenzionati dell'Asl ed altri tre nominati dai principali sindacati. Ma proprio per questi tre, se c'è un sindacato egemone che succede? L'articolo 24 dell'accordo del 2005, rinnovato nel 2009-2010 e ora quest'anno recita: «Qualora uno o più sindacati non abbiano la possibilità di designare un proprio rappresentante i membri mancanti sono designati dal sindacato con maggiore consistenza associativa professionale». «A questo punto si pone il problema; uno analogo lo abbiamo affrontato in un'Asl laziale - spiega il Segretario nazionale Sumai Roberto Lala - per litigio interno un componente del comitato zonale ha cambiato casacca, l'Asl ha detto "lo avete nominato e rimane lui", noi abbiamo risposto che non è membro elettivo ma designato a rappresentare le idee dell'organizzazione». Mentre a Cagliari si è finiti in tribunale, «in Lazio ci siamo appellati alla Sisac che ci ha detto che il collega può essere ricusato, il Direttore generale non ha voluto saperne, alla fine è stato necessario che la Regione desse indicazioni all'azienda». Ma la battaglia non è finita, per Sumai la parasubordinazione è un concetto che può mutare a seconda dei contenuti dei contratti come attesta l'ultima convenzione firmata il 30 luglio scorso, che ha recepito le modifiche della legge 165 per la composizione delle commissioni disciplinari uniformandola ai criteri adottati per la dipendenza. «Si sono aggiunti ulteriori elementi per giudicare in Cassazione, magari a sezioni unite» sottolinea Lala. «Alla subordinazione di fatto (lavoriamo nei locali messi a disposizione dall'Asl) si aggiungono standard procedurali della subordinazione di diritto. Difficilmente questa sentenza potrà fare più danni di quanti se ne sono verificati, quando un'Asl disapplica un accordo si può alzare il livello della trattativa in sede regionale, i margini per affrontare la situazione ci sono; ma più che altro va trovato il livello di dialogo atto a recuperarla».

    Professioni sanitarie: igienista dentale e audioprotesista tra le più ambite

    «Negli ultimi 5 anni si è registrato un progressivo miglioramento nella stima del fabbisogno formativo da parte delle Regioni e del Ministero della Salute, grazie ad un confronto diretto e serrato che si è venuto sviluppando con le Categorie tramite le rispettive 3 Federazioni e le 25 Associazioni professionali. Sono stati gradualmente ridotti gli esuberi per alcune professioni: come Tecnici di Radiologia, di Laboratorio e della Prevenzione, mentre al contrario resterebbe ancora sottostimato da parte di qualche Regione il fabbisogno per Logopedista, Podologo e Audioprotesista con relativa insufficiente offerta formativa delle Università». Angelo Mastrillo, segretario della Conferenza nazionale Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, tratteggia, nel suo report 2015, l'andamento delle professioni sanitarie in tempi di crisi. Si parla di ripresa, ma non ancora abbastanza. In prospettiva, per l'AA 2016-17 si auspica un ulteriore riequilibrio dell'offerta formativa delle Università, rispetto ai fabbisogni determinati tramite le consultazioni fra Ministero della Salute, Regioni, Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni e le 22 Categorie.

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    Secondo le cifre, al primo posto si trova ancora Fisioterapista con rapporto D/P che sale da 12,5 a 13,3; al secondo Logopedista da 9,0 a 9,9; al terzo Dietista da 6,7 a 8,3. Seguono al quarto posto Ostetrica; quindi Tecnico Radiologia e Terapista Neuropsicomotricità Età Evolutiva quasi stabile. Sale Tecnico di Neurofisiopatologia, mentre sono quasi stabili Igienista Dentale e Tecnico Riabilitazione Psichiatrica; Infermiere Pediatrico; Podologo; Tecnico Laboratorio; Tecnico Fisiopatologia Cardiocircolatoria; Ortottista; Tecnico Ortopedico; Educatore Professionale. Infine, nelle ultime posizioni ci sono le altre 5 professioni su cui si registra un calo, anche se lieve: Infermiere; Tecnico Prevenzione; Audioprotesista; Tecnico Audiometrista; Terapista Occupazionale e Assistente Sanitario. «Il dato più interessante - spiega Mastrillo - è che avanzano professioni che hanno maggiori sbocchi nel privato, come audioprotesista e igienista dentale, e questo succede a causa del blocco delle assunzioni nel Ssn. Sostanzialmente la sanità pubblica indietreggia a favore di quella privata». Ma se dal punto di vista dell'offerta formativa non si registrano dunque forti contrazioni, da quello occupazionale non si vedono grandi segnali. «Più che parlare di una diminuzione dell'occupazione - a aggiunge Mastrillo - direi che si è fermato il trend in discesa, siamo fermi al 64% di disoccupazione come lo scorso anno per tutti i 22 profili professionali. Non si po' parlare di ripresa, ma di stabilità che, spero permanga per poi evolvere verso il meglio». Un elemento nuovo, che non viene fuori dal report ma che Mastrillo tiene a precisare, è la fuga degli infermieri all'estero e, nello specifico, verso l'Inghilterra. «Ci sono delle vere e proprie agenzie di reclutamento che, in accordo con l'Ipasvi, vengono ad arruolare i nostri infermieri in Italia. La federazione ne stima circa 30mila in attesa di lavoro». Rossella Gemma

    Ddl Concorrenza, Assogenerici: preveda abolizione patent linkage, Antitrust d'accordo

    «Se con il Ddl Concorrenza il Governo vuole giustamente mettersi al passo dell'Unione Europea in tema di liberalizzazioni, mi sembra evidente che il disegno di legge non può non tenere conto anche di un aspetto della normativa italiana più volte denunciato dalla Commissione europea: il patent linkage, cioè l'impossibilità di classificare in fascia A un generico prima della scadenza del brevetto del farmaco di marca corrispondente». A ribadirlo è Enrique Hausermann, presidente di AssoGenerici all'indomani dell'audizione in Commissione Industria al Senato dove ai richiami della Commissione stessa sul tema, si è unito anche quello del Garante della Concorrenza e del mercato, professor Giuseppe Pitruzzella. «E non è la prima volta» sottolinea Häusermann «è venuto il momento di sanare questa contraddizione. In nessun paese dell'Unione esiste questo meccanismo, che ha il solo effetto di rallentare l'arrivo degli equivalenti sul mercato, ragion per cui si verifica un mancato risparmio rispetto a quello che il Ssn potrebbe realizzare se i generici, avendo già superato l'iter di registrazione, potessero essere rimborsati dal Ssn, senza dover attendere la definizione di eventuali contenziosi di natura brevettuale. Solo l'anno scorso il Ssn ha sopportato 18 milioni di euro di maggiore spesa. Oltretutto» prosegue il presidente di AssoGenerici «l'Italia sconta, qui al pari di altri paesi, una certa vaghezza sulle date in cui vengono a scadere i Certificati di protezione, e anche questo è un aspetto sul quale la Commissione Europea è intervenuta pochi giorni fa con il suo nuovo documento strategico sul mercato interno». Sulla questione del patent linkage si segnala l'impegno della Senatrice Paola Taverna del M5S a presentare un emendamento al Ddl concorrenza che cancelli questa norma. La senatrice ha ricordato che «già nel 2013 l'Antitrust aveva auspicato l'abrogazione di questa normativa e il M5S aveva presentato un'interrogazione proprio per chiedere al governo di intervenire, eppure a oggi» ha dichiarato Taverna «siamo ancora indietro rispetto agli altri Paesi europei». Assogenerici ha espresso «viva soddisfazione» per tale impegno auspicando che «la Commissione Industria lo accolga e che tutte le forze politiche che hanno a cuore realmente la modernizzazione del paese lo sostengano, al di là delle logiche di schieramento: ne va anche della credibilità del paese». Simona Zazzetta

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    Spesa per malattie lavoratori fuori controllo nel pubblico, urge polo unico Ci si ammala di più negli enti pubblici ma lo stato potrebbe risparmiare 1 miliardo e mezzo di euro l'anno -un decimale di punto di Pil - se istituisse il Polo unico della medicina fiscale, uniformando i controlli sui lavoratori in malattia e riconducendo i comportamenti del comparto pubblico a quelli del privato. Ne sono convinti i medici di controllo Inps della Fimmg che commentano per DoctorNews i dati diffusi da Inps sulle assenze 2014, anno in cui i certificati di malattia sono diminuiti nel privato ma cresciuti nella Pa. Nel privato si è ammalato il 40% dei circa 10 milioni di lavoratori: si registrano 4 milioni di malati e 8,4 milioni di casi di malattia, ma i certificati sono scesi di 450 mila unità, da 11,86 milioni a 11,41. Nel pubblico invece i certificati sono aumentati di 410 mila unità, da 5,47 a 5,98 milioni: si sono ammalati 1,7 milioni su circa 3 milioni di lavoratori, per un totale di 4,8 milioni (più casi che dipendenti). Altro dato chiave: nel pubblico la spesa per le visite appare fuori controllo. L'aumento delle malattie brevi, da 1 a 3 costringerà l'Amministrazione a disporre un maggior numero di visite fiscali. Ai sensi della norma vigente bisognerebbe inviare tra l'altro il medico Asl fin dal primo giorno per assenze del lunedì o del venerdì. «Senza correttivi, la spesa è destinata a crescere. Solo considerando i circa 2,3 milioni di eventi di tutte le durate che iniziano venerdì, sabato, domenica e lunedì, al costo medio di 42 euro a visita secondo le tariffe delle Asl, per ottemperare alla Legge sulla carta sarebbero stati necessari 95 milioni di euro per eseguire i controlli nel solo settore pubblico cui vanno aggiunte le spese amministrative e i rimborsi chilometrici», spiega Silvio Trabalza, vicesegretario nazionale vicario del Settore Inps Fimmg. «In questo modo si sarebbero superati abbondantemente i 100 milioni di costo solo per i controlli pubblici. Ed infatti, da una nostra indagine, è emerso che Le Asl in passato salvo qualche eccezione, non hanno effettuato che un 40 % delle visite richieste dalla Pa». C'è da dire che 150 milioni citati sono oltre il doppio dei 70 milioni che Inps vorrebbe farsi bastare per mandare a regime i controlli del Polo Unico. Ma Alfredo Petrone segretario nazionale del Settore Inps Fimmg invita a riflettere: «Con l'attuazione del polo unico si potranno ottenere una razionalizzazione della spesa (nel complesso inferiore ai 150 milioni che Pa ed Inps spendevano in passato), più efficacia nella lotta agli abusi, all' assenteismo ed alla truffe, il tutto con rigore metodologico, con una regia univoca, immediatezza di risposta e di output, oltre che la certezza di esecuzione dei controlli. Per rendere attuabile tutto ciò è necessario che il decreto legislativo attuativo in via di definizione preveda una convenzione che contempli un rapporto di lavoro orario tendente al tempo pieno in grado di garantire con le stesse risorse umane attuali il necessario numero di visite di controllo previste dalla riforma».

    Appropriatezza cure e lotta a sprechi al centro del 14° Congresso nazionale Ame

    Refertazione omogenea delle ecografie della tiroide, cura del diabete tramite chirurgia bariatrica, endocrinologia di genere: sono tre dei temi più rilevanti che saranno affrontati nel corso del 14° Congresso nazionale dell'Associazione medici endocrinologi (Ame) che si svolgerà a Rimini dal 5 all'8 novembre. A Milano, nell'incontro di presentazione dell'evento, Rinaldo Guglielmi, Presidente Ame, dopo aver sottolineato come l'endocrinologo assicuri la gestione clinica di tre tra le malattie più diffuse (il diabete, le malattie della tiroide e l'osteoporosi, che insieme colpiscono circa 15 milioni di italiani e assorbono ben oltre il 10% della spesa sanitaria globale) ha preannunciato - in relazione ai frequenti problemi interpretativi delle ecografie tiroidee - la presentazione del progetto per la "Certificazione per ecografisti della patologia endocrina del collo" (Epec), che sarà operativo da gennaio 2016 e che si ispira al progetto già in corso negli Stati Uniti dall'Aace (American association of clinical endocrinologists).«Questa certificazione ha il compito di rendere omogenea l'esecuzione dell'esame e soprattutto la sua refertazione» rappresentando «un ausilio anche per il medico che a volte fatica a confrontare i referti ottenuti da operatori diversi». Obiettivo: il miglioramento della comunicazione medica e, quindi, del livello di assistenza al paziente, oltre all'evitamento di sprechi come la ripetizione di ecografie il cui risultato risulta non chiaro. Un'iniziativa che rientra nella volontà di limitare il fenomeno, sempre più diffuso, del sovrautilizzo di esami diagnostici e di trattamenti. Tanto che, ha detto Rinaldi, «basandoci su risultati di studi e metanalisi, abbiamo selezionato 5 pratiche cliniche a rischio di inappropriatezza, cioè impiegate usualmente ma non supportate da prove di

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    efficacia, convinti che 'fare di più non significa fare meglio', secondo l'iniziativa varata da Slow medicine - rete di professionisti e cittadini per una medicina sobria, rispettosa e giusta - alla quale abbiamo aderito».«Un altro tema rilevante al Congresso di Rimini sarà la chirurgia bariatrica» ha continuato Giorgio Borretta, S.C. Endocrinologia e Malattie del Ricambio, Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo. «Oggi sono noti i meccanismi fisiopatologici con cui il tessuto adiposo, vero e proprio organo endocrino, se in eccesso invia all'organismo messaggi che determinano lo sviluppo di diabete, possono promuovere l'ipertensione e incidere sul metabolismo lipidico. Inoltre adesso si hanno prove convincenti che nei grandi obesi diabetici la chirurgia bariatrica possa risolvere non solo problemi estetici ma anche la stessa patologia diabetica». A Rimini saranno presentate e discusse le linee guida sulla chirurgia bariatrica messe a punto negli Stati Uniti dall'Aace e tradotte da esperti dell'Ame. «L'incontro» precisa Borretta «sarà focalizzato a fare tesoro dell'ampia casistica ed esperienza Usa, valutando le differenze tra realtà geografiche e politiche diverse, con il fine di contestualizzare le raccomandazioni degli specialisti americani e renderle applicabili al nostro sistema sanitario». «Un'importante sfida è la medicina di genere» ha aggiunto Roberto Castello, past president Ame, «che ha ricadute specifiche in endocrinologia» dove le diverse modalità di sviluppo delle patologie tra uomo e donna sono ancora più marcate per la diversa quantità delle increzioni ormonali e la diversità molecolare degli ormoni sessuali. «Le malattie endocrinologiche sono segnate da importantissime differenze biologiche e cliniche: per esempio le patologie ipofisarie, alcuni disordini metabolici e le tireopatie colpiscono di più la donna oppure si manifestano e hanno un decorso diverso rispetto alle stesse malattie nell'uomo». Un caso eclatante è offerto dall'osteoporosi «che colpisce oltre 4.000.000 di donne e 570.000 uomini, secondo i dati Istat 2014» ed è dovuta alla cessata produzione estrogenica post-menopausale nelle donne e, si ritiene, a una ridotta produzione di testosterone con l'avanzare dell'età nell'uomo. Arturo Zenorini

    data 02/11/15

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    A Trento i cittadini “scrivono” il Piano per la salute

    Il Dipartimento Salute e solidarietà sociale ha concluso l’analisi dei commenti e delle proposte formulate dai cittadini nella consultazione pubblica sul Piano per la salute del Trentino e si prepara a presentare al pubblico il rinnovato documento. “Il risultato – spiega la Giunta in una nota - è un documento di Piano che rafforza l’impianto strategico complessivo – linee guida, macro obiettivi, salute al centro delle politiche – integra circa due terzi dei contributi pervenuti e richiama l’interesse dell’OMS come buona pratica di implementazione locale della strategia Health 2020”. Il Piano per la salute del Trentino, che ora proseguirà l’iter previsto dalla normativa fino all’approvazione, “è il risultato di un processo partecipativo che ha visto coinvolti tecnici, esperti, referenti di enti, associazioni che lavorano sui temi della salute oltre a molti cittadini. Ciò – ricorda la Giunta - è avvenuto con una consultazione pubblica, in collaborazione con l’Unità di missione strategica trasparenza e partecipazione della Provincia”. Alla consultazione online, strutturata in due fasi, hanno partecipato sia gli addetti ai lavori (dicembre 2014 – gennaio 2015) che la cittadinanza (aprile – giugno 2015), in modo da arrivare ad un documento completo e condiviso. In particolare, nella seconda fase di consultazione hanno partecipato persone di tutte le fasce d’età (dai 19 ai 71 anni), in prevalenza con un elevato livello di istruzione, in egual misura maschi e femmine. A metà agosto, per raccogliere le opinioni dei cittadini stranieri e ampliare ulteriormente i punti di vista è stato organizzato un incontro specifico a cui hanno aderito 20 mediatori culturali provenienti da diversi paesi e impegnati sul territorio. Tra luglio e settembre tutti i contributi sono stati analizzati e valutati da un gruppo di lavoro interno al Dipartimento Salute e solidarietà sociale che ha elaborato la proposta finale di Piano integrando circa due terzi delle proposte pervenute.

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    “Il documento, che sarà presentato il 19 novembre presso l’Auditorium Centro servizi sanitari – ribadisce la Giunta -, risulta modificato e arricchito in modo significativo dando valore alla partecipazione su un tema di interesse pubblico”.

    Protocollo Lorenzin-Pinotti per donazione organi da militari

    Spicca il volo la collaborazione tra i ministeri della Salute e della Difesa per promuovere la cultura della donazione di organi, tessuti e cellule tra il personale delle Forze Armate. Il primo step risale al 2007, quando fu firmato un protocollo di intesa successivamente implementato con attività di pianificazione e programmazione. "Negli ultimi messi sono stati poi promossi seminari e convegni tra i militari, registrando 4700 adesioni nelle varie strutture ed evidenziando un trend maggior rispetto quanto registrato tra gli altri cittadini. Nel complesso in Italia vengono realizzati circa 3mila trapianti l’anno", osserva Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti. “Si tratta di un segnale di enorme importanza – dice Beatrice Lorenzin, illustrando l’iniziativa presso l’Auditorium del Ministero – La disponibilità a donare di uomini e donne in divisa assume un valore doppiamente positivo, in quanto si tratta di persone che costituiscono un esempio e che fungono da veri e propri opinion leader, configurando così un impegno civico e sociale di enorme portata”. L’auspicio è che le adesioni esercitino un effetto traino verso gli altri cittadini in quanto il numero di donatori da cadavere è stabile, mentre i trapianti da vivente stanno segnando un aumento rispetto allo scorso anno. “Sono quindi necessarie nuove campagne de sensibilizzazione – sottolinea Lorenzin – e su questo terreno le Forze Armate possono fornire un contributo determinante”. L’apporto delle Forze Armate rappresenta già uno pilastri che garantiscono la fase logistica ogni qualvolta un paziente viene spostato per essere sottoposto a trapianto. Il buon esito della procedura è infatti assicurato dall’intervento delle Prefetture, del 31° Stormo e della Polizia. “La collaborazione tra i due ministeri proseguirà a pieno regime, abbiamo in cantiere un altro progetto – spiega Roberta Pinotti – Mettiamo in campo un lavoro congiunto che rappresenta un esempio di civiltà poiché consegna una speranza di vita a persone che altrimenti non l’avrebbero mai potuta coltivare. Fino a qualche anno fa era un tema poco conosciuto che fortunatamente si sta affermando. La sfida è ora promuovere massicciamente la cultura della donazione anche ai giovani che si avvicinano alle Forze Armate e che sono in fase di reclutamento, ma anche valorizzare a pieno regime tutte le strutture tecniche di cui possiamo disporre".

    Rapporto Crea 2015 L' 11a edizione del Rapporto Crea Sanità è stata presentata il 29 ottobre 2015 a Roma presso la Camera dei Deputati. La struttura del Rapporto si è ormai consolidata negli anni, e prevede prima un’analisi statistica del contesto in cui muove la Sanità, seguono i dati di performance (spesa, finanziamento ed equità) e quindi gli spaccati per singolo settore assistenziale, chiudendo poi con l’aspetto industriale. Non si è però rinunciato all’originalità dei contributi (che ogni anno riguardano aspetti nuovi delle politiche sanitarie) e ad alcune estensioni rispetto alle scorse edizioni, che quest’anno riguardano l’assistenza domiciliare, l’attività di prevenzione e l’analisi di particolari patologie. Anche in questa edizione, ciascun capitolo viene affiancato da una sintesi in lingua inglese. La 11a edizione del Rapporto Sanità è a cura del Consorzio Universitario per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità), con la partnership di alcune Aziende risultate sensibili a sostenere la ricerca e il dibattito sulle politiche sanitarie. La spesa sanitaria italiana è del 28,7% più bassa rispetto ai Paesi EU14, con una forbice, anche in percentuale del PIL, che si allarga anno dopo anno. Ed è inutile farsi aspettative su ulteriori risparmi: il sistema attuale non riesce ad annullare le disuguaglianze. Per questo serve una ‘moratoria’ a medio termine per impedire ulteriori tagli al comparto”. Ma si deve pure cambiare perché “quello sin qui realizzato è un

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    Universalismo non omogeneo, crescentemente diseguale, e che dopo oltre 30 anni è forse doveroso chiedersi se non dipenda anche da qualche elemento di obsolescenza del disegno originario”. “Il titolo scelto per l’11° Rapporto Sanità è appunto “L’Universalismo diseguale” – scrive il presidente di Crea Sanità Federico Spandonaro, nasce da un tentativo di lettura quantitativa dell’evoluzione del sistema sanitario italiano; evidentemente la scelta del titolo tradisce il tentativo di segnalare che osserviamo fenomeni che, alcuni in modo strisciante, altri in modo più prorompente, risultano incoerenti con la linea politica che ha portato all’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale universalistico in Italia”.

    Il territorio verso la "community care" Che non si possa più rispondere alla domanda di salute essenzialmente attraverso le strutture di ricovero è evidente. Di più: occorre operare un cambio di paradigma che costruisca una vera Community Care, che esprima il concetto di comunità come rete di relazioni sociali significative, un sistema complesso cui concorrono i professionisti della sanità in team, l’intera realtà locale amministrativa e sanitaria e gli stessi pazienti in una logica di co-gestione della propria condizione di salute. Una rete di servizi, diffusi sul territorio, capace di prendere in carico i pazienti lì dove essi vivono, in condizioni di prossimità e di continuità. Nella Community Care uno dei principali settori è rappresentato dalle cure primarie. Nonostante questo, però, come evidenzia anche il rapporto HEN (Health Evidence Network), ancora oggi l’allocazione delle risorse è nettamente a favore delle cure ospedaliere. Ciò spiegherebbe perché, a fronte di una spesa sanitaria crescente, l’equità, l’accesso e la risposta ai bisogni sanitari non siano cresciuti in modo proporzionale. Per equilibrare il sistema, occorre passare dal paradigma dell’attesa (tipico delle malattie acute) a quelli dell’iniziativa e della proattività. Il ruolo degli specialisti ambulatoriali. Il concetto di cure primarie, come quello di Community Care, ruota attorno a due diversi assi di integrazione: una dimensione verticale (piramidale), nella quale strutture e professionisti (dal mmg, allo specialista territoriale e all’ospedale) intervengono su differenti livelli di cura, attraverso i quali il paziente è costretto a muoversi, spesso con gravi difficoltà, e una dimensione orizzontale, in cui si realizzano forme di cooperazione/specializzazione tra strutture e professionisti posti sullo stesso livello di cura, dove è la rete che di volta in volta si fa carico dei bisogni individuali del paziente e collettivi di un determinato territorio. L’obiettivo delle cure primarie nella Community Care non è più la tradizionale funzione di filtro, bensì la capacità d’integrazione tra cure primarie e cure secondarie: si opera così un’epocale svolta qualitativa, nella quale viene facilitata e implementata l’integrazione dell’assistenza verticale (gestione di specifiche malattie dell'assistenza primaria e terziaria) e di quella orizzontale (integrazione dell’assistenza vicino ai bisogni dell’individuo e strategia che dà priorità ai bisogni più ampi della comunità). È in questa rete che gli specialisti territoriali rappresentano un punto di riferimento ben preciso, essendo capaci di offrire le competenze indispensabili in una dimensione articolata, con le nuove modalità organizzative che possono modularsi sulle diverse necessità locali. La ricerca di Ca’ Foscari. Rinnovando la collaborazione con l’Università Ca’ Foscari, quest’anno abbiamo realizzato uno studio approfondito su come la medicina specialistica italiana si possa inserire nella Community Care. La ricerca mette in luce molte criticità. La prima riguarda i colleghi - soprattutto i più giovani e in misura maggiore le donne e le Regioni del Centro Sud - che ancora oggi inizialmente svolgono la loro attività con rapporto a tempo determinato e, spesso, con attività suddivisa in diverse aziende. Altra grande criticità è che oltre il 50% della categoria ha più di 55 anni e solo l’8% è al di sotto dei 40. In mancanza di un regolare turnover il rischio è che si creino, soprattutto in alcune Regioni, dei vuoti in corrispondenza del punto più alto della curva dei pensionamenti. Inoltre, le condizioni di non piena stabilizzazione contrattuale in cui si trova oggi parte dei colleghi più giovani impediscono quella naturale trasmissione del sapere da parte dei più anziani. Infine, la ricerca Ca’ Foscari evidenzia come la specialistica ambulatoriale territoriale, attiva da oltre 50 anni, sia una ricchezza strategica del sistema sanitario italiano. Eppure, solo in un caso su tre gli specialisti ambulatoriali hanno contatti e scambio continuo di informazioni con il mmg e il pediatra di famiglia! Una difficoltà di comunicazione che deve assolutamente essere superata, a tutto vantaggio dei pazienti, un’opportunità che le nuove forme organizzative previste dal Patto della Salute e normate dal nuovo Acn (Aft e Uccp), se applicate, potranno agevolare.